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Rualita
‘le produzionidi
dellaProvincia di Napoli
AGRIPROMOSAZIENDA SPECIALEDELLA CAMERA DI COMMERCIODI NAPOLI
Kaki NapoletanoDOP
Noce di SorrentoIGP
CAMERA DI COMMERCIOINDUSTRIA ARTIGIANATOE AGRICOLTURA DI NAPOLI
1
AGRIPROMOSAZIENDA SPECIALEDELLA CAMERA DI COMMERCIODI NAPOLI
CAMERA DI COMMERCIOINDUSTRIA ARTIGIANATOE AGRICOLTURA DI NAPOLI
Kaki NapoletanoDOP
Noce di SorrentoIGP
Coordinamento editorialeM. Antonietta PolitoGiampaolo Romano
Referenze fotograficheAzienda agricola Agriselva, Acerra (per il Kaki napoletano)Salvatore Pastore (per la Noce di Sorrento)
TraduzioniMarkWalters
Progetto graficoLuigi Esposito
RealizzazioneArtemisia Comunicazioneartemisiacomunicazione.com
StampaInk Print snc
Stampato in Italia - ottobre 2004Riproduzione autorizzata citando la fonte
In questo volume è raccolta parte della documentazione predisposta per sostenere in sede comunitaria ilriconoscimento dei marchi di qualità per la noce di Sorrento IGP e per il kaki napoletano DOP.L’iniziativa, affidata dalla Camera di Commercio di Napoli all’Azienda speciale Agripromos, è statarealizzata in collaborazione con il Consorzio Promos Ricerche e cofinanziata da Unioncamere con ilFondo di perequazione intercamerale anno 2001.
AGRIPROMOSAzienda Speciale della Camera di Commercio di NapoliVia S. Aspreno, 2 - 80133 Napolitel. 081 7607112 - fax 081 5527688e-mail: [email protected]: www.na.camcom.it/agripromos
Consiglio di AmministrazionePresidente Pietro MicilloComponenti Marcello De Simone (Vice presidente)
Ilaria AscioneDomenico De BiaseGiulio ClementeCesare FalcheroCiro FiolaLuigi Matera
Direttore Antonio Vinci
presentazione le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
Le azioni di sostegno e valorizzazionedelle produzioni agroalimentari tradizio-nali e di qualità attuate dal sistema delleCamere di Commercio si basano su uncomposito programma di assistenza alleimprese che si pone tre obiettivi: selezio-nare le produzioni idonee ad aspirare alriconoscimento dei marchi di tutela euro-pei e avviarne l’iter di certificazione; indi-viduare i prodotti da valorizzare attraversomarchi collettivi certificati e promuovereforme di certificazione volontaria.Con il protocollo d’intesa sottoscritto
da Unioncamere e Ministero dellePolitiche agricole e forestali nel gennaio2003, l’impegno a cui sono chiamate leCamere di Commercio prevede anchespecifiche iniziative di supporto e promo-zione dei distretti agroalimentari, l’assi-stenza alle imprese nell’adozione di siste-mi di tracciabilità delle produzioni e, infi-ne, iniziative volte alla semplificazioneamministrativa.All’assunzione di tale rilevanti compiti
la rete camerale ha risposto con forza: nelcorso dell’anno 2003 sono state ben 70 leCamere di Commercio che hanno pro-gettato iniziative che apriranno la strada
della certificazione di qualità a circa 200prodotti agroalimentari tradizionali.Occorre rilevare che l’interesse intorno
alla qualità dei prodotti agroalimentari haavuto una vera e propria impennata negliultimi anni, per cui le iniziative istituzio-nali di regioni e camere di commercio equella dei diversi soggetti sociali, in primoluogo imprese e consumatori, crescono dinumero e qualità.I consumatori hanno mostrato di
apprezzare l’offerta che viene da una agri-coltura moderna e sostenibile, ma occorrecompiere ancora molti sforzi sia nella fasedella produzione che in quella della distri-buzione e dell’orientamento ai consumiper consolidare i risultati e garantire suc-cesso alle politiche di sviluppo del settoreagroindustriale.In tale contesto di promozione e svilup-
po dell’offerta agricola ed agroindustrialedel nostro Paese, la Camera diCommercio di Napoli ha attivato datempo programmi e numerose iniziativedi sostegno alla crescita ed alla qualifica-zione dell’apparato produttivo localeanche usufruendo del cofinanziamento diUnioncamere su specifici progetti condot-
Gaetano ColaPresidente della Camera di Commercio di Napoli
Presentazione
ti in sinergia con altre Camere diCommercio del Mezzogiorno.Con la pubblicazione di questo volume
viene presentata gran parte della riccadocumentazione predisposta daAgripromos, Azienda speciale dellaCamera di Commercio di Napoli, persostenere in sede comunitaria il riconosci-mento dei marchi di qualità per la Nocedi Sorrento e per il Kaki napoletano.L’iniziativa, alla quale hanno contri-
buito numerose imprese locali, raccoltein appositi Comitati promotori, espertied associazioni di categoria, consentirà adue specialità tradizionali, che testimo-niano la ricchezza e la varietà delle pro-duzioni agricole di pregio dellaCampania, di poter migliorare gli stan-dard qualitativi favorendo così l’adozio-ne di modelli produttivi in cui sapienza eabilità del produttore giocano un ruolofondamentale.
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli presentazione
Within a framework of nationwide sup-port and promotion for agrifood sectors, theNaples Chamber of Commerce - and espe-cially Agripromos, its special agency - haveundertaken an initiative to gain EuropeanUnion Designation of Origin status for twoquality products, the Sorrento walnut and
the Neapolitan persimmon. With the assi-stance of contributors to the initiative such asagricultural promotion committees and tech-nical experts, this publication seeks to testifyto the quality and variety of agri-food pro-duction in Campania.
presentazione le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
Questa pubblicazione rientra in un arti-colato programma di attività dirette allavalorizzazione ed alla promozione delsistema produttivo agroalimentare napo-letano che l’Azienda speciale Agripromosrealizza in linea con gli indirizzi program-matici della Camera di Commercio diNapoli, e rappresenta un significativocontributo conoscitivo su due prodottiagricoli tipici avviati a certificazione delmarchio di qualità comunitario: la Nocedi Sorrento ed il Kaki napoletano.Per ambedue le produzioni vengono
presentati i risultati degli studi e delle ana-lisi condotte, con il supporto delConsorzio Promos Ricerche ed in colla-borazione dei Comitati promotori costi-tuiti dalle aziende produttrici, sulle aree diproduzione interessate fornendo unadescrizione tecnico-economica dei pro-dotti, una esaustiva ricostruzione storicadella presenza delle due coltivazioni sulterritorio regionale e le prospettive di svi-luppo delle coltivazioni. Completano ilvolume i testi dei disciplinari di produzio-ne proposti per il riconoscimento, unapparato fotografico che documenta pro-dotti ed aree di produzione, abstract in
lingua inglese e, infine, alcune schede diricette di piatti e preparati tradizionali chepropongono quali ingredienti base la nocedi Sorrento ed il kaki napoletano.L’avvio della procedura per il riconosci-
mento del marchio di produzione perquesti due prodotti rientra in una piùgenerale politica di sostegno e valorizza-zione delle produzioni agroalimentaritipiche della nostra regione e si affianca aeccellenze produttive già premiate daimarchi UE quali la Mozzarella di bufalacampana DOP, l’Olio d’oliva della peni-sola sorrentina DOP, il Limone diSorrento IGP, la Mela annurca IGP,l’Albicocca vesuviana IGP, ed ad altre spe-cialità attualmente in attesa del riconosci-mento di qualità quali il Pomodorinovesuviano, il Provolone del monaco ed ilSalame napoletano.Questi riconoscimenti della qualità
agroalimentare, a cui vanno aggiunte lenumerose e qualificate produzioni vitivi-nicole locali, testimoniano che il patrimo-nio delle produzioni agroalimentari dellaprovincia di Napoli ed in generale dellaCampania, costituisce sempre più unasignificativa risorsa per l’economia locale.
Pietro MicilloPresidente di Agripromos
Azienda Speciale della Camera di Commercio di Napoli
Introduzione
La grande opportunità offerta dalla valoriz-zazione delle produzioni tipiche e tradizio-nali richiede però sforzi maggiori da partedei diversi soggetti impegnati nelle attivitàdi sostegno e sviluppo ed in primo luogodalle imprese: le produzioni agricole dellaprovincia costituiscono un vero e proprio“giacimento” ancora in gran parte inesplo-rato. Occorre rilevare che la diffusione della“cultura del cibo” come componente fon-damentale del benessere dell’individuo, disoddisfazione del gusto ma anche di risco-
perta di valori legati alla qualità, alla tipi-cità, alla storia ed alla cultura del cibo e delterritorio che lo produce, rappresenta unacomponente significativa delle motivazionial consumo. A queste esigenze può rispon-dere solo una agricoltura moderna e soste-nibile che miri a contribuire a migliorare laqualità della vita aprendo nuovi canalicommerciali capaci di favorire sbocchisempre più concreti sui mercati e, soprat-tutto, capace di offrire ai giovani nuove esignificative opportunità di reddito.
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli presentazione
This publication forms part of an elabora-te programme set up by Agripromos underthe auspices of the Naples Chamber ofCommerce to promote agrifood productionin the Naples area. It is designed to raiseawareness of the importance of two major
local crops, the Sorrento walnut and theNeapolitan persimmon, and present guideli-nes for their designation as quality products.This coincides with shifts in consumer tastestowards traditional food products and pro-mising market opportunities.
introduzione le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
L’agricoltura in Campania
Il territorio campano, con un’estensionedi 13.595 km2, è geologicamente giovanee morfologicamente molto vario: circa il40% della superficie totale è costituita dacolline, il 35% da montagne (di cui il 5%formate da rilievi vulcanici) e soltanto il15% è occupato da aree pianeggianti, pergran parte situate lungo la fascia costiera,talora interrotte da gruppi montuosi e col-linari che si spingono fino al mare. Unaripartizione schematica consente di indivi-duare, procedendo da ovest verso est, tredistinte aree: quella dei litorali e delle pia-nure costiere; quella del preappennino vul-canico e delle colline tirreniche pedemon-tane; quella dell’Appennino campano.La zona costiera, che sotto il profilo cli-
matico risente della influenza positiva eser-citata dal mar Tirreno, si articola parallela-mente al rilievo appenninico e ingloba,oltre al litorale, una fascia pianeggiante piùo meno ampia, interrotta trasversalmentein senso est-ovest dal Monte Massico, dallacollina napoletana flegrea, dalla penisolaSorrentina e dai Monti di Eboli. La forma-zione di alcune pianure costiere è legata
Le produzioni agroalimentari di qualità in Campania
Campania. Aziende agricole, superficie totale esuperficie utilizzata (in h)
Provincia Num. Aziende Sup Totale Sup Sau
Caserta 40.852 153.889 107.402
Benevento 33.530 149.251 116.909
Napoli 43.031 53.754 41.856
Avellino 48.421 199.248 140.424
Salerno 83.097 338.013 193.363
Totale 248.931 894.154 599.954
Fonte: Istat, censimento agricoltura, anno 2000
all’azione di deposito dei fiumi Garigliano,Volturno e Sele, mentre quella dell’areapianeggiante ad est di Napoli è da ricon-dursi all’azione piroclastica del sistema vul-canico Vesuvio-Flegrei. Le pianure alluvio-nali del Volturno e del Sele, un tempopaludose e malariche, sono state bonificatein tempi recenti e vaste aree sono staterecuperate all’agricoltura.La fascia di pianura appartenente alle
province di Caserta e di Napoli presenta,sotto il profilo territoriale, caratteri di con-tinuità che non danno luogo, nell’ambito
della stessa provincia, a differenze struttu-rali di rilievo, mentre nella provincia diSalerno l’area pianeggiante risulta articola-ta nelle due piane del Sarno e del Sele.Il centro della frutticoltura campana
risulta localizzato nella fascia pianeggiantecompresa tra le province di Caserta (pianadel Volturno), di Napoli (pianura napole-tana, agro - nolano) e, in misura minore diSalerno (pianura di Sarno e del Sele). Lanatura alluvionale dei terreni, talora resipiù fertili dai materiali vulcanici, associataad impegnative opere di bonifica e di cana-lizzazione delle acque, hanno reso questauna delle aree più produttive d’Italia.La zona del Preappennino campano, di
natura vulcanica, comprende l’apparato diRoccamonfina, i Campi Flegrei e ilVesuvio, mentre le colline pedemontanetirreniche, costituite da suoli di naturaprevalentemente argillosa, fungono daraccordo tra le aree di pianura e i massiccidella dorsale appenninica. Caratteri pedo-logici e morfologici simili a queste ultimepresenta la zona collinare, posta ad estdella dorsale appenninica, che comprendele alte valli del Tammaro, del Fortore,dell’Ufita e dell’Ofanto. Anche qui, infat-ti, i terreni sono a prevalente natura argil-losa e numerose sorgenti affiorano allabase di massicci calcarei. A sud di essa, trail Cilento e l’Appennino Lucano, sisnoda, attraversato dal fiume Tanagro, ilVallo di Diano, che rappresenta la piùestesa pianura interna.Nell’ambito di questa fascia collinare,
infatti, le aree in cui l’agricoltura risentedi condizioni pedologico-climatiche piùfavorevoli sono quelle esposte verso occi-dente, dove si estendono colture legnosetradizionali e specializzate, quali vigneti,
oliveti, agrumeti e noccioleti e le conche ele valli interne dove, oltre al seminativoarborato, sono diffuse anche colture spe-cializzate legnose ed erbacee: conca diAvellino (noccioli); bassa valle del Calore(viti); valle Caudina (alberi da frutto),conca di Benevento (Tabacco); Vallo diDiano (barbabietola da zucchero).La zona montana è costituita
dall’Appennino Campano che costituiscel’ossatura della regione: da nord a sud pre-senta una serie di massicci di natura preva-lentemente calcarea di origine cenozoica emesozoica (Monti del Matese, MonteTaburno, Monti Picentini, MonteAlburno, Monte Cervati), talora separati davalli trasversali (valle del Calore-Volturno,valle del Sele). Tutti questi rilievi sono carat-terizzati in genere da asperità morfologiche,da quote elevate e da affioramenti rocciosi.Queste aree sono occupate da boschi e pratie vengono sfruttate ad uso pascolativo, fore-stale e foraggero-zootecnico.La vegetazione naturale e seminaturale,
in tali zone, occupa una porzione rilevan-te, pertanto esse rappresentano le princi-pali aree protette a livello regionale.
L’agricoltura nella provincia di Napoli
Cuore e baricentro della regioneCampania, la provincia di Napoli è unterritorio ad assoluta vocazione agricola eoffre una gamma di specialità fra le piùampie in Italia. Alla base di tanta ricchez-za c’è una fortunata combinazione di ele-menti naturali: in primis la natura deisuoli, nera terra vulcanica ricca di elemen-ti minerali. A completare questo miracolodella natura concorrono poi un clima
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli introduzione
introduzione le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
mite e soleggiato, beneficamente influen-zato dalla brezza del Tirreno, e l’abbon-danza di acque di superficie. La superficieterritoriale della Provincia di Napoli è di117.113 ettari di cui 66.772 ettari (pari al57,0%) sono classificati di collina e50.341 (pari al 43,0 %), di pianura. Sitratta di un territorio caratterizzato dauna estrema diversificazione delle condi-zioni ambientali, morfologiche, geologi-che, pedologiche, climatiche e vegetazio-nali. Tale variabilità è legata a fenomenivulcanici recenti, alla presenza di un arti-colato sistema alluvionale e costiero e allapresenza di elevati rilievi carbonatici. Suquesto territorio ha inciso fortementeun’antropizzazione antica e sempre piùintensa che ha agito con il progressivodiffondersi delle attività agricole, dellesistemazioni agrarie, delle bonifiche, del-l’urbanizzazione.L’espansione urbana incontrollata dell’a-
rea partenopea sotto la spinta della fortissi-ma pressione demografica, con la conse-guente riduzione dei suoli agricoli, sonogli elementi più visibili dell’evoluzione diquesta regione. Tuttavia il territorio ruralenapoletano, oltre ad essere dotato di carat-teristiche produttive quantitativamente equalitativamente elevatissime, comprendeanche molte aree di straordinario valorenaturalistico e turistico quali quelle deiCampi Flegrei, del Somma-Vesuvio, dellaPenisola Sorrentina, delle isole.Le colline litoranee di Napoli com-
prendono tutta l’area che circonda la cittàdi Napoli e va dalla zona Flegrea ad Ovestall’area Vesuviana ad Est. Questa regione,che rappresenta il 33,6% del territorioprovinciale, è occupata quasi per metàdalla conurbazione napoletana ed è sog-
getta alla forte pressione dell’espansioneurbana. Nell’area Flegrea, costituita prin-cipalmente da colline vulcaniche e com-prendente conche e apparati dunali dellitorale sono rappresentati habitat costieried idromorfi di elevato valore ecologico eambienti di elevato valore naturalistico epaesaggistico, insieme ad unità agroam-bientali caratterizzate da sistemazioniagrarie ad elevato valore storico-culturalee da impianti arborei di tipo tradizionale,ad elevata complessità strutturale.La parte Vesuviana è dominata dai ver-
santi del Vesuvio e del Monte Somma,caratterizzati dalla prevalenza di sistemi divegetazione di elevato valore naturalisticoed ecologico. Sono presenti sistemazioniagrarie di elevato valore paesaggistico.Il piano campano sud-occidentale si
estende verso Ovest a partire daFrattamaggiore, comprendendo ilGiuglianese, ed occupa il 15,5% territorioprovinciale. E’ costituito principalmentedalla pianura pedemontana flegrea e daiversanti esterni dell’Archicaldera flegrea.Sono inoltre presenti, nella parte piùmeridionale, formazioni collinari vulcani-che su tufo giallo e, verso ovest, le depres-sioni retrodunali e gli apparati dunali dellitorale flegreo. Quest’area è caratterizzatadalla forte presenza di agro-ecosistemiarborei, che sono in maggioranza di tipotradizionale, caratterizzati da elevata com-plessità strutturale. Sono anche diffusisistemi arborei a maggiore grado di spe-cializzazione ed elevato valore produttivo.Il piano campano sud-orientale com-
prende l’Acerrano e il Mariglianese e rap-presenta il 15,2% del territorio provincia-le. E’ costituito in gran parte dalla pianu-ra alluvionale dei Regi Lagni e dalla pia-
I prodotti napoletani protetti
PODOTTI DOP E IGP
Mozzarella di bufala campana (Dop)Olio di oliva della penisola sorrentina (Dop)Limone di Sorrento (Igp)Pomodoro di San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino (Dop)Mela annurca (Igp)Albicocca vesuviana (Igp)
Altri prodotti in corso di riconoscimento: pomodorino vesuviano, provolone del monaco, salame Napoli
nura pedemontana acerrana. Prevalgono isistemi agroambientali caratterizzati dasistemi orto-floricoli specializzati caratte-rizzati da elevato valore produttivo (tipi-camente orticoltura da pieno campo).Sono inoltre presenti agro-ecosistemiarborei, specialmente di tipo specializzatoma anche di tipo tradizionale ad elevatacomplessità strutturale.La pianura di Nola e Pompei che rappre-
senta il 12,2% del territorio provinciale, ècostituita da un lato dalla pianura pede-montana dei Monti di Avella e dall’altrodalla pianura pedemontana nord-occiden-tale e orientale del Somma-Vesuvio. Questaregione comprende anche una parte limita-ta dei rilievi dei Monti di Cancello e Avella.L’area è caratterizzata dalla estesa presenzadi agro-ecosistemi arborei, in genere alta-mente produttivi a diverso grado di specia-lizzazione. Sono anche diffusi sistemi arbo-rei più tradizionali.In particolare, le colture più significative
della provincia di Napoli sono costituitedagli ortaggi (patate, pomodori, cavolfiori,piselli, fagioli), dagli alberi da frutto (noc-ciolo, albicocca, pesca, mela) dagli agrumi
(limoni e arance in primo luogo), dall’oli-vo, dalla vite; particolarmente rilevante,infine, la produzione di fiori e piante orna-mentali. Su una superficie provinciale dioltre 40.000 ettari, sono presenti 43.000aziende agricole che realizzano produzioniper un valore superiore ai 600 milioni dieuro. In termini di valore le produzioni piùsignificative sono rappresentate da quellefrutticole (27% del totale), orticole (25%)e florovivaistiche (20%).
Le produzioni agroalimentari di qualitàin Campania
In Italia i prodotti “protetti” rappresenta-no il 20 per cento del totale comunitario. Alprimo posto ci sono gli ortofrutticoli ecereali (trentadue) seguiti dai formaggi. Inbase alle ultime rilevazioni, effettuate daNomisma, nel 2001 il valore al consumodei prodotti a denominazione di origine ita-liani è stato pari a 7.653 milioni di euro, deiquali 4.346 per i formaggi, 2.817 per salu-mi e prosciutti, 75 per l’ortofrutta, 46 pergli oli di oliva e 370 per gli altri prodotti.
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli introduzione
VINI DOC, IGT
Asprinio di Aversa (Doc)Campi Flegrei (Doc)Capri (Doc)Ischia (Doc)Penisola Sorrentina (Doc)Vesuvio (Doc)Pompeiano (Igt)Epomeo (Igt)
introduzione le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
In Campania sono dodici i prodottiagroalimentari che si fregiano dei marchiDop e Igp.Tra questi la mozzarella dibufala e il caciocavallo silano, tre diversioli di oliva e prodotti ortofrutticoli qualila mela annurca, la castagna di Montella,il limone di Sorrento e della Costad’Amalfi, la nocciola di Giffoni e ilpomodoro di San Marzano. Per quantoriguarda le produzioni vinicole, sono benventinove i vini campani riconosciuti coni marchi Doc, Docg e Igt.Nell’ambito delle produzioni di qualità
della provincia di Napoli salvaguardate dalriconoscimento di qualità si segnala l’olioextravergine di oliva della PenisolaSorrentina, che ha ottenuto il riconosci-mento della DOP, il limone di Sorrento ilcui riconoscimento IGP è stato registratocon il Reg. CE 2446/2000 e l’albicoccavesuviana, che recentemente ha conclusol’iter per il riconoscimento dell’IndicazioneGeografica Protetta. Per altri prodotti tipicidella provincia quali il “salame Napoli”, il“provolone del monaco” ed il “pomodori-no vesuviano” i comitati promotori hannoavviato, per il tramite della regioneCampania, richiesta di registrazione dellaDenominazione di Origine protetta DOP,ai sensi del reg. CEE 2081/92.
La tutela delle produzioni agroalimentaritipiche
Il prodotto tipico è un prodotto caratte-ristico, originario di una determinata areageografica: ogni zona presenta infatti dellespecificità che influiscono in modo deter-minante sulla produzione agricola locale.In tempi recenti l’Unione Europea ha
predisposto un unico sistema di tutela deiprodotti tipici, sia all’interno dell’Unionestessa che in campo internazionale, unsistema che permettesse al consumatore diriconoscere in modo chiaro e semplice unprodotto tipico.A riconoscimento delle culture e tradi-
zioni locali, la Comunità Europea prevedeoggi tre livelli di tutela dei prodotti tipici:• DOP: Denominazione di OrigineProtetta (Reg. CE 2081/92)
• IGP: Indicazione Geografica Protetta(Reg. CE 2081/92)
• STG: Specialità tradizionale garantita(Reg. CE 2082/92)
La Denominazione d’origine protetta(Dop), definita come “il nome di unaregione o di un luogo determinato o, incasi eccezionali, di un paese”, è riservataai prodotti agricoli o alimentari conesclusione dei prodotti liquorosi, chesiano originari di tale regione, luogo opaese e “la cui qualità o le cui caratteri-stiche siano legate all’ambiente geografi-co, comprensivi dei fattori naturali edumani, e la cui trasformazione ed elabo-razione avvengano nell’area geograficadelimitata”. Affinché un prodotto possafregiarsi di questo marchio, è necessario,tra l’altro, che sia prodotto nel rispetto diun severo disciplinare di produzione esottoposto ai controlli previsti da partedi terzi.L’indicazione geografica protetta (Igp),
definita come “il nome di una regione o diun luogo determinato o, in casi ecceziona-li, di un paese”, è riservata ai prodotti agri-coli o alimentari che siano originari di taleregione, luogo o paese e “di cui una deter-minata qualità, la reputazione o un’altracaratteristica possa essere attribuita all’ori-gine geografica e la cui produzione e/o tra-sformazione e/o elaborazione avvenganonell’area geografica determinata”.Anche i prodotti che si fregiano del
marchio Igp devono riferirsi a uno speci-fico disciplinare ed essere sottoposti acontrolli. In linea di massima, però, ilriconoscimento della Igp è sottoposto aminori vincoli. Ad esempio, basta unasola caratteristica del prodotto correlataall’area a giustificarne la richiesta e fra talicaratteristiche è compresa anche la repu-tazione del prodotto stesso, ovvero lanotorietà acquisita nel tempo, ricono-sciuta e apprezzata dal consumatore.Inoltre, è sufficiente che una sola fase delprocesso produttivo avvenga in unadeterminata area geografica.Una Specialità Tradizionale Garantita
(STG) non fa riferimento ad un’originema ha per oggetto quello di valorizzareuna composizione tradizionale del pro-dotto o un metodo di produzione tradi-zionale.La procedura prevista per la registrazio-
ne di una Dop o di una Igp è lunga ecomplessa, prevedendo il coinvolgimentodelle amministrazioni pubbliche a trelivelli: regionale, statale e comunitario.Il tempo medio necessario per la con-
clusione delle procedure è di circa venti-quattro mesi.La richiesta di registrazione di una Dop
o di una Igp può essere avanzata dalle
associazioni. Per “associazioni” i regola-menti comunitari intendono “qualsiasiorganizzazione, a prescindere dalla suaforma o composizione, di produttori e/otrasformatori interessati al medesimoprodotto agricolo o alimentare. Ciòanche al fine di creare i presupposti per lacostituzione, ove non preesistente, di unidoneo consorzio di valorizzazione ingrado di svolgere le importanti funzionidi autocontrollo e tutelare e promuovereil marchio collettivo”.La domanda di registrazione va presen-
tata all’amministrazione regionale com-petente per territorio che, dopo unaprima istruttoria, invia il fascicolo alministero per le Politiche agricole e fore-stali, per il successivo inoltro allaCommissione dell’Unione europea.Dopo che la richiesta ha superato l’esa-
me dell’apposita commissione di valuta-zione, se si è ritenuto che la denomina-zione richiesta possiede i requisiti neces-sari per ottenere la protezione comunita-ria, la domanda viene pubblicata sullaGazzetta ufficiale delle comunità europeeper consentire eventuali opposizioni daparte di altri Stati membri.Solo successivamente la denominazione
viene iscritta nel Registro delle denomi-nazioni d’origine protetta e delle indica-zioni geografiche protette, insieme alnome delle associazioni richiedenti e del-l’organismo di controllo interessato.Il ministero per le Politiche agricole e
forestali, dopo aver ricevuto il fascicoloinviato dalla Regione interessata, apre l’i-struttoria nazionale, che consiste nellaverifica formale e tecnica della documen-tazione. In caso di istruttoria affermativa,tutta la documentazione, accompagnata
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli introduzione
introduzione le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
da una apposita scheda riepilogativaredatta dal Ministero, viene inviata allaCommissione europea.La Commissione ha sei mesi di tempo
dalla ricezione del fascicolo completo perla verifica della domanda di registrazione.Entro questi termini può a sua volta chie-dere chiarimenti e integrazioni della stes-
sa. Dopo aver esaminato la proposta, ildisciplinare di produzione viene pubbli-cato sulla Gazzetta ufficiale delle comu-nità europee per consentire agli altri Statimembri di avanzare opposizioni.Se l’esito è positivo, viene infine pub-
blicata sulla Gazzetta la notizia della regi-strazione della Dop o della Igp richiesta.
Agriculture in CampaniaCovering a surface area of almost 14,000
km2, the southern Italian region ofCampania is both geologically and morpho-logically diverse. Campania consists of fiveprovinces: Avellino, Benevento, Caserta,Naples and Salerno. Most of the region ishilly and mountainous, and only a smallpercentage (15%) consists of lowland plains.Just under two-thirds of the region is givenover to agriculture and forestry, and the ave-rage farm size is small (2.4 hectares). Thelowland plains are dominated by the region’sthree main rivers (Volturno, Sarno andSele). The reclaimed alluvial soils, enrichedby volcanic material, are some of the mostfertile in Italy, and are particularly noted forfruit production. The west-facing foothills ofthe Apennines as well as the areas aroundextinct or quiescent volcanoes (like Vesuvius)are suited especially to vines, olives, citrusand hazelnuts, while the montane zone isused for forestry, upland pasture and forageproduction.
Agriculture in the province of NaplesThe heart of the region of Campania is the
agriculturally fertile province of Naples,noted for its wide range of product speciali-
ties. Its fertility is due to a combination ofrich volcanic soils, a mild sunny climate andan abundance of surface water. There hasbeen considerable human impact sinceancient times, starting with agriculture andland reclamation to more recent – andsomewhat uncontrolled – urbanisation.However, the rural landscape has retainedmuch of its outstanding value and parts of it,such as the Phlegraean Fields, Vesuvius,Sorrento peninsula and islands like Capriand Ischia, remain a major tourist attrac-tion. The main crops grown in the provinceare vegetables, fruit including citrus, oliveand vine, while floriculture is also a majorsector. In all, 43,000 farms account for salesof over 600 million euros.
Agri-food quality production in CampaniaIn Italy “protected” products amount to
20% of the EU total, dominated by fruit,vegetables and cereals, and with cheese insecond place. Campania has twelve agri-foodproducts which are sold under the PDO(Protected Designation of Origin) and PGI(Protected Geographical Indication) labels.These include buffalo mozzarella, three dif-ferent olive oils and fruit products such as theAnnurca apple, the Montella chestnut, the
english abstracts
lemon from Sorrento and the Amalfi Coastand the San Marzano tomato. As regardsviticulture, 29 wines from Campania havebeen registered with special designations.
The province of Naples includes amongstits protected products extravirgin olive oilfrom the Sorrento Peninsula (PDO), theSorrento lemon (PGI) and the apricot fromVesuvius (PGI). Promotion committees haveapplied via the Campania RegionalAuthority for PDO recognition to be awar-ded to other specialities, such as salameNapoli, provolone del Monaco cheese, andsmall Vesuvius tomatoes.
Protection of typical agri-food productionRecently the European Union has laid
down a single system to protect typical pro-ducts both within the EU and international-ly. This system allows the consumer to clearlyrecognise a typical product. There are threelevels of protection:• PDO Protected Designation of Origin• PGI Protected Geographical Indication• TSG Traditional Speciality Guaranteed
Protected Designation of Origin coversthe term used to describe agricultural andfood products which are produced, processedand prepared in a given geographical areausing recognised know-how. It takes thename of a region, place or town. For a pro-duct to be able to use this label, it has to beproduced under strict guidelines and besubject to third-party controls.
Protected Geographical Indication, defi-ned as the name of a region, place or town, isused for agricultural and food products thatare originally from the area in question and
of a certain quality, reputation or haveanother characteristic that may be attributedto its geographical origin. Further, the geo-graphical link must occur in at least one ofthe stages of production, processing or prepa-ration.
Traditional Speciality Guaranteed doesnot refer to the origin but highlights a tradi-tional component, either in the compositionor means of production.
There is a long, complex procedure forregistering a PDO or PGI, involving publicadministration at the regional, national andEU level, which takes an average of twoyears. Applications for registering a PDO orPGI may be made by associations, intendedby the EU as any organisation, irrespective ofform or composition, of producers and/orprocessors interested in the agricultural orfood product. This also aids the setting-up ofa suitable consortium for performing thevaluable functions of self-monitoring, as wellas protecting and promoting the collectivelabel. Once the application has passed thetest of the assessment commission, if it is dee-med that the designation has the necessaryprerequisites to obtain EU protection, theapplication is published in the OfficialJournal of the European Communities toallow possible opposition on the part of otherMember States. Only at a later stage is thedesignation listed in the PDO and PGIRegistry, together with the name of the appli-cant associations and the watchdog bodyconcerned. After subsequent stages involvingnational and supranational controls, in theevent of a positive outcome, the OfficialJournal will publish the news of the registra-tion of the PDO or PGI in question.
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli introduzione
Kaki Napoletano le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
Kaki NapoletanoDOP
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli Kaki Napoletano
Kaki Napoletano le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
Il mercato della produzione agroali-mentare italiana in questi ultimi annirisulta fortemente caratterizzato dalla cre-scente affermazione di prodotti comune-mente definiti “tipici”, ossia di prodotti eproduzioni con forti legami con il territo-rio di cui sono espressione e per il qualeassumono, per svariati motivi, una note-vole rilevanza economica.Al concetto di tipicità, nell’accezione
maggiormente accettata, concorrono uninsieme di aspetti alcuni riconducibili allainfluenza determinata dalle condizioniclimatiche, altri legati alle peculiari carat-teristiche di un prodotto, altri ancorasono attribuibili al sapiente ingegno digenerazioni di uomini che hanno saputoconferire carattere di unicità a tecniche dicoltivazione e/o trasformazione. Questagrande eterogeneità di tradizioni e cultu-ra, hanno consentito al nostro paese diottenere e mantenere produzioni dallecaratteristiche inimitabili.La Campania, per il suo straordinario
clima è stata da sempre caratterizzata dauna frutticoltura estremamente varia e
ricca; in questo ambito, un posto di rilie-vo è assunto dal Kaki napoletano.Cultivar nota ed apprezzata, anche al di
fuori dei confini nazionali, ha saputo inquesti anni resistere alle oscillazione delgusto del mercato ed alle tentazioni dimutamento di indirizzo colturale, conti-nuando ad occupare un posto di assolutorilievo tra le produzioni agricole regionalioltre ad essere il punto di riferimentodello specifico comparto a livello nazio-nale.Ritenendo di avere nella consolidata tra-
dizione storica, nella tecnica e nelle caratte-ristiche del prodotto un insieme di elemen-ti qualificanti della peculiarità del Kakinapoletano, lo si propone quale prodotto aDOP/IGP (Denominazione di Origine /Indicazione Geografica Protetta), in accor-do a quanto prescritto dal Reg. CEE2081/92. Gli elementi che si forniscononella presente relazione storica, servono adimostrare che il prodotto Kaki napoleta-no possiede tutte le caratteristiche richie-ste dalla vigente normativa comunitaria.
1. Premessa
Il kaki è coltivato nella zone asiatichedi origine, Cina e Giappone; ma èampiamente diffuso anche nei paesi delbacino del Mediterraneo (Italia, Spagna,Grecia). In America, invece, è coltivatosoprattutto in California.In Italia, le condizioni climatiche utili
allo sviluppo del kaki, territorio di mediacollina, esposto a mezzogiorno o ad occi-dente, protetto dai venti, per evitare lascosciatura dei rami, sono presenti indiverse regioni agrarie, sia settentrionaliche centrali e meridionali. Tuttavia inCampania, l’insediamento e la diffusionedella coltura del kaki, ha trovato lemigliori condizioni di attuazione per le
peculiari caratteristiche pedoclimatichedei diversi areali presenti. In effetti, ilkaki è coltivato in tutta la regione, ma lacoltura è prevalente in tre province:Napoli, Caserta e Salerno.In provincia di Napoli le aree di mag-
giore diffusione sono le zone flegrea, vesu-viana, acerrana-nolana. In provincia diSalerno le principali aree di coltivazionesono l’agro nocerino-sarnese, l’Alto Sarno,la Valle dell’Irno, la Valle del Picentino. Inprovincia di Caserta la coltura si riscontranell’agro aversano, nel maddalonese e nelsessano-teanese Infine in provincia diBenevento modeste coltivazioni sono pre-senti nella Valle Caudina.
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli Kaki Napoletano
2. L’area geografica interessata
Kaki Napoletano le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
3.1 Cenni sull’origine e storia del kaki
Il kaki (denominato anche diospiro,pomo, loto del Giappone) è originariodella Cina, dove, unitamente al Giappone,viene largamente coltivato da oltre un mil-lennio. La ‘mela d’Oriente’, così è denomi-nato in Cina e in Giappone il frutto delkaki, viene consumata fresca o essiccata eoccupa un posto importante nell’alimen-tazione di quei popoli (Diospyros significa“cibo degli Dei”).Già all’epoca dell’antica Roma, Plinio,
in Naturalis Historia, parlava delle piantedi loto, in Piazza del Tempio e presso ilTempio di Vulcano ma la prima testimo-nianza bibliografica della parola kaki èrappresentata da un documento del 918ritrovato in Giappone, paese dove questaspecie vegetale ha incontrato grandepopolarità.In Italia il genere Diospyros era cono-
sciuto fin dal 1500 con la specie Diospyroslotus, portata dai navigatori ed era divenu-ta una pianta molto diffusa a scopo orna-mentale nei parchi e nelle ville signoriliper il suo aspetto elegante e per la sua bel-lezza autunnale, quando la pianta perde le
foglie e rimangono visibili i suoi frutti,tanti piccolissimi kaki di soli due centi-metri di diametro, così piccoli da sembra-re tante palline d’oro. Quest’albero venivachiamato anche “legno di Sant’Andrea”perché secondo la leggenda il suo legnoera servito per costruire la croce del Santo.In Europa, si iniziò a mostrare interesse
per il kaki attorno al 1800, prima inFrancia, poi in Italia.Nel 1845-46 il Giardino Botanico di
Genova introdusse nuove entità tropicali,per riparare i danni subiti dallo storicogelo dell’inverno 1845-46, e all’esternofurono messi a dimora interessanti esem-plari di Diospyros kaki L..Successivamente nel 1871 una pianta
di kaki fu introdotta come specie orna-mentale nel giardino di Boboli a Firenze;i primi frutti raccolti furono presentati aduna conferenza orticola nel 1876.I Fratelli Ingegnoli, vivaisti e proprieta-
ri dei primi stabilimenti agro-botanicieuropei, furono i primi ad importare inEuropa, dal lontano Giappone, i Kaki lacui diffusione fu immediata; è del 1888una lettera del Maestro Giuseppe Verdiindirizzata ai Fratelli Ingegnoli con la
3. Notizie storiche sul prodotto
quale li ringraziava per l’invio di alcunifrutti ottenuti dalle prime piante prodot-te nel vivaio.
3.2 Origine, storia e diffusione del kakinella zona
Così come avvenuto nel resto d’Italia, èdato presumere che anche in Campania ilgenere Diospyros, con la specie Diospyroslotus, fosse conosciuto fin dal 1500, por-tato come curiosità botanica dai naviga-tori e divenuto in breve tempo una pian-ta molto diffusa a scopo ornamentale neiparchi e nelle ville signorili.Tale utilizzo è sicuramente ancora pre-
sente all’epoca della dominazione spa-gnola a Napoli.Ad avvalorare tale ipotesi è la similitu-
dine tra le denominazioni popolari concui i napoletani (legno santo) e gli spa-gnoli (palo santo) chiamano il kaki.Il passaggio tra la fase dell’utilizzo orna-
mentale alla verifica del possibile impiegoai fini colturali si ha alla finedell’Ottocento quando alcuni Giardinibotanici, cominciarono a sperimentarel’uso del kaki come pianta di possibileinteresse produttivo per il consumo deisuoi squisiti frutti.La prima coltivazione specializzata del
kaki in Italia è segnalata nel 1916 aPagani, nell’agro Nocerino-Sarnese, terri-torio che, all’epoca, faceva parte ancoradella Provincia di Napoli.Da qui, la coltura si è nel corso degli
anni estesa in termini e percentuali diverseanche ad altre province della Campania,.L’apprezzamento dei mercati per la
qualità del prodotto ha determinato, nel
tempo, l’affermazione ed il consolida-mento della denominazione “napoletano”che, originariamente riservata al prodottoproveniente da tale territorio, è stata este-sa anche a quello proveniente dagli altriareali regionali di coltivazione.Negli anni 40, la coltura ha raggiunto
il suo apice con una produzione naziona-le di circa 250.000 t. il 50% della qualeproveniente dalla sola Campania.Ancora nel 1960, nonostante una note-
vole flessione nella produzione nazionalecomplessiva, passata a circa 70.000 t., laCampania con le sue 45.000 t. ne rappre-sentava circa il 65% confermando comeprincipale provincia produttrice quella diSalerno seguita da Napoli e Caserta.Il primato produttivo della Campania è
ancora oggi confermato dal 52% dellaproduzione nazionale di kaki (90% dellaquale rappresentata dal Kaki Tipo) e dalsalto di qualità registrato nella tipologia diimpianti predominanti, passati dalla coltu-ra promiscua degli anni 40 ai più modernied efficienti impianti specializzati.
3.3 Il Kaki Napoletano caratteristiche especificità
Con la denominazione “KAKI NAPO-LETANO” sono designati i frutti riferi-bili alla cultivar “Kaki Tipo”, nelle tipolo-gie fecondata e non fecondata, tipica-mente prodotti in molte aree agricoledella regione Campania. Questa cultivarappartiene al gruppo VFNA e producefrutti astringenti, non eduli alla raccoltase partenocarpici (apireni) solitamenteprovvisti di un numero limitato di semi;e non astringenti, eduli alla raccolta, se
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli Kaki Napoletano
Kaki Napoletano le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
fecondati e provvisti di un numero eleva-to di semi.All’atto dell’immissione al consumo, i
frutti, distinti nelle due tipologie com-merciali, presentano le seguenti caratteri-stiche:A) Kaki fecondato (edule alla raccolta):• Forma del frutto: sferoidale - arro-tondata;
• Peso: 115 g. a frutto (valori minimiammessi);
• Presenza di semi: minimo 4; èammesso il limite di 3 ma solo perfrutti con peso massimo di 150 gr.;
• Polpa: Arancio - bronzeo;• Residuo rifrattometrico: non inferiorea 16°Brix;
• Caratteristiche della polpa: consistentedurezza al penetrometro (con punta-le di 8 mm) non inferiore a 6 kg.
È ammessa la presenza di ragnaturaapicale.
B) Kaki non fecondato:• Forma del frutto: Sferoidale - arro-tondata;
• Peso: 140 g. a frutto (valori minimiammessi);
• Residuo rifrattometrico: non inferio-re a 16°Brix;
• Caratteristiche della polpa: aspettodeliquescente.
• Presenza di semi: massimo 3 perfrutto;
È ammessa la presenza di ragnaturaapicale fino ad un massimo di 2 cm perfrutto.
I frutti di entrambi le tipologie devono,inoltre, presentarsi:- Sani; sono esclusi i prodotti colpiti da
marciume o che presentino alterazionitali da renderli inadatti al consumo;
- Puliti ed interi;- Esenti da danni provocati da parassiti.
3.4 Elementi che comprovano il legame trail Kaki Napoletano e la zona
Diversi autori hanno evidenziato chela coltivazione del kaki in Italia, si è svi-luppata inizialmente nel Salernitano, poinelle altre province della Campania esuccessivamente si è diffusa in altre zoned’Italia. In particolare, il legame tra ilkaki napoletano e le zone così comeriportato nell’Enciclopedia AgrariaItaliana del 1969, è legato al fatto che “lazona climatica più adatta, in Italia, corri-sponde alle fasce litoranee centrali ed alleregioni meridionali ed insulari e prosperanei terreni di origine vulcanica come inCampania, dove trova condizioni favore-voli nella vasta zona colturale dell’Olivo,del Fico e del Pesco”, inoltre, per ciò checoncerne la coltivazione, già negli anni60, veniva evidenziato come “nel napole-tano fosse frequente l’applicazione delloscasso a fosse e talvolta a buche; trattan-dosi, però, di terreni vulcanici con strut-tura fisica molto favorevole” e che,nonostante fosse “ da preferire l’impian-to specializzato in Campania, tuttavia,soprattutto nelle vecchie piantagioni pre-dominano i diospireti consociati conPesco, Noce, Melo e talvolta anche conagrumi e con il nocciolo e infine conpiante ortive”.Il legame tra il kaki napoletano e la
zona è legato anche a testimonianze piùpropriamente di tipo scientifico che
dimostrano una collaborazione attiva disperimentazioni sul campo già dagli anni‘40, come dimostrato dagli Annali dellaFacoltà di Agraria di Porticidell’Università di Napoli (ex RegioIstituto Superiore Agrario di Portici) –1949, dove il Prof. Vitagliano M. in unasua nota preliminare sopra il processo dicoltivazione dei frutti di “Diospyros KakiL.” - Le varietà coltivate nell’agro noceri-no - evidenziava risultati scientifici deri-vanti da studi ed analisi effettuati su rac-colti provenienti da una ditta di Angri.Lo sviluppo dell’estensione nella regio-
ne Campania della coltivazione del kakiera stata già riscontrata da F. Alvisi nellarelazione presentata nel 1988 alConvegno SOI “Aggiornamenti nella col-tura del kaki”. Faenza 21 aprile 1988: “InCampania dove prevale ancora di granlunga la coltura promiscua, una partecospicua della produzione (circa 344 milaquintali nella media del periodo 1981-86) è ottenuta in provincia di Napoli. Intale provincia le coltivazioni di maggiorrilievo sono realizzate nel Giuglianese, nelNolano, nell’Acerrano e nei comunivesuviani. In provincia di Caserta la pro-duzione deriva soprattutto dalle seguentizone: Valle di Maddaloni, MontecadoroAversa e San Felice a Cancello. NelSalernitano l’offerta di kaki si realizzaprevalentemente in alcuni comuni dell’a-gro nocerino (Angri, Nocera Inferiore eSuperiore, Pagani, ecc.)Oggi in Campania, l’areale di produ-
zione della “Kaki napoletano” è moltoampio, interessando sia pure in manieradiversa quasi tutto il territorio regionale.In particolare, vengono riportati i comu-ni che sono interessati alla coltura.
A) CASERTA:Arienzo, Aversa, Caianiello, Carinaro,Carinola, Casal di Principe, Casaluce,Casapesenna, Caserta, Cellole,Cervino, Cesa, Francolise, Frignano,Grazzanise, Gricignano d’Aversa,Lusciano, Maddaloni, Orta d’Atella,Parete, Pignataro Maggiore, SanCipriano d’Aversa, San Felice aCancello, San Cipriano d’Aversa, SanMarcellino, Santa Maria a Vico,Sant’Arpino, Sessa Aurunca, Sparanise,Succivo, Teano, Teverola, TrentolaDucenta, Valle di Maddaloni, Villa diBriano, Villa Literno.
B) NAPOLI:Acerra, Afragola, Boscoreale,Boscotrecase, Brusciano, Caivano,Calvizzano, Camposano, Cardito,Casalnuovo di Napoli, Castello diCisterna, Cercola, Cicciano, Cimitile,Crispano, Frattamaggiore,Frattaminore, Giugliano inCampania, Marano di Napoli,Mariglianella, Marigliano, Massa diSomma, Melito di Napoli, Mugnanodi Napoli, Napoli, Nola, Ottaviano,Palma Campania, Poggiomarino,Pollena Trocchia, Pomigliano d’Arco,Pompei, Pozzuoli, Qualiano, Quarto,San Gennaro Vesuviano, San GiuseppeVesuviano, San Vitaliano,Sant’Anastasia, Sant’Antimo, Saviano,Scisciano, Somma Vesuviana, Striano,Terzigno, Torre del Greco, Trecase,Villaricca, Volla.
C) SALERNO:Angri, Baronissi, Bracigliano, CastelSan Giorgio, Cava dei Tirreni,Corbara, Fisciano, Mercato SanSeverino, Nocera Inferiore, Nocera
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli Kaki Napoletano
Kaki Napoletano le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
Superiore, Pagani, Pellezzano,Roccapiemonte, Salerno, San Marzanosul Sarno, San Valentino Torio,Sant’Egidio del Monte Albino, Sarno,Scafati, Siano.
D) BENEVENTO:Airola, Arpaia, Dugenta, Durazzano,Forchia, Paolisi, Sant’Agata dei Goti.
3.5 Elementi che comprovano il legame trail Kaki Napoletano e l’ambiente geo-grafico e pedoclimatico interessato
Il kaki, è una specie subtropicale, dota-ta di grande adattabilità a diversi ambien-ti pedoclimatici e colturali.In Campania trova le condizioni di col-
tivazione idonee con terreni di medioimpasto, profondi e ben drenati anche sesi adatta bene ai terreni argillosi.Le province di Salerno, Napoli, Caserta
e Benevento producono il 50% della pro-duzione nazionale con una superficieinvestita di circa 1.200 ha (Dati Istat-2003).Generalmente viene coltivato nelle
fasce pianeggianti e collinari dove le pri-mavere sono precoci, le estati calde contemperature massime che oscillano tra i28-31 della costa ai 25-28 delle localitàinterne, ma non mancano zone daimicroclimi particolari come la pianuracasertana, il vallo di Diano e l’agro noce-rino e l’alta Valle dell’Irno, caratterizzateda un clima più torrido con temperatureche spesso sfiorano i 31°, raggiungendopunte di 36-38°. In inverno le tempera-tura non scendono al di sotto dei 5-6 °C.Tali condizioni favoriscono la crescita
della pianta e il regolare sviluppo dei
frutti. Le precipitazioni annue, nell’ambi-to del territorio di coltivazione, sonosuperiori ai 700 mm, ben distribuite conun picco primaverile ed uno autunnale, etali da soddisfare l’elevato fabbisognoidrico della coltura.Le conoscenze tecniche acquisite nel
tempo dai produttori, adattate alle condi-zioni locali, hanno contribuito a farne unprodotto di qualità riconosciuta.In Campania, regione maggiormente
interessata alla produzione di kaki, affian-cano la Kaki Tipo diverse cultivar locali,appartenenti al gruppo delle variabili, cheportano fiori maschili e femminili, e ven-gono tradizionalmente utilizzate comeimpollinatori per ottenere kaki fecondati,eduli già al momento della raccolta.Il legame tra il kaki napoletano e l’am-
biente geografico e pedoclimatico è statogià indirettamente riportato in meritoalla zona (cfr. 3.4), sia nell’EnciclopediaAgraria Italiana, per ciò che concernevocazione e consociazione ad altre colturetipiche, sia negli Annali della FacoltàAgraria di Portici dell’Università diNapoli (1949) relativamente alla “costitu-zione chimica” della produzione di kakinell’agro nocerino. In particolare, sugliAnnali il prof. Vitagliano oltre a valutarein due milioni e mezzo di quintali peranno la produzione nazionale, della qualela metà circa realizzata in Campania,posiziona la produzione di kaki al terzoposto, nella “nostra produzione di frutta,dopo mele e pere”, e prendeva “in conside-razione le varietà: “Cioccolatino”,“Vainiglia fisso”, “Vainiglia non fisso”,“Melella”, “Costata”, “Selvatico”, che sonopoi quelle più diffuse nelle coltivazioni del-l’agro Nocerino …..”, evidenziando che “la
nostra produzione, almeno per le varietà eper l’ambiente preso in considerazione,sarebbe assai meno provvista di tanninorispetto alle varietà americane …”.Nel patrimonio del germoplasma cam-
pano, infatti, si annoverano numeroseaccessioni non presenti in altre regionidiospiricole e le denominazioni con lequali esse sono riconosciute, sono di ori-gine tipicamente campane. Ricordiamo“Melella” (piccola mela), “Zellona”,“Cioccolatino”, “Lampadina”, che oltread assumere l’importante funzione diidonee impollinatici per la “Kaki Tipo”producono frutti molto ricercati per lapiccola pezzatura, l’elevato grado zucche-rino, la buona conservabilità che risulta-no totalmente eduli alla raccolta e pre-sentano polpa scura (Bellini et al., 1985).In altre regioni italiane non esistono
cultivar locali con fiori maschili e femmi-nili se non quelle pomologicamente piùconosciute (Mercatelli, Shogatsu, ecc.).Questa è un’ulteriore prova della parti-
colarità delle condizioni pedoclimatichedella regione che ha consentito la diffu-sione di cultivar originatesi localmente eche hanno trovato una diffusione limitatasolo in quest’area diospiricola.
3.6 Il Kaki Napoletano nella cultura, nelfolklore e negli usi dell’area
Il kaki è stato introdotto in Italia intempi recenti rispetto al altre specie frut-ticole, di conseguenza le fonti storichesono ridotte. Nonostante ciò, inCampania, regione dove ha trovato lecondizioni ottimali di coltivazione, essoha una memoria storica che non va cerca-
ta negli archivi o nelle cronache d’epoca,ma più propriamente, nei racconti degliagricoltori e nelle loro abitudini. Il primotestimone della memoria storica è il pro-cesso produttivo con le sue peculiari dif-ferenziazioni, rispetto ad altre zone dio-spiricole, a partire dalla coltivazione sinoad arrivare alla tipologia del frutto e allasua commercializzazione.La Campania ha detenuto per lunghi
decenni il primato produttivo nazionale esui mercati italiani il prodotto era soprat-tutto conosciuto come cachi napoletano odialettalmente come cachisse o legnesante(perché secondo la leggenda il suo legnoera servito per costruire la croce diSant’Andrea), così come riportato nelvocabolario Napoletano-Italiano eItaliano-Napoletano di Antonio Salzano -1979 - della Società Editrice Napoletana.I frutti del kaki sono destinati principal-
mente al consumo fresco e raramente allatrasformazione industriale (essiccazione);anche se prodotti artigianali di kaki essic-cato (a fette o interi) sono comunquemolto apprezzati dai consumatori. I fruttidelle cultivar “costantemente non astrin-genti” rispondono meglio delle altre alleesigenze della commercializzazione e delconsumo fresco. Le cultivar “variabili nonastringenti” se impollinate produconofrutti da consumo fresco, se partenocarpi-che, occorre attendere l’ammezzimentodella polpa per ridurre l’astringenza. Le“costantemente astringenti” per poter esse-re consumate fresche devono essere neces-sariamente sottoposte a trattamento chi-mico e termico per eliminare l’astringenzadella polpa, che diviene però rapidamentemolle, riducendo il periodo di commercia-lizzazione.
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli Kaki Napoletano
Dolce d’autunno
Kaki Napoletano le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
Nella tradizione napoletana e campanala denominazione kaki napoletano vieneassociata sia al loto vainiglia, ovvero kakitipo edule alla raccolta, sia al loto da con-sumare dopo ammezzimento, nel periododa settembre fino a tutto dicembre, comegià evidenziato e, come peraltro riportato,nei “prezzi praticati sulla piazza di Napoli”listino della Camera di Commercio diNapoli dove già dal 1950 esisteva unadoppia dizione di “loto comune” e “lotovaniglia”, testimoniando così l’esistenza diuna doppia e distinta contrattazione.Il kaki viene spesso utilizzato anche
come pianta ornamentale sia per la bellacolorazione verde lucido delle fogliedurante il periodo estivo sia per i frutti dicolore rosso aranciato, che dopo la cadutadelle foglie, sono ancora presenti sullÅfal-bero spoglio, caratterizzando il paesaggioagricolo autunnale. La pianta del kaki, omeglio la pianta di loto, ha anche un suopreciso riferimento nella cabala; infatti
nellÅfantica Smorfia Napoletana di SunBooks _ 1997 - della Editrice Grandmel_di Roma, viene riportato al n. 41.
3.7 Il Kaki Napoletano nella gastronomiatradizionale della zona
La gastronomia della Campania è tra lepiù ricche e originali cucine regionali ita-liane. Con Napoli per secoli capitale delRegno, in realtà più che regionale la sua èuna vera e propria cucina nazionale, conle sue varianti aristocratiche e raffinate.Il kaki napoletano, frutto simbolo del-
l’autunno, nella sua varietà edule alla rac-colta (cosiddetto vaniglia) viene consu-mato prevalentemente fresco, mentre ilkaki ammezzito viene utilizzato ancheper preparare marmellate e torte, in gene-re accoppiato ad altri frutti meno dolci,come ad esempio nel Dolce d’autunno diseguito descritto.
Ingredienti per 4 persone
500 gr di castagne1 kaki1 cucchiaio di zucchero a velo vanigliato1 bicchierino di rhum1 pizzico di cannella in polvere.
Preparazione:
Mettere a bollire le castagne, sbucciarle edisporle in una terrina dopo averle tagliate apezzettini. Quando le castagne si sono raf-freddate, unire la polpa del kaki, lo zuccheroa velo, la cannella ed il rhum. Amalgamareil tutto e mettere la terrina in frigorifero peralmeno 2 ore prima di servire.
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli Kaki Napoletano
Marmellata di Kaki
Ingredienti
1 kg di kaki1/2 kg di mele golden1/2 kg di zuccherosucco di 1 o 2 limonibuccia di un limonebaccello di vaniglia1 bicchierino di liquore alla frutta o gin.
Preparazione:
Eliminare la buccia ed i semi dei kaki,disfarne la polpa, le mele a tocchetti, il succodei limoni e la buccia e la vaniglia.Portare ad ebollizione e togliere la schiumaaggiungere lo zucchero e continuare a cuoce-re fino alla consistenza voluta. Aggiungere ilgin o il liquore alla frutta ed invasare ancoracalda e tappare. Il giorno successivo far bolli-re i vasetti per sterilizzare il contenuto.Attenzione perchè dopo l'aggiunta dello zuc-chero tende a bruciare facilmente, quindimescolare con una certa assiduità.
Budino ai Kaki
Ingredienti per 4 persone
750 gr di ricotta150 gr di nocciole tritate2 cucchiai di zucchero10 gr di gelatina in fogli4 kaki maturi1 bustina di vanillina2 cucchiai di rumcannella in polvere
Preparazione:
Fate ammorbidire la gelatina in acquafredda per 5', strizzatela bene e fatela scio-gliere nel rum scaldato con un cucchiainodi acqua. Lavorate il formaggio con lo zuc-chero e 100 g di nocciole, poi unite la gela-tina sciolta e mescolate bene. Distribuite ilcomposto in 4 stampi individuali e lasciaterassodare in frigorifero per un paio di ore.Sbucciate i kaki e frullateli, unite la vanil-lina, 1\2 cucchiaino di cannella e il rumrimasto, fate scaldare il tutto a fuoco dolceper un paio di minuti. Sformate i budini,cospargeteli con le nocciole rimaste e serviteaccompagnando con la salsina di cachi pre-parata, leggermente scaldata.
Kaki Napoletano le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
Gelato ai Kaki
Ingredienti
300 gr di polpa di kaki50 gr di zucchero di canna1 albume d’uovo1 pizzico di cannella150 gr di acquail succo di un limone
Preparazione:
Mettere l'acqua e lo zucchero in una casse-ruola e fate bollire per 5 minuti, in mododa ottenere uno sciroppo. Nel frattemposchiacciate la polpa dei kaki, togliendo isemi e i filamenti bianchi più grossi,aggiungete la cannella e sbattete bene perrendere cremoso il composto. Sempre mesco-lando incorporate lo sciroppo e l'albumemontato a neve ben ferma. Mettere nellagelatiera per 20 minuti. Se non usate lagelatiera incorporare l'albume montato aneve dopo aver fatto gelare il composto nelfreezer per 1 ora.
Kaki al mascarpone
Ingredienti
kaki maturimascarponecognaczucchero
Preparazione:
Scegliete il numero occorrente di kaki,maturi, ma non eccessivamente. Ad ognunodi essi tagliate un rotondino dalla parte delpicciuolo, a guisa di coperchietto, quindisvuotateli togliendo le polpe con precauzio-ne, per non rompere i frutti. Tagliate lepolpe a dadini e metteteli a macerare inuna terrina, con cognac e un po' di zucche-ro. Ammorbidite la quantità necessaria dimascarpone, passandolo al setaccio, edincorporatelo alle polpe con tutto il lorocognac. Riempite i kaki col composto, acupola; mettete il coperchietto, che dovràrestare un po' rialzato perché si veda un po'del contenuto, e metteteli a gelare sul ghiac-cio. Serviteli su tovagliolo piegato.
1. IntroductionThere is a growing trend in Italy in sales
of “typical” agri-food products: these areproducts which are traditionally linked tocertain production methods and areas, andare of considerable economic importance.An example of a “typical” product in thesouthern Italian region of Campania is theNeapolitan persimmon. This is a well-known, highly-prized variety with a conso-lidated historical tradition, and is thus pro-posed as a PDO (Protected Designation ofOrigin) product under EC Regulation2081/92. This brief historical backgroundis designed to show that the Neapolitan per-simmon has all the characteristics requiredby EU law.
2. Geographical area in questionThe persimmon is both grown in its
Asian area of origin and in Mediterraneancountries, as well as the USA. Some of thebest climate and soil conditions in Italy forthis crop are in Campania, especially in theprovinces of Caserta, Napoli and Salerno.
3. Historical background of the product
3.1 Brief notes on the origins and historyof the persimmon
Cultivation of the persimmon in its areaof origin (China and Japan) dates backmore than 1000 years. It has been knownin Italy since the 16th century (the species
Diospyros lotus) and over the centuriesbecame a favourite ornamental plant,mainly due to its autumn splendour whenit sheds its leaves and only the small, almostgolden fruits are left hanging on the tree.However, it was only in the late 19th cen-tury when the possible appeal of its fruits(from the species Diospyros kaki) was firstrecognised.
3.2 Origins, history and diffusion of thepersimmon in the area
Though probably first planted in villasand parks for ornamental purposes underthe Spanish viceroys from the 16th centuryonwards, the first crop of edible persimmonsis recorded in 1916 on the Sarno plainsouth-east of Naples. Cultivation graduallyspread to other provinces of Campania. OfItaly’s total persimmon production, 52%comes from Campania (90% being fromthe Kaki Tipo cultivar).
3.3 The Neapolitan persimmon: charac-teristics
The term Neapolitan persimmon is usedfor the fruit from the Kaki Tipo cultivar,whether pollinated or non-pollinated, typi-cally produced in Campania. This cultivarbelongs to the PVNA group and may pro-duce astringent fruit which are non-edibleat harvest, or non-astringent fruit if polli-nated.
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli Kaki Napoletano
Historical reportThe Neapolitan Persimmon
english abstracts
Kaki Napoletano le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
3.4 Links between the Neapolitan per-simmon and its production area
It has been shown that persimmon culti-vation in Italy started around Salerno andthen spread to the rest of Campania andother parts of Italy. Early scientific researchon the persimmon in Campania dates backto the late 1940s The Neapolitan persim-mon is now grown over extensive areas inCampania, as listed in the Italian versionof this report.
3.5 Links between the Neapolitan per-simmon and its geographical environ-ment, soil and climate
The persimmon is a subtropical species,highly adaptable to different soils, climatesand farming environments. The well-drai-ned, well-structured soils in Campania con-stitute ideal growing conditions for the fruitcrop, even if it also adapts well to clayeysoils. The combination of soil, climate (earlysprings, warm summers), abundant well-distributed spring and autumn rainfall(>700 mm) and favourable topographypromotes plant growth and regular fruitdevelopment. Campania has a number oflocal persimmon cultivars used as pollina-tors for the main cultivar Kaki Tipo.Genetically speaking, there are several per-simmon germplasm accessions not found inother regions, with typically local soundingnames. The spread of native cultivars isfurther proof of the suitability of the region’spedoclimatic conditions.
3.6 The Neapolitan persimmon in cultu-re, folklore and customs of the area
Compared with other fruit tree species, thepersimmon was introduced to Italy relativelyrecently. Nonetheless, it has given rise toextensive farming lore as regards the produc-tion process, from cultivation to the type offruit and its sale. The national product wasoriginally sold as cachi napoletano, such wasthe importance of regional production inCampania. The term kaki napoletano isnow used locally to denote both the vainigliapersimmon, eaten at harvest, and the per-simmon to be eaten after ripening fromSeptember to December. The tree is also usedfor ornamental purposes, enhancing landsca-pe amenity both during the late summerwith its orange-red fruits and bright greenleaves, and in late autumn after leaves havefallen and the fruits are left on the trees.
3.7 The Neapolitan persimmon in thetraditional gastronomy of the area
The culinary tradition in Campania isone of the most varied and original inItalian regional cuisine. The Neapolitan per-simmon is generally consumed fresh inautumn, although its ripened counterpart isalso used to make preserves and cakes, gene-rally combined with other less sweet fruit.The Dolce d’autunno (Autumn sweet)combines chestnuts and persimmons: withthe further addition of icing sugar, cinna-mon and liqueur, a type of terrine is prepa-red, to be consumed two hours after chilling.
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli Kaki Napoletano
Bibliografia
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Relazione tecnica
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli Kaki Napoletano
1. Premessa
Il kaki sta rivivendo un momento diriscoperta culturale dopo un lungo perio-do di stasi. Questa tendenza può essereattribuita sia alle favorevoli prospettiveeconomiche e commerciali che la colturaoffre, sia alla rusticità intrinseca della pian-ta, che trova facile adattabilità in diversezone pedoclimatiche del nostro Paese. Glielevati prezzi realizzati sui mercati italiani,con frutti di kaki portati dall’estero, hannostimolato molti agricoltori a riprendere lacoltivazione di questa specie; nella convin-zione che i minori costi colturali da essarichiesti, unitamente alla possibilità diprodurre frutti meno inquinati da presidisanitari (data la minore esigenza di difesafitosanitaria, rispetto ad altri fruttiferi),possano rappresentare una valida alternati-va per la riconversione di alcuni indirizzifrutticoli (Bellini et al., 1988).Il relativamente recente avvio dell’uti-
lizzazione in Italia del kaki come alberoda frutto (1916), ha fatto sì che solo intempi recenti il mondo scientifico abbiacominciato ad interessarsi alla coltura,avviando attività di ricerca e sperimenta-zione sugli aspetti botanici, biologici,agronomici e mercantili.Per altro, la letteratura scientifica già
disponibile risulta di difficile utilizzazio-ne essendo scritta in carattere giapponesee cinese.Tutto ciò, ha reso più ardua l’attività
svolta per l’individuazione e la definizio-ne puntuale delle caratteristiche di tipi-cità del “kaki napoletano” che rappresen-tano il punto fondamentale per l’opera-zione di una sua valorizzazione nella con-vinzione che solo una qualità definita,misurabile e confrontabile può consentiredi aprire i mercati ed avvicinare i consu-matori.
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2.1 Aspetti botanici e morfologici del kaki
II kaki o diospiro appartiene all’ordinedelle Ebenales (Diospyrales), famiglia delleEbenaceae, genere Dìospyros. Questogenere comprende circa 200 specie per lamaggior parte spontanee nelle zone tropi-cali; soltanto una decina di esse si adatta-no ad essere coltivate nelle zone subtropi-cali e in quelle temperate.Al genere Diospyros appartiene un
ampio gruppo di caducifoglie, alberisempreverdi e cespugliosi che trovanolargo uso come piante ornamentali, alberida frutto e da legname; alcune di esse,infatti, assumono grande importanzaeconomica, in modo particolare quelleche producono il legno di ebano (D. ebe-num Koen, D. ebenaster Retz., D. macas-sar A. Chev., ecc.).Le specie che rivestono importanza per
la produzione del frutto, appartengonoalla sezione X detta Danzleria (Bert.)Hiern., che comprende 15 specie.Di queste specie soltanto tre rivestono
interesse colturale nel nostro Paese e pre-cisamente: Diospyros kaki L., Diospyros
lotus L. e Diospyros virginiana L. La prima(D. kaki) rappresenta la specie di premi-nente importanza per la produzione difrutti commestibili e facilmente commer-ciabili; mentre le altre due assumonointeresse come piante ornamentali ecome portinnesti del D. kaki, in modoparticolare il D. lotus (Giordani, 2002).La pianta, in condizioni favorevoli, può
raggiungere dimensioni notevoli, chepossono superare nelle cultivar più vigo-rose anche i 10 metri di altezza. A matu-rità la chioma assume generalmente unaforma globosa. La pianta è longeva ed èdi lento accrescimento, ma una volta rag-giunta la maturità, può dare elevate pro-duzioni.Il tronco si presenta diritto, con cortec-
cia di colore grigio scuro, caratterizzatoda numerose screpolature irregolari. Lebranche si protendono per lo più erettecon andamento sinuoso, sono piuttostofragili e facilmente soggette a scosciamen-to per l’azione del vento o per il peso deifrutti. I rami si protendono generalmen-te, eretti, talora assumono un andamentoricurvo o sinuoso. Sono di colore marro-
2. La descrizione del prodotto
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ne o grigio e portano numerose lenticellechiare. Il kaki fruttifica quindi sui ramidell’anno (Bellini et al., 1999).Le cultivar di kaki possono portare fiori
femminili (pistilliferi), maschili (staminife-ri) e ermafroditi. La specie può quindiessere ritenuta monoica in alcuni casi, dioi-ca in altri e poligamo-dioica in altri ancora.I fiori femminili (per sterilità degli
stami) sono uniflori, di notevoli dimen-sioni e facilmente distingui-bili alla fiori-tura per il voluminoso calice quadriloba-to di colore verde chiaro.I fiori maschili (per aborto dell’ovario)
sono ugualmente ascellari, ma di normatriflori. Di dimensioni assai ridotterispetto a quelli femminili, al pari di que-sti sono costituiti dal calice quadrilobatoe dalla corolla tubiforme con petali salda-ti alla base e liberi nella parte superiore. Ifiori ermafroditi possono tro-varsi solitario in infiorescenze triflore di cui talvoltasolo il fiore centrale è ermafrodito, men-tre i due laterali sono maschili.Le foglie, caduche, variano assai nella
forma e nella dimensione a seconda del-l’età della pianta, del tipo di ramo e dellaposizione in cui sono inserite.Generalmente sono ellittiche od obovate,in ogni caso sempre più lunghe che larghe.Il colore va dal verde lucido, spesso inten-so, della pagina superiore al verde chiaro,talora argenteo, di quella inferiore. In talu-ne cultivar il colore delle foglie vira al ros-siccio in autunno. Il lembo è leggermenteondulato e il margine è intero.La fruttificazione nel kaki può avvenire
tanto per via sessuale, quanto per via par-tenocarpica. Il frutto è rappresentato dauna bacca che varia notevolmente sianella forma che nelle dimensioni, in fun-
zione delle diverse cultivar, delle condizio-ni pedoclimatiche e dell’età delle piante.A maturazione di raccolta la buccia
assume un colore giallo più o meno aran-ciato che diviene rossastro in certe culti-var (Bellini, 1982a).La classificazione pomologica più razio-
nale e maggiormente rispondente alle esi-genze bio-agronomiche, tecnologiche emercantili delle numerose cultivar di kakiconosciute, si basa essenzialmente sullecaratteristiche organolettiche della polpa,esaminata alla normale epoca di raccoltacommerciale (con frutto completamenteduro), in rapporto all’influenza esercitatadalla fecondazione sulle caratteristichedella polpa medesima. Fermo restandoche la quasi totalità delle cultivar di kakidi interesse colturale possiede una tenden-za più o meno elevata a produrre fruttianche per via partenocarpica (con assolutaassenza di semi), l’influenza esercitatadalla fecondazione dei fiori sulle caratteri-stiche organolettiche della polpa, almomento della raccolta commerciale delfrutto, è sensibile ed assai complessa evaria notevolmente a seconda delle culti-var. Sulla base delle conoscenze acquisitedalla letteratura straniera consultata ed inseguito alle risultanze scaturite dallenumerose ricerche condotte sulle cultivardi kaki introdotte in tempi diversi nelnostro Paese (Bellini et al., 1985), è stataelaborata la classificazione pomologicadelle cultivar di kaki che di seguito siriporta ulteriormente perfezionata:
1) Costanti alla fecondazione (CF) o(Pollination Costant= PC)
Cultivar i cui frutti non subisconoalcun cambiamento di colore della polpa,
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che rimane costantemente chiara sia neifrutti partenocarpici che in quelli fecon-dati. Si dividono in due gruppi:A) Astringenti: non eduli alla raccolta
(CFA) o (Pollination CostantAstringent = PCA)
Cultivar con frutti non commestibilialla normale epoca di raccolta, tanto separtenocarpici (apireni) quanto se fecon-dati, anche se provvisti di un numero ele-vato di semi.B) Non astringenti: eduli alla raccolta
(CFNA) o ( Pollination Costant nonAstringent = PCNA)
Cultivar con frutti commestibili (eduli)alla normale epoca di raccolta, tanto sefecondati quanto se partenocarpici.
2) Variabili alla fecondazione (VF) o(Pollination Variant = VF)
Cultivar i cui frutti modificano lecaratteristiche della polpa: chiara e com-pletamente astringente in quelli parteno-carpici; più o meno scura e variamentenon astringente in quelli fecondati.A) Praticamente astringenti alla raccolta
(VFA) o (Pollination VariantAstringent = PVA)
Cultivar con frutti completamenteastringenti se partenocarpici (apireni) epreticamente astringenti se fecondati, inquanto la polpa risulta non astringentesoltanto in prossimità dei semi.B) Astringenti o non astringenti alla rac-
colta (VFA o VFNA) o (PollinationVariant Astringent or Non astringent =PVA or PVNA).
Le stesse cultivar possono produrrefrutti:• Astringenti, non eduli alla raccolta se
partenocarpici (apireni), o comunqueprovvisti di un numero limitato disemi.
• Non astringenti, aduli alla raccoltasolo in seguito alla fecondazione e seprovvisti di un numero elevato disemi (Bellini et al., 1988).
2.2 Caratteristiche intrinseche e specifichedel kaki napoletano
Con la denominazione “KAKI NAPO-LETANO” sono designati i frutti riferi-bili alla cultivar “Kaki Tipo”, cultivardominante nel quadro varietale del kakiin Campania (Bellini et al., 1985; Insero,1985; Insero, 1988; Insero et al.,1988).I frutti del “Kaki Tipo” nelle tipologie
fecondata e non fecondata, tipicamenteprodotti in molte aree agricole dellaregione Campania, presentano i seguenticaratteri botanici distintivi essenziali:
Gruppo pomologico: VFNAAlbero: vigoria medio-elevata; portamentotendenzialmente assurgente; ottimaaffinità d’innesto su D. lotus; elevataresistenza alle basse temperature inver-nali.
Rami misti: medi, di spessore medio, dirit-ti, lisci, con internodi medi; la cortec-cia é di colore marrone. Le lenticellesono piccole, arrotondate, presenti innumero medio e distribuite prevalente-mente nella parte apicale del ramo. Legemme miste sono medie, coniche,semilibere, con tomentositá scarsa(Baldini, 1953). L’inserzione fogliare émedia, rotonda, sporgente. L’indice didistribuzione delle gemme é medio.
Foglie: la forma é ellittico-allargata; il
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lembo é leggermente increspato, leg-germente concavo; l’angolo apicale equello basale sono medi. La variazionedi colore autunnale é da assente averde-bronzea.
Fiori: esclusivamente femminili, grandi; ilpeduncolo é medio; i sepali sono gran-di, allungati; il tubo corollino é grande;i lobi sono grandi, arrotondati; talorasopranumerari; il ricettacolo é tenden-zialmente rotondo. L’epoca di fiorituraé medio-precoce.
Fioritura: epoca medio-precoce; entità ele-vata di fiori femminili.
Frutti: grossi (alti mm 68, larghi mm 77;con peso di g 251), di forma rotondasia in sezione longitudinale che insezione trasversale; la cavità del ricetta-colo é larga e mediamente profonda.La buccia é di colore giallo-arancio allamaturazione di raccolta, arancio inten-so a quella fisiologica; facilmenteasportabile, di spessore sottile. Lapolpa alla maturazione di raccolta é dicolore arancio-bronzeo nei fruttifecondati; mentre alla maturazionefisiologica é di colore arancio taloraintenso con numerose punteggiaturescure nei frutti non fecondati e bron-zeo in quelli fecondati; liquescente,con zona fíbrosa centrale ampia allabase e piccola all’apice e filamenti pre-senti in quantitá elevata; il sapore allamaturazione di raccolta é mediocre neifrutti fecondati, mentre a quella físio-logica é buono nei frutti non fecondatie discreto in quelli fecondati, con con-tenuto in zuccheri medio; il numero disemi per frutto é medio.Il frutto presenta ragnature in prossi-mità dell’apice; presenta discreta adat-
tabilità sia alla frigo-conservazione cheall’essiccazione.
Semi: di colore marrone, di grandi dimen-sioni con forma ellittica; parzialmentesimmetrici.
Epoca della raccolta commerciale: interme-dia
Epoca della maturazione fisiologica: inter-media
Entità della produzione: elevataCostanza di fruttificazione: elevataDistribuzione della fruttificazione nella
chioma: uniforme (Bellini, 1982b)
2.3 Gli aspetti agronomici e la coltivazionedel Kaki Napoletano
Dall’originario territorio di nascita, l’a-gro nocerino sarnese (Bellini, 1972), lacoltura del “Kaki napoletano” si è nelcorso degli anni estesa in termini e percen-tuali diverse anche ad altre province dellaCampania. Tale diffusione avvenuta a par-tire già dagli anni ‘40, ha interessato zonediverse sotto il profilo orografico (pianura,collina) e pedoclimatico trovando positiviriscontri nella perfetta adattabilità mostra-ta dal kaki alle diverse condizioni colturalie nella positiva influenza che tali condizio-ni ambientali hanno esercitano sugli aspet-ti qualitativi dei frutti.Tale livello qualitativo non è riscontra-
bile nei frutti della cultivar Kaki Tipocoltivata in areali diversi da quelli regio-nali tipici di coltivazione.Le condizioni ed i sistemi di coltivazio-
ne dei diospireti destinati alla produzionedel “KAKI NAPOLETANO” sono quel-le tradizionalmente in uso nel territoriocampano, ove sono prevalenti diospireti
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con forme d’allevamento del tipo a volu-me ed a parete, con una densità d’im-pianto, comunque, non superiore a 650piante ad ettaro.In tali impianti è frequente la presenza
di altre varietà diverse dal Kaki Tipo,nella misura massima del 15%.La tecnica colturale adottata per gli
impianti di diospireti, fatta salva la tecni-ca d’impianto che interessa la preparazio-ne della particella da impiantare, i lavoripreparatori, quelli complementari e l’e-ventuale concimazione, è la seguente:
Cultivar: oltre al “KAKI NAPOLETA-NO”, sono presenti altre varietà di Kaki,ai fini della idonea impollinazione, nellamisura massima del 15% delle piante.
Portainnesti: sono preferiti il franco dellespecie: Diospyros lotus, Diospyros kaki eDiospyros virginiana, a seconda delle carat-teristiche pedoclimatiche dell’area. Essipresentano le seguenti caratteristiche:1) Diospyros lotus: induce un’elevata vigo-
ria, presenta notevole resistenza alfreddo e alla siccità, risulta sensibile airistagni di umidità e mediamente sen-sibile ad Agrobacterium tumefaciens.
2) Diospyros kaki: risulta mediamentevigoroso, presenta scarsa resistenza alfreddo ed è sensibile ai ristagni diumidità e ad Agrobacterium tumefa-ciens.
3) Diospyros virginiana: risulta vigoroso,adatto ai suoli pesanti e umidi e media-mente resistente ad Agrobacteriumtumefaciens (Insero, 2000).
Sistemi e distanze di piantagione: sonopresenti gli impianti a piante consociate epromiscue e gli impianti a filari; neinuovi impianti le piante sono distribuitesecondo una disposizione geometrica che
prevede la costituzione di filari parallelitra loro. Gli schemi tradizionali di pian-tagione prevedono, sesti d’impianto aquadrato, a rettangolo, a quinconce ed asettonce, con una densità di piante nonsuperiore alle 650 per ettaro. Tale densitàper ettaro viene rispettata anche nei lavo-ri di diradamento o infittimento di dio-spireti già esistenti.Le distanze di piantagione variano in
funzione di diversi fattori: portinnesto,forma di allevamento, potatura, clima,fertilità del terreno, concimazione, possi-bilità di irrigazione e metodi di lavorazio-ne del terreno.
Potatura e forma d’allevamento: il kakiha un modo di vegetare che si differenzia,per alcuni comportamenti, anche netta-mente da quello delle altre specie arboreeda frutto largamente coltivate nel nostroPaese: di ciò necessita tenere conto,soprattutto nella scelta della forma diallevamento e potatura.In passato il kaki veniva allevato, in col-
tura promiscua, principalmente “a globo” ea “piramide irregolare”; oggi invece, negliimpianti razionali e specializzati si preferi-sce allevarlo “a palmetta” (con le suevarianti) che consente un maggior impiegodi mezzi meccanici per l’espletamento delleonerose pratiche colturali, con un sensibilerisparmio di manodopera (Morettini,1977), ma vengono comunque privilegiateanche la piramide e il vaso basso cherichiedono minore tutoraggio e anticipanol’entrata in produzione.La potatura di produzione deve essere
orientata verso un rinnovo equilibratodella vegetazione ed alla omogenea distri-buzione della fruttificazione nella chioma,tenendo presente che il kaki fruttifica sui
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rami dell’anno, specialmente nella partebasale e mediana e che la fragilità del suolegno è spesso causa di scoscendimenti erotture. Il kaki mal sopporta tagli moltoenergici, che determinano l’emissione disucchioni, mentre potature troppo leggereinducono la pianta ad alternare la produ-zione, con peggioramento delle caratteri-stiche qualitative dei frutti. Oltre ad ope-rare tagli di ritorno delle branche piú vigo-rose, che porteranno i rami fruttiferi nelleannate successive, gli interventi sono indi-rizzati verso il diradamento di formazionifruttifere e verso l’asportazione dei rami insoprannumero. Normalmente le operazio-ni di potatura si svolgono durante il perio-do di riposo invernale.In fase di allevamento sono da preferire
gli interventi di potatura “verde” mentre,formata la struttura, la potatura di pro-duzione tiene conto della tendenza delkaki a fruttificare sui rami dell’anno chesono rinnovati in maniera costante.In vecchi impianti sono in uso sostegni
permanenti (pali, corde, tiranti) dispostiattorno all’albero e fra i palchi delle bran-che, per accrescere la resistenza delle partilegnose ed evitare lo scosciamento nonappena i frutti ingrossano.
Lavorazione del terreno: la configurazio-ne dell’apparato radicale del kaki non sidiscosta da quella di altre piante arboreeda frutto; infatti la maggior parte delleradici si sviluppa negli starti superficialidel terreno e soltanto un terzo circa tendea svilupparsi in profondità. Pertanto lelavorazioni del terreno consigliate sonosostanzialmente riferibili a due periodi:autunno, in cui si effettua una lavorazio-ne relativamente profonda (15- 20 cm)per consentire all’acqua piovana di
immagazzinarsi negli strati profondi delsuolo e migliorare la sofficità del terreno,reso ormai compatto dal passaggio dellemacchine per operazioni colturali effet-tuate durante l’annata; primavera in cuisi realizzano una o più lavorazioni super-ficiali, a seconda dei casi, al fine di osta-colare l’evaporazione dell’acqua, elimina-re le erbe infestanti e favorire l’attivitàmicrobica (Bellini, 1991).Ove consentito dalle condizioni pedo-
climatiche, dalla possibilità di applicarel’irrigazione e dalla tipologia di impianto,è adottata la tecnica dell’inerbimento,parziale o totale a seconda se interessatutta la superficie o solo l’interfilare, etemporaneo o permanente, con conse-guente sfalcio; l’inerbimento è da evitarenelle aree soggette a brinate tardive pri-maverili perché ostacola gli scambi termi-ci terreno-atmosfera. All’inerbimento e alsuo periodico sfalcio è riconosciuto l’ef-fetto di un apporto di sostanza organicacon un miglioramento dell’attività dellamicroflora nonché di facilitare il trasferi-mento del fosforo e del potassio neglistrati profondi (Natali e Bignami, 1988).
Concimazione: il kaki si avvale moltodell’apporto di sostanza organica per cuila somministrazione stessa mediante leta-mazioni o altri validi concimi organiciapporta notevoli benefici. Per quantoriguarda le concimazioni minerali, è par-ticolarmente esigente in azoto sia nelperiodo di formazione che in quello pro-duttivo, per la sua intensa attività vegeta-tiva, ma richiede anche: fosforo per losviluppo vegetativo e produttivo; potassioper la produttività e la qualità dei frutti;calcio per migliorare la struttura dellapianta e la resistenza al freddo; magnesio
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per l’attività cellulare e di altri microele-menti. Le epoche di concimazione sonoil linea generale, quelle valide per gli altrifruttiferi (Insero, 1985)
Irrigazione: generalmente l’approvvigio-namento idrico della coltura è soddisfattodalle precipitazioni naturali a dagli apportidi falda; la ben nota rusticità del kaki equindi la sua resistenza agli stress idrici,non deve indurre a trascurare questaimportante tecnica colturale, giacché puòcontribuire non poco ad elevare la produt-tività sia sul piano quantitativo che su quel-lo qualitativo. Una buona irrigazione èimportante soprattutto nei periodi di fiori-tura e di allegazione, in quanto esalta lo svi-luppo dei germogli e stimola la formazionedei frutticini, e nel periodo di accrescimen-to dei frutti, specie con andamenti siccitosi,in quanto favorisce un normale sviluppodei frutti stessi inducendo una maggiorepezzatura, pur determinando una diminu-zione del contenuto di zuccheri.
Raccolta: il periodo di raccolta è unmomento importante, in quanto da essodipende la qualità, la conservabilità del frut-to e la possibilità di manipolazione. Le ope-razioni di raccolta, manuale o con l’ausiliodi macchine agevolatrici, sono completateentro la seconda decade di dicembre.
Capacità produttiva: negli areali tipicidi coltivazione, la produzione massimaannua ad ettaro di frutti ottenibile è dicirca 50 tonnellate.
2.4 Descrizione delle fasi successive allaraccolta
I frutti della tipologia kaki non fecon-dato, sono sottoposti a maturazione
naturale o accelerata, “ammezzimento”,al fine di renderli commestibili utilizzan-do le tecniche in uso negli ambienti tipicidi coltivazione. (Vitagliano, 1949). Contale pratica, infatti, si consegue il viraggiodel colore con la piena formazione dicarotenoidi e di licopene e la totale elimi-nazione di sostanze tanniche idrosolubili,con conseguente sviluppo del sapore tipi-co che hanno i kaki eduli. La maturazio-ne naturale, idonea solo per kaki nontannici, è ottenuta portando i frutti, inlocali chiusi,a temperature di 22°C (±2°C) per almeno 24 ore oppure di 15°C(± 2°C) per almeno 60 ore. La matura-zione accelerata, prevede il ricorso asostanze metabolizzanti, capaci di accele-rare il ritmo respiratorio dei frutti e latotale eliminazione di sostanze tannicheidrosolubili, con conseguente sviluppodel sapore tipico che hanno i kaki eduli.La maturazione naturale, idonea solo peri kaki non tannici, è ottenuta portando ifrutti, in locali chiusi, a temperature ingrado di attivare la demolizione dei pro-dotti tannici solubili, questa operazione èindispensabile per i kaki con elevato con-tenuto tannico. I kaki astringenti, postiin celle o stufe, a tenuta di gas, sonoriscaldati per 24-36 ore alla temperaturadi 29 °C (± 2°C), seguito da un periododi maturazione a 15°C fino a completaacquisizione del colore del frutto.L’atmosfera è poi modificata immettendoO2 (50% in volume) ed una miscela diazoto ed etilene fino al 1-2‰ (Decretodel Ministero della Sanità del15/02/1984 G.U. n.80 del 21/03/1984)L’umidità relativa, in questa seconda fasedella maturazione, non deve essere infe-riore al 60% e non superiore al 90%, per
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evitare screpolature della buccia. Il tempodi maturazione, normalmente 2 o 3 gior-ni, è proporzionale alla percentuale di eti-lene e varia anche in relazione allo statodi maturazione iniziale del frutto.
2.5 Confezionamento ed etichettatura
Il confezionamento rappresenta l’ulti-mo segmento della filiera produttivaprima dell’immissione al consumo. Essoavviene secondo due differenti modalità aseconda della tipologia di prodotto:Kaki fecondato: le confezioni sono
costituite da cassette monostrato di mate-riale di origine naturale o sintetico al cuiinterno sono sistemati alveoli o vassoi, inmateriale naturale o sintetico.Sono ammesse anche le confezioni in
polietilene trasparente, chiuse con coper-tura dello stesso materiale, con retina ocon pellicola in materiale plastico.Kaki non fecondati (ammezziti): i kaki
sono posti in vassoi che possono essere dimateriale di origine naturale o sinteticochiusi con copertura dello stesso materia-le o con una pellicola di film plastico. Ivassoi sono posti in cassette di originenaturale o sintetico di misura varia(Insero et al., 2002).Sulle confezioni che saranno contrasse-
gnate con la DOP o sulle etichette appostesulle medesime saranno riportate, a carat-teri di stampa chiari e leggibili, dellemedesime dimensioni, le indicazioni:
• “KAKI NAPOLETANO” seguitadalla dicitura: “DENOMINAZIO-NE DI ORIGINE PROTETTA” (ola sua sigla DOP);
• il nome, la ragione sociale e l’indirizzodell’azienda confezionatrice o produt-trice; i caratteri di cui alla lettera b)devono essere di dimensioni inferioria quelli della lettera a);
• la quantità di prodotto effettivamentecontenuto nella confezione, espressain conformità alle norme vigenti;
• il simbolo grafico relativo all’immagineartistica del logotipo specifico ed uni-voco descritto nell’art. 12, da utilizzarein abbinamento inscindibile con laDenominazione di Origine Protetta.Alla Denominazione di Origine
Protetta di cui all’art. 1 sarà vietata l’ag-giunta di qualsiasi qualificazione aggiun-tiva diversa da quelle previste dal presentedisciplinare, ivi compresi gli aggettivi:tipo, gusto, uso selezionato, scelto e simi-lari.Sarà, tuttavia, consentito l’uso di indi-
cazioni che facciano riferimento ad azien-de, nomi, ragioni sociali, marchi privati,consorzi, non aventi significato laudativoe non idonei a trarre in inganno l’acqui-rente. Tali indicazioni potranno essereriportate in etichetta con caratteri dialtezza e di larghezza non superiori allametà di quelli utilizzati per indicare laDenominazione di Origine Protetta, inogni caso adeguate alle norme di etichet-tatura comunitarie.
Kaki Napoletano le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
3.1 La commercializzazione del KakiNapoletano
La produzione di kaki è destinata inte-ramente al consumo allo stato fresco.Circa il 10% della disponibilità annua
è avviata all’esportazione, il rimanente90% è collocato sul mercato interno.Per quanto concerne, in particolare, la
produzione campana, si stima che essa siacostituita per il 60% dai kaki “comuni” eper il 40% dai kaki cosiddetti “vainiglia”(eduli alla raccolta).L’incidenza percentuale di questi ultimi
tende ad accrescersi per il maggiorapprezzamento che riscuotono presso icommercianti locali in quanto richiedo-no minori spese di lavorazione e diimballaggio, oltre a consentire una piùlunga conservazione del prodotto matu-ro. La totalità della produzione campanaviene commercializzata attraverso unamiriade di piccoli grossisti, che acquista-no il prodotto presso le aziende fruttico-le, molto spesso ancora sulla pianta, o chesi approvvigionano quotidianamentepresso i locali mercati alla produzione. Ilcollocamento dei frutti ottenuti in
Campania è rivolto prevalentementeverso i mercati di consumo del Centro-Sud. In particolare i loti cosiddetti “vani-glia” sono destinati soprattutto al consu-mo locale. Per quelli “comuni” l’area dicollocamento si allarga ai centri di consu-mo della Sicilia, della Sardegna, dellaPuglia, della Calabria e del Lazio. Si valu-ta che solo un 10-15% della merce siaavviato verso i mercati del nord e in par-ticolare su quelli di Milano, di Bologna,di Torino e di Verona (Alvisi, 1988).Le esportazioni italiane dei kaki presen-
tano, tuttavia, un andamento tendenzial-mente crescente, caratterizzato da oscilla-zioni annue.Il Decreto Ministeriale del 2 dicembre
1950 (G.U. n. 282 del 9/12/50) prevedeche i frutti destinati all’esportazione devo-no essere sani, puliti, asciutti, con pedun-colo tagliato al livello della rosetta, diforma e di aspetto normali, di giustamaturazione commerciale, esenti da lesio-ni e da screpolature non cicatrizzate, daammaccature, da qualsiasi traccia di coloreverde, da sostanze estranee e da altri difettiche ne pregiudichino la resistenza, la com-mestibilità e in modo notevole l’aspetto.
3. Aspetti economici del prodotto
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli Kaki Napoletano
I frutti, per essere considerati di giustamaturazione commerciale, sia essa conse-guita naturalmente che con mezzi artifi-ciali, devono essere cedevoli al tatto, nonsgradevoli al palato, di uniforme colore esufficientemente consistenti per giungerein buono stato sui mercati di destinazione.Per il prodotto destinato al trattamento
di maturazione artificiale sui mercatiesteri di consumo, le relative spedizionisono autorizzate solo se all’ Istituto nazio-nale per il commercio estero (ICE) con-sta che gli importatori destinatari sianoall’uopo attrezzati.Per tali spedizioni è tollerato un grado
di maturazione lievemente arretratorispetto a quello sopra previsto, fermarestando l’esclusione dei frutti nonuniformemente coloriti e di quelli chepresentano tracce di colore verde.
3.2 L’economia del Kaki Napoletano nell’area
Dalla sua prima introduzione la colturadel kaki ha avuto in Italia, un andamentoalterno; a modeste quantità prodotte neiprimi anni seguì un incremento annuocostante fino a raggiungere il massimo sto-rico negli anni ’40 con una produzione di250.000 t annue. La Campania con leprovince di Salerno, Napoli e Casertaproduceva il 50% della produzione nazio-nale con una superficie investita di 15.000ha (Insero et al., 1985). Dopo la secondaguerra mondiale, la coltura subiva unarepentina riduzione stabilizzandosi intor-no agli anni ’60 su una produzione di65.000 t annue. Le principali cause cheportarono ad un certo disinteresse versola coltura da parte degli agricoltori furo-
no: la mancanza di insetticidi idonei percombattere la Mosca mediterranea dellafrutta (Ceratitis capitata); l’irrazionalecommercializzazione; l’errata pratica dellamaturazione artificiale anticipata, conl’utilizzazione indiscriminata di prodottietilienici ed acetilenici che pregiudicava-no il valore organolettico dei frutti; lanotevole concorrenza esercitata da altrifruttiferi come melo, pero e pesco(Temperini, 1983, Insero et al., 1990).Analizzando l’andamento delle produ-
zioni e delle superfici coperte da diospiretiin Italia dal 1960 al 1981, si rileva come laCampania, con i suoi 378.600 q di fruttiprodotti nel 1981 (pari al 55% circa del-l’intera produzione italiana), manteneva ilprimato nazionale; seguita al secondoposto dall’Emilia-Romagna con 200.000 q(29%), la cui produzione nel 1960 rappre-sentava soltanto il 6% di quella totale.Nel 1981 il 60% del prodotto campano
(238.100 q) proveniva dai 9.606 ha di col-tura secondaria; mentre il restante 40%(125.000 q) dai 653 ha di coltura specializ-zata. In Emilia-Romagna, invece, la quasitotalità del prodotto, (186.700 q, pari acirca il 94% del totale regionale), provieneda coltura specializzata. E’ propriol’Emilia-Romagna che, in un questo ven-tennio, ha incrementato notevolmente l’e-stensione degli impianti specializzati, pas-sando dai 132 ha del 1960 ai 917 ha del1981, quasi tutti compresi nelle Provincedi Ravenna (456 ha) e Forlì (420 ha).Analizzando in particolare i dati che si
riferiscono alla Regione Campania, si puòosservare come le superfici specializzateinvestite a kaki abbiano subito dal 1965 al1981 una contrazione pari a circa il 16%(nel 1970 era del 25%), e che tale fenome-
Kaki Napoletano le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
no interessò soprattutto le Province diCaserta (-40%) e Salerno (-51%); mentresi ebbe un incremento nelle province diBenevento e Napoli. Di particolare inte-resse i dati che fanno riferimento alla pro-vincia di Napoli, ove gli impianti specializ-zati, inesistenti sino al 1973, nel 1981ammontavano a 171 ha.Più sensibile, invece, la contrazione per
quanto concerne la coltura secondariapassata dai 13.845 ettari del 1960 ai9.606 ettari del 1981. Il fenomeno,comune alle quattro Province campaneinteressate alla coltura del kaki, e statopiù accentuato in quelle di Napoli e diCaserta (Bellini et al., 1985).L’andamento delle produzioni di kaki
in Campania dal 1965 al 1981 vedeva intesta la provincia di Napoli con 222.000q; primato detenuto fino al 1973 dallaprovincia di Caserta. Oltre l’86% dellaproduzione napoletana proveniva daimpianti di coltura promiscua; seguivano,con distacco sensibile, Caserta (74.400 q)e Salerno (73.700 q). le cui produzioni(20% circa di quella regionale) proveni-vano soprattutto da impianti specializza-ti. Scarsa l’incidenza della provincia diBenevento che produceva 8600 q (2.2%della produzione campana), di cui l’81%proveniente da coltura specializzata.Analizzando i dati produttivi regionali
tra il 1985 e il 1999 si nota che la produ-zione ha subito una riduzione del 27%, ele superfici sono passate da 1687 ettari a913 ettari, in seguito al ridimensiona-mento che ha riguardato la superficiedestinata alla coltura non specializzata.Inoltre le piante sparse e la coltura pro-miscua hanno manifestato una continuae progressiva flessione, il che dimostra
quale e quanto vasta sia stata la ristruttu-razione degli impianti e la riconversionedelle coltivazioni in questi anni.Negli anni 1999/2003, a parte una
modesta flessione nel 2001, si registra unandamento abbastanza positivo, che con-sente di mantenere negli ultimi due annioltre il 50% della quota nazionale.Attualmente, la coltivazione del kaki in
Campania (Dati 2003- ISTAT), è attesta-ta su una produzione di circa duecento-quarantamila quintali, ed interessa unasuperficie coltivata di 1.204 ettari.Per quanto riguarda le superfici investi-
te a diospireto nelle diverse province nelperiodo 1999/2003 si è assistito ad unincremento delle superfici coltivate nelleprovince di Caserta (da 63 ha nel 1999 a190 ha nel 2003), Salerno (da 130 ha nel1999 a 285 ha nel 2003) e Benevento (da17 ha nel 1999 a 24 ha nel 2003) inseguito al passaggio da una coltivazionepromiscua o su piccole dimensioni a unacoltivazione specializzata su maggioriestensioni. La leggera diminuzioneriscontrata nella provincia di Napoli (da703 ha nel 1999 a 685 ha nel 2003) èprevalentemente da attribuirsi, invece, alcontinuo fenomeno dell’urbanizzazioneche sottrae terreni all’agricoltura.L’andamento della produzione campa-
na è sostanzialmente in linea con quellanazionale, riscontrando nel 2003 unariduzione della produzione per ettaro dicirca il 19%.Nonostante ciò, la Campania conferma
il suo primato produttivo, rappresentan-do nell’anno oltre il 51% della produzio-ne nazionale.La produzione 2003 risulta così distri-
buita nelle seguenti province:
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli Kaki Napoletano
Va riscontrato che dal 2003 per laprima volta risulta una produzione inprovincia di Avellino, ascrivibile ad unaproduzione specializzata, che evidenziacosì il già citato rinnovato interesse negliultimi anni per tale coltura.
3.3 Prospettive di sviluppo a seguito dellaDOP
La maggiore attenzione che oggi poneil consumatore all’origine dei prodottialimentari offre nuove e maggiori pro-spettive economiche ai cosiddetti prodot-ti “tipici”. Il mercato, infatti, chiedeall’offerta una maggiore attenzione alleesigenze commerciali in tema di traspor-to, conservazione, provenienza e vendita.Le prospettive di mercato sembrano
decisamente migliori per i prodotti tipici ingrado di rispondere alle esigenze del consu-mo nella grande e piccola distribuzione.E’ da considerare anche che, l’aumen-
tato benessere generale, ha relegato ilprezzo ad un ruolo secondario nei motividi scelta di un prodotto alimentare; infat-ti, il consumatore si rivolge sempre di più
verso prodotti locali certificati, dei qualipuò “controllare” la qualità, i metodi pro-duttivi, nei confronti dei quali cioè sisente più tutelato.La qualità costituisce oggi per le impre-
se agricole un fattore decisivo per compe-tere nel mercato europeo. La qualitànasce da esigenze “secondarie” o accesso-rie, collegate al benessere delle società e alsistema economico moderno. La qualitàin tal senso è la risultante di un insiemedi fattori: caratteristiche organolettiche enutrizionali, caratteristiche tecnologiche,culturali, istanze etico-ambientali.Il kaki è un frutto altamente nutritivo
(Parodi L.,1990), costituto per il 97% daparte edibile, in 100g di polpa sono con-tenuti: 82 g di acqua, 0,6 e 0,3 g di pro-teine e grassi, 16 g di carboidrati e 2,5 gdi fibre.I principali carboidrati, in esso conte-
nuti, sono il fruttosio e il glucosio, checompongono il 90% del totale, con unrapporto di 1:1. Saccarosio (che normal-mente scompare al termine della matura-zione), galattosio e arabinosio sono pre-senti, invece, in minore quantità.Analizzando il contenuto dei microele-
Provincia
Napoli
Salerno
Caserta
Benevento
Avellino
Totale
Superficietotale(ha)
685
285
190
24
20
1204
Superficie inproduzione(ha)
648
285
190
23
20
1166
Produzioneper ha(q)
215,1
204,3
241
110
241
215,06
Produzionetotale(q)
139.400
58.226
45.790
2.530
4.820
250.766
Produzioneraccolta(q)
130.700
58.226
43.865
2.530
3.850
239.171
(Fonte: ISTAT)
Kaki Napoletano le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
menti e delle vitamine presenti in 100 gdi parte edibile, troviamo: 4 mg di sodio,170 mg di potassio, 0,3 mg di ferro, 8mg di calcio, 16 mg di fosforo, 0,02 mgdi tiamina (vitamina B1), 0,03 mg diriboflavina (vitamina B2), 0,30 mg diniacina, 237 mg di vitamina A e 23 mgdi vitamina C (Carnovale e Marletta,2000). Il kaki è, quindi, una eccellentefonte di vitamina A e C. Oltre all’aspettonutrizionale è un frutto con caratteristi-che nutraceutiche, contiene tannini solu-bili, carotenoidi (b-carotene, licopene eb-criptoxantina), amminoacidi e polife-noli (Testoni, 2001).La coltivazione del kaki è interessata, a
partire dagli anni ’60, da una forte con-trazione della domanda. Lo sviluppo eco-nomico e l’aumentata capacità di acqui-sto dei consumatori, interni ed esteri,hanno provocato una più accentuata pre-ferenza della domanda verso altre speciefrutticole (pomacee, drupacee, agrumi,uva da tavola, ecc..).Le difficoltà incontrate nel collocamen-
to del prodotto hanno determinato anchein Campania una progressiva contrazionedell’offerta, passando dai 362 mila quin-tali degli anni 70 ai 250 mila del 2003(ISTAT, 2003).Il perdurante stato di difficoltà nella
commercializzazione del prodotto haspinto gli operatori del comparto adinterrogarsi sulle possibili soluzioni.Gli aspetti tecnici, gestionali e di politi-
ca di marchio su cui fare leva per deter-minare quella inversione di tendenza datanto tempo auspicata, risultavano, peraltro, già chiaramente evidenziati in spe-cifici studi di settore (O. Temperini,FORMEZ 1983), ed indicati come i fat-
tori chiave di successo che avevano con-sentito all’Emilia Romagna, l’altra impor-tante realtà produttiva italiana, di attivareil processo di sviluppo che la vede ancoraoggi protagonista:• “…il passaggio dalla coltura promi-scua a quella specializzata e l’attuazio-ne di moderne forme di allevamentoatte a favorire i vari lavori colturali(trattamenti, raccolta, potatura) conminore incidenza del costo di produ-zione ed in grado di fornire un pro-dotto commerciale con caratteristichee, quindi, qualità costanti nel tempo.
• l’individuazione di efficaci mezzi dilavorazione, conservazione, trasportoe commercializzazione dei frutti;
• la crisi delle principali colture persovrapproduzione, ed in particolare dipero, melo, pesco ed uva da tavola.Dal punto di vista commerciale, consi-
derando che l’offerta è eccessivamenteframmentata, a fronte di un’aggregazionesempre maggiore della domanda, il rin-novato interesse per la coltura, dovrebberendere possibile la creazione di condizio-ni per lo sviluppo di forme associative traimprese produttrici, favorendo la costitu-zione di cooperative e consorzi, che per lapiù solida struttura imprenditoriale efinanziaria, possono esercitare un mag-giore potere contrattuale e promuovereun’adeguata politica di produzione, divendita e di immagine.In questo contesto assume fondamen-
tale importanza la politica di marchio checorrettamente utilizzata può assicurareconsistenti vantaggi oltre che per il pro-duttore, anche per il consumatore cuipuò garantire, sia un dato standard quali-tativo del prodotto, con caratteristiche
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli Kaki Napoletano
stabili nel tempo e certificate da appositicontrolli, sia la trasparenza dei prezzi. Daparte sua il produttore può: accrescere lasua competitività sul mercato in virtùdella differenziazione della merce e dellegaranzie offerte al consumatore; svolgeremeglio e più efficacemente campagnepromozionali ed, inoltre, tutelarsi dallecontraffazioni.Si può così valorizzare il kaki napoleta-
no che ha un’accertata superiorità quali-tativa rispetto ad altri dello stesso genereottenuti in zone diverseIl marchio di qualità non si identifica
esclusivamente con la valorizzazione, ilsostegno e la tutela di prodotti o di interisettori. La sua adozione può anche solle-
citare a produrre meglio in relazione alleesigenze della domanda, riducendo ildivario esistente tra una offerta spesso inaumento ed una domanda stagnante.L’ottenimento della DOP, può, in defi-
nitiva, rappresentare la chiave di volta perconsentire al comparto di mutare la ten-denze alla contrazione registrata in questiultimi anni.I diversi soggetti della filiera avranno a
disposizione, infatti, uno strumento perpoter valorizzare la produzione del “Kakinapoletano” e riuscire a realizzare quelvalore aggiunto che consentirebbe alcomparto di attuare tutte le azioni corret-tive e di sviluppo necessarie al suo defini-tivo rilancio.
1. IntroductionThe current rediscovery of the persimmon
in Italy is due not only to its rosy economicprospects but also to its adaptability to theItalian climate and soil types. Moreover,compared with other fruit, the persimmonrequires little pesticide treatment. As the per-simmon has been cultivated in Italy onlysince 1916, research into the crop is relativelyrecent. This has made it more difficult toidentify the salient characteristics of theNeapolitan persimmon, which is nonethelessessential for its success with consumers.
2. Product description2.1 Persimmon botany and morphology
The persimmon belongs to the genusDiospyros of the Ebenaceae family, whichcomprises predominantly tropical species.Though Diospyros is a large genus, it hasonly three species which are of agriculturalimportance: Diospyros kaki, Diospyros lotus,and Diospyros virginia. The first producesthe edible fruit, while the others are used forornamental purposes and also as rootstock.The tree can grow up to 10 metres tall, withthe canopy being globular. The plant is long-lived and grows slowly, and can be highlyproductive. The trunk is straight, the barkdark grey, and the branches somewhat fragi-le. The year’s shoots are those that bear fruit.Persimmon cultivars may be monoecious,dioecious, or dioecious-polygamic. The leaves
Technical report:Neapolitan persimmon PDO
english abstracts
Kaki Napoletano le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
- generally elliptical or obovate - vary inshape and size according to plant age. Theberries also vary in size according to cultivar,climate, soil and plant age. Cultivars areusually classified by flesh quality into polli-nation constant astringent, pollination con-stant non-astringent, pollination variantastringent and pollination variant non-astringent.
2.2 Specific features of the Neapolitanpersimmon
The designation KAKI NAPOLETANO(Neapolitan persimmon) refers to the culti-var “Kaki Tipo”, which may have pollina-ted or non-pollinated fruits. It belongs tothe VFNA pomological group, is a tree ofmedium-high vigour and good resistance tolow winter temperatures, and has a goodgrafting affinity on D. lotus. The leaves arebroad elliptical, and the limb is slightlycurled. It has abundant flowers, which arelarge, exclusively female, and flowering ismedium-early. The fruit is large and round,weighing about 250 g, with a thin yellow-orange skin at harvest and bright orange atripening.
2.3 Agronomic aspects and cultivation ofthe Neapolitan persimmon
From its nucleus in the Sarno river plain,cultivation of the Neapolitan persimmon hasspread since the 1940s to a variety of zonesin Campania, adapting readily to differentsoils and climates, and producing fruit offine quality. Planting densities do not exceed650 plants per hectare, while distancesbetween plants vary according to a diversityof factors. In such plantations, for the purpo-ses of pollination, up to 15 % of trees maybelong to other persimmon cultivars.
Rootstock is chosen according to the area’s soiland climate conditions. Training systemshave changed over the years, with the “pal-mette” system now preferred as it facilitatesmechanical operations and allows apprecia-ble labour savings. Pruning - generally car-ried out in winter-time - aims to promotebalanced vegetative growth and a homoge-neous distribution of fruit-bearing shoots inthe canopy. Deep tillage is practised inautumn to allow storage of rainwater in deeplayers, while surface tillage is performed inspring to remove weeds, impede evaporationand promote microbial activity. Dependingon pedoclimatic conditions, grass cover issometimes used. In terms of fertilisation, theNeapolitan persimmon benefits from largeamounts of natural organic fertilisers, andrequires quantities of nitrogen, phosphorus,potassium, calcium, magnesium and othermicroelements during its various phases.Though the persimmon is fairly resistant towater stress, irrigation can improve yieldssubstantially, especially during flowering andfruit-set. Harvest is usually completed bymid-December, with a maximum yield ofabout 50 t per hectare.
2.4 Description of post-harvest phasesNon-pollinated persimmon fruits undergo
natural or accelerated ripening to make thefruits suitable for consumption. Naturalripening occurs in closed environments withtemperatures of 22°C for at least 24 h or15°C for at least 60 hours. Accelerated ripe-ning involves the use of metabolising sub-stances.
2.5 Packaging and labellingPollinated persimmon fruits are packed on
layers of trays in boxes, while non-pollinated
persimmons are laid in trays, and then cove-red with a protective plastic film. The packa-ges will be marked with the PDO logo, orlabelled with the following information: pro-duct description with the PDO designation,producer’s name, product quantity, and logo.3. Economic aspects3.1 Sale of the Neapolitan persimmon
Persimmon is intended for fresh con-sumption, with about 10% per annumexported. In Campania, 60% are “commonpersimmons” while 40% are called “vaini-glia”, edible at harvest. The latter - general-ly consumed on a very local basis - are gai-ning ground due to their easier stocking inshops, lower packaging costs and longer con-servability.
3.2 Economy of the Neapolitan persim-mon in the area
Campania accounts for approximately halfof Italy’s persimmon production. The 1980sand 1990s saw a progressive decline in per-simmon cultivation, although this trend hassince been reversed throughout Campaniaexcept for Naples, where encroaching urbani-sation has taken its toll. The area used for the
crop is 1204 hectares, producing an averageof 21 t per hectare and a total of 24,000 tper annum. Much of the increase is accoun-ted for by a switch from polyculture to specia-lised monoculture.
3.3 Post-PDO development prospectsIncreasing consumer attention to product
origin offers interesting new prospects for so-called “typical” products. Price has been rele-gated into second place behind the consump-tion of local products, whose quality and pro-duction methods can be more easily control-led. Moreover, quality is nowadays a decisivefactor in competing Europe-wide. The per-simmon is a highly nutritious fruit, an excel-lent source of vitamin A and C. Given thedecline in its supply on a regional scale andthe success story from another Italian region(Emilia-Romagna), renewed interest in thecrop would encourage producers to form asso-ciations and consortia and promote anappropriate policy for the production, saleand image of the Neapolitan persimmon.Within this context, the product designationcould confer significant benefits both for pro-ducers and consumers.
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli Kaki Napoletano
Kaki Napoletano le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
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Documentazione allegata
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Aree di coltivazione della nocesulle colline della penisola sorrentina
CAMPANIA
Delimitazione dell’area geografica di produzione su base regionale
IGP Noce di Sorrento (Reg. CE n. 2081/92)
Noce di Sorrento IGP
facsimile dei logotipi proposti (articolo 12 del disciplinare di produzione)
Vermicelloni al sugo di nocea lato: Il Nocillo, liquore tradizionale di noce
Kaki Napoletano le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli Kaki Napoletano
Noce di SorrentoIGP
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli Noce di Sorrento
Noce di Sorrento le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
La produzione agroalimentare italianain questi ultimi anni risulta fortementecaratterizzato dalla crescente affermazio-ne di prodotti comunemente definiti“tipici”, ossia di prodotti e produzionicon forti legami con il territorio di cuisono espressione e per il quale assumono,per svariati motivi, una notevole rilevanzaeconomica.Al concetto di tipicità, nell’accezione
maggiormente accettata, concorrono uninsieme di aspetti alcuni riconducibili allainfluenza determinata dalle condizioniclimatiche, altri legati alle peculiari carat-teristiche di un prodotto, altri ancorasono attribuibili al sapiente ingegno digenerazioni di uomini che hanno saputoconferire carattere di unicità a tecniche di
coltivazione e/o trasformazione. Questagrande eterogeneità di tradizioni e cultu-ra, hanno consentito al nostro paese diottenere e mantenere produzioni dallecaratteristiche inimitabili.La Campania, per il suo straordinario
clima è stata da sempre caratterizzata dauna frutticoltura estremamente varia ericca; in questo ambito, un posto di rilie-vo è assunto dalla Noce di Sorrento, laregina delle noci campane.Cultivar nota ed apprezzata da tempi
antichissimi, ha saputo resistere allemutate esigenze del mercato e continuaad occupare un posto di rilievo tra le pro-duzioni agricole regionali oltre ad essere ilpunto di riferimento dello specifico com-parto.
1. Premessa
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
L’habitat del noce, cioè il complessodelle condizioni di clima e di ambienteche ne favoriscono il naturale sviluppo,va dalla zona climatico-forestale delLauretum (dove il lauro è la specie domi-nante: dall’area degli agrumi e dellapalma da dattero sino all’area del noce)sino alla zona del Castaneum (dovedomina il castagno, al limite dell’areadella vite, tra i 700 ed i 1000 metri dialtitudine). L’insediamento geografico delnoce ha come limite settentrionale,nell’Europa orientale, i 52° di latitudine:lo si trova, quindi, a nord del Caucaso,sino alla Russia meridionale ed allaPolonia centrale; nell’ Europa occidentaleha come limite i 56° di latitudine e lo sitrova in tutta la Germania e sinoall’Inghilterra.In America è coltivato dagli USA al
Messico, alle Antille, spingendosi ancheall’America del sud ed al Nord nelleregioni temperate del Canada. Il noce èinoltre coltivato nelle zone asiatiche diorigine ed in Australia.(EnciclopediaAgraria Italiana – 1969)Naturalmente, per una proficua colti-
vazione a fini economici, devono concor-
rere quelle condizioni ambientali e di ter-reno di cui parleremo in seguito.In Italia il noce pur trovando possibilità
di adattamento in molte regioni agrarie,sia nordiche che centrali e meridionali,preferisce un territorio di media collina,esposta a mezzogiorno o ad occidente,protetta dai venti, con pendenza noneccessiva, specialmente se si prevede l’im-piego di macchine. In tale senso, laCampania con la sua vasta gamma disituazioni colturali diverse per condizionipedo- climatiche offre ampie possibilitàd’insediamento della coltura del noce. Ineffetti, il noce è coltivato in tutta la regio-ne, ma la coltura è prevalente in due pro-vince: Napoli e Salerno.In provincia di Napoli le aree di mag-
giore diffusione sono le zone flegrea,vesuviana, acerrana-nolana e. soprattutto,la penisola sorrentina. In provincia diSalerno le principali aree di coltivazionesono l’agro nocerino-sarnese. l’Alto Sarnoe la Valle dell’Imo, la Valle del Picentino.In provincia di Avellino la coltura è pre-sente nel baianese e nel Vallo di Lauro,nell’Arborata di Avellino, nei Terminio-Cervialto, nell’lrpmia centrale.
Noce di Sorrento
2. L’area geografica interessata
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Noce di Sorrento
In provincia di Benevento il noce è col-tivato nella Valle Telesina, nella ValleCaudina, nella zona del Fortore.Infine, in provincia di Caserta la coltu-
ra si riscontra nell’agro aversano, nelmaddalonese. nel capuano, nell’altocasertano e nel sessano. (Forlani, Pilone -1996)
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3. Notizie storiche sul prodotto
Noce di Sorrento
3.1 Cenni sull’origine e storia del noce
L’origine del noce comune si perdenella notte dei tempi specie affini al nocefurono già trovate in stratificazioni appar-tenenti all’era geologica del Miocene(qualche decina di milioni di anni daoggi). Come risulta da vari reperti fossili,verso la fine del Terziario erano presenti inEuropa, e diffuse fino alla Groenlandia,alcune forme molto simili alla J. regia L.ed alla J. cinerea L. Durante l’ultima eraglaciale il noce, come altre piante, scom-parve dall’Europa e rimase nell’Asia cen-tro- occidentale, da dove, dopo ilQuaternario, si è nuovamente diffuso invarie direzioni, verso est, ovest e nord-ovest; alla sua diffusione è presumibile cheabbiano notevolmente contribuito glispostamenti di nuclei umani in epochepreistoriche e protostoriche.L’origine della coltivazione del noce
comune, anche se non sicuramente nota,è senza dubbio remota. Ricordata giànella Bibbia (giardini di Salomone),secondo un’antica opinione avrebbe avutoinizio in Persia (donde il nome, inglesepersian walnut); da qui sarebbe stata
introdotta in Grecia una forma coltivata,denominata Karnon basilicon o persikon.Teofrastro filosofo greco del III sec. a.C.,nella sua opera botanica “Delle originidelle piante” già affermava che il noce,specie originariamente selvatica, era dive-nuto domestico con la coltivazione.(Forte, 2000)Dalla Grecia il noce sarebbe, passato in
Italia, dove tracce di questa specie sonostate trovate in strati dell’epoca del ferro,presso gli insediamenti lacustri umani neidintorni di Parma. Il nome, latino dellapianta, Juglans, ripreso nella denomina-zione. scientifica, deriverebbe da Jovisglans (= ghianda di Giove). Dall’epocaclassica sono giunti a noi usi e leggendelegati al noce: dalla consuetudine di get-tare noci agli sposi sembra derivato l’o-dierno uso dei getto dei confetti; risali-rebbe a Dioscoride la credenza popolareche l’ombra del noce sia nociva.I Romani introdussero il noce in varie
parti d’Europa : in Germania, dove si dif-fuse soprattutto nelle zone della Mosellae del Reno; in Spagna, dove secondoalcuni venne introdotto da OrazioFlacco; in Francia e da qui in Inghilterra.
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Noce di Sorrento
Sembra che il termine inglese walnutderivi da Gaul (= Gallìa) e nut (= noce),appunto perché questa specie arrivò inInghilterra dalla Gallia.Sia per i Greci che per i Romani la spe-
cie era simbolo di fecondità ed i fruttierano distribuiti nel corso delle cerimonienuziali. Inoltre, come riporta Stradone,nei suoi scritti, riferisce del notevoleapprezzamento di cui godevano i mobilidi legno di noce presso i patrizi romani.La specie non era, invece, presente in
America, prima della sua colonizzazioneed ebbe all’inizio, nelle regioni più set-tentrionali, limitata diffusione, soprattut-to a causa dello basse temperature, trat-tandosi di materiale introdotto dai colo-ni-spagnoli e proveniente, quindi, dazone con inverni non molto rigidi.Migliori condizioni ambientali incontròil noce in California, dove la sua coltiva-zione si diffuse rapidamente e dove vennechiamato english walnut, poiché l’impor-tazione di noci avveniva in prevalenzacon navi inglesi.Alla diffusione del noce in America ha
ulteriormente contribuito, agli inizi deglianni ‘30, l’introduzione nel Canada, daparte del rev. P. O. Crath, di semi di alberiallevati nelle regioni montuose dei Carpazi(Polonia), caratterizzate da inverni moltofreddi. Da tale materiale, e da altro intro-dotto dall’Ucraina, dalla Russia, dallaGermania, dalla Cecoslovacchia, ecc., èderivata una serie di cultivar, denominatecarpathian walnuts, molto resistenti allebasse temperature e che possono esserequindi allevate con successo in vari statisettentrionali del continente americano.Anche nell’emisfero sud il noce e stato
introdotto in epoca relativamente recente.
3.2 Origine, storia e diffusione del noce inCampania
Il legame tra il noce e la Campania haradici millenarie.Probabilmente introdotto all’epoca del
loro arrivo sulle coste della Magna Greciai Greci furono i primi a diffonderne lacoltivazione, trovando nei fertili territoricampani ottime condizioni per ben vege-tare e produrre.Che il noce fosse una coltura di comune
diffusione nella Campania felix dei roma-ni e che i suoi frutti rientrassero nelle loroabitudini quotidiane è testimoniato dairitrovamenti degli scavi di Ercolano ePompei, ove sono venuti alla luce alcunidipinti riproducenti frutti di noce comune(Pompei, Villa dei Misteri, parete nord delTablinium), e reperti carbonizzati della“Noce di Sorrento” (Ercolano, Casad’Argo, Inv. 84622, in parte trasportati econservati al Museo Nazionale di Napoli).(Sannino, Pilone - 1979)Lo scienziato napoletano G.B. Della
Porta, nel 1593, descriveva, nel suo trat-tato du frutticoltura “Pomarium”, alcunevarietà coltivate, tra cui la mollese, aguscio tenero. (Forte, 2000)La riconosciuta ed apprezzata bontà dei
frutti della noce di Sorrento, ha stimolatola fantasia di famosi chef del passato,avviandone l’utilizzo anche in gastronomia.Il Cavalcanti, infatti, prescrive l’utilizzo
dei frutti di tale cultivar in alcune ricettedel suo manuale “Cucina teorico-pratica”del 1847.Le prime pubblicazioni scientifiche
riguardanti la “Noce di Sorrento” sonodel Savastano che la mensiona in “Dialcune colture arboree della Provincia di
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Napoli” edita dalla Regia Scuola diAgricoltura in Portici nel 1885.Ancora il Savastano in una monografia
su “La coltivazione del noce nelSorrentino” scritta unitamente ad Aponteed edita nel Bollettino della ArboricolturaItaliana (II Trimestre 1908), nel descriverele diverse varietà di noce allora disponibiliriferisce al paragrafo 4 che: “Le varietà dinoci non sono veramente molte. … InItalia, si può dire, di varietà commercialidi noci, non ne abbiamo che una sola, edè quella di Sorrento”. Così la descrissi: Lanoce di Sorrento ha preso una rinomanzaindiscutibile. La noce di Grenoble inFrancia e la sorrentina furono ritenute dalCirio, persona competentissima in questapartita, come le migliori noci che si cono-scano.” Nel descriverne le caratteristiche dipregio, gli autori concludono: “Questavarietà merita di venire molto diffusa.”Della origine della “Noce di Sorrento,
si è occupato il Fosk (1963) che attribui-sce l’origine della cv. Sorrento ad unamutazione gemmaria del noce comunenella Penisola Sorrentina.Da non dimenticare che la presenza
delle piante di noce è elemento caratteriz-zante da lungo tempo il paesaggio agrariodella provincia napoletana in particolarmodo quello collinare della PenisolaSorrentina.
3.3 Il prodotto “Noce di Sorrento”, caratte-ristiche e specificità
Con la denominazione “NOCE DISORRENTO” sono designati i fruttiriferibili alla cultivar - popolazione“Sorrento”, che comprende due cultivar,
comunemente denominate la prima“Sorrento” e la seconda “Malizia”.Da tali cultivar, sono ricavate diverse
tipologie di prodotto: le noci fresche conmallo, le noci fresche, le noci essiccate, igherigli di noce.
Noce fresca con mallo: è un prodottofresco, venduto con il mallo e destinatoesclusivamente alla commercializzazioneper la trasformazione industriale. All’attodell’immissione al consumo deve avere leseguenti caratteristiche:
cultivar “SORRENTO- forma del frutto con mallo: globoso -ellittico
- pezzatura: il frutto fresco con malloha peso non inferiore a 23 g; cultivar“MALIZIA”:
- forma del frutto con mallo: base edapice variamente arrotondato; contor-no dorso - ventrale uguale a quellolongitudinale mentre quello trasversa-le è quasi ovato - circolare;
- pezzatura: il frutto fresco con malloha peso non inferiore a 23 g;
Noce fresca: è un prodotto fresco, ven-duto in guscio, che deve essere consuma-to subito dopo la raccolta. La noce fresca,all’atto dell’immissione al consumo, deveavere le seguenti caratteristiche:
cultivar “SORRENTO- forma del frutto smallato: tendenzial-mente allungata, leggermente appun-tita all’apice e smussata alla base, tal-volta rotondeggiante;
- guscio: di colore chiaro, poco rugoso,di spessore medio; assenza di tracce dimallo;
- gheriglio: perisperma di colore chiarocon puntinatura tipica ; il gheriglioriempie bene il guscio; la polpa del
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gheriglio ha consistenza soda; di colo-re chiaro; sapore dolce;
- pezzatura: il frutto smallato è di mediapezzatura, con diametro non inferiore a26 mm e peso non inferiore a 12 g;
- umidità nei frutti interi smallati: noninferiore al 20% cultivar “MALIZIA”:
- forma del frutto smallato: da allungata aleggermente ellittica con base arroton-data e sommità leggermente conica;
- guscio: di colore paglierino molto chia-ro, poco rugoso e poco solcato, di spes-sore sottile; assenza di tracce di mallo;
- gheriglio: perisperma di colore biondo- chiaro, uniforme senza puntinature; ilgheriglio riempie bene il guscio; lapolpa del gheriglio ha consistenzasoda; di colore chiaro; sapore dolce;
- pezzatura: il frutto smallato è di pezza-tura media, con diametro non inferiorea 28 mm e peso non inferiore a 14 g;
- umidità nei frutti interi smallati: noninferiore al 20%.Noce essiccata: è il prodotto essiccato
e commercializzato in guscio. All’attodell’immissione al consumo , le nociessiccate devono rispondere alle seguenticaratteristiche:- umidità: nei frutti interi: non superio-re al 12%;
- resa in secco con guscio:cultivar “SORRENTO”: non inferioreal 40% in peso.Cultivar “Malizia”: non inferiore al42% in peso.
- aspetto del guscio: deve essere di colorechiaro, pulito, non sbiancato e senzatraccia di mallo né altra sostanza estra-nea visibile; il guscio deve presentarsiasciutto, privo di umidità esterna anor-male ed intero; lievi alterazioni superfi-
ciali non sono considerate un difetto;le noci parzialmente aperte sono consi-derate intatte a condizione che il gheri-glio sia fisicamente protetto;Gherigli di noce: sono ottenuti dalla
frantumazione ed asportazione delle partinon eduli della noce essiccata. All’attodell’immissione al consumo, i gherigli dinoce devono rispondere alle seguenticaratteristiche:- umidità: non superiore all’8%;- aspetto del gheriglio: deve essere sano,sono esclusi i prodotti colpiti da mar-ciume o che presentino alterazioni talida renderli inadatti al consumo; dicolore chiaro, esente da irrancidimentoe di aspetto non oleoso; consistente,pulito, praticamente privo di sostanzeestranee visibili, di umidità esternaanormale e di odore e/o sapore estranei;
3.4 Elementi che comprovano il legame trala “Noce di Sorrento” ed il territoriocampano
Già dal 1914 in “Arboricoltura”il Dott.L. Savastano, Direttore della RealeStazione di Agricoltura e Frutticoltura inAcireale, evidenziava, tra le varietà dell’ar-boreto, per il noce che “il guscio puòessere premice (noce di Grenoble) ovverosottile da rompersi con poco sforzo (nocedi Sorrento); valve con setti interni tenerie incompleti, lisce nella faccia interna eper nulla anfrattuose, per modo cherotte,il gheriglio si distacca integro enetto. Grandezza media. Le varietà datavola si vogliono poco oleose, e quandosono secche tardare ad inoliare con l’a-vanzarsi della stagione estiva (noce di
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Sorrento). Il rapporto percentuale deigusci e dei gherigli costituisce caratteresecondario, ma importante”.Numerose sono comunque le testimo-
nianze che comprovano il legame tra lanoce di Sorrento e la zona non solo dellapenisola sorrentina ma dell’intera areanapoletana e campana.In particolare in Campania già dagli
anni ’60 risulta particolarmente diffusaanche nelle zone salernitana, casertana,dei campi flegrei, dell’area vesuviana (cfr.“Continua la crisi delle noci italiane” inInformatore Agrario 19/96) e delle zonedi Avellino (cfr.Enciclopedia AgrariaItaliana- 1975).Relativamente alla produzione la citata
ultima pubblicazione evidenzia nei “fruttiessiccati” come “ la produzione italiana,che nel triennio 1959-61 è stata di661.000 quintali, realizzata su 1.205ettari di coltura specializzata e su148.000 ettari di coltura promiscua, ècostituita per più della metà dal raccoltodella Campania (349.000 quintali, deiquali 152.000 prodotti in provincia diNapoli), evidenziando così la notevolediffusione che già da allora aveva avutonell’intera Italia.Oggi in Campania, l’areale di produ-
zione della “NOCE DI SORRENTO” èmolto ampio, interessando sia pure inmaniera diversa quasi tutto il territorioregionale. In particolare, vengono ripor-tati i comuni che a vario titolo sono inte-ressati alla coltura.A) AVELLINO:
Aiello del Sabato, Avella, Baiano,Cervinara, Cesinali, Domicella, Forino,Lauro, Marzano di Nola, MonteforteIrpino, Montoro Inferiore, Montoro
Superiore, Moschiano, Mugnano delCardinale, Pago del Vallo di Lauro,Quadrelle, Quindici, Rotondi, S.Martino Valle Caudina, San Micheledi Serino, Sirignano, Solofra, Sperone,Taurano.
B) BENEVENTO:Airola, Amorosi, Apollosa, Arpaia,Bonea, Bucciano, Dugenta,Durazzano, Faicchio, Forchia, FrassoTelesino, Limatola, Melizzano,Moiano, Montesarchio, Paolisi,Puglianello, Sant’Agata dei Goti, SanSalvatore Telesino, Telese Terme.
C) CASERTA:Arienzo, Aversa, Bellona, Caianello,Calvi Risorta, Camigliano, Capodrise,Capua, Carinaro, Carinola, Casagiove,Casal di Principe, Casaluce,Casapesenna, Casapulla, Caserta,Castel Campagnano, Castel di Sasso,Castel Morrone, Cellole, Cervino, Cesa,Conca della Campania, Curti,Falciano del Massico, Francolise,Frignano, Galluccio, Giano Vetusto,Gricignano d’Aversa, Liberi, Lusciano,Macerata Campania, Maddaloni,Marcianise, Marzano Appio, MignanoMonte Lungo, Mondragone, Ortad’Atella, Parete, Pastorano, PignataroMaggiore, Pontelatone, Portico diCaserta, Presenzano, Recale, Riardo,Roccamonfina, Rocca D’Evandro, SanCipriano d’Aversa, San Felice aCancello, San Marcellino, San MarcoEvangelista, San Nicola la Strada, SanPietro Infine, San Prisco, SanTammaro, Santa Maria a Vico, SantaMaria Capua Vetere, Sant’Arpino, SessaAurunca, Sparanise, Succivo, Teano,Teverola, Tora e Piccilli, Trentola
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Ducenta, Vairano Patenora, Valle diMaddaloni, Villa di Briano, VillaLiterno, Vitulazio.
D) NAPOLI:Acerra, Agerola, Afragola, Bacoli,Brusciano, Calvizzano, Camposano,Carbonara di Nola, Casamarciano,Casola di Napoli, Castellammare diStabia, Castello di Cisterna, Cercola,Cicciano, Cimitile, Comiziano,Giugliano in Campania, Gragnano,Lettere, Liveri, Marano di Napoli,Mariglianella, Marigliano, Massa diSomma, Massa Lubrense, Melito diNapoli, Meta di Sorrento, Monte diProcida, Mugnano di Napoli, Napoli,Nola, Ottaviano, Palma Campania,Piano di Sorrento, Pimonte,Poggiomarino, Pollena Trocchia,Pomigliano d’Arco, Pozzuoli, Qualiano,Quarto, Roccarainola, S. Agnello, S.Giuseppe Vesuviano, San GennaroVesuviano, San Paolo Bel Sito, SanSebastiano al Vesuvio, San Vitaliano,Sant’Anastasia, Sant’Antimo,Sant’Antonio Abate, Santa Maria laCarità, Saviano, Scisciano, SommaVesuviana, Sorrento, Striano, Terzigno,Tufino, Vico Equense, Villaricca,Visciano, Volla.
E) SALERNO:Angri, Baronissi, Battipaglia, Bellizzi,Bracigliano, Calvanico, Campagna,Castel San Giorgio, Castiglione deiGenovesi, Cava dei Tirreni, Corbara,Eboli, Fisciano, Giffoni Sei Casali,Giffoni Valle Piana, Mercato SanSeverino, Montecorvino Pugliano,Montecorvino Rovella, Nocera Inferiore,Nocera Superiore, Olevano sulTusciano, Pagani, Pontecagnano-
Faiano, Roccapiemonte, Salerno, SanCipriano Picentino, San MangoPiemonte, San Marzano sul Sarno, SanValentino Torio, Sant’Egidio del MonteAlbino, Sarno, Scafati, Siano,Tramonti.
3.5 Elementi che comprovano il legame trala “Noce di Sorrento” e l’ambiente geo-grafico e pedo-climatico interessato
La “noce di Sorrento” proviene da unterritorio tradizionalmente vocato allaproduzione di noci. Le conoscenze tecni-che acquisite nel tempo dai produttori,adattate alle condizioni locali, hannocontribuito a farne un prodotto di qua-lità riconosciuta.Tale perizia era nota già ad inizio ‘900
tant’è che Aponte e Savastano nella loromonografia “La coltivazione del noce nelSorrentino” (1908) nel descrivere lecaratteristiche della coltivazione del nocein Italia sottolineano che: “La regionenella quale la coltivazione del noce haraggiunta una buona tecnica colturale èla sorrentina, dalla quale si va diffonden-do in vari comuni della provincia diSalerno e Caserta. Nella Penisola sorren-tina si è venuto creando il tipo del nocetoda frutto. Si è lasciato quel tipo di semi-coltivazione, o si direbbe meglio di selvafruttifera, e si è andando specializzandocome tecnica colturale. E poiché la tecni-ca procede di pari passo con la forma-zione della varietà, si è formata unavarietà detta sorrentina, che rappresentaun tipo commerciale di marca, come sidice, mondiale.”Sannino e Pilone (1979) in seguito
hanno ripreso queste affermazioni arric-
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chendole di ulteriori osservazioni scienti-fiche: “La denominazione “Noce diSorrento”, infatti non indica soltanto lacultivar di Juglans regia L., ma anchequelle peculiari caratteristiche qualitativeche essa assume nel suo ambiente voca-zionale. Questa considerazione trova con-ferma nel fatto che tale varietà, propagataagamicamente (per innesto) in ambientediverso da quello di origine, spesso nonconserva le medesime caratteristiche dipregio.”La positiva interazione pianta-ambiente
è dimostrata dal fatto che tale livello qua-litativo non è riscontrabile nei frutti dellacultivar - popolazione “Sorrento” coltiva-ta in areali diversi da quelli tipici di colti-vazione della Campania.Nell’ambito del territorio di produzio-
ne il noce, quindi, trova le migliori con-dizioni di vita: terreni profondi, non stra-tificati, freschi, ricchi di sostanza organicae di elementi nutritivi, di medio impastoo tendenzialmente sciolti, con pH neutroo leggermente acidi (5,5).Dal punto di vista climatico, le zone
d’impianto della cultivar-popolazione“Noce di Sorrento” sono caratterizzate daprimavere precoci ed estati lunghe e caldecon temperature primaverili- estive com-prese tra + 10 e + 40°C e non meno di1000 ore di insolazione. Tali condizionifavoriscono lo sviluppo regolare dei fruttie la completa formazione del guscio. Ilfabbisogno di freddo, indispensabile perun ottimale germogliamento dellegemme, per una corretta formazionedelle infiorescenze e per evitare la cascoladei frutticini ed un loro irregolare accre-scimento, è soddisfatto da inverni contemperature che di rado scendono al di
sotto di 0°C e, comunque, mai per perio-di molto lunghi. Le precipitazioni annue,nell’ambito del territorio di coltivazione,sono superiori ai 700 mm, ben distribui-te con un picco primaverile ed unoautunnale, e tali da soddisfare l’elevatofabbisogno idrico della coltura.
3.6 La “Noce di Sorrento” nella cultura,nel folklore e negli usi dell’area
L’albero di noce (Juglans Regia) nato daseme sul posto, cioè non trapiantato,nella nostra penisola può raggiungere unsecolo ed oltre di vita, per cui è tra i frut-tiferi più longevi.“La leggenda di questa pianta fatata,
simbolo di abbondanza, narra cheDionisio, ospite in casa di re Dione, siinnamorò della di lui figlia Caria e cheper amore di lei fece ritorno. Le altre duefiglie del re, Lico ed Orfe, avevano giura-to ad Apollo che non avrebbero mai tra-dito gli Dei ma che, per la debolezzaumana, spiarono i due amanti infrangen-do, di fatto, il giuramento. Per punizio-ne, il dio prima le fece impazzire e poi letramutò in rocce. Caria, per il doloredella sorte delle sorelle, morì e Dionisio,che l’aveva tanto amata, la trasformò inun noce dai frutti fecondi”.Il noce, come pianta dedicata alla “gran
madre della terra”, ha avuto sempre unaduplice valenza : di morte e di vita. Il frut-to di quest’albero è stato simbolo di rige-nerazione; infatti, secondo la credenzapopolare, la rara noce divisa in tre setti,viene considerata un portafortuna; S.Agostino ricava, dalla noce, il simbolismodi Cristo spiegando che: l’involucro (mallo
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verde) indica la carne, “vero uomo” che haprovato l’amarezza della passione; il seme(gheriglio) la dolce interiorità della divi-nità, “vero Dio” che elargisce il nutrimen-to e rende possibile la luce per mezzo delsuo olio (Spirito Santo); infine, il guscio, illegno della Croce.L’albero di noce non viene mai colpito
dai fulmini e ciò è dovuto alla presenza,intorno ad esso, di un alone di scarsa con-ducibilità elettrica formato da particolarisostanze aromatiche prodotte dalle fogliefresche. Per tale motivo, quando c’è untemporale, è saggio ripararsi sotto la suachioma per non essere fulminati. Da que-sto fatto naturale, deriva la sacralità dell’al-bero del noce nell’antichità e la leggendadel noce di Benevento sotto il quale, lanotte di S. Giovanni Battista, il 24 giugno,le “janare”, con a capo la dea Diana, scia-mando a migliaia nei cieli, si recavano al“gran sabba” (riti satanici) e che, al termi-ne dello stesso, spiccassero il volo soprauna scopa per le loro missioni pronun-ciando le parole magiche: “sotto acqua esotto viento, sotta ‘a noce e Beneviento”.La credenza che le streghe prediligesse-
ro il noce per il loro “sabba”, è diffusa intutta Europa. La cultura contadina ritie-ne la notte di San Giovanni (vigilia) riccadi influssi benefici (solstizio estivo) suifiori, erbe e piante. Infatti si raccolgono,quella notte, le drupe verdi per preparareil liquore “nocino” (“nocillo”) e, a secon-da delle località, intorno al tronco delnoce si legava uno spago o un tralciosecco (sarmiento) o del fieno (lavinazzo)o una striscia di tela (cannaviello), attoche, per credenza popolare, serviva a pre-servare la caduta delle noci.Inoltre superstizioni e leggende sul
noce si sono tramandate nei secoli tra lediverse genti, ispirando la fantasia popo-lare e l’estro degli scrittori. Tra i piùfamosi si annovera il noce di Benevento,che fu dimora del diavolo in persona. Ilmedico e il filosofo beneventano PietroPiperno scrisse perfino un libro dal titolo“Della superstiziosa noce di Benevento”,nel quale racconta che, quando l’impera-tore romano d’Oriente Costante II asse-diò la città, il Vescovo consigliò di abbat-tere il diabolico noce; abbattutolo furonotrovati, al posto delle radici, orribili ser-penti che il Vescovo stesso uccise con lasua spada. Sotto questo noce si riuniva-no, come già detto, le streghe, dette“janare”, il cui ricordo vive tuttora nell’uguale parola dialettale napoletana, cheindica le donne rissose dei peggiori vicoli.Per quanto riguarda i rapporti di vici-
nato “è tanta inimicitia tra la cerqua(quercia) e la noce che piantata l’unaappresso all’altra s’ammazzano”!A far da contraltare a tanta nequizia
bisogna ricordare la storia di Fra’ Galdinoche, nei Promessi Sposi, racconta il mira-colo delle noci: il contadino stava abbat-tendo un noce improduttivo, ma gli fupromesso che quell’anno l’albero avrebbefatto più noci che foglie se ne avesse datauna metà al convento; il miracolo avven-ne, ma poiché il patto mezzadrile non furispettato, le noci furono tramutate infoglie secche.Il noce, pur essendo originario dell’
Asia centrale, da millenni fa parte dellanostra “dieta mediterranea”.Le noci sono un alimento nutriente,
ricco di acidi grassi essenziali, di vitaminaB6 e di oligoelementi come zinco, rame emanganese.
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I nostri antenati mangiavano noci epane la cui combinazione (noci e cereali)fornisce proteine complete pari ad unauguale quantità di carne.Le noci sono ricche di vitamina B1
(tiamina), necessaria per il buon funzio-namento del cuore ed anche per l’equili-brio del sistema nervoso. Inoltre è l’ali-mento che, in assoluto, ha il più altocontenuto in vitamina B6 (piridossina).Basti pensare che la carne e il pesce necontengono circa la metà.La vitamina B6 contribuisce al buon
funzionamento del cervello ed alla produ-zione dei globuli rossi; inoltre, le noci sonoricche di fosforo e potassio, ma povere disodio e, perciò, giovano al sistema cardio-vascolare. Inoltre sono una fonte di oligoe-lementi, cioè di minerali presenti, in quan-tità minime, nel nostro organismo come lozinco, importante per le difese immunita-rie e la cicatrizzazione delle ferite.Contengono anche manganese, neces-
sario per la riproduzione e contro la steri-lità in entrambi i sessi.Grazie alla varia e ricca composizione
di principi nutritivi, le noci sono indicatenelle seguenti patologie:• Nelle malattie cardiache: sono consi-gliate ai cardiopatici perché sono ric-che di acidi grassi che costituiscono lafonte primaria di energia per le celluledel cuore e, quindi, per il suo funzio-namento. Contengono vitamina B1,utile per l’apparato muscolare e, quin-di, anche per il cuore. Riduconoanche il livello di colesterolo nel san-gue e , perciò, il pericolo di arterio-sclerosi e il miglioramento della circo-lazione sanguigna. Per tali motivisono consigliate a chi soffre di insuffi-
cienza cardiaca, angina pectoris orischio di infarto.
• Elimina l’effetto del colesterolo:recenti ricerche hanno dimostrato che80 grammi di noci al giorno, per duemesi, riducono il livello di colesterolonocivo (LDL) del 16% in quanto, lenoci, sono ricche di acido linoleicoche arresta la produzione di colestero-lo nel fegato.
• Nelle malattie del sistema nervoso:sono consigliate in quanto contengo-no acidi grassi essenziali che migliora-no il rendimento intellettuale e tonifi-cano il sistema nervoso. Per questomotivo sono consigliate agli studentied a chi svolge lavori intellettuali. Lasomiglianza della forma del gheriglioa quella del cervello umano, in rela-zione alla teoria dei segni, ha indotto,a buon ragione, gli antichi a pensareche le noci servissero al buon funzio-namento di questo organo vitale.
• Sono di aiuto nei disturbi sessuali enella sterilità: le noci sono ricche diprostaglandine, che esercitano un’a-zione positiva sull’attività sessuale,mentre l’azione del manganese, di cuisono ricchissime, aumenta la produ-zione di spermatozoi, per cui combat-te la sterilità.
• Per il diabete: le noci sono alimenti daconsumare con moderazione da partedei diabetici, perché povere di carboi-drati ma ricche di grassi, che le confe-riscono alto valore energetico.Inoltre, per il loro apporto calorico,
sono consigliate per gli sportivi, donnedurante la gravidanza, nelle convalescen-ze da malattie debilitanti e per curare lostress fisico in genere.
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Noce di Sorrento
Alcuni consigli pratici:• il decotto di foglie e del mallo di noceè astringente;
• la membrana legnosa che divide alcentro i setti (spicchi) dal guscio dellanoce, bollita, è un ottimo calmanteper la tosse;
• il mallo verde dei frutti e la cortecciadel noce sono ricchi di tannino percui si usavano in tintoria per colorare,di bruno, le stoffe; il mallo vieneusato come tintura per i capelli.
• sia le radici che le foglie del noce con-tengono una sostanza tossica, lajuglandina o juglone , che è capace diprovocare la morte delle piante vicine;i contadini usavano mettere i legumisecchi in damigiane o in bottiglie divetro mettendovi delle foglie di nocefresche e sigillandole con cura, inmodo che non fossero forati da cimiciparassitarie (pappici).(da Simeoli V. - La Noce sorrentina. Tra
cultura, arte e tradizione 2001)
3.7 La “Noce di Sorrento” nella gastronomiatradizionale della zona
Le noci che, a pieno titolo, fanno partedella cucina mediterranea, da sempre sonostate un ottimo alimento, infatti c’è ildetto: “noce e pane, pasto da sovrane”;
come pure nella cultura contadina si dice:“il 14 settembre a Santa Croce, pane enoce”.L’abbinamento pane e noci è universal-
mente riconosciuto fin dall’antichità male noci sono state da sempre usate nell’ar-te culinaria e quindi in varie altre combi-nazioni.La maestria nel preparare i dolci con le
“noci di Sorrento”, risente della tradizioneche risale alle suore Agostiniane di Pianodi Sorrento che, in quanto suore diClausura Vescovile, avevano un laborato-rio di pasticceria nel convento e, con ilricavato, sostenevano i giovani seminaristiindigenti che si preparavano al sacerdozio.Quando, poi, nei primi decenni del XX
secolo la clausura fu tolta e divennero suoreattive con laboratorio per le giovinette,asilo e scuola elementare, la pasticceria fuchiusa. Suor Olimpia e Suor Carmela furo-no le ultime custodi dei segreti delle dolcidelizie del Piano di Sorrento.Un ulteriore esempio di tradizione
gastronomica legata alla noce di Sorrento èil liquore “Nocillo” tipico delle province diNapoli, Salerno, Caserta e Avellino, “piùforte e più aggrappante del nocino mode-nese”, così riportato in EnciclopediaAgraria 1975 dove la si differenzia dal“nocino” dell’Emilia Romagna e dal “Broude noix” francese.
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Tagliatelle con noci e basilico
Ingredienti (per 4 persone)
320 gr di pasta all’uovo60 gr di burrouna falda di peperone rosso gr 60gr 50 di gherigli di noce3 fette di pancarrè ammollate nel latteagliouno scalognobasilicobrodo di pollosalepepefarina bianca per la spianatoia
tempo: 40’ + riposo della pasta
Preparazione:
Preparate la pasta all’uovo, quindi tiratela insfoglie sottili; lasciatele asciugare brevemente,poi tagliatele a mano o passatele nell’appositatrafila per le tagliatene. Mettete sul fuoco unacapace casseruola con abbondante acqua chesalerete al bollore, lessandovi quindi le tagliate-ne. Intanto preparate il sugo: tritate finementemezzo spicchio d’aglio insieme con lo scalogno,fate appassire il trito nel burro, unendo ancheil pancarrè strizzato dal latte e le noci, grosso-lanamente passate al tritatutto. Dopo che iltutto si sarà insaporito, aggiungete la falda dipeperone, precedentemente ridotta in finissimadadolata (brunoise) e 2 o 3 mestoli di brodocaldo. o Salate, pepate il sugo e lasciatelo sob-bollire per qualche minuto in modo che siaddensi leggermente. o Scolate le tagliatene aldente e conditele subito con il sugo preparato econ le foglie di basilico (ottenute da 4 grossiciuffi), tagliate a listerelle sottili. o Mescolatevelocemente per far insaporire bene la pasta,quindi servitele in un piatto da portata.
Noce di Sorrento
Vermicelloni al sugo di noce
Ingredienti (per 4 persone)
500 gr di vermicelloni100 gr di noci puliteun cucchiaio di pinoli60 gr di burro60 gr di parmigiano2 spicchi d’aglio,olio sale e pepe
Preparazione:
Far tostare per pochi minuti le noci nelforno, elimi-nare la pellicina e metterli nelmortaio con i pinoli, pestare bene e soffrig-gere il tutto con il burro, me-scolarvi dopo 5minuti il parmigiano, gli spicchi d’aglio tri-tati, salare, pepare, diluire poi con un pocod’acqua calda e aggiungere un filo d’olio.Cuocere al dente la pasta, condirla con lasalsa e con altro parmigiano.
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Noce di Sorrento
Linguine con noci e gamberi
Ingredienti (per 4 persone)
300 gr di linguine100 gr di gherigli di noce80 gr di panna fresca12 code di gambero sgusciate3 fette pancarrè ammollate nel latteaglioprezzemoloolio di olivasalepepe bianco in grani
Preparazione:
Mettete sul fuoco abbondante acqua, chesalerete al bollore e che vi servirà per cuoce-re la pasta. * Intanto frullate per 3 minuti,a velocità media, i gherigli di noce, il paneammollato, la panna, mezzo spicchio d’agiio, 2 cucchiaiate di olio e un pizzico di sale,in modo da ottenere una salsa densa. o Aparte, fate saltare a fuoco vivo, m un filod’olio caldo, le code di gambero, private delbudellino grigio, salatele e pepatele. oVersate in una ciotola la salsa di noci eallungatela con un mestolino di acqua dicottura delle linguine, scolate queste ultimeal dente e conditele nella ciotola della salsa.o Servitele immediatamente, guarnite conle code di gambero, foglioline di prezzemoloe una macinata di pepe fresco.
Insalata al finocchio e noci
Ingredienti (per 4 persone)
2 pesche nociun piccolo fìnocchioun cetrioloun cespo di lattuga, gherigli di nocelimone, olio di olivasale, pepe nero in grani
tempo: 30’
Preparazione:
Lavate e asciugate le pesche, quindi snoccio-latele e riducetele a spicchietti. Tritate gros-solanamente una dozzina di gherigli dinoce, o Spuntate il finocchio, lavatelo, sgoc-ciolatelo e tagliatelo a fettine. Riducete ilcetriolo a rondelle sottili. Eliminate dalcespo di lattuga le foglie esterne più scure eammaccate, quindi lavate, sgocciolate lealtre e spezzettatele grossolanamente. oRaccogliete tutti gli ingredienti in unacapace insalatiera o in un piatto da portataprofondo, dispo-nendoli a piacere.Emulsionate 9 cucchiaiate d’olio con ilsucco spremuto e filtrato di mezzo limone,un pizzico di sale e una generosa macinatadi pepe. Condite l’insalata solo al momentodi portarla in tavola e mescolatela in pre-senza dei commensali.
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Noce di Sorrento
Insalata di gamberoni e noci
Ingredienti (per 6 persone)
10 gamberoniun cespo di indivia ricciasedano, carotacipolla, alloro12 gherigli di noceuna scatola di maisvino bianco seccosale, pepe nero in graniPer il condimento:gherigli di noceolio di oliva, olio di nocilimone, cerfogliosale, pepe
tempo: 30’
Preparazione:
Sgusciate a crudo i gamberoni lasciandone 3interi, mentre degli altri 7 recuperate le solecode. Metteteli tutti in una casseruolina,copriteli con un velo d’acqua fredda aroma-tizzata da una carotina, una costa di seda-no, alcune rondelle di cipolla, una fogliad’alloro, uno spruzzo di vino, sale e grani dipepe. Portate su fuoco modestissimo e, nonappena l’acqua starà per bollire, spegnete eimmergetevi i gamberoni, per circa 5 minu-ti.Tagliate l’indivia a listerelle sottilissime etenetele in acqua fredda con ghiaccio e succodi limone. Al momento di servire, scolatela emescolatela con il mais, i 12 gherigli di nocespezzettati, le code e i gamberoni.Conditecon una salsina preparata emulsionando ilsucco di mezzo limone con sale, pepe, 4 cuc-chiaiate di olio di noci, 8 di quello di semi,pochi gherigli tritati e cerfoglio.
Torta rustica di noci
Ingredienti (per 8 persone)
350 gr di farina bianca350 gr di zucchero semolato più un pocoper spolverizzare250 gr di burro120 gr di noci sgusciate5 uovauna bustina di lievito in polverearanciaburro per lo stampo
tempo: 70’
Preparazione:
Lavorate con lo sbattitore g 350 di zuccherocon il burro morbido, fino ad ottenere un com-posto soffice. o Aggiungete la buccia di un’a-rancia grattugiata (solo la parte gialla), la fari-na ben setacciata con il lievito, le uova, unoalla volta e, infine le noci grossolanamente tri-tate con un coltello da cucina. o Versate l’impa-sto in uno stampo rotondo a cerniera di cm 26di diametro, ben imburrato; co-spargete lasuperficie con una cucchiaiata di zucchero,quindi infornate la torta a 200° per 15minuti. o Riducete la tempe-ratura a 180° ecompletate la cottura in altri 30 minuti circa.Prima di togliere dal forno, provate la cotturadel dolce infi-lando nel mezzo uno stecchino; seuscirà asciutto, allora la torta sarà pronta peressere sfornata; sformatela e servitela fredda.
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Noce di Sorrento
Salsa alle noci
Ingredienti (per gr 500)
800 gr di noci100 gr di cagliata o ricotta3 fette di pancarrèaglio, olio di oliva, sale
tempo: 15’
Preparazione:
Sgusciate le noci e sbollentatene i gherigli,quindi pelateli. o Metteteli in un mortaio,poco per volta, insieme con la mollica dellefette di pancarrè, ammollata nell’acqua eben strizzata, e uno spicchio d’aglio. oLavorate fino a ottenere una pasta omoge-nea, che passerete al setaccio. o Aggiungetela cagliata e qualche cucchiaiata di olio,infine regolate di sale.
Salame di noci
Ingredienti
250 gr di noci secche macinate250 gr di zucchero a velomandorle una manciata50 gr di cacao amaro1 uova1 scorza di limone grattugiataun pizzico di cannella
Preparazione:
Si mettono a fuoco lento lo zucchero, le noci;quando lo zucchero si è ben unito alle noci sitoglie la pentola dal fuoco e si uniscono lemandorle anche esse tritate senza buccia, ilcacao, l’uovo, la scorza di limone grattugiataed un pizzico di cannella. Quando il tutto èben amalgamato si stende sul tavolo dimarmo dando una forma di salame; sìavvolge quindi in una carta argentata e simangia a fettine il giorno dopo.
Nocillo
Ingredienti
18 noci intere1 litro di alcol18 chiodi di garofanonoce moscatauna stecca lunga di cannellagr. 300 di zucchero
Preparazione:
Il giorno 24 giugno sezionare in 4 parti 18noci di Sorrento intere e tenerle in infusionein un litro di alcool per la durata di 40 giorniin un capiente barattolo di vetro che dovràessere chiuso con della pellicola di alluminio.L’infusione deve essere tenuta esposta al soledurante la giornata e in un luogo riparato lasera. Trascorsi 40 giorni aggiungere all’infuso ichiodi di garofano, la quarta parte di unanoce moscata grattugiata, una bacchetta dicannella e 300 grammi di zucchero sciolto inmezzo litro d’acqua. Conservare per altri 20giorni avendo cura di mescolare l’infuso ditanto in tanto, infine filtrare ed imbottigliare.
1. IntroductionIn recent years great emphasis has been
attached to the many agri-food products inItaly that are considered “typical”. They areusually peculiar to a certain zone and are ofconsiderable economic importance. Withinthis context, the southern Italian region ofCampania is renowned for its production ofvegetables of fruit, amongst which is theage-old Sorrento walnut.
2. Geographical area in questionAs in other parts of the world, the walnut
is grown in a broad climatic belt in Europeranging from Mediterranean areas to as farnorth as the UK. The perfect environmentfor the walnut in Italy consists of gently-slo-ping, sheltered, south- and west-facing hill-sides, which makes Campania particularlysuitable. Indeed, it is cultivated throughoutthe region, though with a preponderance inthe provinces of Naples and Salerno.
3. Historical background of the product
3.1 Brief notes on the origins and historyof the walnut
Cultivation of the walnut dates back mil-lennia, although it is difficult to date itsorigins precisely. It is mentioned in theBible (the gardens of Solomon) and it isthought to have originated in modern-dayIran, hence the name “Persian Walnut”.From here it was introduced into Greece,
thence to Italy. Subsequently the Romansintroduced it to many parts of Europe,including the Moselle, Rhine, Spain,France and England. In both Greece andRome it was a symbol of fertility and thefruits were distributed at wedding ceremo-nies. Though not originally a New Worldspecies, it is now grown widely in the USAand Canada.
3.2 Origins, history and diffusion of thewalnut in Campania
The walnut was probably introduced bythe Greeks in the first millennium BC. InCampania they found optimum growingconditions. Archaeological finds fromHerculaneum and Pompeii show that thewalnut was well-established by Romantimes. References from the 19th century sug-gest its use in recipes, while the first scienti-fic study emerged at the beginning of the20th century, in which the Sorrento walnutis singled out for its fine quality.
3.3 The Sorrento walnut: characteristicsThe term “Sorrento walnut” covers two
cultivars, “Malizia” and “Sorrento”. Thetwo cultivars produce four different producttypes: fresh nuts with their husks, fresh nuts,dried nuts and kernels.
3.4 Links between the Sorrento walnutand Campania
There is extensive proof that walnut cul-
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli Noce di Sorrento
Historical report:The SorrentoWalnut
english abstracts
Noce di Sorrento le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
tivation has a fine pedigree in Campania,and not only on the Sorrento peninsula. Inthe 1960s the walnut was widely grown inthe Salerno area, around Caserta, thePhlegraean Fields, Vesuvius and Avellino,partly as a single crop but often in mixedsystems or polycultures. The Sorrento wal-nut is now grown over extensive areas inCampania, as listed in the Italian versionof this report.
3.5 Links between the Sorrento walnutand the geographical environment, soiland climate
The “Sorrento walnut” originates in anarea which is traditionally suited to walnutproduction. Cultivation techniques acquiredover time, adapted to local conditions, havecontributed to make it a recognised qualityproduct. Reports by agronomists as early as1908 stated that the Sorrento peninsula wasthe area in which walnut cultivation had rea-ched a good technique and that a variety cal-led Sorrentina had been created. In the 1970sit was asserted that the Sorrento walnut wasnot just a cultivar, but it also stood for thosespecial quality characteristics which it assumesin its ideal environment. Here the walnutfinds its best growing conditions: deep non-stratified fresh soils, rich in organic matter andnutrients, with neutral pH or slightly acidic.
3.6 The Sorrento walnut in culture, folk-lore and customs of the area
As a tree known to bear fruit for over100 years, the walnut has spawned legendsover the years. Symbol of fertility and rege-neration in antiquity, it was also consideredboth a talisman and used as a biblical alle-
gory in medieval times. Due to low electri-cal conductance the walnut is never struckby lightning, and hence is considered a safehaven in a storm. This has given rise tofurther legends and superstitions in theinterior of Campania. Despite its centralAsian origins, the walnut has for millenniaformed part of the diet. It is known to berich in nutrients, vitamins and minerals.Its contents in fatty acids and vitamin B1make it suitable for curing heart com-plaints, reducing cholesterol and improvingthe circulation. It is considered a tonic forthe central nervous system – indeed the ker-nel’s resemblance to the brain suggested tothe ancients its use to cure such disorders.Besides, it is widely used to cure sexualdisorders and fertility, while the high caloriecontent of the nuts make them suitable forathletes, pregnant women and generallythose requiring high-energy intake.
3.7 The Sorrento walnut in the traditionalgastronomy of the area
The walnut is an essential element inMediterranean cuisine. Bread and nuts, asthe popular Italian saying goes, is food fit forkings. More complex dishes include the age-old use of the Sorrento walnut for makingsweets, a favourite pastime of nuns on theSorrento peninsula. A further example in thegastronomic tradition is the liqueur callednocillo, made from fresh walnuts with theaddition of sugar, cinnamon, cloves, sugar,pure alcohol and water. An extensive list ofdishes is given in the Italian version of thisreport, where walnuts are used in a gamut ofpasta dishes, in salads, sauces, sweets andwith seafood.
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Bibliografia
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Sannino G., Pilone N. 1979. Il noce: una coltura da salvare. Informatore Agrario n.35,Verona.
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Savastano L. 1899. Le varietà di Arboricoltura. Memoria. - Annali della Regia Scuola diAgricoltura, Vol. I, Portici.
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Documentazione allegata
ISTAT Annuari di statistica dell’Agricoltura. 1984 Vol. 32 - Edizione 1988.
Listino mensile dei prezzi all’ingrosso sulla piazza di Napoli. Camera di CommercioIndustria e Agricoltura di Napoli. Numero unico - 1950.
Noce di Sorrento
Relazione tecnica
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Fino a qualche anno fa la produzione ita-liana di noci era riferita quasi esclusiva-mente alla Campania e alla sua unicavarietà di pregio “Noce di Sorrento”.La regione detiene ancora il primato di
produzione nazionale, 2/3 del totale, ma lacoltura attraversa da tempo un periodo dicrisi. Le cause sono molteplici.In Campania la coltivazione di noci è
diffusa in zone altamente urbanizzate dovel’agricoltura si colloca sempre più nel tipodi attività part - time, con funzione di inte-grazione di reddito. Questo non esclude lasua importanza nell’economia locale, tutta-via la richiesta di un prodotto omogeneo edi qualità e la globalizzazione dei mercatinon sembrano lasciare spazio a questo tipodi coltivazione. A fronte di pochi impiantispecializzati la maggioranza delle piante sitrova in coltura promiscua con altre speciearboree o erbacee. Scarsa meccanizzazionealla raccolta e impianti di essiccazione pre-
cari sono la causa di un prodotto non sem-pre di qualità, che fa fatica a reggere la con-correnza californiana e francese.La debolezza del comparto dipende
anche dall’organizzazione commerciale.La miriade di piccoli coltivatori, con
struttura e superficie aziendale non compa-rabili a quelle più competitive californianee francesi, e la mancanza di associazioni-smo determinano un’offerta del prodottonon concentrata, e i coltivatori sono sog-getti e speculazioni dei commercianti condomanda e prezzi incostanti.Un problema contingente rimane la
qualità. La “Sorrento” non è una cultivaromogenea ma una cultivar - popolazionecon un discreto grado di variabilità, com-prendendo tipi non sempre di pregio perpezzatura e qualità del gheriglio.Pertanto la crisi della “Sorrento” rientra
anche nella mancanza di tutela del prodot-to di rispondenza varietale.
Noce di Sorrento
1. Premessa
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Noce di Sorrento
2.1 Aspetti botanici e morfologici
Il noce comune, Juglans regia L.,appartiene alla famiglia .Juglandaceae,ord. Juglandiflorae. Alcuni (Guravel,1959) suddividono le, specie appartenen-ti al gen. Juglans in tre sezioni, a secondadel colore della corteccia:• Dioscaryon Dode (= noci bianche,con corteccia liscia di colore argenteoopaco negli alberi giovani e, quindi.screpolata e di coloro grigio in quelliadulti;
• Rhyzocaryon Dode (= noci nere, concorteccia di colore bruno, più o menoscuro);
• Cardiocaryon o Trachicaryon Dode(= noci grigie, con corteccia di coloregrigio-cenere).Il noce comune viene incluso nella
prima sezione, assieme ad alcune formetipiche delle regioni balcaniche e dell’Asiacentrale (J.fallax Dode, J. duclouxianana.Dode e J. kamaonia Dode), che secondoalcuni autori non sarebbero vere specie,ma ecotipi della J. regia L.La classificazione botanica del noce è la
seguente: Ordine Juglaniflorae; famiglia
Juglandacee; genere Juglans. Il nome lati-no del genere sembra derivi dalle paroleJovis gland (ghianda di Giove).Al genere Juglans appartengono nume-
rose specie, tra queste si ricordano per laloro diffusione: J. regia (noce comune); J.nigra (noce di San Cristoforo o nocenero); J. cinerea (noce grigio o noce ameri-cano); J. ieboldiana (noce giapponese);J.fraxinifolia (noce della Giamaica); J.rupestris, J. majior, J. californica e J. hindi-sii (originarie degli Stati Uniti d’ America);J.cordiformis (orig. Del Giappone); J.mandshurica (orig. della manciuria); J.bolliviensis (orig. della Bolivia); J. pteroro-carpa (orig. del Caucaso); J. baccenta(orig. della Spagna o della Giamaica); J.insularis ( orig. Cuba).Vi sono inoltre specie ottenute da ibri-
dazioni, tra cui citiamo la J. intermedia(J. Regia x J. Nigra) e da J. quadrangulata(J. Regia x cinerea).A noi interessano le specie Juglans regia
e qualche altra a cui accenneremo a pro-posito di portainnesti e delle coltivazionida legno. Nell’ambito di questa specie visono alcune varietà botaniche che nonhanno un vero e proprio interesse agrario
2. La descrizione del prodotto
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ma che citiamo perché classificate comeornamentali: la Juglans regia monophillacon foglie semplici, intere che somiglianoa quelle del nocciuolo; la J. r. pendula onoce piangente è un albero di sviluppoed aspetto maestosi, ed è così detto per ilportamento pendente dei rami.La specie tipica Juglans regia è la più
diffusa e la più nota dell’intera famigliabotanica delle Juglandacee.L’albero è vigoroso, dal tronco solido,
alto, diritto, che si diffonde in una chiomaglobosa, robusta ed armoniosa; la cortecciadel fusto è liscia e di colore rossastro scuronelle piante giovani, poi assume il tipicocolore grigio-argenteo; intorno ai 15 annipresenta abbondanti screpolature nel sensodell’altezza; dopo i 20-25 anni le screpola-ture sono profonde e diffuse su tutta lasuperficie della corteccia il cui colore èdivenuto cinerino. Il portamento dell’albe-ro, nel complesso, è veramente maestoso:può raggiungere l’altezza di 25-30 metri el’età di 100 anni e più.Le foglie sono caduche, composte, a
disposizione alterna, lunghe 20-40 cm,formate da 5-7-9 e più raramente 11fogliole, più grandi alla sommità che allabase della foglia composta; si trovanoanche foglie composte anomale connumero pari di fogliole (8-10).Le fogliole sono di forma ovale ellittica,
appuntite, lunghe 7-10 cm, intere o leg-germente dentate ai margini.La foglia ha un bel colore verde vivo,
odore balsamico e sapore amaro astrin-gente; ha un breve picciuolo leggermenteingrossato alla base; da giovani le fogliesono tenere e vellutate, da adulte dure,coriacee e sprovviste di peli.Il noce è una pianta bellissima, impo-
nente, può raggiungere i 15-20 metri dialtezza, con una folta chioma, e troncoeretto con corteccia che presenta profon-de fessure.È specie monoica con fiori unisessuali
ad impollinazione anemofila. I fiori sta-miniferi si sviluppano su infiorescenze aspiga pendente (amenti). I fiori pistilliferisi sviluppano nell’apice del germogliodella stagione in corso.La fioritura avviene da maggio a giu-
gno.Il noce è autofertile anche se la maggior
parte della cultivar presenta un certogrado di autosterilità per sfasatura neltempo tra fioritura maschile e fioriturafemminile (dicogamia), per cui spesso ènecessario impiantare alcune piante dicultivar a fioritura maschile precoce e tar-diva il cui polline possa diffondersidurante tutta la primavera.Avvenuta la fecondazione la maturazio-
ne del frutto in genere si raggiunge trasettembre ed ottobre.Il frutto è una drupa globosa, di 4-5
cm, glabra e liscia di colore verde (mallo).Il seme, protetto da un guscio legnoso,
rappresenta la parte commestibile (gheri-glio).Per la produzione di noci di qualità è
importante che la raccolta e la successivalavorazione avvengano quando i fruttisono maturi al punto giusto.Un anticipo di raccolta favorisce il
fenomeno di un gheriglio ridotto durantel’essiccazione, mentre un ritardo dellastessa aumenta l’incidenza di muffe edanni da parassitiDi solito si usano due indici di matu-
rità per determinare la data della raccoltadelle noci:
Noce di Sorrento
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Noce di Sorrento
1. quando circa l’80% dei malli apertimostrano la noce;
2. due settimane dopo l’imbrunimentodel gheriglio, dato che non sempre viè sincronia tra la maturazione delmallo e quella del gheriglio.Il mallo è molto ricco di tannino e
viene usato in conceria ed un suo princi-pio tintorico è usato per tingere legnami.Con noci immaturi, mallo verde e ghe-
riglio non ancora indurito si prepara, pre-via macerazione in alcol etilico, il nocino,un liquore di colore scuro, dolce-amaroaromatico e digestivo.Le noci sono consumate sia allo stato fre-
sco, appena smallate che allo stato secco.Il noce è ampiamente apprezzato anche
nell’industria del mobile per le caratteri-stiche di pregio del suo legno.
2.2 Caratteristiche intrinseche e specifichedella Noce di Sorrento
Con la denominazione “NOCE DISORRENTO” si identifica la cultivar -popolazione “Sorrento”, ampiamente dif-fusa nel territorio campano.La cultivar - popolazione “Sorrento”
comprende due cultivar, comunementedenominate la prima “Sorrento” e laseconda “Malizia”.Per la loro identificazione e caratteriz-
zano si riportano di seguito alcuni carat-teri salienti delle due cultivar.
SORRENTOAlbero: vigoroso, di taglia grande;Portamento: assurgente;Fogliazione: medio-precoce;Produttività: elevata e costante;
Epoca di fioritura: medio-precoce;Impollinazione: cultivar proterandra -omogama; è ben impollinata daChico, Franquette e da Hartley, emettepolline in quantità media. Sensibilitàalle malattie: mediamente sensibile
MALIZIAOrigine: da seme di Sorrento liberamenteimpollinata.
Albero: tronco e branche: corteccia chiara(più che in “Sorrento”); legno di colo-re poco più chiaro che in “Sorrento”;vigore: medio - elevato; nei primianni dell’innesto la vegetazione ha svi-luppo più rapido rispetto a“Sorrento”; la ripresa vegetativa estivaè forte, con abbondante emissione dinuove foglie; portamento: tendenzial-mente assurgente;
Epoca di fioritura: medio - precoce;Impollinazione: cultivar proterandra -omogama; è ben impollinata daFranquette e da Hartley, emette pollinein quantità media (come “Sorrento”);
Produttività: elevata, regolare, superiorealla cultivar “Sorrento”; precoce messaa frutto; produce prevalentemente suigermogli apicali dei rami di un anno;
Sensibilità alle malattie: mediamente sensi-bile all’antracnosi (Gnomonia juglan-dis) ed alla batteriosi (Xanthomonasjuglandis);
Epoca di maturazione: medio - precoce,fine settembre - inizio ottobre (4 - 7giorni prima di “Sorrento”).
Per quanto attiene alla composizionenei principali elementi nutritivi, le duecultivar, con riferimento a due areali dicoltivazione, risultano così caratterizzate:
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Caratteristiche chimiche del prodotto “Noce di Sorrento - cv. Sorrento”
Noce di Sorrento
Composizione chimica dei frutti della cv. “Sorrento”
Lauro
Nola
Acqua
3,64
3,72
protidi
19,10
18,35
lipidi
65,33
66,41
zuccheri
1,89
2,38
amido
0,32
0,30
fibre
7,58
7,71
ceneri
1,83
1,79
kcal
673
681
Composizione in zuccheri della cv “Sorrento”
Lauro
Nola
Glucosio
0,04
0,08
Fruttosio
0,06
0,05
Saccarosio
1,79
2,26
Totale
1,89
2,39
Composizione % in acidi grassi dei lipidi della cv “Sorrento”
Lauro
Nola
C 14:0
0,03
0,03
C 16:0
9,4
9,4
C 16:1
0,04
0,04
C 18:0
1,00
1,20
C 18:1
13,7
13,9
C 18:2
62,3
61,4
C 18:3
13,8
14,0
C 20:0
0,30
0,25
Contenuto in acidi grassi della cv “Sorrento” (% s.f.)
Lauro
Nola
C 14:0
0,02
0,02
C 16:0
6,27
5,89
C 16:1
0,08
0,03
C 18:0
0,67
0,76
C 18:1
9,17
8,66
C 18:2
43,74
38,33
C 18:3
9,23
8,74
C 20:0
0,20
0,16
Contenuto in tannini della cv “Sorrento”mg/100
Lauro 452
Nola 613
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
Noce di Sorrento
Caratteristiche chimiche del prodotto “Noce di Sorrento - cv. Malizia”
Composizione chimica dei frutti della cv. “Malizia”
Lauro
Nola
Acqua
3,46
3,64
protidi
17,30
17,30
lipidi
67,35
68,23
zuccheri
1,81
1,38
amido
0,20
0,35
fibre
7,93
7,10
ceneri
1,73
1,74
kcal
686
690
Composizione in zuccheri della cv “Malizia”
Lauro
Nola
Glucosio
0,07
0,04
Fruttosio
0,04
tracce
Saccarosio
1,70
1,34
Totale
1,81
1,38
Composizione % in acidi grassi dei lipidi della cv “Malizia”
Lauro
Nola
C 14:0
0,01
0,02
C 16:0
9,5
9,3
C 16:1
0,07
0,06
C 18:0
0,93
1,00
C 18:1
14,0
15,0
C 18:2
58,7
59,4
C 18:3
16,7
15,5
C 20:0
0,17
0,27
Contenuto in acidi grassi della cv “Malizia” (% s.f.)
Lauro
Nola
C 14:0
0,01
0,01
C 16:0
6,14
6,04
C 16:1
0,09
0,04
C 18:0
0,60
0,63
C 18:1
9,05
9,79
C 18:2
37,93
38,72
C 18:3
10,82
10,10
C 20:0
0,11
0,18
Contenuto in tannini della cv “Malizia”mg/100
Lauro 449
Nola 428
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
2.3 Gli aspetti agronomici e la coltivazio-ne della Noce di Sorrento
Com’è possibile rilevare dalDisciplinare allegato, la coltura dellaNoce di Sorrento seppur nata nel terri-torio della penisola sorrentina (Napoli)si è, già in epoca antichissima, estesa intermini e percentuali diverse in tutte leprovince della Campania, in zone chesebbene diverse sotto il profilo orografi-co (pianura, collina) e pedoclimaticohanno influenzato positivamente gliaspetti qualitativi dei frutti, mantenen-done inalterate tutte le peculiari e prege-voli caratteristiche.Le condizioni ed i sistemi di coltiva-
zione dei noceti da frutto destinati allaproduzione della “NOCE DI SOR-RENTO” sono quelle tradizionalmentein uso in Campania, atte a conferire alprodotto che ne deriva le peculiari carat-teristiche di qualità.I sesti di impianto, le forme di alleva-
mento e i sistemi di potatura e di raccol-ta sono quelli in uso tradizionale nellazona, con prevalenza di noceti conforme d’allevamento del tipo a volume,con una densità d’impianto per ettaronon superiore a 280 piante ad ettaro.Negli impianti di cui sopra sono tradi-
zionalmente presenti altre varietà oltre lecultivar “Sorrento” e “Malizia”, in ognicaso di origine locale, nella misura mas-sima del 10% delle piante, ai fini dellaidonea impollinazione.La tecnica colturale adottata per gli
impianti di noceti da frutto, fatta salvala tecnica d’impianto che interessa lapreparazione della particella da impian-tare, i lavori preparatori, quelli comple-
mentari e l’eventuale concimazione, è laseguente:Portinnesti: sono preferiti i portinnesti
di due specie: Juglans regia L. e Juglansnigra L., a seconda delle caratteristichepedoclimatiche dell’area e delle varietàprescelte.Sistemi e distanze di piantagione:
sono comunemente presenti gli impiantia piante sparse, a piante consociate e gliimpianti a filari; nei nuovi impianti lepiante sono distribuite secondo unadisposizione geometrica che preveda lacostituzione di filari paralleli tra loro. Isesti e le distanze d’impianto sono varia-bili, ma con una densità d’impianto nonsuperiore a 280 piante per ettaro. Taledensità per ettaro viene rispettata anchenei lavori di diradamento o infittimentodi noceti da frutto già esistenti.Potatura e forma d’allevamento: la
forma d’allevamento tradizionale è deltipo in volume, a vaso, più vicina alcomportamento naturale della specie eche presenta, in età adulta, un troncolibero di altezza variabile con un nume-ro variabile di branche principali che siallungano verso l’esterno in direzionidiverse.Formata la chioma, la potatura di pro-
duzione è limitata, per la scarsa attitudi-ne della cultivar ad emettere ramifica-zioni laterali, ad interventi di solo dira-damento dei rami e/o branche fruttifereed interventi periodici di taglio dei suc-chioni, dei rami male inseriti o secchi emalati, di sfoltimento e ringiovanimentodella chioma, in modo da assicurare lamigliore qualità del prodotto ed al finedi evitare l’invecchiamento precoce dellapianta e l’alternanza di produzione.
Noce di Sorrento
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
Noce di Sorrento
Lavorazione del terreno: ove consenti-to dalle condizioni pedoclimatiche, dallapossibilità di applicare l’irrigazione edalla tipologia di impianto, è adottata latecnica dell’inerbimento, parziale o tota-le a seconda se interessa tutta la superfi-cie o solo l’interfilare, e temporaneo opermanente, con conseguente sfalcio;nelle aree ove ciò non è applicabile, oltrealle lavorazioni di fine autunno, sonoeffettuate due lavorazioni complementa-ri, una prima della fogliazione (coninterramento dell’eventuale sovescio) edun’altra in luglio - agosto per evitareun’eccessiva perdita di acqua e per pre-venire l’inerbimento.Operazioni di raccolta: la raccolta,
manuale o con l’ausilio di macchineagevolatrici, avviene tra la metà di giu-gno e la prima settimana di luglio, per lenoci da commercializzare con il mallo,mentre per il prodotto venduto fresco oessiccato, è effettuata tra la metà di ago-sto e la seconda decade di ottobre.
2.4 Descrizione delle fasi successive allaraccolta
Ad eccezione delle noci commercializ-zate con il mallo, le noci, appena raccol-te, sono sottoposte alla “smallatura”, checonsiste nella separazione manuale omeccanica del mallo dal guscio.Le noci fresche con mallo sono com-
mercializzate entro tre giorni dalla rac-colta.Le noci fresche smallate, se conservate
in cella frigorifera ad una temperaturatra i 3 e gli 8°C ed una umidità relativanon inferiore al 60%, devono essere
commercializzate entro tre mesi dallaraccolta; se confezionate in atmosferamodificata possono essere commercializ-zate fino a 1 anno dalla raccolta.Al fine di garantire la persistenza delle
peculiari caratteristiche qualitative, innessun caso, le noci destinate alla vendi-ta come fresche possono essere trasfor-mate in noci essiccate.Dopo la smallatura, l’essiccazione
delle noci in guscio, secondo le tecnichelocali tradizionali, è ottenuta natural-mente, mediante l’azione del sole, o for-zatamente, per mezzo di impianti di ter-moventilazione. In quest’ultimo caso latemperatura del flusso d’aria, che devepoter attraversare tutta la massa di noci,non deve superare i 35°C.I gherigli sono estratti dalle noci essicca-
te che sono rotte utilizzando impianti chene effettuano la frantumazione meccanica;la separazione del gheriglio dai resti delguscio e dal diaframma avviene manual-mente o per mezzo di appositi crivellatori.Per quanto concerne la produzione mas-
sima annua ad ettaro di frutti, tenendoconto della diversità di condizioni pedocli-matiche dei diversi areali in cui è diffusa lacoltura del Noce di Sorrento, pur con levariazioni annuali in funzione dell’anda-mento climatico, non si registrano valorisuperiori alle 23 tonnellate di noci conmallo, pari a 13 tonnellate di noci freschee 5 tonnellate di noci essiccate, valori rife-riti a noceti in coltura specializzata ed infase di piena produzione,.
2.5 Confezionamento ed etichettatura
Il confezionamento rappresenta l’ulti-
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
mo segmento della filiera produttivaprima dell’immissione al consumo. Essoavviene secondo modalità diverse aseconda delle tipologia di prodotto:A) NOCI FRESCHE: sono confeziona-te in imballaggi di materiale naturaleo sintetico di peso non superiore ai 5kg.
B) NOCI SECCHE IN GUSCIO:sono messe in commercio in sacchi oin reti di materiale di origine vegetaleo sintetico per confezioni fino a 25kg, in buste, vassoi e reti, di materia-le di origine vegetale o sintetico, perconfezioni da 0,25 a 5 kg.
C) GHERIGLI DI NOCE: sono utiliz-zati imballaggi di materiale naturaleo sintetico, per confezioni di pesonon superiore a 15 kg.Una volta ottenuta la registrazione
della indicazione geografica, la vendita,prima del confezionamento, di noci incontenitori di capacità non superiore a1.500 kg. sarà ammessa solo all’internodella zona di produzione.Sulle confezioni che saranno contras-
segnate con la IGP o sulle etichetteapposte sulle medesime saranno riporta-te, a caratteri di stampa chiari e leggibili,delle medesime dimensioni, le indica-zioni:a) “NOCE DI SORRENTO” imme-diatamente seguita dall’indicazionedelle due cultivar (“Sorrento” o“Malizia”) seguita dalla dicitura:
“INDICAZIONE GEOGRAFICAPROTETTA” (o la sua sigla IGP);
b) il nome, la ragione sociale e l’indiriz-zo dell’azienda confezionatrice o pro-duttrice; i caratteri di cui alla letterab) devono essere di dimensioni infe-riori a quelli della lettera a);
c) la quantità di prodotto effettivamen-te contenuto nella confezione,espressa in conformità alle normevigenti;
d) il simbolo grafico relativo all’imma-gine artistica del logotipo specificoed univoco descritto nell’art. 12, dautilizzare in abbinamento inscindibi-le con la Indicazione GeograficaProtetta.Alla Indicazione Geografica Protetta
di cui all’art. 1 sarà vietata l’aggiunta diqualsiasi qualificazione aggiuntiva diver-sa da quelle previste dal presente disci-plinare, ivi compresi gli aggettivi: tipo,gusto, uso selezionato, scelto e similari.Sarà, tuttavia, consentito l’uso di indi-
cazioni che facciano riferimento adaziende, nomi, ragioni sociali, marchiprivati, consorzi, non aventi significatolaudativo e non idonei a trarre in ingan-no l’acquirente. Tali indicazioni potran-no essere riportate in etichetta concaratteri di altezza e di larghezza nonsuperiori alla metà di quelli utilizzati perindicare la Indicazione GeograficaProtetta, in ogni caso adeguate allenorme di etichettatura comunitarie.
Noce di Sorrento
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
Noce di Sorrento
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
3.1 La commercializzazione della Noce diSorrento
Per lungo tempo la commercializzazioneitaliana dei frutti del noce era in larga parterappresentata dalla “Noce di Sorrento”ampiamente conosciuta ed apprezzata daimercati al punto da identificare una benidentificata tipologia commerciale.Aponte e Savastano, infatti, nella loro
monografia “La coltivazione del noce nelSorrentino” (1908), evidenziano come,ad inizio del ‘900, l’esportazione di nociitaliane erano “… limitate alle sole nocidi Sorrento, …”, e come esse fosseroapprezzate all’estero: ”La noce diSorrento costituisce un tipo oramai com-merciale tanto dal punto di vista dell’u-niformità, quanto di continuità di pro-dotto. Si può dire, che malgrado la forteproduzione della California, le noci diSorrento battono questo prodotto sullapiazza di New York, malgrado il dazioprotettore. È certamente un prodotto chepotrebbe venir piazzato largamente nelleregioni europee”.Continuando, Aponte e Savastano
affermano: “Le noci sorrentine hanno
una potenzialità commerciale abbastanzaimportante, poiché riescono di facileconservazione”.I due autori non furono, purtroppo,
felici profeti.Attualmente, infatti, la produzione è
molto polverizzata e alle carenze qualitativedell’offerta si aggiunge un forte scollega-mento tra produzione e commercializza-zione per la mancanza di associazionismo.Il prodotto giunge ai consumatori fina-
li dopo numerosi passaggi tra piccolicommercianti (“raccoglitori”), interme-diari, grossisti.In questa fase aumenta l’eterogeneità
delle produzioni perché a partite di“Noci Sorrento” vengono mescolate par-tite di “noci comuni”.
3.2 L’economia della Noce di Sorrento nel-l’area campana
Il noce è una specie diffusa in tutto ilterritorio regionale campano, oltre alla“Sorrento”, l’unica ampiamente coltivatae commercialmente valida, sono presentidiverse cultivar (la “Noce di Benevento”,
Noce di Sorrento
3. Aspetti economici del prodotto
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
Noce di Sorrento
la “Noce di San Giovanni”, la “NoceAvellana”, la “Corniola”, la “Noce a grap-poli”, la “Noce Streccera”, la “Noce pre-mice”, la “Tonda di San Martino”) tuttein netta regressione perché non presenta-no alcun pregio particolare. (Forlani,Pilone - 1996)La nocicoltura campana, da quanto
sopra esposto, appare essenzialmentelegata alla Noce di Sorrento.Delle vicissitudini commerciali, si è già
parlato in precedenza, quello che premeevidenziare è l’estensione ed il peso pro-
duttivo della coltura a livello regionale, atal fine sono, di seguito, esposti i datirelativi al quinquennio 1990-95, estrapo-lati dall’Annuario ISTAT.La coltura del noce in Campania,
occupa una superficie di 2.701 ettari, conuna produzione pari a 78.500 quintali(ISTAT, 1995).La distribuzione per provincia risulta
quanto mai differenziata, con una preva-lenza della coltura in due province:Napoli e Salerno, come si evince nellatabella seguente.
Superfici investite a noce (Ha) e produzione (000 q) nelle province campane ed in Campania(dati ISTAT)
Ha
276
400
1.582
381
1.600
4.239
000 q
8,3
9,8
24,6
15,4
65,7
123,8
Ha
270
385
1.465
378
1.595
4.106
000 q
9,2
10,0
33,1
16,4
49,9
118,6
Ha
278
360
1.400
372
1.540
3.950
000 q
9,1
9,4
45,5
17,2
45,8
127,1
Ha
274
345
1.293
366
1.037
3.325
000 q
9,0
8,3
41,6
13,6
30,9
103,4
Ha
290
328
1.135
310
566
2.629
000 q
9,6
8,2
32,0
8,9
17,4
76,2
Ha
2.561
000 q
82,1
Caserta
Benevento
Napoli
Avellino
Salerno
Campania
1990 1991 1992 1993 1994 1995
L’analisi di questi dati non ci deve por-tare a trascurare o sottovalutare dueaspetti importanti: in primo luogo la rile-vanza economica della coltura che, sebbe-ne in fase decrescente, occupa ancora unposto di rilievo nelle economie locali (1milioni di euro nel 1997 - dati INEA); insecondo luogo, nonostante la contrazioneproduttive conseguente alla riduzionedelle superfici a coltura, l’impatto che lanocicoltura ha sui livelli occupazionalidelle aree regionali interessate, restatutt’altro che trascurabile.
3.3 Prospettive di sviluppo a seguitodell’IGP
Le aspettative che i diversi soggettidella filiera, ed in misura prevalente laparte agricola, ripongono nella I.G.P.sono molteplici e risultano amplificatedalla generale tendenza del settore agrico-lo alla riduzione delle proprie performan-ce strutturali ed economiche.La costante contrazione di superfici e
produzione, rilevate negli ultimi anni perla nocicoltura, caratterizzano in generale
1. IntroductionThe southern Italian region of Campania
accounts for two-thirds of Italy’s walnut pro-duction, with one of its hallmark varieties
being the Sorrento walnut. A variety of fac-tors, such as small farm size, non-existence ofcooperatives and low mechanisation levels aswell as the demand for a standard product,
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
comparti eccedentari con un mercatosaturo. In realtà per il noce ci trovia-modi fronte a una situazione completamentediversa, perché nella UE la domanda difrutti e di legno è superiore alla produzio-ne. A fronte di una situazione commer-ciale così favorevole l’Italia nel giro dipochi decenni da Paese esportatore èdiventato Paese importatore.Ciò si è verificato perché le noci italia-
ne, ottenute con coltura dì tipo tradizio-nale e quindi con costi elevati, hannosubito la concorrenza di produzioni otte-nute da Paesi che praticano una razionalenocicoltura da frutto. Inoltre, alle defi-cienze di tipo agronomico si sommanogli errori compiuti nella commercializza-zione (partite costituite da noci nonomogenee) che hanno danneggiato suimercati esteri l’immagine del prodottoitaliano.L’insufficienza della produzione nazio-
nale a coprire i consumi interni rende ipo-tizzabile un rilancio di questo comparto.Affinché tutto ciò avvenga occorre
attuare una serie di misure che interessa-no tutta la filiera produttiva del “Noce diSorrento “.L’ottenimento della I.G.P., può rappre-
sentare la chiave di volta per consentire alcomparto di mutare la tendenze alla con-trazione registrata in questi ultimi anni.I diversi soggetti della filiera avranno a
disposizione, infatti, uno strumento perpoter valorizzare la produzione della“Noce di Sorrento” e riuscire a realizzarequel valore aggiunto che consentirebbe alcomparto di attuare le necessarie azionicorrettive e di sviluppo.In campo agricolo, ciò significherebbe
poter realizzare nuovi impianti che sianoin grado di fornire un prodotto commer-ciale almeno simile a quello straniero perprezzo e qualità.Dal punto di vista commerciale, consi-
derando che l’offerta è eccessivamenteframmentata, a fronte di un’aggregazionesempre maggiore della domanda, il rin-novato interesse per la coltura, dovrebberendere possibile la creazione di condizio-ni per lo sviluppo di forme associative traimprese produttrici, favorendo la costitu-zione di cooperative e consorzi, che per lapiù solida struttura imprenditoriale efinanziaria, possono esercitare un mag-giore potere contrattuale e promuovereun’adeguata politica di produzione, divendita e di immagine.
Noce di Sorrento
Technical reportThe Sorrento walnut - PGI
english abstracts
Noce di Sorrento le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
have accentuated the difficulties of small-scale local walnut producers in competingwith producers from California and France.A major problem is one of quality: theSorrento walnut is not a homogeneous culti-var, but it has a fair range of variability,which makes it even more important to pro-tect the final product.
2. Product description
2.1 Botanical and morphological featuresThe common walnut, Juglans regia L.,
belongs to the Juglandaceae family. The speciesin the Juglans genus may be subdivided accor-ding to bark colour, with the common nutbelonging to the Dioscaryon Dode taxon witha grey bark and light-coloured nuts. The com-mon walnut tree is vigorous, with a tall, solid,straight trunk and a robust, harmoniouscanopy. The bark is smooth and silver-grey inmature trees, becoming flaky with age. Thetrees can attain heights of 25-30 metres andexceed 100 years of age. The leaves are brightgreen and smell of balsam, becoming harderwith age. Walnut is a wind-pollinated monoe-cious species, flowing from May to June. Afterpollination, which may be somewhat complexdue to staggered male and female flowering,the fruit ripens in September and October.The fruit is a globular green drupe 4-5 cmlong. The seed is protected by a woody shelland is the edible part (the kernel). Early har-vest produces a small kernel after drying,while late harvest increases the incidence ofmould and parasite damage.
2.2 Specific features of the Sorrento walnutThe Sorrento population of walnuts com-
prises two cultivars, Sorrento and Malizia.Sorrento has a darker bark, and a slower
vegetative growth than Malizia. Both aremedium-early flowering, while Malizia ishigher-yielding. In terms of the chemical con-stituents of the nuts, Sorrento has a substan-tially higher content in proteins and sugars,while Malizia has a higher lipid content.
2.3 Agronomic features and cultivation ofSorrento walnut
Cultivation of the Sorrento walnut startedin the Sorrento peninsula and then spread tomuch of the rest of Campania. However,much has been written on the favourableinteraction between the plant and its envi-ronment: other areas in Campania wheregrafting has been used as a means of propa-gation have failed to produce such high-qua-lity fruits. Current planting, training andpruning systems follow traditional practice inthe area. While distances between trees mayvary, planting densities do not exceed 280plants per hectare. The presence of cultivarsother than Sorrento and Malizia neverexceeds 10% and is solely for the pollinationpurposes. Two species are used for rootstocks,Juglans regia and Juglans nigra, dependingon the area’s soil and climate. Once thecanopy is formed, pruning is limited to thin-ning branches, cutting suckers, diseasedbranches etc. so as to ensure better productquality. Terrain and climate permitting, theplants are irrigated and partial grass cover isensured. Harvest, by hand or machine, isperformed in June or July (fruits with skinspressed for making liqueur) or in August andOctober (fresh or dried fruits).
2.4 Post-harvest phasesOnce the nuts have been harvested, the
outer husks are removed from the shells.Once this process is complete, the nuts should
be sold within three months or, with appro-priate storage and packaging, a maximum ofone year. After husk removal, the nuts areeither sun-dried or dried with hot air (below35°C). The kernels are extracted from themechanically crushed dried nuts. Maximumannual production of fruit per hectare,depending on growing area and weather,does not exceed 5 tons of dried nuts.
2.5 Packaging and labellingFresh walnuts are packed using natural or
synthetic material (up to 5 kg), dried wholewalnuts are packed in sacks, net bags, trays orbags, depending on weight, using natural orsynthetic material, while packages of naturalor synthetic material are used for kernels(below 15 kg). Once registration as geographi-cal indication has been obtained, only the sale– prior to packaging – of walnuts in contai-ners with a capacity not exceeding 1,500 kgwill be allowed in the production area.Packages will be marked PGI, with “NOCEDI SORRENTO” on the labels, immediatelyfollowed by the name of the two cultivars andthe term “Indicazione Geografica Protetta”;the producer’s name and address; the productquantity contained; the PGI logo.
3. Economic aspects
3.1 Marketing of the Sorrento walnutDue to the lack of associations and coope-
ratives, walnut production and marketing ishighly fragmented. The product reaches con-sumers through meanders of middlemen,wholesalers and retailers. This also increases
product heterogeneity, as batches of commonwalnuts are mixed with Sorrento walnuts.
3.2 The Sorrento walnut economy inCampania
Besides the Sorrento walnut which is themost widely grown and commercially robustin Campania, other cultivars in Campaniahave fared poorly in recent years as they arenot particularly highly prized. Apart fromthe province of Caserta, all the provinces ofCampania (Avellino, Benevento, Napoli andSalerno) have experienced a significant decli-ne both in hectares given over to walnut cul-tivation and in total production.Nevertheless, two factors remain of vitalimportance in walnut farming: the conti-nuing high income from this crop and itsimportance in terms of employment on aregional basis.
3.3 Post-PGI development prospectsDespite the constant reduction in land area
used for walnut farming in Campania, therehas been an EU-wide increase in demandboth for walnut fruits and wood which nowexceeds production. From being a net expor-ter, Italy has become a net importer of wal-nuts. This is due to Italy’s high-cost traditionaltype of farming, as well as mixed qualitystandards damaging Italy’s image in the sec-tor. PGI designation for the Sorrento walnutwould give local producers a well-neededboost: cooperatives and consortia could becreated, and walnut farms could be establi-shed which would be able compete with non-EU producers in both quality and costs.
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli Noce di Sorrento
le produzioni di Qualità della provincia di Napoli
Noce di Sorrento
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Documentazione allegata
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le produzioni di Qualità della provincia di Napoli