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l’INDICE

02 | PIERO MANZONI 1933 -1963di Rossella Digiacomo

05 | LUCIANO FABRO E IL DISEGNO di Domenico Iaracà

08 | GALLERIA DELL’ACCADEMIA DI VENEZIA: CARLO SARACENIdi Silvio Lacasella

10 | JULIO LARRAZ AZZURRO INTROSPETTIVOdi Michele Romano

12 | NELLE STANZE DI CALUSCA(L’INTERVISTA)di Ornella Fazzina

15 | UNA NUOVA GALLERIA A ROMASPAZIO AQUADROdi Giovanna Caterina de Feo

17 | PIETRO MARCHESE BESTIARIO CONTEMPORANEO di Ornella Fazzina

18 | GIOVANNI SOLDINI A VELE SPIEGATE di Davide Scandura

20 | IL RICONGIUNTO(CAPITOLO I)di Giuseppe Bella

22 | IL POTERE MORBIDO DEL CINEMAdi Antonio Casciaro

23 | IL IBRO

24 | I 3 CD

25 | COVER 13

26 | “RIG/RIGHT-DOWN” PERACIREWRITE DA NEWL’INKdi Rocco Giudice

30 | LIBRI IN FESTALA MAGIA DI RAGUSA Redazionale

33 | COME NASCE UNA STELLAdi Andrea Viscuso

36 | RIUSO COME OPPORTUNITàdi Paola Pennisi

37 | L’ARTISTA

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di Rossella Digiacomo

l’ARTE

Sono trascorsi poco più di cinquantaanni dalla morte di Piero Manzonie la sua opera è riconosciuta comeuna delle esperienze fondamentalidell’avanguardia del XX secolo. Lamostra, prodotta dal Comune di Mi-lano con Skira editore e nata in col-laborazione con la Fondazione Pie-ro Manzoni, ne ricostruisce la car-riera, seppur breve, in un percorsoche documenta con opere primarietutti gli aspetti della sua attività. Il percorso della mostra, curata daFlaminio Gualdoni e Rosalia Pa-squalino di Marineo a Palazzo Rea-le di Milano fino al 2 giugno, si aprecon tre capolavori di Piero Manzoninonché capisaldi della sua poetica:Linea di lunghezza infinita (1960), unatela della serie Achrome (1959 circa)e Merda d’artista n.53 (1961), l’operaindubbiamente più famosa dell’arti-sta, stereotipo per eccellenza, osan-nata e criticata. Opere che riassumo-no la parabola artistica, sviscerata trale sale con oltre 130 opere, del genialePiero Manzoni.Avanguardista e radicale, Manzoniviene raccontato a partire dagli esor-di nel 1956, quando debutta a Cre-mona con una serie di dipinti, tra cuiMilano et - Mitologia, caratterizzati daimpronte di oggetti ripetute sulla te-la e da immagini informi di ascenden-za propriamente surreale - in quel

periodo egli guarda all’arte nuclearedi Enrico Baj e allo spazialismo di Lu-cio Fontana. È un’operazione arti-stica che consente a Manzoni di in-dagare sullo stato dell’opera stessa,intesa esclusivamente come fruttodi una pulsione pura e spontanea, eche esiste in quanto presenza. Man-zoni stesso dice: Alludere, esprimere, rappresentaresono oggi problemi inesistenti, siache si tratti della rappresentazionedi un oggetto, di un fatto, di un’idea,di un fenomeno dinamico o no: unquadro vale solo in quanto è, esseretotale: non bisogna dir nulla: esseresoltanto.Partendo da questo presupposto pas-sa da quadri scuri fortemente mate-

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SEGUE gIN ALTO < Piero ManzoniAchrome | 1962 circapacco in carta da imballo, cm 60 x 80Fondazione Piero Manzoni, Milano(Foto Bruno Bani, Milano)

f Piero ManzoniLinea 7200 m | 1960inchiostro su carta, cilindro di zinco ricoperto da fogli di piombo, cm 66 x 96 (d )HEART Herning Museum of Contempo-rary Art, Herning (Danimarca)

A PAGINA 3 k Piero ManzoniAlfabeto | 1958inchiostro e caolino su tela, cm 25 x 18 Collezione privata

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IN SENSO ORARIO P Piero Manzoni

Corpo d’aria n. 28 | 1959-1960

scatola in legno, contenente palloncino in gomma, tubo per gonfiare e piedistallocm 4,8 x 42,7 x 12,4 Fondazione Piero Manzoni, Milano(Foto Giovanni Ricci/Annalisa Guidetti)

Piero Manzoni firma una modella trasformandola in Scultura vivente,durante le riprese per il filmgiornale S.E.D.I., Milano 1961

Uovo scultura n. 21 | 1960

uovo in scatola di legnocm 5,7 x 8,2 x 6,7Fondazione Piero Manzoni, Milano(Foto Bruno Bani, Milano)

balsamatori. In assenza dell’esperien-za fisica dell’opera, allo spettatore è ri-chiesto un atto di pura condivisione in-tellettuale; Manzoni pone il pubbli-co nella condizione di dover accoglie-re l’autorità dell’artista sul piano pret-tamente fiduciario: è un’opera d’arteperché è eseguita da un artista.Sul filo del paradosso e della rifles-sione critica sulle convenzioni, Man-zoni progetta Base magica e la suaestremizzazione: Socle du monde, pie-distalli incisi della firma dell’artistasui quali ciò che è retto diventa au-tomaticamente un’opera d’arte, dallapersona fino alla terra stessa. La sa-cralizzazione dell’artista, della suaidentità e anche del suo corpo è unodegli aspetti dell’artistico che fannopiù riflettere Manzoni.

PIERO MANZONI 1933 - 1963

PALAZZO REALE26 marzo | 26 giugno 2014Piazza Duomo, 12Milano

Mostra a cura diFlaminio GualdoniRosalia Pasqualino di Marineo

Catalogo Skira

Orario lunedì: 14.30 - 19.30mar, merc,ven, dom: 9.30 - 19.30giovedì e sabato: 9.30 - 22.30

INFO tel +39 02 88453314

+39 [email protected]@luciacrespi.it IN

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rici con impasti di olio, catrame, smal-to e oggetti, a quadri bianchi con ri-lievi plastici e ombre, con stesuregrumose di gesso spatolato che poidefinirà Achrome. Il quadro adesso,tende a farsi oggetto: presenza con-creta ma desolata e vuota.Questo concetto dell’essenziale è di-panato in maniera straordinaria nel-le Linee: un segno continuo d’in-chiostro è tracciato su un rotolo dicarta e conservato in un cilindro dicartone sigillato, di cui un’etichetta di-chiara il contenuto. Vincenzo Agnet-ti, storico compagno di Manzoni, di-ce: Di fronte a queste opere scompaionotutti i discorsi riguardanti la pittura, letransizioni e i cari ritorni: scontati sonoil fascino mnemonico delle cose celebratee la didascalia storica tanto cara agli im-

E così tra uova, impronte digitali eancora Achrome evolutisi in cotonee fibre sintetiche, il percorso dellamostra continua fino al capolavoroche lo ha reso celebre nel mondo: Mer-da d’artista. È l’estremo epilogo dellasua poetica: Manzoni si chiede chisia mai questo eroe che lui stesso sitrova ad incarnare: l’artista al qualebasta firmare qualcosa per renderloeccezionale, rivelatore, capace di tra-sformare pezzi di mondo come in unprocedimento alchemico.Ma in fondo Piero Manzoni volevadirci che essere artisti significa tra-sformare tutta la propria vita in arte,comprese le proprie scorie. Perchél’arte da sempre ci spinge a pensare,a riflettere, a meditare sulla nostracontemporaneità e sulla nostra ci-

viltà, anche dinanzi al capolavorodell’artista che altro non fece cheesporre le proprie feci.

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Fino al 4 maggio prossimo, il CIAC,Centro Italiano Arte Contempora-nea di Foligno, in Umbria, ospita lamostra Luciano Fabro, Disegno In-Opera. Sebbene le mostre dedicate aquest’esponente dell’Arte Povera nonsiano una novità, vista la sua lungacarriera e il suo prestigio internazio-nale, questa esposizione realizzatain collaborazione con il GAMeC diBergamo ha un taglio decisamenteinnovativo e non solo per il fatto dipresentare opere per lo più inedite,quanto piuttosto per l’aver selezio-nato prevalentemente disegni di que-st’artista noto soprattutto come scul-tore. Ciò potrebbe farci credere chei disegni siano schizzi preparatoridelle opere, ma la deduzione risulte-rebbe riduttiva nei confronti di unaproduzione varia ed articolata. I disegni possono infatti essere sud-divisi in più nuclei. Oltre a quelli pro-gettuali, preparatori di opere sculto-ree, ce ne sono altri concepiti già inpartenza come opere su carta. Esem-plare, in questo nucleo, il lavoro Ogniordine è contemporaneo ad ogni altro or-dine. Quattro modi di esaminare la facciatadel SS Redentore a Venezia (Palladio), del1972. In quest’opera Fabro esegue,per così dire, alcune variazioni sultema, se volessimo utilizzare unaespressione mutuata dal lessico mu-sicale. Sono variazioni della facciatadell’edificio approntate per valutarei rapporti tra le forme che lo com-pongono. Collegato contenutisticamente conquesto gruppo ce n’è un altro in cuile opere, indifferentemente su cartao su altri materiali, portano avantiuna riflessione incentrata non suquanto viene rappresentato ma sulrapporto tra quello che compare equello che manca nell’opera, tra ivuoti e i pieni e dove il ruolo princi-pale è costituito paradossalmente daquello che l’artista toglie e non daquello che lui apporta. Potrebbe stu-pire di trovare una didascalia che re-cita Foro su ritaglio di rivista, ma il ti-tolo Foro O 4 mm e la datazione al ‘68concorrono a dimostrarne l’esattez-za. Sono infatti gli anni in cui la co-munità artistica prova a rispondereai quesiti posti da Fontana con le sueopere. E sono appunto Fontana e

di Domenico Iaracà

f Luciano FabroL’alba | 1994acrilico e grafite su cartoncino, cm 78 x 54Collezione privata(Foto di Annalisa Guidetti e Giovanni Ricci, Milano)

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Manzoni le figure che l’artista citacome pietra di paragone per il suo la-voro negli anni immediatamente suc-cessivi al suo arrivo a Milano. La città di Milano ci introduce ad unaltro gruppo di disegni, quelli natidalla collaborazione con i membridella “Casa degli Artisti” che Fabrocontribuì a fondare nel 1979. Sonodisegni che riportano su carta loscambio di idee con i colleghi dei pri-mi anni, come Hidetoshi Nagasawa,o con quanti si sono aggiunti poi, co-me Arianna Giorgi. Il loro contenu-to spiega pure la provenienza di mol-ti dei disegni, qui esposti, dagli stu-di di questi stessi colleghi. Ma que-st’ultimi non sono i soli destinatari diqueste carte. Quale che ne sia il con-tenuto, un tratto che accomuna mol-te delle opere è il fatto di essere statedonate, ad amici e colleghi appunto,come riportato nelle dediche in calcealle carte. Non si tratta in realtà diopere nate da una ricorrenza, ma chedopo esser state meditate e prodottesono poi state regalate da quest’arti-sta che ha fatto della condivisione del-le proprie idee un punto fermo delsuo progetto artistico. Così comeun’occasione di mettere in pratica ilsuo ideale di condivisione è stata pu-re l’esperienza ventennale di docenteall’Accademia di Brera, dall’inizio de-gli ani ‘80 al 2002. Appartengono proprio agli anni diinsegnamento a Brera i testi delle le-zioni riportati nel catalogo, testi incui lo scultore docente dettava le re-gole per l’”Esercizio obbligatorio didisegno” a rimarcare la centralità chequesto svolgeva per lui e l’imprescin-dibiltà della conoscenza di questoaspetto da parte dei suoi alunni. A ribadire poi la centralità del temadello spazio e delle linee che lo per-corrono concorre pure Groma del 1984-1989, scultura che campeggia nel cen-tro del piano interrato del museo.L’opera, presentata al Castello di Ri-voli nell’ ‘89, ricostruisce significati-vamente lo strumento usato dagliantichi romani per segnare lo spaziofisico che li circondava, per tracciaresul terreno quelle linee di centuria-zione che ancora oggi, a millenni didistanza, scandiscono le campagnedi molte zone d’Italia. Nonostante la prevalenza numericadi opere su carta, la Groma non è lasola scultura presente all’interno del-la mostra. Ricordiamo pure Svizzeraportafogli del 2007 e, soprattutto, Com-puter, del 1990, opere in cui i sostegnitraforati delle scaffalature metallicheentrano a far parte dell’opera d’arte.

IN ALTO A DESTRA k Luciano FabroFanciulla, non accettare i miei fiori | 1992acrilico e grafite su carta, cm 40 x 30Collezione privata(Foto di Annalisa Guidetti e Giovanni Ricci, Milano)

g Luciano FabroLa molla della vita | 1992acrilico, matita colorata e grafite su carta,cm 49,5 x 69,5Collezione privata(Foto di Annalisa Guidetti e Giovanni Ricci, Milano)

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LUCIANO FABRODISEGNO IN-OPERA

CIAC - CENTRO ITALIANO ARTE CONTEMPORANEA15 febbraio | 4 maggio 2014Viale del campanile, 1306034 Foligno (PG)

Mostra a cura diGiacinto Di PietrantonioItalo TomassoniBruno Corà

Catalogo Silvana Editoriale

Orario venerdì /domenica: 10.00 - 13.00 | 15.30 - 19.00

INFO tel/fax +39 0742.357035mobile +39 [email protected] IN

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È vero che questi stessi elementi,come ricorda Di Pierantonio nel sag-gio introduttivo, li abbiamo incon-trati anche nelle opere di quel gran-de sperimentatore che è stato PinoPascali, dobbiamo però ricordare co-me lì fossero solo sostegni statici del-l’opera mentre qui ne sono parte cen-trale, costitutiva. Un esempio, que-sto, della grande innovazione ope-rata da questi artisti nella scelta deimateriali che, nel caso dei disegni diFabro, arriva all’uso della carta mil-limetrata o da pacchi, delle schede incartoncino delle biblioteche e addi-

IN ALTO h Luciano FabroMacchie di Rorschach | 1976acrilico su carta a mano, carta e inchiostro, assemblaggio, cm 56 x 76Collezione privata(Foto di Annalisa Guidetti e Giovanni Ricci, Milano)

IN BASSOl Luciano FabroNo titolo | 1962 (particolare)inchiostro di macchina per scrivere e grafite su marca da bollo e scheda in cartoncino, collage, cm 12,4 x 12,4Collezione privata(Foto di Annalisa Guidetti e Giovanni Ricci, Milano)

rittura alla carta oliata per alimenti. La mostra è priva di pannelli espli-cativi ma lascia alla voce dello stessoFabro il compito di guidare il visita-tore alla comprensione delle opereesposte e del suo percorso biograficoed artistico per mezzo di un film diGianpaolo Penco dedicato all’au-tore. Utilissimo per una buona frui-zione della mostra è pure il catalogoedito da Silvava Editoriale, volumericco di saggi critici, interventi di ar-tisti suoi amici e, come detto, il testodelle lezioni di Brera sul tema del di-segno. L’allestimento è poi curato e di

forte impatto. Riportiamo qui un soloesempio tra i molti possibili: la pre-sentazione dell’istallazione 1962 (Ha-bitat) del 1981. Si tratta di una serie dielementi aggettanti di ottone che siprotendono verso il visitatore da asti-celle di legno dorato. L’ambiente cheli ospita avvolge il fruitore della mo-stra non appena sceso al piano inter-rato del museo. Quest’istallazione di-venta così quasi un emblema di unamostra in cui la ricerca sullo spaziocondotta dall’artista non è testimo-niata solo dalle opere su carta ma èricreata pure intorno a noi visitatori.

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l’ARTE

di Silvio Lacasella

Con un percorso espositivo ridisegnato per l’occa-sione, la mostra di Carlo Saraceni, dopo la suaprima tappa romana, è ora giunta alle Gallerie del-l’Accademia di Venezia, città nella quale l’artistanacque nel 1579 e dove poi morì nel 1620. Non es-sendone mai stata tratteggiata in precedenza la fi-gura in modo approfondito, questo appuntamentodiviene prezioso, presentando una sessantina diopere, scelte con attenzione tra collezioni pubbli-che e private. Superati i lavori giovanili della prima sala, la ras-segna andrebbe vista proiettando nella mente Lamorte della Vergine di Caravaggio, oggi a Parigi, allepareti del Louvre. Un quadro intrasportabile, la cui

presenza avrebbe però fatto capire, più e meglio diqualsiasi sottolineatura critica, la complessa na-tura stilistica di un pittore che, dopo aver trascorsogli anni della formazione e della prima maturità interra veneta, è stato successivamente capace di af-fondare le sue radici più sensibili negli umori dellacapitale, sviluppando una singolarità di percorsooggi da tutti riconosciuta. La vicenda legata al celebre dipinto caravaggesco ènota, essendo entrata in forma letteraria all’internodella storia dell’arte: Laerzio Cherubini commis-sionò una grande tela al Merisi nel 1601 per la cap-pella in Santa Maria della Scala a Roma. Conse-gnata con grande ritardo, una volta collocata sul-

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SOPRA, DALL’ALTOJ

Carlo SaraceniTransito della Vergine | 1612-’13 | olio su tela, cm 459 x 273Santa Maria della Scala, Vicenza

Michelangelo Merisi da CaravaggioMorte della Vergine | 1604 | olio su tela, cm 369 x 245Musée du Louvre, Parigi

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l’altare, provocò la disapprovazionee lo sdegno dei “buoni padri” carme-litani, che ne trovarono disdicevolelo svolgimento compositivo. L’arti-sta, infatti, aveva rappresentato unaVergine non idealmente, ma real-mente morta, consegnando ai fedeli“con poco decoro” la visione di “unaMadonna gonfia e con le gambe sco-perte”. Si disse, addirittura, che Ca-ravaggio avesse preso a modello unaprostituta annegata nelle acque delTevere. Soffermarsi sul capolavoro di Cara-vaggio - descritto così da Longhi:Sembra raccontare in che modo, entro lastanzaccia d’affitto, spartita alla megliodal tendone sanguigno che penzola dal-la volta a travicelli e senz’altre suppellet-tili che una branda, una scranna e la baci-nella per le pezze bagnate, si lamenti la mor-te di una popolana del rione - aggiungeelementi fondamentali per delinearela figura di Saraceni.Questo non solo perché una volta tol-to dall’altare il capolavoro di Cara-vaggio (partito subito dopo alla volta

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CARLO SARACENIUN VENEZIANO TRA ROMA E L’EUROPA

GALLERIA DELL’ACCADEMIA22 marzo | 29 giugno 2014Venezia

Mostra ideata daRossella Vodret

Mostra a cura diMaria Giulia AurigemmaRoberta Battaglia

Prodotta daVenezia Accademia

Catalogo De Luca Editori d’Arte

Orario lunedì: 8.15 - 14.00mar / dom: 8.15 - 19.15 IN

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di Mantova, per entrare nelle colle-zioni dei Gonzaga, a seguito di unasegnalazione di Rubens), l’incaricodi eseguire il dipinto per quella me-desima cappella, nella quale si offi-ciavano le funzioni per i defunti, ven-ne affidato proprio a Carlo Sarace-ni, ma perché l’episodio offre la pos-sibilità, come meglio non si potreb-be, di accostare i due artisti, coglien-done le sostanziali differenze. Intanto va sottolineato che l’impresafu portata a termine nel giro di pochigiorni, potendo disporre il “brillantee raffinato” Saraceni, già nel 1610 diuna bottega estremamente efficientee attiva. Forse troppo attiva, al pun-to da determinare in moltissimi casiun’assai visibile discontinuità di ri-sultati all’interno della sua produ-zione. Nel momento in cui si comprendecome mai a Caravaggio si preferì Sa-raceni, come mai alla Morte della Ver-gine si preferì Il transito della Vergine(anch’essa alle Gallerie dell’Accade-mia) si ha in mano la chiave per apri-

re quasi ogni altra porta. L’artista,infatti, dopo aver guardato ai pittorinordici operanti a Roma alla fine delCinquecento, rimanendo attratto inparticolare da Adam Elsheimer e dal-la sua capacità di creare un rappor-to diretto tra figura umana e paesag-gio, “in modo graduale e del tuttopersonale” si avvicinerà, guarda ca-so, a Caravaggio, riuscendo però amantenere all’interno della sua an-datura stilistica un accento dolce elirico. Rimarrà, il suo, un tonalismodi origine veneta, in grado di smus-sare con naturalezza le punte piùaspre del contestato e sublime suomaestro. Egli sa modulare la luce fil-trandola attraverso autori come Ja-copo Bassano, ma con l’occhio at-tento anche alla contemporanea pit-tura bresciana e bolognese. Questoporterà a notevoli risultati, speciequando Saraceni entrerà in primapersona e con tutto se stesso in ope-re quali La Vergine e sant’Anna ammaes-trano Gesù Bambino sullo Spirito Santo,eccellente esempio o Giuditta con la

j Carlo SaraceniLa Vergine e sant'Anna ammaestrano Gesù Bambino sullo Spirito Santo (Pala Lancellotti) | 1609-1611olio su tela, cm 180 x 155Roma, Galleria Nazionale di Arte Anticadi Roma, Palazzo Barberini

A PAGINA 8, A SINISTRA f C. SaraceniMaddalena penitente olio su tela, cm 97 x 78,5Museo Civico, Vicenza

testa di Oloferne o le due versioni dellaMaddalena penitente, una delle quali,probabilmente la prima, provenientedal Museo Civico di Vicenza. Con-tiene, dunque, una verità parziale so-stenere che Saraceni abbia voltato“con decisione le spalle alla culturaartistica tardomanieristica venezia-na” nel momento in cui prende la stra-da di Roma. Egli, infatti, rimarrà sem-pre, nella sua ineliminabile essenza,un pittore legato alla terra d’origine.Non è, anzi, azzardato sottolineareche a Caravaggio, Saraceni si avvi-cina soprattutto nel momento in cuise ne allontana, poiché in questo mo-do introduce una originalità d’in-dagine che ne sviluppa il percorsoespressivo, approfondendo una vi-sione maggiormente naturalistica,fatta di nuove attese e nuovi temi sti-listici. Ed è questo il motivo per cui,nel 1620 la Serenissima lo richiame-rà in laguna per affidargli un incaricodi grande prestigio: un’imponentetela da collocare all’interno della Sa-la del Maggior Consiglio in PalazzoDucale, avente come soggetto Il DogeDandolo mentre incita le Crociate. La suapresenza avrebbe probabilmente crea-to nuove aperture in un ambiente an-cora segnato dalla grande pittura ve-neta del Cinquecento, se non fosseintervenuto il tifo a fermarlo, dopo ap-pena pochi mesi dal suo arrivo. CarloSaraceni morirà, infatti, il 16 giugno1620, poco più che quarantenne. La mostra è divisa per sezioni, unadelle quali approfondisce i rappor-ti tra l’artista e l’ambiente ecclesia-stico e politico spagnolo, è ideata daRossella Vodret e curata da MariaGiulia Aurigemma, affiancate da Ro-berta Battaglia, che ne ha ideato iltracciato espositivo.

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l’ATTENZIONE DOPPIO | gennaio | aprile 2014

AZZURROINTROSPETTIVO

di Michele Romano

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alla citazione cinematografica, dalla po-litica all’umorismo, il tutto in una vi-sione pittorica, tecnica e accade-micamente perfetta, quasi traslu-cida e iperrealista. Il richiamo allapittra, quasi anacronistico in un’e-ra della sperimentazione informale,è la scelta più consona per visiona-re il nostro io più profondo, a volteautobiografico per l’artista, ma si-curamente alchemico e introspet-tivo per l’osservatore attento. Lacontemporaneità dell’artista cu-bano è nella narrazione non solopittorica, ma nella ciclicità del suonarrar pittorico, un iconografia ode-porica, da viaggio, un circumnavi-gare per mari e per spazi, tra figureimmaginarie e velieri spaziali, co-me Concepto-Espacial, una natura mor-ta di fattura fiamminga che girova-ga nella spazialità senza tempo, un

La ricerca ciclica e multiforme delcubano Julio Larraz è un’apparen-te figurazione che ci conduce contagli trasversali ad una monote-maticità cromatica sperimentale.La metafisicità sospesa tra visioniancestrali e sommerse, ci avvia aduna immaginazione poetica, tra-smutazioni marine che ci introdu-cono alla poetica acquifera dell’ar-tista isolano, oceanico o anche me-diterraneo. La pura visione figuratadi vacanza e sommerse escursionisi trasforma in inconsuete immagi-nazioni, sospensioni tra micro e ma-cro cosmo, relatività spaziale e sur-realistiche ambientazioni, tra la lu-dicità del paesaggio fantastico eimmaginifico. Nei suoi cicli visiviLarraz traduce il segno figurato dal-l’allegoria del potere alla bellezza femmi-nile, da un erotismo languido e suadente

linguaggio tra sogno e fantascien-za, è questa la chiave di lettura gene-razionale e metafisica, un realismomagico tra segno e irrealtà.La pit-tura a olio di questa artista del con-temporaneo tradisce la scelta di te-mi trasversali: Poliphemus/ Rendez-vous/ La Escolta de un Poeta, un cultdella pittura da bottega, quasi rina-scimentale che si trasferisce in unapoetica transmigratoria, tra la coscien-za dell’essere e quella dell’esistere.

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gennaio | aprile 2014 | DOPPIO l’ATTENZIONE

JULIO LARRAZDEL MARE, DELL’ARIA E DI ALTRE STORIE

FONDAZIONE PUGLISICOSENTINO - PALAZZO VALLE8 marzo | 8 giugno 2014Via Vittorio Emanuele, 122Catania

Mostra promossa e curataFondazione Roma - Mediterraneo

OrganizzazioneCivita SiciliaGalleria Contini di Veneziae Cortina d’Ampezzo

Orario martedì /domenica: 10.00 - 13.00 | 16.00 - 20.00

INFO tel +39 [email protected] IN

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IN ALTO A SINISTRA j Julio LarrazThe Artist and His Model | 2011olio su tela, cm 125 x 198

QUI ACCANTO f Julio LarrazPolyphemus Wrathl | 2012olio su tela, cm 127 x 152

IN BASSO, DA SINISTRAll

Julio LarrazConcepto-Espacial | 2012 olio su tela, cm 182 x 152

Uno scorcio dell’allestimento della mostrapresso gli spazi di Palazzo Valle, Catania

A PAGINA 10B Julio LarrazLa Escolta de un Poeta | 2010olio su tela, cm 183 x 153

(Havana, 1944)

Julio César Ernesto FernandezLarraz nasce a l’Havana (Cuba)e inizia la sua attività artisticacome illustratore e disegnatore,non a caso la critica lo identificacome un artista poliedrico e in-ternazionale. Ha creato opere diincisione, pittura, cartooning escultura. La sua famiglia emigròin America nei primi anni ‘60 etra il 1968 e il 1970 ha frequenta-to diversi seminari con Burt Sil-verman, David Levine e AaronSchickler. Ha vissuto a NewYork, Washington, Firenze eMiami, dove attualmente vive elavora. Tra le sue più importantimostre personal si possono ci-tare: nel 1972 Cartoni alla NewYork School for Social Researchdi New York; nel 1980 Julio Lar-raz. Recenti nature morte alle Hirschle Adler Galleries di New York;nel 1988 Julio Larraz. Recent Pain-tings alla Nohra Haime Gallerydi New York; nel 1995 Julio Lar-raz alla Vallois a Parigi.L’esposizione siciliana mostraun centinaio di opere dell’artistacubano realizzati dai primi anni’70 ai giorni nostri, con degli ine-diti appositamente realizzatiper la mostra catanese e con laproduzione scultorea in bronzo“scoperta” nel 2007.

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iJulio Larraz

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di Ornella Fazzina

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l’INTERVISTA DOPPIO | gennaio | aprile 2014

di sì, conservativo, e questo mi ha lu-singato) tentativo di mostrare - rac-contandola - la fugacità del tempoelevandone l’azione impietosa nel di-suso a ‘partecipazione’ creativa al riu-so: in pratica, non ho fatto altro cheassecondare, ascoltare i luoghi, acca-rezzarne e svelarne la pelle tra le ma-cerie di un “non luogo” o sarebbe me-glio dire: di un muto spreco! O.F. Questa tua mostra la vedo comeil risultato di un abbattimento deiconfini, dove il lavoro di registrazio-ne e archiviazione degli oggetti giàpresenti si tesse con una sorta di nar-razione e di interessanti rimandi disguardi dall’ambientazione al qua-dro, dall’oggetto al soggetto, da unprima a un dopo. Mi riferisco a Beforethe whiff e a V112 - Apocalypse in bed/box

Operare all’interno di uno spazio pre-esistente comporta un adattamentoallo stesso, capace di suggerire per-corsi diversi dai soliti, in una nuovaesplorazione e percezione dell’am-biente. Calusca con il suo progettoCalusca’s rooms: five histories haindagato le complesse dinamiche trareminiscenza e oblio, dando nuovaveste a oggetti dimenticati e non piùfunzionali, attraverso una esposizio-ne suggestiva e ben studiata. Il dia-logo che ne è scaturito tra le opere egli spazi ha comportato una messa inmoto di sensazioni, emozioni e presadi coscienza che sottolineano l’im-portanza di rendere fruibili degli spa-zi dandogli un’altra destinazioned’uso, affinché questi non venganosottratti allo sguardo di chi si nutredi cultura ed esperienze estetiche,indispensabili per la formazione ecrescita intellettuale. O.F. Le opere in mostra e le installa-zioni possono rappresentare il ten-tativo di opporsi con un atto conser-vativo al processo di abbandono checaratterizza la realtà di tanti nostriimmobili?C. Sarebbe auspicabile, ma purtrop-po le opere, le installazioni, l’inte-ra messa in scena della mie “rooms”sono state, nell’insieme, un sempli-ce quanto effimero (anche se moltilo avrebbero voluto permanente, quin-

hCalusca |V112 - Apocalypse in bed/box-room with sacred curtain in fly2013, tecnica mista sul lastra metallica, cm 100 x 90 (in Room 1. Dato di fatto)Courtesy l’artista | Photo: Salvo Panebianco

QUI SOTTOKCaluscaRoom 2: Incontro play. (First Time)2014, installazione:i Il gioco dell’incontro2014, dittico, cm 30 x 20 (ciascuno)l scorcio verso la Room 1. Dato difatto. (Real life)Courtesy l’artista | Photo: D. Scandura

A PAGINA 13gCaluscaRoom 3. Sogno / puff. (Other Time) :V112 - Before the whiff2014, installazione, materiali vari, cm320 x 280 x 245 Courtesy l’artista | Photo: Calusca

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IN ALTO, SOPRA-CaluscaRoom 5. Corpo/Love. (Second Time)scorcio dell’installazione, 2014Courtesy l’artista | Photo: D. Scandura

SOPRAh CaluscaRoom 4. GiocoVano / Project. (Time work)scorcio dell’installazione, 2014Courtesy l’artista | Photo: dal web

A SINISTRAhCaluscaV118 - dato di fatto2014, t.m. su anta lignea, cm 30 x 20(in Room 1. Dato di fatto) Courtesy l’artista | Photo: S. Panebianco

room with sacred curtain in fly. Come ènata l’idea che, tra l’altro, hai saputocomunicare pienamente, coinvolgen-do personalmente lo spettatore?C. È opportuno, per rispondere aquesta tua interessante domanda,raccontare come il tutto abbia avutovita. Lo scorso ottobre sono statocontattato per progettare e poi rea-lizzare un intervento artistico (coin-volgendo anche altri artisti) all’in-terno di una rassegna, denominataAciRewrite, il cui obiettivo era la ria-pertura, la fruizione e la ‘denuncia’(intesa come segnalazione) di un ab-bandono attraverso la pragmatica ri-funzionalizzazione (anche se tem-poranea; l’intero evento ha avuto unadurata di circa due mesi) di un im-portante contenitore urbano: il Col-legio Santonoceto di Acireale (n.d.e.,servizio a pag. 26). Una volta effet-tuato il sopralluogo e definiti gli spa-zi dell’intervento ho poi seguito, in-fine, la mia curiosità oltrepassando,con qualche difficoltà, una soglia bar-ricata ed è stato proprio lì che ho tro-vato le “mie 5 stanze” innamorando-mene subito, con la consapevolezza -senza nessuna definita ragione - cheal loro interno ci fosse qualcosa di mioche ci rendeva familiari reciproca-mente. Nel frequentarle per qualchemese, in solitudine, a tu per tu, emer-sero chiaramente le questioni che vierano insite e pian piano ogni spazio

ha cominciato ad acquistare il suo/mio senso. Tra tutte, ovviamente, lacosa che più mi ha suggestionato, colsenno di poi, è stato l’aver trovato lospazio ‘assoluto’, il contesto perfettoper innescare delle dinamiche instal-lative uniche e soprattutto ricche dirimandi spazio-temporali-creativi as-surdamente combacianti! L’esempio più calzante è proprioquello che citi nella tua domanda,ossia il dialogo tra l’opera V112 - Apo-calypse in bed/box room…, realizzata nelmarzo del 2013 (quindi prima di tut-to questo ed in modo altrettanto au-tonomo) ma che nella Room 1. Dato difatto ha trovato la sua restituzione am-bientale oltre che la sua collocazio-ne (Vano nel vano) ideale (purtropponon ho qui lo spazio per raccontar-tene le ragioni) e l’installazione V112 -Before the whiff: visione onirica mate-rializzata all’interno della Room 3.Sogno/Puff. Proprio da un sogno è nataquest’idea: quella ‘era’ la stanza, erala ri-consegna tridimensionale delmio V (Vano) 112 e occorreva ridare aquella stanza (e/o a quella dipinta,collocata nella Room 1) la compo-stezza dell’istante precedente al sof-fio, all’alito di ossigeno che scostan-done la tenda ne scompagina la quie-te per dare accesso al mio caos! Il rimando ‘compiuto’ immagine-re-altà-visione era poi possibile attra-verso l’osservazione fissa, su rotazio-

ne del solo sguardo, dalla Room 2. In-contro/Play: a sinistra, attraversandolo squarcio sul muro ecco l’opera(immagine a p. 12,in basso); di fron-te, tornando a destra, varcando la so-glia eccone la proiezione nella realtà(immagine a p. 13). O.F. Un attento, mirato e calcolatouso delle luci, come in Room 1. Dato difatto, ha creato un’atmosfera ancor piùin sintonia con l’ambiente, dramma-tico già di per sé. In questa operazio-ne hai dato vita a un gioco di conta-minazione di generi, spaziando dal-la pittura all’installazione alla tea-tralizzazione. Pensi sia più godibilel’esperienza artistica attraverso que-sta tipologia espositiva?C. Penso sia un modo altrettanto ef-ficace per enfatizzarne i contenuti, imessaggi. Il mio background è inca-tenato allo spazio, al suo rigore com-positivo, geometrico, alle sue esigen-ze di fruizione e pertanto la conta-minazione di cui parli diventa oggi,per me, quasi necessaria. In questoprogetto, in particolare, ho potutometterla perfettamente a fuoco per-ché il contesto, una volta captato, hasaputo indicarmi i tragitti da sugge-rire al mio inconscio per giungere altracciato espositivo realizzato, che èpoi un vero e proprio “percorso” (esi-stenziale). O.F. Il progetto lo hai intitolato “Lestanze di Calusca”, e la stanza soli-tamente è dove ci sentiamo e ci muo-viamo a nostro agio, nascondiamo inostri segreti: racconta chi siamo ela nostra vita. Quanto c’è di autobio-grafico in questo lavoro e cosa ti haspinto a tal punto di avvertire l’ur-genza di raccontarti?C. La spinta è arrivata, come dicevo,dalle suggestioni preesistenti insi-te nei luoghi, oltre che dalla storia delcontenitore (ex collegio formativo edi accoglienza, orfanotrofio). Ho scel-

to, insomma, di analizzare, attraver-so la mia - le mie urgenze -, la vita nelsuo scorrere inesorabile tentando dibloccare per/in ‘visioni’ (immagini,oggetti, azioni/interazioni, ecc.) i“tempi/times” - le stagioni - del vive-re caricandole (ciascuna nel propriospazio/vano/aula; ecco il perché del-le diverse nomenclature abbinate al-le varie “Rooms”), in metafora, di at-tualità e a volte ironia.O.F. I materiali costituiscono il cuo-re concettuale di questa mostra. Haiutilizzato anche materiali di risulta,trovati sul posto, che tu hai caricatodi un significato simbolico, trascen-dendo il livello di pura materialità:sono sempre parte di un momentocon cui ti confronti. È un modo, que-sto, per creare la persistenza del ri-cordo? C. Anche, ma non solo! Più che altrola scelta di adoperare oggetti trovatisul posto (caso per caso, stanza, perstanza) reinventandone l’uso - nelmio caso pittorico ed installativo -credo sia stata dettata dall’esigenzadi immergermi integralmente nellamemoria del sito poiché solo trami-te la manipolazione, la frequenta-zione di un qualsiasi ‘suo’ oggetto/elemento ritengo si possa realmenteentrare in totale sintonia con esso eacquisire piena consapevolezza sulda farsi.

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di Giovanna Caterina de Feo

scelte ad essa connesse, l’interazione con il committente (che potrebbe essereparagonato al collezionista), l’impatto estetico-funzionale con chi fruiscedell’oggetto realizzato. Fatta questa divagazione, che molto dice del mio de-siderio frustrato di non essere un artista, devo dirti che ho già svolto l’attivitàdi gallerista quando ero studente, agli inizi degli anni ’70 a Caserta, mia terrad’origine. Non ho mai smesso, però, di seguire il mondo delle arti visive, comecollezionista. L’apertura di Spazio Aquadro a Roma nel mese di settembreè, dunque, un ritorno ad una attività lasciata con rimpianto e un modo dicontribuire a diffondere e condividere un’antica passione. G.C.d.F. Non ritieni di essere alquanto temerario ad aprire uno spazio espo-sitivo, mentre molte gallerie, anche storiche, chiudono? Non ti spaventa lacrisi?U.C. Non mi sento un temerario, la crisi non mi spaventa! Anzi ti dirò cheproprio l’instabilità che caratterizza il nostro tempo mi ha spinto a questainiziativa. Secondo me la crisi che viviamo, prima di essere economica e fi-nanziaria, è una crisi di valori. La società odierna ha perso quello che iochiamo il “senso di eternità”, ovvero la consapevolezza che l’interazione tral’uomo e il mondo che lo circonda non si esaurisce con la sua vita perché ogniazione, anche quella in apparenza banale, genera reazioni a catena che noncessano mai di produrre effetti. Credo che l’opera d’arte sia la rappresenta-zione più efficace del “senso dell’eternità”, è il prodotto dell’ingegno e dellacreatività dell’uomo ed è fatto per sopravvivergli, attraversando la storia e legenerazioni. Il gesto dell’artista nel momento in cui crea e l’attimo, fatto diemozione e di passione, in cui il collezionista decide di far propria quel-l’opera, sono come fissati, congelati oltre il tempo, per divenire eterni. Il qua-dro o la scultura, ti accompagnano per tutta la vita e rappresentano una partedi te, un testimone che trasmetti a chi verrà dopo. Come collezionista im-magino di riemergere dall’oblio del tempo nel racconto dei miei pronipoti,che nel guardare o mostrare ad altri quell’opera a me appartenuta, rievochinola mia esistenza. La mia attività è indirizzata ai nuovi collezionisti e ai giovani pittori emer-genti che ancora hanno costi contenuti. Sono particolarmente gratificato dalfatto che, pur avendo iniziato l’attività da poco più di sei mesi, molti dei gio-vani artisti presentati, appartenenti alla “Nuova Pittura Italiana”, hannoavuto successi internazionali e premi. Nel prossimo mese di marzo ci saràuna loro mostra a Belgrado, a settembre a Berlino saranno ospitati dalla gal-leria Schultz.G.C.d.F. E te, Betti? Anche tu condividi questa passione e qual’è il tuo ruolonell’attività della galleria?B.d.V. Condivido con Ugo questa sua passione da quando l’ho conosciutonel 2000. Del resto è tale il suo entusiasmo che è difficile non esserne conta-giati. Come lui, anche io, ho vissuto un percorso parallelo a quello della miaprofessione. Teatro e cinema sono stati e sono per me un interesse preponde-rante. Per anni ho collaborato con la Compagnia della Luna nell’organizzazione

d’importanti spettacoli di musica eteatro. Nei progetti futuri per la gal-leria questa mia esperienza ci ha por-tati a pensare Spazio Aquadro comeun luogo multifunzione, che ospitieventi con recite, reading e musicalegati al mondo delle arti visive. In ta-le ottica lo scorso sabato 8 febbraio,in occasione della mostra di Giusep-pe Abate, giovane e promettente ar-tista, è stato organizzato Terzo Suono,primo esperimento di sound art. Tremusicisti, Stefano Pavarini, tastieri-sta, Roberto Rossi, chitarra elettricae Ausonio Calò, sassofono e clarino,hanno letto testi poetici e suonatobrani composti dallo stesso Pavarini,su suggestione delle opere di Abate.In futuro ci piacerebbe organizzareuna serie di Interviste impossibili congrandi maestri scomparsi. La primapotrebbe essere quella a Francis Ba-con, basata sull’intervista al pittorerealizzata da David Silvester arric-chita da particolari sulla sua vitatratta da varie biografie. Stiamo pen-sando anche a produrre in forma sin-tetica rappresentazioni teatrali delperiodo dadaista e futurista e proiet-tare video e film realizzati da artistidi arte contemporanea. Dell’organiz-zazione penso di occuparmene conAnnamaria Salviati che, oltre a es-sere una cara amica, è una giornalistache si è occupata di spettacolo.

Betty de Virgillis e Ugo Corvinosono due entusiasti collezionisti che,per passione, si sono trasformati ingalleristi e, incuranti della crisi, han-no aperto a Roma la galleria SpazioAquadro, un ufficio e due ampie salecon soffitto a volta e una vetrina chedà su una strada appartata, propriovicino al Palazzaccio nelle immedia-te adiacenze del parcheggio di Piaz-za Cavour.Il progetto prende le mosse dall’idea,semplice e rivoluzionaria al tempostesso, di creare una rete di galleried’arte dislocate in diverse città ita-liane; spazi differenti, ai quali ha da-to impulso Enzo Cannaviello, notogallerista attivo a Milano da 45 anni.Le mostre fin qui fatte sono state tut-te uno sguardo privilegiato sulla gio-vane arte, a partire dalla prima: Nuo-va pittura italiana, inaugurata il 12 set-tembre 2013, una collettiva dove so-no state presentate opere inedite diGiuseppe Abate, Elena Ascari, IreneBalia, Anna Caruso, Enej Gala, Ric-cardo Giacomini, Matteo Giagnaco-vo, Silvia Mei, Chiara Sorgato e Ele-na Vavaro.A questa hanno fatto seguito quelledi Jan Muche, interessante giovaneartista berlinese per la prima volta aRoma, allievo di Hoedicke il padredella corrente neoespressionista dei“Nuovi Selvaggi” e le personali di Pier-luigi Pusole, Giuseppe Abate e Mat-teo Giagnacovo.Incontro Betty e Ugo nella loro gal-leria; alle pareti i quadri di GiuseppeAbate e, finalmente, il primo pome-riggio soleggiato dopo tanta pioggia.Sono incuriosita sulle ragioni che lihanno portati ad entrare nel mondodei galleristi romani, così chiedo lorodi concedermi una breve intervista.

G.C.d.F. Ugo, come nasce la deci-sione di aprire una galleria d’artecontemporanea e quale ne è l’origine,visto che, almeno da quanto apparedalla tua storia professionale non tisei mai occupato di arti visive?U.C. Progettare e realizzare grandiedifici permette di usare segni e lin-guaggi che portano tracce della sen-sibilità e della cultura dell’autore edel committente. Con le dovute, evi-denti differenze, c’è in questa attivitàqualcosa di simile alla produzionedell’opera d’arte: il momento dell’i-dea, quello della esecuzione con le

SOPRA jJ

Galleria Spazio Aquadro, mostra di Giuseppe Abate e un mo-

mento dell'esibizione di Stefano Pava-rini, Roberto Rossi e Ausonio Calò,

SPAZIO AQUADRO

Via Luigi Calamatta, 2900193 Roma(adiacente parcheggio Piazza Cavour)

Orario mar / sab: 15.30 - 19.30

INFO tel: +39 06 60671083mail: [email protected]: www.spazioaquadro.it IN

FO

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l’OCCHIO

jhPietro Marchese | Light2013, resina policroma, legno, ceramica se-

rigrafata, plexiglass, luci a ledcm 104 x 100 x 35

PIETRO MARCHESEBESTIARIO CONTEMPORANEO

STUDIO D’ARS | MILANOchiusa il 21 marzo 2014Via Sant’Agnese, 12

Mostra a cura diOrnella Fazzina

INFO [email protected] IN

FO

di Ornella Fazzina

Mutuare da un vocabolario icono-grafico di antiche civiltà che fondo-no il genere umano con il genere ani-male dando vita a forme ibride, è una pras-si usata in diverse epoche fino ai nostri gior-ni, come testimonianza di una continuità cheattinge dal passato per proiettarsi nell’avventuradel presente. La mitologia è piena di animaliumanizzati e di umani bestializzati nel rap-presentare il divino, e la psicologia offre un no-tevole contributo nello studio dell’uomoche oscilla tra razionalità e istinto.Similitudini che avvicinano l’anima-le all’uomo sia nelle fattezze fisicheche nel comportamento costituisceancora oggi oggetto di indagine cheparte da lontano, si congiunge aglistudi di Leonardo da Vinci per ar-rivare alla fisiognomica ottocente-sca e continuare con nuove tecno-logie per scoprire fino a che punto sipossono delineare confini oppure èpossibile sconfinare nell’uno e nel-l’altro campo. A tal proposito, diven-ta ancor più interessante ed intri-gante la ricerca portata avanti daPietro Marchese il quale traccia unbestiario contemporaneo che, dal-l’antichità al Medioevo fino a noi,può intrecciarsi anche con l’am-bito scientifico di una certa ma-nipolazione genetica, aprendo ariflessioni di varia natura, nonultimo di carattere etico.Ciòche incuriosisce e allo stessotempo inquieta nelle sue ope-re è questo ibridismo di for-me appartenente a due ge-neri differenti dai quali pe-rò non emerge né la vi-rulenza maschile né laforza animalesca. In I hada dream il cavallo ha un at-teggiamento mite, som-messo, rassegnato, annul-lando così la sua connatu-rata energia muscolare az-zerata ancor di più dal cor-po inginocchiato, remissi-vo, così come in Life il dialo-go amoroso tra i due cervi dal cor-po umano, si relazionano attraversogesti calmi, aggraziati, timidi. Unmondo, questo, dove i generi si con-fondono, il maschile è anche il fem-minile, l’umano è anche l’animalesco,ma in questa mescolanza si intra-vede un fondo di infelicità e la don-na-elefante in Light (immagine ac-canto) è cosciente del fatto chenon può reggere il confronto conun’icona di bellezza. Ermafrodi-ti con teste e braccia di animali, edaltre combinazioni, si mostrano inun gioco continuo che rimanda alfalso, ad innesti favolistici, meta-morfosi spiazzanti che portano l’uo-mo-rospo a dire The End (immagine

in alto, sul titolo; particola-re). La fine? Di cosa? Di unsogno, di un desiderio, diuna perfezione perduta,

di una integrità fran-tumata? Qual è il mes-saggio di queste opere,ironiche e divertenti perun verso, e drammatichee depistanti dall’altro?Sperimentazioni, contrad-dizioni, capovolgimenti,mutamenti rientrano nellinguaggio dell’arte, ed in-sieme all’aspetto ludico inqueste opere dobbiamo leg-gere anche moniti, metafo-re che si nascondono tra lepieghe di una materia lavo-rata magistralmente da Mar-

chese, unendo l’alta capa-cità tecnica all’aspetto se-mantico dei suoi lavori.Opere antropomorfiche ezoomorfiche di matrice clas-sica si sposano in un per-fetto contrasto con le scrit-te al led, nel segno della con-

taminazione attuale dovela piattezza della scrittura

la si constata solo avvici-nandosi, smorzando la

plasticità scultorea, eviceversa. Rimandi,

opposizioni bina-rie, inganni e

verità, tuttos e m b r a

concor-rere a una ri-flessione su il-lusione e real-tà. Nel mette-re in luce pa-radossi e incer-tezze del nostro tempo,slittamenti linguistici conducono ver-so forme dal sapore surrealista e me-tafisico dove l’antinomia è evidente,ma ritraendo forme riconoscibili quin-di vere, la sua diventa una operazioneconoscitiva, prendendo coscienza dellecose reali. Una realtà, seppur “altra”, re-legata forse alla dimensione inconsciadentro la quale si risvegliano incubi epaure profonde. Arcani ed enigmi si rin-corrono nel voler trovare delle possibilisoluzioni per stare al mondo, un mondosvilito e privato dei suoi valori sacrali emagici, e per questo più difficile da ac-cettare. Le suggestive “citazioni” perimmagini Marchese può averle rac-colte dalle civiltà degli assiri, egizia-ni, greci (con la grande lezione mora-lizzatrice delle favole di Esopo con isuoi animali personificati) e romani,per approdare al Medioevo che comeasserisce Jurgis Baltrusaitis “non ri-

nuncia… ai vasti repertori antichi o eso-tici che hanno a lungo nutrito la suaimmaginazione…vi si rintracciano…vari elementi di differenti civiltà, os-sessioni, fantasmagorie elaborate dal-l’immaginazione”. Le creature defor-mi, grottesche e gli esseri favolosi chearricchiscono i Bestiari, reinserisconoun mondo fittizio all’interno del mon-do vivente, rivitalizzando le fonti del-l’Antichità classica e dell’Oriente chehanno incrementato leggende e fan-tasie. Le opere di Pietro Marchese trac-ciano una linea di continuità attra-verso una serie di forme eterogenee,restituendo così un mondo più mi-sterioso, più complesso e più comple-to; un perenne dualismo che amplia iconfini e spazia verso regioni appa-rentemente distanti, nella ricerca del-la realtà. Del resto, quel che vediamonon è tutto il visibile.

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Si è materializzata un po’ di mesi fal’ennesima impresa sportiva per co-lui che è ritenuto il miglior naviga-tore solitario di tutti i tempi, il “no-stro” Giovanni Soldini. Lo skipperitaliano ha infatti conquistato la 14°edizione della storica Cape2Rio, lapiù lunga regata esistente tra duecontinenti nell’emisfero sud: 3.300miglia da Cape Town (Sud Africa) aRio de Janeiro (Brasile), che il team diMaserati ha percorso in 10 giorni, 11ore, 29 minuti e 57 secondi, abbas-sando di più di due giorni il recordprecedente che apparteneva al ma-xi americano di 72 piedi ZephyrusIV (12 giorni, 16 ore, 49 minuti).Il VOR 70 Maserati, partito dal mae-stoso sfondo della Table Mountain hatagliato la linea d’arrivo alle pendicidel celebre Pan Di Zucchero il 14 gen-naio scorso, prima tra le 35 barche,di varie dimensioni (la barca italianaera l’unico 70 piedi presente), parte-cipanti.Non è stato però tutto facile per l’e-quipaggio di Maserati; la regata, in-fatti, ha subito vissuto un momentotragico a causa di una tempesta conraffiche a 40 nodi che, poche ore do-po la partenza, ha tolto dalla gara di-verse imbarcazioni e, soprattutto, hacausato la morte dell’angolano An-

fA PAGINA 18 | Alessandra GiovannoniIl timoniere

2014, tecnica mista su carta, cm 51 x 35

SOPRA h

Il team del VOR 70 Maserati in azione(immagine dal web)

tonio Bartolomew, disperso in ma-re dopo il disalberamento di Bille, unabarca tipicamente da crociera sicu-ramente non adatta ad affrontare unaregata oceanica competitiva.Usciti dalla tempesta, Soldini ed ilsuo equipaggio sono entrati neglialisei e hanno tenuto ben saldo il co-mando della flotta. Le strette dellatempesta hanno comunque lasciatoqualche segno sull’imbarcazione che,nei giorni successivi alla partenza,ha visto susseguirsi a bordo diversiguai: prima uno strappo sulla randa(la vela armata sull’albero principa-le), poi la rottura di una volante edinfine l’esplosione di uno Spi (la velache viene issata quando l’andaturadella barca è portante), prontamen-te riparato. Dopo la difficile parten-za comunque, la barca italiana ha co-minciato a spingere sull’acceleratoreportandosi verso nord per fare il girodell’alta pressione; un allungamentodel percorso di 600 miglia (circa 950km) che ha consentito di manteneresempre un buon gradiente, un buonvento e una buona velocità. Le ulti-me miglia sono state così solamenteun lungo giro turistico davanti allacosta a nord di Rio alla ricerca di unpo’ di vento. Lontani gli inseguitori:il 52 piedi australiano Scarlet Run-ner navigava a 750 miglia di distan-za da Maserati, mentre l’Open 60sudafricano Explora si trovava a 900

di Davide Scandura

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miglia di distanza. A bordo, insiemeallo skipper italiano, un team inter-nazionale di nove persone: gli ita-liani Guido Broggi, Corrado Rossi-gnoli e Michele Sighel; il tedescoBoris Herrmann; lo spagnolo Car-los Hernandez; i francesi JacquesVincent e Gwen Riou; il daneseMartin Kirketerp Ibsen; e per laprima volta il monegasco Pierre Ca-siraghi.Con il ritorno in Brasile si è chiusoun cerchio, aperto un anno fa quan-do il team Maserati conquistò unaltro record, 47 giorni, 0 ore, 42 mi-nuti e 29 secondi per navigare a velada New York a San Francisco pas-sando per Capo Horn, battendo cosìil mitico record della Rotta dell’Oro.Dall’arrivo sotto il Golden Gate,Maserati non ha più smesso di navi-gare: Transpac Race, Indonesia, Cina,la scia della barca italiana si è allun-gata sempre di più. Un altro record in bacheca quindiper Giovanni Soldini, che, a soli 16anni aveva già compiuto la traver-sata dell’Atlantico. La data più im-portante, per il velista milanese, ri-sale però al 3 marzo del 1999, giornodella sua più grande impresa: la con-quista, con il 60 piedi FILA, dellaterza tappa dell’edizione 1998-99della Around Alone, il giro del mondoa vela per navigatori solitari. Un’im-presa eroica, la cui valenza sportiva,

pur importante, è passata in secon-do piano, sopraffatta largamente dal-la grande dimostrazione di coraggiodi Soldini, protagonista del salvatag-gio di Isabelle Autissier, rovescia-tasi in pieno Pacifico meridionale elontana da qualsiasi possibile inter-vento di salvataggio a causa dellecondizioni meteorologiche.Per Giovanni dunque, che ha allespalle più di vent’anni anni di regateoceaniche, tra cui due giri del mon-do in solitario (una vittoria, come giàdetto, ed un secondo posto), sei Qué-bec-Saint Malo (una vittoria nella ca-tegoria monoscafi), sei Ostar (duevittorie nella classe 50 piedi e classe40 piedi), tre Jacques Vabre (una vit-toria nella classe 40 piedi), e più di40 transoceaniche, il prossimo obiet-tivo non può che essere un’altra sfi-da impossibile verso la conquista del-l’ennesimo record, come quello divelocità nel Nord Atlantico, da NewYork a Lizard Point, sfiorato nel 2012;andrà senza dubbio a vele spiegate,c’è da scommetterci.

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l’IDEA

os’è che hai? Qui, sul fianco” biascicò a un tratto Lella, la mia amica; e visfre gava con forza la punta dell’indice. In quel momento era vamo sdraiati alsole. Il posto era una pie traia di lava levigata, in riva al mare; sulla battigia iciottoli subi vano l’urto delle onde e come lunghe chiome verdi sotto il pelodell’acqua si agitavano le alghe. Questa zona ha un aspetto tragico e sinistro. Tolsi via gli occhiali per osservare - le lenti erano nere, quasi pi cee - e strizzandogli occhi a quella chia rezza agra girai la testa verso il punto su cui Lella si osti-nava a graffiare: situato, il punto, nel mio fianco destro, ma piutto sto ai con fi-ni con la schiena che vicino all’addome, mi vidi costretto a tor cermi sulla vita epoco mancò che ne se guisse un crampo. Mi sollevai perciò appena un po’ sullaschiena, e rimanendo in ten sione vi portai le dita, men tre Lella esclamava: “E’cer tamente un neo, no, aspetta… Un neo non mi pare, è forse una cicatrice”. Era invece quel noto neo, nero. Sor risi quindi alla mia amica, mormo rando: “Non è niente, sta’ tran quilla, locono sco: è un neo, ce l’ho da anni”. Lella si stirò sullo scoglio emettendo un mu go lio. E io pure mi rilasciai suldorso, calmo ma non del tutto per suaso di quanto le avevo appena detto intono rassicu rante. Ossia era vero, sì, che fosse quel neo, ro tondo ma dai mar-gini frastagliati, privo quasi di spes sore e in compenso alquanto largo, quellager mi nazione della mia cute che sarebbe forse azzardato definire una vogliapoiché, se a qualcosa essa somi glia, è a uno scarac chio che si può accostarecome forma, men tre ha l’uguale co lore dello sterco. Ma l’ipotesi di Lella, che potesse trattarsi di una ci ca trice, mi aveva instilla toun dubbio. Ne riconoscevo il carattere in fondato e tuttavia, come non ammet -tere la pos sibi lità che in un al tro tempo, in un’epoca re mota, si fosse pro dottaun’apertura della carne nel mio corpo, lì in quel preciso punto, tra fianco eschiena? Il neo nella sua su per fi cie aveva un aspetto davvero strano, del resto.Non cor ru gato ma anzi di steso e quasi liscio. Come la ci catrice lasciata nonda un ta glio pro fondo ma da un’escrescenza quando sia stata recisa. Il tegu -mento ancora con ser vava una consi stenza come di velina, sottile neo forma -zione anche te nera, sebbene il suo colore cupo fosse parecchio inquietante.Ma ero certo, ripeto, che mai lì dove stava quel neo - o cicatrice che fosse -avevo su bito alcun taglio. Ad ogni modo il co lore lo confer mava: era scuro. Se questa qui fosse ve ramen-te una ci ca trice, il suo colore dovrebbe essere uguale a quello della mia pelle,chiaro. Quest’ultimo argomento mi parve decisivo, e traendo un sospiro chiusigli occhi de termi nato a tuffarmi in acqua non prima che mi fossi pro cu ratoun’ustione.In città gestisco un locale: è situato in un quar tiere del cen tro storico dai vico-li angusti e un basolato di pietra lavica lisciata dai secoli, nera; ci sono chiesedel Settecento e anche palazzi. Le chiese sono tutte monumentali, opere d’ar-te dal grembo infecondo; si presen tano con una loro solen nità remota e frigi-da; non sono più un luogo di culto, ma per turisti. I palazzi ba rocchi testimo -niano un passato sfarzoso, un’epoca di forza: ma at tual mente non fanno chepersistere in una sini stra mace razione. Quando è notte dimore e chiese si ri-tirano nell’ombra e assumono, sotto il livido chiarore della luna, un volto sa-turnino: l’esatto opposto di quel chiasso di fregi e di vo lute che raffigura il voltodiurno del barocco, votato al sole.Il mio lavoro in birreria si svolge di notte; ma dovendo preparare una catervadi pietanze già dalle prime ore della mattina mi ci si può trovare che prov vedoai ri forni menti e sorveglio in cucina. Ma è sol tanto a sera inoltrata che si comincia.Non lavoro però da sempre nel settore. Adesso ho trent’anni, e fino a venti duestu diai Giurisprudenza. Con cinque o al massimo sei esami so stenuti, nel com-plesso. Da perderci la faccia. E fu appunto per ver go gna che mi decisi a porrefine alla farsa. Mentivo a mia madre dicendole - a inter valli in media di tre me-si - di avere sostenuto un esame ri cavandone un voto non mai sotto il trenta.E così la mia car riera progrediva, veloce mente; tanto che lei pregustava già lagioia di vedersi tra non molto lau reato l’unico figlio, dot tore in Legge. “Sei la mia vita”, mi sussurrava nel salu tarmi la mattina in un orecchio, mentresonnecchiavo. Il marito le era morto che ancora ero lattante.

Ero, è vero, io cioè il mio semplice esi stere l’orizzonte della sua vita: ma lei perme era diventata un peso e un’asfissia. Perciò una sera attesi che rientrasse dalla voro per confessarle la verità. Dovevo poi dirle che sarei andato via, forse persem pre; pertanto scelsi la saletta dell’ingresso come luogo dell’incontro, da cuiavrei im boccato l’uscita con un solo balzo senza attraversare gli spazi internie senza potere quindi essere raggiunto da richiami e ri morsi. All’ora consueta si udì il tramenio della chiave nella toppa; balzai in piedi dallettino della mia stanza dove, dedito a riflessioni che avrei voluto si stema tichema che invece mi riu scivano rotte e intermittenti, avevo con sumato quasi tuttoil pomerig gio, circondato dalla penombra. Giunsi in saletta appena in tempoper accogliere mia ma dre. Non preve deva la mia pre senza e mosse i primi passicon lo sguardo affondato nella borsa della spesa. Quando mi vide sob balzò dispavento: mi ergevo davanti a lei nell’ombra. Mi sorrise, tuttavia, su bito e disse:“Non pensavo fossi ancora in casa. Esci? E dov’è che vai, a quest’ora?” “Me ne vado, in fatti” le ri sposi, “ma per questa sera non mi aspet tare e nem -meno per le future”. Feci una pausa e poi, tutto di un fiato: “Lascio di studiare; non mi interessa lalau rea e non da ora: non me n’è mai fre gato nulla; an che di te”.E atterrando lo sguardo scattai in avanti per gu adagnare al più presto la porta,ma pro prio sulla soglia una presa con vulsa e dolorosa a un braccio troncò ilmio slancio. Mi girai verso mia madre ben sapendo di do verne sopportare losgomento negli oc chi e le suppliche, e invece lo sguardo con cui mi incontraiera uno sgua rdo ge lido e cattivo, lanciatomi da occhi che sem brava aves serosempre covato sen ti menti di morte, gli oc chi stessi di chi uccide senza una ra -gione: li ani mava una luce luttuosa, come quella che batte nelle notti di lunapiena, una luce incostante, con lampi che ab bagliavano. Mi scrutò così perlunghi secondi, senza emet tere una sola parola. Gli occhi erano l’unica parteviva di lei, il resto della fac cia aveva preso la fissità e la du rezza di una roccia,e il suo colore: livido e aspro. Mi balenò alla mente un’immagine, un orribile pa radosso, l’immagine di unaGorgone della quale solo lo sguardo sopravvi vesse, per uccidere, dopo che que-sto sguardo aveva da se stesso sca gliato nella pie tra il proprio volto. “Vattene pure, e troverai, se ri torni, la mia porta sem pre chiusa” disse alla finelei con voce ferma, ma muo vendo le labbra in modo quasi inavvertibile, e nes -sun altro muscolo della faccia; e mi spinse sulle scale con una forza ina spet -tata. Poi sbatté la porta alle mie spalle.Preso in contropiede da lei, la madre, vissi a lungo la mia fuga come invece unacacciata e una sconfitta. Nei primi giorni, usando di certi soldi tra fugatile, viag -giai o più che altro vaga bondai da una città all’altra della regione, portavo labarba in colta e non cam biavo mai ve stiti. Finii per aggrupparmi con alcunispiantati, tra cui una donna di circa qua rant’anni che mi legò a sé con lasensua lità quasi violenta dei suoi fianchi; erano di ogni età, i miei compagni, edi numero va riabile a se conda che nei no stri spostamenti qualcuno fosse piz-zicato dalla sbir ra glia o che si aggiunges sero nuovi elementi. Si cam pava ru -bacchiando e facendo la posta nei sema fori pulendo i vetri delle macchine. Erad’estate e la sera davanti al fuoco fumavamo gli spi nelli. Durò circa sei mesiquesta vita ba lorda. Ma per la verità non è che decisi da me di terminarla. Alposto mio ci pensò la sorte: che è come dire, in que sto caso, la morte. Ci era vamo divisi in quattro gruppi per trovare più facil mente chi ci cari casseper un passaggio: l’appuntamento era in un giorno stabilito, a Firenze, in unacerta piazza. Io e i miei compa gni - Grazia, la mia donna, e Ulrich, tedesco - eravamo sindalle prime luci del giorno fermi sul ciglio della statale. Accaldati. Sulle nostreteste picchiava un sole nudo. Unico mezzo che ta gliasse il suo slancio per poiarrestarsi presso di noi una gazzella - nome di animale pla cido per designareuna lamiera si ni stra. Carabinieri. Ci scrutarono con sguardi ottusi a cui il ne-ro delle di vise aggiungeva come un presagio di ga lera. Il milite alla de stra dichi guidava a un certo punto si piegò in avanti per pun tare meglio con lo sguar-do proprio la mia figura; abbas sava ripetutamente gli occhi su qual cosa cheaveva dinnanzi a sé sul cruscotto e che da fuori non si vedeva, e ogni voltaritor nava a squa drarmi in volto. Mi chiese infine, arcigno, se il mio nome fossequello che pro nunciò stor piato. Grazia, la mia donna, già mi si era ab bran cataaddosso pronta a sciogliersi in gridi e in pianti per la sorte che mi sarebbe toc-cata, di finire difilato in prigione. Ma il ca rabi niere, pure non smettendo un’ariadi mi nac cia (qualcosa gli oc cupava lo sguardo, come un’espressione di odio edi dolore per il mio destino di cial trone irredimi bile e insieme per se stesso,condan nato a con dannarmi non potendo mai uscire dal cerchio di questa ne-cessità avvi lente) mi disse che aveva una comunica zione im portante da farmi:e dando prova di inaspet tata deli catezza attese che io gli an dassi vi cino perchénon sen tis sero gli altri. Con un tono di voce rauco e paterno mi esortò a tor -narmen e a casa, che mia madre... Mia ma dre, che? Ebbene, quella po vera donnaera morta. Sola in casa. Di infarto.

di Giuseppe Bella

“C

DOPPIO | gennaio | aprile 2014

A DESTRA g Cristiano Ceroni | Senza titolo2014, olio su tela, cm 31,5 x 22

IL RICONGIUNTOCAPITOLO ICapii allora […] che il grido che anni prima aveva echeggiato sulla Senna, alle miespalle, non aveva cessato […] il suo cammino nel mondo, attra verso la distesa il -luminata dell’oceano […] Capii anche che avrebbe continuato ad aspet tarmi su marie fiumi ovunque fosse l’acqua amara del mio bat tesimo.

(A. Camus)

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gennaio | aprile 2014 | DOPPIO NEWL’INK21

l’IDEA

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di Antonio Casciaro

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l’INCIPIT MOVIE DOPPIO | gennaio | aprile 2014

Il rapporto tra politica e cultura èsempre stato problematico; ma avolte anche proficuo. E lo stesso di-casi per quell’arte particolare - chemeglio ha approfittato della mec-canizzazione della tecnica - che chia-miamo cinematografia. L’industriacinematografica, si sa, non è immu-ne da condizionamenti e spesso è uti-lizzata per stimolare desideri ed at-

teggiamenti positivi verso modelliculturali. L’istituzione nel 1951 della Berlinale(Internationale Filmfestspiele Berlin) fuun classico esempio di iniziativa po-litico-culturale (in questo caso degliStati Uniti) per gestire una ripresasociale attraverso un’industria cine-matografica che, secondo quanto re-citava l’articolo II dello statuto, avreb-be dovuto avere l’obiettivo di “con-tribuire alla comprensione e all’ami-cizia tra i popoli delle differenti na-zioni”. Sappiamo come è andata:molte furono all’inizio le limitazionirivolte principalmente ai Paesi delblocco sovietico e dell’Europa del-l’Est; inoltre spesso i film in mostranon erano altro che un prolungamen-to di Hollywood. Solo negli anni Set-tanta il regolamento prevedette una

riduzione di tale censura, sancita poiin modo più evidente con il crollo delmuro di Berlino.Questa brevissima storia di uno deipiù importanti Film Festival interna-zionali è un classico esempio di co-me il cinema possa essere leva di po-litica internazionale. Nel 1990 un no-to politologo, Joseph S. Nye, Jr.,(Harvard Kennedy School of Government)

coniò un termine poi molto utiliz-zato nella teoria delle relazioni in-ternazionali - soft power o poteremorbido - per indicare l’abilità del-la politica di persuadere ed attrarretramite risorse culturali intangibili.Come afferma lui stesso, è la capa-cità “di ottenere ciò che si vuole tra-mite la propria attrattiva piuttostoche con il ricorso alla coercizione oa compensi in denaro” (Soft Power:The Means to Success in World Politics,PublicAffairs, 2004). E si può con-statare come il cinema sia opportu-nità di promozione culturale anchein modo espansivo (e non solo con-trattivo/difensivo come le origini del-la Berlinale mostrano). È il caso del-l’OIF (Organizzazione Internazionaledella Francofonia) che ogni anno, amarzo, festeggia la lingua francese

ed il dinamismo del mondo franco-fono nel mondo. In questa occasioneil meglio della cinematografia con-temporanea proveniente da paesiquali Belgio, Bulgaria, Canada, Qué-bec, Croazia, Grecia, Haiti, Libano,Lussemburgo, Marocco, Polonia, Ro-mania, Serbia, Slovacchia, Slovenia,Svizzera, Tunisia, Ungheria e Uru-guay, ha modo di essere veicolo per

relazioni di cooperazione; d’altra par-te per essere membri dell’OIF non èrichiesta l’ufficialità del francese al-l’interno dello Stato, ma anche piùsemplicemente che sia insegnato nel-le scuole come lingua straniera.Nel marzo 2014 si sono organizzateesposizioni, concerti musicali e ras-segne di film. “La battaglia dei so-gni”, per esempio, è stato il tema del-l’undicesima edizione de Les Journéesdu cinéma québécois en Italie, in colla-borazione con il Conseil des arts etdes lettres du Québec, l’Ambasciatadel Canada in Italia, la Delegazionedel Québec a Roma, la Société dedéveloppement des entreprises cul-turelles del Québec. Si sono così or-ganizzate delle rassegne cinemato-grafiche a Milano, Firenze, Napoli eSiracusa. In gran parte sono stati pro-

iettati film non distribuiti in Italia,transitati in alcuni importanti festi-val internazionali, e con alcune an-teprime nazionali; anche film di ani-mazione (vedi foto). Il Canada è unodi quei paesi che ha fortemente in-vestito sul cinema di animazione d’au-tore (contrariamente all’Italia) conl’istituzione dell’ente statale del ci-nema, il National Film Board, e conun forte personaggio come NormanMcLaren (regista egli stesso) a capodel dipartimento di animazione; laFrancia comunque non è da meno;e l’innovazione tecnologica della ci-nematografica contemporanea - ri-cordiamolo - passa attraverso la di-gitalizzazione dell’animazione. La diffusione di una lingua naziona-le è un tipico esempio di Soft Power.È così che l’OIF (composta da 56 sta-ti e governi sottonazionali membri,2 stati associati e 19 stati osserva-tori) promuove “la lingua francese,lo sviluppo economico e gli scambicommerciali tra i paesi membri, lacultura e la ricerca scientifica, i dirit-ti civili e la pace, obiettivi ben rias-sunti nel motto dell’OrganizzazioneEgalité, complémentarité, solidarité ”.L’agenzia Monocle nel novembre2013 ha diffuso il suo quarto studioannuale con il nome di Soft Power Sur-vey. Al primo posto si trova la Ger-mania, al quarto la Francia; l’Italia èal decimo. Quanto il settore diplo-matico-culturale italiano, con le sue352 sedi all’estero, ha da imparareda un’organizzazione come l’OIF?Oppure è meglio continuare a esse-re oggetto continuo di giudizi voltia valutare il grado di familismo inpolitica?

AL CENTRO jMartine Chartrand Macpherson, 2012, film di oanimazione

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LE TEcNIchEdELL’OSSERVATORE

di Jonathan CraryEinaudi | 2013 | pp. 188

Le tecniche dell’osservatore è stato pubbli-cato nel 1990 e nel corso degli anni tra-dotto in dieci lingue. L’edizione italia-na del 2013, a cura di Einaudi, arriva ben23 anni dopo. Perché a distanza di tuttiquesti anni un saggio mostra ancora lasua validità a tal punto da essere “ripe-scato” per una sua prima pubblicazionein Italia? Per cominciare a risponderedobbiamo dire che l’autore, JonathanCrary, è storico dell’arte alla ColombiaUniversity di New York. Il libro dun-que è un saggio di storia dell’arte, il cuiapproccio però, e qui sta l’originalità deltesto, è interdisciplinare. L’approccio èquello archeologico. L’autore vuole sca-vare indietro nel tempo per trovare leradici storiche della svolta modernistanell’arte, quella che di solito si imputaalle “novità” della pittura di Manet edegli impressionisti. Crary afferma chequel nuovo modo di raffigurare la realtàvibrava di risonanze che andavano in-dagate. Vale a dire che l’affacciarsi delmodernismo nell’arte non fu lo sboccia-re improvviso di una sensibilità total-mente inedita. Il terreno doveva già es-sere stato preparato dall’avvento di unmoderno osservatore. Questa è la tesidi fondo, l’immaginario visivo è sempreuna costruzione culturale, e le grandi per-sonalità geniali che fanno la storia del-l’arte hanno sempre un retroterra socia-le a cui, spesso inconsapevolmente, so-no ancorati. Nel periodo di tempo che va dagli inizidell’Ottocento alla fine del secolo, suc-cede qualcosa che si può riassumere nel-la differenza di stile tra Chardin e Ce-zanne. Un pittore come Chardin, di fine‘700, è naturalmente molto lontano daCezanne. Questa differenza non è datasoltanto perché tra l’uno e l’altro si sonosuccedute delle formali evoluzioni nel-l’ambito della rappresentazione dei sog-getti e dello stile. Ma perché la visione“primordiale” di un occhio innocente,che sperimenta una pittura come quelladi Cezanne, era inconcepibile nella vi-sione degli spazi organizzati razional-mente secondo il modello dominantedella camera oscura, sulla cui matriceChardin, almeno secondo l’autore, tro-vava il principio ordinatore delle sue

composizioni pittoriche. Ci troviamo qui di fronte alla grandissima lezione di Michel Foucalt al cui magistero Jonathan Craryesplicitamente si rifà. Il nostro modo di vedere le cose, di concepirle, di pensarle, di conoscerle e di processarle è sempre sovra-determinato da pratiche discorsive in cui il sapere e il potere sono inestricabilmente intrecciati. Il modello della camera oscuraè un paradigma che si fonda sul primato della logica, della razionalità degli spazi, imperante nel periodo classico (per Foucalttra la metà del XVII secolo e la fine del XVIII). Esso si nutre di prospettiva rinascimentale e filosofia cartesiana. Per questo ilsuo osservatore è neutrale e atemporale. E’ un puro recettore della infallibilità trasparente delle sensazioni. La luce che entranella camera oscura da una ben precisa fessura apre uno spazio scientifico della visione. La realtà esterna viene in qualchemodo reificata da una duplicazione interna mentale. Il periodo di incubazione delle nuove tecniche di osservazione è quellodella prima metà del XIX secolo. Infatti è nei primi decenni dell’800 che si verifica una rottura epistemologica, cioè si produceuna discontinuità con il paradigma della visione incentrata sul modo di funzionare della camera oscura. Mentre questo model-lo marginalizza l’implicazione degli organi del corpo specificamente addetti alla ricezione degli stimoli del mondo esterno (inervi ottici, la retina, ecc.) esaltando invece la visione interiore, una sorta di teatro della ragione visiva, i primi studi fisiologicisugli apparati ottici e sensoriali localizzano le percezioni nel corpo umano. Ora, questa incarnazione dei sensi destituisce l’”au-torità” normativa della camera oscura. La visione perde la sua univocità. Mentre nella camera oscura l’interno e l’esterno si cor-rispondono sempre, il nervo ottico può invece cadere in una percezione illusoria, cioè senza referenti esterni. Questo che vuoldire? Proviamo a fare un esempio, la pressione meccanica sull’occhio, esperienza che abbiamo fatto tutti schiacciando o stro-picciando la palpebra con un dito, crea una sensazione di colori e sfarfallio che non hanno un contenuto reale esterno. Goethenel 1810 ne aveva parlato per primo nella Teoria dei colori analizzando il fenomeno dell’immagine postuma che si imprimesulla retina. L’immagine è dunque postuma e consecutiva, cioè rimane impressa e continua a mutare anche dopo che lo stimolo,in tal caso la pressione sull’occhio, è cessato. La visione, secondo lo studio di Goethe, non solo si astrae dal suo referente esterno,ma è anche attraversata dal tempo, si temporalizza. Se pensiamo che per la concezione della camera oscura l’immagine esternaè simultaneamente ed istantaneamente proiettata all’interno del suo campo di visione, ci rendiamo conto di come i nuovi in-teressi di fisiologia ottica mettono in crisi il modello dominante di osservazione. Il corpo, la biologia reclamano il loro ruolonella meccanica delle sensazioni. La visione, sulla scia delle regole Kantiane intorno alla conoscenza sensibile si soggettivizza,diventa personale e in un certo senso autonoma. Addirittura la nitidezza, quella del modello classico razionale e trasparente,si opacizza. Le stesse illusioni ottiche, quelle appunto che riscontriamo nell’osservare il sole lungamente o nello stimolare mec-canicamente la pupilla, entrano a far parte della “verità” dell’osservazione. Anche le allucinazioni visive entrano a tutti gli effettinello statuto dell’osservatore moderno. Ma non solo, la nuova teoria della luce studiata come movimento ondulatorio e nonpiù come fascio rettilineo, ridimensiona il potenziale di conoscenza della pittura rinascimentale, che vedeva nella prospettivanon soltanto un modello di rappresentazione delle immagini ma anche un sapere scientifico sulla organizzazione spaziale dellarealtà fisica esterna. Sempre nella prima metà dell’Ottocento le conoscenze sul funzionamento della fisiologia dell’occhioavranno delle ricadute di pratica applicazione. Gli studi sull’ottica delle immagini consecutive, che ritardano la loro impressionesulla retina, fanno da innesco all’invenzione delle cosiddette “macchine delle meraviglie” come il fenachistoscopio (letteralmente“visione ingannatrice”) lo zootropio, il taumatropi, il diorama, dove le figure girate in veloce sequenza creano l’illusione di unaloro animazione. Gli studi relativi all’ottica binoculare costituiscono la base scientifica per l’invenzione dello stereoscopio edel caleidoscopio. Questi strumenti per Crary non rappresentano però, come si tende a credere, i precursori del cinematografogiacché la loro visione illusoria non riconosce alcun referente esterno, realmente esistente. Il reale a cui questi strumenti otticidavano accesso era di natura meccanica e non facevano nulla per nasconderlo. Lo stereoscopio rappresentava delle immaginitroppo false, con campi di profondità inverosimili nella loro fissazione. A motivare l’invenzione di questi strumenti ottici, piùche lo studio della rappresentazione veritiera e mimetica, è invece la resa produttiva che si può ricavare dalle ricerche sulla fi-siologia e la psicologia dell’osservatore. Vale a dire ad essere messa in risalto era “l’interazione funzionale tra il corpo e la mac-china” ed anche l’attitudine psicologica dell’osservatore che tramite tecniche di manipolazione ottica “tramutava le scialbeimmagini parallele degli stereogrammi bidimensionali in affascinanti apparizioni di profondità”. Ecco quindi profilarsi la figurafino ad allora inedita di un osservatore che si ritaglia il suo ruolo attivo di produttore di immagini. Sempre nella stessa epocala creazione artificiale di effetti ottici non è disgiunta dalla misurazione degli stimoli sensoriali. A questo proposito l’autorecita gli studi di Fechner condotti intorno agli anni 40 dell’Ottocento con lo scopo di misurare la soglia minima delle sensazionie la scala del loro incremento di grado calcolata aumentando l’intensità dello stimolo. Insomma cosa ci vuol dire Crary conquesto libro? Una cosa molto importante, nella prima metà del XIX secolo la società si trasformava assecondando le esigenzedella moderna produzione industriale. Nello stesso periodo in cui i vagabondi, i nullafacenti, gli oziosi venivano reclutati co-ercitivamente quale forza lavoro per essere irreggimentati nei nascenti opifici di massa, gli studi sulla fisiologia ottica disloca-vano il baricentro della visione dalla geometrica ed intellettuale camera oscura al corpo umano. Se il primo paradigma, quellodella camera oscura, assicurava una padronanza razionale, il secondo portando ad una “industriale riclassificazione del corpo”contribuì alla messa in produzione delle sensazioni. Le nuove tecnologie applicate al corpo umano miravano alla enucleazionedi un moderno osservatore adatto a recepire il flusso incessante di nuovi immaginari visivi e stimolazioni sensoriali della na-scente società dei consumi. Le ricerche sul corpo umano sfociarono così su un duplice scenario. Da un lato inaugurarono l’au-tonomia dell’osservatore, la sua libertà di sguardo, impensabile secondo il modello della camera oscura. Dall’altro assoggettaronoquesta presunta innocenza della visione, che implementa creatività e trasgressione personale, al regime della nascente societàdisciplinare, normalizzando il potenziale anarchico delle nuove tecniche dell’osservatore mediante la misurazione e la mani-polazione calcolatrice degli stimoli sensoriali. La corporalità della visione apre le porte alla meccanizzazione e alla formaliz-zazione della visione. Creando così uno statuto ambiguo del moderno osservatore. Il comportamentismo in psicologia con isuoi processi di condizionamento e controllo, gli esperimenti di Pavlov sui riflessi condizionati, trovano nei primi decenni del-l’Ottocento il loro “brodo di coltura”, vero e proprio incubatore delle tecnologie del soggetto. Quali conseguenze per il discorsosull’arte? Innanzitutto, per Crary, non si può affermare che gli impressionisti quali innovatori solitari deviarono dal corso prin-cipale dell’arte più popolare e tradizionale, quella mimetica che porterà dritto alla fotografia, per virare verso una forma d’artepiù essenziale e raffinata. La vicenda è molto più intrecciata. L’immagine “primordiale” a cui attinsero gli impressionisti in-tendendola quale atto di ispirazione autonoma e personale, di fatto era già stata preparata, come abbiamo visto, dal discorsoscientifico e tecnico dei primi decenni dell’Ottocento. Ma anche la fede nella mimesi, la riproduzione fedele delle immagini,comprese quelle fotografiche, era già stata intaccata da un osservatore ormai decentrato e smaliziato rispetto al paradigmadella raffigurazione nitida e trasparente del reale. Gli innovatori, a ben vedere, erano già dentro un discorso mainstream e nonse ne allontanavano, ma semmai lo subivano. Infine un’altra riflessione a cui si giunge leggendo il saggio è legata alla constata-zione della colonizzazione dell’arte da parte di linguaggi appartenenti ad altre discipline e saperi sociali. In fondo, a ben con-siderare, tutte le tecnologie impiantate sul soggetto a seguito delle ricerche scientifiche iniziate nel XIX secolo ci portanodirettamente alle performing arts contemporanee (si pensi a Marina Abramovic) che viste alla luce di quanto detto non sonoaltro che appendici “ludiche” del comportamentismo in psicologia o delle altre tecniche di sperimentazione sensoriale inten-zionalmente pilotata.

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l’APOSTROFOgennaio | aprile 2014 | DOPPIO

di Mario Guarrera

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cARUANA MUNdI Angeli Dannati

e Anime Sospese A circa quattro anni di distanza dalCucitore di Tende i Caruana Mundiritornano con un nuovo disco: An-geli, Dannati e Anime Sospese. Secondoalbum per il gruppo etno-rock ra-gusano. Album autoprodotto e re-gistrato presso lo Zuleima studio (diloro proprietà).In copertina troviamo un partico-lare del dipinto Quattro visioni dell’Al-dilà, l’ascesa all’empireo, di Hierony-mus Bosch. Il disco è un concept al-bum, che come il noto poema dan-tesco è un viaggio attraverso i treregni dell’oltretomba. Composto danove brani, tre per ogni regno.L’album si apre con un tuono. Nelprimo brano Le Bugie del Diavolo citroviamo dinnanzi al re degli inferi,al diavolo in persona. Shaytan si ri-volge ad una donna a cui vuol dona-re il suo amore. Pur essendo un re èpovero e in cerca di tenerezza e quie-te in una donna. Il primo trittico ècupo, elettrico, con una preminen-za di chitarre blues, slide ed echipsichedelici. C’è tutta la sofferenzadei dannati.Usciti dall’Inferno, ci si inoltra trale anime sospese del Purgatorio. Dalnero si passa al grigio. Anime non in-trappolate per l’ eternità e che ane-lano alla salvezza. In Fuga a Katman-dou si è immersi nelle brutture delmondo ipocrita occidentale con le

Carmelo Amenta torna a distanzadi due anni con la terza fatica disco-grafica. Ancora una volta, giá dal ti-tolo, Cuori e Parole in Piccole Botti diLegno, Amenta cattura l’attenzionee conferma la sua vena romantica,cinica e amara. Vena poi approfon-dita in un album affascinante, comesono stati finora tutti i suoi lavori,con il solito blues ad aleggiare pertutto il disco, con una ventata di sa-no rock e spruzzate di jazz. Sicuramente dal primo lavoro ci so-no state delle evoluzioni, Cuori e Pa-role in Piccole Botti di Legno rappre-senta in pieno l’artista e la maturitàdel progetto; non a caso il disco èstato interamente prodotto dallostesso Amenta, che oltre a suonarela sua inseparabile chitarra e a can-tare, si cimenta con dobro, slide gui-tar e cori. I testi sono i protagonistinei lavori dell’artista siracusano, ri-badiscono la bravura nel comporreliriche mai scontate, di facile approc-cio e così molto comunicative. È lacapacità di leggere quello che lo cir-conda con lucido distacco ma sguaz-zandoci dentro, che rende il tutto in-tenso al punto giusto.Musicalmente, il disco non cattu-ra al primo ascolto come invece po-teva essere per il secondo lavoro IGatti se ne Fanno un cazzo della trippa(vedi intervista in Newl’ink n. 9+10,pag. 22; n.d.r.). C’è l’immancabileeleganza e ricercatezza nei suoni,che risultano pieni e molto varie-gati, merito pure delle tantissimecollaborazioni (tra le altre Alì nelbrano Sogni Fradici. Duetto canoroche impreziosisce uno tra i pezzipiù belli del disco). E’ riemersa inquesto album l’indole rock dell’ar-tista: tutti o quasi i brani del discosuonano asciutti e rockeggianti, len-tamente cadenzati quasi a metterein evidenza il lato nero di ogni sto-ria raccontata. I toni infatti riman-gono gli stessi che caratterizzano

La musica alternativa fa più cd di quantine venda. Test clinici dimostrano che piùdel 75% degli artisti alternativi, i dischi,se li danno sulle gengive. Per questo ab-biamo inciso degli spazzolini. Argomen-ti che non vi interessano, scritti con i pie-

sue crisi economiche e lo sfrutta-mento. C’è un forte desiderio di viag-giare verso l’altrove, andare a Kat-mandou appunto. Terre incontami-nate, silenzi, serenità. In Cassandra,il mito della profetessa non creduta,vibra l’ orrore della guerra. Permanequel desiderio di andare via, di lascia-

di, il primo album che combatte il tar-taro. (E anche un po’ il vinile).Non fa una piega! Effettivamente ilnon-cantautore romano d’originecalabrese Simone Vacatello in arteSiVa nel suo album d’esordio ci por-ta all’interno di un mondo pieno divoci, di punti di vista, contornatoda ironia mista ad un forte sarca-smo e spirito critico per raccontareuna società - italiana, ma non solo -alla ricerca di se stessa, ormai disil-lusa, che si sta finalmente ponendole vere domande e pone le giusteobiezioni necessarie per guardarsinello specchio dell’avvenire. È sotto questa lente che l’incederedei brani coinvolge l’ascoltatore,rapito ora dalle varie sceltemusica-li - si passa dal new ave funky anni’90 a citazioni canore di artisti ap-pena scomparsi (una fra tutte Lu-cio Dalla), dal jazz stile Renzo Ar-bore al rock e alla Marsigliese. Il genio di SiVa esonda gli arginidel pentagramma dimostrandosiun eccellenze alchimista della pa-rola quando, estrapolando dal quo-tidiano frasi apparentemente non-sense, riesce ad esprimere verità as-solute: L’Italia senza futuro è uguale aun futuro senza di Dio. […] Finalmenteuna buona notizia, addentrandosi inun Paese abituato da troppe decadia sopportare ogni sopruso, a nonconfrontarsi e a pensare che tuttosia scevro, privo di stimoli, basta chealla fine seguirà dj set. Nell’epoca in cui viviamo, ormai do-minata dai social network e dalla di-gitalizzazione più becera di ogniambito della bio-quotidianità, èsempre più difficile riuscire a per-venire alle fonti dell’autenticità, aobiettive autorità morali, se “So-crate o forse Cucciolotta86”. La prima da solista di SiVa è otti-ma, poiché è patetica, nel vero si-gnificato della parola - piena di pa-thos. Riesce a far ridere, a far riflet-tere, a far arrabbiare, sollevando leinnumerevoli contrapposizioni chenell’Italia di oggi convivono, e, per-sino, a far commuovere senza sci-volare nella solita canzonetta (nonce ne vorrà Edoardo Bennato).

Nicola Pela

https://www.youtube.com/watch?v=T

TsPuhsKGzQ

Carmelo Amenta da sempre, non cisono luci ma chiaroscuri e pennel-late di dark. Si riconferma uno degli artisti piùinteressanti del panorama indipen-dente italiano e capace cantautoreche riesce, come difficilmente oggiaccade, ad emozionare, a non anno-iare e parlare di vita in modo uni-versale.

Sisco Montalto

https://www.youtube.com/watch?v=z

CAiMSdFjWA

Rubrica a cura diClap Bands Magazine

l’ASCOLTO

SiVa, contenuti CD l

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l’ASCOLTO DOPPIO | gennaio | aprile 2014

cARMELO AMENTACuori e parole in piccole

botti di legno

SIVAArgomenti che non

vi Interessano, Scritti con i Piedi

re queste terre (“Lascia sia la sorte oil mare a portarmi via”).Abu Nawas ci conduce in Paradiso.Dal grigio si passa al bianco. Suonipiù leggeri, chitarre in levare tipi-che del reggae. Il tema, che percorrel’ intero album, è l’amore. L’amore co-me ragione per imbarcarsi. L’amorecome meta ultima. “L’amor che muo-ve il sole e le altre stelle”.In Ya Aziza, una ballata lenta e ma-linconica, si incontra Beatrice e l’amo-re viene cantato in tutta la sua pu-rezza. Nelle ultime strofe si ode la vo-ce della donna amata; i due amantidialogano. Le voci negli ultimi versisi intrecciano. Come in un film ro-mantico d’altri tempi, l’album si con-clude con una lenta dissolvenza inchiusura.Dopo aver ascoltato l’album, emer-gono nella mia mente le parole diRuysbroeck: Il vino migliore e il piùsquisito, è anche il più inebriante [...] dicui, senza berlo, l’anima annichilita è ine-briata, anima libera ed ebbra! dimentica,dimenticata, ebbra di ciò che non beve eche mai berrà!

Gaetano Giudice

https://www.youtube.com/watch?v=0

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Caruana Mundi l

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www.new-link.it [email protected] - aprile 2014 free press12 13 DOPPIO COPERTINA 2

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Fra incontri, seminari, attività laboratoriali, eventi e happening, nel Santono-ceto ha avuto luogo, dal 18 gennaio al 2 febbraio 2014, la rassegna“Rig/Right-Down”, a cura di Newl’ink e per essa, del suo editore e artdirector, Luca Scandura. Come è avvenuto in precedenza con altre mostreorganizzate da Newl’ink, ‘Rig/Right-Down’ ha costituito la proiezione tridi-mensionale della Pregiata Nostra, espressione/espansione della rivista inuno spazio re-impaginato e in questo caso, innestato alle pagine - stropic-ciate, strappate, scarabocchiate - dei muri, nella prosa di un vissuto im-presso nelle tracce come nelle cancellature dei passaggi d’epoca e de-stinazioni d’uso del Collegio Santonoceto.

Uno spazio mobile in un tempo immobile, un percorso espositivoampio e variegato, sviluppato all’interno degli spazi del primopiano dell’ex Collegio e diviso in quattro sezioni/aree cui si ac-

cedeva dalla prima L’aula del tempo , anticamera di decompressione da at-titudini reminiscenti riservata al disegno di Alfredo Oriti, vincitore delConcorso indetto fra gli alunni del Liceo Artistico: suggestione metafisica -ma più alla Tadeusz Kantor che alla De Chirico -, che fissa il tempo di un’at-tesa che smentisce la discesa di un sipario sulla scena spoglia cui fa da introi-bo e in cui è collocato il disegno.

A seguire: The moment is Ripe (AREA 2N’) l’intervento di Ales-sio Raciti (installazione a cura di Newl’ink) allineava vegetali esaponette dalla superficie incisa secondo una tecnica appresa in

Thailandia (FIG. 9): e in effetti, il risultato richiama le maschere del teatrotradizionale Khon, con mostri e divinità dalle fattezze sacralmente deformi,devotamente grottesche, stravolte in smorfie minacciose, furenti, beate, matutte ugualmente estatiche. Le docili superfici dei supporti acquistano unavalenza latamente fisiognomica, mimetizzata ai paesaggi rigurgitanti delleselve, reali o oniriche, da cui affiorano, nel segno di una decorazione, però,suturata ai tempi del decadimento organico, fiori che irradiano in delicaticongegni araldici, intricati orifizi modellati da una letale strategia di lottaper la sopravvivenza, inermi alla tabe che le intacca con muffe bellicose, sporeinvulnerabili e enzimi super-eroici verdeggianti e micidiali; percorsi alter-nativi di qualche labirintica diramazione evolutiva che si sfrangia in orbiteipnotiche, opulente costellazioni squamose declinate in eleganti e mortaliintarsi e nei geroglifici di una lingua naturale perduta, in minute calligrafiesedimentarie che si dispiegano in cabale da Libro delle Mutazioni biomorfe.L’opera del tempo si intreccia all’esito d’arte come se questa ne fosse unfrutto, perciò, soggetto alla stessa caducità. Nel sovrapporre e intrecciarequei segni ai propri, il tempo sembra rivelarci sulla bellezza qualcosa cheessa non potrebbe dirci, ma che la pone su un piano che ne sfida le leggi - labellezza ci sarà sempre: con noi o contro di noi, sembrerebbe.

Questo dinamismo morfologico di una trasformazione sempre inatto si ritrovava nella scansione in Otto tragitti, due transiti euna traiettoria: itinerari che si dipanavano senza che l’excursus

fosse leggibile come progressione o circolarità, perché la duplice funzionedello spazio - che accoglieva le opere e nello stesso tempo, era ri-scritto/ri-vissuto in proprio da esse - poneva ogni lavoro oltre il perimetro in cui erainserito; e reciprocamente, i locali che accoglievano i lavori davano una di-mensione fisica al tempo, l’immagine spaziale di esso come luogo inesplora-bile e senza ritorno (FIG. 1/8 - 10/14). A questo effetto di straniamento con-

di Rocco Giudice

tribuiva l’uso sapiente delle ‘luci di scena’: poche, aggettanti a piccosulle opere e utilizzate non come elemento decorativo e in funzionesussidiaria, ma agendo come strumenti di lavoro e possibili indica-zioni di lettura; o disperse in ambienti che le smorzavano in manieraapparentemente ‘naturale’, con un effetto twilight zone. La disposi-zione di esse animava i vuoti, volta a volta, come presenze fra le altre,in una penombra carica di spessore o priva di profondità. Il temponon come successione, ma come vibrazione luminosa, come ritmo,cioè, misura di ‘un tempo nel tempo’: vale a dire, il ritmo come formadel tempo che ne fa una qualità dell’anima o una risorsa morale, nonlo stillicidio che consuma tutto senza in sé mutare. La collocazionedelle opere, la disposizione delle luci e l’usura, le superfetazioni esi-stenti erano ‘artifici di scena’ che sembravano ‘coetanei’, secondo una‘archeologia della memoria’ in cui l’interazione fra i luoghi e i segnifiniva per tracciare una topografia delineata da itinerari di sconfina-mento dalle rotte prescritte.

Lo start è dato da Salvo Ligama che con Kat@tonic (tecnica mista sucartone, 2014)(FIG. 1) ha ‘foderato’ una porzione della parete dellastanza in cui il dipinto è collocato, altrimenti scrostata e percorsa dascritte e macchie di umido, incastonandovi, come i pixel di un mo-noscopio, piastrelle/tasselli di mosaico dalle sfumature cangianti,tutte tendenti all’azzurro, all’acquamarina, scaglie di una fluttuanteevocazione luminosa delle maree di una piscina, verticale mare in mi-niatura per un miraggio optical. A emergere da questo fondale, in cuisembrano perdersi i contorni fra la figura e lo sfondo che lo delimita,è una fontanella o lavello o forse, una fonte lustrale, fusi in un visioneschermata da un vetro zigrinato. Ma più che visione del profondo, ildelirio autistico del titolo ammicca a illusioni più di superficie, conla chiocciola internettiana che occhieggia nel titolo: imprimatur checostella l’universo della comunicazione, super-logo(s) delle esauriteo ridotte funzioni della memoria organica.

Segue Every picture tells a story (t.m. su tavola, 2013) (FIG. 2): politticoin cui Antonio Recca scandisce una storia nei diversi capitoli/pan-nelli, ognuno dei quali ne racconta una versione o una parte, che nonè mai la propria, ma quella delle vicissitudini in cui riverbera l’austera e insieme, materica, corposa sostanza cromatica dei suoi dipinti.Una pittura definita per vicinanza e consonanza alla materia dellavisione, in cui assume consistenza ogni elemento del paesaggio, lasolidità della roccia come la profondità dell’aria, la durezza dell’om-bra e lo spessore che la luce acquista da ciò su cui si libra o che sfiora,su cui si posa o s’abbatte. In Every picture tells a story, la ‘storia’ di unpaesaggio è narrata, anzi, è contenuta interamente nelle connotazionisottratte a univoche determinazioni psichiche, a suggestioni emo-zionali sottostanti o sovraimpresse. Non vi è riconosciuta alcunapriorità che derivi regole e metodo dal soggetto, che la pittura diRecca trova con la libertà indispensabile al suo talento, cioè, in unocon la visione, con l’economia della visione e del gesto che l’afferma.

Il cortile del Santonoceto (olio su tela, 2014) (FIG. 3), è ripreso da unavisuale frontale da Alessandro Finocchiaro, sempre così immedesi-mato nei termini dell’immagine e nel corpo delle cose, dissolte o fuseall’atmosfera, alla luce o al gesto e all’attitudine dello sguardo che visi riconosce. Finocchiaro è attento a cogliere e a dare profondità asoggetti visti da prospettive fuori dallo spazio in cui immaginarle.

Per alcune settimane, dal 14 dicembre 2013 al 2 febbraio 2014, si è svolto, promosso dal gruppo RinnovAci, con in testa leresponsabili del sodalizio, gli ingegneri Elisa Pagano e Rossella Ciliberti, e in collaborazione con Newl’ink, “AciREwrite - In-trecci Culturali/Connessioni urbane”, articolato in una serie di incontri, di dibattiti e di manifestazioni artistiche sul temadel recupero e del riuso dei centri urbani. Riferimento privilegiato, Acireale; ma il contributo di architetti, ingegneri, sociologi ver-teva anche su esperienze dai relatori conseguite altrove, nelle realtà più disparate e all’avanguardia delle trasformazioni che inve-stono la definizione stessa di città, fra non-luoghi e ‘rete urbana.’ Una riscrittura/rilettura ideale di luoghi, di tempi, di connessionie variabili dell’esperienza come ‘funzione di memoria’ di un ‘elaboratore collettivo’ delle vicissitudini legate a spazi che non trovanouno status negli attuali contesti urbani. Cuore della manifestazione, il Collegio Santonoceto, gloriosa istituzione della Acireale che fu.

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Qui, il portone d’ingresso è incorniciato dal fusto di due piante che l’aureolano diverde, con le foglie che - inframmezzando il ritmo geometrico con linee meno pre-vedibili, che non si chiudono se non per rimarcare quegli schemi - colmano, aggi-randola, la discontinuità fra gli archi a tutto sesto della facciata e il quadrato delportone, replicato nei pannelli delle vetrate. La prospettiva sembra ‘prendere ledistanze’ da ogni connotazione lirica: il ricordo sbiadisce, come le piante avviz-ziranno, laddove queste rinverdiranno ancora: l’immagine, quindi, non potendorecare alcuna testimonianza, va letta come una profezia: e da questo punto divista, invece che avvicinarci al luogo, l’immagine - il ricordo - ce ne separa.

Per Giuseppe Tomasello, l’immagine non è definita in relazione a un dato, realeo immaginario, cui vincolare il gesto che lo renderà visibile, ma è attraverso diesso che, fra figurazione e astrazione, ci è offerta, insieme, la cosa e il simbolo,così che la dimensione onirica e l’essenzialità inderogabile del segno hanno lostesso diritto di parola. Per G. Tomasello, si tratta, in ogni caso, di superare i ter-mini di una chiusura: dopo di che, le cose sono dove non te le aspetteresti - per-fino dentro un dipinto. Ne Il primo e l’ultimo dettaglio (tecnica mista su tela,2014)(FIG. 4), non importa se il cuore batte fuori o dentro la metafora di un luogoamato che racchiude (per escluderli o appropriarsene) i dettagli, perché quelbattito è l’orbita che esso circoscrive, la cornice di un’emozione, spazio essastessa, che non può più esserne separata.

Giuseppe Calderone prende a soggetto delle sue opere simboli, grafismi e segnidell’odierno paesaggio della comunicazione. Calderone presentava PasswordsWorlds (t.m. su tavola, 2014)(FIG. 5). Se nelle sue opere la bidimensionalità da popart ricalcata su un display inscena un teatro delle ombre per psicodrammi da video-game, un’antropologia per silhouettes cui regredire in un’amorfa umanità da socialnetwork, qui l’opera raffigura mani che (si) proteggono o protraggono, fuggono orespingono la parete, tappezzandola come fosse una caverna preistorica per rie-mergere in un universo a portata di polpastrelli, da conquistare a tentoni. Le manisprimacciano i cuscini su cui sono dipinte: vi riposavano, ieri, i sogni dell’umanitàin-fans accolta dal Collegio; mentre mimano, oggi, il tam-tam soporifero su cuipoggiano le ‘teste bennate’, diceva Montaigne, di un’umanità abbandonata aidubbi di comodo ovvero soffocata dall’afasia mediatica in cui giace in sonno.

Nella pittura di Giulio Catelli, lo spazio fisico condivide la stessa densità di for-me e luce che vi sono contenuti, che vi statuisce o sono reperite da un colore, per-ciò, senza enfasi, fibroso e morbidamente steso. L’orizzonte intero o il singoloalbero segnano una distanza tanto quanto sono segnati da essa: come un limite,quindi, non solo esterno, fisico, ma più intrinseco: spazi aperti e interiorità sonomisurati dalla stessa profondità. Cortile della scuola (olio su tela, 2014) (FIG. 6), èuno scorcio in cui il luogo è un punto di passaggio fra le fronde in primo piano el’azzurro sovrastante: non segna un confine, ma una sosta o una svolta fra vicendepiù prossime e altezze che hanno la stessa profondità, che non vi hanno parte, ma

rese ugualmente intime dalla continuità di un costrutto visivo senza effetti di con-trasto e in cui i contorni portano a un estremo di dicibilità il filo del racconto.

Nuccio Squillaci, Per aspera ad astra (acrilico su tavola, 2014)(FIG. 7): tre distintezone cromatiche orizzontali una sopra l’altra: verde-terra, arancio-sole, il tur-chese che sfuma in un viola, chissà, vespertino. In verticale, la parabola-girotondodi indumenti, vesti, lingerie, disjecta membra, ectoplasmi che vivono a dispetto del-la vita e lanciati in un’ascesa che ha nel cuore - per conto suo, cinto di filo spina-to - la rampa di lancio o l’ancoraggio a una gravità cui infondere la leggerezza diuna costellazione del desiderio o configurazione astrale della memoria cheprende il volo e rimane in levitazione attorno ai nessi disarticolati e alle cesure ealle consegne, aleatorie o più conseguenti, dell’esistere.

La pittura di Vincenzo Tomasello, nell’aderire a una necessità o nel far suaun’occasione, nel privilegiare lo spunto offerto da un materiale o un meditatoenigma cromatico, è come il pensiero che l’ha generata e non esclude nulla: e ri-porta la digressione o connessione intellettuale che profitta di un assunto emo-zionale o di un dato sensibile a un motivo che non si lascia fissare prima diprodurre il suo effetto. In Flapping Señorita Dreamer (tecnica mista su chiffon, 2014)(FIG. 8), l’“effetto” e insieme, il leit motiv è una sottoveste fluttuante, una crinoli-na che riporta alle ballerine di Degas; o vi balena un fantasmatico, remoto omag-gio a un bal da Moulin de la Galette renoiriano. Sguarnita, scarna e disabitataanch’essa, dunque, la spoglia crisalide schiude il miraggio di una schematica ana-tomia da torso mutilo. Appena sollevata come per l’accenno di un passo di dan-za, la vediamo levitare su un piedistallo o ara per un falò della vanità delle vanità,in cui sembra ardere anche il bianco che dà spessore a uno sfondo virato nelletinte dal giallo al rosso delle campiture per il tempo trascorso a una velocità daeffetto Doppler.

Il passaggio successivo, per attenersi al programma contenuto nel titolo dellamostra piuttosto che alla dislocazione di essa nella topografia del Santonoceto,consta di “Due transiti”, quello di Paolo Guerrera e Giacomo Rizzo: paralleli, an-corché posti agli antipodi del percorso introduttivo ai momenti ulteriori di que-sta sezione/area della mostra.

Le creature di Paolo Guarrera sono sempre riconoscibili per un qualche dato oatteggiamento che, rivelandole senza passare dalla consapevolezza di sé (ciò chespiega come vecchi e bambini ricorrano così spesso nell’opera di Guarrera), nonnecessita, pertanto, di spiegazioni o testimoni: e questo basta a renderne familiarianche le apparenze (insospettabilmente) leggendarie o fantastiche, con le spoglieda cui deve sgrossarsi la carne che non ha ancora finito di rapprendersi nel gesso.Così è per Leon (gesso patinato, 2001) (FIG.12) ideale monumento ai bambiniperduti di James Matthew Barrie o cupido che, secolarizzato, è sceso dall’empi-reo di un loggione o cantoria popolata senza risparmio da Serpotta. Nel contestodi un luogo derelitto, si potrebbe dire, orfano esso stesso, Leon ha una formidabileforza di persuasione nel gesto del braccio proteso: troppo ingenuo per formaliz-zarsi e sapere a chi e come chiedere permesso, Leon scosta una coltre di tenebreper vedere la luce, intanto che l’adesca il suo candore; e con il gesto magico concui apre lo spazio al quale, così, dà consistenza, più che misurare la distanza danoi perché essa rientri docilmente nel suo raggio d’azione, a portata di braccia,ci accoglie in quello da cui è sbucato - e che, nel caso, si rivela uno dei punti d’ac-cesso alla mostra.

Nelle sculture e installazioni di Giacomo Rizzo, gli individui o anche solo i lorospezzoni - non necessariamente i più nobili - sono i testimonial involontari dellasocietà come spettacolo multi-mediale cui nessuno può sottrarsi. Rizzo non deveaspettare al varco i suoi personaggi, in una sorta di candid camera che ne fissi at-titudini quotidiane, rituali consumistici, atteggiamenti in cui c’è qualcosa in piùdi quello che l’immagine dichiara e che non sta ai patti. Qui, in Questa Passione(gesso, 2012) (FIG.13) si contrae a un massimo di intensità visionaria, non cheessere attivata nelle sue prerogative simboliche, in una specie di cuore rivelatorealla E. A. Poe: il corpo dell’edificio, anch’esso attraversato da dinamiche del pro-fondo e i corpi che esso ha accolto condividono lo stesso destino di maceria: nelloscarto organico fossilizzato o reliquia espiantata/referto di chi ce lo mette o loha lasciato in ostensione dopo che le pareti non possono custodire la passionesegreta che le ha corrose.

La ‘traiettoria’, infine, è quella che Davide Scandura inscrive nel vuoto di unaprivacy senza scampo, che passa attraverso le immagini di Ciclo Re-visione (foto-grafia digitale, 2013) (FIG.14): le foto di servizi igienici fuori uso sospese all’in-terno di bagni fuori uso, che ribaltano il concetto o spostano i termini di ri-cicloe visione in un degrado senza riscatto, qui, affrontato nel suo ‘momento della ve-rità’, cioè, alla fine del ‘ciclo biologico’ che vale, nel caso, per una struttura chetrovò la sua consacrazione museale nella versione duchampiana. La realtà comeun frammento o uno specchio dell’immagine che la rammemora, che la cita comeprecedente autorevole o desublimante o controparte chiamata in causa; quasi il‘negativo’ o il ‘doppio cieco’ di due metà o parti contigue che non si incontrerannomai per saldare i conti con se stesse, innanzi tutto. La foto come residuo diurnodi una realtà che resiste o sfugge, per ‘virtù’ o ‘incapacità’ propria, a ogni salvificaintenzione progettuale - tanto più in una riproduzione che la ‘immortali’ e pro-prio per questo, lontana anche solo dall’apparenza cui aderisce.

Infine, Calusca (Luca Scandura) - regista anche dell’intera operazione‘Rig/Right-Down’ - articolava nelle sue Calusca’s rooms: five histories,cinque stanze (e un ‘passage’/corridoio), altrettante storie - un’auto-

biografia delle pareti, un autoritratto ‘a memoria’ del tempo in corso d’opera: el’opera in fieri era quella allestita dall’artista, che ritornava su alcuni topoi, luoghi

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tematici del suo lavoro, rielaborando o ricontestualizzando opere precedente-mente realizzate, con cui opere realizzate ad hoc sono chiamate a interloquire. Ca-lusca non è nuovo alla pittura installativa, in cui, come in queste stanze, si entrae si esce dal quadro e dalla realtà senza sospettarlo, con la complicità di luci, mo-bili e suppellettili. Qui, le opere instaurano, secondo l’intento generale dell’ope-razione Rewrite, un ‘dialogo maieutico’ alla pari con la fisionomia di spazi e cose econ le macerie, come per rinvenirvi una sorta di mantica per interpretare i sogniche scaturiscono dai linguaggi, cioè, dalle cose che possono dirci/darci i residuidel passato: un luogo che non c’è (quasi) più, come un’unica e sotto qualcheaspetto, abitabile grande natura morta su scala 1:1, diventa la proiezione di unametafisica incerta che è della dimensione cronologica, prima che spaziale. Delresto, il tempo costituisce un ‘elemento naturale’ della pittura di Calusca, in cuicorpo e spazio coesistono indissolubilmente nella ‘dialettica negativa’ di presen-za - a volte, infatti, duplicata nelle figure - e assenza - che intacca e tarla una fisio-nomia -, nelle dissolvenze incrociate fra l’una e l’altra, fra apparizione e sparizione(n.d.e; intervisa all’artista alle pagine 12/14).ROOM 1: Dato di fatto, è posta sotto l’indice di una Real Life: vita reale, ma sfac-cettata, in V112 - Apocalypse in bed/box room with sacred curtain in fly, (t.m. su lastrametallica, 2013) (FIG. A PAG.12), dove uno degli ambienti chiusi ritratti da Ca-lusca viene mostrato dopo l’irruzione di un vento che, smuovendo una tenda, svelauna stanza lacerata e sfrondata. Sotto la finestra giace un letto o scatola, di cuirimane la cava struttura geometrica, bianca anima di una teca sepolcrale, dismessala funzione originaria. Questo giaciglio che non offre riposo e il parquet dalle assi,che scandiscono la distanza fra sfondo e superficie, sembrano le uniche parti so-pravvissute e ancora intatte all’urto che scardina le rette delle assi nelle pieghe,quasi altrettanto rigide, incise sulla tenda color porpora, che vediamo sgorgaredallo spazio aperto retrostante. Così è per la serie Dato di fatto (t.m. su formica,2014) (FIG. A PAG.14): lo specchio riflette i detriti, i frammenti sottovetro, rac-colti in piccole ante lignee di formica bianca (dismesse, abbandonate sul posto eriscattate dall’artista), su cui sono dipinti scorci d’angolo elusivi e panoramiche‘a perdita d’occhio’ su dettagli minimi, diaspore visive a corto raggio, stacchi suavamposti o retroscena di una presenza inseguita di passaggio in passaggio. ROOM 2: Incontro play. (First Time) era ospitata in una stanza/aula dove ibambini, a suo tempo, trovavano uno spazio per i loro giochi, decorata con muralesdi figure da cartoon. Vi si trovava Il gioco dell’incontro (t.m. su tavola, 2013) (FIG. A

PAG.12), con raffigurate due altalene, una, su sfondo verde a l’altra, su sfondobianco, che si incastrano, tanto che sono disposte sulle due metà di una cornicesagomata, stemmi gentilizi di un tempo ‘grande’ finito (First Time) che impattanel tempo dell’eterno ritorno del gioco. L’immagine delle altalene richiama, nellastruttura speculare e nella complementarità, i due bracci di una bilancia: per unbilancio sempre precario, sempre in bilico, in cui l’imponderabilità fa da contrap-peso alla forza. Il piccolo dittico fa da pendant allo scivolo collocato nel cortile delSantonoceto e scelto da Calusca come indice generale e chiave di lettura dell’in-tero progetto AciREwrite - metafora non solo ludica di una traslazione di senso edi tempi che si intersecano senza incontrarsi, senza appartenere o ancor primadi appartenere alla memoria, che ne è suggestionata e assolta. ROOM 3: Sogno / puff. (Other Time), consta di V112 - Before the whiff (installa-zione, materiali vari, 2014) (FIG. A PAG.13), una ripresa tematica e figurativa aspecchio con V112 - Apocalypse…, della Room 1. Il dipinto (succitato), con effetto tri-dimensionale, deborda nell’ambiente espositivo, tableau ‘vivant’ o mise-en-abîme di-slocata e rovesciata, in cui un quadro si replica da una stanza all’altra - e la secondastanza ‘travasa’ da quella raffigurata dal dipinto, rispecchiandola e con ciò, spo-stando i confini fra realtà e artificio: se non è questa, poi, a fare da modello a quelladipinta -, per uscire dalla cornice e fare della tela, della carta da parati e dell’ariaaperta, su cui la finestra del dipinto si apre, un identico tessuto, una veste - in-consutile, quand’anche lacerata; un’apparenza, per quanto ingannevole - deltempo. Solo che il tempo sembra scorrere a ritroso: infatti, quel che nella real lifeabbiamo visto sconvolto e nel disordine, è, qui, in other time, nel momento prece-dente, ricomposto e più vero di quanto lo fosse dopo, trovando vita propria in que-sta recita a soggetto dell’opera che, adesso, è, per così dire, trascritta in bella copia.ROOM 4: Gioco Vano / Project. (Time Work), riassembla lavori precedenti eutilizza il procedimento di “riassemblaggio” con procedimento metalinguisticoperfino nei titoli, se pensiamo a Giocovano (assemblaggio, materiali vari, 2014)(FIG.15, in primo piano): ‘puzzle’, una specie di scatola magica in cui tavole condipinti angoli d’interni, particolari architettonici, ‘pezzi d’anatomia’ domestica,ovvero un progetto e impegno di vita (time work) non realizzato o mai del tuttoconfigurato subisce una scomposizione e ricomposizione che si presta alla ma-nipolazione di quei dati fermi allo stadio elementare. Il lavoro richiesto si tra-sforma nell’occasione di un gioco per ragazzi - come il progetto ‘serio’ era nato,forse. Ecco perché CicloVano (t.m. su carta, 1998; n. 24 + 3 pz.) (FIG.15, in fondo)riprende il tema del tempo ‘ciclico’ intorno allo stesso centro ispiratore del lavoroe del gioco: il puzzle, adesso, si svolge in verticale, diventa esso stesso una costru-zione come, invece, quella dispersa nei singoli tasselli non riesce a compattarsi;mentre essi, disposti in forma di piramide, delineano quella che, non prevista, nescompagina e smembra l’immagine che dovevano ricomporre.L’itinerario prosegue attraverso il PASSAGE: Sonno / Pause. (Time Out), doveincontriamo: Studio di figura (inchiostro, 2009); Studio di figura: sonno 1 (inchiostro,2012); V 53 - Vana in carne (t.m. su tavola, 2007). Nei primi due, i canovacci di una‘pittura in sonno’: il segno scorre senza lasciare zone d’ombra, solo margini ispes-siti da un indugio più dell’occhio che divisa la forma, che per necessità di indivi-duazione del soggetto. V 53 - Vana in carne dice di un tempo vano quanto lo spaziodella porta cui è allineata, incastonata la carne, un sesso femminile in primo

piano, in oblazione o oblio dei sensi, in cui l’Eros sublimato o degradato è partedi un meccanismo di accesso a spazi insonni, a derive oniriche, a interdizioni eossessioni in cui riconosciamo la ‘filosofia della composizione’ di Calusca, l’ana-logia fra spazio e corpo, con la libidica o dolente espressività del primo nelle cose,nella sua struttura, in rapporti e dimensioni; e nel conflitto all’ultimo sangue fracarne e Eros.Room 5: Corpo / Love. (Second Time) : in una stanza dove sono disposti armadie scaffali ricoperti di scritte e fogli con una poesiola satirica lasciata dagli studentiin anni, ormai, lontani, troviamo tre opere (FIG. A PAG.14): la prima, V11 - Sleep’sWall o il Grande sogno (t.m. su tavola, 2002), è un quadro in tre momenti o tempi,secondo uno schema che sembra quello dell’arte arcaica del dio affiancato da dueparedre. Qui, una poltrona/scranno dalle frange ghignanti, ai cui lati sono dueletti con nudità femminili distese: una, di fronte e l’altra, di fianco. La tinta del-l’ambiente e delle figure è identica: un tessuto carnale che assopisce ogni sussultodei sensi, per cui ha più energia la poltrona dallo schienale alto. In V 29 - L’arco diSudek, falso (t.m. su tavola, 2004) Calusca dialoga con una foto del grande fotografoJosef Sudek, l’immagine di un arco in una città araba: atmosfera meno esotica chemetafisica, nel trasporre l’immagine fotografica, forse, ne rivela la vocazione inti-mamente pittorica, mutando un arco moresco in arco a tutto sesto, come un varcoche la luce si apre a forza nello spazio. Sole in una stanza vuota – Buongiorno signorHopper (t.m. su tavola, 2002): l’allusione/omaggio del titolo, oltre che all’artistaamericano, è, forse, a Morning Sun, fra le opere più celebri di Hopper: immagine diun addio o abbandono che nessuna luce potrà né sanare né raccordare a un primao a un dopo. Calusca anatomizza facce, interni, elementi d’arredo, vani/stanzevuote, pareti denudate, pavimenti corazzati o sepolti dal parquet; scale, pianted’appartamento, visuali che acquistano datità oggettuale, valore materiale perché‘segnano’ indelebilmente il visibile: e atmosfere, come fossero corpi sezionati perverificarne la ‘tenuta visiva’ di flagranza pittorica spinta allo spasimo; corpi sfittidalla vita e degrado di luoghi e cose nella loro disponibilità a esprimere l’umanonei segni che lo denotano, che lo adombrano mimeticamente - l’assenza più dellapresenza. Il significato delle cose è altrove, la presenza di esse è sempre in debitocon ciò che dovrebbe darne conto: e quando la distanza fra qui e l’altrove diventacolore, forma, ritmo che connette in una totalità gli elementi che la costituiscono,l’arte ha risolto quella presenza, allusa, dislocata, rimossa, nella propria presenza:corpo love, appunto, amato, perché segno e significato, qui e altrove coincidono,sintesi di quella totalità che ci è mostrata.

Quest’ultimo itinerario in cinque stanze/stazioni, quindi, chiude una parabola,quella di un luogo dal suo sorgere al suo diventare schermo di proiezione per unariscrittura che lo riconfigura come - disastrata, disarticolata - mappa (si vorrebbedire: dell’Essere destrutturato) geologica del tempo: oltre che esempio concreto diun lungimirante “riuso.” Il libro/catalogo è edito da Newl’ink, collana “L’Utility”.

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l’AREASPECIALE

RagusaA tutto volume

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l’AREASPECIALE

Il fascino di autori unici insieme a quellodi una città incomparabile. Da venerdì 6a domenica 8 giugno Ragusa accoglie imaggiori protagonisti del mondo lette-rario: da Silvia Avallone a Marco Trava-glio e Giancarlo De Cataldo, da AlessiaGazzola a Domenico De Masi e Cor-rado Formigli fino al premio Oscar Ni-cola Piovani al debutto con il libro frut-to dei suoi ricordi. Un programma ric-co, che spazia dalla narrativa alla saggi-stica, in grado di richiamare gli appassio-nati di tutta Italia.Nella magia di Ragusa, tra i tesori del ba-rocco, tre giorni densi di incontri che con-sentono al pubblico di vivere e confron-tarsi con gli scrittori. I testi scelti offronoun’opportunità particolare di guardare

dentro i sentimenti e le idee delle perso-ne. Grazie ai libri, Ragusa diventa il luo-go privilegiato dell’approfondimento econ il suo festival letterario, giunto allaquinta edizione, invita a immergersi nel-l’incantata cornice della capitale del ba-rocco alla scoperta degli angoli più sug-gestivi del sito patrimonio mondiale del-l’Unesco.Nel programma di A tutto volume mes-so a punto da Roberto Ippolito figuranoper la narrativa, oltre Avallone e Gazzo-la, Carlo Bonini (coautore di De Catal-do), Pietrangelo Buttafuoco, LucianaCastellina, Alicia Gimènez-Bartlett,Chiara Valerio e Marco Steiner. Di cul-tura, che vede la presenza di De Masi ePiovani, si parla con Marino Sinibaldi.

Da Silvia Avallone a Marco Travaglio e Giancarlo De Cataldo,

da Alessia Gazzola a Domenico De Masi e Corrado Formigli fino al premio Oscar Nicola Piovani in arrivo a “A tutto volume”,

richiamo imperdibile per gli appassionati di tutta Italia.

a cura della Redazione dal 6 all’ 8 giugno 2014

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l’AREASPECIALE

Per l’attualità e la saggistica sono incampo, oltre Travaglio e Formigli,nomi come Edoardo Boncinelli, Giu-lio Giorello, Loredana Lipperini, Ric-cardo Chiaberge e Roberta Corra-din. Tutti personaggi di spicco perl’economia che schiera Valerio Ca-stronovo e Innocenzo Cipolletta;per la fotografia Gianni Berengo Gar-din; per la cucina Alessandro Bor-ghese; per l’arte Costantino D’Ora-

A TUTTO VOLUMELIBRI IN FESTA A RAGUSAV EDIZIONE

RAGUSA - RAGUSA IBLA6 | 8 giugno 2014

Evento a cura dellaFondazione degli Archi

Direttore EditorialeRoberto Ippolito

INFO Per informazioni su pacchetti turistici, hotel, b&b e struttureconvenzionate contattare il393.0964902 o consultare lapagina dedicata sul sito www.atuttovolume.org IN

FO

zio e Antonio Forcellino; per lo sportAlfio Caruso. Per autori di questo livello e per que-sto evento orientato alla qualità, Ra-gusa è il luogo naturale. È possibileapprezzarla, per esempio, già al mat-tino con le “colazioni con gli autori”nelle quali accanto agli scrittori puòsedersi chiunque. Poi via nell’attualecentro storico o a Ibla: lettori, curiosi,visitatori possono scegliere chi e cosa

ascoltare e vedere, lasciandosi rapirecontemporaneamente dallo splen-dore degli squarci barocchi come lamaestosa e senza uguali Cattedraledi San Giovanni Battista di RagusaSuperiore o l’incredibile palcoscenicodi piazza Duomo, l’elegante Circolodi Conversazione, la chiesa di SanVincenzo Ferreri, Santa Teresa e ilprezioso teatro Donnafugata a Ibladove si ammirano, uno dietro l’altro,

i gioielli della lista del patrimonio mon-diale Unesco. Spazi carichi di storia edi suggestione, normalmente estra-nei alle iniziative culturali o alla pre-sentazione di libri, accanto a luoghipiù comuni come vicoli, giardini, bare ristoranti si aprono per l’occasioneagli incontri di “A tutto volume”. La festa ragusana dei libri non puòessere persa anche dagli amanti dellabuona tavola. Il turismo enogastro-nomico ha di fronte a sé un interoweekend per apprezzare i prodottidel territorio - dal caciocavallo Ragu-sano DOP al vino Cerasuolo, dallacioccolata modicana all’olio extra-vergine d’oliva dei Monti Iblei pas-sando per il pomodoro ciliegino e ilmiele - e gustare i piatti di raffinatichef. Il connubio perfetto tra appro-fondimento intellettuale, bellezza eunicità dei sapori.

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gennaio | aprile 2014 | DOPPIO l’OCCHIO

di Andrea Viscuso

ammirare l’arte di Genovese non significa limitarsi alla sua poe-tica, ma è in qualche modo affascinarsi di noi stessi e della no-stra storia. Le stelle e le loro infinite trame disegnate dall’uomo,non possono trovare ristoro nelle semplici parole, esse vannoscoperte, ricercate e trovate; il gusto della ricerca non può ri-dursi ed affievolirsi in un racconto: Rosario Genovese ci inse-gna a scoprirle, bisogna alzare lo sguardo al cielo per scoprirel’universo che si cela e si evolve dentro noi stessi.

L’uomo ha sempre guardato le stelle; volgendo losguardo al cielo abbiamo assistito alla loro nasci-ta, le abbiamo viste crescere ed infine morire; esseci hanno guidato, confortato ed ispirato; in qual-che modo hanno sempre preso parte alla costru-zione delle nostre vite: in maniera quasi arcana cidefiniscono come esseri delineando la nostra na-tura, prendono parte alla nostra storia e si iscri-vono nei nostri geni. Il complesso rapporto sim-biotico tra l’universo e la natura umana si trasfi-gura nelle stelle di Genovese che non si limitanoa raccontare la storia dell’artista, ma ci guidanoattraverso l’evoluzione dell’uomo abbracciandoed esplorando il profondo legame del nostro es-sere con quello dei corpi celesti.L’arte di Rosario Genovese non trova la sua fontein un profondo sonno della ragione che genera in-tere costellazioni, bensì nasce da un’accurata in-dagine scientifica e da uno studio meticoloso del-l’astro. L’analisi delle forme, l’intenso rapportocon la matematica che si traspone sulla tela attra-verso gli schemi della sequenza di Fibonacci edella sezione aurea danno vita alle sue stelle chediventano espressione naturale di arte e scienza.È il dualismo il padrone della poetica di Geno-vese, perfetto connubio tra espressione e rifles-sione, tra forme e colori; così come un parto ge-mellare, nascono le sue opere che ci raccontano lacreazione delle “stelle binarie” a contatto: stelleche condividono lo stesso nucleo, legate dallastessa anima, destinate a sorreggersi a vicendagrazie ad un intenso scambio di energia ed in cer-ti casi ad assorbirsi. L’intensa affinità che i corpicelesti creano con lo spettatore si instaura sullaloro perfetta incompiutezza: il caos e l’infinitabellezza della natura informe si specchiano nellavita stessa dell’uomo che si finalizza nella conti-nua ricerca di qualcosa. Le stelle di Genovese citrasportano nelle loro storie, nella loro natura enel gusto che nasce dalla scoperta. Nascono cosìle innumerevoli figure che lottano per emergeredal caos: frutti proibiti generati dalla totalità di-namica del corpo celeste che si evolve e matura difronte i nostri occhi nascono idee, nascono volti,uomini ed infine mostri. L’artista ci guida attra-verso i suoi sentimenti con la sua personale chiavedi lettura lasciandoci la libertà di trovare altro edi cercare noi stessi. Il complesso percorso arti-stico di Genovese trova infine la sua compiutezzanella personale poesia scientifica; curata, ricercatae dettagliata, dettata dall’emozione di una nuovacreatura è infine traduzione della concordanza trascienza e arte. L’artista si racconta nelle sue opere,racconta la sua vita, la sua ricerca, la sua scienza,percorrendo la strada che la specie umana nellasua evoluzione ha compiuto insieme alle stelle;

Lo strofinaccio è qualcosa che non puoi controllare… Lo giri e tamponi… Questotamponare fa nascere la natura dell’informe(Rosario Genovese)

Navigando nello spazio, raccolgo Spica stella parlante.Io folgorato dai suoi brillamenti luccicanti,sogno a occhi aperti.

[...] elementi che trascinano la paura scatenano vuoti.Essi si popolano di fantasmi amati.Una nuova realtà altra, è stata attraversata.Fantastiche visioni di esseri surreali, sono nuovi livelli unificati dal pen-siero.

(Da “Spica” di Rosario Genovese)

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GALLERIA/MUSEO PERMANENTE LA VITE28 marzo | 27 aprile 2014Via Vittorio Emanuele, 102/108Catania

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l’ARCO

Palazzo Valle:rinascita di un capolavoro

Come ben sosteneva l’architettoe decoratore Francesco Fichera(Catania, 1881-1950), Palazzo Val-le è il più bello tra gli edifici civiliprogettati dal grande architettoGiovanni Battista Vaccarini (Pa-lermo, 1702-1768).Archetipo dei palazzi signorilicatanesi, l’edificio occupa l’in-tero isolato compreso tra via Vit-torio Emanuele, via Landolina,via Valle e via Leonardi, ed è sta-to progettato intorno alla primametà dei ‘700 (l’inizio lavori ri-sale al 1741, come riportato nel-l’architrave d’ingresso).Fu Pietro la Valle, figlio di Vin-cenzo la Valle Paternò Castello edi una Gravina a commissionarela sua edificazione, che si svolsein tre tempi e si concluse nellaseconda metà dell’800.La sua facciata, con le aperture,le decorazioni e i diversi ordinicompositivi, esprime in pieno lacreatività del Vaccarini: mensolesmussate e addolcite agli angoli,campi geometrici riquadrati, unaggraziato balcone nel cui tim-pano circolare spicca lo scudodella casa Valle-Gravina, la pie-tra calcarea posta su intonacoscuro, i particolari e le rifiniture,l’imponente portone, permetto-no al prospetto principale di rag-giungere un aspetto di grandeeleganza.Oggetto di una serie ininterrottadi atti di successione, iniziatagià alla fine del ‘700, durante laquale non sono stati mai attuatiinterventi di manutenzione, edopo molteplici destinazionid’uso, Palazzo Valle è caduto inuno stato di abbandono e di de-terioramento tali da diventareinagibile. La rinascita di Palazzo Valle èstata voluta da Alfio Puglisi Co-sentino che nel 2001 acquistal’immobile dagli Asmundo Zap-palà di Gisira, con l‘intento di ri-portarlo al suo antico fasto e diassegnarlo a una destinazione digrande valenza culturale: sededella Fondazione Puglisi Co-sentino oggi uno dei punti di ri-ferimento nazionale nella pro-mozione dell’arte, in particolaredell’arte contemporanea.Gli interventi di ripristino e riu-so, durati dal 2004 al 2008, sonostati progettati e diretti dal grup-po di lavoro “G.Studio - ingg. V.Garozzo e A. Grasso“ di Aci-reale (CT).

L’ES

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Per quasi due mesi, grazie all’impe-gno ed all’entusiasmo di giovani pro-fessionisti del gruppo RinnovAci, lacittà di Acireale ha avuto l’opportu-nità di rivisitare e riappropriarsi delcollegio Santonoceto, uno spazio ric-co di storia, la cui antica funzione dieducazione e formazione ha contri-buito a render celebre la città. All’interno del collegio si sono infattisvolte diverse attività che, ridandovita ad un luogo quasi dimenticato,hanno messo in evidenza il ruolo chestrutture di pregio come questo, unavolta recuperati ed adibiti a funzioniattuali, possono assumere nella vitacittadina.La risposta della comunità a questagrande occasione e la partecipazionedegli addetti ai lavori nelle conferen-ze di apertura e chiusura della mani-festazione AciRewrite, in cui la Fon-dazione dell’Ordine degli ArchitettiP.P.C. di Catania ha voluto dare unforte contributo, hanno confermatoquanto sia sentita l’esigenza di met-tere a fuoco il tema della riqualifica-zione urbana di cui già da tempo sista occupando il Consiglio naziona-le degli architetti, pianificatori, pae-saggisti e conservatori (CNAPPC) in

stretta sinergia con l’Associazione deicostruttori edili (Ance) e gli ambien-talisti di Lega Ambiente.Il progetto di RIUSO, acronimo diRiqualificazione Urbana Sosteni-bile, costituisce infatti oggi la grandesfida su cui si basa il dibattito su unnuovo modo di costruire, recuperan-do il grande patrimonio edilizio e mo-numentale esistente, limitando finoall’azzeramento l’uso del suolo nonurbanizzato, e utilizzando nuove tec-nologie e sistemi innovativi sia nellarealizzazione di nuovi edifici in so-stituzione di quelli esistenti nelle pe-riferie sia nel restauro e risanamentoconservativo di quelli presenti neicentri storici.Per questi ultimi, su cui si è partico-larmente dibattuto nella tavola ro-tonda di chiusura della manifesta-zione, occorre innanzitutto dare vi-ta ad un censimento del patrimoniostorico monumentale presente nelterritorio, un bene spesso in condi-zioni di degrado e che rischia di an-dare perduto se non si avviano con-crete azioni di recupero e riqualifica-zione. Riconversione delle nostre città, dun-que, basata su un’attenta analisi del-

l’esistente, della sua rilevanza monu-mentale, della sicurezza statica e del-le condizioni di degrado, oltre chedelle esigenze ed aspettative dellacomunità che le può riutilizzare inmodo adeguato ai tempi. Soltanto ri-partendo dalla cultura alla base delvivere sociale e del rispetto della sto-ria possiamo riappropriarci dei valo-ri della città e comprendere le causeche hanno comportato la sua nascitae la sua evoluzione.Le nostre città sono oggi caratteriz-zate dalla stratificazione di diversimomenti storici con la concomitan-te presenza di stili e linguaggi diffe-renti, che nell’insieme ne costitui-scono il valore univoco. Attraversol’attenta analisi e la riconoscibilitàdegli edifici storici, il loro recupero,oltre che fisico, sta nel riportarli auna nuova funzionalità, atta a sod-disfare le esigenze di una nuova co-munità. Con grande coraggio ed one-stà intellettuale, così come è avve-nuto nel passato, si deve saper ancheaffrontare la via della demolizione,necessaria nei casi di irrilevanza sto-rico-architettonica o “malessere strut-turale”, proponendo ricostruzioniche non rifuggano nella mimesi oopere di rinaturalizzazione e/o rifun-zionalizzazione delle aree interes-sate. Si tratta comunque sempre diinterventi che, rifuggendo dalla spe-culazione, servano a restituire benialla comunità, recuperandone l’uti-lità e garantendo la possibilità di unafruizione collettiva.Questa grande opportunità di riusodel patrimonio storico e monumen-tale, che si attua rigenerando i tessu-ti urbani con il ricorso a criteri di so-stenibilità ambientale e sociale e diuso intelligente delle tecnologie digi-tali, non può però prescindere dallapartecipazione dei cittadini e da nuo-ve forme di gestione dei beni collet-tivi. Il recupero dell’ identità urbanae della qualità architettonica, stretta-mente connessi al benessere sociale,non può essere infatti delegato esclu-sivamente a tecnici ed amministra-tori che devono invece sapersi tra-sformare in vettori attuativi del sen-tire comune delle esigenze di quali-tà proposte e volute dalla comunità.

IN ALTO A SINISTRA j

Palazzo Valle oggi(Fotografie fornite da G.Studio)

Rubrica a cura dellaFondazione dell’Ordine degli

Architetti, Paesaggisti, Pianificatori e Conservatori

della provincia di Catania

di Paola Pennisi

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anno IV

cOVERSPORT

­LETTURA Cristiano Ceroni

Nato a Venezia nel 1970. Si dedica al dise-gno sin dall’infanzia, solo qualche annopiù tardi la sua passione lo porta alla pit-tura quale naturale accrescimento dellapropria espressione artistica. Si diplomaall’Accademia di Belle Arti di Venezia nel1995. I suoi lavori si concentrano princi-palmente sul concetto di consunzione delmito. Recentemente il suo lavoro affrontatematiche di carattere sociale e politico.Vive e lavora a Mestre (Venezia). Nel cor-so degli anni ha partecipato a diverse mo-stre tra le quali: Versi Apocrifi, a cura di New-L’ink), Spazio Naselli, Comiso (RG), 2013;Cattivi Maestri, a cura di G. C. Venuto e F.Dell’Agnese, Ipogeo Perusini, Corno diRosazzo (UD), 2012; Il bosco d’amore - Omag-gio a R. Guttuso, a cura di R. Giudice, Fond. Pu-glisi Cosentino, Catania, 2011; Taccuini delMediterraneo, a cura di G.C. Venuto e F.Agostinelli, Gall. Regionale d’Arte Contem-poranea L. Spazzapan, Gradisca d’Isonzo(GO); Costellazioni, Galleria Flaviostocco,Castelfranco Veneto (TV); Giovani artisti aconfronto, Gall. Flaviostocco, CastelfrancoVeneto (TV), 2004; Mostra personale De-Formazioni, scritti di L. M. Barbero e R.Scuttari, Galleria Flaviostocco, Castel-franco Veneto (TV); Tu Rooms, a cura di R.Caldura, Area Carlo Scarpa, FondazioneQuerini Stampalia, Venezia, 1996; 79a Mo-stra Collettiva Bevilacqua La Masa, GalleriaBevilacqua La Masa, San Marco, Venezia,1994; Concorso Naz. Rinascente Immagi-naria 92 (premiato), tra gli altri in giuriaA. B. Oliva, Palazzo Durini, Milano, 1992. Le cOPERTINE di questo numero dOPPIO di Newl’ink

proseguono il ciclo di cover realizzate dalla no-

stra redazione attraverso la diretta collabora-

zione e sinergia con l’operato dell’artista invi-

tato a realizzare l’opera che interpreterà il tema

sportivo del bimestre. Il nostro direttore creativo

è intervenuto, manipolandole, sulle immagini di

altre due opere fornite dallo stesso artista per da-

re a quest’ultime un’ulteriore significato, renden-

dole immagini di una nuova libertà che è arte e con-

tenuto oltre che espressione della Nostra attualità.

gennaio- aprile 201412

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l’ARTISTA

Progetto editoriale, Concept, Direzione creativaLuca ScanduraHanno scritto e collaborato in questo numeroG. Bella, A. Casciaro, G.C. de Feo, R. Digia-como, O. Fazzina, G. Giudice, R. Giudice,M Guarrera, D. Iaracà, S. Lacasella, S. Mon-talto, N. Pela, P. Pennisi, M. Romano, D.Scandura, A. Viscuso.

Le fotografie alle pagine 26/29 sono di:D. Scandura, F. Tagliavia, S. Panebianco,L.Scandura.

Tiratura7.000 copieRegistrazione in attesa di registrazione

Direttore ResponsabileGianni MontaltoEditore

di Luca Scandura via Giuseppe Vitale, 2995024 - Acireale (CT)[email protected] Giuseppe Vitale, 2995024 - Acireale (CT)Progetto graficoLucascanduraDesignerStampaModul Motta S.r.l.Zona Industriale III fase - V.le XVII, 2297100 - Ragusa

È VIETATA LA RIPRODUZIONE ANCHE PARZIALE ALL RIGHT RESERVED

L.S.+(l’artista di Newl’ink)

SOPRA, DA SINISTRA, IN SENSO ORARIO jhk A. Giovannoni

Il timoniere, 2014, tecnica mista su carta, cm 51 x 35 (OPERA REALIZZATA PER LA PAGINA SPORTIVA)

Via salaria con ciclista, 2012, olio su tela cm 65 x 145(OPERA ScELTA PER LA cOVER N.13)

Canicola, 15 agosto ore 15,00, 2012 olio su tela, cm 70 x 135(OPERA ScELTA PER LA cOVER N.12)

Scalinata a valla Giulia, 2013, olio su tela, cm 53 x 230

NELL’ANGOLO A SINISTRA IN ALTO j Cristiano CeroniSenza titolo2014, olio su tela, cm 31,5 x 22 (particolare)

Alessandra Giovannoni è nata a Roma nel 1954 dove vivee lavora.Principali Mostre Personali: 1986 e 1989: Galleria Al Ferrodi Cavallo, Roma; 1992: Galleria De’ Serpenti, Roma; 1994-1998-2003-2007-2011: Galleria Il Segno, Roma; 1997,Museo Laboratorio, La Sapienza, Roma; 1999: Galerie Hei-defeld & Partner, Krefeld (Germania); 2000: D’AC, Ciam-pino, Roma; 2003: Villa Strohl-Fern, Roma; 2006: GalleriaRubin, Milano; Loggiato S. Bartolomeo, Palermo; GalleriaLa Piccirella, Firenze; 2007: Palazzo Dei Capitani, AscoliPiceno; Museo Arte M. e C., Anticoli Corrado (Roma);Museo C. Mastroianni, Marino (Roma); 2011, Museo Bi-lotti, Roma.Principali Mostre Collettive: 1994-2002-2008-2009-2013:XXXXVI-LIII-LIX-LX-LXIII Ed. Premio Michetti, Fran-cavilla al Mare (CH); 1995 e 2005: XII e XIV Quadriennaled’Arte di Roma; 1999, VII Lavori in Corso, MACRO, Roma;1998-2000-2006-2010: VIII-IX-XII-XIV Biennale d’ArteSacra, S. Gabriele (TE); 2006: Pitture, Treviso, Bologna,Catania, Comiso; 1998: XXXI Premio Vasto, Vasto; 1999:

Premio Kiwanis, Quinta edizione, Villa S. Giovanni (RC);2000: Galerie French Rackey, Francoforte, Germania;2005-2006-2007-2008: per la “Repubblica”. Auditorium eVilla Poniatowsky, Roma; 2005: Il paesaggio italiano con-temporaneo, Pal. Ducale, Gubbio (PG); 2007: Quattro Pit-trici, Accademia d’Ungheria, Roma; 2007: BiennaleAlessandria d’Egitto, Cairo, Egitto; 2010: Un mosaico perTornareccio, Tornareccio (CH); 2011: 54° Esp. Biennale diVenezia, Padiglione Italia; Il Palazzo della Farnesina e lesue Collezioni: Museo Ara Pacis, Roma; Premio Cameradei Deputati, Montecitorio, Roma; 2012: Oltre la notte, Ar-tisti romani per il Divino Amore, Santuario della Madonnadel Divino Amore, Roma.

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