Nord-Est_INternazionale1089 (13_19 Febbraio 2015)

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Due notizie sconcertanti. La pri-ma è che a marzo del 2014 c’èstata una consultazione popo-lare per decidere se il Veneto

dovesse diventare indipendente dall’Ita-lia. Secondo i promotori, al voto ha parte-cipato il 63 per cento dei quasi quattro mi-lioni di aventi diritto, e l’89 per cento di lo-

ro si è espresso in favore della secessionedall’Italia. Questo risultato è stato messo

in dubbio da molti, perché la consultazionenon si è svolta sotto la supervisione delleautorità regionali o nazionali, ma è stataorganizzata da un gruppo di separatisti chesi chiama plebiscito.eu, e le votazioni sonostate fatte online. Il sociologo Ilvo Dia-manti, però, ha invitato a prendere sul se-rio le aspirazioni indipendentiste. Comeha dimostrato un’inchiesta di Demos & Pi,il suo istituto di ricerca, l’autonomia è unaprospettiva allettante per una grossa fettadi veneti.

In Veneto non c’è mai stato un grandeentusiasmo per lo stato. La regione è dadecenni la locomotiva d’Italia, ed è quella

che paga più tasse, che lo stato investe so-prattutto nelle regioni del sud. Per moltiveneti è una situazione intollerabile, maquesto non basta a spiegare il desideriod’indipendenza.

L’altra notizia sconcertante è quella deisuicidi. Secondo uno studio dell’universitàprivata Link campus university di Roma,tra il 2012 e il 2013 si sono tolti la vita permotivi economici un centinaio di piccoliimprenditori veneti.

Il Veneto è la quinta regione d’Italia per

pil pro capite, e anche il tasso di disoccupa-zione (7,2 per cento) è nettamente inferio-re alla media nazionale (12,9 per cento).Ma in nessun’altra regione la crisi si è sen-tita così tanto. Dal 2007 il pil regionale si èridotto del 10,5 per cento e il tasso di disoc-cupazione è aumentato di quattro puntipercentuali. Diecimila imprese sono statecostrette a chiudere e altrettante lottanoper la sopravvivenza. È questo il motivo deisuicidi? Cosa sta succedendo nel nordestitaliano? Come mai tanti veneti hanno per-so la fiducia nello stato e nel futuro?

Un capannone nella provincia di Vicen-za. Il rumore dei macchinari, un paio di

Le aziende chiudono

o licenziano, gli imprenditorisi disperano e la fiducianello stato si sgretola.Reportage dal Veneto colpitodalla crisi

     P     R     O     S     P     E     K     T

Casier, in provincia di Treviso, 13 dicembre 2013

Sussurri e gridadal nordest

Mischa Täubner, Brand Eins, GermaniaFoto di Diambra Mariani

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operai e alcuni mucchi di anelli metallici.“Sono ladri, assassini e truffatori”, sbottaAntonio Costalunga, uno dei seicentomilaimprenditori veneti. Perde il controllo

quando pensa alla classe politica italiana.Costalunga, 67 anni, è alto e robusto.Ha le mani sporche d’olio ed è nato da unafamiglia operaia di Schio, una cittadina apochi chilometri di distanza. Ha raggiuntoil benessere economico con il lavoro e lafatica, ma da qualche anno gli affari dellasua fabbrica metalmeccanica sono in cadu-ta libera. Ha dovuto licenziare alcuni operaie la banca non gli fa più credito. Costalunganon riesce a trattenere la rabbia: “Io ho datoil mio contributo allo sviluppo dell’Italia eora che le cose vanno male lo stato mi ab-

bandona. I politici hanno mandato in rovi-na questo paese e noi ne dobbiamo subirele conseguenze”, protesta, l’imprenditore.“Paghiamo le tasse più alte d’Europa e lebanche non ci danno più soldi”.

Costalunga ha partecipato a una punta-ta del programma tv Servizio pubblico in cuisi parlava dei suicidi. È stato invitato per-ché giocava a calcio con uno degli impren-ditori che si è suicidato: Elia Marcante. Laditta di Marcante produceva macchine perla lavorazione del legno. Quattordici di-pendenti, tra cui i suoi due figli. Una sera di

marzo del 2013 sua figlia lo ha trovato im-piccato all’interno della fabbrica.

Durante il dibattito in tv Costalunga haurlato ai politici presenti: “Vergognateviperché siete voi che avete sulla coscienzaMarcante e tutti gli altri”. Il suo è stato losfogo di un uomo orgoglioso che vede mi-nacciato il lavoro di una vita.

Costalunga si mise in proprio alla finedegli anni sessanta. Dava l’impressione diessere una persona decisa e convinse il di-rettore di una filiale di banca a fargli creditoper aprire uno stabilimento di tornitura.

L’azienda cresceva. Costalunga si davada fare, tornava a casa solo per dormire. Ametà degli anni duemila alla lavorazionedell’acciaio ha affiancato la produzione distufe a pellet. Per tenere a distanza i sinda-cati e non dover sottostare alle rigide nor-me contro i licenziamenti ingiustificati,l’imprenditore è sempre rimasto sotto lasoglia dei quindici dipendenti, anche seavrebbe avuto bisogno di più persone. Og-gi invece i dieci dipendenti rimasti sonotroppi.

Nel 2005 un subappaltatore ha combi-nato un guaio dipingendo centinaia di stu-fe con una vernice che si staccava con il

calore forte. Sono passati quattro anni pri-ma che il perito incaricato dal tribunaleconfermasse l’errore, ma il verdetto defini-tivo deve ancora arrivare. “La giustizia ita-

liana è così: uno schifo”, commenta Costa-lunga. Gli italiani non avevano più i soldiper comprare le stufe e lui ha venduto quelsettore della ditta.

Malgrado le difficoltà, l’imprenditore sitiene stretta la sua fabbrica. Si aggira nelcapannone, dalle quattro del mattino e conla tuta da lavoro, lottando per difendere ilsuo lavoro. “I miei uomini”, esclama, “liho sempre pagati. Sempre!”.

Separatismo latenteNessuno può spiegare meglio di Daniele

Marini, sociologo dell’università di Pado-va, specializzato nel nordest italiano, cosasignifica la crisi per questa regione. Nel se-condo dopoguerra, racconta, il Veneto erauna delle regioni più povere del paese.Molti abitanti emigrarono per cercare for-

tuna. Poi negli anni sessanta ci fu una rapi-da ripresa, grazie soprattutto alle piccoleimprese manifatturiere a gestione familia-re. Fino agli anni novanta queste aziendehanno permesso alla regione di avere tassidi crescita annui compresi tra il 7 e l’8 percento. “E a questa tendenza si sono asso-ciate ascese sociali estreme”, dice Marini.

Gli imprenditori sono per il 60 per centoex operai che si sono messi in proprio nelsettore tessile o della lavorazione del legno,nel settore meccanico o della produzione

della carta, guadagnando bene. Pur essen-do cattolici, spiega Marini, i piccoli impren-ditori hanno mostrato un’etica del lavorocalvinista: “Hanno in comune un notevolesenso della responsabilità, uno stile diri-genziale paternalistico e un grande orgo-glio per quel che hanno realizzato”.

Per questo ora la crisi è così dura dasopportare, il loro orgoglio è ferito. Biso-gna tener conto di questo per comprenderei suicidi, spiega Marini. “In Veneto averesuccesso come imprenditore è la cosa mi-gliore che ti possa capitare. Fallire invece èla peggiore”. Secondo il professore, gli im-prenditori hanno la loro parte di responsa-

bilità. I pochi che nel corso degli anni han-no investito nell’azienda e si sono orientativerso un orizzonte internazionale stannosuperando la crisi. Gli altri si sono rivelati

troppo poco innovativi. Il 90 per cento del-le aziende venete conta meno di dieci di-pendenti e ha trionfato sul mercato finchéla globalizzazione non gli ha fatto perderela posizione dominante. “Che si trattassedi scarpe, sedie o carta”, dice Marini, gliimprenditori veneti “di colpo si sono trova-ti a competere con i cinesi, che offrivanoprodotti di qualità simile a un prezzo piùconveniente”.

Questa versione dei fatti non è moltopopolare in Veneto, dove si preferisce darela colpa delle difficoltà alla politica e ai me-

ridionali. Le differenze tra il nord ricco e ilsud povero hanno favorito fin dagli anniottanta le ambizioni secessioniste in Lom-bardia, Piemonte, Liguria e Veneto. Dagruppi regionali formati in quel periodonacque la Lega nord, un movimento popu-

lista di destra che sostiene di lottare controi politici corrotti di Roma e che chiede piùautonomia per i lavoratori settentrionali.

All’inizio degli anni novanta la Leganord approfittò dello scandalo di Tangen-topoli, un intreccio di corruzione, concus-sione e finanziamento illecito ai partiti.Con la disgregazione dei partiti della pri-ma repubblica la Lega si trasformò in unpartito di massa.

Con la crisi, questo separatismo latenteche esisteva da tempo ha avuto un nuovo

slancio. Nella memoria collettiva dei vene-ti si agita ancora lo spettro dell’antica Re-pubblica di Venezia, la Serenissima, unapotenza marittima ed economica che crol-lò nel 1797.

Uno che da molto tempo sogna la rina-scita della Serenissima è Gianluca Busato,45 anni, imprenditore informatico, l’uomoche ha lanciato la consultazione di marzo eche da un anno tiene conferenze e compa-re regolarmente in tv. Sono passati i tempiin cui organizzava segretamente circoli se-paratisti con un paio di compagni di lotta.Busato, jeans, polo bianca e sguardo cor-diale, non ha l’aria dell’agitatore. A metà

In Veneto avere successo comeimprenditore è la cosa miglioreche ti possa capitare. Fallire inveceè la peggiore

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Anche l’ex imprenditore Massimo Co-lomban, 66 anni, è stanco della politica.Vuole cambiare il paese e insieme ad altriimprenditori veneti, manager, presidenti

di associazioni e delle camere di commer-cio, ha fondato Si Salviamo l’Italia, unarete di oltre trenta associazioni per elabo-rare proposte di legge subito attuabili.

Per incontrare Colomban bisogna arri-vare fino a Cison di Valmarino, un anticoborgo ai piedi delle Dolomiti. Da qui siprende una funicolare fino a un magnificocastello che ai tempi dei romani era unafortezza e oggi ospita un albergo di lussocon parchi sterminati e diversi musei. Co-lomban ha acquistato la tenuta alcuni annifa e l’ha restaurata, spendendo 40 milioni

di euro. È diventato ricco grazie all’impre-sa edile Permasteelisa, fondata negli annisettanta e diventata una multinazionale.Oggi Colomban lavora come investitore econsulente. Sorseggia il suo martini conghiaccio nel bar dell’albergo mentre lascia

vagare lo sguardo sull’ampia vallata. “Sen-za corruzione in Italia non funziona nulla.L’Italia è diventata la faccenda privata diuna casta di politici, impiegati e funzionaricorrotti”, dice. E aggiunge che un impren-ditore deve sempre pagare, fare favori,proteggere i figli di qualcuno. Ogni annoquesta situazione costa 60 miliardi di euroallo stato.

Il peso del fiscoUna delle leggi proposte da Colomban e

dalla rete di organizzazioni riguarda la cor-ruzione e la concussione: “Chi crea undanno allo stato deve restituire una cifradoppia sull’ammontare ricevuto illecita-mente, oltre a essere interdetto per sempredai pubblici uffici, dai partiti e da qualsiasiente o azienda con una partecipazionepubblica”. Solo così lo stato potrà essererisanato, spiega l’ex imprenditore. Scuola,lavoro, sanità, giustizia: in tutti i campi oc-corrono nuove leggi. La burocrazia e l’altoonere fiscale devono essere ridotti. Rac-conta che il produttore di pasta Rana hadovuto trattare con le autorità per sette an-ni prima di poter costruire uno stabilimen-

to in Veneto, mentre negli Stati Unitidall’acquisto del terreno alla fabbricazionedei primi tortellini sono passati appena un-dici mesi.

Alcune aziende, prosegue Colomban,danno al fisco il 70 per cento del loro gua-dagno lordo. Dal momento che fino al 2014l’Irap, la tassa regionale, non prevedevadeduzioni sul costo del personale e sullespese di finanziamento, le imprese conmolti dipendenti e una copertura finanzia-ria limitata sono state particolarmentesvantaggiate. “Siamo un paese con uno deitassi di disoccupazione più alti d’Europa eci permettiamo una tassa sull’occupazio-ne. È una follia”.

I mezzi d’informazione seguono con

attenzione le idee escogitate da quest’uo-mo dietro le mura del suo castello. Nel 2013hanno reagito con irritazione quando Co-lomban ha fatto incontrare nella sua tenutagli imprenditori locali e gli attivisti del Mo-vimento 5 stelle, schierato apertamentecontro l’intero establishment politico. Suc-cessivamente hanno riferito che Colom-ban sosteneva il presidente del consiglioMatteo Renzi nel suo impegno riformista.Poi hanno dato la notizia che l’ex impren-ditore è un simpatizzante dell’indipenden-tismo veneto. Il leader separatista Busato

ha annunciato con orgoglio che Colombanha messo il suo castello a disposizionedell’assemblea costituente della nuova re-pubblica veneta.

Busato non ha più fiducia nell’Italia? “Citroviamo in una situazione di emergenza”,dice, “abbiamo bisogno di una ripartenzaimmediata. Se il governo collaborerà, be-ne. Altrimenti ne faremo a meno”.

Di questi tempi in Veneto si può osser-vare chiaramente cosa succede in una so-cietà che ha perso la fiducia nello stato.Oltre al separatismo, si sta affermando

l’intolleranza verso gli stranieri e gli emar-ginati. Questo sentimento viene alimenta-to da molti sindaci che sono stati eletti perla loro ostilità nei confronti dello stato cen-trale e che stanno consolidando la loro po-polarità con costanti campagne d’odio, inuna spirale negativa che erode ancora dipiù la fiducia nelle istituzioni.

Il prototipo del sindaco che s’infuria aogni occasione è Luca Claudio, di AbanoTerme. Il suo ufficio è pieno di gagliardetticon il ritratto del duce e altri souvenir diMussolini. “Un regalo dei cittadini”, spie-ga il politico. Per lui i suicidi degli impren-ditori sono stati una manna dal cielo. In un

degli anni novanta fu espulso dalla Leganord perché il suo impegno militante perl’indipendenza dell’Italia del nord non ri-entrava più nella linea del partito, che nel

frattempo aveva costituito una coalizionedi governo con Forza Italia e con Alleanzanazionale, partito radicato soprattuttoal sud.

Busato non ha mai smesso di battersiper raggiungere il suo obiettivo. Nel 2012ha cercato di ottenere una prima consulta-zione popolare. Ha raccolto firme per unapetizione che ha presentato alla giunta re-gionale e all’Unione europea. Non avendoavuto successo ha deciso di agire di propriainiziativa, mettendo in piedi un sito dove icittadini del Veneto registrandosi poteva-

no votare. Il risultato è stato annunciato il21 marzo scorso davanti a duemila personeesultanti in piazza dei Signori, a Treviso.“È stato un grande momento”, ricorda.

Per i veneti è insopportabile essere tra-scinati nel baratro “da uno stato che è uno

dei più indebitati del mondo e che ogni an-no sottrae al Veneto 21 miliardi di euro inimposte per tappare buchi di bilancio daqualche altra parte”, si sfoga Busato. Per“affamare la bestia”, come dice, ha esorta-to i veneti a smettere di pagare le tasse. Bu-sato dice che alle elezioni regionali, fissateper maggio, ci sarà un’altra opzione oltre aisoliti partiti: l’indipendenza. E poi? “La re-alizzeremo”. E se lo stato italiano non lopermetterà? “Lotteremo”.

Ad aver perso la fiducia nello stato non

sono solo separatisti fanatici come Busato.L’Italia di oggi è “un paese frastornato, incui i cittadini non sanno più a cosa devonocredere”, afferma il sociologo Ilvo Diaman-ti. Una volta all’anno il suo istituto di ricer-ca fa un’inchiesta sul rapporto che gli italia-ni hanno con lo stato. Tra il 2001 e il 2010circa il 30 per cento degli intervistati si fida-va delle istituzioni. Una percentuale bassache però nell’ultimo sondaggio (a dicem-bre del 2013) è precipitata al 19 per cento.Anche la fiducia nelle amministrazioni re-gionali e comunali e nell’Unione europea sista esaurendo, mentre nei partiti crede or-mai solo il 5 per cento degli italiani.

Molti sindaci sono stati eletti per laloro ostilità nei confronti dello statocentrale e consolidano la loropopolarità con campagne d’odio

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appello rivolto al presidente del consiglio eal presidente della repubblica, inviato an-che al papa e al presidente della Commis-sione europea, Claudio ha chiesto, facendoclamore, misure concrete. “I suicidi si dif-fondono a macchia d’olio e producono unpericoloso meccanismo di emulazione”,afferma Claudio. Abano Terme è una riccalocalità termale e ha ventimila abitanti.

Quasi nessun disoccupato, poca criminali-tà. Questo, però, non ha impedito a Clau-dio di organizzare delle ronde. E di invitarei cittadini a emigrare affermando, attraver-so dei tabelloni luminosi del comune, chelo stato tratta gli immigrati meglio degliautoctoni. “È stata una provocazione”, di-ce il sindaco sorridendo.

Giovani disoccupatiAnche a Verona, la città di Romeo e Giu-lietta, si respira da tempo il tanfo dell’intol-leranza. Quando Goethe fece tappa qui,

durante il suo viaggio in Italia, descrissel’impressione che ebbe di Verona in questitermini: “Del resto si grida, si scherza e sicanta per tutta la giornata fra un brulichio,una confusione, un tripudio e risate chenon finiscono mai. L’aria mite e il vitto abuon mercato rendono facile la vita”.

A circa 230 anni di distanza di quell’at-mosfera è rimasto ben poco. Il sindacovuole valorizzare il centro storico. Per far-lo, prima ha vietato ai cittadini di dare damangiare in strada ai senzatetto: chi si op-pone all’ordinanza deve pagare una multacompresa tra i 25 e i 500 euro. Poi ha fattotogliere le panchine per evitare che i sen-

zatetto ci dormissero. “La città ha perso lasua aria allegra”, dice Alice Peres, 39 anni,un’artista di strada che con il compagno e ilfiglio di cinque anni esegue i suoi numeriacrobatici davanti all’Arena. La donnaestrae dallo zaino un foglio: si tratta delnuovo regolamento che permette agli arti-sti di strada di usare il suolo pubblico per leloro esibizioni solo sette giorni al mese. Il

compagno dell’acrobata ha ricevuto unamulta di 168 euro perché stava mimandoun antico romano senza licenza. Da quelgiorno la coppia ha paura di essere multatadi nuovo.

Oggi fare un viaggio in questa regionesignifica attraversare una società disorien-tata. Stefano Allievi, sociologo dell’univer-sità di Padova, vede nell’aspirazione all’in-dipendenza il tentativo di fuggire dai pro-

blemi reali. “Nel Veneto di oggi”, spiega,“non resta praticamente più nulla dellacultura cosmopolita e del primato econo-mico dell’antica Repubblica di Venezia.Quella di oggi è una società chiusa, in granparte provinciale a livello economico, arre-trata sul piano digitale e che conosce pocole lingue straniere”. Se i veneti voglionoevitare un ulteriore declino, prosegue ilsociologo, devono uscire dall’ombra delpassato e aprirsi ai cambiamenti del mon-do globalizzato.

Allievi ha fiducia nei giovani, ma nean-

che per loro è facile. Davide Corporali hastudiato economia aziendale e spiegaquanto guadagna in Italia un giovane ap-pena entrato nel mondo del lavoro. Neiprimi sei mesi si riceve di solito solo unrimborso spese di 500 euro, poi per i suc-cessivi tre anni si guadagna 1.000 euro.“Però ottenere un contratto a tempo inde-terminato è molto difficile”. Il 40 per centodegli italiani con meno di venticinque anniè disoccupato, e un laureato su quattro la-scia l’Italia.

Meglio fondare un’impresa, hanno

pensato l’anno scorso Corporali e i suoiamici. L’azienda mette in contatto i pro-duttori locali di generi alimentari e i consu-matori. Carne, frutta, verdura, pane, for-maggio, pasta, vino: sul suo sito la dittaoffre cibi freschi d’ogni tipo. I giovani han-no firmato un contratto con alcuni produt-tori selezionati da cui vanno a prenderedirettamente la merce per poi consegnarlaai clienti entro tre giorni dall’ordine. L’atti-vità è ancora in fase sperimentale. Secon-do Corporali, le dimensioni della città fan-no di Verona il luogo ideale per questa atti-

vità, “che può facilmente essere estesa adaltre città con dimensioni simili”. Non ap-pena qui gli affari cominceranno ad andarebene, il servizio potrebbe espandersi.

Questi ragazzi non ricevono aiuti. InItalia le sovvenzioni pubbliche e i finanzia-tori privati sono rari, perciò molti giovani sitrasferiscono all’estero. Corporali e i suoisoci hanno versato un capitale iniziale di25mila euro e reinvestono tutte le entratenell’azienda. Per guadagnarsi da vivere perora fanno un altro lavoro. Corporali (peresempio) passa le serate dietro il banconedi un bar. “Per il momento”, dice, “mi stabene così”.u  fp

Da sapere

I consumi delle famiglieVariazione dei consumi rispetto all’annoprecedente, % Fonte: Unioncamere Veneto, rapporto 2013

2008-2009 2010-2011 2012-2013 2014

-1,1-1,4

-3,3-3,5

-0,1-0,3

0,9 0,9

Veneto

 Italia

Verona, 26 dicembre 2014. Unautolavaggio self service sullatangenziale Nord