New Il cinema muto tedesco degli anni Venti tra espressionismo e … · 2015. 11. 17. ·...
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Espressionismo
Espressionismo
Fra le cinematografie europee, quella tedesca più delle
altre ricorre alla cultura artistica, architettonica teatrale e
letteraria per sfruttarne i valori come elementi di validazione
del prodotto cinematografico e della sua vendibilità.
Karl Freund, regista e direttore della fotografia
Ernst Ludwig Kirchner, Strada a Dresda (1908)
Espressionismo
La tendenza si afferma grazie a un clima fervido che favorisce la
disponibilità di architetti e scenografi di prim’ordine, pittori, scrittori e
drammaturghi, garantendo una interazione continua tra gusto,
immagini filmiche e vari universi artistici e culturali.
Cinema espressionista
In questa cornice, il cinema espressionista si rivela in grado di
proporre una sintesi radicale tra immaginario e stile, raggiungendo
peculiari forme espressive attraverso una particolare valorizzazione
della messa in scena. La ricerca sulla configurazione dell’immagine
si esercita dunque sullo spazio e sulla scenografia che le
inquadrature possono esaltare.
Cinema espressionista L’espressionismo nel
cinema non ha confini
precisi e si fa talvolta
coincidere con l’intera
cinematografia
tedesca fino al 1933. Ma
il panorama è un po’ più
complesso e, oltre al
cinema tradizionale,
sono presenti in quel
periodo almeno altre due
tendenze: il Kammerspiel
e la Nuova oggettività.
Cinema espressionista In un’ottica rigida, l’unico film
espressionista (e insieme il
paradigma del movimento)
sarebbe Il gabinetto del dottor
Caligari, mentre negli altri film si
troverebbero solo tratti, più o
meno evidenti. Una visione
meno severa tende invece a
vedere l’espressionismo come il
«clima diffuso» che influenza
una serie di film diversi, tra cui
le opere di grandi maestri come
Murnau, Lang, Pabst, ecc.
Murnau e Ekman girano Faust, 1926
Trucchi Per operare le
distorsioni tipiche
dell’espressionismo,
che sostituiscono la
percezione soggettiva
della realtà alla sua
descrizione oggettiva,
vengono recuperati
i trucchi del vecchio
cinema delle
attrazioni, che
ricreano mondi irreali,
distorti e allucinati.
Temi
Anche nel contenuto, si affrontano temi misteriosi e soprannaturali,
presi dal regno delle ombre e delle creature del male e potenziati
dalle possibilità del cinema. L’uso di modalità stilistiche esasperate
e deformate suscita nel pubblico sensazioni ed emozioni forti.
Tecnica Nella creazione di questi mondi irreali ha
grande importanza la scoperta del
cosiddetto effetto Schüfftan, che
permette la creazione di mondi virtuali a
costi molto bassi rispetto alle
scenografie. Esso consiste nell’uso di
cartoni disegnati proiettati e ingigantiti
con un gioco di specchi, fino a diventare
lo sfondo di una parte dell’inquadratura,
mentre gli attori si muovono in un’altra,
magari inquadrati da lontano,
anticipando il contemporaneo blue
screen. Si possono così inventare intere
città e architetture vertiginose. L’esempio
più eclatante è la città di Metropolis.
Eugen Schüfftan (1893-1977)
Primo piano
Nel cinema tedesco di quegli anni, inoltre, viene sfruttato per la
prima volta in maniera coerente il grande valore espressivo dei volti
tenebrosi, truccati pesantemente o dalle espressioni sovraccariche,
con l’uso del primo piano con effetti demoniaci e persecutori o,
viceversa, vittimistici e perseguitati.
Fondali
L’uso generalizzato di fondali dipinti (di derivazione teatrale), porta a
una subordinazione dei personaggi, che devono adattarsi alle
scenografie e non viceversa. Angoli acuti, ombre marcate e
recitazione spigolosa sono i capisaldi dell’espressionismo.
Il prototipo Das Cabinet des Dr. Caligari
Il gabinetto del dottor Caligari
Tutti questi caratteri naturalmente si ritrovano nel film feticcio, Il gabinetto del dottor Caligari (Das Cabinet des Dr. Caligari, 1920) di Robert Wiene, che restituisce una radicale trasformazione del modo di pensare il cinema,
presentando una sintesi inedita fra immaginario e stile della messa in scena.
Trama
Il film - costituito da un prologo, una storia centrale raccontata da Franz, uno
dei personaggi, e un epilogo - è impostata come un incastro di scatole cinesi. Il
giovane Franz racconta a un anziano amico una vicenda sinistra avvenuta nel
suo paese natale che ha come protagonisti l’ambulante dottor Caligari e il suo
servo sonnambulo, Cesare, esibito come fenomeno da baraccone. Durante la
loro permanenza avvengono misteriosi delitti e infine viene rapita l’innamorata
di Franz, Jane. Gli inseguitori scoprono che il rapitore è il sonnambulo e che
Caligari si è rifugiato in un manicomio, del quale si scopre essere lui il direttore.
Trama
Avvertiti i medici, Franz svela che Caligari confessa nel suo diario di voler
emulare un suo omonimo del Settecento che induceva un sonnambulo a
commettere delitti contro la sua volontà. Il direttore ammette la sua follia e
viene rinchiuso, ma presto si scopre che anche Franz vive nel manicomio: in
realtà è lui il folle che, ossessionato da Caligari, ha costruito la storia usando i
pazienti come personaggi. Caligari sarebbe quindi un medico equilibrato e
attento, ma il suo ultimo sguardo - mentre nella didascalia esclama, ambiguo e
minaccioso, «Ora so come curarlo» - sembra rimettere tutto in discussione…
Temi
Il gabinetto del dottor Caligari è uno dei primi film legati ai temi della
filosofia contemporanea e risente del clima di messa in discussione
della realtà, della cosa in sé e della verità che caratterizza la crisi del
positivismo e l’eredità nietzscheana. Già la trama, infatti, è densa di
colpi di scena spiazzanti e reciproche accuse di follia, ma
l’elemento di maggior inquietudine dell’opera risiede nella struttura
ombrosa e destabilizzante che avvolge la storia.
Deformazioni
I volti dei personaggi sono deformati non solo dalle smorfie ma anche da
truccature vistose, come gli occhi cerchiati di Cesare. Le scenografie, realizzate
da Walter Reimann e Walter Röhrig, dispiegano una geometria allucinata e
improbabile, ricca di spigoli sinuosi e ombre inquiete. L’ambientazione
innaturale, distorta e opprimente richiama figurativamente le contemporanee
opere di Kirchner e la sua sistematica alterazione palesemente allude, sul
piano simbolico, all’alterazione della psiche e allo scacco della mente razionale.
Il cinema diventa un veicolo capace di rivelare i fantasmi interiori.
Thaïs
È visibile anche una parentela con le scenografie futuriste di Enrico
Prampolini per il film Thaïs o Perfido incanto, (1917) di Anton Giulio
Bragaglia, che usa forme geometriche estetizzanti e ipnotiche,
basate sul forte contrasto bianco/nero, con spirali, losanghe,
scacchiere e figure simboliche.
Thaïs
Anche qui le scene dipinte interagiscono con i personaggi, creando
un mondo illusorio che confonde realtà e finzione, profondità e
prospettive. Ispirandosi al Liberty e all’arte simbolista, Prampolini
dipinge figure sinistre che sembrano presagi di morte e visioni
opprimenti il cui antinaturalismo precorre l’espressionismo tedesco.
Montaggio
Il montaggio, ridotto al minimo, lascia il posto a una
serie di lunghe inquadrature fisse, quasi concluse in
se stesse, che creano un’atmosfera bidimensionale e
asfissiante, la sensazione di un mondo “chiuso”, di là
del quale non esiste nulla.
Il Caligarismo
Altri film come Algol (1920) di Hans Werckmeister e Torgus (1920) di Hans Kobe ricreano un mondo irreale e fantastico che si sostituisce all’universo dei fenomeni: è una linea di cinema grafico chiamata anche Caligarismo,, destinata però alla sconfitta di fronte al cinema votato alla simulazione del reale.
Algol (1920)
La storia parte dall’incontro di un minatore, Herne, con un abitante del
pianeta Algol, che gli dona il prototipo di macchina in grado di produrre
energia illimitata. Ma invece di alleviare le fatiche dei lavoratori, il
dispositivo crea enormi sconvolgimenti economici in tutto il mondo, di cui il
protagonista approfitta per imporre il suo potere. Mentre il figlio Reginald
trama per impadronirsi dei segreti della macchina, l’ex operaio si rende
conto di quanto sia stato corrotto dal potere e distrugge la macchina.
Torgus (1920)
Racconto morale tratto da un’antica leggenda islandese il cui
giovane protagonista abbandona la serva sedotta per sposare una
ricca ereditiera e riceve, come dono di nozze, una bara con il
cadavere della donna, morta per amore.
Alraune
Alraune, die Henkerstochter,
genannt die rote Hanne è
un film del 1918 diretto da Eugen
Illés e Joseph Klein, tratto da un
romanzo di Hanns Heinz
Ewers. Uno scienziato crea, con la
fecondazione artificiale tra un morto
e una prostituta, una nuova
creatura che alleva come sua.
Bellissima e malvagia, Alraune è
l’attrice Hilde Wolter. In due versioni
successive (La mandragora e
Alraune la figlia del male), il ruolo
sarà di Brigitte Helm.
I precursori
Il Caligari non è tuttavia un fulmine a ciel sereno, poiché il clima di
rinnovamento, che la guerra ha solo esasperato, era vivo fin dagli
anni Dieci e aveva già prodotto opere significative, i cui temi saranno
ripresi dopo il successo di Caligari, a volte con veri e propri remake.
Fra le altre, era emersa la figura di Paul Wegener, appassionato di
effetti e trucchi fotografici, in particolare l’effetto fantasma (la doppia
esposizione) che richiamava il doppelganger caro alla tradizione
popolare tedesca. Affascinato dal suo uso nel cinema, dopo averne
discusso con Guido Seeber (autorevole tecnico della Bioskop),
aveva realizzato, collaborando alla regia del danese Stellan Rye e
alla sceneggiatura, uno dei film più innovativi e visionari e del
periodo: Lo studente di Praga (Der Student von Prag, 1913).
.
Lo studente di Praga
Trama
Praga, 1820. Lo studente Balduin s’innamora di una facoltosa
Contessa. Pur di poterla amarle, accetta la proposta del mefistofelico
Scapinelli, disposto a comprare la sua immagine riflessa in uno
specchio per 100 mila fiorini. Ma, una volta diventato ricco, per lui si
apre l’abisso della perdizione.
Trama
Il doppio inizia a perseguitarlo, compiendo azioni che lo screditano e
rendono impossibile il suo amore per la contessa. Deciso a porre fine
a tutto ciò, Balduin spara all’ennesima apparizione della sua
immagine, uccidendo il suo doppio ma anche se stesso.
Cinema e arte
Ispirato a La meravigliosa storia di Peter Schlemihl (1814) di
Adalbert von Chamisso, sceneggiato da Hanns Heinz Ewers e
ambientato in una Praga inquietante, svelata dalla fotografia di
Seeber con sovrimpressioni e trucchi ottici, il film è considerato la
prima “opera d’arte“ del cinema tedesco.
Cinema e arte
I suoi temi (la violenza del destino e lo sdoppiamento della
personalità) disegnano una metafora sull’inconscio e sulla lotta
interiore tra il bene e il male. I sortilegi e il pathos luttuoso anticipano
quelli espressionisti.
Alla prima, il 22 agosto 1913 al Nollendorfplatz di Berlino, il film
riscuote un grandissimo successo e Wegener viene acclamato come
uno degli attori più innovativi e interessanti del cinema tedesco. Il
film viene esportato anche negli Usa col titolo A Bargain with
Satan (Patto con Satana) e riceve di nuovo grandi apprezzamenti.
Theater am Nollendorfplatz, 1940
Gli aspetti “espressionisti” vengono accentuati nel rifacimento del
1926, diretto da Henrik Galeen con Conrad Veidt e Werner Krauss,
mentre un secondo remake si avrà nel 1935 per la regia di Arthur
Robison.
Der Golem
La collaborazione tra Wegener e Seeber
produce nel 1914 un altro grande
classico della cinematografia
mitteleuropea: Der Golem, ispirato
all’omonimo romanzo fantastico di
Gustav Meyrink uscito lo stesso anno.
Der Golem
Ricalcando l’attenzione romantica, per le antiche
cronache e le fonti anonime, il film riprende una
famosa leggenda popolare che, ambientata nella
Praga del Cinquecento, narra la vicenda di un
gigante d’argilla creato da un rabbino per
proteggere il suo popolo dalle persecuzioni.
Der Golem
Il film del 1914, prodotto, sceneggiato, interpretato e diretto (con
Henrik Galeen) da Wegener, con la fotografia di Seeber e le scene
di Rochus Gliese, ambienta la storia nel presente, su richiesta del
produttore; un antiquario ritrova la creatura magica e la risveglia per
metterla a proteggere la figlia, ma il mostro se ne innamora. Per
difendere l’amato dalla furia del Golem, la ragazza spezza l’amuleto
che lo tiene in vita, riducendolo in frantumi.
Der Golem 1920
Il film ha successo e porta Wegener all’apice della fama, tanto da
indurlo a tornare sullo stesso tema con il modesto cortometraggio
parodistico del 1917 (Der Golem und die Tänzerin-Il Golem e la
danzatrice) e a girare nel 1920 una specie di prequel: Der Golem,
wie er in die Welt kam (Il Golem-Come venne al mondo), che
(essendo perduto il Golem del 1915, tranne pochi frammenti) è il più
famoso dei tre film.
Der Golem
Il film, ancora liberamente ispirato a Meyrink, punta i riflettori sulla
creazione del leggendario mostro, quando il rabbino Jehuda Löw,
presago di una minaccia incombente, decide di dar vita al primo
automa nella storia dell’umanità, alimentando Il mito della vita
artificiale, che rimanda all’antica aspirazione umana a superare le
leggi che regolano l’universo e la creazione della vita.
Trama
Quando un editto imperiale minaccia l’espulsione degli
ebrei, il rabbino si reca dall’imperatore per difendere la
causa del suo popolo, portando con sé la creatura
artificiale evocata mediante antiche formule cabalistiche.
I cortigiani si beffano degli ospiti ma improvvisamente
crolla il soffitto e il Golem lo sostiene, salvando la vita
dell’imperatore, che per la gratitudine ritira l’editto.
Trama
Ma i guai non sono finiti: il servo di Löw, geloso dell’amore della figlia
del rabbino per il giovane Florian, sobilla il Golem, che uccide Florian
e incendia il ghetto. Mentre il rabbino ferma il fuoco con la magia,
davanti alla porta del ghetto il Golem si imbatte in una bambina che,
per gioco, gli strappa dal collo il prodigioso sigillo che lo tiene in vita.
La suggestione del
film, grazie alla
fotografia di Karl
Freund e alle luci
di Kurt Richter,
riposa in gran
parte nel livore
spiritato dei volti,
nella potenza
dinamica delle
scene di massa e
nell’efficacia dei
trucchi.
Impronta drammaturgica
Ma sono l’impronta drammaturgica e soprattutto quella architettonica
gli elementi artistici che definiscono la qualità del film. Wegener
esige dall’attore cinematografico non una gestualità qualunque,
bensì la trasparenza: «Il vero poeta del film» egli afferma
«dev’essere la cinepresa… E come obiettivo ultimo ho in mente una
sorta di lirismo cinetico, davanti al quale in definitiva si rinuncia
all’immagine oggettiva in quanto tale».
Impronta architettonica
Ma l’asso nella manica del film sono le svettanti architetture gotiche,
le viuzze che squarciano il groviglio di case, le nervature dei
sotterranei e i vertiginosi giri di scale che connotano le originali
scenografie di Hans Pölzig.
Hans Pölzig Hans Pölzig, Maximum, Concorso per un Centro per convenzioni ad Amburgo, 1924-25
Pölzig è un pioniere dell’architettura industriale che odia il rigore
formale anticheggiante: «Tutta l’arte tedesca è più o meno barocca,
circonvoluta, bizzarra, antilineare, antiaccademica». S’incontra con
Wegener nella dichiarata predilezione per le componenti orientali,
slave, irrazionali della cultura tedesca.
Nel Golem i due mettono a confronto
il mondo irrigidito della corte cristiana
con la viva spiritualità del ghetto. Ma
non si tratta affatto di un film storico.
Come dice Wegener, «Non è Praga
ciò che il mio amico, l’architetto
Poelzig, ha costruito. È una citta-
poesia, un sogno, una parafrasi
architettonica intorno al tema del
Golem. Questi vicoli e queste piazze
non devono rievocare nulla di reale;
sono destinati a creare l’atmosfera in
cui il Golem respira».
Romanticismo ed espressionismo si fondono in maniera ammirevole
in una cupa raffigurazione del destino dell’umanità che confeziona
un capolavoro dell’espressionismo e del cinema muto nonché la
versione definitiva di un’icona del cinema horror.
Il film è un grande successo di pubblico e la critica apprezza la
recitazione calibrata sul medium filmico, le fiabesche scenografie,
la fotografia e gli effetti special. Tra i primi film tedeschi a essere
esportati dopo la guerra Der Golem esce egli Stati Uniti solo nel
1923 ma resta in proiezione al Criterion di New York per dieci mesi
di seguito e probabilmente influenza James Whale nella creazione
del suo Frankenstein (1931).