n°IX 19/04/2018 ilC OSMO · Sono le donne le amanti dei tatuaggi, in Italia. Ma, soprattutto, la...

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L’Editoriale La ricerca indaga: i Tattoo sono pericolosi? I professionisti: “Aprite un negozio solo se avete passione e pazienza”. Perchè tatuarsi? Guarda il nostro video Ad amare la pelle decorata sono soprattutto le donne. Una moda che nasce addirittura nel Neolitico In Italia, il tatuaggio è donna: 7 milioni di perso- ne hanno decorato il proprio corpo Sono le donne le amanti dei tatuaggi, in Italia. Ma, soprattutto, la fotografia scattata dall’Iss, l’I- stituto superiore di sanità, ci dice che nel nostro Paese – da qualche anno a questa parte – siamo di fronte a una vera e propria tattoo-mania. un universo di notizie SMO C il O www.il-cosmo.com del centrale marocchino che ha definito il rigore come uno stu- pro affermando che non si può utilizzare un termine del genere per contesti simili; di contro, il calciatore è passato al controat- tacco scrivendo su Instagram di aspettare Crozza a Vinovo con aggettivi non proprio all’acqua di rose. Dal faceto al serio. Nel weekend ci siamo svegliati con l’annuncio delle bombe americane sulla Si- ria, sganciate con l’appoggio di Francia e Germania e con il tota- le disaccordo della Russia. Un déjà vu, insomma, con la con- sapevolezza che tra un conflitto e l’altro (velato e non) la Terza Guerra Mondiale dalle nostre parti è già scoppiata da un po’. Per prevenzione, ovviamente, cosa avete capito? Le vere batta- glie, in fondo, sono un’altra sto- ria. Non sorridete, gli spari sopra sono per voi. Scelgo il reef di uno dei più grandi successi di Vasco per introdurre la mia breve ri- flessione del giovedì per il no- stro giornale dal momento che mi sembra tristemente azzec- cato. Quella appena conclusa- si, infatti, è stata una settimana calda, anzi caldissima; non solo per le temperature che, nel giro di poche ore, ci hanno fatti pas- sare dal piumino invernale alle maniche corte, ma anche per le “bombe” lanciate: sportive, me- diatiche e, purtroppo, reali. “Hai un bidone dell’immondi- zia al posto del cuore”, la frase scagliata da Buffon al direttore di gara nel post partita di Real Madrid-Juventus, ha ormai fat- to il giro del mondo tra sfottò e meme sui social. Lo “scippo” bianconero è, poi, tornato alla ribalta delle cronache grazie al botta e risposta tra il difensore di Max Allegri, Medhi Benatia e Maurizio Crozza. Il comico ha in- fatti ironizzato in termini anche abbastanza coloriti sulle parole Rubrica Ecco “Mai contro cuore” La storia di Ilaria, nata tre volte di Sabrina Falanga pag.16 Food Gnocchi al forno con asparagi e taleggio di Chiara Bellardone pag. 12/13 Eventi Film, mostre ed eventi da non perdere! continua 2 Michela Trada n°IX 19/04/2018 In fase di registrazione presso il tribunale di Vercelli Editore: il Cosmo SRL via degli Oldoni 14, Vercelli. Direttore responsabile: Michela Trada www.cooperativacolibri.com visita il sito: Assistenza domiciliare e casa famiglia per anziani autosufficienti Tatuaggi: in Italia in sette milioni hanno detto “sì” Music Pills La nostra rubrica di musica: oggi parliamo dei Goo Goo Dolls di Olivia Balzar pag.15 Sanità I presidenti dell’ordine dei medici di Terni e Vercelli sul “caso Lombardia” di Alessandro Pignatelli pag. 7 Qua la zampa Vi presentiamo Biondo, il cagnolino trovatello che oggi ha trovato casa di Sabrina Falanga pag. 17 Intervista Alex Gavazza, l’artista illustratore che reinventa le camere d’aria di Sabrina Falanga pag.10 Intervista MacBeth Rock Opera: Quando la tragedia diventa musical Di Olivia Balzar pag.14 Bombe: dallo Sport, ai Media alla realtà

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L’Editoriale

La ricerca indaga: i Tattoo sono pericolosi? I professionisti: “Aprite un negozio solo se avete passione e pazienza”. Perchè tatuarsi? Guarda il nostro video

Ad amare la pelle decorata sono soprattutto le donne. Una moda che nasce addirittura nel Neolitico

In Italia, il tatuaggio è donna: 7 milioni di perso-ne hanno decorato il proprio corpoSono le donne le amanti dei tatuaggi, in Italia. Ma, soprattutto, la fotografia scattata dall’Iss, l’I-stituto superiore di sanità, ci dice che nel nostro Paese – da qualche anno a questa parte – siamo di fronte a una vera e propria tattoo-mania.

un universo di notizieSMOCil O

www.il-cosmo.com

del centrale marocchino che ha definito il rigore come uno stu-pro affermando che non si può utilizzare un termine del genere per contesti simili; di contro, il calciatore è passato al controat-tacco scrivendo su Instagram di aspettare Crozza a Vinovo con aggettivi non proprio all’acqua di rose.

Dal faceto al serio. Nel weekend ci siamo svegliati con l’annuncio delle bombe americane sulla Si-ria, sganciate con l’appoggio di Francia e Germania e con il tota-le disaccordo della Russia.

Un déjà vu, insomma, con la con-sapevolezza che tra un conflitto e l’altro (velato e non) la Terza Guerra Mondiale dalle nostre parti è già scoppiata da un po’. Per prevenzione, ovviamente, cosa avete capito? Le vere batta-glie, in fondo, sono un’altra sto-ria.

Non sorridete, gli spari sopra sono per voi. Scelgo il reef di uno dei più grandi successi di Vasco per introdurre la mia breve ri-flessione del giovedì per il no-stro giornale dal momento che mi sembra tristemente azzec-cato. Quella appena conclusa-si, infatti, è stata una settimana calda, anzi caldissima; non solo per le temperature che, nel giro di poche ore, ci hanno fatti pas-sare dal piumino invernale alle maniche corte, ma anche per le “bombe” lanciate: sportive, me-diatiche e, purtroppo, reali.

“Hai un bidone dell’immondi-zia al posto del cuore”, la frase scagliata da Buffon al direttore di gara nel post partita di Real Madrid-Juventus, ha ormai fat-to il giro del mondo tra sfottò e meme sui social. Lo “scippo” bianconero è, poi, tornato alla ribalta delle cronache grazie al botta e risposta tra il difensore di Max Allegri, Medhi Benatia e Maurizio Crozza. Il comico ha in-fatti ironizzato in termini anche abbastanza coloriti sulle parole

RubricaEcco “Mai contro cuore”

La storia di Ilaria,nata tre volte

di Sabrina Falanga pag.16

FoodGnocchi al forno

con asparagi etaleggio

di Chiara Bellardone pag. 12/13

EventiFilm, mostre ed eventi danon perdere!

continua 2

Michela Trada

n°IX 19/04/2018

In fase di registrazione presso il tribunale di VercelliEditore: il Cosmo SRL via degli Oldoni 14, Vercelli. Direttore responsabile: Michela Trada

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Tatuaggi: in Italia in sette milioni hanno detto “sì”

Music PillsLa nostra rubrica di musica: oggi parliamo dei Goo Goo Dolls

di Olivia Balzar pag.15

SanitàI presidenti dell’ordine dei medici di Terni e Vercelli sul “caso Lombardia”

di Alessandro Pignatelli pag. 7

Qua la zampaVi presentiamo Biondo,il cagnolino trovatello

che oggi ha trovato casa

di Sabrina Falanga pag. 17

IntervistaAlex Gavazza,

l’artista illustratore chereinventa le camere d’aria

di Sabrina Falanga pag.10

IntervistaMacBeth Rock Opera:

Quando la tragedia diventa musical

Di Olivia Balzar pag.14

Bombe: dallo Sport, ai Media alla realtà

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gamba. E proponiamo tattoo per i quali bastano tra i 30 e i 40 minuti di operazione”.L’altra paura è che il tatuaggio è per sempre: “Pensano di potersi pentire, anche se al mo-mento della decisione sono convinti. Devono stare tranquilli perché, eventualmente, esiste la cover-up, ossia la copertura di un tatuaggio”.Il posto più strano su cui le due ragazze han fat-to il tattoo è stato su una natica maschile. So-phie ammette che il suo più bello “è quello che sto continuando a fare tuttora. Rose acquerella-te su una donna”. Giada, invece, è affezionata “a tanti. Ma forse il più dolce è stato quello che mi ha chiesto mio papà. Pur essendo una persona molto rigida, si è fidata di sua figlia”.

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L’Iss, in collaborazione con l’Istitu-to ricerche e analisi di mercato Ipr marketing, ha intervistato un cam-pione di 8 mila persone, dai 12 anni in su. Ebbene, il 13,8% delle donne ha detto di avere un tatuaggio, con-tro l’11,7% degli uomini. Il tatuaggio è donna, insomma.Cambiano anche le parti del corpo in cui donne e uomini preferisco-no farsi fare un disegno, piccolo o grande che sia. I maschi prediligo-no braccia, spalle e gambe, spesso volendo così confermare la loro vi-rilità; le femmine, invece, chiedono tatuaggi su schiena, piedi e caviglie e hanno un intento maggiore di se-duzione.Facendo una media tra uomini e donne, siamo a sette milioni di ita-liani tatuati, il 12,8% della popola-zione. Non tutti, però, lo fanno per ragioni estetiche (il 3%). Lo 0,5% si sottopone a questa pratica per ra-gioni mediche. In questo caso, stia-mo parlando di dati provenienti dall’Ondico, l’Organismo notificato dispositivi e cosmetici dell’Istituto superiore di sanità italiano. Solita-mente, il primo tatuaggio si fa a 25 anni, ma a sorpresa la fascia d’età più tatuata è quella tra i 35 e i 44

anni (29,9%). Un milione e mezzo di persone ha tra i 25 e i 24 anni. Chi ha meno di 18 anni, con il con-senso dei genitori, non rinuncia a un bel disegno sul corpo (7,7%). Il 92,2% è soddisfatto del proprio ta-tuaggio, da mostrare soprattutto nei mesi più caldi dell’anno. C’è però un 17,2% di intervistati che ha detto di voler rimuovere il tatuaggio, il 4,3% di questi già ha fatto ricorso al laser.Continuando ad analizzare le carat-teristiche di chi ha un tattoo, al Nord siamo al 25,1%. Il 30,7% ha una lau-rea, il 63,1% lavora. Il 76,1% ha fat-to riferimento a un negozio specia-lizzato, appena il 9,1% a un centro estetico, ma c’è anche un 13.4% che ha deciso di rivolgersi a centri non autorizzati, il che rappresenta un forte rischio (d’infezioni, soprattut-to). Non solo: il 22% di chi si è rivolto a un centro, non ha tuttavia firmato il foglio del consenso informato: “E’ necessario non solo firmarlo, ma an-che capirlo. Considerando poi che molte delle persone tatuate sono under 18” spiega Alberto Renzoni, esperto dell’Istituto superiore di sa-nità, coordinatore dell’indagine.Aggiunge: “Il tatuaggio non è come una camicia, che si mette e si to-

glie; è l’introduzione intradermica di pigmenti che entrano a contatto con il nostro organismo per sempre e con esso interagiscono e possono comportare rischi e, non raramente, anche reazioni avverse”. È insomma rivolgersi a centri autorizzati con tatuatori formati, che rispettino le circolari del ministero della Salute. Il 3,3% di chi si è decorato il corpo ha ammesso di aver avuto compli-canze successivamente: dal dolore ai granulomi, dall’ispessimento del-la pelle alle reazioni allergiche, dalla infezioni al pus. Il dato è però sotto-stimato, solo il 12,1% di chi ha am-messo di aver avuto una reazione si è rivolto poi a un dermatologo o al medico di famiglia (9,2%). Il 27,4% ha chiesto aiuto allo stesso tatuato-re. Il 51,3% è rimasto zitto.Del resto, solo il 58,2% degli intervi-stati sa che rischi si corrono. Il 79,2% sa di possibile allergie, il 68,8% del rischio di epatite, il 37,4% di herpes. Solo il 41,7% è adeguatamente pre-parato sulle controindicazioni alla pratica del tatuaggio.

di Alessandro Pignatelli

di Alessandro Pignatelli

Attualità

Se è vero che in Italia il tatuaggio è donna, a Mi-lano proprio due ragazze gestiscono un Centro specializzato, ‘Heart Tattoo’, e di cose da raccon-tare ne hanno tante, nonostante la loro giovane età. Giada ha infatti 21 anni, Sophie 24. La se-conda ammette: “Ho sempre voluto fare questo lavoro, mia mamma è super tatuata. Per sette anni ho fatto però la cuoca di ristoranti di lusso, per un anno la barista per le colazioni, poi fi-nalmente ho iniziato l’apprendistato in negozio. Ho potuto unire le mie due grandi passioni: il disegno e i tatuaggi”.Giada conferma che Sophie è l’enfant de pays: “Sophie ha finito presto l’apprendistato, è mol-to avanti, ma questo è un lavoro che richiede molto tempo. Non è sufficiente saper disegna-re, devi imparare a tatuare. Poi ci sono tecniche diverse e devi acquisirle. Naturalmente, infine, per far funzionare l’attività serve farsi un giro di clienti. E’ un processo lungo, iniziatelo solo se

avete veramente passione e pazienza. Non smet-ti mai di disegnare, anche quando sei a casa con la mente produci”. Il negozio si trova dalle parti dell’università, dunque di lavoro non ne manca: “Il viavai di giovani favorisce sicuramente”.Giada ha uno stile bianco e nero realistico, detto in gergo figurativo realistico in bianco e nero. Sophie, invece, tatua a colori con effetto acqua-rellato. E le piacciono i cartoon.I clienti che passano da Heart Tattoo sono per lo più adulti: “Vengono per dare una svolta alla loro vita. Solitamente, è il primo tatuaggio che fanno. La fascia d’età? Dai 35 ai 50, ma a volte c’è anche chi ha una sessantina d’anni e decide di tatuarsi”. I giovani, invece, hanno già altri dise-gni quando arrivano da Giada e Sophie, gentili e disponibili con tutti per consigli e precauzio-ni. “Quando qualcuno ci dice che ha paura del dolore, noi lo spingiamo verso punti del corpo dove fa meno male. Che sono esterno braccio e

Un negozio di tatuaggi? “Apritelo solo se avete passione e pazienza”

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Ha 33 anni, un bimbo di 9 e già 12 tatuaggi: “Ognuno con un significato preciso per me”. Fabia è lo spot perfetto del tattoo. E lo è fin da quando era bambina: “Mi innamorai dei Cavalieri dello Zodiaco, in particolare di Sirio il Dragone, capelli lunghi e schiena tatuata”. Un’infatuazione giovanile, si dirà. Forse, ma la voglia di imitare Sirio è rimasta.“All’epoca avevo 6 anni, ho dovuto natural-mente aspettare per farmi il primo tatuaggio, a 22 anni. Avevo iniziato a lavorare e ho potuto permetterlo. Inoltre, i miei prima dei 18 anni non mi avrebbero dato il consenso a decorare il mio corpo”. Il primo tatuaggio non si scor-da mai: “L’abbiamo concordato insieme all’e-sperto. Stile indiano, sulla coscia, non molto grande. Si tratta di ghirigori che rappresenta-no petali e foglioline. Il significato? Armonia, leggerezza”.Come le ciliegie, uno tira l’altro: “Ora ne ho 12, sì, ma devo contarli per esserne certa”.

Non ha mai pensato di tatuarsi: “Neanche con uno piccolo”. E’ una delle italiane che non amano i tatuaggi, la 45enne Chiara: “Non mi piacciono per niente”. Né su di sé, né sugli al-tri. Intransigente, insomma, su questo punto. Spiega il perché: “Penso che un tatuaggio non renda più belli. Anzi, deturpi il tuo corpo, an-che con quelli meno invasivi”.Chiara non è convinta neanche di quelli che in qualche modo prendono le mosse dagli an-tichi guerrieri maori: “Quella è un’altra cul-tura e mi sembra più normale che loro se li facciano. Hanno un’altra funzione, servono ad altro”. C’è comunque, parzialmente, un’aper-tura: “Non mi dà fastidio vedere che qualcuno li ha, ognuno è libero di fare ciò che vuole. Ma penso sia una questione di gusto”.Un altro punto a sfavore: “Il tatuaggio resta per sempre. E se uno, dopo un mese, già si è stancato? Puoi coprirlo, certo, ma così avrai pure un ulteriore scarabocchio sulla pelle. Poi,

“Ho fatto un tatuaggio quando facevo il mili-tare, nel 1994. E’ un tribale, lungo il braccio destro, fino al gomito. E’ un ricordo di quel periodo, è simbolo di potenza e virilità”. Ales-sandro, 42 anni, ricorda con piacere il tattoo – al momento l’unico – sul suo corpo. Il servi-zio militare, quando si sta diventando grandi veramente. Un evento che segnava la vita di un uomo, prima di diventare facoltativo.La voglia di disegnare qualcosa sul suo corpo, però, ad Alessandro era già venuta qualche tempo prima: “A 16 anni, ero un metallaro. Iniziando a suonare, ho cominciato a pensa-re anche a fare un tatuaggio”. Che arriverà, puntuale, due anni dopo. Un tatuaggio sol-tanto, una scelta: “Non ho mai voluto rovinar-mi troppo. Anche se i tatuaggi mi piacciono e, dopo tutto, mi piacerebbe averne tanti. Sto

Il migliore? “L’ultimo, perché è il più fresco. L’ho fatto quando ho iniziato a fare comunella con mio figlio. Si tratta di un personaggio del-la saga di Star Wars, Darth Vader”.Non dipendono dall’umore del momento, i ta-tuaggi, per Fabia: “Nel caso di Darth Vader, per esempio, è perché ho iniziato a vedere con mio figlio la saga di Star Wars. È un modo di immortalare avvenimenti della mia vita, sen-za dubbio”. Il tattoo è una questione di scelta: “Devi essere ben determinato e conoscerne il significato, non devi fare l’ultimo perché va di moda. Non è neanche vero che chi ha tanti tatuaggi è una brutta persona, non si giudica certo dalle apparenze”.I 12 di Fabia sono tutti su parti del corpo poco visibili durante l’anno: “Ma è sufficiente la maglietta a tre quarti per vederne tre. Tra l’al-tro, sul polso ho anche il piercing. Al mare, naturalmente scateno la curiosità degli altri bagnanti. Alcuni sono grossi. Quando sarò

dai, a una certa età si è ridicoli con il tattoo. Se si accetta il proprio corpo e ci si piace, non ser-ve. Ci sono tanti modi per esprimersi, diversi dal tatuaggio”. Scherza, Chiara: “Che beffa per chi si tatua il nome della fidanzata o della mo-glie, anzi dell’ex. Ce l’avrà sempre con sé. Lo può coprire, ma la sofferenza diventerà dop-pia e poi ti ricorderai in eterno che sotto c’era un’altra cosa, probabilmente non piacevole”.Ammette, Chiara, che il suo partner non ha tatuaggi: “Se l’avesse avuto quando ci siamo conosciuti? Credo che ora non staremmo in-sieme”. E se capitasse a un figlio o un nipote di volerne uno? “Se potessi glielo impedirei, op-pure lo dissuaderei se avesse più di 18 anni o fosse mio nipote. In ultima, lo accompagnerei io per accertarmi del posto e degli strumenti che verranno utilizzati dal tatuatore. Sono ste-rilizzati? L’artista è formato? Sarebbe il mini-mo evitargli un’infezione o peggio”.Ancora l’ironia per chiudere: “Sapete cosa

pensando infatti di aggiungerne ancora uno, o due”.L’uomo tatuato ha il suo fascino per molte donne. Per un’altra parte della società meglio stare lontani da chi si disegna sul corpo: “Sono democratico, ognuno la pensa come vuole. Certo, non è un marchio di cattiveria, non si finisce all’inferno tatuandosi”.Non teme neanche la vecchiaia, Alessandro: “Penso che per gli altri potrà non essere più bello vederti con la pelle raggrinzita e il tat-too, ma a me continuerà a piacere perché avrà sempre lo stesso significato”. E qui sta tutta la filosofia della tattoo-mania: non lo fai per for-za per piacere, ma per piacerti. E questo resta a qualsiasi età.Non sono pochi coloro che chiedono ad Ales-sandro il motivo del tatuaggio: “Partner e ami-

vecchia, se non mi piacerò, non sarà di sicuro per i tatuaggi”.Fabia ammette che un po’ di dolore si sente: “Le costole sono il punto in cui fa più male, la coscia quello dove si sente meno. Natural-mente, se il lavoro è lungo, un po’ di fastidio poi si comincia ad avvertire”. Ma non è nien-te di insopportabile, naturalmente. “Io ne ho molto lungo, che parte dalla costola e scende fino all’anca”. Uno spot perfetto per chi ama i tatuaggi, come dicevamo all’inizio. Un foglio su cui disegnare il corpo di Fabia. Per ricorda-re tutto ciò che ha avuto un impatto emotivo forte su di lei. Dai Cavalieri dello Zodiaco in poi, perché uno tira l’altro.

penso quando vedo un bel ragazzo o una bella ragazza con tatuaggi? Peccato, sarebbero stati belli senza”.

ci mi domandano perché l’ho fatto. Ma non è una domanda con un’accezione negativa, è solo curiosità”. L’uomo duro e massiccio non proverà alcun dolore durante l’operazione: “In realtà, un po’ di male si sente quando si lavora vicino alle ossa. Ma si può fare”. L’importante è rivolgersi a chi si è formato adeguatamente per evitare spiacevoli effetti successivi alla de-corazione. Su questo punto, sono d’accordo la maggior parte di ragazzi e ragazze che hanno deciso di dare un tocco in più al loro corpo.

di Alessandro Pignatelli

di Alessandro Pignatelli

di Alessandro Pignatelli

Fabia, 33 anni e 12 tatuaggi: lo spot perfetto della tattoo-mania

Chiara, 45 anni: “Tatuaggio? Perché deturpare il proprio corpo?

Alessandro, 42 anni, il tatuaggio che ricorda la naja

Intervista

Cosa significa il tuo tatuaggio?

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di Sara Brasachio

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ma macchinetta elettrica per tatuaggio, ren-dendo improvvisamente obsolete le tecniche precedenti, più lente e soprattutto molto più dolorose. Negli anni 20 i circhi americani as-sunsero più di 300 persone tatuate da capo a piedi come attrazioni per il pubblico. Per mezzo secolo, i “tattoo” diventano marchio di minoranze etniche, marinai, veterani di guer-ra, malavitosi, carcerati e considerati indici di arretratezza e disordine mentale. Negli anni ‘70 e ‘80 movimenti quali i Punk e i Bikers adottarono il tatuaggio come simbolo di ri-bellione ai precetti morali predicati dalla so-cietà. Dai simboli rituali, alla ricerca dell’in-dividualità, dal vezzo estetico, alla ribellione di gruppo, nei nostri tempi moderni sembra fare scalpore chi un tatuaggio non ce l’ha. L’arte “tatuatoria” è diventata parte integrante di una società esteta e a suo modo simbolica.

Intervista

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Oggi sono molto variegati i motivi detta-ti dalla moda per farsi un tatuaggio. Vezzo estetico, ricordo o bravata sono le principali motivazioni per disegnare sulla propria pel-le qualcosa di significativo o puramente de-corativo. Ma quella del tatuaggio è una sto-ria molto antica. Addirittura nel Neolitico si hanno le prime testimonianze di questa arte. La mummia Ötzi, ritrovata nel 1991 sulle Alpi austro-italiane è il più antico esempio di corpo tatuato nella Preistoria, attraverso la tecnica dello sfregamento del carbone polve-rizzato su incisioni verticali della cute. I rag-gi X hanno rivelato degenerazioni ossee in corrispondenza di questi tagli, si pensa quin-di che, all’epoca, gli abitanti della zona pra-ticassero questa forma di tatuaggio a scopo terapeutico, per lenire i dolori. Possiamo de-finire, però, la vera culla di diffusione dei “ta-

too” la Polinesia. Nel 1769 il Capitano inglese James Cook, approdando a Tahiti, osservò le usanze della popolazione locale utilizzando nei suoi appunti per la prima volta la parola “Tattow”, derivata dal termine “tau-tau”, ono-matopea che ricordava il rumore prodotto

dal picchiettare del legno sull’ago per bucare la pelle. Anche nell’Antico Egitto e tra i Celti era un uso comune “disegnare” sulla pelle per scopi simbolici come devozione, protezione o onore. Tra gli antichi Romani, invece era proibito per la ferma convinzione sulla pu-rezza del corpo. In quest’epoca i tatuaggi era-no utilizzati solo per marchiare criminali e condannati; solo successivamente, in seguito alle battaglie con i Britannici che portavano tatuaggi come segni distintivi d’onore, alcuni soldati romani cominciarono ad ammirare la

ferocia e la forza dei nemici tanto quanto i se-gni che portavano sul corpo e cominciarono essi stessi a tatuarsi sulla pelle i propri marchi distintivi. Fra i primi Cristiani era invece dif-fusa l’usanza di osteggiare la propria fede ta-tuandosi la croce di Cristo sulla fronte anche se poi nel 787 d.C. con Papa Adriano l’uso del tatuaggio divenne di nuovo proibito. Nell’un-dicesimo e dodicesimo secolo i Crociati por-tavano sul corpo il marchio della Croce di Gerusalemme, questo permetteva, in caso di morte sul campo di battaglia, di fare in modo che il soldato ricevesse l’appropriata sepoltu-ra secondo i riti cristiani. Dopo le Crociate, il tatuaggio sembra scomparire dall’Europa, ma continua a fiorire in altri continenti. Come dicevamo, nei primi anni del 1700, i marinai europei erano venuti a contatto con le popo-lazioni indigene delle isole del Centro e Sud Pacifico, dove il tatuaggio aveva un’impor-tante valenza culturale. A Tahiti alle ragazze venivano tatuate di nero le natiche una volta raggiunta la maturità sessuale e dagli appunti di Cook, sappiamo che uno dei metodi prin-cipalmente utilizzati dai tahitiani per tatuare era quello di servirsi di una conchiglia affila-ta attaccata ad un bastoncino; alle Hawaii chi era sofferente per qualche motivo si tatuava tre punti sulla lingua. In Borneo gli indigeni si tatuavano un occhio sul palmo delle mani come guida spirituale che li avrebbe aiutati nel passaggio all’aldilà. A Samoa era diffuso il “pe’a”, tatuaggio su tutto il corpo che richiede-va 5 giorni di sopportazione al dolore ma era prova di coraggio e forza interiore. In Nuo-va Zelanda i Maori firmavano i loro trattati disegnando fedeli repliche dei loro “moko”, tatuaggi facciali personalizzati, usati ancora oggi per identificare il portatore come appar-tenente ad una certa famiglia o per simbo-lizzarne le conquiste ottenute nell’arco della vita. In Giappone il tatuaggio era praticato fin

dal quinto secolo avan-ti Cristo a scopo este-tico ma anche a scopo magico e per marchia-re criminali. La nascita degli elaborati tatuag-gi orientali è dovuta all’imposizione nell’an-tico Giappone di dure leggi repressive che vietavano alla popola-zione di basso rango di portare kimoni decora-ti, quindi, in segno di ribellione queste stesse persone cominciarono a portare, nascosti sotto

i vestiti, enormi tatuaggi che coprivano tut-to il corpo partendo dal collo per arrivare ai gomiti e alle ginocchia. Il Governo nel 1870 dichiarò illegale questa pratica ritenuta sov-versiva, ma il tatuaggio continuò a fiorire e a prosperare nell’ombra, come nella Yakuza, la mafia giapponese. I loro disegni, molto ela-borati, rappresentavano solitamente conflitti irrisolti ma riproducevano anche simboli di qualità e caratteristiche che questi uomini intendevano emulare. Nel 1891 l’inventore newyorkese Samuel O’Reilly brevettò la pri-

Quel colore sulla pelle: le origini della “moda” di oggi

di Deborah Villarboito

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Intervista

Attualità

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Salute e tatuaggi: tutto frutto di una scelta re-sponsabile. Quante volte dopo una serata “bra-va” è capitato a qualcuno di sentirsi lanciare l’idea folle di farsi un tatuaggio per ricordare la serata memorabile? Molti, poi, al risveglio si sono ritrovati tatuati sulla pelle disegni di dubbio gusto o peggio ancora ha riscontrato danni alla pelle. Ecco perchè è importante af-fidarsi ai professi onisti certificati e utilizzare il buon senso. Dietro ad un vezzo estetico si può nascondere in agguato una patologia più o meno grave. Innanzitutto occorre conosce-re la propria pelle: i soggetti affetti da psoria-si o malattie della pelle devono pensarci due volte per non aggravare la propria situazione ad esempio. Difficile potrebbe essere anche la prevenzione di melanomi alla pelle in casi di disegni troppo estesi, quindi è bene sceglie-re con cura la zona da trattare. Ultimamente aveva fatto scalpore, terrorizzando il settore, la scoperta pubblicata su Scientific Reports in cui era riportato che alcuni tatuaggi potreb-bero liberare nel sangue minuscole particelle responsabili di un rigonfiamento cronico dei linfonodi. La questione è stata approfondita da un team di scienziati tedeschi e dell’Esrf, il Sincrotrone europeo di Grenoble (Francia), in uno studio pubblicato su Nature. Quello che non era mai stato evidente è che l’inchio-stro dei “tattoo” non resta inerte nell’angolo della pelle decorato: gli elementi che lo com-pongono si staccano e viaggiano all’interno del corpo in forma di micro e nanoparticelle, fino ai linfonodi. Quindi oltre all’accuratezza del cercare centri specializzati che seguano le norme di sicurezza per quanto riguarda gli aghi, bisognerebbe informarsi sula composi-zione chimica degli inchiostri. Ora c’è da pre-cisare che non tutti gli inchiostri sono dan-nosi: quelli pericolosi sarebbero composti da un pigmento bianco normalmente applicato per creare alcune tonalità: oltre al nero «car-

bon black», è il biossido di titanio (TiO2) il secondo ingrediente più comune utilizza-to negli inchiostri per tattoo , un pigmento bianco normalmente applicato per creare al-cune tonalità, mescolato con coloranti. Vie-ne anche comunemente usato negli additivi alimentari, negli schermi solari, nelle vernici. La guarigione ritardata, insieme all’elevazio-ne della pelle e al prurito, è spesso associata a tatuaggi bianchi, e all’effetto dell’uso di TiO2. La maggior parte di questi inchiostri, infat-ti, è a base di pigmenti organici, ma contiene anche sostanze nocive come il nichel, il cro-mo, il cobalto o il biossido di titanio. Quanto un accumulo di queste particelle possa esse-re pericoloso per la salute umana è difficile a dirsi al momento. Lo studio è solo all’inizio. L’idea, però, di accertarsi della composizione chimica dei colori, anche negli studi profes-sionali più accreditati, è una buona indica-zione da tenere sempre a mente.

I tatuaggi fanno male alla salute? Ecco cosa dice la ricerca

di Deborah Villarboito

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AttualitàMalasanità: l’ennesimo scandalo che infanga i professionisti del Bel Paese

Corruzione: ecco quando si configura in base al Codice Penale italiano

Soldi, regalie e favori per l’acquisto di mac-chinari particolarmente costosi. Così sono finiti nei guai i primari del Cto Pini e del Galeazzi di Milano in un nuovo scandalo del malaffare nel mondo della sanità. In tutto, sei persone sono state arrestate lo scorso 10 aprile in un vero e proprio blitz chiamato ‘Domino’.C’è anche un imprenditore, Tommaso Brenicci, accusato di corruzione e tangen-ti proprio in relazione al presunto paga-mento di tangenti per la vendita di presidi medico-sanitari. Poi i due medici, Giorgio Maria Calori (primario del Pini) e Carmi-ne Cuciniello (direttore dell’unità operati-va i ortopedia del Galeazzi), quindi Paola Navone (manager e direttore sanitario del Gaetano Pini) e Lorenzo Drago (direttore del laboratorio di analisi dell’ospedale di Milano Nord) , infine l’aiuto primario del Galeazzi, Carlo Luca Romanò (responsabi-le del centro di chirurgia ricostruttiva all’o-spedale Galeazzi). La Regione Lombardia ha fatto sapere che si costituirà parte civile nel processo.A sostegno delle tesi dell’accusa ci sono in-tercettazioni telefoniche. Ma lo scandalo lombardo non è solo tangenti e macchinari esosi. Pure assunzioni fin troppo facili, re-gali. Come quello che avrebbe ricevuto la moglie di Calori, una borsa di Louis Vuit-ton in cambio di favori su prodotti orto-pedici. Ma tra i ‘regali’ figurerebbero pure

Nonostante gli interventi legislativi de-gli ultimi anni volti a combattere la cor-ruzione e l’illegalità nella pubblica am-ministrazione, si sta assistendo ad una sempre più massiccia diffusione sul ter-ritorio nazionale di “consuetudini” cor-ruttive.Lo scandalo di pochi giorni fa’ relativo agli Istituti Ortopedici Cto – Pini e Gale-azzi confermano tale andamento.Purtroppo, al contrario rispetto a quan-to molti hanno sostenuto, tale fenomeno criminale trova terreno fertile nel qua-le svilupparsi anche al nord e anche in strutture che apparentemente funziona-no in modo esemplare.Ma quando si configura la corruzione? Il Codice Penale italiano punisce diverse ipotesi di corruzione che sono tutte ca-ratterizzate dall’accordo tra un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio e un privato avente ad oggetto il compimento da parte del funzionario pubblico di un atto: un atto del suo uffi-cio, l’esercizio delle funzioni o dei poteri, un atto contrario ai doveri del suo uffi-cio o il mancato compimento di un atto del suo ufficio. Viene dunque punita la stipulazione di un contratto che è illeci-to in quanto le funzioni pubbliche non

sono commerciabili. Con tale disciplina si vuole infatti tutelare beni giuridici di fondamentale rilevanza: il prestigio del-la pubblica amministrazione, ma soprat-tutto il suo regolare funzionamento.Nell’indagine di cui tanto si sente parlare in questi giorni, l’accusa rivolta a quat-tro medici, al diretto sanitario dell’isti-tuto Pini e a un imprenditore è proprio quella di corruzione e, in particolare, la compravendita di presidi medico-sani-tari in cambio di denaro o altre utilità quali borse di lusso, inviti a determinati convegni o ricchi cesti natalizi. Già l’an-no scorso in questo periodo erano sta-te avviate indagini simili che avevano portato all’arresto del primario dell’o-spedale Pini con la medesima accusa. In particolare il primario è stato accusato di aver effettuato operazioni chirurgiche non necessarie causando lesioni fisiche volte esclusivamente a favorire due so-cietà e ad aumentare il numero di prote-si impiantate nella sua struttura.Alla luce di tali fatti bisogna tuttavia se-gnalare l’immediata reazione del gover-natore della Regione Lombardia che da un lato ha annunciato di volersi costitu-irsi parte civile nel processo penale che verrà instaurato e dall’altro ha assicura-

to una legge per razionalizzare i controlli anticorruzione portando da tre a uno gli attuali enti esistenti.Vedremo dunque se alle parole corri-sponderanno effettivamente misure in grado quantomeno di ridurre l’espan-sione di tali prassi.

una Maserata Ghibli e un cesto natalizio con champagne, fois gras e altri prodotti di gran lusso. La destinataria, in questo caso, sarebbe stata Paola Navone.Probabilmente più grave, se sarà confer-mata, anche l’accusa di aver inventato al-cune infezioni a carico di un paziente pur di poterlo operare.L’inchiesta segue il filone della accuse con-tro il professor Norberto Confalonieri, ar-restato nella scorsa primavera. Primario del Cto Gaetano Pini di Milano, era stato soprannominato dai giornalisti ‘il dottor spezzaosse’. Accusato di corruzione e di le-sioni. Il prossimo 6 giugno inizierà il suo processo. Praticamente, così dicono le cro-nache dei giorni dell’arresto, Confalonieri si “allenava con i pazienti”, sperimentan-do le proprie ricerche nel campo ortopedi-co. Pur di agevolare due multinazionali e far salire il numero di protesi impiantate nel suo ospedale, il primario “avrebbe ad-dirittura effettuato operazioni chirurgiche inutili a tre suoi pazienti che, successiva-mente, avevano riportato lesioni fisiche”. A una sua paziente di 78 anni, Confalonieri avrebbe fratturato il femore per “allenar-si”.

di Alessandro Pignatelli

di Giulia Candelone

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“Non è collusione, ma corruzione”. Giuseppe Donzelli, presidente dell’Ordine dei medici di Terni, inizia con il mettere i puntini sulle ‘i’ a proposito dell’inchiesta che riguarda suoi colleghi a Milano. Ma poi spiega: “E’ un’inda-gine su cui bisogna andare cauti. Se le accuse risulteranno veritiere, allora si potrà parlare più diffusamente della vicenda. Non dimen-tichiamo che molte inchieste sulla sanità poi non vengono suffragate dai fatti”.Se, però, la magistratura appurerà che c’è stata corruzione, “questi colleghi dovranno pagare, non solo con i processi, ma anche dal punto di vista deontologico. Il nostro Codice è piut-tosto severo da questo punto di vista e si può arrivare alla radiazione”. Donzelli chiede co-munque di non gettare fango sulla categoria intera: “Le mele marce ci sono dappertutto. Noi siamo estremamente attenti a far sì che gli iscritti non violino il Codice deontologi-co. Anche perché i medici non sono di sicuro visti sotto una buona luce, in questo periodo, tanto è vero che si susseguono episodi di ag-gressioni ai danni di guardie mediche donne e uomini”.Insomma, non va bene alimentare l’odio. E ci mancherebbe. Il presidente dell’Ordine um-bro va oltre: “La sanità migliore al mondo è quella italiana. Lo dicono i numeri. Siamo il Paese dove l’aspettativa di vita è più alta e que-sto succede grazie alla prevenzione e alle te-rapie. Naturalmente, anche i costi sono esor-bitanti perché, salendo l’aspettativa di vita, aumentano gli acciacchi. Trenta anni fa era-vamo a 57 anni di aspettative, abbiamo fatti passi da gigante”. Quindi, “la struttura regge, questo è incontestabile”. Medici bravi e ottimi ce ne sono eccome, nel nostro Paese, ma il

futuro si presenta grigio.“Tra cinque anni mancheranno i medici di fa-miglia e quelli di medicina generale. Sa perché succederà? Perché lo Stato non assume a causa delle alte spese e i medici che vanno in pensio-ne non vengono sostituiti. Abbiamo fior fiori di laureati e specialisti che si formano in Ita-lia, ma poi vanno a lavorare all’estero”. Don-zelli ha sempre sostenuto la sanità pubblica, ma ammette: “Tutto quello che sta succeden-do porta i pazienti a rivolgersi alla sani-tà privata. Da 12 anni manca un c o n t r a t -to di ca-tegoria, le medic ine v e n g o n o a costare m ol t i s s i -mo. Il la-voro, per chi resta, è diventato molto gra-voso. Ar-r ive re mo veramente a fare come nel film di Sordi in cui ogni visita dura 30 secondi?”.“La gente si rende conto che non è più pos-sibile avere le stesse prestazioni di anni fa e dunque si rivolge al privato. Sopra a un certo limite, pure il ticket non è più conveniente. Con pochi euro in più, riesco a fare un esa-

me il giorno dopo invece di dover attendere chissà quanto”. Un altro forte rischio si affac-cia dunque per le generazioni future: “Che l’aspettativa di vita scenda di nuovo, a causa della mancanza di figure professionali. Solo i più ricchi rischiano di potersi curare”.

Ammette, in chiusura, Donzelli: “Si fa sem-pre più ricorso all’assicurazione privata, sono le stesse aziende spesso a proporla ai propri

dipendenti. E anche io l’ho fatta, per me, per-ché in ospedale voglio entrarci tranquillo”.

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Piergiorgio Fossale: “Professione utilizzata con concezione mercantile”Piergiorgio Fossale è presidente dell’Ordine dei medici di Vercelli dal 1992. Osserva, com-menta, si preoccupa ogni qualvolta si parla di malasanità in giro per l’Italia. L’inchiesta sulle tangenti milanesi non può lasciarlo natural-mente indifferente. “E’ difficile commentare, spero che come altre indagini sulla malasani-tà si sgonfi. Certo, se sono state decise delle misure cautelari, evidentemente qualcosa c’è”.Non bisogna però fare di tutta l’erba un fa-scio: “La percezione della professione medi-ca viene ‘macchiata da questi episodi quando poi ci sono migliaia di medici che lavorano con dedizione”. Aggiunge: “Si parla di regali, di materiali ortopedici, di protesi in cambio di favori. E ciò collide con il giuramento di Ippocrate. Se i medici milanesi saranno rite-nuti colpevoli, sarà perché hanno utilizzato la professione con una concezione mercantile del lavoro”. Ma, “naturalmente parleremmo di responsabilità dei singoli, non della cate-goria”.Attendere è la parola chiave: “Vediamo se ci sarà il rinvio a giudizio. Mi piacerebbe, in caso di assoluzione o di assoluzioni, che si desse la stessa enfasi alla notizia. Non dimen-tichiamo che più del 90 per cento delle accu-

se, quando si parla di malasanità, poi cadono. I procedimenti si chiudono con l’assoluzione degli imputati”.Ci sarebbero pure le intercettazioni, però: “L’Ordine dei medici, in caso di colpevolezza, ha il diritto di radiare chi è coinvolto. Intanto, fin da quando viene avvertito dalla magistra-tura, l’Ordine sospende i medici, ma fino a quel momento no, anche se la notizia esce sui giornali. Non può però fare indagini separa-te, l’Ordine non fa il detective; usa le stesse carte che arrivano dalla magistratura”.

Piergiorgio Fossale si ferma qui: “Non si può dire se l’inchiesta si allargherà. Mi auguro di no. Perché succedono queste cose? Perché l’uomo ha sete di denaro e arriva anche a que-sto”. Ossia, secondo le notizie finora rese pub-bliche, arriva a inventarsi addirittura un’in-fezione pur di favorire l’imprenditore ‘amico’.

di Alessandro Pignatelli

di Alessandro Pignatelli

Donzelli: “Milano? Mele marce ovunque, ma nostro miglior sistema sanitario mondiale”

Attualità

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di Deborah Villarboito

Attualità Per 58 prestazioni sanitarie, Asl e ospedali han-no dei tempi massimi di lista d’attesa da far ri-spettare obbligatoriamente. Rientrano tra le prestazioni anche diversi interventi chirurgici. Ma ce ne sono alcuni per i quali fa fede la clas-se di priorità. Naturalmente, questi sono i tempi d’attesa indicati per legge, ma come vedremo ci sono altre operazioni per i quali le liste d’attesa si prolungano, consigliando spesso al paziente di rivolgersi alla sanità privata.Partiamo comunque dalla legge. E iniziamo dai tumori che, insieme alle malattie cardiache, sono considerati malattie gravi. Per quello alla mammella, alla prostata, al colon retto e all’u-tero, siamo al limite di 30 giorni d’attesa. Per la protesi d’anca da 90 a 180 giorni. Per tumore al polmone, tonsillectomia, emorroidectomia, biopsia per cutanea del fegato, by pass aortoco-ronarico, angioplastica coronaria, endoarterie-ctomia carotidea e biopsia percutanea del fegato si devono verificare le classi di priorità (A, B e C).Non c’è invece quasi mai certezza sui tempi d’at-tesa per gli altri interventi chirurgici. E soltanto due regioni, il Friuli Venezia Giulia e il Piemon-

te, hanno nel sito web istituzionale un’indica-zione relativa.Il rapporto Pit Salute di Cittadinanzattiva, come vedremo, ci fa capire quanto il nostro servizio sanitario nazionale sia intasato (o quanto non funzioni), se è vero che si arriva anche a due anni per attendere un intervento chirurgico. Parliamo di intervento maxillo facciale, rimo-zione protesi anca, ricostruzione mammaria. Passiamo a 20 mesi per stenosi cervicale, a 14 per frattura del quinto metatarso del piede. Un anno si rischia di aspettare per la protesi al gi-nocchio, 11 mesi per un’ernia inguinale, 10 mesi per l’intervento di Turp, così come per cataratta e fimosi.Scendiamo a otto mesi per neoformazioni neo-plastiche sottocutanee, protesti alla spalle e ma-stectomia totale, 7 mesi per la frattura del femo-re, 6 mesi per il carcinoma alla vescica, 4 mesi per calcolosi renale, 3 mesi per epatocarcinoma.Forse non tutti sono a conoscenza di un diritto: se per le 58 prestazioni si va oltre i 60 giorni che Asl e ospedali sono tenuti a rispettare, il cittadi-no può andare da un privato e pagare soltanto il ticket.

di Alessandro Pignatelli

Liste d’attesa: fino a due anni per una ricostruzione mammaria

Tutti a lezione: l’integrazione passa dalla scuola

Se cerchiamo sul dizionario il termine “SCUOLA”, leggeremo che è un’istituzione organizzata per l’i-struzione collettiva della gioventù, avviando al possesso di determinate discipline.Ma siamo certi che la scuola sia soltanto questo?I nostri scolari passano in quegli edifici una buona fetta della loro giornata: dietro quei banchi nasco-no amicizie, a volte amori, ci si confidano paure, gioie e si impara a conoscere la vita quotidiana con le sue mille sfaccettature. Siamo certi che la re-sponsabilità della scuola sia soltanto arrivare alla fine del libro?Quella figura severa nascosta dietro due spesse len-ti che usa verifiche e interrogazioni come arma, è inevitabilmente il ponte tra scuola e vita, tra ciò che i nostri giovani trovano sui libri e ciò che scor-re al di fuori di quell’edificio. Ebbene sì, così come la mamma e il papà, anche l’insegnante è prima di tutto un educatore, in quella fase in cui i nostri gio-vani possono facilmente smarrirsi o non sapere da che parte stare.Il progetto che la Cooperativa VERSOPROBO ha portato avanti con la Cooperativa INTRECCI è partito tutto dall’idea, innovativa, di F. Amato, una prof. che tanto rispecchia il ritratto di “educatrice”.Per far comprendere al meglio il fenomeno del-

le migrazioni, la prof. ha pensato dar voce a due gruppi che con le migrazioni ci lavorano giorno dopo giorno e di certo avrebbero potuto trasferire alle giovani menti adolescenti concetti e aspetti dif-ficilmente riportati su libri.Le due cooperative hanno collaborato alla creazio-ne di un progetto che suscitasse delle riflessioni e sviluppasse un senso critico su uno dei temi più caldi del periodo e, sulla base delle frasi conclusive scritte anonimamente sui post-it, pare ci siano ri-uscite.Il progetto ha avuto luogo i giorni 9 e 10 aprile: dopo un’introduzione, gli alunni sono stati coin-volti in un gioco di ruolo in cui hanno dovuto mettersi nei panni del migrante nelle varie fasi che vanno dalla decisione di lasciare il Paese natio fino al passaggio della frontiera e la compilazione di C3 in lingua straniera. Sono state poi proiettate due videotestimonianze di richiedenti asilo ospitati nelle strutture di Besnate e Samarate che sono l’emblema della perfetta inte-grazione, essendo riusciti a raggiungere una certa autonomia linguistica e anche economica, visto che hanno trovato un’occupazione. Nella loro intervista hanno parlato del loro trava-gliato percorso che li ha portati fino a questo punto,

dai drammi della Libia al triste ricordo di un figlio rimasto in patria a cui gli si insegna, via Whatsapp, che “in Italia si dice CIAO”.Al progetto erano presenti il Direttore della Co-operativa Versoprobo Claudio Berlini, il respon-sabile di area Michele Bolco, la coordinatrice dei CAS di Samarate e Besnate Silvia Portesan e l’ope-ratrice Antonella Lenge, mentre per la Cooperativa Intrecci hanno condotto egregiamente l’incontro Federica Di Donato e Andrea Martinoli.I ragazzi sono stati fortemente impressionati so-prattutto dal gioco di ruolo e, in occasione della si-mulazione della compilazione del C3, hanno libe-rato la loro curiosità facendo domande finalizzate proprio alla comprensione di questo fenomeno.Gli stessi ragazzi, dopo questa esperienza, guarde-ranno certamente con occhi diversi i richiedenti asilo presenti sul loro territorio e quando ascolte-ranno qualche notizia tragica al TG si sentiranno inevitabilmente coinvolti.Ecco, quando si dice che l’educazione passa anche dalla scuola si pensa proprio a questo…

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Ancora bombe sulla Siria. Al termine della Se-conda guerra Mondiale, al termine di un ge-nocidio, al termine di quella che probabilmen-te potremmo definire la stagione più buia della nostra storia, sono state decise, scritte e sotto-scritte decine di pagine intrise di rispetto per l’umanità, la vita umana e la dignità dell’essere umano. E’ stata disegnata una linea di confi-ne oltre la quale non si potesse assolutamente andare, oltre la quale il biasimo generale di-ventasse insopportabile. Eppure siamo ancora oggi qui a parlare di bombe. Di armi chimiche, di nucleare. E’ diventato decisamente troppo semplice aggirare il biasimo generale di faccia-ta scaricando la colpa della violenza ad altri, a fattori esterni, a cause di forza maggiore. Inol-tre, tramite le agenzie di Intelligence, è sempre più facile fabbricare prove a proprio favore o a discapito di altri, senza che nessuno venga mai a saperlo, protetti dal Segreto di Stato. Questo è il meccanismo attraverso cui la vita umana torna a perdere valore, sotto l’occhio disinteressato dell’Occidente civilizzato. Diventa sforzo superfluo ricercare le cause di un attacco qualsiasi nel mondo: è davvero uti-le conoscere perché determinati obiettivi civili o militari vengono colpiti? E’ ancora utile di-stinguere tra obiettivi militari o civili? Analizzando alcuni dei recenti fatti di guerra, pare evidente come alcuni concetti ormai di uso comune, come “Esportazione della demo-crazia” o “Attacchi preventivi” o ancora “Ri-sposte commisurate”, siano chiari pretesti per altro. Credo che chiunque possa con certezza affermare che per ristabilire la pace non ser-vono i missili, ma la distruzione dei missili. Allo stesso modo per esportare democrazia non servono armi, ma cultura democratica, costruita in decenni di dibattiti ed esperienze. E’ chiaro, allo stesso modo, che ogni Governo o raggruppamento di Governi debba prendere atto di un limite oltre il quale non ci si possa spingere per ottenere la pace. Veniamo quindi alla Siria. Da circa 7 anni si protrae in Siria una guerra civile, che civile ormai non è più. Prende for-ma dalla morte del Presidente Hāfiz al-Asad

nel 2000, a cui succedette per designazione di-retta il figlio Baššār al-Asad. Anno dopo anno Baššār ha dovuto affrontare pressanti difficol-tà e crescenti manifestazioni di rivolta, pun-tualmente sedate con la forza e con centinaia di morti, bilanciate da promesse di maggiore libertà e riforme progressiste, pressoché mai rispettate. Durante la “Primavera araba” nel 2011 la tensione sale drasticamente, i ribelli crescono in numero e si forma l’Esercito Siria-no Libero(ESL), in contrapposizione all’eserci-to regolare. Da questo momento in poi si con-sidera la Siria chiara zona di guerra e da questo momento le forze internazionali cominciano a

schierarsi, evidentemente in nome di un bene superiore non meglio specificato. Sembra che si contrappongano due scuole di pensiero, dietro alle quali stanno le reali e sconosciute motivazioni degli schieramenti in atto: da un lato l’occidente si schiera contro l’utilizzo di particolari armi(chimiche) che superano una “linea rossa”, un limite sfocato di violenza ol-tre il quale non si può andare, pena l’interven-to armato e sanzioni internazionali; dall’altro chi sostiene esplicitamente il Governo di Asad contro i ribelli, considerati esponenti del terro-rismo internazionale. Si torna ad un equilibrio malfermo emerso nel secondo dopoguerra tra Stati Uniti e il blocco occidentale da una par-

te, e la Russia supportata da parte del Medio Oriente da un’altra. Con chi schierarsi dunque è davvero comples-so: meglio chi si schiera contro le armi chimi-che o chi si schiera contro i terroristi? Naturale che ciò che avviene alle luci soffuse dei Palazzi di Governo rimane là, classificato, criptato, segreto insomma. Affascinanti stra-tegie vengono accuratamente studiate e messe in atto, questa la politica, tutto naturale. Come è naturale che il cittadino medio del mondo non possa arrivare a logiche così generali, on-nicomprensive, ragione per cui deleghiamo periodicamente qualcuno a portare avanti

questo lavoro di massima responsabilità. Ma quando il mondo sembra tornare alle so-glie di una guerra totale forse sarebbe il caso di coinvolgere chi ne subirebbe le conseguenze effettive e lasciarli scegliere: sfido a pensare alla cittadinanza mondiale, che intenta a decidere se sia meglio guerra o pace, scelga la guerra. Il Rasoio di Occam ci ricorda come il più delle volte la risposta più sensata anche alla doman-da più complessa è quella più scontata. Guerra o Pace dunque?

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Attualità

di Federico Bodo

Versoprobo, cooperativa sociale operante nel settore dell’accoglienza di cittadini stranieri richiedenti asilo politico e protezione internazionale,

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Siria: un terzo conflitto mondiale nascosto nel nome di attacchi preventivi

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vivo. Realizzato, appunto, perché sei ‘reale’ solo se dai vita a ciò che sei veramente. Arrivo – conclu-de – da un’intera generazione di artisti: abbiamo parenti cantanti, musicisti, costruttori. Credo che crescere in una parentela di questo genere mi ab-bia permesso di ampliare la convinzione di poter trasformare l’arte nel mio lavoro e non solo nella mia passione: non tutti hanno questa fortuna, per questo è importante aiutare bambini e ragazzi a coltivare ciò che amano».È possibile vedere le illustrazioni e le creazioni – borse, accessori e t shirt – di Alex Gavazza sul sito www.fritlex.com; prossimo appuntamento con l’artista sarà sabato 21 aprile in cui esporrà i suoi quadri e i suoi accessori in una mostra a Ghemme (NO) in Spazio E. Per info: 349-2388155

Attualità

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Intervista

Immigrazione: lo spettro del terrorismo nel mondo dell’accoglienzaUna delle grandi paure nei confronti di im-migrati e rifugiati riguarda il rapporto tra immigrazione islamica e terrorismo. Su questo piano, la comparsa sulla scena poli-tica dell’islamismo radicale e la data emble-matica dell’11 settembre 2001 hanno segnato se non uno spartiacque, di certo l’innesco di un’escalation nelle restrizioni, che gli attenta-ti prima di Madrid e Londra, più di recente di Parigi, Bruxelles, Nizza, Berlino, Barcel-lona, hanno esacerbato. Solo due attentatori però erano passati attraverso la Siria; soltan-to Amri, l’attentatore di Berlino, era entrato in Europa come richiedente asilo. Merita un approfondimento l’identità socia-le dei responsabili degli attacchi terroristici. Come osserva Olivier Roy, uno dei maggiori studiosi del fenomeno, non si tratta di una radicalizzazione dell’Islam, ma piuttosto di un’islamizzazione del radicalismo. Alcune frange del mondo giovanile un tempo trova-vano in qualche versione estrema dell’ideo-logia marxista o di quella fascista il quadro ideologico che giustificava la loro avversione per l’ordine costituito, il desiderio di rifare il mondo dalle fondamenta, il rifiuto per forme di lotta politica tradizionali che apparivano inefficaci, la ricerca di una missione catartica che desse uno scopo alle loro vite. Forse an-che la risposta alla loro personale infelicità, o l’espressione della loro rivolta contro i padri. Ora questa cornice ideologica viene trova-

ta in interpretazioni semplificate e violente della religione islamica. Sovente si tratta di giovani cresciuti in famiglie fragili, sfasciate, spesso non religiose, in periferie povere del-le ricche metropoli europee. Parecchi si sono convertiti al radicalismo islamista in carcere, dove erano finiti per reati comuni. La radica-lizzazione ha rappresentato l’alternativa alla disperazione, la cellula estremista il surroga-to della famiglia, la lotta armata per purifica-re un mondo irrimediabilmente corrotto lo scopo a cui votarsi, l’ideologia del martirio il propellente della loro nuova vita, nettamen-te scissa da quella precedente. La radicaliz-zazione passa più spesso attraverso internet che nelle moschee, e quando avviene attra-verso l’incontro con un predicatore si tratta perlopiù di un imam non riconosciuto. Roy parla di “individualismo forsennato” e di iso-lamento rispetto alle comunità musulmane. Spesso poi si tratta di coppie di fratelli, in cui la radicalizzazione passa attraverso circoli molto stretti, la dimensione generazionale, la rottura con i genitori e il ristabilimento di legami affettivi molto chiusi. L’arruolamento nell’ISIS e l’addestramento sui fronti di guerra può essere un passaggio in cui si rafforza la radicalizzazione, ma non necessariamente. Il punto è che si tratta qua-si sempre di giovani provenienti dall’Euro-pa, cresciuti in Europa, che (eventualmente) tornano in Europa e decidono di colpire in

Europa. Ci si può domandare se una risposta ade-guata a questo drammatico fenomeno possa essere la criminalizzazione dell’Islam nel suo complesso, l’esclusione sociale dei musulma-ni, o il rifiuto di accogliere i profughi. Accet-tare lo schema del conflitto di civiltà, indivi-duare come nemici i praticanti musulmani, spingere verso il sommerso i luoghi di culto e le aggregazioni islamiche, sarebbe offrire ai terroristi il regalo a cui aspirano: una di-visione manichea del mondo tra due campi internamente omogenei e radicalmente con-trapposti. L’alternativa possibile è certo impegnativa. È la strada del dialogo culturale e religioso, della promozione di un islam moderato e dialogante, della formazione sul territorio di responsabili religiosi preparati, consapevoli dei valori e delle sfide della modernità, capa-ci di svolgere compiti di mediazione con le società riceventi. Se le comunità musulmane diventeranno più capaci di accompagnare i giovani nel loro cammino di integrazione, di seguire le persone più fragili, di individuare ed emarginare chi parla di violenza e la giu-stifica sul piano religioso, tutta la società ri-cevente ne trarrà vantaggio.

di Maurizio Ambrosini

di Sabrina Falanga

Alex, l’artista che dà nuova vita alle camere d’ariaDi cosa sia di per sé l’arte se ne potrebbe parlare per ore. Semplicemente perché l’arte è uno strumento con una capacità di adattabilità infinita: è, infatti, un mezzo che si modella a immagine e somiglian-za di chi decide di utilizzarlo. Il fine, quindi, non esiste: o, per lo meno, non ne esiste uno preimpo-stato. Ogni volta che un individuo decide di fare dell’arte il proprio canale di espressione, si compie la realizzazione: un artista si dice infatti “realizza-to” se riesce a mettere in pratica la sua passione. Ma, in questi casi, realizzato non è sinonimo di “arrivato, compiuto”. È sinonimo di esistente: per-ché un artista si sente tale, quindi reale, solo attra-verso la sua creatività.Cosa sia per Alex l’arte ce lo dice direttamente lui: «Per me è stata una forma di rivalsa. È stato lo strumento grazie al quale sono uscito dall’emargi-nazione e sono diventato ciò che, da sempre, sento di essere».Alex Gavazza, 33 anni, è titolare di Fritlex, azien-da che produce borse e accessori in maniera total-mente artigianale dal primo all’ultimo passaggio: lui, la sua mamma e la sua collaboratrice trattano i materiali da utilizzare con le tecniche sartoriali “di una volta”, trasformando ad esempio la camera d’aria in un pezzo unico, originale, utilizzabile ed eticamente corretto poiché interamente vegan. Il valore aggiunto sono le illustrazioni presenti sugli accessori: sono, infatti, immagini che Alex disegna personalmente e che trasferisce poi sulle sue crea-zioni.«Dal disegno al pongo ai lego: quando ero bam-bino, ero molto legato a queste tipologie di gioco perché mi permettevano di creare, di dare vita a qualcosa di sempre nuovo, ogni volta diverso. Sono sempre stato una persona eclettica, anche durante la mia infanzia e la mia adolescenza: ho passato

periodi in cui ho sentito la sofferenza della ‘diver-sità’, dell’emarginazione: è in questo senso che l’arte mi ha salvato». Il bimbo Alex prendeva spunti dal-le fiabe, dalle favole. Amava la Disney e ammirava Tim Burton, in particolar modo di quest’ultimo la parte più macabra e horror. Prendeva spunto dalle storie fantastiche e immaginarie che ognuno di noi si sente da raccontare da piccolo: «Ammettiamolo: a volte il mondo può apparire brutto e noioso. Le fiabe ti danno la possibilità di credere in qualcosa di straordinario, di avere una visione delle cose più bella. Inoltre, aiutano un bambino a sviluppare il dono della fantasia e la capacità di immaginazio-ne. Elementi che danno poi vita alla creatività. Ho sempre avuto una visione onirica dell’universo: questo ti permette di avere prospettive diverse da cui guardare la vita».Fritlex nasce nell’ottobre del 2010, «perché i lavo-ri svolti fino a poco prima non mi soddisfacevano più. Avevo bisogno di creare, realizzare. Di dare vita alle forme che avevo dentro e di farlo in ma-niera coerente a quello che sono: anticonformista, poco legato ai dettami della moda e fautore della personalizzazione del proprio stile e del proprio modo di essere. È infatti a persone simili a me che si dedica il mio prodotto: a chi ha voglia di distin-guersi, di uscire dagli schemi. Seguire le proprie passioni e trasformare ciò che si ama nella pro-pria quotidianità e nel proprio lavoro – continua Alex – è già una coraggiosa scelta anticonformista. Il panorama economico, sociale e commerciale in cui viviamo non è semplice. Anzi, il più delle vol-te ostacola la nascita di imprese, di aziende e non è sempre adatto alla creatività ma legato, piutto-sto, al concetto di omologazione. Credo, però, che non sia impossibile farlo: anzi, per chi ha una pas-sione forte come la mia è necessario per sentirsi

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incantevole, infatti, è che risulta impossibile passeg-giare da soli sul bagnasciuga; i beach boys, pur non avendo cattive intenzioni, non si staccano mai dai visitatori e li seguono senza sosta. Ci affidiamo a uno di loro, Cesare, e approfittando della bassa marea percorriamo un tratto di spiaggia che normalmen-

te sarebbe stato sommerso. Il ragazzo ci spiega che quando il mare si ritira si formano delle piscinette naturali dentro le quali rimangono intrappolati pe-sci di ogni tipo, granchi e murene. Cesare ci mostra cetrioli di mare, ricci e stelle marine e ci racconta che può persino capitare di avvistare squali e delfini. La cosa che più mi impressiona è il contrasto tra il colore latteo della spiaggia e il celeste del mare. L’ac-qua è cristallina e la sabbia finissima: praticamente un paradiso! Alla fine della breve escursione deci-diamo di acquistare dal nostro beach boy una tar-ghetta in legno con incisi i nostri nomi e la parola jambo, che in lingua locale significa ciao. Vogliamo avere un souvenir di questa vacanza meravigliosa, ma soprattutto siamo contenti di aiutare Cesare, che con noi si è dimostrato davvero gentile e disponi-bile. Purtroppo la nostra vacanza è già quasi giun-ta al termine. Gli ultimi giorni li trascorriamo tra bagni in piscina, tazze di tè keniota sorseggiate in riva al mare e cene sulla spiaggia. Questa terra dai tramonti infuocati rimarrà per sempre impressa nel mio cuore, perché il Kenya non è un viaggio, ma un’esperienza.

Hakuna matata!

Diario di bordo: Kenia

di Samantha Betti

Kenya, 1 gennaio 2017. Io, il mio compagno e sua madre ci troviamo nel bel mezzo della savana e ab-biamo trascorso l’ultimo giorno del 2016 alla ricer-ca di animali selvatici. Il parco in cui ci troviamo si chiama Tsavo e raggiunge i 21 mila chilometri qua-drati, perciò è grande circa quanto l’Emilia Roma-gna. Dopo una notte passata in un lussuoso lodge, rigorosamente con le finestre chiuse per impedire alle scimmie di derubarci, ci svegliamo alle 5 e ri-prendiamo il safari. Siamo più addormentati della Bella nel bosco, ma tra uno sbadiglio e una stirac-chiata scorgiamo alcuni esemplari di giraffe, faco-ceri, zebre e impala. La savana è speciale perché i turisti, sempre chiassosi e rumorosi, esplorandola ammutoliscono: sentendosi estranei si comporta-no come ospiti garbati ed evitano di far percepire la loro presenza. Dopo qualche ora di “caccia”, senten-do la fame appropinquarsi, ci avviamo verso l’uscita del parco naturale. Mano a mano che ci spostiamo, i toni del paesaggio attorno a noi diventano sempre più caldi; i verdeggianti arbusti lasciano il posto alle piante secche, alla terra brulla e ad enormi formicai. Dopo qualche ora usciamo dal parco, attraversiamo un piccolo villaggio ed incrociamo un gruppetto di bambini, che ci salutano con la mano. Cento metri più avanti siamo costretti ad inchiodare perché un ghepardo, uno degli animali più rari e difficili da av-vistare, attraversa di corsa la strada dinnanzi a noi. Siamo preoccupatissimi per i bambini appena in-contrati, ma la nostra guida ci dice di stare tranquil-li; per gli abitanti di questi luoghi quanto appena accaduto è all’ordine del giorno. Siamo comunque stati molto fortunati, vedere un ghepardo così da vi-

cino e soprattutto fuori dalla riserva naturale non è una cosa che capita a tutti.Quando finalmente arriviamo sani, salvi e impol-

verati al nostro resort, ringraziamo la guida e come prima cosa ci lanciamo in piscina. Siamo appena tornati, ma stiamo già pianificando i prossimi ed ultimi giorni di permanenza in terra keniota. Il giorno successivo, approfittando dei 28 gradi co-stanti, lo dedichiamo ad un’attività indiscutibilmen-

te spossante: prendere il sole in riva al mare. Alla fine della giornata, infatti, sembriamo aragoste dalla saturazione esageratamente aumentata. La mattina seguente, quella del 3 gennaio, passeggiando sulla spiaggia incontriamo un gruppo di beach boys e no, non sto parlando della band rock californiana, bensì di ragazzi del luogo che scortano i turisti cercando di vendere loro qualcosa. Alcuni di questi giovani si propongono come guide ed offrono escursioni a basso prezzo, altri vendono souvenirs africani come kanga (teli di cotone variopinti), sandali e scultu-re in legno. Mentre alcuni di questi commercianti

espongono le loro merci lungo la spiaggia, gli altri tallonano i turisti finché non riescono a guadagnare qualcosa. L’unico aspetto negativo di questo luogo

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Rubrica

Rubrica

e non è poi così tanto underground, infatti i triangoli amorosi hanno molto di spagno-lo. Tra Rapinatori, Polizia e Ostaggi ci sono sempre personaggi e storie personali ben co-struite. Insomma provate a darci un occhio e ditemi. Vi avviso che la seconda stagione è uscita su Netfix da poco, e si parta di una terza per l’anno prossimo!

Voto: 6

Personaggio interessante: spicca tra tutti il capo dei rapinatori, Berlino.

Una serie a settimana: La casa di cartaE’ primavera. Le giornate si allungano. Il sole, gli alberi fioriti. I giubbotti pesanti ri-tornano nell’armadio e le serate le passiamo all’area aperta. Si avrà sempre meno voglia di passare tempo davanti ad uno schermo, alla fine di una giornata di lavoro. Nonostante questo continuiamo a spulciare qualche se-rie interessante. Parliamo oggi di “La Casa di Carta”. L’ho sempre evitato ogni volta che mi compariva la locandina davanti. Vi dico subito che è spagnola, nonostante i toni scu-ri underground. Di spagnolo forse ha solo i dialoghi, un po’ tanto fumo e niente arrosto. Per la trama e la regia sembra più un prodot-to americano, quindi un buon prodotto per Netfix. Una rapina alla Zecca di Stato di Ma-drid, un piano perfetto sulla carta ma che va a rotoli già alla prima puntata, da lì continui colpi di scena. I flashback aiutano il ritmo,

di Sara Brasacchio

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Politica

Gnocchi al forno con asparagi e taleggio

“Ridi, ridi che la mamma ha fatto gli gnocchi!”. Una frase che ha radici in tempi lontani di povertà, quando un piat-to di gnocchi messo in tavola nel giorno della festa, rap-presentava un momento di grande gioia per tutta la fami-glia. Oggi festeggiamo anche noi preparando gli gnocchi al forno con asparagi e taleggio.

Gnocchi al forno con asparagi e taleggio

Ingredienti per 4 persone:

500gr di gnocchi freschi

300gr di punte di asparagi

200gr di taleggio

Un bicchiere di latte

50gr di formaggio grattugiato

Burro, sale e pepe q.b.

di Chiara Bellardone

Rubrica

Governo: Mattarella “passa la palla” alla neo eletta presidente del Senato Casellati

Ecco arrivato il primo step di Governo. Il Capo dello Stato ha deciso di affidare l’in-carico esplorativo allo scopo di formare un Governo alla neoeletta Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casella-ti. A lei dunque il compito di esplorare le possibilità di avere una maggioranza di Governo, con la speranza che le sue accertate doti di mediazione tra le par-ti. Passerà dunque alcuni giorni, fino a venerdì, a discutere con i leader e i por-tavoce delle maggiori forze politiche de-lineando le possibilità, che descriviamo di seguito.Nulla di nuovo in realtà: l’ipotesi anco-ra più verosimile è un mandato al Cen-trodestra in accordo con il Movimento 5 Stelle, magari guidato da una figura esterna; nel frattempo lo stesso Movi-mento tiene le porte, o i forni aperti, al PD e alla Lega, escludendo l’ipotesi di un coinvolgimento di Silvio Berlusconi in un’ipotesi di Governo; infine è sugge-stiva l’ipotesi di un accordo tra Centro-destra e Pd, considerato che la Presiden-te Casellati è chiara espressione di Forza Italia, forza che ha da subito espresso la possibilità di accordarsi con il Parti-to Democratico per la formazione di un Governo stabile. Continua nel frattempo naturalmente il teatrino tra Di Maio e Salvini, che ten-gono i forni aperti a tempo tra loro per

possibili accordi ma pongono e tolgono veti con costanza e dedizione. Probabilmente, se il tentativo di Ma-ria Elisabetta Alberti Casellati andasse a vuoto, il prossimo tentativo dovreb-be farlo Roberto Fico, come terza cari-ca dello Stato. Nulla toglie, tra le varie opzioni che gli stessi Casellati o Fico ri-escano a farsi dare mandato diretto per formare un Governo presieduto da loro. Infine un’altra ipotesi potrebbe risulta-re un incarico esplorativo a Giancarlo Giorgetti, ottimo mediatore tra tutte le parti.A noi tocca solo sederci, aprire una bir-ra ghiacciata, cucinare due pop corn, e guardare gli sforzi dei nostri delegati nella definizione del nostro futuro.

di Federico Bodo

Fitness, imprenditoria, famiglia, solidarietà: il comun denominatore? Bni, la più grande organizzazione di marketing referenziale al mondo. Sono stati ben 150 gli iscritti di Business Network International che, lo scorso sabato, hanno preso parte a “Running for Business Voices”, camminata non competitiva per le vie di Saluzzo tenutasi nell’ambito di Eviso Go, evento organizzato dall’omonima società di Saluzzo. Duplice lo scopo della corsa enogastronomica: trascorrere una giornata all’insegna dell’amicizia e fare del bene. Promotore dell’iniziativa il capitolo (questo il nome dei gruppi di lavoro Bni – ndr) Visol di Saluzzo presieduto da Antonio Brunetti: “E’ stato bello vedere tanti colleghi partecipare a questo progetto che rappre-senta il nostro modo di restituire qualcosa al territorio che ci ospita – rivela l’avvocato saluzzese – Compagni di lavoro, ma anche di vita che ci hanno permesso di raccogliere 750 euro che saranno donati alla scuola media di Saluzzo, in accordo con l’Istituto Comprensivo che la dirige, per l’acquisto di attrezzature sportive. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che i ragazzi di oggi sono gli imprenditori di domani. Ed è proprio su questa filosofia che si basa il movimento di Bni Business Voices”. Non solo Saluzzo. Sabato hanno risposto “presente” indossando la pettorina esponenti di Bni di Asti, Savigliano, Alba, Racconigi e persino Imperia tutti accompagnati dai loro famigliari tra cui moltissimi bambini. “Ringraziamo Eviso per averci dato questa opportunità – chiosa Brunetti – vedere tanto entusiasmo e partecipa-zione attorno all’evento ha generato positività in tutti noi”. Fondata in Cali-fornia nel 1985 da Ivan Misner, BNI si pone come obiettivo quello di aiutare i membri che ne fanno parte ad aumentare il proprio business tramite un programma basato sul passaparola al fine di relazionarli con imprenditori e professionisti . Sposando la filosofia del Givers Gain (chi dà, riceve), la so-cietà rappresenta una vera e propria miniera di idee, contatti e soprattutto referenze di business, unica merce scambiata gratuitamente tra i vari gruppi denominati “ capitoli”, all”interno di ciascuno dei quali viene ammesso, previo versamento di una quota di iscrizione, un solo rappresentante per ca-tegoria professionale o specializzazione, il tutto regolato da un codice etico e in un clima di entusiasmo e fiducia consolidato dalla partecipazione attiva ai meeting settimanali aperti anche alla presentazione di ospiti e potenziali nuovi iscritti.

L’imprenditoria “va di corsa”per aiutare la scuola

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Cuociamo a vapore le punte di asparagi (fig.1). Una volta pron-te, tagliamole in piccoli pezzi e passiamole in padella per qual-che minuto con una noce di bur-ro, sale e pepe, sfumando con mezzo bicchiere di vino bianco (fig.2). Intanto mettiamo gli gnocchi freschi crudi con qual-che ricciolo di burro, in un con-tenitore antiaderente adatto al forno (fig.3). Uniamo gli aspara-gi agli gnocchi (fig.4), e succes-sivamente il taleggio a cubetti (fig.5). Aggiungiamo un bicchie-re di latte nella teglia (fig.6), e inforniamo in forno statico a 180 gradi per 15 minuti circa. Trascorso il tempo gli gnoc-chi avranno assorbito il latte e saranno pronti. Sforniamoli e cospargiamoli con il formaggio grattugiato (fig.7). Rimettiamo in forno per qualche minuto fin-ché la superficie non sarà dorata (fig.8). Sforniamo e serviamo (fig.9).

Benvenuti al CentroNotte di sogni, di coppe e di campioni...“Notte di sogni, di coppe e di campioni”. Antonello Venditti cantava così prima che la Roma perdesse, all’Olimpico, la Coppa dei Campioni 1983/84 contro il Liverpool, ai ri-gori. Una tragedia per chi allora era bambino (ma non solo). Tanto più che l’urna rimette di fronte proprio i giallorossi e gli inglesi per le semifinali di Champions League (i tifo-si romanisti sono autorizzati a fare tutti gli scongiuri del caso).Roma e la Roma hanno avuto la loro nottata di sogni, di coppe, di campioni e di rimon-te contro il Barcellona: 3-0, a ribaltare l’1-4 del Camp Nou. Come se l’Italia avesse visto il Mondiale, vie, piazze e viali della capitale sono stati invasi da caroselli di auto. Il presi-dente, italo-americano, si è tuffato nella fon-tana. Eppure? Eppure la Roma non ha vinto ancora nulla. C’è la doppia sfida con il Li-verpool e, in caso di superamento del turno, la finale di Kiev. Ma a Roma funziona così, tanto più se arrivi a simili traguardi 34 anni dopo.Di tutto il Centro Italia, con Lazio e Fiorenti-na che talvolta hanno fatto fugaci apparizio-ni, è la Roma la portabandiera. Ecco perché ci viene da paragonarla alle grandi del Nord Italia, Juventus, Milan e Inter. Avete mai vi-sto qualcuno di questi tifosi fare il bagno in una fontana, nel Naviglio, nel Po, in uno sta-gno o in una pozzanghera per una semifina-

le europea raggiunta? Voi direte: bella for-za, il Milan in bacheca ne ha 7. Ecco, quindi sta il punto. Non sarà che lassù festeggiano soltanto i trofei e quaggiù, invece, anche (e troppo) pure i traguardi intermedi. Sì, per-ché pure in campionato capita. La Roma che vince 10 partite di seguito e viene accolta da una folla oceanica all’aeroporto: ricordate? Era il 2013, non tanto tempo fa.Poi quella Roma di Garcia non tenne il pas-so della Juventus. Mandando i tifosi – quel-li stessi dell’aeroporto – in depressione. Le montagne russe, a Roma e dintorni, sono comuni. Ci si esalta e si piange da un gior-no all’altro per il calcio. E questo impedisce, probabilmente, di vincere di più. La Roma ha conquistato tre scudetti in tutta la storia, Lazio e Fiorentina due a testa. In totale: 7. Come la Pro Vercelli.Va da sé che a Torino, per esempio, ci si ar-rabbi e si pianga per l’eliminazione con il Real Madrid per qualche ora, ma poi si lavo-ri di nuovo per tornare a vincere. E si riesce anche. Insomma, reazioni più contenute, ri-sultati migliori. Ma se andate in qualche ne-gozio di Roma, trovate ancora cianfrusaglie che ricordano la Roma di Liedholm. O quel-la di Capello. Tra loro, 20 anni di digiuno circa. Da Capello a oggi, altri 18 anni.Provate a fare lo stesso a Milano e a Tori-no: non troverete ricordi dei Triplete, della

Champions di Ancelotti o degli scudetti con-secutivi della Juventus. Si festeggia quando si vince, ma poi si torna a programmare. Voi direte: al Nord sono freddi, al Centro calo-rosi. Anche. Ma è meglio essere calorosi e sconfitti o freddi e vincenti? Meglio festeg-giare come se non ci fosse un domani o farlo sapendo che un domani c’è e possibilmente deve essere migliore o all’altezza dell’oggi?Riflettiamo tutti insieme. Un carosello in meno per una semifinale potrebbe valere Kiev. E poi chissà. Notte di coppe e di cam-pioni, senza sogni. O meglio, con un sogno che poi si concretizza. Scommetto che Ven-ditti sarebbe d’accordo.

di Alessandro Pignatelli

Rubrica

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Intervista

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Domani, Venerdì 20 aprile e Sabato 21 tornerà in scena a Roma MacBeth Rock Opera della compagnia Vega al Teatro Viganò. Musiche originali, un cast pre-paratissimo ed eterogeneo, tanto talento e passione: è così l’anima della “macchi-na da guerra” che muove questo spetta-colo ambizioso, suggestivo e dalle tinte fosche. Ho raggiunto Fabio Caliandro, autore di tutte le musiche dello spettacolo, per fare quattro chiacchiere e scoprire come una delle tragedie più classiche e belle di sempre, possa trasformarsi in un’opera rock. Come nasce il progetto Macbeth Rock Opera? 20 anni fa Fabio Caliandro, cioè il sot-toscritto - autore dell’opera - chitarrista e cantante, ha iniziato, un po’ fortuita-mente, la carriera di attore di prosa e come primo allestimento affrontò pro-prio Macbeth di Shakespeare. Il tema della stregoneria, l’ambizione, i perso-naggi così definiti da sembrare veri fino a toccarli, hanno smosso qualcosa dal punto di vista emotivo ed emozionale, al punto che ho imparato a memoria l’o-pera e ho cominciato a musicarne una o due scene.Negli anni ci sono state varie fasi di scrit-tura e stesura dell’opera, fino a quando ha visto fine l’ultimo pezzo. Era il 2015.Fabio - sempre il sottoscritto - fonda la Compagnia Vega nel 2000, con Alessia Ciccariello e negli anni vengono allestiti musical in ambito Rock, da Jesus Christ Superstar a Rocky Horror a Rent e Hair.Jesus Christ Superstar è sempre stato

portato in scena con i diritti garanti-ti dalla Really Useful Group di Andrew Lloyd Webber, fino al 2015, quando la produzione ufficiale del Sistina acqui-sta i diritti in pianta stabile per l’opera, che quindi non vengono più garantiti ad altre compagnie. E allora l’idea: se non posso lavorare alla Rock Opera di Web-ber, comincio a lavorare alla mia.Da lì è partita una macchina da guer-ra che va avanti inesorabile da circa tre anni.Perché proprio MacBeth? Perché è una storia Rock, con i temi so-pracitati, dalla stregoneria al sangue.Qual e’ il personaggio più rock di Macbeth?Da autore ho cercato di essere imparziale e magnanimo con tutti i personaggi, che sono un po’ come dei figli, li ami tutti e a tutti cerchi di dare lo stesso imprinting. Quelli più rock sono, probabilmente, Maeve e Macduff, oltre alle Tre Streghe.Quali sono state le fonti di ispira-zione musicale per creare quest’o-pera?Da autore ho cercato di rendere il tutto molto personale, ma le influenze ci sono e tante, soprattutto in ambito Grunge; le armonizzazioni degli Alice in Chains, le melodie e i salti funambolici della voce di Chris Cornell e poi i classici del Rock con cui sono nato e cresciuto, in primis i Pink Floyd e poi i Deep Purple, ma anche i Tool, Marilyn Manson, i Dream Thea-ter, cercando sempre di ricordarmi che è un musical atto a essere inscenato, quin-di anche una sbirciatina a Broadway e Webber sicuramente c’è stata.

Oltre a MacBeth Rock Opera, ave-te qualche altro progetto in pro-gramma?Come detto prima è una macchina che va avanti da tre anni e al momento siamo concentrati sul far diventare MacBeth Rock Opera un fenomeno che guadagni la ribalta che si merita. Abbiamo finito di incidere il disco, che dovrebbe uscire proprio per le repliche del 20 e 21 aprile, poi forse dei videoclip e chissà, magari il film dell’opera.E noi gli auguriamo che MacBeth Rock Opera possa avere il successo che meri-ta!

di Olivia Balzar

MacBeth Rock Opera: quando la tragedia diventa musical

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Music Pills a cura di Olivia Balzar

Music Pills e’ una rubrica settimanale di musica, curiosità e chiacchiere tra ami-ci, ovvero tra me e voi. In effetti di musi-ca e chiacchiere me ne intendo visto che ogni lunedì conduco una trasmissione su Radio Kaos Italy che si intitola Bad Medicine.Su Il Cosmo ho deciso di somministrarvi qualche pillola di rock, perché la musi-ca si sa, e’ la cura per tutto, basta assu-merla al massimo del volume. Tranquil-li, la ricetta ve la fornisco io! Per dire la vostra scrivetemi al [email protected] pubblicherò la domanda e la mia risposta.

Vi ricordate il film City of Angels? Ni-cholas Cage era un angelo col compito di vegliare sugli umani, ma rinunciava all’immortalità per amore di Meg Ryan. Era la fine degli anni ‘90, Meg Ryan era la fidanzata d’America, il film una gran-

dissima produzione hollywoodiana e la colonna sonora includeva mostri sacri come U2 e Alanis Morisette. Eppure tra questi nomi spuntò proprio quello dei Goo Goo Dolls, pressoché sconosciuti in Europa, ma con un pezzo fortissimo: Iris. Il videoclip era semplice, ma sugge-stivo, improntato sul cantante in cima a un grattacielo che osservava il mondo con un telescopio. Il successo fu mon-diale e il disco che conteneva il singolo “Dizzy Up the Girl” totalizzò più di 3 mi-lioni di copie vendute.Iris rimase per 17 settimane al primo po-sto e fece vendere più di 10 milioni di copie a “City of Angels Soundtrack”, il cd che conteneva la colonna sonora del film. In effetti, conosco almeno tre o quattro persone - me compresa - che sono stati al cinema a vedere il film attirati da qual pezzo. Solo da quel pezzo. In effetti a me il film non e’ piaciuto affatto, ma quella e’ un’altra storia. Canzone e band otten-nero così la nomination ai Grammy, ma quell’anno “My Heart Will Go On” sba-ragliò ogni concorrenza. Peccato, perché Iris un Grammy se lo sarebbe proprio meritato.Era il 1998. Sono passati vent’anni dall’uscita di “Dizzy Up the girl” eppure il disco suona sempre attuale e malin-conico, catchy ed energico, forse perché siamo cresciuti con gli anni ‘90 dentro o forse perché e’ uno dei dischi più bel-li di una band che meritava un successo ancora maggiore, forti di quelle melodie rock pop che piacciono quasi a tutti e a un songwriting davvero mai banale. Ol-

tre ad Iris furono estratti altri quattro singoli: Slide, Black Balloon (nominata ai Grammy Awards nel 2000), Dizzy e Broadway.Devo dire che il 1998 e’ stato un anno ricco di uscite interessanti e di pezzi che ancora ci ritroviamo a canticchiare nella mente.!come Iris. Ma come tanti altri.E voi? Qual e’ un pezzo di quel periodo che proprio non riuscite a dimenticare?Fatemelo sapere mandando una mail a questo indirizzo [email protected]

di Olivia Balzar

“Dizzy Up the Girl”, vent’anni dopo: l’album che ha fatto la storia dei Goo Goo Dolls

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Passioni, relazioni, progetti, bisogni: elementi che nascono dal cuore, un organo che se osiamo definire ‘vitale’ forse non è solo per ragioni scientifiche. ‘Mai contro cuore’, uno slogan che nasce dallo scrittore ita-liano Bisotti e che ne Il Cosmo rappresenta la rubrica di Sabrina Falanga in cui vengono raccontate le storie di chi ha deciso di seguire il cuore. Di seguire l’amo-re: sotto qualsiasi forma si voglia intendere. Sabrina raccoglierà queste testimonianze, per dare voce a tutti quei percorsi di vita che vogliono essere da esempio: se avete esperienze da raccontare o qualche storia da segnalare, scrivete a [email protected]

Ilaria è sempre un passo più avanti. Dire rispetto a cosa sembra presuntuoso, ma è la sua storia a te-stimoniarlo: rispetto alla vita stessa. Il coraggio di-mostrato - più volte - dinanzi alle battaglie dell’e-sistenza, di quelle che perderle non sarebbe un fallimento perché non sempre la voglia di farcela è sufficiente. C’è, però, un dettaglio che accomuna tutte le fatiche a cui possiamo essere sottoposti: la volontà di lottare, indipendentemente da quante chance di vittoria ci hanno dato. La volontà di lot-tare perché l’amore per ciò che non siamo disposti a perdere è immenso. L’amore per la vita in questo caso, contro in quale non è mai andata anche a co-sto di contrastare pareri medici e di sfidare il desti-no. Per non andare - come vuole raccontare questa rubrica - mai contro cuore.Ilaria Romaniello, 38 anni, si ferma spesso a guarda-re il cielo. In un particolare momento della giorna-ta: l’alba. Perché è proprio quello il tempo in cui il giorno rinasce, la natura si risveglia. Un ciclo che si ripete continuamente, che si ripropone nonostan-te il buio della notte, nonostante le tempeste che potrebbero esserci state. E Ilaria ha fatto la stessa cosa, nel suo percorso di vita: per tre volte lei si dice rinata, «perché per tre volte ho vissuto la leu-cemia, dalla quale sono sempre guarita. Rinascere, per me, significa aver avuto in dono la possibilità di assaporare sempre nuove gioie, nuove visioni e prospettive di vita diverse».

Nell’ascoltare la sua esperienza, viene quasi spon-taneo soffermarsi sul numero tre e proprio su tre particolari momenti - capaci di raccontare la forza d’animo che contraddistingue Ilaria - di cui è do-veroso rispettare la cronologia affinché delineino il percorso fatto dalla donna.La prima delle tre volte in cui Ilaria ha sfidato la sor-te è stata quando le diagnosticarono per la prima volta la leucemia: «Non aspettai che la chemiotera-pia agisse: mi rasai i capelli appena iniziate le cure, battendo sul tempo le reazioni dei medicinali». Ila-ria, a quei tempi, aveva però solamente 18 anni. E fu una delle prime ragazze tra i corridoi di quell’ospe-dale. Una scelta coraggiosa, quindi, la sua. Anche e soprattutto davanti ai giudizi di chi credeva che il viso segnato e la mancanza dei capelli fossero il simbolo di una tossicodipendenza e sussurrava che “se l’era andata a cercare”.Nonostante la guarigione, la malattia si ripresentò però dopo sei anni. Ed è qui che avvenne la seconda prova di coraggio messa inconsciamente in atto da Ilaria: di nuovo le cure, di nuovo i giorni trascorsi in ospedale, di nuovo la debolezza fisica, «ma io non mi arresi alle ripercussioni della leucemia e dei medi-cinali e andai anche contro il parere dei medici: mi consigliavano di stare a riposo, ma io non riuscivo a essere inattiva. Ero stanca, gonfia e debilitata a cau-sa delle terapie ma io volevo camminare, correre. E così facevo. Macinavo chilometri su chilometri di isolati». Contro il volere dei medici ma mai contro la sua stessa volontà. Ecco chi è Ilaria. È una donna che odia le lamentele, odia la negatività, che mal sopporta il malessere giovanile che porta ad auto-distruggersi con cattivi stili di vita, perché esistere è, per lei, «il regalo più grande e più importante che ci hanno dato da preservare». Affermazione che si allontana da ogni banalità filosofica se a dirlo è chi ha vinto tre volte una malattia così grave.Poi arriva la terza prova d’amore. La più grande, e ci si può permettere di dirlo senza temere di sminuire le altre. A causa delle cure durate lunghi anni e, in particolar modo, delle conseguenze da esse deriva-

te, Ilaria non sapeva se sarebbe mai potuta diventa-re mamma. Scuole di pensiero glielo sconsigliarono anche, tenendo conto della fragilità corporea a cui è esposta una persona con una trascorso di questo tipo alle spalle. Ma questa terza prova oggi ha un nome proprio: si chiama Edoardo e ha due anni. È il figlio che cresce insieme a suo marito Daniele ed è la prova definitiva di quanto si possa vincere se si decide di non andare mai contro cuore. Se si sce-glie, invece, di seguire l’istinto di ciò che desideria-mo essere, avere, fare.

«Il cuore di una mamma è il più potente e fragile al mondo», scrive sul suo profilo Facebook. Sulla po-tenza, non c’è nulla da aggiungere; sulla fragilità, forse, è bene sottolineare che in questo caso non sia sinonimo di debolezza ma di sensibilità di fronte alla parte più vera dell’esistenza, quella che a volte fa soffrire ma che, più di ogni altra cosa, ti rende umano.

di Sabrina Falanga

Mai contro cuoreIlaria, quando l’amore e il coraggio vincono sulla sorte

Rubrica

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Alimentazione, cure, consigli utili. E anco-ra: educazione, giochi, storie. Tutto ciò che riguarda uno dei mondi più belli: quello de-gli animali. Non sempre è facile capire cosa fare, come fare. Si pensa di sapere ma si ri-schia di sbagliare. È per questo che insieme a Katia - educa-trice dell’allevamento Oasi Luna Rossa di Villarboit - che curerà la rubrica “Qua la zampa”, scopriremo segreti e metodi per migliorare il rapporto con l’amico più fede-le che abbiamo: il nostro cane. Condividete con noi le vostre storie, scriveteci a [email protected]

È una storia d’amore quella di Biondo, un meticcio che proprio grazie all’amore umano è tornato a vivere serenamente e in sintonia con i suoi simili. Ed è, soprattutto, una sto-ria che insegna: perché ci racconta di quanto sbagli a volte l’uomo ad avere la presunzio-ne di sapere come sta, cosa pensa e di cosa necessita un cane anche prima di fermarsi a osservarlo.Biondo arriva all’Oasi Luna Rossa di Villar-boit (Vc) dopo un lungo periodo di esistenza per la strada. Si riparava sotto le automobili e non ci è dato sapere cosa abbia visto, sen-tito e vissuto. Ed è proprio qui che ci si deve soffermare: perché le cose che osservano gli occhi di un cane, non sempre sono le cose che osservano gli occhi di un uomo. Ecco perché non è possibile pretendere di conoscere la verità celata in fondo al cuore di un animale.Biondo, quindi, giunge in struttura per un

lavoro di riabilitazione alla quotidianità: at-traverso il lavoro costante e attento dei vo-lontari di Luna Rossa viene smentito subito quanto era stato detto nel momento in cui il meticcio è arrivato, cioè che fosse un cane abituato a stare in compagnia dei suoi simili proprio per il suo lungo trascorso in strada. Niente di più falso. Biondo quando arriva a Villarboit è infatti spaventato. Non appena incontra gli altri cani ospiti, ringhia. Non sa comunicare le sue esigenze, le sue difficoltà. È visibilmente preda di un disagio che va cu-rato. E c’è solo una terapia per questo tipo di sofferenze: l’amore, appunto. Un impegno perenne vede gli educatori della struttura seguire Biondo passo dopo passo, aiutarlo a rientrare in contatto con i suoi simili a cono-scere una nuova dimensione della vita. E ci si riesce: il quattrozampe inizia ad annusarsi intorno, a esplorare una realtà per lui scono-sciuta, a godere di piccoli piaceri di cui prima nemmeno sapeva l’esistenza come l’oppor-tunità di poter stare al caldo di una stufetta. E basta guardarlo, mentre inizia a capire che un altro tipo di vita è possibile: perché a lui, come a tutto il mondo animale, basta poco per mostrare di star assorbendo serenità.Oggi Biondo è stato adottato. Ma non solo. Oggi Biondo sa comunicare i suoi bisogni, sa interfacciarsi con i suoi compagni di gioco e di esperienze. È, molto più semplicemente, felice.Ma soprattutto, Biondo ci dà il grande inse-gnamento dell’umiltà: pretendere di cono-scere a priori le urgenze – fisiche ed emo-

zionali – di un cagnolino, significa porsi su un livello di conoscenza superiore che erro-neamente pensiamo di possedere. È neces-sario, piuttosto, soffermarsi a osservare, in silenzio, esattamente come fa un cane. Per-ché, come scritto su ‘Il Piccolo Principe’ (il famoso libro di Saint-Exupéry), “l’essenziale è invisibile agli occhi: non si vede bene che col cuore”.

Qua la zampaBiondo, il trovatello oggi adottato

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di Sabrina Falanga

D.V.

Rubrica

Belinelli: l’italiano delle meraviglie del basketBelinelli: l’italiano la spunta e fa meraviglie ai Playoff Nba. Marco Belinelli ancora una volta fa il suo e chiude con 16 punti in 30’ di gioco. Brett Brown, sempre privo di Em-biid inizia con Ilyasova in quintetto per pro-vare a sfruttare il mismatch con Whiteside. Dragic parte con il piede giusto e trova su-bito ritmo dal campo ma dopo pochi minu-ti deve tornare in panchina a causa dei suoi due falli. Philadelphia non riesce a fare male agli Heat dalla lunga distanza ma appena en-tra Beli la gara cambia. L’azzurro ha subito un grande impatto sul match, Philly con i punti di Belinelli (nove nel rimo quarto) e di Ilya-sova chiude in crescendo la prima frazione avanti di sette lunghezze. Tutto cambia in un secondo quarto da dimenticare però. I 76ers si mettono a litigare con il canestro, incappa-no in evitabilissimi turnover e vanno i tilt in attacco. La squadra della Florida scappa via, sfruttando i troppi errori dei 76ers, piazza un parziale di 20-2 e va al riposo avanti 56-46. Conclusione: Philadelphia – Miami 103-113. Il primo stop dopo le 17 vittorie del team del “Beli”. L’azzurro è arrivato ai playoff metten-do a referto quasi 16 punti di media nell’ul-timo mese, tirando con il 52.4% dal campo e il 43% dall’arco. Una macchina da canestri,

ben inserita nei meccanismi difensivi dei Si-xers che spesso nascondono le sue pecche a protezione del ferro. “Marco ha segnato dei canestri pazzeschi: è il miglior giocatore che abbia mai allenato nel realizzare punti tiran-do fuori equilibrio”. Queste le parole di stima di coach Brown. La sua capacità di tagliare, di leggere il gioco lontano dal pallone, unita a un talento fuori dal comune rendono Belinel-li molto interessante anche a 32 anni suonati e gli regalano un’altra serata da incorniciare.

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Sport

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Tiro al volo: gli azzurri pronti in fossa per il MondialeTiro al volo: gli Azzurri pronti in Fossa. Da questa domenica 22 aprile al 29 si terrà la seconda tappa della Coppa del Mondo di tiro al volo 2018 a Changwon, in Corea del Sud. Un passo in più verso il Mondia-le previsto per fine estate e Tokyo 2020. Su questa pedana si giocheranno le qua-lificazioni per i Giochi giapponesi. I com-ponenti della squadra azzurra di Fossa Olimpica, guidata dal Direttore Tecnico Albano Pera saranno Mauro De Filippis (Fiamme Oro) di Taranto, Valerio Grazini (Carabinieri) di Viterbo, Giovanni Pellie-lo (Fiamme Azzurre) di Vercelli, in gara nella classifica maschile e Alessia Iezzi (Carabinieri) di Manoppello (PE), Ales-sia Montanino (Fiamme Oro) di Palma Campania (NA) e Jessica Rossi (Fiamme Oro) di Crevalcore (BO) in ara in quella femminile. L’onore dell’apertura spette-rà proprio a queste ultime, in gara da do-menica 22 aprile con i primi 75 piattelli di qualifica. A seguire le gare del com-

parto maschile e quella del Mixed Team che impegneranno in pedane le coppie Iezzi-Grazini e Rossi-Pellielo. Da giovedì 26 aprile le pedane del Changwon Inter-national Shooting Range (CISR) saranno a completa disposizione degli speciali-sti di Skeet. La squadra azzurra di Ske-et, guidata dal Direttore Tecnico Andrea Benelli, lascerà l’Italia il 19 con Riccardo Filippelli (Esercito) di Pistoia, Emanuele Fuso (Esercito) di Spello (PG) e Gabriele Rossetti (Fiamme Oro) di Ponte Buggia-nese (PT) tra gli uomini e Diana Bacosi (Esercito) di Cetona (SI), Chiara Cainero (Carabinieri) di Cavalicco di Tavagnacco (UD) e Katiuscia Spada (Fiamme Oro) di Fabro (TR) tra le donne.

di Deborah Villarboito

di Deborah Villarboito

TaekwonDonna: quando le arti marziali parlano al femminilesi è tenuto “TaekwonDonna”, il primo con-vegno di Taekwondo al mondo interamente dedicato alle donne e alla loro fondamenta-le importanza per lo sviluppo e il progresso di questo sport. Durante la manifestazione, a cui hanno partecipato importanti persona-lità dello sport italiano, sono stati affrontati differenti argomenti quali la competizione agonistica, l’insegnamento e il coaching, at-traverso la storia, i principi e l’etica della di-sciplina sportiva del taekwondo. Fortemente voluto dal presidente Fita Angelo Cito, la ma-nifestazione è stata arricchita dalla presenza dell’attrice Claudia Gerini, cintura nera di taekwondo, allenata dal maestro Vito Toral-do, star F.I.T Parioli, ex atleta della nazionale italiana taekwondo e Campione del mondo. Sono intervenute anche Alessandra Sensini, Campionessa Olimpica di windsurf, Diana Bianchedi, oro olimpico nel fioretto a squa-dre, Rossana Ciuffetti, Responsabile della Scuola dello Sport Coni e Annamaria Marasi della commissione nazionale Atleti del Coni. Una delle relatrici del convegno è stata An-tonietta La Pietra, campionessa mondiale, pluricampionessa italiana ed europea, che ha

raccontato la sua esperienza come atleta di altissimo livello e oggi da coach internazio-nale. La stessa La Pietra ha tenuto un allena-mento per tutte le iscritte al convegno, cer-cando di trasmettere la propria esperienza di coach. Due giorni intensi ad Acqua Acetosa durante i quali sono stati affrontati differenti argomenti quali la competizione agonistica, l’insegnamento e il coaching, attraverso la storia, i principi e l’etica della disciplina. “Il taekwondo non fa distinzioni – sottolinea Nicoletta Marinosci, arbitro internaziona-le e coordinatrice del convegno - Non è solo uno sport, ma uno stile di vita: il nostro è un messaggio a 360° sull’uguaglianza. La Fita e il presidente federale Angelo Cito in prima persona hanno fortemente voluto questo convegno e il presidente del Coni Malagò è stato subito entusiasta di questo importante evento. La nostra intenzione non è solo esal-tare la figura della donna, ma testimoniare che nel nostro sport non esistono differenze di genere”

“TaekwonDonna”: due giorni interamente dedicati alle donne dell’arte marziale corea-na. Il 14 e 15 aprile 2018 al Centro Sportivo G. Onesti di via dell’Acqua Acetosa a Roma

Lo sport non fa differenze, allo sport non interessa la tua disabilità. Sarà questo il tema del convegno che si terrà domani, venerdì 20 aprile nella Sala Cripta della Basilica S. Andrea in via Galileo Ferra-ris 116, dalle 17.45. “Il vento che acca-rezza il volto, la velocità che elettrizza i sensi, l’adrenalina i muscoli, la voce che ti guida e indirizza le tue mosse, ci sono tanti modi per vedere, per gareg-giare, per partecipare. Il vero sport non perdona niente, per questo ti fa sentire forte. Chiunque tu sia la lotta è contro il cronometro, il fine è il raggiungimen-to della meta. Gli atleti paralimpici lo sanno: il vero sport è il superamento dei propri limiti”. con questo spirito l’A-sd Non Vedenti Torball Club Vercelli, in collaborazione con l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Vercelli, con il patrocinio del Comune di Vercelli, del Panathlon cittadino, della Federazione Italiana Sport Invernali Paraolimpici, del Comitato Paraolimpico del Piemon-te e dell’Università del Piemonte Orien-tale, ha organizzato per domani sera “Avventure delle Paralimpiadi da Tori-no a Pyeongchang e ritorno” a cui inter-verranno Claudio Arrigoni giornalista collaboratore della Gazzetta dello Sport e della Rai, Tiziana Nasi Presidente Na-zionale FISIP, Claudio Zannotti gioca-tore della squadra piemontese dei Tori Seduti di Para Ice Hockey.

Sport e disabilità se ne parla domani a Vercelli

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Film, mostre ed eventi da non perdere!Eventi

Film

Mostre

Eventi

Escobar - Il Fascino del male

è un film di genere biografico, drammatico del 2017, diretto da Fernando León de Aranoa, con Javier Bardem e Penélope Cruz. Uscita al cinema il 19 aprile 2018. Durata 123 minuti.

Il Tuttofare

è un film di genere commedia del 2018, diretto da Valerio Attanasio, con Sergio Castellitto e Guglielmo Poggi. Uscita al cinema il 19 aprile 2018. Durata 96 minuti.

Arte sperimentale: The Florence Experiment

Dal 19 aprile al 20 agosto, al Palazzo Strozzi di Firenze prende vita il progetto The Florence Experiment. Una struttura elicoidale di 20metri composta da due monumentali scivoli il acciaio e policarbonato. Ogni settimana 500 volontari affronteranno la discesa.

Al via il festival “Fotografia Europea”

Dal 20 aprile al 17 giugno Reggio Emilia sarà luogo di interessanti in-contri per gli amanti della fotografia. Oltre 30 mostre ufficiali e 300 del circuito off, spettacoli, conferenze e workshop per un totale di 70 even-ti in nove week end

Fiori&Sapori: florovivaismo ed enogastronomia alle porte di Torino

Sabato 21 e Domenica 22 Aprile, a Torre Pellice (TO) torna come ogni anno la mostra “Fiori e sapori”, manifestazione che propone menù eno-gastronomici e produzioni florovivaistiche in un contesto che abbia ma-gnificamente entrambi i mondi.

Mostra “La fine dello schiavismo”

Domenica 6 Maggio 2018, presso la chiesa di Verghera in via Giuseppe Mazzi-ni 11, Samarate (VA), si terrà a partire dalle ore 15 la mostra africana dove sa-ranno presenti quadri ed opere in tema. Mostra a cura di Malcolm Luntadila.

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