Nostra la terra su cui camminiamo

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Percorsi di Il-Legalità immaginari e reali nel brindisino.

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Indice: 1. Rispondiamo con la poesia all’illegalità (poesia) 2. Vite strozzate (racconto) 3. Sconfiggere la mafia … si può! 4. La mafia non esiste (racconto) 5. Una lunga storia 6. Puglia: sole, mare e mafia 7. Le istituzioni contro le estorsioni e il racket 8. Gli innocenti 9. Lo stivale corrotto

A cura del Liceo Polivalente “don Quirico Punzi” di Cisternino (BR)

a.s. 2012-13

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1. RISPONDIAMO CON LA POESIA ALL’ ILLEGALITÀ

Come il ragno arriva in silenzio

in un angolo tesse la tela

sempre più grande, sempre più forte,

sempre più colma di prede.

Così la mafia nell’ombra si nasconde,

tra la gente penetra, la soccombe.

Indistricabile è la sua ragnatela,

sempre più colma di prede.

Vittime sono persone comuni

che amano la vita

e lottano per un mondo migliore,

che il ragno han voluto sfidare

e abbiamo lasciato intrappolare.

Son morte per noi,

non per straziare altri cuori.

Cosa aspettiamo?

Non gettiamo parole al vento.

Agiamo!

Se vogliamo evitare altri orrori.

Dobbiamo uscire dal passato,

per ritrovarci in un futuro rivoluzionato.

Dobbiamo farlo noi. E subito.

Perché la storia sa andare avanti da sola,

ma il nostro compito è guardare lontano.

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2. VITE STROZZATE

Racconto

Ho sempre pensato che il mio ruolo non fosse quello che mi avevano attribuito.

Ho sempre pensato di avere più importanza di quella che tutti mi davano.

Io non ero un semplice soldato, dedito al silenzio rassegnato e all’obbedienza, come tutti

gli altri ragazzi.

Io ero e sono molto più di questo. Io merito di più.

Io sono obbedienza, silenzio, minaccia, consenso, forza, abilità, responsabilità.

Ma, prima di tutto, io sono rispetto.

Una persona il rispetto se lo deve guadagnare e il costo è sangue, sudore, paura e corag-

gio.

Paura e coraggio. Una l’opposto dell’altro, ma inseparabili.

Da soli sono solo vigliaccheria. Assieme sono potenza.

Avevo paura quando mi mandarono per la prima volta lì, in quel posto buio e sinistro, do-

ve l’odore acre della stanza umida si mischiava al ronzio delle macchine che lavoravano in-

cessantemente.

Avevo paura quando varcai la soglia e consegnai il pacchetto all’uomo robusto che fuma-

va un sigaro e mi guardava con l’aria di chi la sa lunga.

Avevo paura quando mi diede una pacca sulla spalla e mi sorrise satanico, con la bocca

che, invece di distendersi amichevolmente, si dischiuse in un ghigno.

Ma avevo molta più paura del boss. Se non avessi fatto ciò che mi ordinava, la sua furia

sarebbe stata potente, troppo potente da sopportare.

Era questa la mia paura più grande. Era questa la paura che mi rendeva coraggioso. Mi

facevo forza e, anche se il cuore mi batteva all’impazzata e una voce nella mia testa mi scon-

giurava di scappare, io andavo avanti e facevo il mio lavoro. La mia paura è la mia forza.

Una volta assegnatomi un lavoro non potevo più tirarmi indietro. L’avevo giurato

sull’immaginetta della Madonna dell’Annunziata, il giorno in cui mi avevano “portato”, ed

ero diventato un “uomo d’onore”, due anni prima. Mentre l’immaginetta bruciava tra le mie

mani, bagnata del mio sangue, avevo formulato un giuramento: quello di assoluta fedeltà e

obbedienza al “clan”, altrimenti sarei bruciato come l’immaginetta santa.

Ogni volta che ti assegnavano un compito guadagnavi dei punti. Più alto era il tuo punteg-

gio, più eri rispettato. Io ne avevo trentadue.

Sudore, coraggio, paura. Il trinomio inscindibile che mi perseguitava.

I compiti che mi affidavano non erano molto pericolosi, per la mia giovane età: qualche

consegna mi procurava solo un punto; qualche rapina tre punti, cinque se vicino ad una ca-

serma; tre punti per aver forzato con successo un posto di blocco e uno per ogni anno

d’attività.

Ma quello che ti fruttava più di tutti era il carcere: la tappa fondamentale e inevitabile.

Non era una cosa negativa, no, era piuttosto un percorso obbligato, accolto come un appren-

distato, utile per la “carriera”. Il carcere valeva dieci punti, più altri dieci se ti facevi rispetta-

re al suo interno.

Alcuni miei amici si facevano arrestare appositamente. “Ho già deciso la mia vita, questa

è la mia strada”, dicevano. Io ero forse l’unico tra loro che non sapeva ancora se quella fosse

o meno la strada giusta.

Mi esaltava il rispetto che tutti mi rivolgevano, mi piaceva girare per le strade e vedere

che tutti mi guardavano e mi consideravano uno di loro.

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Ma, a parte questo, odiavo quello che mi ordinavano di fare. Odiavo consegnare quei ri-

pugnanti pacchetti, pesanti come un macigno sulla mia coscienza. Odiavo girare per le strade

con una pistola nascosta nei calzini. Odiavo dovermi guardare attorno circospetto ogni qual-

volta uscivo da un luogo o semplicemente ogni volta che camminavo per la strada.

I poliziotti erano dappertutto. Dovevo depistarli. Dovevo sembrare innocente, un ragazzo

come tanti, per non creare sospetti. Ma non era facile. La paura era sempre in agguato, come

un gatto nascosto tra le foglie che, senza farsi vedere, punta il suo nemico e si avvicina quat-

to quatto per poi procedere all’assalto. Il nemico ero io. Era a me che la paura tendeva

l’agguato, continuamente. Il pallore mi assaliva, le labbra mi tremavano e gli occhi si spalan-

cavano. Non sempre era facile dissimulare questa reazione, alla vista delle forze dell’ordine.

Ma era minacciare la cosa che odiavo di più.

Da poco ero entrato nel giro dei “grandi” e il mio lavoro si era fatto più difficile. Adesso

toccava a me, assieme ad altri due compagni, riscuotere il denaro che i debitori rifiutavano di

restituire. Dovevamo minacciarli, picchiarli, intimidirli, obbligarli, farli piangere e supplica-

re. Dovevamo essere duri, fermi nella nostra posizione. Io non sempre ci riuscivo.

In cuor mio desideravo fuggire da questa situazione. Avevo un biglietto del treno nasco-

sto nel taschino della giacca. Per ogni evenienza. Ma non avevo coraggio. La paura era trop-

pa questa volta. Loro mi avrebbero trovato, dovunque fossi.

Volevo un mondo migliore, senza violenza e delinquenza. Volevo esser libero di far tutto

quel che desideravo, di studiare, di giocare, di ridere e scherzare. Volevo vivere normalmen-

te, come i ragazzi che vedevo in tv, nei film americani. Paradossalmente, invece, mi trovavo

catapultato in questa situazione

senza via d’uscita, incastrato in

una vita che non mi apparteneva,

che non avevo scelto io. Io c’ero

nato lì, non era colpa mia se ero

diventato così. Era colpa loro. Lo-

ro avevano scelto al posto mio.

Loro mi impedivano di vivere, di

sognare. Loro non si erano mai

chiesti cosa volessi fare della mia

vita, se volessi studiare legge o

medicina, se volessi diventare

giornalista o musicista, se volessi

farmi una famiglia o meno. Loro

erano la mia famiglia, io dovevo

solo obbedire.

L’ultima cosa che mi ricordo è

quella casa, l’uomo, il mio compa-

gno che gli puntava la pistola sulla

fronte e poi, all’improvviso, altri

due o tre uomini usciti da chissà

dove.

Pistole. Rumore. Sangue. Grida.

Dolore. Buio. Luce bianca. Vuoto.

Era troppo tardi adesso. Il mio bi-

glietto sarebbe rimasto nel taschi-

no. Il treno era già passato.

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3. SCONFIGGERE LA MAFIA … SI PUÒ!

La testimonianza di G.A, parente di una vittima deceduta per mano di un

pregiudicato vicino agli ambienti della SCU

Stimolare la coscienza ed il buon senso. Uno degli obiettivi primari che G.A., una donna

della nostra terra, si è prefissa di trasmettere al figlio. E che vorrebbe potessero raggiungere

tutti i giovani italiani. Una premessa di grande valore per introdurre la sua storia, una vicen-

da densa di dolore e disperazione. Un passato da piccolo consumatore di droghe leggere

quello del marito, ma che esemplifica la situazione di molta gente del Sud Italia, costretta o

indotta a dover affrontare un nemico troppo, troppo potente. Un mostro che devi fronteggiare

a testa bassa. Che la giustizia avrebbe dovuto stanare già al primo tentennamento, perché

esseri come lui lasciano una scia di sofferenza così marcata che la si potrebbe scorgere da

chilometri. Una traccia contagiosa che spinge, per vendetta, a compiere gesti altrettanto vio-

lenti. Un inutile circolo vizioso che va stroncato sul nascere.

Proprio come ha fatto A. G. la quale, nonostante la sua collezione di pesanti batoste, è

riuscita a trarre il vigore necessario per non lasciarsi sedurre dal dominio dei nostri “uomini

d’onore”. Seppur senza l’appoggio di molti compaesani si è fatta forza non per sopravvivere,

ma per poter continuare a vivere, in particolare per aprire a suo figlio le strade di un mondo

migliore rispetto a quello che lo ha privato di un padre. Parliamo di un omicidio avvenuto

nel 2001 nei pressi di Ceglie (Br) a causa di un movente banale, a tal punto da apparire ridi-

colo a distanza di anni. L’uomo venne infatti assassinato da un pregiudicato ostunese per a-

vere ospitato la sua convivente una notte in cui ella era stata sbattuta fuori casa in seguito ad

un litigio. I giudici non sono stati in grado di delineare chiaramente la posizione

dell’omicida. Certo è che tra i suoi più cari amici vi erano degli affiliati della Sacra Corona

Unita.

Per gente dal gril-

letto facile compiere

deliberatamente gesti

di tale portata non è

altro che un motivo

di sfogo. Queste so-

no persone contro le

quali bisogna com-

battere e non contrat-

tare, rifiutando privi-

legi squallidi e me-

schini. Il denaro non

deve essere la ragio-

ne per vendere la

propria anima e quel-

la degli altri, perché

averne troppo rende

ugualmente infelici,

come ci confida A.G.

Ma i punti deboli che

vincolano l’esistenza

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di tutti noi sono molteplici: svogliatezza, avidità, egoismo … ed è esattamente agendo su di

essi che la mafia riesce ad attrarre nella sua rete tanti giovani incoscienti, desiderosi di una

vita più agiata, all’insegna del lusso e del potere di comandare e decidere su tutto, persino

sulla vita stessa delle persone.

Dopo secoli di convivenza, ci si augura che sia finalmente giunta l’ora di porre fine

all’egemonia mafiosa, la quale, contrariamente a ciò che molti credono, è assai diffusa e ra-

dicata sul territorio italiano, non solo nelle regioni meridionali. Episodi come quelli menzio-

nati in questo capitolo se ne contano a bizzeffe. Possibile che non riusciamo ancora a render-

ci conto di quanto grave sia la situazione della nostra quotidianità? Secondo l’intervistata, il

problema è proprio questo: se davvero vogliamo liberarci dalla schiavitù degli “uomini

d’onore” perderemmo solo tempo aspettando una chissà quale grandiosa arma in grado di

dissolvere la criminalità organizzata. L’unico mezzo che realmente può fornire un contributo

decisivo è la presa di coscienza della realtà.

Cambiamo la nostra mentalità e rendiamoci liberi.

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4. LA MAFIA NON ESISTE: DI PARADOSSO IN PARADOSSO

Racconto

La mafia non esiste. Se ti giri e ad un certo punto la serranda del tabaccaio è un buco in

fiamme, fai finta che quel negozio non esista. Se in mezzo alla strada, mentre cammini, trovi

due tipi che si scambiano una busta e del denaro, dimentica le loro facce: loro non sono mai

stati lì, loro non si sono mai incontrati, loro non si conoscono. Se poi trovi delle donne sulla

strada di notte, devi far finta che loro siano felici. Se la polizia o i giornalisti hanno dei dub-

bi e ti chiedono qualcosa, devi dire che lo fanno tutte per scelta. E no, assolutamente, tra loro

non ci sono minorenni!

Dicono che la nostra mafia non sia molto importante. Cosa fanno, dopotutto, i nostri ma-

fiosi? Estorsioni ai negozianti e ai commercianti, spaccio di droga, traffico di armi, sfrutta-

mento della prostituzione. In genere, però, sono piccolezze. Non toccano i bambini, dicono,

non uccidono nessuno. Voci che circolavano anche l'anno scorso, quando Melissa Bassi fu

ammazzata da una bomba piazzata davanti alla sua scuola. Sono uomini d'onore. Aiutano la

gente, sono benefattori. Non attentano mica alla vita dei magistrati o della gente innocente.

La Sacra Corona Unita non è mafia, la mafia non esiste in Puglia. La mafia è in Sicilia, quel-

li sì che sono violenti. Qui invece? Cosa vuoi che facciano? Ormai sono tutti in carcere, non

ci sono capi, è solo microcriminalità.

E' così che mi tranquillizzo. Abito al quarto piano di una palazzina. Sotto di me, il tabac-

caio ha sempre il sorriso nonostante la bomba appena esplosa di fronte al suo negozio. Alla

finestra, alla mia destra, la signora che di notte è sulla strada piange, struccata, con suo figlio

in braccio e un occhio nero. Alla mia sinistra c'è sempre quel ragazzo in canottiera con le

narici sempre più grandi e gli occhi più dilatati. Conta freneticamente i soldi.

Sopra di me abita un benefattore. Il benefattore che , per diritto, rivendica i soldi del ta-

baccaio. Il benefattore che ha trovato lavoro alla mia vicina e al mio vicino. Grazie a lui, la

donna dà da mangiare a suo figlio di due anni. Quel ragazzo in canottiera ha abbastanza soldi

per vivere ed evadere attraverso quei pochi grammi di polvere che gli dà. Si, è polvere. Non

è cocaina. E' farina. E quell'occhio nero della mia vicina, se l'è procurato perché è caduta

dalle scale, come il tabaccaio. Chi abita sopra di me è un benefattore, un uomo buono, che dà

lavoro e, a volte, chiede i soldi che gli spettano.

Il benefattore non ha mai ucciso per voglia di farlo. E’ solo un tipo nervoso. Capita a tutti

di voler uccidere qualcuno, perché non ci ha portato rispetto. Lui punisce, perché ha saldi

principi. E' coerente con quello che pensa.

Io lavoro con quella donna e quel giovane è il mio ragazzo. Ma non posso stare con lui

per ora, perché faccio la vita. Sono parte di questo sistema. So come vanno le cose, tra que-

sta microcriminalità. Non è più SCU, non ci sono più riti iniziatici e i minorenni fanno i la-

vori migliori. Questi poveri ragazzi, che non hanno un posto di lavoro, se lo trovano così,

vendendosi e vendendo droga, spaventando la gente, in cambio di una cinquanta e di altra

droga... perché quella non basta mai.

Guardandomi allo specchio vedo una prostituta. Il benefattore mi aveva promesso un la-

voro ed eccolo. Ormai confondo il giorno con la notte. Non potevo rifiutare di vendermi, mi

avrebbero uccisa e io voglio vivere ancora. La paura della morte porta all'omertà, alla crudel-

tà, all'egoismo. Potrei uccidere qualcuno, pur di non essere uccisa.

No, lui non è un benefattore. E' il referente della mia sporca città. è il tiranno che non si

sazia mai nel vederci ridotti a bestie. Come lui ce ne sono altri a Mesagne, a Brindisi, a Ce-

glie, a Ostuni. Ovunque nel Salento c'è un uomo che parla per il capo. Al capo va tutto il de-

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naro sporco che ricicla in quel bel ristorante sul mare. Oppure ci costruisce una bella strada,

grazie alle agevolazioni di appalto che qualche politico gli ha regalato in cambio di voti. E’ il

mio datore di lavoro. Lui è il burattinaio, io la marionetta.

Avrei potuto ribellarmi. Come quella ragazzina a Fasano. Si è fatta bruciare viva, pur di

non vendersi come sua sorella. E nonostante le sue grida e le testimonianze in punto di mor-

te, ufficialmente è considerata una suicida. Si è riempita d'alcool e si è data fuoco. Ma ha

avuto abbastanza tempo per coprirsi la faccia con le mani. Poi dicono: "Denunciate, lo Stato

vi aiuterà". Ma neanche lo Stato crede alle nostre denunce. Quando le istituzioni non aiutano

i cittadini, arrivano i mafiosi a darci una mano. Ma si fanno pagare caro. Si fanno dare l'ani-

ma. Che il diavolo se la porti via la mia anima, ormai non esiste più. Sono svuotata nella mia

dignità.

Il mio ragazzo deve uccidere una persona, domani. Uno che ha alzato troppo la testa. Si

compirà un rito che ormai conosco a memoria: "Pensi di essere più furbo di me, ma io te la

faccio pagare. Tu non sa con chi hai a che fare".

Tutto ieri ho pianto per il mio ragazzo e ho riflettuto a lungo.

Ci vorrebbe un'altra operazione "Mediana". Un'operazione che arresti centotrenta e rotti

referenti e capi, per restituirci la dignità di essere uomini e donne. Che mi restituisca il dirit-

to di essere giovane e con una vita davanti. Che doni al tabaccaio la sicurezza di non dovere

denaro a nessuno, di non provare costantemente la paura di sentire una bomba che spacchi la

serranda del suo negozio. Che salvi il mio ragazzo dall'accusa di omicidio. Che doni un futu-

ro al figlio della mia collega.

Ci vorrebbe un altro mondo. Una Puglia che parli. Una Puglia che bandisca anche il solo

atteggiamento mafioso, capace di sbaragliare anche la microcriminalità, un'appendice terribi-

le dei grandi progetti mafiosi. Una Puglia dove non si miri principalmente ad arrestare i

"boss", ma anche i referenti minori come il mio.

Ci vorrebbe un altro mondo. Continuo ad avere speranza. Ma domani il mio ragazzo use-

rà per la prima volta una pistola e darà anche una lezione al tabaccaio.

La mia vicina mi fa cenno. S'è fatta notte. Dobbiamo andare a lavorare. Muta. La mafia

non esiste.

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5. UNA LUNGA STORIA

Il sole calava su Palermo il lunedì di Pasqua dell’anno 1282, quando un agguerrito gruppo

di siciliani, carichi di grinta e determinazione, proruppe in una storica sommossa finalizzata

a smorzare il potere che gli Angioini stavano consolidando sul loro territorio. “Morte Alla

Francia Italia Anela” è il motto che risuonava negli animi dei rivoltosi, lì dove per “Francia”

erano genericamente intese le truppe del re Carlo d’Angiò, mentre “Italia” era il nome che

all’epoca designava la zona meridionale della penisola, in particolare la Sicilia. Se analizzia-

mo il motto, si osserva che, collegando le lettere iniziali delle parole che lo costituiscono, si

ottiene niente di meno che il termine “mafia”. A questo punto vi starete chiedendo se si tratti

di un puro caso. La risposta è no: a quell’epoca, ma soprattutto in quel territorio, il potere

costituito era talmente debole nel Sud d’Italia che ad assicurare un minimo di ordine e giu-

stizia fra i cittadini erano proprio i mafiosi, i quali esercitavano la loro autorità illegalmente.

Ma a dispetto dell’intento benevolo delle origini, gli sviluppi della storia hanno convo-

gliato le organizzazione mafiose verso strade ben più oscure. Potremmo affermare che la si-

tuazione attuale ha in comune con quella originaria solamente la forte tendenza all’illegalità,

che però a sua volta ha raggiunto livelli sempre più esorbitanti col passare degli anni. La ma-

fia è quindi passata dalla difesa dei diritti dei contadini a quelle delle prerogative delle classi

dominanti, incapaci di esercitare dovunque il proprio potere dopo l’indipendenza ottenuta

nel1861.

Da allora la situazione è andata degenerando. La mafia ha proceduto indisturbata anche

verso un’opera di “modernizzazione”, infiltrandosi in nuovi settori economici come lo spac-

cio di droga, la speculazione edilizia e il racket nel commercio.

In quel contesto cominciarono anche a scatenarsi le sanguinose lotte fra cosche mafiose

per il controllo dei territori e allo stesso tempo per l’individuazione di nuove regioni da as-

soggettare. Tra queste, la Puglia. Qui la criminalità organizzata ha cominciato a esercitare la

sua influenza solo a partire dagli ultimi decenni del Novecento. Se non ha mai raggiunto la

stessa potenza, soprattutto a livello strutturale, delle altre mafie (Cosa Nostra in Sicilia, la

‘Ndrangheta in Calabria, la Camorra in Campania), non di certo la mafia pugliese, la Sacra

Corona Unita, va considerata meno pericolosa. Il primo tentativo di innesto di mafie risale

al 1981, quando il boss camorrista Raffaele Cutolo riuscì a fondare la Nuova Camorra Pu-

gliese che però attecchì soprattutto nel foggiano. Successivamente anche la ‘Ndrangheta de-

cise di espandersi in Puglia e la notte di Natale del 1983, nel carcere di Trani, il mesagnese

Giuseppe Rogoli ottenne il permesso per fondare la SCU. Ad intralciarla in partenza inter-

viene una lotta durata tre anni per un conflitto di interessi fra Rogoli e il suo braccio destro,

Antonio Antonica, ucciso con due colpi di fucile nel proprio letto in ospedale. In seguito la

SCU ha continuato a espandersi, anche se non in modo particolarmente significativo, e ha

raggiunto il massimo sviluppo con le famiglie Buccarella e Donatiello. In diverse occasioni

alcuni suoi affiliati si sono dissociati, dando vita a nuove organizzazioni minori, come ad

esempio la Sacra Corona Libera e la Remo Lecce Libera.

Oggi in Puglia la criminalità organizzata ha una struttura decisamente disomogenea e si

mostra relativamente fragile agli occhi delle forze dell’ordine. Tuttavia, questo non basta a

limitare le conseguenze sul territorio, probabilmente a causa della reciproca debolezza mani-

festata dalle forze dell’ordine stesse, le quali però hanno comunque tentato di arginare il fe-

nomeno attraverso le operazioni Salento, Primavera e Poseidon. In realtà non si può nascon-

dere che l’illegalità diffusa è un dato di fatto in tutta la regione.

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6. PUGLIA: SOLE, MARE E MAFIA

La mafia inizialmente nasceva come forma sostitutiva di governo che, anche se in modo

illegale, voleva portare ordine in una società alquanto disordinata. Col tempo, però, ha co-

minciato a colpire altri ambiti sociali tanto che oggi con la parola “mafia” intendiamo il

traffico di droga, l’ecomafia, l’usura, la prostituzione e il gioco d’azzardo.

Il termine ecomafia generalmente indica le attività illecite di imprese private e ammini-

stratori locali, i quali compiono reati ambientali con lo smaltimento illegale di rifiuti tossici o

di scorie nucleari nell’ ambiente. In particolare, sappiamo che la Puglia è una delle regioni

più colpite dall’ecomafia. Un esempio molto vicino a noi è quello della “Murgia Violata” ,

verificatosi a Bari nell’ aprile del 2002. Dopo un incendio nella discarica abusiva di Santera-

mo in Colle, le forze dell’ ordine hanno iniziato ad indagare sulla questione scoprendo che

nei territori baresi, destinati alla coltivazione di prodotti agricoli, venivano in realtà smaltiti

diversi prodotti provenienti dal centro nord dell’ Italia. Le ricerche sul traffico illecito di

rifiuti hanno portato all’ arresto di sei persone.

Il traffico di droga è un sistema per la vendita illegale di sostanze stupefacenti ed è una

delle attività principali di cui si occupano i diversi gruppi mafiosi. Sappiamo che la

'Ndrangheta ha iniziato a praticare quest’attività negli anni settanta e si è ingrandita tanto da

conquistare il monopolio del traffico di cocaina nell’Europa.

Mafia e usura possono sembrare due termini scollegati, ma in realtà sono fin troppo in

relazione tra loro, più di quanto possiamo realmente immaginare. L’usura impone prestiti e

tassi d’interesse elevati, spesso considerati illegali, che portano il debitore ad accettare qual-

siasi compromesso pur di salvarsi la pelle. Risale al 26 ottobre, a Foggia, l’arresto di 14 uo-

mini colpevoli di usura e droga. In quell’occasione sarebbero emersi anche casi di violenze

sessuali che coinvolgevano gli stessi 14 mafiosi. Anche dottori, commercianti e professioni-

sti molte volte si ritrovano a chiedere piccoli prestiti a intermediari finanziari, i quali sono

collegati a cosche mafiose che richiedono tassi d’interesse superiori al cento per cento. I

pregiudicati pedinano e spiano la vittima tanto da arrivare a proporre compromessi estremi,

come uccidere, se la situazione non si evolve a proprio vantaggio.

Ma non finisce qui. La mafia è strettamente collegata anche alla prostituzione. A Brindisi

la criminalità albanese, collegata alla SCU, agisce a largo raggio nello sfruttamento della

prostituzione. Essa è controllata da rumeni e italiani i quali tendono ad allargare i propri af-

fari entrando in conflitto con altre organizzazioni. La mafia albanese gestisce nella nostra

Puglia diversi forme di prostituzione: la prostituzione negli hotel, nelle case pubbliche, in

strada, in caffetterie e ristoranti, negli appartamenti e nelle istituzioni statali.

La mafia, negli ultimi tempi, ha ampliato il proprio raggio d’azione spostandosi anche sul

gioco d’azzardo illegale che, a livello nazionale, fattura circa 10 miliardi annui. Ben 41 clan

vedono nel gioco d’azzardo un terreno fertile per i propri guadagni o spesso una maschera plausibile

per le proprie entrate. La guardia di finanza ha sequestrato attività in cui si gestiscono scommesse e

arrestato numerosi affiliati alla Sacra Corona Unita. A seguito dell’operazione Fast, portata a termine

nel marzo 2013 in tutta la provincia di Brindisi, sono stati ammanettate diciannove persone legate

alla S.C.U. Il materiale sotto sequestro si quantifica in quote societarie, beni mobili ed immobili con

un valore pari a 3,6 milioni

A seguito dell’operazione Fast, portata a termine nel marzo 2013 in tutta la provincia di

Brindisi, sono state ammanettate diciannove persone legate alla S.C.U. Il materiale sotto se-

questro si quantifica in quote societarie, beni mobili ed immobili con un valore pari a 3,6

milioni di euro e ad una somma di denaro di 19.553.00 euro, profitto del reato. Un giro di

affari incredibile!

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7. LE ISTITUZIONI CONTRO LE ESTORSIONI E IL RACKET

L’esempio virtuoso di Cisternino

“Il nostro è un paese dal tessuto sociale sostanzialmente sano e nei dintorni ci considerano

quasi un'isola felice".

Con queste parole il presidente del Consiglio Comunale di Cisternino ha aperto il dibattito

consiliare tenutosi ieri 4 febbraio 2007 per discutere recenti episodi di estorsione perpetrati ai

danni di operatori economici locali. Nonostante la provincia di Brindisi, in cui ricade il nostro

territorio, combatta da tempo contro racket ed usura che rappresentano, come ha affermato il

senatore X ospite dell'assemblea, "il primo anello della catena alimentare della criminalità or-

ganizzata", fenomeni di illegalità di questo tipo a Cisternino sono stati sempre limitati ed abba-

stanza circoscritti.

Proprio per questo forte è stata la reazione dei cittadini e dell'Amministrazione comunale

impegnati nella tutela della legalità nell'intento condiviso di assicurare un corretto sviluppo ci-

vile ed economico alla comunità.

Per favorire la partecipazione dei cittadini, il consiglio comunale si è svolto domenica matti-

na in una sala della Scuola Materna “Giannettino”, storicamente “il cuore pulsante di Cisterni-

no”. Il Consiglio Comunale è stato così il simbolo della solidarietà espressa dalle istituzioni

verso le vittime delle estorsioni. L'obiettivo dell’ iniziativa è stato quello di opporsi con fer-

mezza a qualsiasi pretesa dell'estorsore "di turno" e di aiutare chi è vittima di questo fenomeno.

Ricordiamo che sul territorio brindisino si sono moltiplicate le associazioni antiracket ed esiste

anche una legge che aiuta chi denuncia.

Da qualche anno la criminalità organizzata ha modificato la sua strategia facendosi pagare

meno, ma da tutti. Per questo è necessario “spronare” i cittadini a reagire e affidarsi alle istitu-

zioni. Il consiglio comunale ha ottenuto ottimi risultati. Infatti, grazie alle denunce delle vitti-

me, dopo anni di inferno, la polizia ha arrestato i due estorsori che si erano illusi di poter conti-

nuare a vivere sulle spalle di alcuni lavoratori di Cisternino. Tra questi il titolare di un panifi-

cio, un ristoratore e il gestore di un bar, costretti a pagare ai due malviventi somme di denaro

per soddisfare i loro interessi personali.

Discutere, aprirsi, cercare di abbattere la disoccupazione sul territorio (proprio tra chi non ha

lavoro la criminalità organizzata ingaggia la propria manodopera), interagire senza tener conto

dello schieramento politico di appartenenza, accrescere la presenza sul territorio delle forze

dell'ordine, diffondere la cultura della legalità anche attraverso l'operato di "agenzie educati-

ve”, la scuola innanzitutto.

Così si deve rispondere, perché bisogna avere il coraggio di dire: "IO NON HO PAURA"!

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8. INNOCENTI

Il sequestro di Marzio Perrini

Uno dei primi crimini mafiosi che ha scatenato molta preoccupazione nel centro brindisi-

no, esattamente a Fasano, é stato il caso di Marzio Perrini, titolare, con il fratello Florindo, di

una azienda agro-industriale locale avviata intorno al 1988.

Ogni giorno alle 5 del mattino Perrini scendeva di casa per raggiungere la sua auto e diri-

gersi verso il luogo di lavoro. Ma il 28 dicembre 1988 fu aggredito e rapito da una banda che

lo fece salire nella propria auto per poi fuggire. Sua moglie, che ancora era a casa, sentì delle

urla e si precipitò fuori per vedere cosa fosse accaduto: non trovò altro che una scarpa mal-

concia e gli occhiali semidistrutti di suo marito. Naturalmente, l’idea di un rapimento spinse

la donna a chiamare affrettatamente i carabinieri i quali, successivamente, trovarono per stra-

da poche tracce lasciate dai rapitori.

Il signor Perrini è stato vittima del primo sequestro di persona nella storia del brindisino.

Rapito sotto casa alle prime luci del mattino, l’imprenditore fasanese fu rilasciato l’11 luglio

dell’89, dopo una dura prigionia trascorsa in una tenda con catene ai piedi e al collo e che gli

è costata la mutilazione di un pezzo del lobo dell’orecchio sinistro.

La sua azienda era specializzata nella trasformazione e nell' import-export di prodotti a-

gricoli, come carrube e mandorle, destinati all' alimentazione animale ma anche alle case far-

maceutiche. Un'azienda che era stata in grado di conquistarsi un posto nel mercato italiano e

estero probabilmente non faceva comodo alla criminalità organizzata di Fasano e della zona.

L’adolescenza bruciata di Palmina Martinelli

È bella, intelligente, un fiore cresciuto nel fango. Il suo sogno è quello di sposarsi per fug-

gire via dall’ambiente fatiscente in cui viveva. Palmina è piccola, ingenua e si innamora di

Giovanni Costantini che, con il fratellastro Enrico Bernardi, procacciava ragazzine per av-

viarle alla prostituzione.

L’11 novembre del 1983 Palmina Martinelli esce di casa e incontra Bruno, il quale si so-

spetta abbia messo voci false su di lei, calunnie accendendo un’aspra discussione. Il Padre la

raggiunge sul posto riportandola a casa. Alle 16.25 rincasa il fratello maggiore, Antonio. En-

trando coglie un odore di bruciato e dei lamenti provenire dal bagno dove scopre la sorella

in piedi sul piatto doccia del bagno: il corpo è avvolto dalle fiamme. Palmina sta cercando di

salvarsi, ma la mancanza d’acqua rendono vano ogni suo tentativo.

Sia al giudice Nicola Magrone che ai carabinieri la vittima riferì con lucidità i nomi dei

suoi carnefici che, dandole fuoco, avevano voluto punirla per essersi rifiutata di prostituirsi.

Ecco alcuni drammatici passi delle sue dichiarazioni: - "Chi ti ha fatto del male?"-

"Giovanni, Enrico" - "Puoi dire anche il cognome di queste persone?”- "Uno Costantino.

L'altro non lo so" - "Cosa ti hanno fatto queste persone?"- "Alcol, fiammifero". Palmina, pe-

rò, non venne creduta per via del suo stato e della sua fragile condizione sociale. Così il caso

fu archiviato come suicidio.

Giovanni Costantino, uno dei due uomini indicati da Palmina, era il ragazzo di cui lei era

innamorata. All'epoca dei fatti egli aveva 19 anni. L’altro uomo, Enrico, era il fratellastro di

Giovanni e aveva costretto una delle sorelle maggiori di Palmina, Franca, a prostituirsi. Co-

me Enrico con Franca, anche Giovanni stava tessendo la sua tela intorno a Palmina. Pochi

giorni dopo le sue dichiarazioni, il 2 dicembre, la ragazza morì. Il 22 dicembre 1983 la Corte

d’Assise di Bari assolse Costantini e Bernardi per insufficienza di prove. I due, però, vengo-

no condannati a 5 anni per sfruttamento della prostituzione di altre donne (tra cui Franca

Page 14: Nostra la terra su cui camminiamo

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Martinelli). Palmina finì per esser

ritenuta una suicida che in punto

di morte aveva voluto calunniare

dei ragazzi per una macabra inten-

zione di far loro del male. Da vit-

tima divenne colpevole.

Oggi l’associazione Libera chiede

a gran voce di riaprire il caso e di

fare giustizia.

Il 23 aprile 2012 a Fasano, il paese

da cui Palmina non riuscì a fuggi-

re, è stata intitolata una piazza in

suo onore. Un riconoscimento im-

portante per mantenere almeno

viva la memoria e per continuare a

combattere. I colpevoli della sua

terribile morte non hanno un volto

per i giudici del suo processo. Pal-

mina è una vittima innocente e

rischia di non essere rispettata an-

cora una volta. Ma quello che la

società civile oggi chiede è che

Palmina abbia almeno una dignità

processuale da morte per omici-

dio; perché di questo si trattò, di

un ennesimo caso di violenza per

mano degli uomini a discapito del-

le donne. Un reato, questo, in co-

stante aumento in Italia, paese giu-

dicato civile, solo a parole. Se si

viene a conoscenza di tragici epi-

sodi simili a quello di Palmina, allora non possono che sorgere dei dubbi... L’appello che

proponiamo sta nel ricordo di un’ adolescente uccisa in circostanze tragiche proprio negli

anni più belli della sua vita.

Page 15: Nostra la terra su cui camminiamo

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9. LO STIVALE CORROTTO

“Continuiamo a chiamarli misteri. Ma non lo sono. Sono segreti. I misteri sono cose di

cui non sai la verità. I segreti sono cose che hanno la verità in un cassetto. Basta aprirli”. Co-

sì recita in un’intervista su Raitre Carlo Lucarelli, uno scrittore che ha dedicato importanti

saggi al bollente tema dell’illegalità e si è occupato dei disastri più bui della nostra nazione.

Fra i reati che vengono commessi nel nostro Paese solo in una piccola percentuale la veri-

tà giudiziaria coincide con la dinamica effettiva degli eventi. Ed è questo dettaglio a rivelare

l’anello debole della catena che dovrebbe apparire ai nostri occhi come un sostegno: la giu-

stizia.

Sì, la giustizia in Italia: un sistema mediocre che si preoccupa di additare un colpevole

piuttosto che comprendere le reali intenzioni del gesto. La conseguenza è molto spesso la

stessa. Il caso non viene risolto. Rimane lì. A marcire col tempo. Un caso esemplare è la

strage di Piazza Fontana dove, nonostante si conoscano gli artefici ed i moventi, non scaturi-

sce una decisa presa di posizione da parte dello Stato, il quale preferisce tacere anziché urla-

re a voce alta la verità. Un silenzio che pesa su gente come Manlio Milani, presidente

dell’Associazione Casa della Memoria dei familiari uccisi in piazza della Loggia a Brescia il

28 maggio 1974, giorno in cui si spense sua moglie.

L’illegalità è concreta, reale. Ma viene snobbata per paura di dover fare i conti con un es-

sere troppo grande, troppo sofisticato, troppo aggrovigliato, in cui gli italiani hanno ben im-

parato ad avvilupparsi, con la conseguenza di vederlo trasformato così in qualcosa di astratto

e fantasioso.

Lo scopo primario del nostro lavoro è tentare di far rinascere in tutti noi una coscienza

responsabile che ponga fine alla parola silenzio, che squarci il velo su fatti apparentemente

invisibili ma assolutamente evidenti. Una coscienza che inneggi alla lotta giornaliera contro

brutalità avvolte da un alone di mistero. Anzi di segreto.

"La speranza è la tensione della vita che si fa progetto.

Ogni persona spera, e non potrebbe fare altrimenti, perché

ogni esistenza è iscritta nel "registro" del possibile. Se to-

gli alla vita la speranza, le togli il suo elemento, l'aria che

respiri, la terra su cui cammini."

da "La speranza non è in vendita" di Luigi Ciotti, Giunti

edizioni GruppoAbele, 2011

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Bibliografia:

Mafie Origini e sviluppo del fenomeno mafioso di Antonella Colonna Vilasi, Dis-

sensi editore, 2011

La mafia spiegata ai miei figli (e anche ai figli degli altri), Tascabili Bompiani, 2006

La speranza non è in vendita, Luigi Ciotti, 2011

Delibera n. 7 del 04-02-2007 del Comune di Cisternino Oggetto: "Le istituzioni e la

legalità contro la piaga delle estorsioni"

Sdisonorate. Le mafie uccidono le donne, Associazione daSud

Sitografia:

www.chilhavisto.rai.it

www.antimafiaduemila.com

it.wikipedia.org

www.esercito.difesa.it

news.oria.info

it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Lucarelli

cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadld=ManlioMilani

www.ostuninews.it/operazione-fast-19-arresti-in-provincia-di-brindisi

Filmati:

Carlo Lucarelli ,“Storie di bande criminali, di mafie e di persone oneste”

Hanno lavorato, del Liceo Polivalente “don Quirico Punzi” di Cisternino:

classe 3 B Scientifico opzione Scienze Applicate: Antonella Canzio, Domenico Chi-

rico, Antonella Convertino, Rossana D'Errico, Cosimo Moretti, Pietro Pugliese, Cla-

ra Punzi, Marco Urso, Gianpiero Vignola

2 B Scientifico opzione Scienze Applicate: Clarissa Chirulli, Cinzia Moggia, Cosimo

Mai, Christian Valente

classe 2 A Linguistico: Anna Laura Arpino, Giada Biasi, Clarissa Cofano, Vittoria

Elia

classe 4 A Linguistico: Valeria Potenza, Giulia Semeraro

prof.sse Gabriella Ciccarone, Angelita De Pascale, Anna Amati, Vittoria Magno