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NOTA

Herbert George Wells nacque a Bromley, nel Kent, il21 settembre 1866, da modesta famiglia: il padre, Joseph,grande sportivo, conduceva un piccolo negozio di chin-caglierie; la madre era stata a servizio, prima del ma-trimonio; il negozietto bastava appena a mettere la fa-miglia al riparo della povertà.

Dal padre « Bertie », come lo chiamavano, aveva ere-ditato il gusto alla lettura, che poteva alimentarsi allalocale biblioteca circolante. Frequentò dapprima una pic-cola scuola privata; poi l'istituto della Morley's Acade-my. Ma quando, nel 1880, la famiglia si trovò ad affron-tare un periodo particolarmente difficile, la mamma ri-tornò presso i suoi antichi padroni, nel Sussex; e il ra-gazzo andò apprendista in un negozio di stoffe a Wind-sor, ove tuttavia non restò che un sol mese; poi fu al-lievo e istitutore insieme in una scuola del Somerset,commesso di farmacia a Midhurst, e nuovamente, nel-l'aprile dell'81, impiegato in una ditta di tessuti, a South-sea, ove rimase due anni. Ottenne, quindi, un posto diassistente alla Grammar School di Midhurst; e infine,nel 1884, una borsa di studio di una ghinea la settimanagli permise di frequentare la Normal School of Sciencedi Londra (South Kensington).

Per tre anni il giovane vi studiò fisica, chimica, geo-logia, astronomia e biologia: quest'ultima sotto la guidadel celebre professar Thomas H. Huxley, il divulgatoredella dottrina evoluzionistica del Darwin. Al terminedei corsi si recò a insegnare in una scuola di Holt, nelGalles settentrionale; ma un incidente occorsogli duran-

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te una partita di calcio - e che lo rese inabile per anni -lo riportò a Londra nel luglio dell'88. All'inizio dell'89entrò a far parte del carpo insegnante della HenleyHouse School, a Kilburn; nell'ottobre del '90 gli f u con-ferita a pieni voti dall'Università di Londra la laureain zoologia, materia del cui insegnamento f u incaricato,dal '91 al '93, presso l'University Correspondence Col-lege.

Nell'estate del 1893, una grave emorragia polmonarelo costrinse a un lungo riposo. Già nel '91 e nel '92 egliaveva collaborato con alcuni saggi a giornali educativi;ora, mentre la salute andava a poco a poco ripren-dendo, cominciò a scrivere racconti, saggi e rassegne,che furono pubblicate da periodici come « The Pall MallGazette », « St. James's Gazette », « Black and White », la« New Review » e « The Sunday Review ». Nel '93 ap-parve anche la sua prima opera, i due volumi di unManuale di biologia; nel 1895 un volume di racconti,il furto del bacillo, uno di saggi, Conversazioni variecon uno zio, e i suoi primi due romanzi: La macchinadel tempo e La visita meravigliosa, che immediatamentegli assicurarono una rinomanza di scrittore di eccezio-nale fantasia.

Lo stesso anno egli sposò Amy Catherine Robbins, unasua ex allievo, (il precedente matrimonio con una cugi-na, avvenuto nel '91, era stato, infatti, annullato) ; e duefigli nacquero dal secondo matrimonio: George Philipnel 1901, Frank nel 1903.

Gli anni successivi videro apparire la serie dei gran-di romanzi scientifici del Wells: L'isola del dott. Moreau(1896), La guerra dei mondi (1898). I primi uomini nel-la luna (1901); nonché molti altri racconti, articoli e ro-manzi, fra i quali ultimi L'amore e il signor Lewisham(1901).

Nel 1900 lo scrittore si costruì una casa a Sandgate,presso Folkstone, ove dimorò dieci anni, durante i qualiconquistò e riaffermò una fama mondiale, attraverso leopere che, senza tregua, pubblicò via via: Anticipazioni

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(1901, saggi di problemi sociali), La signora del mare(1902), II cibo degli dèi (1904), Kipps e Una modernaUtopia (1905), Nei giorni della cometa (1906), La guerranell'aria (1908), Tono Bungay e Anne Veronica (1909),Storia del signor Polly (1910).

La salute, sempre assai cagionevole, lo costrinse, nelcontempo, a fare non pochi viaggi sul continente euro-peo; e, nel 1906, uno, il primo, negli Stati Uniti. Nel 1903aderì alla Fabian Society, che si proponeva l'avvento diun mondo socialistico attraverso un pacifico programmaeducativo, col bando di ogni mezzo rivoluzionario; manon vi durò a lungo. Nel 1909 si trasferì a Londra, enel '12 acquistò una casa a Easton Park, presso Dun-mow, nell'Essex, ove rimase sino alla morte della mo-glie, nel 1927.

Un nuovo indirizzo della sua opera (il romanzo diidee e di problemi, ove la vicenda è subordinata al mes-saggio sociale e ideologico) f u rivelato nel 1911 dal ro-manzo II nuovo Machiavelli. A esso seguirono: Matrimo-nio (1912). Gli amici appassionati (1913), La moglie diSir Isaac Karman (1914), La ricerca magnifica (1915).

Il Wells accettò la prima guerra mondiale come Laguerra che porrà termine alle guerre, e cosi intitolò unsuo saggio del 1914; e nel 1918 entrò a far parte perun certo tempo di un comitato statale di propaganda.L'opera maggiore scritta e pubblicata durante quegli an-ni fu II signor Britling va sino in fondo (1916), che ac-quistò un'immensa popolarità.

Nel 1920 visitò la Russia sovietica, nel '21 fu alla Con-ferenza di Washington. Negli anni successivi viaggiòmolto, e trascorse molti inverni lontano dal rigido cli-ma inglese. Pur continuando a scrivere opere narrative(come il lungo romanzo II mondo di William Clissold,1926), si applicò sempre maggiormente alla diffusionedelle sue idee; la tesi capitale che lo animò gli ultimivent'anni di vita fu quella di un'umanità al bìvio: ar-monizzarsi con le forze materiali da essa stessa create,o perire. Le sue ultime tre grandi opere: Profilo storico

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(1920), La scienza della vita (saggi scritti dal 1929 al '35in collaborazione con Julian Huxley) e Lavoro, ricchez-za e felicità del genere umano (1932), mirano tutte alladivulgazione dell'idea di uno Stato mondiale, unica al-ternativa a un fatale ritorno alla barbarie e a una to-tale distruzione del mondo. Nel 1934 pubblicò i due vo-lumi del suo Esperimento autobiografico.

La seconda guerra mondiale fu per lui la confermache agli uomini è ormai sfuggito il controllo delle forzesuscitate dalla scienza, e che essi marciano ineluttabil-mente verso la propria condanna. Le ultime opere riba-discono questo suo pessimismo.

Costretto a letto per un lungo periodo, Herbert GeorgeWells si spense, nella sua casa di Londra, ottantenne,il 13 agosto 1946.

Oltre centoventi volumi testimoniano l'assidua faticaletteraria e l'accanita battaglia educativa e sociale delWells: e forse più questa che quella.

Sin dai primi romanzi, infatti (e che restano indub-biamente i più schietti), egli impugnò la penna non tan-to per narrare qualcosa, quanto, per affermare un credo,per divulgare un verbo.

Nei primi anni, la tesi che lo animò, la fiducia in unillimitato potere rigenerativo della scienza, era quellastessa del suo tempo, ed egli trovò una maniera felicedi esprìmerla, attraverso avventure e vicende dapprimaassai inverosimili, ma in séguito sempre più possibili:e il suo « romanzo scientifico » suonò come il vaticiniodi un « Ballo Excelsior » su cui non dovesse mai calareil sipario.

Nei successivi, però, quando lo scrittore sfiduciato sifece il critico dei mali del suo tempo - una critica tut-tavia sempre acuta e che colpisce sempre il segno - e in-sieme se ne promosse medico; quando alle sue diagnosilucidissime egli aggiunse terapie vaghe e incerte; quan-do da narratore si improvvisò filosofo e moralista, e lafantasia cedé il passo alla, predicazione, i suoi personaggi

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- concepiti puntualmente con tratti autobiografici che nedissolsero ogni consistenza - si limitarono a prestargli lavoce, i suoi romanzi non riuscirono a dissimulare lospunto polemico che li aveva avviati, e, salvo pocheeccezioni, uscirono fuori dal campo della letteratura.

Come si è detto. La macchina del tempo ("The TimeMachine; è il primo romanzo del Wells: pubblicato nel1895, diede - si è anche detto - immediata celebrità alsuo autore, celebrità che si estese in tutto il mondo, sulveicolo delle traduzioni che di questo stesso romanzo,nel giro di pochi anni, se non addirittura di pochi mesi,apparvero ovunque.

Il fantastico scientifico - un genere che cinquant''annidopo avrebbe trovato la sua codificazione nel termine« fantascienza » - riappariva nel mondo narrativo, anco-ra dominato dall'estro di Giulio Verne, in modo nuovo,oltre che imperioso: l'ipotesi matematica di una « quartadimensione » costituita dal « tempo » non veniva assuntasolo quale punto di partenza di incredibili e affascinantiavventure, non solo quale determinante di « suspense »;ma consentiva anche, attraverso l'astrazione di un mon-do impensato, a « far meditare », a richiamare la societàdegli uomini ai suoi più alti doveri, presentandole ilquadro abbietto e allucinante di quello che, se la civiltàdella scienza non fosse riuscita a trasformarla, sarebbestato il suo destino.

Il protagonista di questo romanzo; infatti, ha inven-tato una macchina che gli consente di viaggiare nel tem-po, così come si viaggia nello spazio o, meglio, cosi comenel 1895 si viaggiava sulla terra. Egli vi sale su, azionail misterioso motore, e i millenni scorrono sotto di lui,come scorrono i chilometri sotto le ruote dei normaliveicoli. Quando decide di fermarsi, egli si trova tuttaviasullo stesso luogo di partenza - poiché la macchina nellospazio non si sposta -, ma oltre ottomila secoli san tra-scorsi: è infatti Vanno 802.701; e della Londra, nellaquale egli aveva costruito la sua macchina non c'è più

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neanche la memoria. Altro clima, altro paesaggio, altriedifici: e altri esseri viventi. Gli uomini san diventaticreaturine seminebetite, che passano la giornata a tra-stullarsi come cerbiatti, pieni a ogni istante, come cer-biatti, di un atavico, inconoscibile terrore.

Non si voglion qui anticipare al lettore le scoperteche il Wells gli farà fare a poco a poco, dosandole conabile gradazione. Ma è certo che, una volta conosciute levergognose e tremende conseguenze - e sia pure spintedall'autore sino all'assurdo - che potrebbero generarsidalle attuali differenze di caste e di classi, non potrà nonprovare lo sgomento al quale, appunto, lo scrittore hamirato.

Attraverso un discorso semplice e piano, senza sovrec-citazioni né truculenze, spesso riposando, al contrario,in un idilliaco clima di liricità ravvivata da sprazzi diumorismo, il Wells riesce, infatti, a elevare via via latensione narrativa, sino a farla esplodere in brividi disudore freddo: ed è questa sua arte, miracolosamentecompiuta sin da questo primo saggio, assai più che noni caduchi, né sempre persuasivi, intenti sociali, ciò chegli ha assicurato, e gli assicura, attente generazioni dilettori.

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Nota: in questa traduzione il nome "Morlock" è tradotto con "Morlocco". In altre versioni è stato lasciato il termine originale.

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1Il Viaggiatore del Tempo - sarà opportuno chia-

marlo così - stava esponendoci una teoria piuttostoastrusa. I suoi occhi grigi scintillavano vivacissimi,e il suo viso, di solito assai pallido, appariva arros-sato per l'animazione. Il fuoco che guizzava allegronel caminetto e il pacato chiarore delle luci che sisprigionavano dai candelabri d'argento suscitavanonei nostri bicchieri miriadi di bollicine; le poltronesu cui sedevamo, fabbricate su disegno del nostroospite, lungi dal sottomettersi alle funzioni di co-muni sedili, ci accoglievano in un abbraccio che eraquasi una carezza; aleggiava nella stanza la molle eraffinata atmosfera nella quale ci si sente immersidopo un buon pranzo, caratteristica dell'ora in cui ilpensiero fluisce libero dalle pastoie del formalismo. ,Il padrone di casa andava illustrandoci le sue teoriee ne metteva in rilievo i punti salienti col gesto del-l'indice affusolato, mentre noi, comodamente seduti,ammiravamo la sottigliezza dialettica con cui eglisvolgeva questo suo nuovo paradosso (così lo defini-vamo dentro di noi).

— Seguitemi con attenzione, perché sarò costrettoa discutere un paio di idee quasi universalmente ac-cettate. La geometria, per esempio, che avete impa-rato a scuola si basa su una concezione sbagliata.

— Non è un pochino troppo, pretendere di farciricominciare tutto su nuove basi? — domandò Fil-by, un tipo dai capelli rossi che amava polemizzare.

— Non vi chiederò certo di accettare una teoria

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qualsiasi senza che essa derivi da presupposti ragio-nevoli: ammetterete da voi stessi tutto quello chevi chiederò di ammettere. Sapete senza dubbio cheuna linea matematica, una linea di spessore nihil,non esiste nella realtà: questo ve l'hanno insegnato,non è vero? E neppure un piano matematico esistenella realtà: ambedue sono soltanto semplici astra-zioni.

— Fin qui ci siamo, — annuì lo psicologo.— Per la stessa ragione, neppure un cubo avente

soltanto una lunghezza, una larghezza e un'altezzaesiste nella realtà,

— Qui non sono dello stesso parere, — lo inter-ruppe Filby. — Un corpo solido esiste. Ogni cosareale...

— Quasi tutti la pensano così, infatti; ma aspet-tate un momento: può esistere un cubo istantaneo?

— Non riesco a seguirla, — osservò Filby.— Un cubo che non duri neppure un secondo può

esistere nella realtà? È chiaro, — proseguì il Viag-giatore del Tempo mentre Filby sembrava immersoin profonde riflessioni, — è chiaro che ogni corporeale deve estendersi in quattro dimensioni: deveavere cioè una lunghezza, un'altezza, una larghezza...e una durata. Ma per la naturale imperfezione deisensi umani, e ve lo spiegherò fra poco, noi siamoinclini a sorvolare su quest'ultimo presupposto. Esi-stono in realtà quattro dimensioni: le tre che chia-miamo i tre piani dello spazio, e una quarta, cioè iltempo. La mente umana tende, tuttavia, a compiereuna distinzione irreale tra le prime tre dimensionie la quarta, poiché siamo consapevoli di muoverci inuna sola direzione lungo quest'ultima, dal principioalla fine della nostra vita.

— Questo, — intervenne un giovanotto compiendosforzi spasmodici per riaccendere il sigaro alla fiam-ma della lampada, — questo... è infatti molto chiaro.

— Ora, è assai sintomatico che tutto ciò sia gene-12

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ralmente trascurato, — seguitò il Viaggiatore delTempo con una leggera sfumatura di gaiezza nellavoce. — È proprio questo che si intende per quartadimensione, sebbene qualcuno di coloro che ne par-lano non sappia neppure che cosa significhi. Esistesoltanto un'altra maniera di considerare il tempo: nonvi è differenza alcuna fra il tempo e una qualsiasidelle tre dimensioni dello spazio, ma è soltanto ilnostro inconscio che si muove lungo il tempo. Qual-che insensato ha preso in considerazione questa teo-ria dal lato non giusto; tutti voi sapete senza dubbioquello che affermano costoro nei riguardi della quar-ta dimensione, vero?

— Io no, — dichiarò il sindaco della provincia.— È semplice. I nostri matematici sostengono che

lo spazio ha tre dimensioni, e hanno stabilito di chia-marle lunghezza, larghezza, altezza; e ciò è sempredefinibile in rapporto a tre piani, ognuno dei qualiè perpendicolare agli altri. Ma alcuni individui dal-la mente più filosofica si chiedono perché proprio tredimensioni, perché non un'altra direzione perpendi-colare a queste tre; e costoro hanno anche cercatodi costruire una geometria quadridimensionale: appe-na un mese fa il professor Simon Newcomb ha espo-sto tale teoria alla Società Matematica di New York.Voi tutti sapete che su una superficie piana, che hasoltanto due dimensioni, possiamo raffigurare benis-simo un solido tridimensionale; nella stessa manieradobbiamo ammettere che, per mezzo di modelli atre dimensioni, se ne possa raffigurare uno di quat-tro, sempre che si riesca a impadronirsi dell'esattopunto di vista della faccenda. Ci siete?

— Credo di sì, — mormorò il sindaco della provin-cia; corrugò la fronte e si immerse in pensieri intro-spettivi, muovendo le labbra come chi stia ripeten-dosi mistiche parole. — Sì, adesso credo proprio dicapire, — ripetè dopo qualche minuto, rischiaran-dosi di una luce assolutamente transitoria.

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— Bene. Non vi dirò per quanto tempo io abbialavorato su questa geometria delle quattro dimensio-ni; vi dirò soltanto che qualcuno dei miei risultatiè alquanto bizzarro. Consideriamo, per esempio, ilritratto di un individuo di otto anni, un altro dellostesso a quindici anni, poi a diciassette, a ventitré,eccetera. Tutti questi ritratti sono evidentemente se-zioni, per così dire, immagini tridimensionali dellasua essenza quadridimensionale; il che è cosa per-fettamente ovvia.

« Le menti scientifiche, — proseguì il Viaggiatoredel Tempo dopo la pausa necessaria a un'appropria-ta assimilazione della teoria, — sanno benissimo cheil tempo è solo una specie di spazio. Eccovi un notodiagramma scientifico, un grafico delle condizioniatmosferiche. Questa linea che seguo col dito mostrail movimento del barometro: ieri è salito di tanto,ieri sera è caduto, questa mattina è salito di nuovoe piano piano ha raggiunto questa posizione. Il mer-curio, evidentemente, non ha tracciato questa lineain alcuna delle dimensioni dello spazio generalmen-te note; eppure l'ha tracciata, e possiamo perciò con-cludere che essa si è mossa lungo la dimensionetempo.

— Ma, — intervenne il medico fissando con inten-sità un pezzo di carbone infuocato, — se il tempoè realmente e soltanto una quarta dimensione dellospazio, come mai è, ed è sempre stato considerato,qualcosa di diverso? E perché noi non abbiamo lafacoltà di muoverci nel tempo come ci muoviamonelle altre dimensioni dello spazio?

Il Viaggiatore del Tempo sorrise.— Lei è proprio tanto sicuro, — riprese, — che

possiamo muoverci liberamente nello spazio? Possia-mo dirigerei, sì, con una certa facilità, verso destrao verso sinistra, avanti e indietro. Lo facciamo dicontinuo. Ma per quanto riguarda l'alto e il basso?La forza di gravità ci impone dei limiti.14

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_ Non esattamente, — ribattè il medico. — Esi-stono i palloni.

_ Ma prima che esistessero l'uomo non aveva pos-sibilità di compiere movimenti verticali, a parte isalti più o meno scomposti e i dislivelli del terreno.

_ Tuttavia l'uomo può muoversi verso l'alto everso il basso, — insistè il medico.

_ più facilmente, molto più facilmente verso ilbasso che verso l'alto.

— E non può muoversi affatto, invece, nel tempo:non può allontanarsi dall'attimo presente.

— Ecco dove lei si sbaglia, caro signore; ed eccoappunto dove si è sbagliato il mondo intero. Noi tut-ti ci allontaniamo in continuazione dall'attimo pre-sente. La nostra vita mentale, che è immateriale enon ha dimensioni, passa lungo la dimensione tem-po con velocità uniforme, dalla culla alla tomba. Pro-prio come ci dirigeremmo verso il basso, se la no-stra esistenza avesse inizio a un centinaio di chilo-metri al di sopra della superficie terrestre.

— Ma l'enorme difficoltà consiste appunto in que-sto, — lo interruppe lo psicologo. — Possiamo muo-verci in ogni direzione, ma non possiamo farlo neltempo.

— Su questo, appunto, si basa la mia grande sco-perta. Lei sbaglia, però, quando afferma che non pos-siamo muoverci nel tempo. Se io, per esempio, ricor-do con grande chiarezza un incidente qualsiasi, misposto al preciso istante in cui esso è accaduto: miastraggo, come suol dirsi; compio, cioè, per un mo-mento, un balzo nel passato. Non possediamo i mezzi,certo, per restarvi durante un dato periodo di tem-po, né più né meno che un selvaggio o un animalenon hanno quelli di rimanere sollevati a più di unmetro sulla superficie terrestre; ma un essere civi-lizzato si trova, sotto questo aspetto, in condizioniassai migliori di un selvaggio, poiché può sollevarsiper mezzo di un pallone malgrado la forza di gravi-

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tà. E perché dunque non potrebbe sperare di riu-scire un giorno a fermare o accelerare la sua corsalungo la dimensione tempo, o perfino a fare dietrofront e viaggiare nella direzione opposta?

— Oh, — cominciò Filby, — ma è tutto...— Perché no? — chiese il Viaggiatore del Tempo.— Perché è contro ogni buon senso, — rispose

Filby.— Quale buon senso? — insistè il Viaggiatore del

Tempo.— Col ragionamento lei può dimostrare che il ne-

ro è bianco, — ribattè Filby, — ma non riuscirà perquesto a convincermi.

— Forse no, — convenne il Viaggiatore del Tem-po; — ma adesso lei comincia a intravedere lo scopodelle mie ricerche nel campo della geometria dellaquarta dimensione. Parecchio tempo fa ebbi la vagapercezione di una macchina...

— Per viaggiare attraverso il tempo! — esclamòil giovanotto.

— Che potrebbe muoversi in ogni direzione siadello spazio che del tempo, secondo la volontà delpilota.

Filby represse a stento una risata.— Ed ho compiuto delle prove sperimentali, — ag-

giunse il Viaggiatore del Tempo.— Cosa assai opportuna per gli storici, — suggerì

lo psicologo. — Si potrebbe percorrere il tempo a ri-troso, e verificare, per esempio, la versione ormaiaccettata della battaglia di Hastings.

— Non crede che così lei attirerebbe troppo l'at-tenzione? — chiese il medico. — I nostri antenatinon amavano gli anacronismi.

— Imparare il greco dalle stesse labbra di Omeroe di Platone! — fantasticò il giovanotto.

— E così ti boccerebbero agli esami: gli studiositedeschi hanno fatto tali progressi, nel greco!

— E poi c'è il futuro, — riprese il giovanotto.16

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_ Pensate! Si potrebbe investire in una maniera qua-lunque tutto quello che possediamo, lasciare accumu-lare gli interessi, e poi precipitarsi a riscuotere.

_ Sì, _ intervenni io, — per poi scoprire una so-cietà costituita su basi comuniste.

— Di tutte le teorie più stravaganti... — cominciòlo psicologo.

_ L'ho pensato anch'io, certo; ed è appunto perquesto che non ne ho parlato fino a quando non sonostato in grado di compiere...

— Una prova sperimentale! — esclamai. — Hai in-tenzione di far delle prove in questa materia?

— Un esperimento! — gridò Filby, che cominciavaad avvertire una certa stanchezza al cervello.

— Ci permetta, allora, di assistervi, al suo esperi-mento, — pregò lo psicologo; — per quanto io riten-ga che si tratti di una cosa pazzesca.

Il Viaggiatore del Tempo ci guardò sorridendo; poisi alzò, affondò le mani nelle tasche, e uscì lentamen-te dalla stanza: udimmo il fruscio delle sue panto-fole sul pavimento del lungo corridoio che portavaal laboratorio.

Lo psicologo ci fissò perplesso.— Mi domando che cosa possa aver combinato.— Qualche gioco di prestigio o roba del genere, —

concluse il medico, e Filby prese a parlarci di unprestigiatore che aveva visto a Burslem; ma avevaappena incominciato il suo racconto, quando il Viag-giatore del Tempo tornò nella stanza e la storia diFilby restò per sempre incompiuta.

L'oggetto che il Viaggiatore del Tempo recava inmano era un lucidissimo modello di qualche cosa,poco più grande di un orologio a pendolo, costruitocon molta precisione in avorio e in una materia tra-sparente come il cristallo. Sarò sincero: quello cheseguì - a meno che non si accettino i chiarimenti del-l'inventore - è una cosa assolutamente inesplicabile.Il nostro ospite prese uno dei tavolini ottagonali che

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erano nella stanza e lo collocò accanto al fuoco, condue gambe appoggiate sul grosso tappeto che proteg-geva il pavimento davanti al focolare; poi posò ilsuo arnese sul tavolino, avvicinò ad esso una poltro-na, e sedette. Sulla tavola era soltanto una piccolalampada velata, che illuminava in pieno il modello;la stanza era rischiarata da una dozzina di candele,due sorrette da candelabri di ottone posati sulla men-sola del caminetto, altre infilate su bugìe più basse,sicché l'ambiente era assai bene illuminato. Mi eroseduto vicinissimo al fuoco, su una poltroncina chespostai per trovarmi tra il caminetto e il nostro ospi-te; Filby sedette dietro di lui, in modo da poter ve-dere al di sopra della sua spalla; il medico e il sin-daco della provincia si erano collocati alla sua destrae lo psicologo alla sinistra; il giovanotto aveva presoposto alle spalle dello psicologo. La nostra attenzio-ne non poteva essere più sveglia; e date le condi-zioni in cui eravamo, debbo assolutamente scartarela possibilità di un trucco qualsiasi, sia pure ideatocon la maggiore sottigliezza e con la maggiore astu-zia. Il Viaggiatore del Tempo ci guardò a uno a uno,poi fissò il suo meccanismo.

— Ebbene? — chiese lo psicologo.— Questo minuscolo arnese, — cominciò il Viag-

giatore del Tempo appoggiando i gomiti sul tavolinoe riunendo le mani al di sopra dell'apparecchio, —è soltanto un modello: il progetto, appunto, dellamacchina per muoversi nel tempo. Potete notare lasua insolita inclinazione e la bizzarra lucentezza diquesta sbarretta, che ha un aspetto quasi irreale. —Il nostro ospite puntò il dito sul pezzo in questio-ne. — Qui c'è una minuscola leva bianca, là ce n'èun'altra.

Il medico si alzò in piedi e si chinò a fissare ilmodello.

— È eseguito con grande minuzia, — osservò.

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— Ci sono voluti due anni per costruirlo, — spie-gò il Viaggiatore del Tempo.

Noi tutti ci alzammo, per vedere meglio, mentrel'inventore seguitava a parlare.

— Adesso è necessario che comprendiate bene unacosa: se si preme questa leva, la macchina scivolanel futuro; se si preme quest'altra, la macchina com-pie il cammino inverso; questa sella è il sedile delpilota. Fra un minuto toccherò la prima leva, e lamacchina entrerà in funzione: cioè passerà nel fu-turo e scomparirà. Guardatela bene, guardate ancheil tavolino, e vi convincerete che non c'è nessun truc-co. Non mi piacerebbe distruggere questo modelloper poi sentirmi dire che sono un ciarlatano.

Dopo una breve pausa, lo psicologo si volse versodi me come per parlarmi, poi cambiò idea. In quelmomento il Viaggiatore del Tempo avanzò un ditoin direzione della leva.

— No, — disse improvvisamente, e guardò lo psi-cologo. — Datemi la mano.

Gliela prese nelle sue, e lo pregò di stendere undito; fu quindi lo psicologo ad avviare il modellinodella Macchina del Tempo verso il suo interminabileviaggio. Vedemmo tutti la leva spostarsi, e sono as-solutamente certo che non vi fu il minimo trucco.Un soffio di vento fece oscillare la fiamma della lam-pada, una delle due candele sulla mensola si spense,e la piccola macchina girò su se stessa, si fece sem-pre più indistinta, parve per un attimo incorporeacome un fantasma in un vortice scintillante di me-tallo e di avorio, poi scomparve: svanita! Sulla tavo-la non era rimasta che la lampada.

Per un minuto regnò nella stanza il più profondosilenzio, rotto infine dalla voce di Filby:

— Ch'io mi possa dannare...Quando lo psicologo si riebbe dallo stupore, guar-

dò sotto la tavola. A questo gesto il Viaggiatore del19

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Tempo scoppiò in un'allegra risata e ripetè l'ultimadomanda dello psicologo:

— Ebbene?Prese la scatola del tabacco da sopra la mensola

del caminetto, e riempì la pipa volgendoci le spalle.Noi ci fissammo gli uni con gli altri.— Senta un po', — disse il medico, — fa sul serio?

Crede davvero che quella macchina stia viaggiandonel tempo?

— Ma certo, — rispose il nostro ospite curvandosisulla fiamma per dar fuoco a uno stecco; quindi si vol-se, accese la pipa e guardò in viso lo psicologo. (Co-stui cercò di assumere un'aria disinvolta estraendodi tasca un sigaro e tendando di accenderlo senzaaverlo prima spuntato.) — E vi dirò di più: ho giàquasi finito di costruire una macchina più grande, —e indicò il laboratorio, — e quando sarà pronta hointenzione di mettermi in viaggio io stesso.

— Ma davvero lei dice che quella macchina adessosta viaggiando nel futuro? — chiese Filby.

— Nel futuro oppure nel passato: non sono in gra-do di affermare con certezza quale delle due direzio-ni abbia preso.

Lo psicologo ebbe un'ispirazione:— Se è andata da qualche parte, è andata nel pas-

sato.— Perché? — chiese il Viaggiatore del Tempo.— Perché presumendo che non si sia mossa nello

spazio, se fosse diretta verso il futuro sarebbe ancoradavanti a noi, per attraversare il tempo presente.

— Ma, — obiettai io, — se viaggiasse nel passato,l'avremmo vista appena entrati in questa stanza; eanche, giovedì scorso, e anche quello precedente,e così via!

— Giusta obiezione, — sentenziò il sindaco dellaprovincia con un tono di perfetta imparzialità, vol-gendosi a guardare il Viaggiatore del Tempo.

— Neanche per idea, — ribattè questi. Poi fissò lo

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psicologo. — Questo lo pensa lei perchè lei lo spiegacosì. È un'argomentazione al di sotto della verità,vede, un'argomentazione piuttosto insuffciente.

_ Naturalmente, — annuì lo psicologo; e questo cirassicurò. — Si trattava di un semplice argomentopsicologico, avrei dovuto pensarlo: cose abbastanzafacili, e che inoltre aiutano talmente il paradosso!Noi non siamo in grado di comprendere né di apprez-zare questa macchina, così come non possiamo isolarecon lo sguardo i giri di una ruota o il volo di unproiettile nell'aria. Se la velocità attraverso il tempoè di cinquanta o cento volte maggiore della nostra,se la macchina percorre un minuto mentre noi per-corriamo un secondo, la nostra percezione sarà ne-cessariamente ridotta a un cinquantesimo o a uncentesimo di quella che sarebbe se la macchina nonviaggiasse nel tempo. È abbastanza chiaro. — Sorvolòcon la mano lo spazio che aveva occupato il modello.— Vedete? — concluse ridendo.

Ci mettemmo di nuovo a sedere, e per un minuto oanche più ci limitammo a fissare la tavola. Il Viaggia-tore del Tempo ci chiese quindi che cosa ne pensas-simo.

— Questa sera tutta la faccenda assume un aspettoabbastanza plausibile, — osservò il medico. — Maaspettiamo fino a domani, aspettiamo il buon sensodel mattino

— Vi piacerebbe dare un'occhiata alla vera Mac-china del Tempo? — ci chiese il nostro ospite; e,presa la lampada, ci precedette nel lungo corridoiopieno di correnti d'aria che conduceva al laboratorio.

Ricordo con estrema chiarezza la luce vacillante, ladanza delle ombre sulle pareti, i contorni della testapossente del nostro ospite; ricordo che lo seguivamoperplessi e increduli, e che vedemmo, appena entratinel laboratorio, la copia molto più grande del mecca-nismo che si era dileguato davanti ai nostri occhi.Alcune sue parti erano di nichel, altre d'avorio, altre

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ancora sembravano ricavate dal cristallo di rocca. Lamacchina, nei suoi elementi essenziali, doveva esserefinita, ma le traslucide sbarre a spirale posate sulbanco accanto ad alcuni fogli da disegno erano an-cora incomplete; ne presi in mano una per esami-narla meglio: mi parve fatta di quarzo.

— Senta, — disse il medico, — lei fa sul serio, op-pure tutta questa roba è un trucco, come quel fanta-sma che ci fece vedere a Natale?

Il Viaggiatore del Tempo sollevò la lampada al disopra della sua testa.

— In questa macchina intendo esplorare il tempo:è chiaro? Non ho mai parlato più seriamente in tuttala mia vita.

Nessuno di noi riuscì a dare un significato precisoa queste parole. Filby mi lanciò un'occhiata al disopra della spalla del medico; poi mi strizzò grave-mente l'occhio.

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Sono convinto che in quei giorni nessuno di noiavesse molta fiducia nella Macchina del Tempo. Il no-stro ospite apparteneva a quella categoria di indivi-dui troppo abili perché si potesse credere in lui:dietro la sua evidente franchezza ci sembrava sem-pre di avvertire una sottile reticenza, qualcosa dinon perfettamente naturale. Se fosse stato Filby amostrarci il modello e a spiegarci la faccenda usandole stesse parole del Viaggiatore del Tempo, ci sarem-mo sentiti molto meno scettici nei suoi riguardi, per-ché l'avremmo compreso con maggiore facilità: ancheun fabbricante di salsicce è in grado di comprendereFilby. Ma il Viaggiatore del Tempo recava nei suoielementi costitutivi proprio quel pizzico in più dibizzarria che ci vietava di fidarci completamente dilui: cose che avrebbero dato la celebrità a un indivi-duo meno abile si mutavano nelle sue mani in espe-dienti pieni di malizia. È un grave errore trovaretutto troppo facile; le persone assennate che prende-vano sul serio il nostro amico non erano mai del tuttotranquille circa la linearità della sua condotta, e ave-vano la vaga sensazione che affidare il proprio buonnome a un giudizio emesso su di lui era come deco-rare una stanza di bambini con porcellane cinesi.

Credo, perciò, che nessuno di noi parlasse molto diviaggi attraverso il tempo, durante quella settimana,sebbene io sia certo che quasi tutti ci pensassimo dicontinuo, vagliandone attentamente l'ammissibilità,considerando l'inverosimiglianza di un'attuazione

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pratica di tali teorie, le singolari aperture anacroni-stiche e la conseguente confusione che ne sarebberoderivate. Per quello che mi riguarda, ero soprattuttopreoccupato della faccenda del modello; ricordo diaverne discusso col medico, che incontrai quel vener-dì all'Accademia di Linneo: l'amico mi disse di avervisto qualcosa di simile a Tubinga, e spese parecchiofiato per dimostrarmi la ragione per cui si era spentala candela: non fu tuttavia in grado di spiegare comeil trucco funzionasse.

Il giovedì successivo mi recai ancora a Richmond- ero, credo, uno degli ospiti più assidui del Viaggia-tore del Tempo -, ed essendo arrivato un po' inritardo, trovai cinque o sei persone già riunite nelsalotto; il medico era in piedi davanti al caminetto,e reggeva un foglio di carta con una mano e l'orologiocon l'altra. Cercai con lo sguardo il Viaggiatore delTempo mentre il medico diceva:

— Sono ormai le sette e mezzo, e credo che sareb-be bene sederci a tavola.

— Dov'è?... — chiesi, facendo il nome del nostroospite.

— Lei è appena arrivato? Succede una stranacosa: il nostro amico è trattenuto fuori di casa eappunto in questa lettera mi chiede di presiedere allacena se lui, alle sette, non fosse ancora tornato. Diceche ci spiegherà tutto al suo arrivo.

— Mi sembra un peccato lasciar sciupare un pran-zo, — osservò il direttore di un ben noto quotidiano;dopo di che il medico suonò il campanello.

Lo psicologo, oltre al medico e a me, era l'unicapersona che aveva preso parte alla cena della setti-mana precedente; il gruppo dei convitati era formato,questa volta, da Blank, il già nominato direttore digiornale, da un giornalista e da un altro individuo:un tale con la barba e dall'aria quieta e timida, chenon conoscevo e che, per quanto ricordo, non aprìbocca per tutta la serata. A tavola si commentò l'as-24

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senza del padrone di casa, e io suggerii, in tono semi-scherzoso, che forse stava facendo un viaggetto neltempo. Fu necessario spiegare la cosa al direttore digiornale, e lo psicologo fece uno schematico reso-conto dell'ingegnoso e fantastico paradosso a cuiavevamo assistito una settimana prima; era appuntoa metà della sua esposizione, quando la porta chedava sul corridoio si aprì lentamente senza alcun ru-more. Io, che vi ero seduto proprio di fronte, me neaccorsi per primo.

— Bene arrivato! — dissi. — Finalmente!La porta si spalancò, e il Viaggiatore del Tempo fu

davanti a noi. Gettai un grido di sorpresa.— Santo cielo! Che cosa le succede, amico? — escla-

mò il medico che lo vide subito dopo di me.Tutti i commensali si volgerò a guardare in direzio-

ne dell'uscio.Il padrone di casa presentava un aspetto sorpren-

dente. Il suo abito, sporco e impolverato, aveva le ma-niche imbrattate di verde; i capelli impolverati miparvero più grigi del solito, probabilmente a cagionedella polvere e del sudiciume; ma forse erano effetti-vamente più bianchi. Sul volto di un pallore spettralespiccava un taglio che gli alterava la linea del mento,un taglio cicatrizzato da poco; l'espressione selvaggiae tesa dei suoi occhi rivelava un'intensa sofferenza.

Egli si soffermò per un attimo sulla soglia, forseabbagliato dalla luce, poi entrò nella stanza cammi-nando col passo malfermo che avevo più volte notatonei vagabondi dai piedi doloranti. Lo fissammo tuttiin silenzio, aspettando che parlasse.

Non disse una parola, ma si avvicinò penosamentealla tavola e allungò la mano verso la bottiglia delvino. Il direttore di giornale riempì di champagneun bicchiere e lo spinse verso di lui, che lo bevved'un flato. Parve sentirsi meglio, perché si fermò conlo sguardo su ciascuno di noi, mentre un pallido fan-tasma del suo abituale sorriso gli rischiarava il volto.

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— Che diavolo ha combinato, caro amico? — chie-se il direttore.

Il Viaggiatore del Tempo parve non udire la do-manda.

— Non voglio disturbarvi. — Parlava con una certadifficoltà. — Sto benissimo. — Tacque, tese il bic-chiere perché gli fosse riempito di nuovo, e di nuovolo vuotò d'un fiato. — È quello che ci vuole, — disse.I suoi occhi divennero più brillanti e le guance acqui-starono un leggero colorito. Battè le palpebre, ci fissòcon un'aria di approvazione, poi si volse a guardarela stanza calda ed accogliente. Riprese quindi a par-lare, e avemmo l'impressione che cercasse quasi diorientarsi attraverso le sue stesse parole.

— Vado a lavarmi e a cambiare abiti, poi vi spie-gherò... Lasciatemi un po' di quel montone, muoiodalla voglia di un pezzo di carne.

Si volse quindi al direttore di giornale, ospite nonabituale, mostrandosi felice di vederlo. Questi ab-bozzò una domanda.

— Vi dirò poi, — promise il Viaggiatore del Tempo.— Adesso sono un po' fuori squadra, ma fra qualcheminuto starò benone.

Posò il bicchiere e si diresse verso la porta chedava sulle scale. Notai di nuovo che zoppicava legger-mente e che i suoi passi facevano un rumore ovat-tato; mi alzai, e vidi i suoi piedi - che oltrepassavanola soglia - coperti soltanto da un paio di calze abrandelli e macchiate di sangue. La porta si richiuse.Ebbi una mezza idea di seguirlo, ma ricordai che ilnostro ospite detestava la curiosità e il chiasso. Perpoco più di un minuto la mia mente rimase distratta,poi:

— Eccezionale Comportamento di un EminenteScienziato, — sentii che diceva il direttore di giornale(con le iniziali maiuscole, secondo il suo solito).

Queste parole riportarono la mia attenzione allabrillante compagnia riunita attorno alla tavola.26

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— Sta giocando al Mendico Dilettante? — disse ilgiornalista. — Non capisco.

Il mio sguardo incontrò quello dello psicologo, evi lessi il mio stesso pensiero; immaginai il Viaggia-tore del Tempo in atto di salire le scale faticosamen-te, zoppicando; credo che nessun altro dei convitatisi fosse accorto che camminava a fatica.

Il primo a riaversi del tutto dalla sorpresa fu il me-dico, il quale suonò il campanello - il padrone di casadetestava che la servitù restasse nella sala duranteil pranzo - e chiese un piatto caldo; dopo di che ildirettore di giornale emise una specie di grugnito eriprese a lavorar di forchetta, imitato immediatamen-te dall'uomo silenzioso. Il pranzo ricominciò, e conesso la conversazione punteggiata da esclamazionidi stupore; poi il direttore di giornale rivelò senzareticenza la sua curiosità.

— Il nostro amico cerca di integrare le sue mo-deste rendite con le corse campestri? Oppure staattraversando un periodo alla Nabuccodonosor? —chiese.

— Sono convinto che si tratta della Macchina delTempo, — dissi; e proseguii il resoconto dei fattiaccaduti la settimana prima, che lo psicologo avevainiziato. I nuovi ospiti si mostrarono apertamenteincreduli; primo fra tutti il direttore di giornale, chesollevò una fila di obiezioni:

— Che cosa è questa storia dei viaggi nel tempo?Un individuo non può impolverarsi a quel modo roto-landosi in un paradosso, no?

Poi, afferrata l'idea, ricorse a uno stile lievementecaustico: nel futuro non esistono forse spazzole perabiti? Anche il giornalista si rifiutò di prestar fede auna cosa del genere, e affiancò il direttore nel facilecompito di volgere in ridicolo tutta la faccenda. Ap-partenevano entrambi alla nuova categoria di giorna-listi formata da allegri giovanotti un tantino irri-verenti.

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— Il Nostro Inviato Speciale nel Dopodomani ciinforma, — stava appunto dicendo il giornalista, omeglio stava urlando, quando il Viaggiatore del Tem-po rientrò nella stanza correttamente vestito da sera;nulla restava in lui di quello che mi aveva tanto col-pito, tranne una sfumatura selvaggia nello sguardo.

— Senta un po', — lo accolse ilare il direttore digiornale, — questi signori dicono che lei è reduce daun viaggetto nel bel mezzo della prossima settimana!Ci dica tutto sulla piccola Rosebery, per favore: qualeè la sua tariffa per rivelare il destino?

Il Viaggiatore del Tempo sedette a tavola al postoche occupava di solito, sorridendo come di consueto.

— Dov'è il montone? Che sogno infilare di nuovola forchetta in un pezzo di carne!

— Il resoconto! — chiese perentorio il direttore digiornale.

— Al diavolo il resoconto: ho bisogno di mangiarequalche cosa, e non dirò una parola prima di averintrodotto nel mio interno una buona dose di peptoni.Grazie. Mi passi il sale.

— Solo una parola, — osservai. — Hai compiutoun viaggio nel tempo?

— Già, — rispose il padrone di casa a bocca piena,annuendo col capo.

— Un resoconto esatto lo pagherò uno scellino ariga, — affermò il direttore di giornale.

Il Viaggiatore del Tempo spinse il bicchiere versol'uomo silenzioso e battè ripetutamente l'unghia sulcristallo: l'uomo silenzioso, che non aveva smesso unattimo di fissarlo in viso, si precipitò a riempirlo; eil pranzo prosegui in un'atmosfera inquieta. Una rid-da di domande mi saliva continuamente alle labbra, esuppongo che anche gli altri fossero curiosi quantome. Il giornalista tentò di alleggerire la tensionegenerale raccontando qualche aneddoto su HettiePotter; il Viaggiatore del Tempo consacrava tutta lasua attenzione a quello che aveva nel piatto, osten-28

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tando un appetito da morto di fame. Il medico fuma-va una sigaretta e fissava l'ospite attraverso le cigliaabbassate; l'uomo silenzioso, ancor più goffo del so-lito, seguitava a bere champagne con grande impegnoe regolarità, senza dimostrare il minimo nervosismo.

Finalmente il Viaggiatore del Tempo scostò il piat-to e alzò gli occhi su di noi.

— Vi chiedo scusa, ma ero semplicemente affa-mato. Ho dovuto affrontare cose abbastanza insolite.— Porse la mano per avere un sigaro, e ne tagliò lapunta. — Andiamo nel salotto da fumo; la storia chesentirete è troppo lunga, per raccontarla davanti adei piatti unti.

Suonò il campanello e ci precedette nella stanzaaccanto.

— Hai messo al corrente della mia macchina Blank,Dash e Chose? — mi chiese sdraiandosi sulla sua soli-ta poltrona e accennando ai tre nuovi ospiti.

— Tutta questa faccenda è soltanto un paradosso,— esclamò il direttore di giornale.

— Stasera non posso discutere. Vi racconterò tutto,ma non posso discutere. Vi racconterò quello che miè accaduto, se volete, però non dovete interrompermi;e vi farò un resoconto senza badare troppo alla for-ma. Quasi tutto quello che vi dirò vi sembrerà men-zogna: non importa! È la pura verità: ogni parola,per lo meno. Alle quattro mi trovavo nel mio labora-torio, e da quel momento... sono trascorsi otto gior-ni... otto giorni che nessun essere umano ha mai vis-suti! Sono quasi esausto, ma non riuscirò a dormireprima di aver parlato con voi; dopo me ne andrò aletto. Però niente interruzioni, d'accordo?

— D'accordo, — rispose il direttore di giornale, acui tutti noi facemmo eco: « D'accordo ». Quindi ilViaggiatore del Tempo ci fece la narrazione che ri-porto fedelmente più avanti. Sedette sulla sua poltro-na, e la sua voce parve quella di un uomo profonda-

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mente stanco, sebbene andasse animandosi a pocoa poco.

Allorché misi per iscritto le sue parole, ebbi l'esat-ta percezione di quanto penna e inchiostro fosseroinadeguati - e di quanto lo fossi io stesso - al compitoche mi ero assunto. Leggerete il mio resoconto, miauguro, con una certa attenzione; tuttavia non vedre-te il volto pallido e sincero del narratore, illuminatodal cerchio di luce vivida della piccola lampada, néudirete l'intonazione della sua voce; non saprete maifino a che punto l'espressione di quel volto aderisseal carattere del racconto. Quasi tutti noi ascoltava-mo il Viaggiatore del Tempo immersi nella semioscu-rità, poiché le candele non erano state accese: sol-tanto il viso del giornalista e le gambe dell'uomosilenzioso, dal ginocchio in giù, erano illuminati. Sulprincipio ci lanciammo ogni tanto qualche rapidaocchiata l'uno con l'altro, poi i nostri sguardi resta-rono fissi sul Viaggiatore del Tempo.

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_ La settimana scorsa illustrai a qualcuno di voii princìpi su cui si basa la Macchina del Tempo, emostrai anche, se pure incompleta, la macchina stes-sa nel laboratorio. È ancora là, un po' sciupata dalviaggio, con una delle sbarre d'avorio spezzate e unagrata d'ottone leggermente incurvata; il resto è abba-stanza in ordine. Avevo sperato che sarebbe statapronta venerdì, ma al momento di mettere insiemegli ultimi pezzi mi accorsi che una delle sbarre dinichel era troppo corta di due centimetri e cinquanta-quattro decimillimetri esatti, e dovetti rifarla. Soltan-to questa mattina tutto era perfettamente in ordine;e alle dieci precise la Macchina del Tempo ha ini-ziato la sua carriera.

« Dopo averle dato l'ultimo colpetto, mi assicurai dinuovo che le viti fossero tutte a posto, unsi con unagoccia d'olio la bacchetta di quarzo, e mi accomodaisul sedile. Suppongo che un suicida nell'atto di por-tarsi la pistola alla tempia si chieda con la mia stessaperplessità che cosa succederà subito dopo. Presi conuna mano la leva della messa in moto, con l'altraquella d'arresto, spinsi la prima e quasi immediata-mente dopo la seconda; ebbi la sensazione di vacillaree mi sentii cadere come si cade durante un incubo;mi guardai attorno e vidi che il laboratorio presen-tava il suo aspetto consueto. Non era accaduto nulla?Sospettai per un attimo che i sensi mi avessero gio-cato un brutto tiro; guardai l'orologio: un attimo pri-

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ma segnava press'a poco le dieci e un minuto; adessosegnava le tre e mezzo!

« Trassi un sospiro, strinsi i denti, afferrai la levadella messa in moto con ambo le mani, e partii ac-compagnato da un rumore sordo. Il laboratorio sicoprì di nebbia, poi divenne buio del tutto. La signo-ra Watchett entrò, e si avviò senza mostrare di ve-dermi verso la porta che dà in giardino: penso cheabbia impiegato un minuto circa ad attraversare lastanza, ma a me parve che compisse il percorso allavelocità di un razzo. Spinsi la leva al massimo: tuttofu buio come quando si spegne una lampada, e unminuto dopo era già l'indomani. Il laboratorio diven-ne indistinto e confuso, sempre più indistinto e sem-pre più confuso; scese la notte del domani; nacqueun nuovo giorno che lasciò di nuovo il posto allanotte; poi, sempre più in fretta, fu ancora giorno. Unronzio turbinoso mi riempiva le orecchie e una stranasensazione di vuoto fasciava il mio spirito.

« Ho paura di non riuscire a comunicarvi le pecu-liari sensazioni di chi viaggia nel tempo, sensazionispiacevoli al massimo grado. Sembra di essere su unamontagna russa: spinti in avanti a una velocità dispe-rata! Avevo inoltre l'orribile presentimento di unaimminente catastrofe. Nel tempo che si impiega amuovere un passo, la notte succedeva al giorno comeil battito di un'ala bruna: a poco a poco l'atmosferamisteriosa del laboratorio parve svanire, e io vidi ilsole solcare il cielo in un baleno segnando ad ogniminuto un giorno nuovo.

« Supposi che il laboratorio fosse stato distrutto:mi trovavo all'aperto. Ebbi la vaga impressione diessere sospeso, ma mi muovevo troppo in fretta perosservare il moto delle cose attorno a me; la lumacapiù pigra che abbia mai strisciato sulla terra avrebbegaloppato a un ritmo troppo veloce perché io potessiosservarlo. Il balenante, continuo alternarsi dell'oscu-

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rità e della luce mi feriva dolorosamente gli occhi;nel buio intermittente vedevo la luna passare velo-cissima attraverso tutte le sue fasi, dal primo al-l'ultimo quarto, accompagnata da un debole balenardi stelle. Procedevo a una velocità sempre maggiore,e a un certo punto il palpitare del giorno e della nottesi fuse in un grigiore uniforme; il cielo assunse l'in-cantevole tinta azzurroscura splendida e luminosa delprimo crepuscolo; il sole solcava lo spazio come unastriscia di fuoco, disegnando un arco luminoso, e laluna tracciava nel cielo un nastro fluttuante semprepiù debole; le stelle sparirono del tutto, salvo qualchecerchio, brillante a intermittenza nell'azzurro,

« Tutto intorno a me era vago e nebbioso; mi tro-vavo tuttora alle falde della collina sovra cui è co-struita questa casa, e le sue spalle incombevano su dime grige e indistinte. Vedevo gli alberi crescere emutare aspetto come colonne di vapore ora bruno,ora verde: spuntavano, le loro chiome si allargavano,cadevano, sparivano; vedevo enormi fabbricati sor-gere e svanire come sogni; l'intera superficie dellaterra sembrava mutata, fluttuante in continuazionedavanti ai miei occhi. Le lancette del quadrante cheregistravano la mia velocità giravano sempre più ve-loci: avevo sùbito notato che l'alone del sole si spo-stava da un solstizio all'altro in meno di un minuto eche, di conseguenza, io stavo superando un anno alminuto; da un minuto all'altro, appunto, la neve can-dida ricopriva il mondo per poi svanire, sùbito segui-ta dal luminoso, brevissimo verdeggiare della prima-vera.

« Le spiacevoli sensazioni che avevano accompa-gnato la mia partenza diventavano via via meno acu-te, e si mutarono infine in una specie di euforia iste-rica. Notai una strana oscillazione della macchina,ma non capivo da che cosa dipendesse; la mia menteperò era troppo confusa, per prestare molta atten-

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zione al fenomeno; e così, sopraffatto da una specie difollia, mi tuffai nel futuro. Da prima non pensai quasia fermarmi, non pensai a nulla, tutto teso ad analiz-zare le nuovissime sensazioni che si erano impadro-nite di me, ma poco dopo subentrò nella mia menteuna nuova serie di impressioni - una certa curiositàseguita da un certo timore -, impressioni che mi ten-nero completamente avvinto. Quali inconsueti svilup-pi di umanità, quale meraviglioso progresso sullanostra civiltà rudimentale, pensavo, mi sarebbero ap-parsi quando fossi riuscito a scrutare da vicino inquel mondo confuso e ambiguo che correva fluttuan-do davanti ai miei occhi! Vedevo architetture splen-dide e grandiose sorgere attorno a me, assai più im-ponenti di qualsiasi fabbricato dei nostri tempi, e chesembravano tuttavia materiate di nebbia. Un verdepiù intenso ricopriva i fianchi della collina, e rimane-va intatto senza che l'inverno lo inaridisse; ancheattraverso il velo che mi offuscava gli occhi la terraappariva infinitamente bella. A questo punto comin-ciai a pensare di fermarmi.

« Il problema adesso consisteva nella possibilità ditrovare nello spazio una qualunque materia da poteroccupare, io o la macchina. Fino a che mi muovevoa velocità prodigiose attraverso il tempo, tale proble-ma non presentava troppa importanza: io ero, percosì dire, assottigliato; scivolavo come una massa divapore attraverso interstizi di sostanze continuamen-te rinnovantisi; ma fermarmi voleva dire incuneareme stesso, molecola per molecola, in quel quid su cuimi andavo muovendo; significava porre i miei atomiin intimo contatto con ostacoli che avrebbero provo-cato una profonda reazione chimica - forse anche unaprobabile esplosione -, scaraventando me stesso e ilmio apparecchio fuori di ogni possibile dimensione,nell'ignoto.

« Avevo esaminato più volte una simile eventua-34

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lità, mentre costruivo la macchina, ma l'avevo alle-gramente accettata come uno dei rischi inevitabiliche un uomo deve pure affrontare! Adesso che il ri-schio si presentava inevitabile, non lo vedevo più sot-to la stessa luce: quasi insensibilmente il mio sistemanervoso era stato sconvolto dal mondo fantastico chemi circondava, dalle vibrazioni e dalle oscillazionidella macchina e, soprattutto, dalla continua impres-sione di precipitare. Mi dicevo che non avrei potutoarrestarmi mai, e in un impeto di rivolta decisi difermarmi in quello stesso istante. Con incoscienteimpazienza premetti la leva, e immediatamente tuttocominciò a danzare intorno a me, e fui lanciato avantinello spazio.

« Sentii il boato di un tuono, e restai forse privo disensi per qualche attimo. Una grandinata violenta miturbinava intorno; ero seduto su un soffice terrenoerboso, e la macchina giaceva rovesciata davanti ame. Tutto quanto mi circondava appariva grigio, almio sguardo, ma il confuso ronzio che mi aveva riem-pito le orecchie era scomparso. Mi guardai attorno:ebbi l'impressione di trovarmi sul piccolo prato di ungiardino, circondato da macchie di rododendri, e no-tai che i fiori cadevano come una pioggia purpureasotto i rovesci della grandine che rimbalzava danzan-do sulla macchina in una nuvola di vapore. In unattimo fui inzuppato fino alle ossa. "Gentile acco-glienza", pensai, "a un uomo che ha viaggiato annied anni per arrivare fin qui!".

« Mi dissi quindi che era pazzesco restare lì a ba-gnarmi a quel modo: mi alzai, e scrutai la natura cir-costante.

« Una figura gigantesca, scolpita, mi parve, in pie-tra bianca, si ergeva indistinta oltre i rododendri nel-l'atmosfera nebbiosa di pioggia; tutto il rimanente diquel mondo mi era invisibile.

« Non sono in grado di descrivervi con esattezza le

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mie sensazioni; la cortina di grandine si fece menofitta e la figura bianca divenne più chiara: era vera-mente enorme, tanto che un albero di betulla le giun-geva appena alle spalle. Era costruita in marmo bian-co, ed aveva pressappoco la forma di una sfinge ala-ta; ma le ali, invece di essere aderenti alle spalle,erano spiegate, sicché la figura sembrava librarsinell'aria. Il piedistallo mi parve di bronzo macchiatodi verderame. Il viso della statua, rivolto verso dime, sembrava guardarmi coi suoi occhi privi di vita,mentre l'ombra di un sorriso le aleggiava sulle lab-bra. Era tutta consumata dalle intemperie, il che miprocurò la spiacevole impressione che dovesse sof-frire.

« Restai a fissarla per un poco - forse mezzo minutoo forse mezz'ora -, ed ebbi la sensazione che avan-zasse o indietreggiasse con l'aumentare e il diminuiredegli scrosci di grandine. Distolsi infine per un atti-mo lo sguardo da essa; e notai che la cortina di gran-dine si faceva sempre meno spessa e che il cielo sischiariva in una promessa di sole. Guardai ancora lafigura bianca leggermente china, e l'audacia teme-raria del viaggio intrapreso apparve improvvisa allamia mente: che cosa avrei visto, quando la barrieradi grandine si fosse interamente dissolta? Che cosapoteva essere divenuto il genere umano, se la crudel-tà si fosse mutata in un sentimento comune a tutti?se in questo intervallo di tempo la razza umana aves-se smarrito le sue caratteristiche migliori, diventandouna forza inumana, fatalmente priva di ogni senti-mento d'amore? Io stesso sarei sembrato una speciedi antico animale selvaggio, ancor più spaventoso eripugnante per quel tanto di aspetto umano che erain me, una disgustosa creatura che bisognava togliereimmediatamente di mezzo.

« Cominciavo già a discernere la sagoma di enormicostruzioni adorne di complicate balaustre e di altis-

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sime colonne, e colline rivestite di alberi, che incom-bevano sempre meno vaghe su di me via via chel'uragano diminuiva di intensità. Allora fui colto dalpanico, e rni volsi anelante verso la Macchina delTempo, tentando con tutte le mie forze di rimetterlain efficienza; ormai i raggi del sole vincevano il tem-porale, che svaniva a poco a poco come il sudario diun fantasma. In alto, nell'intenso azzurro del cieloestivo, frammenti di nuvole grigiastre dileguavanoinsensibilmente nel nulla; ora gli enormi fabbricati siergevano ben distinti, lucidi di pioggia, e spiccavanobianchi tra mucchi di grandine non ancora disciolta.Mi sentivo indifeso, in quello strano mondo, come unuccello nell'aria sotto la minaccia del falco che puòpiombare su di lui da un momento all'altro.

« La paura divenne panico, frenesia; trassi un pro-fondo respiro, strinsi i denti, e mi afferrai con le brac-cia e le ginocchia alla macchina, che cedette sotto ilmio disperato assalto e si rovesciò. Battei il mentocon violenza: mi aggrappai con una mano al sedile,con l'altra alle leve, ansante nello sforzo di salire dinuovo a bordo. Avevo ritrovato il mio rifugio e conesso il mio coraggio; guardai quel mondo di un remo-to futuro con maggiore curiosità e minor terrore: daun'apertura circolare praticata su una parete dellacasa più vicina, vidi un gruppo di figure avvolte investi morbide e ricche; e anch'esse mi avevano scor-to, poiché i loro visi erano voltati verso di me.

« Udii un suono di voci che si avvicinavano, e vidispalle e teste di uomini che correvano tra i cespugliaccanto alla sfinge bianca. Uno di essi sbucò sul sen-tiero che conduceva al prato in cui mi trovavo con lamia macchina. Era una creatura esile, alta circa unmetro e venti, drappeggiata in una tunica color por-pora stretta da una cintura di cuoio, coi piedi calzati- non potevo distinguere bene - da sandali o da cotur-ni; aveva le gambe nude fino alle ginocchia, e non

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portava alcuna sorta di cappello. Soltanto allora miaccorsi che l'aria era calda.

« Quella creatura mi sembrò bellissima, fine, maindescrivibilmente fragile: il suo volto appena arros-sato possedeva la bellezza propria a certi malati diconsunzione, quella bellezza di cui udiamo così spessoparlare. Ripresi fiducia, e allontanai le mani dallamacchina.

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« Un istante dopo eravamo l'uno di fronte all'altro:io e quella fragile cosa del futuro. Mi si avvicinò,rise, mi guardò negli occhi; e il fatto che non dimo-strasse il minimo segno di paura mi stupì profonda-mente. La creatura si rivolse alle altre due che laseguivano, parlando uno strano linguaggio dolce efluente.

« Altri esseri stavano avvicinandosi, e dopo pòcofui circondato da un gruppetto di otto o dieci di quel-le affascinanti figurine. Una di esse mi rivolse la pa-rola, e nello stesso istante ebbi la strana sensazioneche la mia voce dovesse essere troppo aspra e pro-fonda per loro: scossi il capo, accennai con le ditaalle mie orecchie, scossi il capo di nuovo. L'essere misi avvicinò di un passo, esitò, poi mi toccò una mano:immediatamente avvertii la carezza di altri morbiditentacoli sulle spalle e sul dorso: quelle creature vole-vano assicurarsi che ero una cosa reale.

« Il loro contegno non aveva nulla di allarmante,anzi quelle incantevoli personcine avevano qualcosache ispirava confidenza, una gentilezza delicata, unadisinvoltura puerile; avevano inoltre un aspetto tal-mente fragile, che immaginai di poterli rovesciaretutti come birilli. Mi venne naturale un gesto ammo-nitore quando vidi le loro manine rosee tendersi ver-so la Macchina del Tempo; e fortunatamente pensaisùbito al pericolo che non avevo fin allora considera-to: mi avvicinai alla macchina, svitai le leve dellamessa in moto e me le misi in tasca; poi mi volsi

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ancora verso di loro, pensando in che modo avreipotuto comunicare con essi.

« Analizzando più da vicino i loro lineamenti, notaialcune caratteristiche di leggiadria proprie alle por-cellane di Sassonia: avevano i capelli ricciuti che ar-rivavano fino al collo e incorniciavano il viso lascian-do scoperte le orecchie finemente modellate e il voltolevigato e nitido; avevano la bocca piccola, le labbradi un rosso vivo, sottili,.e il mento minuto e ovale; iloro grandi occhi miti - e questo può sembrare pre-sunzione da parte mia - rispecchiavano ben poco diquell'interesse che mi sarei potuto aspettare di aversuscitato in loro.

« Poiché non facevano il minimo sforzo per comu-nicare con me ma si limitavano a circondarmi sorri-dendo e parlando tra loro in quel linguaggio che asso-migliava a un tubare di tortore, fui io ad avviare laconversazione: indicai la Macchina del Tempo, poiindicai me stesso, quindi, esitando un attimo peresprimere il trascorrere del tempo, indicai il sole.Sùbito un'elegante figurina vestita in rosso e biancoripetè il mio gesto, ed io rimasi stupefatto quando laudii imitare il rumore del tuono.

« Barcollai quasi per lo stupore, sebbene il signifi-cato del suo gesto fosse abbastanza chiaro, e una do-manda mi venne improvvisa alla mente; queste crea-ture erano dunque deficienti? Non potrete mai imma-ginare quanto rimasi colpito da un simile pensiero;avevo sempre ritenuto, vedete, che l'umanità, nel-l'anno 802.000, ci avrebbe talmente superato in ognicognizione, nelle arti, in tutto! E ora un suo rappre-sentante mi rivolgeva una domanda degna del livellointellettuale di un bambino di cinque anni: mi chie-deva se ero venuto dal sole durante un temporale!Tale domanda confermava il giudizio che avevo ab-bozzato nella mia mente vedendo i loro abiti, le loromembra fragili, i loro lineamenti minuti; e provai

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una forte delusione, pensando di aver costruito in-vano la Macchina del Tempo.

« Annuii, indicando il sole, e imitai così bene ilboato del tuono da farli trasalire; indietreggiaronoperplessi, quindi uno di loro mi si riavvicinò riden-do: aveva in mano una ghirlanda di bellissimi fiorisconosciuti e me la mise al collo. Il gesto fu accoltodagli allegri applausi degli altri, che si sparsero tut-t'attorno per cercare ancora fiori, e me li gettaronoaddosso sempre ridendo, fino a quando fui quasi soifocato da una coltre fragrante: non potete immaginare, poiché non li avete visti, che delicati e meravi-gliosi fiori avesse prodotto la terra dopo innumere-voli anni di coltivazione.

« Qualcuno dovette suggerire di condurmi a visi-tare l'interno di una delle loro case, e così, guidatodai miei ospiti, passai accanto alla sfinge di marmobianco che sembrava avermi fissato per tutto queltempo sorridendo del mio stupore, e mi avviai versoun grande fabbricato grigio di pietra un po' corrosa.Mentre camminavo fra loro, pensavo divertito allemie previsioni di una posterità superiore per intel-letto e profondamente austera.

« La generale impressione che riportai della naturache scorgevo al di sopra delle loro teste era quella diuna quasi selvaggia distesa di cespugli e di fiori, ungiardino da lungo tempo trascurato, eppure del tuttoprivo di erbacce. Vidi una gran quantità di alte spi-ghe fiorite di bianco, i cui petali lisci e lucidi come lacera erano larghi circa trenta centimetri: erano cre-sciute alla rinfusa come i fiori di campo, tra unamassa di arbusti variopinti; ma, come vi ho detto, inquel momento non le osservai con troppa attenzione.La Macchina del Tempo rimase abbandonata sul pra-to, fra i rododendri.

« L'arco del portone era ornato di intagli che natu-ralmente non potei esaminare da vicino, ma che mirichiamarono alla memoria le decorazioni in cui era-

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no maestri gli antichi Fenici; mi colpì tuttavia ilfatto che fossero assai rovinate, forse dal tempo, oforse dalle intemperie. Una folla di individui vestitiancor più vivacemente degli altri mi venne incontro,e oltrepassammo insieme la soglia. Coi miei abiti scu-ri puro stile ottocento e la ghirlanda di fiori al collo,io dovevo avere un aspetto abbastanza grottesco, cosìcircondato da quella massa tumultuosa di esseri dal-le membra di un bianco abbagliante vestiti di abitidai colori tenui, tra un melodioso turbine di risate edi voci gioiose.

« il portone imponente si apriva su un atrio di di-mensioni adeguate, dalle pareti dipinte di scuro; ilsoffitto restava in ombra, e le finestre, sia quelle mu-nite di vetri colorati sia quelle senza vetri, lasciava-no entrare una luce smorzata. Il pavimento era for-mato da grandi blocchi di un metallo bianco moltoduro - non lastre o lamine: proprio blocchi - moltoconsumato, pensai, dai passi di innumerevoli genera-zioni, che avevano logorato i tratti più battuti scavan-doli profondamente. L'atrio era occupato in tutta lalunghezza da una fila di tavole costruite con lastre dipietra levigata, alte una trentina di centimetri dalpavimento. Sulle tavole spiccavano grandi mucchi difrutta, simili alcune a fragole e arance gigantesche,ma per la maggior parte sconosciute; fra le tavoleerano sparsi moltissimi cuscini, su cui i miei ospitisedettero facendomi cenno di imitarli. Si misero amangiare la frutta prendendola senza cerimonie conle mani e buttando le bucce e i piccioli dentro incavirotondi ricavati ai lati delle tavole. Non mi feci pre-gare per seguire il loro esempio, perché avevo fameed ero assetato; mentre mangiavamo esaminai l'atrioa mio agio.

« Forse quello che mi colpiva maggiormente eraappunto il suo aspetto trascurato: i vetri macchiatidelle finestre, disposti secondo un criterio puramentegeometrico, erano spezzati in molti punti, e le tende42

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che li coprivano erano piene di polvere; notai sùbitoche la tavola accanto alla mia aveva un angolo sbrec-ciato. Nondimeno, l'aspetto generale del salone eraassai ricco e pittoresco: circa duecento persone sede-vano a pranzo, e moltissime avevano preso posto ilpiù possibile accanto a me e mi squadravano congrande interesse, attraverso gli occhietti scintillanti,al di sopra della frutta che stavano mangiando. Tuttiportavano gli stessi abiti ricavati da un tessuto mor-bido come la seta, e tuttavia, mi parve, assai resi-stente.

« A proposito: debbo dirvi che la loro dieta si com-poneva esclusivamente di frutta; quegli esseri del fu-turo erano vegetariani, e per tutto il tempo che rima-si con loro, pur desiderando ardentemente un pezzodi carne, dovetti adattarmi a mangiare come loro.Compresi più tardi che la razza dei cavalli, dei buoi,delle pecore, dei cani si era estinta come, nel nostrotempo, quella degli ittiosauri. Però la frutta era unadelizia; e una specie in particolare, che forse era distagione in quel periodo di tempo: un frutto ricopertoda una scorza farinosa, di un sapore così squisito, chene feci il mio cibo prediletto. Dapprima quegli stranifrutti e quegli strani fiori mi avevano lasciato per-plesso, ma più tardi cominciai a rendermi conto del-la loro importanza.

« Vi stavo dunque parlando del mio pranzo a basedi frutta consumato in quel lontano futuro. Appenail mio appetito si fu un poco calmato, decisi di impa-rare a ogni costo il linguaggio di quegli esseri biz-zarri: era la cosa più urgente. Pensai che appuntoquei frutti avrebbero potuto offrirmi uno spuntoadatto; ne presi uno in mano, e cominciai a emettereuna serie di suoni interrogativi accompagnati da gestiadeguati. Mi era assai difficile spiegare quello cheavevo in mente; da principio i miei sforzi suscitaronogran sorpresa e un mare di risate, ma dopo poco unapiccola creatura dai capelli biondi parve afferrare la

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mia intenzione, e ripetè più volte un nome; poi co-minciarono tutti a chiacchierare fitto fitto, spiegan-dosi la faccenda gli uni con gli altri: il mio primotentativo di imitare i leggeri suoni squisiti del lorolinguaggio li divertì immensamente. Mi sentivo comeun maestro fra i suoi scolari, tuttavia persistetti nel-l'impresa, e dopo un po' di tempo potei disporre diqualche sostantivo; allora cominciai coi pronomi di-mostrativi arrivando infine al verbo "mangiare". Fuun lavoro lentissimo di cui quei minuscoli esseri sistancarono assai presto, mostrando chiaramente diaverne abbastanza delle mie interrogazioni, per cuidecisi di applicare il sistema a piccole dosi e nei mo-menti in cui essi mi sembravano più disposti ad ascol-tarmi. Ma sopportavano male anche le piccole dosi;non avevo mai visto individui più indolenti o che sistancassero con maggiore facilità.

« Feci sùbito un'altra scoperta piuttosto strana sulconto dei miei piccoli ospiti: mancavano di interesseper qualsiasi cosa. Si avvicinavano a me lanciandogrida di impaziente meraviglia come avrebbero fattodei bambini, ma appunto come i bambini smettevanoben presto di esaminarmi e si allontanavano alla ri-cerca di un nuovo giocattolo. Finito il pranzo e conesso i miei tentativi di conversazione, notai immedia-tamente che quasi tutti quelli che mi avevano circon-dato da principio erano spariti; vi sembrerà strano,ma cominciai subito a trascurare quella piccola gente.Perciò, non appena ebbi soddisfatto il mio appetito,uscii dal portone, e mi trovai in un mondo pieno disole. Incontrai una quantità di questi uomini del fu-turo che mi seguivano a breve distanza chiacchie-rando e ridendo di me; ma dopo avermi rivolto sor-risi e gesti amichevoli, mi lasciarono ben presto aimiei pensieri.

« Quando uscii dal portone, stava scendendo tuttointorno la pace della sera illuminata dal caldo splen-dore del sole al tramonto. In un primo momento tutto44

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mi sembrò confuso; le cose apparivano completamen-te diverse da quelle che mi erano familiari nel mon-do, perfino i fiori. Il grande fabbricato da cui uscivoera costruito sul declivio di una vallata percorsa daun fiume assai imponente, il Tamigi, spostato di circaun chilometro e mezzo dall'attuale posizione. Decisidi salire su un'altura distante poco più di due chilo-metri, da cui avrei potuto godere una vista più ampiadel nostro pianeta quale appariva nell'anno 802.701.Era infatti questa la data che registrava il quadrantedella mia macchina.

« Mentre camminavo, stavo bene attento a non la-sciarmi sfuggire la minima impressione che avrebbeeventualmente potuto aiutarmi a spiegare quelle con-dizioni di decaduto splendore in cui vedevo il mondo,che era davvero in rovina. Verso la sommità del colle,infatti, trovai un ammasso di grandi pezzi di granitotenuti insieme da blocchi di alluminio: un vasto labi-rinto di mura scoscese e di massi sgretolati in mezzoai quali si era sviluppata una ricca vegetazione dipiante enormi - ortiche, probabilmente - dalle fogliedi un bellissimo color d'oro brunito, che non punge-vano affatto. Erano evidentemente i resti abbando-nati di qualche vasta costruzione, ma non fui in gradodi stabilire a quale epoca essa avesse potuto apparte-nere; ed era destino che proprio qui, più tardi, faces-si la stranissima esperienza che fu la prima rivelazio-ne di una ancor più strana scoperta: ma di ciò parleròal momento opportuno.

« Guardandomi attorno da quella terrazza su cuimi fermai a riposarmi per qualche tempo, mi resiconto che non si vedevano case di piccole dimensioni:sembrava che le case in cui abita una sola famigliafossero scomparse. Qua e là fra il verde spiccavanofabbricati grandi come palazzi, ma non vi era alcunatraccia dei cottages che rendono così caratteristico ilpaesaggio inglese.

« "Comunismo", dissi fra me, e sùbito mi balzò alla45

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mente un altro pensiero. Guardai la mezza dozzina difigurine che mi aveva seguito, e mi colpi immediata-mente il fatto che tutti vestissero nella stessa manie-ra, che tutti avessero lo stesso volto liscio e levigato,la stessa rotondità infantile delle membra. Può forsesembrare strano che non avessi già notato tutti que-sti particolari; ma era tutto così strano! Adesso peròla cosa mi pareva abbastanza chiara. Queste personedel futuro erano tutte simili fra loro nel modo di ve-stire, senza quella differenza di fogge che distingue isessi l'uno dall'altro. I figlioli sembravano le minia-ture dei loro genitori; e giudicai allora che i bambinidi quel tempo fossero estremamente precoci, per lomeno dal punto di vista fisico: ebbi più tardi abbon-danti conferme della mia impressione. Osservando latranquillità e la sicurezza in cui viveva quella gente,pensai che la stretta rassomiglianza dei sessi era,dopo tutto, quello che uno si sarebbe dovuto aspet-tare: poiché la forza dell'uomo, la debolezza delladonna, l'istituzione della famiglia e la diversità deicompiti imposti a ciascuno sono solo necessità ine-renti a un'epoca caratterizzata dalla forza fisica: do-ve la popolazione è equilibrata e abbondante, troppenascite diventano per lo Stato un male anziché unbene; dove la violenza è quasi sconosciuta e la discen-denza è sicura, c'è meno necessità - anzi non ce n'èaffatto - di una famiglia efficiente; la specializzazionedei sessi, per quanto riguarda le esigenze dei figli,non ha più ragione di essere. Di questo stato di cose,definitivo in quella lontana epoca, possiamo del restovedere un inizio anche ai tempi nostri. Ma debbofarvi notare che se queste erano le mie opinioni delmomento, dovevo accorgermi più tardi quanto fos-sero vicine alla realtà.

« Mentre mi abbandonavo a queste riflessioni, lamia curiosità fu attirata da un grazioso edificio piut-tosto piccolo, una specie di pozzo sotto una cupola:strano, notai, che esistessero ancora dei pozzi; quindi46

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ripresi il filo dei miei pensieri. Verso la sommitàdella collina non vi erano grandi fabbricati e forsela mia resistenza nella marcia era superiore a quelladei miei ospiti, perché dopo qualche tempo fui la-sciato solo per la prima volta; mi avviai verso lavetta spinto da uno strano senso di libertà e di av-ventura.

« Giunto sulla cima trovai un sedile dai bracciolilavorati a forma di teste di grifone, ricavato da unmetallo giallognolo che non riconobbi; era corrosoin più punti dalla ruggine e ricoperto in gran partedi muschio. Mi sedetti e, nel tramonto di quella lungagiornata, osservai l'esteso panorama del nostro vec-chio mondo: il panorama più bello che avessi maivisto. Il sole era già tramontato tingendo l'orizzonted'oro e di porpora; potevo scorgere, in fondo, lavallata del Tamigi, in cui il fiume si snodava comeun nastro di acciaio fuso. Ho già parlato dei grandipalazzi che sorgevano nella pianura variegata di ver-de, alcuni dei quali ridotti allo stato di rovine, altrituttora abitati; qua e là nell'ampio giardino dellaterra si levava una statua bianca o argentea, qua e làsvettava la linea verticale di un obelisco o quellatondeggiante di una cupola; e non si notavano bar-riere né delimitazioni di proprietà, nessuna tracciadi agricoltura: la terra era divenuta veramente ungiardino.

« Guardavo, cercando di interpretare il significatodi quello che vedevo, ed ecco le conclusioni a cuigiunsi. (Più tardi mi accorsi di aver colto la veritàsoltanto in parte, o meglio di aver notato soltantoun aspetto della verità). Avevo l'impressione di es-ser capitato in mezzo a un'umanità in declino: e quelluminoso tramonto mi faceva pensare al tramontodel genere umano. Per la prima volta ero in gradodi comprendere le strane conseguenze di tutti glisforzi che stiamo compiendo nel campo sociale; con-seguenze abbastanza logiche, se ci pensiamo bene:

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la forza deriva dalla necessità, e la sicurezza rap-presenta un cardine della debolezza. Gli espedien-ti escogitati per migliorare le condizioni di vita -l'autentico processo di civilizzazione che rende lavita sempre più sicura - erano ormai giunti al loropunto culminante; i trionfi dell'intera umanità sullanatura si erano susseguiti gli uni agli altri; le ideeche adesso sembrano soltanto sogni erano diventatea poco a poco progetti condotti a termine: e il ri-sultato lo avevo sotto gli occhi!

« Dopo tutto, l'agricoltura e l'igiene sono, ai giorninostri, quasi allo stato rudimentale; la scienza delnostro tempo è in grado di combattere solo una mi-nima parte dei mali che affliggono l'umanità, eppure,anche così, questa persevera nel suo cammino confermezza e tenacia. I nostri agricoltori e i nostriorticoltori demoliscono qualche erbaccia e coltivanouna minima parte delle piante esistenti, lasciando chetutte le altre crescano come possono; noi curiamo ilmiglioramento delle piante e degli animali che prefe-riamo - e sono pochi - a gradi e per mezzo di alleva-menti selezionati, producendo ora una varietà di pe-sche dalle caratteristiche migliori, ora una qualitàdi uva senza semi, ora fiori più grandi e più belli, oracapi di bestiame derivati da incroci razionali. Questimiglioramenti li realizziamo a poco a poco, perchéprocediamo per tentativi e perché le nostre cogni-zioni sono assai limitate; anche la natura, infatti, di-venta pigra e recalcitrante nelle nostre mani malde-stre. Ma con l'andare del tempo tutto verrà organiz-zato molto meglio: nonostante i vortici, bisogneràpur seguire il corso delia corrente. L'umanità interadiverrà più intelligente, meglio educata e più inclinealla cooperazione; si tenderà sempre più a soggiogarela natura, e alla fine si riuscirà a sottomettere lavita animale e vegetale alle necessità dell'uomo.

« Tutto questo doveva essere stato fatto - e fattobene -, in quello spazio di tempo in cui era balzata la48

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mia macchina. L'aria era pura, libera da insetti, laterra non recava tracce di erbe parassite e di funghi,da per tutto crescevano frutti dolcissimi e fiori mera-vigliosi; farfalle dalle ali dipinte a colori brillantivolavano per l'aria; la medicina preventiva dovevaormai aver sconfitto definitivamente le malattie. Du-rante la mia permanenza nel futuro, non notai, in-fatti, alcun male contagioso, e più tardi dovrò dirviche anche il processo di putrefazione aveva subitoun profondo mutamento.

« Dal punto di vista sociale le cose andavano ugual-mente bene: vidi che tutti gli esseri umani avevanoa disposizione magnifici alloggi, erano vestiti splen-didamente e, a quanto potei giudicare, non dovevanosottoporsi alla minima fatica; nessun segno di lottaera visibile sia nel campo sociale che in quello eco-nomico. La pubblicità, i negozi, i traffici, tutti i com-merci che costituiscono l'anima del mondo odiernonon esistevano più. Era ben naturale che in quellasera dorata io riuscissi ad accettare l'idea di un pa-radiso sociale. Dovevano già essere stati sperimen-tati, è evidente, i disagi derivati dal crescere dellapopolazione, e la popolazione aveva cessato di cre-scere.

« Col mutare delle condizioni di vita è inevitabileche sopravvenga un adattamento a tale trasforma-zione. Quali sono le cause, a meno che la scienza bio-logica non sia un cumulo di errori, che spronano l'in-telligenza e il vigore dell'uomo? Le avversità e lalibertà: sotto la loro spinta l'uomo attivo, forte eastuto sopravvive, mentre quello più debole soccom-be; per esse l'unione leale di individui capaci riceveil suo premio, meritato a costo di repressioni, di pa-zienza e di fermezza. L'istituzione della famiglia ei sentimenti che ne derivano: violenta gelosia, tene-rezza per i figli, devozione incondizionata verso igenitori, tutto ciò è giustificato dai pericoli a cui vaincontro la gioventù. Ma ora dove è più l'imminenza

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di questi pericoli? E allora ecco nascere e affermarsialtri sentimenti: contro la gelosia dei coniugi, controun troppo esclusivo senso della maternità, contro lepassioni di tutte le specie, ormai non più necessarie,e che farebbero di noi dei sopravvissuti barbari eimbarazzanti, stonature in una vita raffinata e pia-cevole.

« Pensavo alla debolezza fisica di quegli esseri, allaloro limitatissima intelligenza, alle numerose, enormirovine che avevo davanti agli occhi, e sentivo raffor-zarsi sempre più in me la fede in una perfetta con-quista della natura da parte degli uomini: a ognilotta succede la quiete. L'umanità era stata forte,piena di energia, intelligente, ed aveva adoperato lasua abbondante vitalità per alterare le condizioni incui viveva; adesso era sopravvenuta la reazione, pro-vocata appunto dalle alterate condizioni di vita.

« In questo nuovo stato di perfetto benessere e disicurezza, l'infaticabile energia che è la nostra forzanon può non mutarsi in debolezza. Anche ai nostrigiorni certe tendenze e certi desideri, necessari sol-tanto a sopravvìvere, sono una fonte costante di de-cadenza: il coraggio fisico e l'amore per la lotta, adesempio, non sono più un grande aiuto - possonoanzi rappresentare un ostacolo - per un uomo civiliz-zato. In condizioni di perfetto equilibrio fisico e diperfetta sicurezza, la forza intellettuale e quella fisicasarebbero fuori posto. Pensavo che per innumerevolianni non vi era stata, là dove mi trovavo, alcunaminaccia di guerre o di violenze individuali, nessunpericolo di belve feroci, nessuna epidemia devasta-trice, che richiedessero, per combatterli, forti costi-tuzioni e necessità di sforzi intensi. A un tal generedi vita, quelli che noi chiameremmo i deboli sonoadatti come i forti, e di conseguenza non sarebbepiù possibile parlar di deboli; anzi, questi ultimi sitroverebbero assai più a loro agio, perché i forti sa-rebbero logorati da un'energia che non troverebbe

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sfogo. Senza dubbio, la squisita bellezza degli edificiche vedevo era il risultato degli ultimi sprazzi dienergia sviluppata dal genere umano prima che essosi indebolisse, in perfetta connessione con le sueattuali condizioni di vita: dopo quel trionfo avevaavuto inizio la grande pace definitiva. Ed è semprestato questo il destino della forza in un clima di si-curezza completa: essa si abbandona all'estetismo sianelle arti che nell'amore, poi si illanguidisce e de-cade.

« Anche l'impeto di operosità artistica alla fine sispegne: nel tempo che io avevo sotto gli occhi eragià quasi morto. Adornare la propria persona di fiori,danzare, cantare nella luce del sole: ecco quello cheera rimasto dello spirito artistico; niente altro. Eanche questo sarebbe infine sfociato in una tranquil-la, paga inattività. La nostra acutezza si affila allacote del dolore e della necessità; per quanto potevovedere, questa aborrita cote era stata finalmente spez-zata!

« Mentre me ne stavo tutto solo nell'oscurità cre-scente, pensavo di avere infine spiegato con moltasemplicità a me stesso il problema del mondo e ilsegreto di quel popolo incantevole. Forse il control-lo stabilito per frenare l'accrescere della popolazioneera stato anche troppo perfetto; il numero degli indi-vidui era diminuito, piuttosto che rimanere staziona-rio, e questo avrebbe spiegato le abbondanti rovineinutilizzate. La mia interpretazione era semplicissi-ma e abbastanza plausibile, come la maggior partedelle teorie sbagliate!

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« Mentre meditavo su questo troppo perfetto trion-fo dell'uomo, la luna piena, gialla e gibbosa, si levòda nord-est in una gloria di luce argentata. I deliziosiesseri non si muovevano più, sotto la collina; unacivetta solcò silenziosamente l'aria, e io rabbrividiial freddo della notte. Decisi quindi di scendere e tro-varmi un posto per dormire.

« Cercai con lo sguardo il palazzo che già conosce-vo; poi i miei occhi passarono oltre la figura dellasfinge bianca, che si faceva sempre più distinta sulsuo piedistallo di bronzo a mano a mano che la lunasi levava più luminosa nel cielo. Vedevo la betullagettare la sua ombra contro la statua e le macchie dirododendri neri sotto la pallida luce, e il prato. Guar-dando appunto in direzione del prato, uno strano dubbio gelò in me ogni senso di euforia. "No", dissi conforza a me stesso; "no, il prato non era quello".

« E invece era proprio quello, perché il volto biancoe lebbroso della sfinge era ancora rivolto nella miadirezione. Potete immaginare ciò che provai quandone fui veramente convinto? Non lo potete, non è pos-sibile: la Macchina del Tempo era sparita! L'eventua-lità di restare per sempre fuori del mio tempo, ab-bandonato in un bizzarro mondo nuovo, mi colpì co-me una sferzata sul viso; e questo pensiero era comeuna sensazione fisica reale, sentivo salirmelo allagola e soffocarmi il respiro. Preso da una paura folle,scesi il pendio così a precipizio, che caddi e mi ferii ilviso; ma non persi tempo a tamponarmi il sangue,52

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mi rialzai d'un balzo e ripresi a correre dicendo con-tinuamente a me stesso: "L'hanno soltanto spostataun pochino, forse l'hanno spinta tra i cespugli, perquesto non si vede". Nondimeno accelerai ancora lamia corsa; sentivo, con quella certezza che accom-pagna talvolta il terrore, che ogni parola rassicuran-te era pura follia; sentivo istintivamente che nonavrei più potuto raggiungere la macchina. Il respiromi divenne doloroso; credo di aver percorso l'interadistanza dalla sommità della collina fino al prato,circa un tre chilometri, in dieci minuti, e non sonopiù un giovanotto. Correvo maledicendo ad alta voceme stésso per essere stato tanto pazzo da abbando-nare la macchina, e sprecavo così un fiato prezioso;a un certo punto gridai, e nessuno mi rispose, nes-suno si mosse, in quel mondo illuminato dalla freddaluce lunare.

« Quando giunsi sul prato vidi che la mia pauranon era infondata: nessuna traccia della macchina.Guardai nel folto dei cespugli, e mi sentii mancare,mentre un sudore freddo mi copriva la fronte; giraifuribondo attorno alla macchia come se ciò che cer-cavo potesse essere nascosto in un angolo, poi mifermai di colpo con le mani nei capelli; la sfinge midominava dall'alto del suo piedistallo di bronzo, bian-ca, corrosa dalla lebbra, scintillante sotto la luce dellaluna; e sorrideva beffarda alla mia costernazione.

« Avrebbe forse potuto confortarmi il pensiero chei miei piccoli ospiti avessero trasportato la macchinain un luogo riparato, se non fossi stato certo che essinon potevano aver avuto né la forza di fare unacosa simile né l'intelligenza di pensarla. Ero atterritoall'idea che la mia macchina fosse svanita per l'in-tervento di una forza misteriosa ancora ignota. Peròsapevo con certezza una cosa: la macchina non avreb-be potuto muoversi nel tempo, a meno che un'altraetà non ne avesse prodotto un esatto duplicato; ilpunto di innesto delle leve era, infatti, costruito in

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modo tale - vi mostrerò più tardi il sistema - da im-pedire a chiunque di applicarne delle altre allorchéquelle originali fossero state tolte. Avevano rimossol'apparecchio e l'avevano nascosto, ma soltanto nellospazio: e allora, dove mai poteva essere?

« Fui preso da una specie di frenesia; ricordo diessermi messo a correre all'impazzata in mezzo aicespugli, attorno alla sfinge, e di aver fatto fuggirealcuni animali bianchi che, nella luce incerta, miparvero piccoli daini; ricordo anche di aver continua-to per molto tempo a battere i cespugli coi pugnichiusi, fino a farmi sanguinare le nocche delle dita;poi, singhiozzando in. un delirio di angoscia, mi av-viai verso il grande fabbricato di pietra

« L'atrio era buio, silenzioso, deserto. Scivolai sulpavimento disuguale, e urtai con forza contro unadelle tavole di malachite spezzandomi quasi gli stin-chi. Accesi un fiammifero, passai oltre le cortine pol-verose di cui vi ho già parlato, e mi trovai in unsecondo salone, vastissimo, dal pavimento coperto dicuscini, su cui stavano dormendo venti circa di quelleminuscole creature; Sono certo che la mia secondaapparizione dovette sembrar loro abbastanza strana:ero balzato dalla tranquilla oscurità facendo ogni sor-ta di rumori, illuminato dalla debole luce di un fiam-mifero, oggetto del tutto sconosciuto. "Dov'è la miaMacchina del Tempo?", cominciai, gridando come unbambino incollerito e scuotendo ora l'uno ora l'altrodei dormienti. Il mio modo di comportarmi sembròloro senza dubbio assai strano, perché qualcuno simise a ridere, mentre altri mi parvero spaventatissi-mi. Quando li vidi tutti in piedi attorno a me mi ac-corsi di agire in una maniera maledettamente scioc-ca, date le circostanze, perché tentavo di far riviverein essi il senso della paura; dal loro modo di compor-tarsi durante quella giornata, avrei dovuto sapereche la paura era un sentimento ormai dimenticato.

« Lasciai cadere il f iammifero che avevo in mano,54

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attraversai correndo alla cieca il salone da pranzodopo aver fatto capitombolare con una spinta unodei miei ospiti, e uscii nella notte: udii grida di ter-rore e uno scalpiccio di piedini che correvano ince-spicando in tutte le direzioni. Non ricordo che cosaaltro feci, mentre la luna saliva sempre più alta nelcielo; pensai che l'inaspettata perdita del mio appa-recchio mi avesse reso completamente pazzo; mi sen-tivo tagliato fuori dal mio mondo - strano animalein un universo sconosciuto -, e debbo aver vagato ur-lando come in delirio e maledicendo Iddio e il desti-no. Ho ancora l'impressione di una tremenda stan-chezza, che aumentava col trascorrere di quella lun-ga notte disperata; frugavo nei posti più inverosi-mili, brancolavo tra le rovine sfiorando misteriosecreature nell'ombra della notte; e infine mi stesi perterra accanto alla sfinge, e piansi come il più mise-revole dei disgraziati: non mi restava che la dispera-zione. Infine caddi in un sonno profondo, e quandomi svegliai era giorno fatto: una coppia di passerisaltellava sull'erba vicino al mio braccio.

« L'aria era limpida. Sedetti, cercando di ricordareperché mi trovavo in quel luogo, e di spiegarmi ilprofondo senso di vuoto e di disperazione che avver-tivo in me; poi mi si risvegliò la memoria. Alla se-rena luce del giorno potei studiare la mia situazionecon più calma; ripensai al pazzo contegno che avevotenuto quella notte, e mi posi a ragionare con mestesso: "Supponiamo che la macchina sia definitiva-mente persa, forse distrutta: è necessario non smar-rire la pazienza e la calma, studiar bene questa gente,escogitare un sistema per rimediare al disastro eper procurarmi materiale e strumenti di lavoro. Chisa che io non riesca alla fine a costruirmi un'altramacchina".

« Mi parve questa la mia unica speranza; ben pove-ra speranza, forse, ma pur sempre preferibile alladisperazione. E poi, dopo tutto, mi trovavo in un

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mondo bello e singolare. Ma probabilmente la mac-china era stata soltanto portata via; bisognava quin-di che riacquistassi il dominio di me stesso, che cer-cassi il nascondiglio e ricuperassi il mio apparecchiocon la forza oppure con l'astuzia.

« Balzai in piedi e mi guardai attorno chiedendomidove avrei potuto lavarmi; mi sentivo stanco, indo-lenzito e sporco per il viaggio; la freschezza del mat-tino mi faceva desiderare ancor più di rinfrescarmiio stesso. Mi accorsi inoltre di aver esaurito la pienadelle mie emozioni, perché quando cominciai a darmid'attorno mi stupii dell'intensa eccitazione a cui erostato in preda durante tutta la notte. Esaminai at-tentamente il terreno che circondava il praticello, eimpiegai qualche tempo in futili domande formulatealla meno peggio e rivolte a ognuna delle persone cheincontravo. Nessuna di esse riuscì a capire i mieigesti; qualcuno mi guardò con aria istupidita, altripensarono che stessi scherzando, e risero allegra-mente, tanto che feci una fatica enorme a non pren-dere a schiaffi quelle incantevoli personcine. Era cer-to uno sciocco impulso, ma il demone della paura,non del tutto domato, si divertiva ancora ad approfit-tare della mia angoscia.

« Il terreno erboso mi suggerì un'idea migliore:vidi un solco a circa mezza strada tra il piedistallodella sfinge e le orme che avevo lasciato al mio ar-rivo, mentre mi arrabbattavo attorno alla macchinarovesciata; trovai altre tracce di qualcosa che erastato spostato, sempre in quei pressi, mescolate astrane impronte simili a quelle che avrebbe potutolasciare un orsacchiotto. Queste attirarono la miaattenzione sul piedistallo. Mi sembra di aver giàdetto che era di bronzo e non costruito in un unicoblocco, ma decorato su due lati da pannelli scolpiti;ora mi accorsi che era vuoto; ed esaminando con cu-ra i pannelli vi scoprii dei lunghi incavi profondi.Mancava qualsiasi specie di maniglia o di serratura,56

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ma forse i pannelli, se, come supponevo, erano por-te, si aprivano dall'interno.

« La cosa era chiara abbastanza, né dovetti com-piere un eccessivo sforzo mentale per rendermi contoche la Macchina del Tempo doveva essere dentro ilpiedistallo: il problema consisteva ora nel trovarela maniera di entrarvi.

« Vidi due persone vestite di color arancione attra-versare i cespugli e venire verso di me sotto un grup-po di meli in fiore. Le guardai sorridendo, e feci uncenno per chiamarle; poi, quando si furono avvici-nate, indicai loro il piedistallo di bronzo e tentai dispiegare che desideravo aprirlo. Al mio primo gestofatto in quella direzione i due si comportarono assaistranamente. Non so come spiegarvi l'espressione deiloro volti: supponete di compiere un gesto scorrettodavanti a una donna estremamente raffinata, e im-maginate l'espressione che costei assumerebbe; i duesi allontanarono come se avessero ricevuto il peggio-re insulto. Feci lo stesso tentativo con un ragazzovestito di bianco, e ottenni l'identico risultato; anziil suo atteggiamento mi fece vergognare di me stesso.Ma, come sapete, avevo un'assoluta necessità di ri-trovare la Macchina del Tempo: tentai, quindi, dinuovo di farmi comprendere dal ragazzo, e questisi allontanò in fretta come avevano fatto gli altri.Allora fui vinto dalla collera: lo raggiunsi in trepassi, lo afferrai per il colletto, e lo trascinai versola sfinge; ma quando vidi la smorfia di ripugnanzae di orrore che gli sconvolse i lineamenti, lo lasciaiandare.

« Non mi detti ancora per vinto e picchiai coi pugnisui pannelli di bronzo; mi parve di udire qualcosaagitarsi nell'interno - un rumore di risa soffocate,per essere esatto -, ma forse mi ero sbagliato. Raccolsiallora dal fiume un grosso sasso, e mi misi a batterecon esso su uno dei pannelli fino a che ebbi appiattitoun ornamento a spirale, da cui si staccarono lamine

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polverose di verderame. I miei delicati ospiti dove-vano avermi sentito battere a un chilometro di di-stanza, e certo erano furibondi, ma nessuno mi siavvicinò; vedevo sul pendio della collina gruppi dipersone che mi lanciavano sguardi furtivi. Alla fine,sudato e stanco, mi sedetti per vedere quello che suc-cedeva; ma ero troppo agitato per restare inattivo:sono troppo occidentale per sopportare lunghe atte-se, potrei lavorare per anni attorno a un problemaqualsiasi, ma restare inoperoso per ventiquattr'ore èun altro paio di maniche.

« Mi alzai in piedi e mi misi a vagare senza scopoattraverso i cespugli; poi ripresi la strada della col-lina. "Pazienza", dicevo tra me; "se vuoi avere la tuamacchina devi allontanarti dalla sfìnge. Infatti, secostoro vogliono impadronirsene, non concluderainulla prendendo a sassate i loro pannelli di bronzo; ese invece non hanno questa intenzione, riavrai lamacchina appena sarai in grado di spiegarti e di chie-derla. Startene qui seduto tra questi bizzarri esserisconosciuti, davanti a un simile rompicapo, non hasenso e non risolve nulla: in questo modo si arrivasolo alla pazzia. Affronta questa gente, studiala, im-para il suo sistema di vita, guardati dal fare conget-ture troppo affrettate; alla fine dovrai pur trovare ilbandolo della matassa!".

« Improvvisamente mi balzò agli occhi il lato co-mico della situazione: avevo studiato e faticato peranni allo scopo di raggiungere l'età futura, e adessoero divorato dall'ansia di uscirne; mi ero fabbricatocon le mie stesse mani la trappola più complicata epiù disperatamente diabolica che mente d'uomo aves-se mai escogitato; e se adesso questa era scattata amie spese, peggio per me. Scoppiai in una risata.

' Entrai nel palazzo, e mi parve che i miei ospitimi sfuggissero. Forse si trattava soltanto di un'im-pressione, o forse il loro contegno era una conse-guenza del mio affannarmi attorno alle porte di58

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bronzo; ma ben presto, allorché fui certo che mievitavano, mi affrettai a mostrarmi indifferente e anon cercarli.

« Nello spazio di un paio di giorni la situazioneridivenne normale. Mi studiai di comprendere me-glio la loro lingua, e allargai il raggio delle mie esplo-razioni del territorio. Certo mi sfuggì qualche sot-tile sfumatura, ma il linguaggio di quella gente eradavvero di un'estrema semplicità, composto soltantodi nomi concreti e di verbi: se esistevano terminiastratti, dovevano essere pochissimi; e inoltre i mieiospiti ignoravano affatto il linguaggio figurato, leloro frasi erano raramente formate da più di dueparole; talché non riuscii a mettere insieme e a com-prendere altro che espressioni del tutto schematiche.

« Decisi di compiere ogni sforzo per non pensarealla Macchina del Tempo e alle porte di bronzo sottola sfinge, fino a quando avessi potuto disporre di co-gnizioni che mi permettessero di affrontare l'argo-mento nella maniera più naturale. Avevo ancora l'im-pressione, voi mi capite, che era meglio limitare imiei movimenti in un cerchio non molto esteso at-torno al punto in cui mi ero fermato arrivando. Perquanto potevo giudicare, tutto il mondo ostentava laesuberante ricchezza propria a quella vallata delTamigi; dall'alto di ogni collina potevo scorgere lastessa distesa di splendidi fabbricati costruiti condiversi materiali e in diversi stili, le stesse macchiedi cespugli sempreverdi, gli stessi alberi carichi difiori, la stessa ricchezza di acque cristalline; più lon-tano il terreno saliva dolcemente verso una distesadi colline ondulate e azzurrastre, per perdersi poinella limpida serenità del cielo.

« Un particolare attrasse la mia attenzione: spic-cavano qua e là dei pozzi circolari, alcuni dei qualimi sembrarono assai profondi. Uno di essi era situatopresso un sentiero che saliva lungo il fianco dellacollina, quello stesso che avevo percorso durante la

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mia prima passeggiata; aveva come gli altri la veradi bronzo minuziosamente lavorato, ed era protettodalla pioggia per mezzo di una piccola cupola. Mi av-vicinai a qualcuno di questi pozzi e guardai giù nellaoscurità, senza scorgere scintillio d'acqua; accesi unfiammifero, che non suscitò alcun riflesso nel fondo;però da tutti saliva una specie di ronzio simile alrumore monotono provocato da una grossa macchina,e al chiarore dei fiammiferi scoprii una costante cor-rente d'aria provenire dal fondo. Gettai allora nel-l'interno del pozzo un pezzetto di carta; e questo,invece di scendere lentamente in basso, venne aspi-rato con forza e sparì in un attimo.

« Dopo qualche tempo collegai mentalmente queipozzi con le alte torri che si ergevano in vari puntisui fianchi delle colline: attorno alla loro sommitàl'aria aveva le stesse vibrazioni che si avvertono, inuna giornata molto calda, su una spiaggia riarsa dalsole. Esaminando le cose sotto questo punto di vista,immaginai un sistema estensivo di ventilazione sot-terranea di cui però mi sfuggiva il vero significato;e sulle prime fui incline a considerarlo in rapportoall'apparato sanitario di quella gente: conclusione ov-via, ma del tutto sbagliata.

« Arrivato a questo punto debbo ammettere chedurante il mio soggiorno nel futuro imparai ben pocosu quanto concerne sistemi di trasporto, canali discarico e cose del genere. Nelle descrizioni utopisti-che dei tempi futuri che avevo letto, c'era sempreuna quantità di particolari su costruzioni, intese so-ciali e via dicendo; particolari che è abbastanza fa-cile procurarsi in un mondo fabbricato dall'immagi-nazione, ma, come dovetti constatare, del tutto inac-cessibili a chi vi si trovi realmente in mezzo. Imma-ginate come descriverebbe Londra un negro appenagiunto dall'Africa centrale, al suo ritorno alla tribù!Che spiegazioni potrebbe dare sulle compagnie ditrasporti, sui movimenti sociali, sul telefono, sul te-60

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legrafo, sull'organizzazione postale e simili? E sì chesaremmo anche disposti a fornirgli tutte le spiega-zioni desiderate! Anche ammesso che riuscisse a com-prenderle, come potrebbe spiegarle o farle credere aisuoi amici che non si sono mai allontanati dalla pro-pria tribù? E pensate poi come sia insignificante ladifferenza che corre fra un negro e un bianco deinostri tempi, paragonata a quella enorme che mi di-videva da quegli esseri dell'Età dell'Oro. Avevo, sì, lapercezione di molte cose sconosciute che contribui-vano a rendermi comoda la vita, ma temo che. nonsarei in grado di darvi spiegazioni molto precise, poi-ché io stesso avevo soltanto un'idea approssimativadell'organizzazione automatica raggiunta in queltempo.

« Per quanto riguarda la sepoltura, ad esempio, nonvidi traccia di forni crematori o di alcunché potessesuggerire l'idea di una tomba; però cimiteri o fornicrematori si trovavano forse in luoghi che non avevoancora esplorato. Mi posi più volte questo quesito,ma la mia curiosità rimase sulle prime del tuttoinappagata; e la cosa mi rendeva perplesso, ancheperché avevo notato un particolare che dava moltoda pensare: tra quella gente non esistevano né vec-chi né malati.

« Debbo confessare che le mie soddisfacenti teoriecirca una civiltà automatica e un'umanità decadentenon ebbero lunga durata, ma non potevo tuttaviasostituirle con altre. Vi esporrò adesso le mie diffi-coltà. Ognuno di quei grandi palazzi che avevo visi-tato disponeva soltanto di sale di soggiorno, di enor-mi sale da pranzo e di camere da letto; non vi scopriimai strumenti né apparecchi di alcun genere. Eppurequella gente usava abiti ricavati da splendidi tessuti,e doveva pur rinnovarli; i sandali, sebbene moJtosemplici, erano l'evidente ed elaborato prodotto diqualche macchina. In un modo o nell'altro questecose dovevano esser state fabbricate, né quel minu-

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scolo popolo dimostrava davvero di possedere ten-denze creative; non esistevano negozi né laboratori,e non notai la minima traccia di un qualche sistemadi importazione. Quella gente impiegava le sue orein allegri passatempi: si bagnava nel fiume, facevaall'amore quasi per gioco, si nutriva di frutta, e dor-miva; non riuscivo assolutamente a spiegarmi la pro-venienza degli oggetti di cui essa si serviva.

« In quanto alla Macchina del Tempo, qualcosa -ma non riuscivo a capire che cosa - l'aveva traspor-tata nell'interno del piedistallo su cui posava la sfingebianca. Perché? Per quanto si trattasse di una fac-cenda di vitale importanza, non riuscivo a spiegar-mela. E quei pozzi senz'acqua, quei piloni vibranti?Sentivo che mi sfuggiva il bandolo della matassa;sentivo... Ma come posso spiegarmi? Supponete ditrovarvi davanti a un'iscrizione che contenga frasiin un inglese chiaro e correttissimo in cui siano in-serite parole o lettere del tutto sconosciute. Bene,ecco appunto come mi si presentava, nel terzo giornodella mia permanenza, il mondo dell'anno 802.701.

« Proprio quel giorno mi feci una specie di amica:mentre guardavo un gruppo di minuscole personcineche si bagnavano nell'acqua poco profonda del fiume,una di esse fu colta da crampi e corse il rischio diessere trasportata via dalla corrente, piuttosto velocema non certo troppo forte per un nuotatore anchemediocre. Potrete farvi un'idea delle strane deficienzedi quelle creature, quando vi dirò che nessuna di lorosi preoccupò minimamente di trarre in salvo l'amicache urlava, annegando sotto i loro occhi. Allorché mene accorsi, mi spogliai in un baleno, attraversai aguado il fiume là dove l'acqua era più bassa, afferraiquella poverina, e la portai in salvo a terra. Rinvenneappena le ebbi praticato un po' di massaggio; e quan-do mi allontanai ebbi la soddisfazione di vedere chestava benissimo. Mi ero formato un'opinione assaipoco lusinghiera di quella gente, e quindi non aspet-62

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tavo certo della gratitudine da parte della creaturache avevo salvato. Ma mi sbagliavo.

« L'episodio di cui vi ho parlato si era svolto dimattina; nello stesso pomeriggio incontrai la miapiccola donna - perché mi era parsa una donna -mentre, dopo un giro di esplorazione, stavo ritornan-do nel luogo in cui ero sceso dall'apparecchio: miricevette con grida di gioia e mi porse un'enormeghirlanda di fiori intrecciata evidentemente per mee per me solo. La cosa mi commosse, forse perché miero sentito fino a quel momento troppo solo e isola-to; feci quindi del mìo meglio per dimostrare quantogradivo il dono: sedemmo tutti e due vicini su unapietra all'ombra di un pergolato, impegnati in unaconversazione fatta dapprima, più che altro, di sor-risi. Il contegno amichevole di quella creatura susci-tava in me lo stesso senso di commozione che avreiprovato per la riconoscenza di un bimbo: ci offrivamoa vicenda qualche fiore, lei mi baciava ogni tanto lemani, e io ricambiavo i suoi baci. Tentando dì rivol-gerle qualche parola, seppi che si chiamava Weenae, sebbene non conoscessi il significato del nome, es-so mi parve abbastanza appropriato alla creatura chelo portava. Cominciò così una strana amicizia chedurò una settimana e che finì., come vi dirò tra poco.

« Weena si comportava proprio come una bimba:voleva starmi sempre vicina e mi seguiva da pertutto. Alla prima escursione che intrapresi nei din-torni mi venne in mente di farla stancare; l'abban-donai sola, esausta, mentre mi chiamava col piantonella voce. Ma era necessario che risolvessi i pro-blemi di quel mondo: non mi ero certo avventuratonel futuro per intrecciare un flirt in miniatura. Ladisperazione di quella creaturina rimasta sola fugrandissima; le sue rimostranze assunsero un tonofrenetico, e penso che, dopo tutto, la sua devozionemi riuscisse spesso più fastidiosa che piacevole. Tut-tavia Weena mi era a volte di grande conforto; cre-

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devo che si trattasse, da parte sua, di una sempliceinfatuazione puerile, e quando compresi esattamentequanto dolore le avevo procurato abbandonandola,era ormai troppo tardi; dimostrandosi innamorata dìme, e facendomi comprendere con le sue manierefanciullesche quanto le stavo a cuore, quello scam-polo di donna mi dette quasi la sensazione, al mioritorno presso la sfinge bianca, di rientrare a casa; eogni volta che me ne andavo sulla collina mi volgevoa guardare la sua sottile figura vestita di bianco ed'oro.

« Compresi, proprio per merito suo, che la pauranon era ancora sparita dal mondo. Weena era abba-stanza coraggiosa, durante il giorno, e aveva una biz-zara fiducia in me: una volta che, per scherzo, le fecidelle spaventose boccacce, lei scoppiò semplicementein una risata. Ma temeva il buio, temeva le ombre,temeva tutto ciò che era nero; l'oscurità era per leiuna cosa spaventosa. Questa sua paura morbosa mispinse ancora più a pensare e a osservare. Notaiallora, fra le altre cose, che quelle minuscole crea-ture, quando cadeva la sera, si riunivano nelle lorograndi case e dormivano a gruppi; entrare da lorosenza un lume significava spaventarle a morte; nontrovai mai una di esse fuori di casa la sera, né maiuna che dormisse sola. Fu assai poco intelligente daparte mia non afferrare subito il significato di quellapaura, e insistere, nonostante il dolore di Weena, adormire isolato da loro.

« La cosa turbò profondamente la mia amica; poiil singolare affetto che ella nutriva per me ebbe ilsopravvento, e durante cinque notti della nostra ami-cizia, inclusa l'ultima, Weena dormì con la testa ap-poggiata al mio braccio; ma mi accorgo che parlandodi lei perdo il filo del racconto. Dovè essere il giornoprecedente al suo salvataggio, che mi destai versol'alba: avevo passato una notte agitata, sognando cheero annegato e che avevo il viso coperto dai leggeri64

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petali di anemoni di mare. Mi svegliai bruscamentecon la bizzarra sensazione che un animale grigiastrostesse allontanandosi in fretta dalla stanza. Tentaidi riprender sonno, ma mi sentivo troppo inquieto;era quell'ora scialba e confusa in cui le cose comin-ciano a delinearsi incerte nella mezza luce. Mi alzai,andai nel salone, e di qui uscii sul lastricato di pietradi fronte al palazzo, deciso a fare di necessità virtù easpettare il sorgere del sole.

« La luna stava tramontando, e la sua luce fioca sifondeva col primo chiarore dell'alba in una spettralesemioscurità. I cespugli spiccavano neri come mac-chie d'inchiostro sul terreno appena più chiaro, ilcielo era grigio e malinconico. Forse avrei visto deifantasmi sulla collina. Per ben tre volte, aguzzandogli occhi verso il pendio, scorsi delle figure bianche,e per due volte mi parve di vedere una creatura soli-tària, simile a una scimmia, correre veloce su per ilfianco della collina; poi, presso le rovine, ne scorsiuna fila in atto di trasportare un corpo scuro, muo-vendosi molto in fretta. Non riuscii a sapere doveandassero a finire, poiché parvero sparire fra i ce-spugli: la luce dell'alba, capite, era ancora assai fioca,e mi comunicava quella sensazione di freddo e didisagio che certo voi conoscete. Dubitai dei mieiocchi.

« Il cielo schiariva a poco a poco verso oriente, ementre la luce del giorno si faceva sempre più vividarisvegliando ancora una volta i colori della natura,mi guardai attorno attentamente, ma non scorsi trac-cia delle figure bianche: certo erano immagini natedalla penombra. "Fantasmi", mi dissi, "e chissà dadove venivano". Una singolare reminiscenza di GrantAllen mi tornò alla memoria, e mi divertì molto: seogni generazione sparisce lasciando dietro di sé deglispettri, il mondo, a un certo momento, ne sarà gre-mito. Secondo quella teoria, da adesso all'anno 802.701i fantasmi si sarebbero dovuti moltiplicare in manie-3. La macchina del tempo. 65

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ra favolosa, e non c'era nulla di strano a vedernequattro in una volta. Ma non potevo prendere sulserio certe teorie, e per tutta la mattinata continuai apensare a quelle insolite figure, sino a quando lapresenza di Weena non le allontanò dalla mia mente.Avevo in certo modo messo in relazione quelle figurecon l'animale bianco la cui vista mi aveva tanto in-quietato durante la mia prima disperata ricerca dellaMacchina del Tempo; ma Weena era un piacevolesostituto di quegli esseri sconosciuti, destinati tutta-via fatalmente a prendere ben presto possesso deimiei pensieri.

« Credo di avervi detto che la temperatura nell'Etàdell'Oro era molto più calda di quella attuale, ma nonposso spiegarne la ragione; forse il sole scaldava dipiù, forse la terra gli era più vicina. Si presume ge-neralmente che il sole vada, col passar dei secoli,raffreddandosi in modo costante; ma la maggior par-te di noi, poco addentro alle teorie del giovane Dar-win, dimentica che i pianeti dovranno alla fine essereassorbiti ad uno ad uno dall'astro principale. Se talecatastrofe dovesse verificarsi, il sole arderebbe conrinnovata energia; e può anche darsi che qualcunodei pianeti più lontani da noi avesse già subito il suodestino. Comunque, sia qual vuoi essere la ragione,resta il fatto che il sole nell'Età dell'Oro era moltopiù caldo di quanto lo sia oggi.

« Bene, in una giornata particolarmente afosa - laquarta, credo - avevo cercato riparo dal calore e dallaluce abbagliante tra le colossali rovine presso ilgrande palazzo dove andavo a mangiare e a dormi-re. Mi accadde allora uno stranissimo fatto: arram-picandomi tra i cumuli di macigni, scopersi unastretta galleria il cui sbocco e le cui finestre lateralierano bloccati da massi di pietra. Il suo interno, incontrasto con lo splendore che regnava fuori, miparve dapprima completamente buio. Entrai barcol-lando, poiché lo sbalzo tra la luce e l'oscurità mi fa-66

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ceva ballare davanti agli occhi macchie di colore;ma mi fermai di colpo come affascinato: due occhi,luminosi malgrado l'oscurità, mi fissavano nelle te-nebre.

« Fui preso dall'antico, atavico terrore delle bestieferoci: serrai le mani una nell'altra e fissai risolu-tamente quegli occhi luccicanti. Avevo paura di vol-tarmi per tornare indietro, ma ben presto mi sov-venni che l'umanità sembrava vivere in una sicu-rezza perfetta; sùbito dopo, però, pensai all'insolitospavento che quella gente aveva del buio; e vincen-do il più possibile la paura, feci un passo avanti eparlai. Voglio ammettere che la mia voce fosse rau-ca e non troppo controllata. Tesi una mano e toccaiqualcosa di morbido; sùbito gli occhi che mi fissa-vano si volsero da un'altra parte, e un corpo biancomi passò accanto correndo. Mi voltai col cuore in go-la, e scorsi una figurina, una specie di scimmiettadalla testa china sul petto, attraversare di corsa lospazio assolato dietro di me: inciampò contro unblocco di granito, lo scansò barcollando, e dopo unattimo mi fu nascosta da un alto cumulo di rovine.

« La mia impressione su quello stranissimo essereè naturalmente molto approssimativa; posso direcon certezza che era bianco, che aveva gli occhi diuna tinta grigiorossastra, e che la testa e il dorsoerano coperti di capelli color del lino. Ma, come hogià detto, era scappato troppo in fretta, per lasciar-mi la possibilità di vederlo distintamente. Non sononeppure in grado di dire se corresse su quattro zam-pe o se tenesse soltanto le braccia molto abbassate.Dopo un attimo lo seguii verso le rovine tra cui erasparito, e dapprima non riuscii a ritrovarlo; maquando mi fui abituato all'oscurità, mi avvicinai auno di quei pozzi di cui vi ho già parlato e che erachiuso a metà da un pilone precipitato. Un improv-viso pensiero mi balzò alla mente: forse la Cosa erasparita per quell'apertura? Accesi un fiammifero,

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guardai in fondo al pozzo, e scorsi una creatura bian-ca che si muoveva e mi fissava con due grandi occhiluminosi, ritirandosi verso il fondo. Rabbrividii. LaCosa assomigliava a un ragno umano! Si avvicinavasempre più al fondo del pozzo aggrappandosi allepareti, e adesso potei vedere per la prima volta uncerto numero di pioli metallici che formavano unaspecie di scaletta digradante verso il fondo. Poi ilfiammifero mi bruciò le dita e mi cadde di mano;quando ne ebbi acceso un altro, il mostriciattolo erascomparso.

« Non so quanto tempo rimasi a spiare in fondo aquel pozzo; certo più di quanto mi ci volle per per-suadermi che la cosa che avevo visto appartenevaal genere umano. Gradatamente cominciavo a intui-re la verità: la razza umana non era rimasta di un'u-nica specie, ma si era sviluppata sotto due formeben distinte fra loro: quei graziosi fanciulli del mon-do superiore non erano gli unici discendenti dellanostra stirpe; anche quella bianca, repellente Cosanotturna fuggita davanti a me era l'erede dell'evo-luzione dei tempi.

« Ripensando ai piloni vibranti e alla mia teoriasu una ventilazione sotterranea, cominciai a sospetta-re il loro vero significato. "Come inquadrare", michiedevo, "quel lemure nel mio schema di un'orga-nizzazione perfettamente equilibrata? E che rappor-ti ha esso con l'indolente serenità degli incantevoliabitanti del mondo superiore? Che cosa si nascondenel fondo di quei pozzi?". Mi sedetti sul bordo me-tallico, dicendo a me stesso che, in ogni modo, nonc'era da spaventarsi, e che dovevo scendere laggiùper trovare la soluzione di tutti i miei guai. Malgra-do questi ragionamenti, provavo però una tremendapaura all'idea di calarmi là in fondo! Mentre me nerestavo così indeciso, due belle creature, certo dueinnamorati si allontanarono correndo nella luce ver-68

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so un rifugio ombroso. Il maschio inseguiva la fem-mina lanciandole fiori.

« Sembrarono ambedue contrariati di vedermi se-duto sull'orlo del pozzo, col braccio appoggiato al pi-lastro capovolto e gli occhi fissi a scrutare il fondo.Ho già accennato al fatto che i miei ospiti non ri-tenevano molto corretto interessarsi a tali aperture,e quando accennai a quella su cui ero seduto, ten-tando nello stesso tempo di mettere insieme una do-manda nella loro lingua, essi si scostarono da mevisibilmente contrariati. Ma si mostrarono moltissi-mo incuriositi dai miei fiammiferi, sicché ne accesiqualcuno per divertirli; tentai quindi di nuovo diinterrogarli riguardo al pozzo, e di nuovo venni me-no al mio scopo. Li lasciai poco dopo con l'intenzio-ne di cercare Weena e vedere quel che potevo rica-vare da lei. Avevo nella testa un turbine di idee,di pensieri e di impressioni che non riuscivo a farquadrare, ma possedevo finalmente un filo condut- tore per stabilire l'importanza di quei pozzi, delletorri vibranti, dei misteriosi fantasmi, e mi era inol-tre balenata una mezza idea circa le porte di bronzoe il destino della mia Macchina del Tempo! Credevoanche di essere sulla via giusta per risolvere il re-bus intorno al problema economico di quella gente,problema che mi aveva reso sommamente perplesso.

« Eccovi dunque le mie nuove congetture. È chia-ro che la seconda specie umana conduceva una vitasotterranea; tre circostanze in particolare mi spin-gevano a credere che le sue rare apparizioni alla su-perficie della terra fossero la conseguenza di unaormai lunga abitudine alla vita sotterranea: in pri-mo luogo il colorito estremamente pallido, comunea molti animali che vivono quasi sempre al buio (ipesci bianchi delle grotte del Kentucky, per esem-pio); poi quegli occhi enormi che riflettevano la lucee che sono una caratteristica degli animali notturnicome il gufo e il gatto; e infine l'evidente idiosincra-

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sia alla luce del sole. Quelle fughe affrettate, quelcorrere barcollando verso l'ombra più fitta, quel ca-ratteristico portamento della testa, tenuta bassa sot-to la luce, confermavano la teoria di una rètina estre-mamente sensibile.

« Sotto i miei piedi la terra doveva essere percorsada enormi gallerie: l'abitazione, appunto, della nuo-va razza. La presenza dei pozzi e dei piloni di ven-tilazione lungo i fianchi delle colline - e ne sorge-vano da per tutto, tranne lungo la vallata del fiu-me - dimostrava che le ramificazioni delle galleriesi stendevano in tutti i sensi. Era assai logico, quin-di, pensare che tutto quanto occorreva alla facile vi-ta degli esseri che vivevano alla luce del sole fossepreparato in quel mondo inferiore e artificiale. Que-sta idea mi pareva talmente plausibile, che la accet-tai senza pensarci due volte, e cercai di spiegarmiin maniera verosimile la scissione della razza uma-na. Suppongo che immaginiate già di che teoria sitratta, sebbene, per; quel che mi riguarda, compresiben presto che essa non era affatto sufficiente a spie-gare l'intera verità.

« Basandomi sui problemi propri alla nostra epoca,sulle prime mi parve chiaro come la luce del soleche l'estendersi dell'attuale divergenza di opinionitra capitalisti e lavoratori, divergenze di caratterepuramente temporaneo e sociale, era la chiave ditutta la faccenda. Senza dubbio, la cosa vi sembreràgrottesca e addirittura incredibile; eppure, anche ainostri giorni esi.stono circostanze che avvaloranoquesto modo di pensare. Possiamo notare anche oggiuna tendenza a utilizzare lo spazio sotterraneo pergli scopi meno ornamentali della civilizzazione. Guar-date per esempio, a Londra, la ferrovia metropolita-na, le linee ferroviarie elettriche create da poco, isottopassaggi, i laboratori e i ristoranti sotterraneiche si vanno moltiplicando sempre più in fretta. Evi-dentemente, pensavo, questa tendenza si era svilup-70

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pala in maniera tale da togliere a ogni ramo dell'in-dustria il diritto di vivere alla luce del giorno; tal-ché essa si era sprofondata nel sottosuolo con tuttele sue fabbriche, restandovi sempre più a lungo, fi-no a prendervi stabile dimora. E anche adesso unoperaio dei sobborghi non vive forse in condizionialtrettanto artificiali, tagliato praticamente fuori dal-la superficie della terra?

« Per di più, le tendenze aristocratiche della gentericca - dovute senza dubbio alla sua educazione sem-pre più raffinata - e l'incolmabile abisso che la divi-de dalla rude violenza del povero, stanno già condu-cendo all'esclusione di quest'ultimo dalla superficiedella terra. Intorno a Londra, ad esempio, quasi lametà del territorio più attraente è chiuso ad ogniintrusione. E questo stesso abisso incolmabile - do-vuto al tempo e al gran denaro che costa un'educa-zione superiore, e perciò alla maggior facilità di pro-curarsela e alla tendenza verso abitudini raffinateda parte dei ricchi - determinerà una divisione sem-pre più netta fra classe e classe. Essa sarà facilitataanche dal fatto che ai nostri giorni non sono fre-quenti i matrimoni fra membri di ambienti diversi,cosa che impedisce sempre più l'espandersi della no-stra specie in tutti gli strati sociali. In tal modo, allafine, avremo al di sopra della terra i ricchi, che con-durranno una vita piacevole, comoda e bella, e sottola superficie terrestre i poveri, i lavoratori, la cui esi-stenza sarà un continuo adattamento alle condizionidel loro lavoro. Una volta confinata nel sottosuolo,questa parte di umanità sarà obbligata a pagare, enon poco, la ventilazione delle sue caverne; se si ri-fiuterà, di farlo dovrà morire di fame o di asfissia.Quindi una parte di costoro si adatterà a un'esisten-za miserabile, e i ribelli troveranno la morte, finoal giorno in cui i sopravvissuti non si adatterannoperfettamente a una condizione di vita sotterraneae non saranno felici del proprio stato, così come gli

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abitanti del mondo superiore saranno felici del loro.Ecco la ragione per cui mi convinsi che la raffinatabellezza degli uni e il triste pallore degli altri fos-sero una conseguenza naturale di quanto ho dettoprima.

« Allora guardai con altri occhi il grande trionfodell'umanità, di cui avevo tanto fantasticato: queltrionfo di educazione morale e di generale coopera-zione che avevo immaginato non esisteva affatto. Ve-devo invece una vera e propria aristocrazia, padro-na di una scienza perfezionata al massimo grado,condurre alla sua logica conclusione il sistema indu-striale odierno: il trionfo di questo sistema non erastato soltanto un trionfo sulla natura, ma anche sul-l'individuo-uomo. Badate che questa era la mia per-sonale teoria del momento: brancolavo nel regno del-l'utopia senza una guida competente. Forse la miaspiegazione è del tutto sbagliata, ma penso tuttaviache sia la più plausibile. Però, anche in questo caso,la perfettissima civiltà che si era finalmente raggiun-ta doveva avere da molto tempo toccato il suo apice,e ora si trovava in piena fase di decadenza; il com-pleto stato di sicurezza in cui vivevano gli esseridel mondo superiore li aveva condotti a una lentadegenerazione, riducendone le proporzioni fisiche, laforza e l'intelligenza: tutto ciò era fin troppo chiaroai miei occhi. Non potevo ancora sapere che cosafosse accaduto agli abitanti del mondo sotterraneo;ma, dal giudizio che mi ero fatto sul Morlocco - que-sto, a proposito, era il termine con cui venivanoclassificati quegli esseri -, mi era facile immaginareche nel loro caso la modificazione dell'esemplareumano era ancora più profonda di quella subita da-gli Eloi, cioè dalle belle creature che già conoscevo.

« Allora fui preso da una quantità di spiacevolidubbi. Dove avevano portato la mia Macchina delTempo, i Morlocchi? Ero certo che l'avessero sot-tratta loro. Ma perché gli Eloi, se erano i padroni,72

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non potevano restituirmela? E perché avevano unacosì tremenda paura del buio? Come vi ho detto, in-terrogai più volte Weena per avere schiarimenti sulmondo sotterraneo, ma senza alcun risultato: dap-prima non comprese le mie domande, poi si rifiutòdi rispondere, rabbrividendo come se l'argomento lefosse intollerabile; quando insistetti, forse con uncerto malgarbo, scoppiò in un pianto convulso. Fu-rono le sole lacrime, oltre alle mie, che vidi in quel-l'Età dell'Oro, e che mi fecero abbandonare di colpoil soggetto dei Morlocchi, per dedicarmi a cancellaredagli occhi di Weena i segni dolorosi dell'ereditàumana. Ben presto la mia amica tornò a sorrideree a battere le mani, mentre io accendevo solenne-mente un fiammifero.

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« Vi sembrerà strano, ma passarono due giorni pri-ma che potessi seguire con qualche successo il nuo-vo filo conduttore, che era senza dubbio quello giu-sto. I pallidi esseri sotterranei mi ispiravano unaspecie di repulsione: avevano il colore biancastrodei vermi e di quei pezzi anatomici che vediamo con-servati in barattoli pieni d'alcol nei musei zoologici;e inoltre erano orribilmente freddi. Ma è probabileche tale repulsione provenisse dall'influenza eserci-tata su di me dagli Eloi, di cui cominciavo a condi-videre il disgusto per i Morlocchi.

« Quella notte non riuscivo a prender sonno; for-se non ero in perfetto stato di salute, certo mi sen-tivo oppresso da ogni sorta di perplessità e di dub-bi. Una volta o due avvertii anche un senso di pau-ra non indifferente, senza che potessi attribuirlo auna ragione ben definita. Ricordo di essere scivolatoin punta di piedi nel salone in cui i miei piccoliospiti dormivano illuminati dal chiaro di luna - quel-la notte Weena era con loro -, e di aver attinto co-raggio dalla loro presenza. Pensai che tra poco laluna, al suo ultimo quarto, non avrebbe più rischia-rato la notte, e allora si sarebbero fatte più frequentile apparizioni delle disgustose creature sotterranee,pallidi lemuri, nuovissimi animali che avevano presoi l posto degli antichi.

« Durante quei due giorni mi sentii inquieto comeli cerchi di sottrarsi a un compito ineluttabile. Ave-

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vo la certezza che avrei potuto ricuperare la Mac-china del Tempo soltanto penetrando coraggiosamen-te nel misterioso mondo sotterraneo, ma non sapevodecidermi ad affrontarlo. Se avessi avuto anche unsolo compagno la cosa sarebbe stata diversa; ma erocosì terribilmente solo, che l'idea di calarmi nel buiodi uno di quei pozzi mi riempiva di terrore. Nonso se riuscite a comprendere il mio stato d'animo,ma vi ripeto che non mi sentivo affatto tranquillo.Forse fu questa inquietudine, questa mancanza disicurezza a guidarmi sempre più avanti e semprepiù lontano durante le mie peregrinazioni.

« Mi spinsi a sud-ovest in direzione della localitàche noi chiamiamo Combe Wood, e potei osservarein lontananza, verso il nostro Banstead, un enormeedificio verde, assai diverso da quelli che avevo vi-sti fino allora. Era più imponente di tutti i palazzie di tutte le rovine che già conoscevo: la sua facciataricordava l'architettura orientale, rivestita com'eradi una specie di smalto lucido color verde pallidoa sfumature bluastre, proprio di certe porcellane ci-nesi. Questo suo diverso aspetto mi fece supporreche il palazzo fosse adibito a un uso differente daglialtri, il che mi incitò a persistere nella mia esplo-razione. Ma il giorno era ormai troppo avanzato, ela strada che mi restava da percorrere troppo lungae faticosa: risolsi quindi di rimandare l'avventuraall'indomani, e ritornai indietro, accolto dal benve-nuto e dalle carezze di Weena. Il giorno seguente miresi conto che la mia curiosità riguardo al palazzo diporcellana verde era soltanto una maniera di ingan-nare me stesso, consentendomi di rimandare ancoradi un giorno un'esperienza che mi faceva paura; per-ciò decisi di scendere sotto terra senza ulteriori per-dite di tempo, e mi diressi di buon'ora verso il poz-zo che si trovava accanto alle rovine di quarzo e dialluminio.

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« La piccola Weena mi accompagnò fino al pozzodanzandomi accanto, ma quando mi vide chino sul-l'apertura a guardarvi dentro, parve assai sconcer-tata. "Arrivederci, piccola Weena", le dissi baciando-la; poi la posai a terra, e cominciai a cercare, standosul parapetto, i pioli per discendere; e lo facevo piut-tosto frettolosamente, debbo confessarlo, perché te-mevo che il coraggio mi venisse meno.

« Da principio Weena mi guardò meravigliata, poiemise un grido che mi commosse; mi corse accantoe si aggrappò a me con tutte e due le manine. Il suogesto mi spronò all'impresa: la costrinsi forse in ma-niera un po' brusca a lasciarmi, e dopo un attimomi trovavo nella gola del pozzo. Vidi il volto dispe-rato di Weena al di sopra del parapetto, e sorrisi perrassicurarla; poi fui costretto a guardare in bassoper cercare gli scalini ai quali mi afferrai salda-mente.

« Dovetti discendere per circa duecento metri, at-taccandomi mani e piedi alle sbarre metalliche fis-sate alle pareti del pozzo; erano scalini fatti per es-sere usati da individui molto più piccoli e più leg-geri di me, quindi mi sentii ben presto raggranchitoe stanco. E non soltanto stanco. Una delle sbarre sipiegò improvvisamente sotto il mio peso, e per poconon precipitai nell'oscurità sottostante: restai perun attimo che mi sembrò eterno, appeso per una so-la mano, e dopo questa esperienza non osai più in-dugiare. Le braccia e la schiena mi dolevano, maseguitai la ripida discesa più in fretta che mi fu pos-sibile. Quando guardavo in alto, vedevo l'aperturadel pozzo come un piccolo disco azzurro nel qualesi scorgeva anche una stella; e la testina di Weenasembrava una macchia scura e rotonda.

« Il rumore sordo di una macchina saliva dal fon-do sempre più forte e più opprimente. Ero circon-dato dall'oscurità, salvo il minuscolo disco azzurro

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là in alto; e quando rialzai il capo, Weena era scom-parsa. Mi sentii in preda a un disperato sconforto,tanto che pensai di risalire alla superficie del pozzosenza più curarmi del mondo sotterraneo; rimugina-vo nella mente questi propositi, eppure seguitavo ascendere. Infine, con mio immenso sollievo, intravi-di, a poche decine di centimetri alla mia destra, unasottile feritoia ricavata nel muro. Mi avvicinai adessa, e scoprii che si trattava dell'imboccatura diuna stretta galleria orizzontale in cui potevo sdraiar-mi per riposare un poco. Avvertivo un gran dolorealle braccia, avevo la schiena tutta indolenzita, e tre-mavo ancora per il continuo spavento di una caduta;inoltre, la fitta oscurità aveva avuto un effetto disa-stroso sui miei occhi. L'aria intorno a me era pienadi ronzii e di vibrazioni dovuti ai macchinari chepompavano aria nel fondo del pozzo.

« Non so dirvi per quanto tempo rimasi sdraiatoin una specie di semincoscienza, da cui mi destai al-lorché una mano morbida mi sfiorò il viso. Balzaiin piedi nel buio, trassi di tasca i fiammiferi, ne ac-cesi uno, e vidi tre forme bianche accucciate, del tut-to simili a quella che avevo sorpreso tra le rovinenell'atto di ritirarsi in fretta davanti alla luce. Vi-vendo in quelle tenebre che a me sembravano impe-netrabili, i loro occhi erano diventati enormi ed estre-mamente sensibili, proprio come quelli dei pesci abis-sali, e riflettevano la luce nello stesso modo. Sonocerto che quegli esseri mi vedevano benissimo, nésembravano aver paura di me; temevano invece laluce, tanto che, appena accesi il fiammifero, fuggiro-no immediatamente, scomparendo dentro fossati egallerie dalla cui oscurità i loro occhi continuaronoa fissarmi, sorprendentemente scintillanti.

« Tentai di rivolger loro la parola, ma dovevanousare un linguaggio diverso da quello degli esseridel mondo superiore, sicché tutti i miei sforzi furono

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vani, e caddi di nuovo in preda alla tentazione difuggire senza esplorare quel mondo. "Sei venuto pro-prio per questo", mi dissi però; e ripresi la stradadella galleria, fino a che udii più forte il rumoredelle macchine. Dopo poco il pozzo si allargò, e quan-do accesi un altro fiammifero mi accorsi di esserepenetrato in un'ampia caverna dal soffitto a volta,immersa anch'essa nell'oscurità salvo il tratto da meilluminato: potei vedere solo quel poco che era pos-sibile scorgere alla debole luce di un fiammifero.

« I miei ricordi sono necessariamente assai vaghi;dalla semioscurità emergevano sagome di grosse mac-chine che proiettavano ombre nere e grottesche, nel-le quali confuse forme spettrali di Morlocchi cerca-vano protezione contro la debole luce; l'atmosferaera quanto mai greve e opprimente, pervasa da unlieve sentore di sangue fresco; e circa al centro del-lo spiazzo scorsi un tavolino di metallo bianco appa-recchiato come per un pasto: evidentemente i Mor-locchi erano carnivori! Ancora adesso ricordo di es-sermi chiesto da quale animale sopravvissuto fossefornito il grosso pezzo di carne rossa che vedevo sultavolo. Tutto, intorno a me, era vago e indistinto:l'odore greve che stagnava nell'aria, quelle grossesagome a cui non sapevo dare un nome, le repellentifigure celate nell'ombra in attesa dell'oscurità pervenire di nuovo verso di me! Il fiammifero si spensebruciandomi le dita, e cadde a terra, segno rosseg-giante che si torceva nelle tenebre.

« Già da tempo mi ero accorto di essere.assai maleequipaggiato per un simile esperimento. Quando eropartito sulla Macchina del Tempo lo avevo fatto ba-sandomi sull'assurda supposizione che gli uomini delfuturo fossero molto più progrediti di noi in tuttii campi; mi ero mosso, quindi, senza portare con mené armi né medicine; non avevo tabacco - ne sentivospaventosamente il bisogno - e neppure una scatoladi fiammiferi. Avessi almeno pensato a una Kodak!78

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Sarebbe bastato un attimo a fotografare quella in-certa visione di mondo sotterraneo che poi avrei esa-minato a mio agio. Così come stavano le cose, nonpotevo disporre altro che delle armi e delle forzefornitemi dalla natura: mani, piedi, denti, e i quat-tro fiammiferi che ancora mi restavano.

« Provavo un certo timore all'idea di procedere albuio in mezzo a quelle macchine; soltanto all'ultimoguizzo di luce del fiammifero che si era appena spen-to mi ero accorto di non possederne quasi più. Finoa quel momento non avevo pensato che era neces-sario usarli con parsimonia, e ne avevo sciupatoquasi mezza scatola per divertire gli esseri del mon-do superiore, per i quali il fuoco rappresentava unanovità. Adesso me ne restavano quattro.

« Mentre ero immobile nel buio, una mano toccòla mia, e altre dita lunghe e magre si posarono sulmio viso; avvertii nello stesso tempo un odore inso-lito e sgradevole: mi parve anche di udire il respirolevantesi dalla folla di spaventose creature che micircondavano. Sentii che qualcuno cercava di toglier-mi con delicatezza la scatola di fiammiferi che avevoin mano, mentre altre dita mi tiravano con violenzagli abiti. Il fatto di venire esaminato da quegli esseriche non potevo vedere mi procurava un'impressionesommamente spiacevole; cercai di vincerla, e mi re-si conto d'un tratto che non avevo la minima ideasul loro modo di pensare e di agire. Mi rivolsi ad es-si urlando più forte che potevo; si allontanarono,ma poco dopo li sentii avvicinarsi di nuovo. Mi af-ferrarono con maggiore impudenza di prima, sussur-randosi strane cose gli uni con gli altri. Rabbrividiifino nelle ossa, e urlai di nuovo; ma questa volta nondovettero spaventarsi troppo, perché emisero unaspecie di risa soffocate e si avvicinarono ancora dipiù. Vi confesso che provavo una paura feroce. De-cisi di accendere un altro fiammifero, e di fuggireprotetto dalla sua luce.

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« Così feci, e detti anche fuoco a un pezzo di car-ta che mi tolsi di tasca, per ottenere una luce piùviva, mentre mi ritiravo verso la stretta galleria dacui ero venuto. Avevo fatto appena in tempo a en-trarvi, quando la luce si spense di nuovo e udii iMorlocchi muoversi nell'oscurità e precipitarsi ver-so di me, suscitando un fruscio simile a quello chefanno la pioggia e il vento tra le foglie. Dopo un mi-nuto fui afferrato da parecchie mani che avevanotutta l'intenzione di trascinarmi indietro. Accesi unaltro fiammifero, e lo agitai verso quelle facce scon-certate.

« Non potete immaginare come mi apparissero inu-mane e nauseanti: pallidi volti privi di mento, enor-mi occhi senza palpebre, di un colore rosagrigiastro,che mi fissavano smarriti e accecati dalla luce. Possoassicurarvi che non mi fermai a guardarli: indietreg-giai di nuovo, e quando il secondo fiammifero fu con-sumato accesi il terzo; anche questo era quasi bru-ciato del tutto, nel momento in cui raggiunsi l'aper-tura che immetteva nel pozzo. Allora mi sdraiai, poi-ché il pulsare della gigantesca pompa mi dava levertigini: e mentre cercavo con le mani le sbarre diferro fissate alle pareti, mi sentii afferrare per i pie-di e trascinare con violenza indietro. Accesi l'ulti-mo fiammifero, che si spense immediatamente; peròadesso avevo le mani sulle sbarre e, tirando calcicon tutte le mie forze, riuscii a sciogliermi dallastretta dei Morlocchi e ad arrampicarmi su per ipioli, mentre essi mi fissavano sbalorditi, salvo undisgraziato che mi seguì per un poco tentando diimpadronirsi di una mia scarpa, quasi fosse stata untrofeo!

« L'ascesa lungo le pareti del pozzo mi parve in-terminabile; a circa dieci metri dall'apertura supe-riore fui preso da una nausea fortissima, sicché midivenne estremamente difficile reggermi alle sbarre;

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e per salire gli ultimi scalini dovetti lottare dispera-tamente contro la debolezza che stava per sopraffar-mi. Fui anche colto da vertigini, che mi davano lasensazione di precipitare. Ma riuscii alla fine a rag-giungere l'imboccatura del pozzo, barcollai, e caddicol viso a terra fa le rovine, sotto un sole accecante.Ricordo che Weena mi coprì di baci le mani e leorecchie, ricordo le voci di altri Eloi; poi, per qual-che tempo, non sentii più nulla.

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« E adesso mi trovavo in una situazione ancorapeggiore. Fino ad allora, tranne che nella notte an-gosciosa in cui mi ero accorto di aver perso la Mac-china del Tempo, avevo sempre sperato in una fugafinale, dopo le mie ultime scoperte, ma tale speranzadileguò. Avevo creduto fino a quel momento di es-sere trattenuto solo a causa della fanciullesca-sem-plicità dei miei piccoli ospiti e di una forza scono-sciuta di cui mi sarei reso padrone non appena l'a-vessi individuata. Ma esisteva un elemento del tut-to nuovo, nella disgustante personalità dei Morloc-chi, qualcosa di inumano e di maligno, che suscitavain me una ripugnanza istintiva. Dapprima mi erosentito come può sentirsi un uomo caduto dentrouna buca, il quale non pensa che alla maniera ditirarsene fuori; adesso mi sentivo come una bestiain trappola, su cui il nemico può piombare da un mo-mento all'altro.

« Forse vi sorprenderà sapere qual era il nemicoche temevo: l'oscurità notturna nel periodo della lu-na nuova. Weena mi aveva inculcato questa pauraaccennando ogni tanto - e da principio io non l'avevocompresa - alle Notti Nere. Adesso non mi era diffi-cile pensare a quello che le prossime Notti Nere po-tevano significare: la luna era nella sua fase decre-scente e ogni notte l'oscurità si prolungava semprepiù; potevo ormai comprendere almeno approssima-tivamente la ragione per cui gli abitanti del mondosuperiore temevano il buio, e mi chiedevo quale di-

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sgustante malvagità avrebbero compiuto i Morlocchidurante la luna nuova.

« Sapevo con certezza che la mia seconda ipotesiera completamente sbagliata. I miei ospiti del mon-do superiore dovevano avere rappresentato, un tem-po, l'aristocrazia della razza umana, e i Morlocchii loro servitori meccanici; ma ormai tutto ciò appar-teneva al passato. Le due specie derivate dall'evolu-zione dell'uomo stavano scivolando verso nuovi reci-proci rapporti, e forse inconsciamente questi rappor-ti si erano già stabiliti. Gli Eloi, come i re Carolingi,erano ormai ridotti a una semplice espressione divana bellezza; erano ancora padroni della superficieterrestre unicamente perché i Morlocchi, esseri sot-terranei da innumerevoli generazioni, non sopporta-vano la luce del giorno; costoro, concludevo, prepa-ravano gli abiti degli Eloi e provvedevano ai loroquotidiani bisogni, per la vecchia, innata abitudinedi servire gli altri, forse. Anche i cavalli continuano,ai nostri giorni, a raspare il terreno con gli zoccoli,e gli stessi uomini provano piacere a uccidere gli ani-mali per sport: le antiche necessità, ormai superate,hanno fissato questi istinti in modo indelebile, nellapersonalità umana. Ma senza dubbio il remoto ordinedi cose era già, almeno in parte, invertito; la Nemesistava rapidamente insinuandosi nel destino della raz-za più delicata: in epoche trascorse, migliaia di gene-razioni prima, l'uomo aveva privato il suo fratellodegli agi e della vista del sole; adesso questo fratellocompiva la strada inversa, e come mutato! Gli Eloiavevano già cominciato a imparare di nuovo una vec-chia lezione, facevano di nuovo conoscenza con lapaura.

« Proprio in quel momento mi ricordai del pezzodi carne che avevo visto sul tavolo, nel mondo infe-riore, e quel ricordo non voleva uscirmi dalla men-te; non l'aveva risvegliato il flusso delle mie medi-tazioni, ma era nato al di fuori di esse, come una

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domanda. Tentai di ricordare l'aspetto di quel pezzodi carne, poiché avevo la vaga sensazione che do-vesse trattarsi di qualcosa di familiare, sebbene inquel momento non riuscissi a dargli un nome.

« Comunque, se gli Eloi erano impotenti di frontealla loro misteriosa paura, io ero fatto in manieradiversa; provenivo dalla nostra epoca, generatricedella razza umana nel suo pieno rigoglio, in cui lapaura non paralizza nessuno e il mistero ha persola facoltà di terrorizzare gli uomini. Io mi sarei perlo meno difeso. Decisi di costruirmi sùbito delle ar-mi e di cercare un rifugio sicuro per dormire; sareicosì stato in grado di affrontare quel bizzarro mon-do con una parte della sicurezza perduta allorchéavevo compreso a quali esseri ero in balìa ogni not-te. Sentivo che non avrei potuto addormentarmi, pri-ma che il mio letto fosse al sicuro da essi, e rabbri-vidivo di orrore al solo pensiero che potevano giàavermi preso di mira.

« Vagai per tutto il pomeriggio lungo la valle delTamigi senza trovare un rifugio che potesse apparireinaccessibile: tutti i fabbricati e tutti gli alberi miparvero troppo a portata dei Morlocchi, abili arram-picatori senza dubbio, a giudicare dai loro pozzi. Mitornarono allora alla mente gli alti pinnacoli del pa-lazzo di porcellana verde e la levigata lucentezza del-le sue mura; e quella stessa sera mi incamminai super le colline in direzione sud-ovest, portandomi Wee-na a cavalluccio sulle spalle, come una bimba. Pen-savo dapprima che la distanza da percorrere fossedi circa dieci chilometri, ma poi mi accorsi che po-teva essere anche di molto maggiore: avevo visitatoil luogo in un pomeriggio umido e nebbioso, e conquel tempo non è facile calcolare le distanze. Inol-tre, avevo perduto il tacco di una scarpa, e anche lasuola era bucata - calzavo scarpe molto vecchie e co-mode, quelle che porto per casa -, quindi non potevocamminare in fretta. Il sole era tramontato da un

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pezzo, allorché giunsi in vista del palazzo, che si sta-gliava nero contro il cielo ancora illuminato da unapallida luce.

« Weena si era mostrata felicissima del suo nuovomezzo di trasporto, ma dopo qualche tempo vollescendere per correre al mio fianco, da cui si allon-tanava ogni tanto per raccogliere qualche fiore chemi metteva in tasca. Le mie tasche erano sempre sta-te per lei una cosa abbastanza misteriosa; aveva allafine deciso che fossero una specie di vasi da fiori unpo' fuori del comune, e le utilizzava di conseguenza.Questo mi fa venire in mente che cambiandomi lagiacca ho trovato...

Il Viaggiatore del Tempo tacque, si mise una ma-no in tasca e posò in silenzio sul tavolino due fioriappassiti, simili a due grandi malve bianche. Poi ri-prese il racconto.

— Il silenzio della sera era sceso sul mondo, e noisalivamo in direzione di Wimbledon; Weena era or-mai stanca e voleva tornare alla casa di pietra gri-gia, ma io le indicai i lontani pinnacoli del palazzodi porcellana verde, e tentai di farle comprendereche stavamo cercando un rifugio in quel luogo, unrifugio contro la paura. Conoscete anche voi il silen-zio solenne che fascia tutte le cose prima che scendala notte? Perfino la brezza cessa di scherzare tra lefoglie degli alberi. Quel silenzio suscita sempre inme un senso di attesa. Il cielo era remoto, limpido,segnato soltanto, all'orizzonte, da strisce che indica-vano il punto in cui il sole era tramontato. Quellasera la mia attesa aveva il colore della paura e imiei sensi sembravano acuirsi prodigiosamente a ma-no a mano che l'aria si faceva più scura e più tran-quilla. Mi figuravo di poter perfino percepire le gal-lerie scavate nella terra sotto i miei piedi, e di scor-gere i Morlocchi in attesa delle tenebre nei loro for-

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micai. Nella mia eccitazione immaginavo che avesse-ro interpretato la scorreria da me compiuta nellaloro tana come una dichiarazione di guerra. E perchépoi avevano sottratto la Macchina del Tempo?

Seguitammo a camminare, circondati da unaquiete assoluta, mentre il crepuscolo cedeva alla not-te; l'azzurro del cielo svaniva a poco a poco, e le pri-me stelle cominciavano a brillare sopra la terra sem-pre più buia e sopra gli alberi sempre più neri. Lapaura e la stanchezza di Weena aumentavano di mi-nuto in minuto, sicché la sollevai da terra e le par-lai con dolcezza, accarezzandola; poi, quando l'oscu-rità fu più fitta, Weena mi passò le braccia attornoal collo, chiuse gli occhi e mi nascose il viso controla spalla. Discendemmo un pendìo fino a raggiunge-re il fondo della vallata, e nel buio andai quasi a fi-nire dentro un ruscello; lo guadai, e risalii la valledalla parte opposta, sorpassando qualche casa addor-mentata e una statua che raffigurava un fauno oqualcosa di simile, senza la testa. Anche qui il ter-reno era ricco di acacie. Finora non avevo scortoneanche un Morlocco, ma la notte era caduta da poco,e le ore più buie, quelle precedenti il sorgere dellaluna, dovevano ancora venire.

« Dalla sommità della collina vidi un bosco fitto enero allargarsi davanti a me. Mi fermai; e per quan-to guardassi, non riuscii a vederne la fine. Ero assaistanco, e i piedi mi dolevano da non poterne più;appoggiai a terra Weena con ogni precauzione. Nonvedevo più il palazzo di porcellana verde, e non sa-pevo che direzione prendere. Fissai lo sguardo nelbosco, e mi chiesi che cosa nascondesse: sotto il fittointrigo dei rami non avrei potuto neppure scorgerele stelle, e se la foresta non avesse celato in sé al-tri pericoli - pericoli sui quali il mio pensiero prefe-riva non fermarsi -, ci sarebbe pur sempre stato unterreno accidentato da percorrere e tronchi d'alberocontro i quali avrei urtato a ogni passo.

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« Dopo le eccitazioni della giornata, mi sentivostanchissimo; decisi quindi di non affrontare un cam-mino tanto impervio e di passare la notte sulla col-lina, all'aperto.

« Weena fortunatamente dormiva; la avvolsi concura nella mia giacca, e sedetti accanto a lei ad at-tendere il sorgere della luna. La collina era tranquil-la e deserta, ma dalle oscure profondità del boscogiungeva di quando in quando al mio orecchio unfruscio che sembrava prodotto da cose vive. La not-te era limpidissima, e il cielo trapunto di stelle, ilcui palpitare mi infondeva un senso di piacevole si-curezza. Tutte le vecchie costellazioni erano sparite;il lento moto degli astri, impercettibile nella duratadi cento generazioni, le aveva riunite in raggruppa-menti che mi erano sconosciuti; ma ebbi l'impressio-ne che la Via Lattea fosse ancora la stessa scìa ir-regolare disseminata di polvere di stelle. Verso sud- o così mi parve - splendeva la luce rossastra di unastella che non conoscevo e che era ancor più bril-lante della nostra Sirio. E tra tutti quei punti scintil-lanti, un luminoso pianeta splendeva di luce fissa,benevolo come il volto di un vecchio amico.

« Tutti i miei guai e tutti i pesi della vita umanaparvero rimpicciolire, mentre guardavo le stelle: pen-savo alla loro incommensurabile distanza e al lento,ineluttabile corso dei loro movimenti, da un ignotopassato verso un ignoto futuro. Pensavo all'ampio,solenne ciclo precessionale che compie l'asse terre-stre: quella silenziosa rivoluzione si era verificatasoltanto quaranta volte, negli innumerevoli anni cheavevo attraversato, e durante quelle poche rivolu-zioni tutte le attività, tutte le tradizioni, le organiz-zazioni più complesse, le nazioni, i linguaggi, le let-terature, le aspirazioni, perfino il ricordo dell'uomo- come io lo conoscevo - erano stati spazzati via, an-nullati; al loro posto ecco queste fragili creature cheavevano dimenticato la propria origine e queste Co-

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se bianche che mi incutevano tanto timore. Conside-rai inoltre la grande paura che divideva le due spe-cie umane, e per la prima volta ebbi l'esatta perce-zione - e ne rabbrividii - di quella che poteva esserela carne che avevo visto su quella tavola. Era trop-po, troppo orribile! Guardai la piccola Weena addor-mentata accanto a me, il suo volto pallido sotto laluce delle stelle, e immediatamente respinsi tale pen-siero.

« Durante tutta quella lunghissima notte cercai,per quanto mi fu possibile, di non pensar più ai Mor-locchi, e trascorsi il tempo immaginando di ritrovarei segni delle vecchie costellazioni nella nuova dispo-sizione degli astri. Il cielo si manteneva sereno, tran-ne qualche vaga, leggerissima nuvola. Senza dubbiodovetti assopirmi, di tanto in tanto; poi, durante unperiodo di veglia, un debole riverbero di luce rischia-rò il cielo verso oriente simile al riflesso di una fiam-ma priva di colore, e la luna si levò sottile, appun-tita e bianchissima. Sùbito dopo, il lieve chiarore fusoverchiato da quello dell'alba nascente in una lucetenue che si tingeva a poco a poco di un rosa sem-pre più caldo.

Nemmeno un Morlocco si era avvicinato a noi enon ne avevo intravisti neppure sulla collina. La fi-ducia rinacque in me col rinascere del giorno: la miapaura era stata del tutto irragionevole. Mi alzai, emi accorsi che il piede calzato con la scarpa senzatacco si era gonfiato sino alla caviglia e mi facevamale; sedetti di nuovo, mi tolsi le scarpe, e le gettailontano.

« Dopo qualche minuto svegliai Weena; ed entram-mo insieme nel bosco, che adesso mi appariva verdee invitante invece che nero e pauroso. Trovammosùbito dei frutti con cui rompere il digiuno, poi neassaggiammo altri ancor più squisiti, e li mordemmoridendo e danzando nella luce del sole, completa-mente dimentichi della cosa che aveva nome notte.88

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« Poi il mio pensiero corse di nuovo alla carne cheavevo vista: adesso sapevo con certezza da dove pro-veniva, e dal più profondo del cuore compiansi que-sto superstite, debole ruscello scaturito dall'immensafiumana dell'umanità. Evidentemente, in un dato pe-riodo del lunghissimo tempo occorso al decadere delgenere umano, il cibo dei Morlocchi si era fatto scar-so, e forse essi erano stati costretti a nutrirsi di topie di animali simili. Anche ai nostri tempi, l'uomoè meno difficile e meno raffinato, nella scelta del ci-bo, di quanto lo fosse in epoche precedenti: pocopiù raffinato di una scimmia; il suo pregiudizio con-tro l'uso della carne umana non nasce da un istintoben radicato. E così quegli inumani figli degli uo-mini...

« Tentai di studiare la cosa da un punto di vistarazionale: dopo tutto, costoro erano meno umani eancor più remoti da noi di quanto lo fossero i nostriantenati cannibali di tre o quattromila anni fa; l'in-telligenza che avrebbe reso questo stato di cose uninsopportabile tormento si era spenta. Perché avreidovuto sentirmi turbato? Questi Eloi non erano chebestiame ingrassato che i Morlocchi formiche custo-divano per poi impadronirsene, e di cui probabil-mente sorvegliavano anche la riproduzione. Mi vol-si a guardare Weena che mi danzava accanto.

« Cercai di allontanare da me l'orrore che mi per-vadeva in ogni fibra, e di considerare tutta la faccen-da come una dura punizione inflitta all'egoismo uma-no. L'uomo aveva vissuto felice fra gli agi e i pia-ceri valendosi della fatica del suo simile; la sua pa-rola d'ordine era stata una sola: "Necessità", e se neera servito come di una valida scusa: con l'andar deltempo la necessità era divenuta abitudine. Cercai an-che di considerare col disprezzo di Carlyle questamiserabile aristocrazia in piena decadenza, ma nonmi fu possibile. Per quanto grande fosse il loro in-vilimento intellettuale, gli Eloi conservavano ancora

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un'apparenza troppo umana, perché non mi sentissisolidale con loro e perché la loro degradazione e laloro paura non mi toccassero da vicino.

« In quei momenti avevo un'idea molto vaga dellastrada da seguire; la cosa più importante era trovareun rifugio sicuro e fabbricarmi qualche arma di me-tallo o di pietra; e dovevo farlo sùbito. Speravo inol-tre di procurarmi, in un secondo tempo, i mezzi peraccendere un fuoco: una torcia sarebbe stata l'armapiù efficace contro i Morlocchi. Infine, dovevo escogi-tare la maniera di aprir le porte di bronzo sotto lasfinge bianca, servendomi di un arnese che facesse lefunzioni di un ariete. Ero convinto che, se avessi po-tuto penetrare oltre quelle porte tenendo in manouna sorgente luminosa, avrei potuto scoprire la Mac-china del Tempo e fuggire con essa: certo i Morloc-chi, deboli come erano, non avevano potuto traspor-tarla molto lontano. Weena sarebbe venuta con menel nostro tempo.

« Con la mente piena di progetti seguitai a cammi-nare verso il palazzo che avevo scelto come rifugio.

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« Giunsi nei pressi del palazzo di porcellana verdeverso mezzogiorno, e vidi che era disabitato e in ro-vina: alle finestre non restavano che frammenti divetri, grandi lastre di smalto verde si erano staccatedalla struttura metallica corrosa dal tempo. Il palazzosi ergeva altissimo su un terreno coperto da zolle er-bose; prima di entrarvi guardai verso nord-ovest, nelpunto dove, secondo me, dovevano essere stati untempo Wandsworth e Battersea, e fui sorpreso di tro-vare al loro posto un grande estuario. Pensai allora- e cercai sùbito di scacciare dalla mente questo pen-siero - che cosa poteva essere accaduto, che cosa stes-se tuttora accadendo agli esseri viventi del mare.

« Il palazzo era davvero costruito con un materialesimile alla porcellana. Sulla facciata spiccava un'iscri-zione a caratteri sconosciuti; ebbi la sciocca idea cheWeena potesse aiutarmi a decifrarla, ma mi accorsiben presto che la mia piccola amica non aveva la piùlontana idea che esistesse la scrittura; credo di aversempre considerato quella creatura più umana diquanto fosse in realtà, forse perché l'affetto che midimostrava era veramente umano.

« Dietro i grandi portali spalancati e rotti, invecedel consueto atrio si apriva una lunga galleria illu-minata da finestre poste sui due lati, e questo mi fecesùbito pensare a un museo. Il pavimento di mattonel-le e un imponente numero di oggetti disparati eranocoperti da un fitto strato di polvere; mi sentivo comesperduto, in quell'enorme ambiente, e mi guardavo

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attorno sbalordito, quando scorsi quella che dovevaessere la parte inferiore di uno scheletro mostruosodalle estremità ricurve: l'esemplare di una razza or-mai estinta, qualcosa di simile a un megaterio; il cra-nio e poche ossa superiori gli erano accanto nella pol-vere, mentre il resto dello scheletro doveva esser sta-to trascinato via dall'acqua piovana caduta da unabreccia del tetto. Più avanti si ergeva un altro schele-tro, di imponenti dimensioni, che riconobbi per quel-lo di un brontosauro. Si trattava dunque proprio diun museo. Mi avvicinai a una parete, e vidi degliscaffali inclinati su cui posavano, quasi invisibili sot-to una coltre di polvere, le vecchie familiari teche divetro dei nostri musei; dovevano essere impenetra-bili all'aria, a giudicare dalla buona conservazione diqualcuno degli oggetti in esse contenuti.

« Ci trovavamo certamente tra le rovine di un mo-dernissimo South Kensington, e probabilmente nellasua sezione paleontologica, ricca di una splendidacollezione di fossili; tuttavia, l'inevitabile processo didecomposizione, che era stato ritardato a causa del-l'estinzione di funghi e bacteri, perdendo così il no-vantanove per cento della sua forza, aveva agito non-dimeno implacabilmente su tutti quei tesori, se purecon estrema lentezza. Qua e là trovai tracce del minu-scolo popolo che aveva ridotto in pezzi e in strisce suiloro scaffali esemplari di fossili rari. Parecchie cu-stodie di vetro erano state rimosse dai loro posti,forse dai Morlocchì.

« In quel luogo silenzioso, anche il rumore dei no-stri passi era attutito dalla polvere; Weena, che avevafatto ruzzolare un riccio di mare dal suo astuccio divetro, mi venne accanto mentre ero immerso nei mieipensieri, mi prese silenziosamente una mano e mi re-stò vicina.

« Ero rimasto talmente sorpreso da questo anticomonumento di un'epoca che valorizzava ancora lefacoltà intellettuali, da non pensare affatto alle possi-92

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bilità che poteva offrirmi; perfino la mia costantepreoccupazione sulla sorte della Macchina del Tempoera divenuta meno incalzante.

« A giudicare dalle sue dimensioni, il palazzo diporcellana verde non doveva contenere soltanto lagalleria palentologica; forse c'erano anche galleriestoriche, forse una biblioteca: persino nelle presenticircostanze, queste ultime mi avrebbero interessatomolto di più della raccolta di antichi pezzi geologiciin decomposizione. Procedendo nella mia visita, mitrovai in una galleria più corta, orientata in sensotrasversale rispetto alla prima, e che sembrava dedi-cata ai minerali; la vista di un blocco di zolfo mi fecepensare alla polvere da sparo. Non trovai però trac-cia di salnitro né di altri nitrati; senza dubbio si era-no disciolti da chi sa quanti secoli. Mi si era fitta inmente l'idea dello zolfo, e questa idea ne aveva pro-vocate infinite altre; ma i minerali contenuti nellagalleria, quasi tutti meglio conservati del materialeche avevo già visto, suscitavano in me un interessemolto relativo.

« Non mi intendo molto di mineralogia, quindi ab-bandonai il luogo, e mi trovai in una specie di corri-doio diroccato, parallelo alla prima galleria. Si tratta-va, evidentemente, della sezione dedicata alla storianaturale, ma tutto ciò che vi si trovava era da lungotempo divenuto irriconoscibile: non vidi che vestigiaannerite e raggrinzite di antichi animali imbalsamati,mummie ormai disseccate in barattoli senza più alcol,piante ridotte a una polvere bruna. Ne rimasi contra-riato, perché ben volentieri avrei seguito l'evoluzionecompiuta durante i secoli dalla natura animata.

« Giungemmo poi a una galleria di proporzioni co-lossali ma assai male illuminata, il cui pavimentoinclinato formava un leggero angolo nel punto in cuiero entrato. Globi bianchi, - quasi tutti spezzati - pen-devano dal soffitto a intervalli regolari: segno che illuogo, in origine, era illuminato artificialmente. Qui

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mi trovavo nel mio elemento, fra una quantità digrosse macchine più o meno corrose, alcune a pezzi,altre invece del tutto complete. Sapete che ho unacerta debolezza per la meccanica, quindi vi sarà facilecomprendere il mio desiderio di indugiare in quellagalleria, tanto più che quasi tutte le macchine conte-nutevi erano interessanti come altrettanti enigmi,dato che potevo solo a mala pena immaginare per cheuso fossero state costruite; pensavo che se fossi riu-scito a risolvere tali enigmi, mi sarei procurato leforze necessarie a combattere i Morlocchi.

« Weena si strinse al mio fianco così improvvisa-mente, da farmi trasalire; se non fosse stato per lei,non credo che avrei notato che il pavimento dellagalleria era inclinato '. Il punto da cui ero entrato sitrovava al livello del terreno; il locale prendeva luceda poche finestre verticali, strette e alte; seguendola lunghezza della galleria il pavimento si sollevavacontro le finestre in modo che, davanti a quelle infondo, si formava una specie di zona simile al fossatoprospiciente il fronte di alcune case di Londra, consolo una piccola striscia di luce filtrante dalla som-mità.

« Camminavo adagio, troppo intento a studiare lemacchine per notare la graduale diminuzione dellaluce, fino a quando il crescente timore di Weena at-trasse la mia attenzione; notai allora che la galleriaera quasi immersa nell'oscurità. Mi fermai esitante e,guardandomi intorno, mi accorsi che lo strato di pol-vere s'era fatto meno spesso e meno uniforme; e suldavanti, ove la luce era ancora più fioca, apparivasegnato da numerose orme corte e sottili. Ebbi l'im-pressione dell'immediata presenza dei Morlocchi, ecompresi che stavo perdendo il mio tempo, nell'acca-demico esame di quelle macchine. Il pomeriggio era

1 Può darsi benissimo che il pavimento non fosse inclinato,ma che il museo fosse costruito sul fianco di una collina.(N.d.A.)

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già molto avanzato e non avevo ancora trovato néun'arma né un rifugio né i mezzi per accendere unfuoco. Laggiù, nella remota oscurità della galleria,udivo il caratteristico scalpiccio e gli stessi misteriosirumori che avevo già avvertiti in fondo al pozzo.

« Presi Weena per la mano; poi, colpito da un'ideaimprovvisa, la lasciai, e mi avvicinai a una macchinada cui sporgeva una leva simile a quella di una ca-bina di segnalazione. Mi arrampicai sulla piattaformadella macchina, afferrai la leva e mi ci appoggiai so-pra premendo con tutto il mio peso.» Weena, rimastasola in mezzo alla galleria, cominciò a lamentarsi;avevo esattamente calcolato la resistenza della leva,che si spezzò dopo poco, e io raggiunsi la mia amicastringendo in pugno una mazza più che sufficiente aspezzare il cranio di qualsiasi Morlocco avessi incon-trato. Desideravo ardentemente ucciderne almeno unpaio. Troverete che è piuttosto inumano il desideriodi spedire all'altro mondo i propri discendenti, ma viassicuro che mi era impossibile scorgere la minimatraccia di umanità, in quegli esseri. Soltanto la miariluttanza a lasciare sola Weena, e la convinzione chese mi abbandonavo alla mia sete di delitti la Macchi-na del Tempo ne avrebbe pagate le conseguenze, mitrattennero dal raggiungere l'estremità opposta dellagalleria e uccidere i bruti di cui avvertivo la presenza.

« Bene, con la mazza in mano e la manina di Weenanell'altra, uscii dalla galleria per entrare in un'altraancora più grande, che alla prima occhiata mi fecel'impressione di un sacrario militare adorno di ban-diere lacerate; guardai meglio, e mi accorsi che glistracci scuri che pendevano dalle pareti erano restidi libri ridotti a pezzi da chi sa quanto tempo, poichéogni traccia di stampa era scomparsa da essi; ma imargini arricciati e i fermagli spezzati rivelavano ab-bastanza bene la loro natura. Se fossi stato un lette-rato, avrei potuto trarre considerazioni assai interes-santi sulla caducità delle ambizioni umane; comun-

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que, la cosa che mi colpì maggiormente fu l'enormespreco di fatiche di cui testimoniava quel triste am-masso di carta deteriorata. Confesso che pensai so-prattutto alle Relazioni filosofiche e ai miei diciasset-te saggi sulla fisica ottica.

« Salimmo uno scalone, e ci trovammo in una gal-leria certamente dedicata alla chimica termica, doveperò non avevo la minima speranza di scoperte utili.La galleria era ben conservata, tranne verso il fondo,ove il tetto era sbrecciato. Mi avvicinai curioso a ogniteca ancora intatta, e in una di esse, che doveva esse-re davvero a perfetta tenuta d'aria, trovai una scatoladi fiammiferi. Mi precipitai ad accenderne uno: siaccese, la scatola era assolutamente asciutta.

« Mi volsi a Weena: "Si dia inizio alle danze", ledissi nella sua lingua; possedevo finalmente un'armacontro le orribili creature che temevamo tanto. E là,in quel'avanzo di museo, su un morbido e spesso tap-peto di polvere, mi esibii solennemente, con sommagioia di Weena, in una specie di danza composita,fischiettando con gran foga II paese dell'onestà; poimi avventurai in un moderato cancan, cui seguì untentativo di balletto classico (per quanto me lo per-metteva il mio abito a coda di rondine), con qualchepasso assolutamente inedito: sapete che non mi man-ca una certa facilità inventiva.

« Penso ancora adesso di essere sfuggito alla per-petua prigione del tempo per merito di una scatoladi fiammiferi; circostanza quanto mai bizzarra e,per quel che mi riguarda, quanto mai fortunata. Pocodopo trovai della canfora, che scambiai da prima peruna sostanza sconosciuta: era in un barattolo a chiu-sura, per fortuna, veramente ermetica; credetti, quan-do ruppi il vaso, che fosse paraffina, ma l'odore dellacanfora è inconfondibile; e questa sostanza volatileera miracolosamente sopravvissuta, forse attraversomigliala di secoli, al disfacimento generale: ricordaidi aver visto una volta un disegno a nero di seppia96

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fatto con l'inchiostro di una seppia morta e fossi-lizzata da milioni di anni. Stavo per gettare via lacanfora, quando mi venne in mente che è una ma-teria infiammabile e che, bruciando, sviluppa una lucemolto intensa - per le candele è, infatti, eccellente -,quindi me la misi in tasca. Non trovai esplosivi néalcun congegno che potesse servirmi a smantellare leporte di bronzo; la mia leva di ferro restava l'arnesepiù utile che avessi a disposizione. Nondimeno mi al-lontanai da quella galleria in condizioni di spiritosollevate.

« Non posso farvi un resoconto esatto di quel lungopomeriggio, la mia memoria non è in grado di coordi-nare tutti i miei spostamenti nell'ordine preciso incui avvennero; ricordo una lunga galleria fiancheg-giata da rastrelliere arrugginite cariche di armi, ericordo di aver esitato tra la sbarra di ferro che avevoin mano e un'accetta o una spada; non potevo por-tarle tutte e due, ma forse la sbarra era più adatta aforzare le porte di bronzo. Vedevo intorno a me unagrande quantità di pistole, rivoltelle e fucili, quasitutti ridotti a un ammasso di ruggine, salvo qualcheesemplare conservato abbastanza bene, costruito inun metallo che non conoscevo; se cartucce e polvereda sparo avevano fatto parte della collezione, non nerestava più traccia. Un angolo del locale era comple-tamente smantellato, forse, pensai, a causa di unoscoppio verificatosi fra i campioni di esplosivi. In unaltro salone era raccolto un numero imponente diidoli polinesiani, messicani, greci, fenici e di ognialtro paese della terra; e qui, spinto da un irresistibileimpulso, scrissi il mio nome sul naso di steatite di unmostro sud-americano che mi colpì particolarmentela fantasia.

Col calar della sera il mio interesse per il museoandava diminuendo; attraversai una galleria dopol'altra, tutte piene di polvere, silenziose e spesso in7- ia macchina del tempo. 97

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rovina, in cui gli oggetti esposti erano sovente ridottia mucchi di ruggine e di legno fossilizzato; trovai ilplastico di una miniera di stagno, e poco dopo, perpuro caso, due cartucce di dinamite conservate in unacustodia a chiusura ermetica. "Eureka!", gridai, espezzai il vetro con grande entusiasmo. Ma sùbitodopo fui preso da un dubbio, esitai, quindi tentai unaprova in una piccola galleria laterale, e subii unadelle più grandi delusioni della mia vita. Attesi inva-no l'esplosione per cinque, dieci, quindici minuti;naturalmente si trattava di cartucce false, e avrei do-vuto accorgermene dal loro aspetto. Credo che, incaso contrario, avrei fatto saltare in aria le porte dibronzo, la sfinge e tutte le mie speranze di riconqui-stare la Macchina del Tempo.

« Fu allora, credo, che uscimmo in un piccolo cor-tile che si apriva nell'interno del palazzo; poiché dalterreno erboso si levavano tre alberi da frutta, po-temmo ristorarci un poco mentre riposavamo. Versoil tramonto cominciai a considerare la nostra situazio-ne: la notte si avvicinava, e non avevo ancora trovatoil nascondiglio inaccessibile che cercavo. Ma la cosa,adesso, mi preoccupava meno, perché possedevo quel-la che forse era l'arma migliore di tutte, per difender-mi dai Morlocchi: avevo dei fiammiferi e, se fossestata necessaria una fiammata, la canfora.

« Mi parve che la miglior cosa fosse passare la not-te all'aperto sotto la protezione di un fuoco, e tentare,la mattina seguente, di ricuperare la Macchina delTempo. Per questa impresa avevo a mia disposizionesoltanto la sbarra di ferro; ma giudicavo ormai in ma-niera diversa quelle porte di bronzo, e se mi erofinora trattenuto dal forzarle, era stato soprattuttoa causa del mistero che nascondevano. Non le avevomai ritenute troppo resistenti, e speravo che la miamazza di ferro non fosse inadeguata al compito cuiera destinata.

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« Uscimmo dal palazzo che il sole toccava quasi lalinea dell'orizzonte: ero deciso a raggiungere la sfingebianca al sorgere del giorno, perciò, prima che fossebuio, bisognava attraversare la foresta che mi avevasbarrato il cammino all'andata. Il mio progetto consi-steva nel percorrere quella sera stessa quanta piùstrada fosse possibile; poi avrei acceso un fuoco e cisaremmo addormentati protetti dalla sua luce. Di con-seguenza, raccolsi durante il cammino rami e fogliesecche fino ad averne le braccia cariche. Così appe-santito, camminavo più adagio di quanto avessi pre-visto, e anche Weena era stanca; inoltre, il sonnocominciava a farsi sentire, quindi la notte ci sorpreseprima che entrassimo nel bosco. Al limitare di esso,sulla collina folta di arbusti, Weena avrebbe volutofermarsi, impaurita dall'oscurità che regnava sottogli alberi; ma una singolare minacciosa sensazione dipericolo - una specie di presentimento - mi spinse adandare avanti. Non dormivo da una notte e due gior-ni, e questo mi rendeva inquieto e irritato; sentivoavanzare il sonno, e con esso i Morlocchi.

« Mentre esitavo sul da farsi, scorsi tre figurine ac-cucciate tra i cespugli dietro a noi, indistinte nel-l'oscurità. Intorno non vi era che erba alta e miseriarbusti, sicché non mi sentivo per nulla al sicuro dal-l'insidia che si avvicinava. Calcolavo che il bosco nonsi stendesse, nel senso della lunghezza, per più di unchilometro e mezzo: se avessimo potuto attraversarloe raggiungere, oltre di esso, il fianco libero della col-

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lina, forse avremmo trovato là il rifugio sicuro perriposare; pensavo che, usando fiammiferi e canfora,mi sarebbe stato facile illuminarmi il sentiero attra-verso il bosco. Ma per far questo avrei dovuto abban-donare la legna da ardere: la posai quindi a terra conuna certa riluttanza, poi mi venne in mente di sbalor-dire i nostri amici accendendo un bel fuoco. Dovevoben presto capire di aver compiuto un'enorme scioc-chezza, e non una mossa strategica per coprire la no-stra ritirata.

« Forse non avete mai pensato che la fiamma nonsi produce tanto facilmente, in un luogo deserto aclima temperato: il calore solare è raramente cosìforte da provocarla, anche attraverso una lente dirugiada, come accade talvolta in molti paesi tropi-cali; il fulmine può distruggere e annerire, ma difficil-mente provoca un incendio molto vasto. La materiavegetale putrefatta può dar luogo incidentalmente auna combustione dovuta al calore della fermentazio-ne, ma di rado tali fenomeni si risolvono in unafiammata. In questa èra di generale decadimento,inoltre, l'arte di accendere il fuoco era stata dimenti-cata sulla terra: le rosse lingue che lambivano ilmucchio di legna rappresentavano per Weena unastranissima novità.

« La mia amica voleva a tutti i costi avvicinarsialle fiamme e giocare con esse; credo che, se nonl'avessi trattenuta, si sarebbe gettata nel fuoco. Lapresi in braccio, e per quanto si divincolasse comeun'anguilla, entrai coraggiosamente nel bosco. Per unpo' la luce del fuoco illuminò il sentiero; ma, guar-dando indietro, dopo qualche tempo, potei vedere,attraverso l'intrigo dei rami, che dal mio mucchio disterpi la fiammata aveva attaccato alcuni cespugliadiacenti, e che una fascia ricurva di fuoco stavaavanzando sull'erba della collina. Scoppiai in una ri-sata, poi mi volsi di nuovo verso le sagome nere deglialberi che mi si levavano davanti. Il buio era fitto, e100

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Weena si stringeva convulsa contro di me; non appe-na i miei occhi si furono abituati all'oscurità, riusciia camminare senza urtare contro i rami. Anche soprale nostre teste l'oscurità era quasi uniforme, rotta sol-tanto qua e là da qualche sprazzo di remoto azzurroche filtrava attraverso le chiome degli alberi. Non ac-cesi neppure un fiammifero, perché non avevo le ma-ni libere; col braccio sinistro reggevo la mia piccolaamica, con la destra stringevo la sbarra di ferro.

« Per qualche tempo udii soltanto lo scricchiolio deiramoscelli secchi sotto i miei piedi, il fruscio dellabrezza tra le foglie, il mio respiro e il pulsare del san-gue nelle orecchie; poi mi parve di sentir parlottareattorno a me. Il timore mi fece affrettare il passo.

« Il chiacchierio divenne più distinto; udivo glistessi strani rumori che avevo già conosciuti nel mon-do inferiore: i Morlocchi dovevano essere numerosi,e anche molto vicini; difatti, dopo un minuto sentiitirami la giaccia, poi un braccio. Weena fu scossa daun brivido violento, quindi si irrigidì e rimase immo-bile. Era tempo di accendere un fiammifero, ma perfarlo fui costretto a posare Weena per terra. Mentremi frugavo in tasca, ebbi la sensazione che qualcunosi agitasse nel buio davanti alle mie ginocchia senzaparlare, emettendo i caratteristici suoni gutturali deiMorlocchi, e manine leggere mi toccavano la giacca,le spalle, perfino il collo. Accesi un fiammifero, lo sol-levai in alto, e vidi i dorsi bianchi, dei Morlocchi infuga attraverso gli alberi; afferrai svelto un pezzo dicanfora e mi preparai a dargli fuoco non appena ilfiammifero avesse accennato a spegnersi.

« Poi mi volsi a guardare Weena: era sdraiata, ag-grappata ai miei piedi, immobile col viso contro laterra. Mi chinai spaventato su di lei, e mi parve cherespirasse appena. Detti fuoco al blocchetto di can-fora e lo lanciai al suolo; si spezzò, e mentre i fram-menti luminosi allontanavano i Morlocchi e le tene-bre, mi inginocchiai e sollevai Weena fra le braccia.

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Nel bosco, dietro di noi, si levò il mormorio eccitatodi una piccola folla.

« Weena mi parve svenuta; l'appoggiai con ognicura contro la mia spalla, e mi alzai per riprendereil cammino. Fu allora che feci un'orribile scoperta:manovrando i fiammiferi e prestando aiuto a Weena,mi ero rigirato parecchie volte su me stesso, e oranon sapevo più in che direzione seguire il sentiero;niente di più facile che il palazzo di porcellana verdefosse di faccia a me. Ero madido di sudore freddo, do-vevo definire all'istante un piano d'azione. Decisi diaccendere un fuoco e di accamparci dove ci trovava-mo. Posai Weena, tuttora immobile, su un tronco d'al-bero coperto di muschio, e mentre il primo pezzo dicanfora stava consumandosi, radunai in gran frettafoglie e rami. Attorno a me, nelle tenebre, gli occhidei Morlocchi brillavano come rubini.

« La canfora mandò ancora qualche guizzo, poi sispense. Accesi un fiammifero, facendo fuggire a pre-cipizio due figure bianche che si stavano avvicinando;una di esse restò così accecata dalla luce, che mi ven-ne addosso, e ne sentii le ossa sotto il pugno; gettòun grido di paura, barcollò e cadde. Accesi un altroblocco di canfora e seguitai a radunare il materialeper il falò. Notai poco dopo che le foglie degli alberierano estremamente asciutte: dal giorno del mio ar-rivo sulla Macchina del Tempo, una settimana prima,non era più caduta goccia di pioggia. Allora, invecedi cercare per terra ramoscelli secchi, cominciai astaccare quelli degli alberi: ottenni ben presto unfuoco di legna verde e di rami secchi, che mandavauna quantità di fumo ma che mi permise di economiz-zare la canfora. Tornai nel punto in cui Weena giace-va accanto alla mazza di ferro; feci del mio meglioper rianimarla, ma la mia piccola amica sembravauna morta; non riuscii neppure ad accertarmi se re-spirasse o no.

« II fumo adesso mi avviluppava completamente.102

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minacciando di soffocarmi; e, in più, l'aria era pienadi vapori di canfora; mi assicurai che per circa un'orafosse inutile aggiungere legna al fuoco, e mi sedettiperché mi sentivo stanchissimo dopo le fatiche com-piute. Il bosco era pieno di mormorii soffocati, chepercepivo appena; abbassai il capo sonnecchiando, eriaprii immediatamente gli occhi, o così mi parve.Tutto era buio attorno a me, e mi sentivo addosso lemani dei Morlocchi. Mi sciolsi dalla stretta delle lorodita, e mi frugai febbrilmente le tasche cercando lascatola dei fiammiferi: sparita! I piccoli mostri mifurono di nuovo sopra.

« Ricostruii in un attimo l'accaduto: mi ero addor-mentato, il fuoco si era spento, la morte mi sovra-stava. Un odore di legna bruciata riempiva il bosco;mi sentivo preso per il collo, per i capelli, per le brac-cia e spinto a terra. L'impressione di quella massa dicreature morbide ammucchiate addosso a me nel buioera raccapricciante: mi sembrava di essere diventatouna gigantesca tela di ragno. Ero sopraffatto, e caddisentendo sul collo il morso di minuscoli denti. Mi ro-tolai su me stesso fino a che ebbi sotto mano la clavadi ferro; allora ripresi forza, riuscii ad alzarmi in pie-di, a scuotere via quei topi umani e, reggendo fortela sbarra, cominciai a menare colpi pressappoco al-l'altezza dei loro visi: sentivo cedere sotto la mazzala carne e le ossa, e per un attimo fui libero.

« Venni colto allora da quel bizzarro senso di esul-tanza che accompagna così spesso una lotta dispera-ta; sapevo che tanto io quanto Weena eravamo per-duti, ma i Morlocchi avrebbero pagato caro il lorocibo. Mi appoggiai con la schiena a un albero, sempreroteando la clava davanti a me; tutto il bosco risuo-nava del tumulto e delle grida dei nostri nemici.Trascorse così qualche minuto, poi le loro voci par-vero levarsi ancor più eccitate, e i loro movimenti sifecero così veloci, che non potei colpire più nessunodi loro con la sbarra. Fissai le tenebre che mi circon-

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davano, mentre rinasceva in me la speranza. Di checosa avevano paura i Morlocchi? Sùbito dopo accaddequalcosa di molto strano: l'oscurità si faceva a poco apoco luminosa. Cominciai a scorgere, se pure confusi,i Morlocchi attorno a me: tre di essi giacevano mas-sacrati ai miei piedi, mentre gli altri, con mia grandesorpresa, correvano in massa a rifugiarsi nel foltodel bosco. Il loro dorso non mi sembrava più bianco,ma rossastro; e mentre li fissavo sconcertato, vidiuna favilla trasportata dal vento svanire attraversouna breccia fra le chiome degli alberi. A questo puntocompresi che cosa significavano l'odore di legna bru-ciata, il brusio soffocato che andava crescendo fino adivenire un rombo fragoroso, i bagliori rossastri, lafuga dei Morlocchi

« Mi allontanai dall'albero a cui ero appoggiato, emi guardai alle spalle. Oltre i tronchi neri degli albe-ri più vicini il bosco era in fiamme: il fuoco che avevoacceso, e che mi seguiva. Cercai immediatamenteWeena, ma non la trovai. I sibili e gli scricchiolii chesi levavano da ogni parte, l'esplodere della legna fre-sca che prendeva fuoco, tutto ciò mi lasciava pocotempo per riflettere. Con la sbarra di ferro stretta inpugno, mi slanciai in una corsa disperata sul sentieropieno di Morlocchi. A un certo punto le fiamme allamia destra mi raggiunsero, e quasi mi circondarono,sicché dovetti buttarmi a precipizio verso sinistra.Uscii finalmente su uno spiazzo aperto, e nello stessoistante un Morlocco mi passò accanto correndo allacieca, e finì dritto dritto nel fuoco!

« E ora dovevo vedere la cosa più straordinaria epiù terribile di tutte quelle che avevo visto nell'etàfutura. Lo spiazzo in cui mi trovavo era illuminato agiorno dai riflessi dell'incendio; al centro di esso sielevava una collinetta sormontata da un cespuglio dibiancospino bruciacchiato; anche il bosco oltre que-sto terreno elevato era in preda alle fiamme, le cuilingue si contorcevano minacciose, circondando com-104

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pletamente con una cintura di fiamme la minuscolacollina. Sulla sommità di essa una quarantina circa diMorlocchi, bloccati dalla luce e dal calore, si agita-vano come pazzi, urtandosi gli uni con gli altri inpreda allo sbigottimento. Da prima non mi resi contoche erano accecati dalla luce, e li martellai furioso acolpi di clava, folle di paura, quando mi si avvicina-vano: ne uccisi uno e ne storpiai parecchi. Ma quandoebbi osservato bene i gesti di una di quelle ributtanticreature che brancolava sotto il biancospino contro ilcielo rosso, ed ebbi uditi i loro lamenti, fui certo cheil riverbero della fiamma li rendeva del tutto innocui,e rinunciai a colpirli.

« Ogni tanto uno di essi mi veniva addosso, susci-tando in me un brivido di orrore che mi spingeva afar di tutto pur di non toccarlo. Poi la fiamma si spen-se da qualche parte, e fui preso dal terrore che quelleorrende creature mi vedessero: pensai di ricomincia-re la battaglia e di ucciderne delle altre prima chequesto potesse accadere, ma il fuoco riprese a brucia-re ancor più luminoso, perciò rinunciai a colpire.Salii la collina fra loro, evitandoli il più possibile, incerca di una traccia che mi facesse ritrovare Weena.Ma Weena era sparita.

« Sedetti infine sulla sommità dell'altura, fissandola strana incredibile compagnia di cose cieche chebrancolavano apostrofandosi con stranissimi suoniogni volta che la luce delle fiamme le investiva piùdirettamente. Una cortina di fumo saliva verso ilcielo e le stelle occhieggiavano attraverso gli spiraglidi questo baldacchino scarlatto, remote come se ap-partenessero a un altro universo. Due o tre Morlocchimi vennero addosso, e io li respinsi col pugno, tre-mando.

« Mi parve per quasi tutta la notte di essere in pre-da a un incubo: mi toccavo e urlavo in un folle tenta-tivo di svegliarmi; battevo le mani per terra; mialzavo in piedi per risedermi immediatamente dopo;

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vagavo senza una meta; mi sedevo di nuovo; mi stro-finavo con forza gli occhi, chiedendo a Dio la graziadi farmi svegliare. Per tre volte vidi un gruppo diMorlocchi alzare la testa verso l'alto in uno spasimodi agonia e poi cadere tra le fiamme. Finalmente, aldi sopra del bagliore dell'incendio che andava perden-do forza, al di sopra delle fluttuanti colonne di fumonero, al di sopra dei tronchi d'albero smozzicati edella massa di quelle orrende creature che diminui-vano sempre di numero, si levò la luce bianca del-l'alba.

« Cercai di trovare qualche traccia di Weena, manon mi fu possibile; certamente i Morlocchi avevanoabbandonato il suo povero corpicino nella foresta.Non so dirvi quanto mi sentissi sollevato all'idea cheessa fosse sfuggita allo spaventoso destino cui erasenza dubbio votata; questo pensiero mi spinse quasia ricominciare il massacro degli abominevoli esseriche mi circondavano, ma seppi frenarmi. Vi ho giàspiegato che la collinetta su cui mi trovavo formavauna specie di isola nella foresta: dalla sua cima po-tevo adesso scorgere tra il fumo il palazzo di porcel-lana verde, e mi fu facile, quindi, orientarmi in dire-zione della sfinge bianca. E così, mentre il giorno sifaceva sempre più chiaro, abbandonai quelle super-stiti anime dannate alle loro corse cieche e ai lorolamenti.

« Mi avvolsi i piedi con qualche manciata di erbalegata alla meglio, e attraversai zoppicando il terrenocoperto di cenere calda e di sterpi bruciacchiati cheancora covavano il fuoco, dirigendomi verso il na-scondiglio della Macchina del Tempo. Camminavolentamente, perché ero quasi esausto e non avevoscarpe; mi sentivo, inoltre, profondamente infeliceper l'orribile morte della mia piccola amica. Sembra-va che tutte le calamità del mondo si fossero abbat-tute su di me. Adesso, in questa vecchia stanza cosìfamiliare, la sua perdita mi sembra, più che una cosa106

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reale, un dolore sofferto in sogno; ma quella mattinala scomparsa di Weena mi fece sentire di nuovo com-pletamente solo, terribilmente solo. Mi misi a pensarea questa casa, al mio caminetto, a qualcuno di voi, efui preso da un desiderio doloroso di tornare.

« Così, camminando tra le ceneri fumanti sotto ilcielo sempre più luminoso, feci una scoperta: in unatasca dei pantaloni c'era qualche fiammifero; forse lascatola si era rotta, prima che la perdessi.

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Verso le otto o le nove del mattino mi avvicinaialla terrazza di metallo giallastro da cui, la sera delmio arrivo, avevo scrutato il mondo che mi circon-dava. Pensai alle affrettate conclusioni tratte quellasera, e risi amaramente della mia presunzione.

« Adesso avevo davanti agli occhi lo stesso splen-dido scenario, la stessa ricchezza di verzura, gli stessibellissimi palazzi e le stesse maestose rovine; il fiumedalle acque d'argento scorreva ancora tra fertili spon-de; gli abiti variopinti dei graziosi abitatori di quelmondo spiccavano qua e là tra gli alberi; anche ades-so qualche gruppo di Eloi faceva il bagno nel puntostesso in cui avevo tratto in salvo Weena; e il ricordomi ferì come una pugnalata. Ma come macchie nered'inchiostro sul paesaggio, si alzavano le cupole cherivelavano l'esistenza del mondo inferiore; e soltantoadesso ero in grado di comprendere quello che copri-va la bellezza del regno appartenente alle creatureelette. I loro giorni trascorrevano felici come lo sonoquelli del bestiame al pascolo, e proprio come il be-stiame essi non conoscevano nemici né dovevanopreocuparsi per le necessità della vita. E la loro fineera la stessa.

« Pensavo con dolore a quanto era stato breve ilsogno dell'umano intelletto, e al vero e proprio sui-cidio che aveva seguito questo sogno. L'intelligenzadegli uomini si era adagiata sul benessere, in unasocietà perfettamente equilibrata la cui parola d'or-dine era "sicurezza"; e aveva attuato ogni sua spe-108

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ranza, per poi giungere a questo. Un tempo la vita ela proprietà dovevano essere stati quasi perfetta-mente al sicuro: il ricco non doveva aver avuto ti-mori per il suo denaro, e il lavoratore aveva la vita eil lavoro garantiti. Periodo felice, non turbato dai pro-blemi della disoccupazione e dalle questioni socialiinsolute, e che perciò aveva dovuto generare un sensodi perfetta sicurezza.

« Esiste una legge di natura che tutti trascuriamo:l'acume intellettuale ci è dato per compensare l'in-stabilità della fortuna, i pericoli, i guai. Un animalein armonia totale col suo ambiente è sempre un per-fetto meccanismo; né la natura fa appello all'intelli-genza, fino a quando l'abitudine e l'istinto non diven-tano insufficienti. Non esiste intelligenza là dove nonesiste mutamento né necessità di mutamento; posseg-gono un'intelligenza soltanto quegli animali che deb-bono soddisfare molte necessità e affrontare moltipericoli.

« Così, secondo il mio modo di pensare, gli abitantidel mondo superiore avevano raggiunto a poco a pocola loro attuale debolezza rivestita di leggiadria, equelli del mondo inferiore la loro attività di automi;ma questo ideale stato di cose mancava di un fattoreimportantissimo anche nel campo della perfezionemeccanica: la stabilità assoluta. È chiaro che, conl'andar del tempo, il sistema di nutrizione in vigorenel mondo inferiore, comunque fosse effettuato, ave-va cominciato a divenire insufficiente. Madre Neces-sità, allontanata per qualche migliaio di anni, si erariaffacciata sul mondo inferiore, il quale, vivendo acontatto con le macchine (che, anche quando sonoperfette, hanno sempre bisogno di piccole idee origi-nali), aveva probabilmente conservato la facoltà diprendere iniziative, pur possedendo in minore quan-tità ogni altra caratteristica umana propria ai pa-droni del mondo superiore. E quando a questi esseriera venuto meno il cibo, essi si erano abbandonati a

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quello che le antiche abitudini avevano sin alloravietato. Questa è la mia interpretazione di quantovidi nel mondo dell'802.701. Può essere un'interpre-tazione errata, poiché nasce da un'intelligenza uma-na; ma non faccio che riferirvi le cose come esse simanifestarono a me.

« Dopo le fatiche, l'eccitazione e il terrore dei gior-ni precedenti, e malgrado il mio dolore, la terrazzasu cui mi trovavo, il paesaggio tranquillo e il solecaldo erano assai piacevoli. Mi sentivo stanco e pienodi sonno: smisi ben presto di stillarmi il cervello e miabbandonai a un sonno lungo e ristoratore.

« Mi svegliai poco prima del tramonto; adesso iMorlocchi non potevano più sorprendermi addormen-tato; mi stirai e discesi la collina in dirczione dellasfinge bianca, stringendo in pugno la sbarra di ferro,mentre con l'altra mano giocherellavo coi fiammiferiche avevo in tasca.

« E adesso accadde quello che non mi sarei maiaspettato. Avvicinandomi al piedistallo della sfinge,vidi le porte di bronzo spalancate; qualcuno le avevafatte scorrere sulle loro guide. Mi fermai di frontead esse, incerto se entrare o no.

« L'interno era formato da una piccola stanza: inun angolo, su un rialzo del pavimento, vidi la Macchi-na del Tempo. Avevo in tasca le piccole leve. Mi tro-vavo dunque di fronte a una resa; dopo che mi erocosì a lungo preparato a stringere d'assedio la sfingebianca. Gettai la mazza, quasi dispiaciuto di non do-verla adoperare.

« Mentre mi avvicinavo al portale, un pensiero im-provviso mi balzò nel cervello; una volta tanto avevoafferrato il ragionamento dei Morlocchi. Repressi unarisata, entrai, e mi avvicinai alla Macchina del Tem-po: fui sorpreso di notare che era stata oliata e pulitacon ogni cura; avevo sospettato fino a quel momentoche i Morlocchi l'avessero fatta a pezzi nel tentativodi raggiungere le loro oscure mire.

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« Ero tutto intento a esaminare la macchina, feliceanche soltanto di toccarla, quando accadde quello chemi ero aspettato: i pannelli di bronzo scivolaronosulle loro guide e si chiusero di colpo: ero al buio, intrappola; almeno questa era l'intenzione dei Morloc-chi, e pensandoci, risi tra me allegramente.

« Potevo già udire il loro ghignare soffocato: si av-vicinavano. Con molta calma feci per accendere unfiammifero; dopo aver rimesso le leve al loro postosarei sparito come un fantasma. Ma mi era sfuggitoun piccolo particolare. Avevo in tasca quella diabo-lica specie di fiammiferi che si accendono soltantostrofinandoli sulla loro scatola.

« Potete facilmente immaginare come svanì in fret-ta la calma che avevo mantenuta fino a quel momen-to; i piccoli bruti erano ormai vicinissimi, uno mi toc-cò perfino. Sferrai nella sua direzione un colpo nelbuio con le due leve e cominciai ad arrampicarmi sulsedile della macchina. Mi sentii toccare da una mano,poi da un'altra, quindi fui costretto a difendere le le-ve da molte dita rapaci, cercando a tentoni il puntoesatto in cui bisognava incastrarle. Per poco quegliesseri repulsivi non me ne sottrassero una, che micadde dalle mani; fui costretto a difendermi nel buioa colpi di testa - il cranio di un Morlocco mandò unsuono sinistro -, e finalmente la ritrovai; la lotta si fa-ceva più serrata di quella che avevo sostenuto nellaforesta.

« Riuscii infine a fissare la leva al suo posto; laspinsi, e le dita che mi stringevano scivolarono via;l'oscurità si dissolse, e mi trovai immerso nella stessaluce grigiastra che vi ho già descritta.

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11« Vi ho parlato della stanchezza e dell'estrema

confusione che accompagna un viaggio nel tempo;inoltre, questa volta non mi ero assestato bene sulsedile: mi trovavo quasi sull'orlo, in una posizionequanto mai instabile. Per un tempo indefinito rimasiaggrappato alla macchina che vibrava e oscillava,senza curarmi di seguire sull'indicatore il corso delviaggio; quando guardai di nuovo il quadrante, fuisorpreso di vedere dove ero arrivato. Un manometrodella macchina segna i giorni, un altro le migliaia digiorni, un altro i milioni, un altro le migliaia dimilioni; ma invece di invertire le leve, le avevo inne-state per la corsa in avanti, e quando osservai gliindicatori mi accorsi che l'indice delle migliaia gi-rava in fretta come quello dei secondi in un comuneorologio. Seguitavo a viaggiare nel futuro.

« A un certo punto notai uno strano cambiamento:il palpitante grigiore che mi circondava diveniva aogni tratto più scuro; poi - la velocità raggiunta dallamacchina doveva essere prodigiosa - la guizzante suc-cessione del giorno e della notte si fece molto piùrapida e sempre più marcata; e da principio questostato di cose mi rese assai perplesso. L'alternarsi delgiorno e della notte e il passaggio del sole attraversoil cielo erano vertiginosi: i secoli venivano divorati.Infine un persistente crepuscolo avvolse la terra, rot-to soltanto dallo scintillare delle comete attraverso ilcielo buio. La fascia di luce tracciata dal moto solareera scomparsa da un pezzo; il sole si limitava ormai112

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a sorgere e a tramontare verso ovest, diventandosempre più grande e più rosso; della luna non erarimasta alcuna traccia. Il moto circolare delle stellesi era fatto sempre più lento, e gli astri erano ormaisolo dei tremuli punti luminosi; infine, qualche tempoprima che mi fermassi, il sole, enorme sfera scarlatta,restò immobile sull'orizzonte; la vasta cupola incan-descente emanava un calore violento e presentavapunti in cui si spegneva per qualche attimo; ci fu unmomento in cui il suo splendore si ravvivò di nuovoper un breve tempo, per poi ritornare rapidamente almodesto ardore di prima. Compresi allora che non cisarebbe più stato il flusso e il riflusso della marea eche la terra avrebbe ormai riposato con una solaparte rivolta verso il sole, proprio come ai nostrigiorni la luna rispetto alla terra.

« Con molta prudenza, ricordando la mia prece-dente caduta, cominciai a invertire la direzione dellamacchina; le lancette girarono sempre più adagio,fino a che quella delle migliaia mi parve immobile equella che segnava i giorni rallentò la sua corsa edivenne visibile. A un certo punto riuscii a scorgerei contorni di una spiaggia desolata.

« Mi fermai con molta delicatezza e, seduto sullaMacchina del Tempo, mi guardai attorno. Il cielo nonera più azzurro, anzi verso nord-est era nero comel'inchiostro, e su di esso spiccavano luminose e fermele stelle chiarissime; in alto si tingeva di un rossocupo senz'ombra di stelle, mentre a sud-est il coloresi mutava in un lucente scarlatto là dove, sulla lineadell'orizzonte, spiccava rosea e immobile la grandesfera del sole. Anche gli scogli attorno a me eranorossicci, e l'unica traccia di vita che potei a tutta pri-ma scorgere era data dal verde intenso della vegeta-zione che copriva ogni punto sporgente di questerocce sul lato esposto a sud-est. Era lo stesso verdeintenso del muschio dei boschi o del lichene delle

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grotte: piante che crescono, come queste, in una per-petua mezza luce.

« La macchina si trovava su una spiaggia in pen-denza. Il mare si stendeva verso sud-est, per poi sol-levarsi, nella linea luminosa dell'orizzonte, contro uncielo incolore. La distesa d'acqua, senza onde per lamancanza del minimo alito di vento, si sollevava leg-germente in un gonfiore oleoso, poi si stendeva dinuovo con un lieve sussurro: il mare eterno vivevae si muoveva ancora. Lungo il margine dove talvoltal'acqua si frangeva, si era formata una spessa incro-stazione di sale, rosea sotto il cielo livido. Avvertivoun senso di oppressione alla testa, e il respiro mi eradivenuto assai frequente. Ricordai la mia unica espe-rienza in fatto di alpinismo, e ne dedussi che l'ariadoveva essere molto più rarefatta di quanto lo siaadesso.

« Udii venire da lontano sul desolato declivio unsuono rauco, e scorsi qualcosa che assomigliava aun'enorme farfalla bianca svolazzare obliqua nel cie-lo, per sparire poi con moto circolare oltre un gruppodi collinette. Il suono della sua voce era così depri-mente, che mi fece rabbrividire e mi spinse ad ap-poggiarmi meglio alla macchina. Mi guardai attornodi nuovo e vidi, molto vicino a me, la cosa che avevoscambiato per un ammasso di scogli rossicci muo-versi lentamente nella mia direzione: era un esseremostruoso che assomigliava a un granchio.

« Riuscite a immaginare un granchio grosso comequella tavola? Le sue numerose zampe si muovevanolente e incerte, agitando grossi artigli; la bestia eramunita di antenne lunghe come fruste da cavalli, on-deggianti e sensibili, e di due occhi sporgenti che miguardavano dall'uno e dall'altro lato della fronte me-tallica. Il dorso, coperto di scaglie e protuberanze, eramacchiato qua e là da incrostazioni verdastre; potevovedere le molte appendici articolate di quella bocca114

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complessa tremolare e vibrare al movimenti dellaspaventosa creatura.

« Mentre fissavo la sinistra apparizione che striscia-va verso di me, avvertii un solletico sulla guancia,come se vi si fosse posata sopra una farfalla; feci ilgesto di scacciarla con la mano, ma provai dopo unattimo la stessa sensazione non solo sulla guancia maanche sull'orecchio. Portai allora la mano al viso, estrinsi qualcosa che mi parve un filo e che scivolòvia immediatamente. Mi volsi, e fui quasi colto dallanausea accorgendomi di aver afferrato l'antenna diun altro mostruoso granchio che si trovava propriodietro di me; i suoi occhi dall'espressione maleficaoscillavano sui loro peduncoli, la bocca mi sembravaavida di cibo, e i suoi grossi artigli, imbrattati dauna melma viscida, stavano per calarmi addosso. Lamano mi corse fulminea alla leva, e dopo un attimoavevo frapposto un mese tra me e quei mostri. Ma mitrovavo ancora sulla stessa spiaggia e, appena fermo,potei vederli chiaramente; brulicavano a dozzine nel-la fosca luce tra il verde cupo del terreno muschioso.

« Non è possibile descrivere il senso di odiosa de-solazione che incombeva sul mondo. Quel cielo rossoa oriente e nerissimo a nord, quel mare che era vera-mente un mare morto, quella spiaggia pietrosa pienadi mostri striscianti, quel verde uniforme e deprimen-te dei licheni, l'aria sottile che mi faceva dolere i pol-moni: tutto contribuiva a dare a quel luogo unaspetto terrificante. Mi mossi per un altro centinaiodi anni, e ritrovai lo stesso sole rosso - un po' piùgrande e un po' più smorto -, lo stesso mare senza vi-ta, la stessa atmosfera fredda e la stessa moltitudinedi crostacei che si muovevano incerti tra l'erba verdee gli scogli rossicci. Nel cielo, verso occidente, vidiuna pallida linea ricurva che assomigliava a unagrande luna nuova.

« Continuai cosi il mio viaggio, fermandomi di115

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quando in quando a distanza di migliala di anni, affa-scinato dal misterioso destino della terra, dal soleche si faceva sempre più grande e meno rosso, immo-bile nella parte occidentale del cielo, mentre la vitaandava spegnendosi nel nostro vecchio mondo. Quan-do fui giunto a più di trenta milioni di anni dai nostrigiorni, l'enorme cupola infuocata del sole illuminavasoltanto una piccolissima parte del cielo; e mi fermaidi nuovo, perché la strisciante moltitudine di granchiera sparita. La spiaggia rossa viveva solo nel verdelivido dei suoi licheni, ed era spruzzata di bianco.Nell'aria gelida volteggiavano rari fiocchi candidi;verso nord-est vedevo scintillare la neve sotto la lucedelle stelle che rischiaravano il cielo fosco, e potevoscorgere le creste ondulate di una catena di piccolecolline di un color bianco rosato. Lungo la riva delmare correva una frangia gelata, interrotta ogni tan-to da cumuli di ghiaccio trasportati dalla corrente;ma l'intera distesa di quell'oceano salato, sanguignosotto l'eterno tramonto, non era ancora ghiacciata.

« Mi guardai attorno, ansioso di scoprire se restavatraccia di vita animale: un'indefinibile apprensionemi teneva fermo sul sedile della macchina; ma nonvidi nulla che si muovesse, sia sulla terra che sulmare. Solo la sostanza viscida e verde che coprivagli scogli testimoniava che la vita non era ancoramorta del tutto. Un basso banco di sabbia era emersodal mare, e l'acqua si era ritirata dalla spiaggia: miparve di vedere qualcosa di nero agitarsi sul bancodi sabbia; guardai meglio, ma tutto era immobile;credetti quindi che i miei occhi mi avessero tradito eche quella cosa nera fosse uno scoglio. Le stelle incielo brillavano, tremolando, di una luce intensa.

« Notai improvvisamente che verso ovest il contor-no del sole era mutato: una cavità simile a un'insena-tura era apparsa sulla curva e si ingrandiva a vistad'occhio. Fissai stupefatto e atterrito per forse un mi-116

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nuto l'oscurità che calava sul giorno, poi mi resiconto che si trattava di un'eclisse; forse la luna o ilpianeta Mercurio riflettevano la loro ombra sul discosolare. Naturalmente, da prima credetti che si trat-tasse della luna; ma poi mi parve molto più verosi-mile che uno dei più lontani pianeti stesse passandovicinissimo alla terra.

« L'oscurità cresceva rapidamente; raffiche di ventogelido soffiavano da levante, e i fiocchi di neve volteg-giavano fitti nell'aria. Dalla riva del mare giungevaora un leggero mormorio, ma tranne questo suonosenza vita il mondo era immerso nel silenzio. Silen-zio? Mi è assai difficile spiegare la natura di quel si-lenzio: immaginate un mondo in cui non esistanovoci umane, belati di agnelli, canti di uccelli, ronziodi insetti, tutti i rumori che fanno da sfondo alla no-stra vita. Mentre l'oscurità si faceva più fitta anche ifiocchi di neve che danzavano davanti ai miei occhicadevano più abbondanti, e il freddo cresceva di in-tensità. Una dopo l'altra, nel giro di pochi secondi, lebianche cime delle colline che si ergevano in lonta-nanza svanirono nell'oscurità tra l'ululare del vento.Vidi l'ombra nera al centro dell'eclissi scivolare su dime; dopo solo un momento, le stelle erano diventatepallidi punti visibili in un cielo completamente nero:tutto il resto era oscurità.

« Fui preso da un senso di orrore. Non potevo piùsopportare il freddo che mi penetrava nelle ossa e ildolore ai polmoni che mi mozzava il respiro; rabbri-vidivo, e fui colto da una nausea mortale. Poi i con-torni del sole si delinearono ancora nel cielo, simili aun cerchio Incandescente, e io scesi dalla macchinaper cercare un rifugio; ero stordito e incapace di af-frontare il viaggio di ritornò. Restai in piedi doloran-te e sbigottito, e vidi di nuovo la cosa che si muovevasul banco di sabbia - adesso non vi era più dubbioche si trattasse di qualcosa che si muoveva - contro

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l'acqua rossiccia del mare. Era un corpo rotondo,simile a un pallone da football, o forse un poco piùgrosso, da cui uscivano dei tentacoli; e questa cosa,che vista così nello sfondo del mare mi parve nera, sìmuoveva saltellando a balzi irregolari. Mi accorsiche stavo per svenire, ma il terrore di giacere inani-mato in quel remoto, spaventoso crepuscolo mi so-stenne, mentre mi arrampicavo sul sedile della mac-china.

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« Così ritornai. Debbo essere rimasto per moltotempo svenuto sul sedile. Ricominciò l'affrettato alter-narsi dei giorni e delle notti, il sole ridivenne doratoe il cielo azzurro, e io potei respirare con più facilità.I contorni fluttuanti del paesaggio si spostavano dicontinuo; le lancette giravano sui quadranti in sensocontrario a quello di prima; e a un certo punto rividifinalmente i profili confusi delle case, ebbi di nuovosotto gli occhi le prove del decadere dell'umanità.Poi anche queste visioni mutarono e si cancellaronoper lasciare il posto ad altre; e quando la lancetta deimilioni segnò lo zero, cominciai a riconoscere la fa-miliare, ridotta architettura dei nostri giorni; la lan-cetta delle migliaia ritornò al punto di partenza, igiorni seguirono le notti con lentezza sempre mag-giore. Poi mi vidi attorno le vecchie pareti del miolaboratorio e allora fermai dolcemente il moto dellamacchina.

« Notai una cosa che mi parve strana: credo di averdetto che quando avevo cominciato a muovermi, pri-ma che la velocità divenisse troppo forte, la signoraWatchett stava attraversando la stanza come un raz-zo. Al mio ritorno, passai di nuovo attraverso il mi-nuto in cui la mia governante percorreva il laborato-rio; adesso però si muoveva in senso esattamente op-posto. La porta che dà sull'esterno si aprì, e la signo-ra Watchett scivolò silenziosa, camminando all'indie-tro, e sparì oltre l'uscio da cui era entrata all'inizio

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del mio viaggio. Un attimo prima mi era parso discorgere Hillyner; ma era scomparso alla velocitàdel lampo.

« Fermai la macchina: mi trovavo di nuovo nel miolaboratorio, tra i miei utensili e i miei strumenti po-sati negli stessi posti in cui li avevo lasciati. Scesibarcollando dalla macchina e mi sedetti sul banco.Solo dopo parecchi minuti riuscii a vincere il tre-mito che mi scuoteva tutto e a guardarmi attenta-mente intorno: la stanza era nelle esatte condizioniin cui l'avevo lasciata; avrei potuto benissimo esser-mi addormentato e aver fatto uno strano sogno.

« E invece no! La macchina era partita dall'angolosud-est del laboratorio ed era venuta a fermarsi inquello di fronte, di faccia al muro contro il quale voistessi l'avevate vista; potete così calcolare l'esattadistanza che correva dal prato sul quale ero discesoal piedistallo della sfinge bianca dentro cui i Morloc-chi avevano trasportato la mia macchina.

« Per qualche tempo il mio cervello rimase inatti-vo; quindi mi alzai e uscii nel corridoio zoppicando,perché il tallone mi faceva ancora male; inoltre misentivo sporco. Sul tavolino accanto alla porta vi erauna copia della Pall Mall Gazette, e vidi che la dataera quella di oggi; allora guardai l'orologio: quasi leotto. Udivo le vostre voci e l'acciottolio dei piatti;esitai: mi sentivo così debole e stanco! Poi fiutai unbuon odore di carne, e aprii la porta della sala dapranzo. Il resto lo sapete; mangiai dopo essermi la-vato, e adesso sto raccontandovi la mia avventura.

« So perfettamente, — disse dopo una pausa, — chetutto questo vi sembrerà incredibile; per me la solacosa incredibile consiste nel fatto di trovarmi questasera in questa vecchia stanza così familiare, di guar-dare i vostri visi amichevoli e di raccontarvi la miafavolosa avventura.120

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Il nostro ospite si volse quindi al medico:— No, non posso pretendere che lei mi creda. In-

terpreti pure le mie parole come una menzogna... ocome una profezia. Dica che nel laboratorio ho fattoun sogno, oppure che ho messo insieme questo ro-manzo dopo aver meditato sul destino del genereumano. Io vi assicuro che si tratta della verità, malei può considerare la mia asserzione come un sem-plice mezzo per rendere più interessante il mio rac-conto. Bene: pur considerando inventato tutto quelloche vi ho detto, che cosa ne pensate?

Prese in mano la pipa e, secondo una sua vecchiaabitudine, cominciò a batterla nervosamente controla grata del caminetto. Dopo un attimo di silenzio,si udì lo scricchiolio delle poltrone e uno scalpicciaredi piedi sul tappeto. Distolsi lo sguardo dal volto delViaggiatore del Tempo per posarlo sul suo uditorioimmerso nella penombra, ravvivato solo da qualchemacchia di colore. Il medico sembrava assorto nellacontemplazione del nostro ospite; il direttore di gior-nale fissava intensamente la punta del suo sesto si-garo; il giovanotto giocherellava con l'orologio; e glialtri, per quanto mi ricordo, erano immobili.

Il direttore di giornale si alzò in piedi con un so-spiro:

— Che peccato che lei non sia uno scrittore di ro-manzi! — esclamò appoggiando una mano sulla spal-la del Viaggiatore del Tempo.

— Non mi crede?— Be'...— Infatti, non lo pensavo neppure.Il Viaggiatore del Tempo si volse verso di noi— Dove sono i fiammiferi? — domandò; poi ne

accese uno e parlò al di sopra della pipa, emettendonuvole di fumo. — Vi ho detto la verità... Io stessostento a crederla... E tuttavia...

I suoi occhi si posarono con una muta domanda suifiori bianchi e appassiti posati sul tavolino; poi si

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guardò la mano che reggeva la pipa, e mi accorsi chestava fissando dei segni semicicatrizzati sulle nocchedelle dita.

Il medico sì alzò, si avvicinò alla lampada, ed esa-minò i fiori.

— Il gineceo è insolito, — disse.Lo psicologo si chinò a guardare, e allungò una

mano per averne uno._ Acciderba! — esclamò il giornalista. — L'una

meno un quarto. Come faremo ad andare a casa?— Alla stazione ci sono tutte le vetture che vo-

gliamo, — osservò lo psicologo.— È una cosa ben strana, — riprese il medico, —

ma sono sicuro di non conoscere a che famiglia ap-partengano questi fiori. Posso tenerli?

Il Viaggiatore del Tempo esitò un attimo; poi ri-spose repentinamente:

— No davvero.— Dove li ha presi esattamente?Il Viaggiatore del Tempo si passò una mano sul

capo, poi parlò col tono di chi tenta di seguire unpensiero che vuole sfuggirgli:

— Me li mise in tasca Weena durante il mio viag-gio nel tempo. — Si guardò attorno. — Sento unagran confusione in testa, tutto mi sfugge: la stanza,voi, questa stessa atmosfera familiare; tutto ciò ètroppo, per la mia memoria. Ho mai costruito unaMacchina del Tempo, o il modello di una Macchinadel Tempo? Oppure è stato tutto un sogno? Si diceche la vita stessa è un sogno - un ben povero sogno,talvolta -, ma non posso concepirne uno simile. Èuna pazzia. E da dove è venuto quel sogno? Bisognache io dia un'occhiata a quella macchina. Se pure c'è.

Afferrò di colpo la lampada e uscì nel corridoio,che si tinse di una luce rossa. Lo seguimmo. Sottola luce vacillante la macchina si distingueva abba-stanza bene: tozza, brutta, posta un po' di traverso;una cosa fatta di ottone, d'ebano, d'avorio e di quarzo122

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trasparente e lucido. Una cosa solida al tocco: allun-gai una mano e sfiorai una delle parti metalliche.L'avorio aveva delle macchie scure, e le parti infe-riori recavano tracce di erba e di muschio; una dellesbarre di ferro era contorta.

Il Viaggiatore del Tempo posò la lampada sul ban-co, e fece scorrere la mano sulla sbarra danneggiata.

— Adesso va bene: la storia che vi ho raccontatoè vera. Vi chiedo scusa di avervi fatto venire qui alfreddo.

Riprese la lampada, e ritornammo tutti nel salottoda fumo senza dire una parola.

Il nostro ospite ci accompagnò quindi nell'atrio, aiu-tò il direttore di giornale a infilarsi il cappotto. Ilmedico studiò a lungo il volto del Viaggiatore delTempo e, con voce alquanto esitante, gli disse chedoveva aver lavorato troppo; l'altro rispose con unasonora risata. Lo ricordo ancora dritto sulla sogliadel portone spalancato, mentre ci augurava la buonanotte.

Presi una vettura insieme col direttore di giornale,il quale si riferì al racconto del nostro amico come a« una menzogna un po' robusta ». Per quel che miriguarda, non sapevo a che conclusione arrivare: lastoria era talmente fantastica e incredibile, mentreil suo racconto era così convincente e ragionevole!

Rimasi sveglio a pensare quasi tutta la notte e ilgiorno seguente decisi di tornare a far visita al Viag-giatore del Tempo. Mi fu detto che il mio amico sitrovava nel laboratorio, ed essendo molto in confi-denza con lui mi diressi senz'altro da quella parte.La stanza era vuota. Fissai per un poco la Macchinadel Tempo, poi allungai la mano a toccare una leva,e a questo mio gesto la tozza e ben concreta massaoscillò come un ramo scosso dal vento. La sua insta-bilità mi fece trasalire, e corsi con la mente ai giorniin cui, bambino, mi si proibiva di occuparmi di quelloche non mi riguardava. Uscii dal laboratorio, e in-

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contrai il Viaggiatore del Tempo nel salotto da fumo:veniva dall'interno della casa e portava sotto unbraccio una piccola macchina fotografica e sotto l'al-tro uno zaino. Quando mi vide, si mise a ridere esporse verso di me un gomito perché glielo strin-gessi.

_ Sono terribilmente affaccendato, con quella co-sa là.

— Ma non è uno scherzo? — chiesi. — Veramenteviaggi nel tempo?

— Veramente, te lo assicuro. — Mi fissò con fran-chezza negli occhi; esitò a parlare e si guardò attor-no. — Ti chiedo soltanto mezz'ora, — riprese. — Sobenissimo perché sei venuto, ed è molto gentile daparte tua. Là ci sono delle riviste; se ti fermi a cola-zione ti fornirò la prova del mio viaggio: completae irrefutabile, con campioni e tutto. Vuoi scusarmi,se adesso ti lascio?

Annuii senza tuttavia comprendere l'intero signifi-cato delle sue parole; l'amico mi fece un cenno disaluto, e proseguì lungo il corridoio. Udii richiudersila porta del laboratorio, sedetti su una poltrona, e mimisi a scorrere un giornale; poi mi ricordai di averealle due un appuntamento con l'editore Richardson,guardai l'orologio, e mi accorsi che sarei arrivato ap-pena in tempo al luogo dell'appuntamento. Mi alzai euscii dalla stanza per avvertire il mio amico. Mentreappoggiavo la mano sulla maniglia della porta, udiiun'esclamazione interrotta bruscamente, un brevesuono metallico poi un colpo sordo: aprii la porta,e fui investito da una corrente d'aria; nello stessotempo percepii un rumore di vetri che si spezzavanosul pavimento. Il Viaggiatore del Tempo non eranella stanza. Mi parve per un attimo di scorgere unafigura spettrale seduta su una massa scura che gira-va vorticosamente tra scintillii metallici, una figuracosì trasparente, che lasciava vedere dietro di sé iltavolo coperto di fogli da disegno; ma il fantasma124

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svanì mentre mi strofinavo gli occhi. La Macchinadel Tempo se n'era andata, e la parete del laborato-rio opposta a quella in cui mi trovavo era vuota, sal-vo una lieve nuvola di polvere. Un pannello di vetrodel lucernario doveva essersi appena frantumato ecaduto a terra.

Ero in preda a un assurdo senso di stupore: senti-vo che doveva essere accaduto qualcosa di insolito,anche se non riuscivo a comprenderne la natura.Mentre ero in piedi con gli occhi fissi davanti a me,la porta che dava sul giardino si aprì, e apparve lacameriera. Ci guardammo, poi cominciai a raccoglierele idee.

— Il signor... è forse uscito da quella parte? —chiesi.

— No, signore, di là non è uscito nessuno; credevodi trovare qui il mio padrone.

Allora compresi. A costo di deludere il mio amicoRichardson, mi fermai in attesa del Viaggiatore delTempo e di un secondo resoconto forse ancor piùstrano del primo, corredato dagli esemplari e dallefotografie che egli avrebbe recato con sé.

Ma ormai temo proprio che dovrò aspettarlo perl'eternità: sono passati tre anni dal giorno che vidisvanire il Viaggiatore del Tempo e, come tutti sanno,non è mai più ritornato.

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EPILOGO

Non ci resta ora che chiederci se il nostro amicotornerà, un giorno o l'altro. Può darsi che abbia di-retto la sua macchina nel passato, capitando frapelosi selvaggi bevitori di sangue dell'Età della Pie-tra, o negli abissi del Mare Cretaceo, oppure tra i grotteschi sauriani, gli enormi bruti a forma di ret-tile dell'Età Giurassica. Può darsi che in questo mo-mento stia vagando - se così posso esprimermi - lungoqualche scogliera di corallo dell'epoca colitica abita-ta da plesiosauri, o sulle rive dei solitari laghi salatidell'Età Triassica. O si sarà forse spinto più avantidel nostro tempo, in una delle prossime ere in cuigli uomini siano ancora uomini, pur avendo trovatola risposta agli enigmi propri del nostro tempo erisolto i difficili problemi che oggi ci turbano? Inten-do dire nella piena virilità della razza umana: poichénon riesco assolutamente a credere che questi nostrigiorni di incerti esperimenti, di teorie frammentariedi mutue discordie, rappresentino il culmine delleconquiste effettuate dall'uomo; questa è, per lo meno,la mia precisa convinzione.

So che il mio amico - la questione era stata discussafra noi molto tempo prima che la Macchina del Tem-po fosse costruita - pensava con una certa tristezzaa un progresso dell'umanità, e vedeva nel suo semprecrescente sforzo di civilizzazione soltanto un ammas-so di folli conquiste che sarebbe alla fine inevitabil-mente ricaduto sui suoi stessi creatori, annientandoli.

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Se è così, non ci resta che vivere come se così nonfosse.

Ma, per conto mio, il futuro è tuttora qualcosa dimolto oscuro e misterioso, una tenebra sterminata,illuminata soltanto in pochi fortuiti punti dal ricordodella sua stessa storia. Conservo, per mio conforto,due strani fiori bianchi - ormai secchi, ingialliti, sen-

za più spessore -, a testimonianza che anche quando il pensiero e la forza avranno abbandonato il cuore dell'uomo vi saranno ancora vive la gratitudine e l 'affetto reciproco.