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FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN TEORIA DELLA COMUNICAZIONE AUDIOVISIVI E SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA TESI DI LAUREA IN INFORMATION DESIGN NEW DESIGN: LESTETICA GLOBALE I DATABASE E LIBRIDAZIONE MEDIALERelatore Candidato Ch. mo Prof. Guelfo Tozzi Bianca Fasano matr. 032/2800047 Correlatore Dr. Stefano Perna Anno accademico 2010-2011

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FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

TEORIA DELLA COMUNICAZIONE AUDIOVISIVI E SOCIETÀ DELLA

CONOSCENZA

TESI DI LAUREA

IN

INFORMATION DESIGN

NEW DESIGN: “L’ESTETICA GLOBALE I DATABASE E

L’IBRIDAZIONE MEDIALE”

Relatore Candidato

Ch. mo Prof. Guelfo Tozzi Bianca Fasano

matr. 032/2800047

Correlatore

Dr. Stefano Perna

Anno accademico 2010-2011

NEW DESIGN: “L’ESTETICA GLOBALE I DATABASE E L’IBRIDAZIONE MEDIALE”

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DEDICO QUESTO MIO LAVORO

ALLA GOLDREY & BOYCE, ULTIMA

AZIENDA AL MONDO CHE PRODUCEVA MACCHINE PER SCRIVERE,

CHIUSA IN INDIA IL 25 APRILE DEL 2011

NEW DESIGN: “L’ESTETICA GLOBALE I DATABASE E L’IBRIDAZIONE MEDIALE”

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INDICE

INTRODUZIONE

Motivi e forme della ricerca ……………….………………………..……. pag.4

CAPITOLO I

Media digitali e software culture

1.1) I media dal passato verso l‘attuale…………………………………….pag.12

1.2) I computer di prima generazione. Uno sguardo veloce….…………… pag.16

1.3) Il paesaggio va mutando …………………………………………..…. pag.19

1.4) un percorso del software culturale……………………………………..pag.21

1.5) Incontro con il database………………………………………………. pag.30

CAPITOLO II

L’estetica del database

2.1) Il cinema o ―i cinema‖? Il cinema digitale………………………..……pag.38

2.2) Per una estetica della rimediazione………………………………..…..pag.49

2.3) La rimediazione nel cinema e nella televisione……………….……pag.63

2.3.1) Lo schermo, l‘utente e la realtà virtuale...……………………..…….pag.63

2.3.2) Cinema e TV………………………………………………….……...pag.66

2.3.3) Uno sguardo alla terza dimensione………………………….……….pag.69

CAPITOLO III

L’ibridazione. Un tentativo di analisi

3.1) Il sogno realizzato……………………………………………..………pag.72

3.2) Il sogno infranto……………………………………...………………...pag.74

NEW DESIGN: “L’ESTETICA GLOBALE I DATABASE E L’IBRIDAZIONE MEDIALE”

2

3,3) La realtà condivisa e l‘arte……………………………………………....pag.76

3.4) L‘arte del Data-Base……………………………………………….…….pag.81

Conclusioni……………………………………………………………..........pag.106

Bibliografia……………………………………….………………………….pag.111

INTRODUZIONE

3

INTRODUZIONE

Motivi e forme della ricerca

L‘ottica con cui mi sono avvicinata all‘argomento della mia tesi è stata almeno

duplice: da insegnante di disegno e storia dell‘arte (e pittrice io stessa), l‘esame di

Information design mi aveva, sin dal primo anno degli studi di questa laurea,

catapultata in un nuovo modo di concepire l‘arte, di cui i testi ―usuali‖ non parlano.

Dall‘altra, in quanto giornalista e scrittrice, già rapita dal mondo del PC, sin

dall‘infanzia di questi, anche se, decisamente, non dalla mia (visto che ho cominciato

con lo scrivere testi, dapprima chirograficamente e successivamente a macchina). Il

mio primo PC (non mio, mi fu in realtà prestato da un editore ―per sveltire il

lavoro‖), negli anni ottanta, mi confuse e attirò, sconosciuto e pieno di promesse, per

cui, da quel magico momento, fu amore a prima vista. Gabriele Frasca dice che «…

nelle epoche di passaggio da una galassia di mezzi a un‘altra suscita la paralizzante

sensazione di una vera e propria ―guerra mediale"».1 Così non fu per me, passata in

modo lieto dalla pur cara macchina da scrivere ad un mezzo che mi permetteva

libertà fino ad allora inimmaginabili e, nel tempo, mi avrebbe consentito l‘accesso

all‘immenso database di internet. D‘altra parte:

E‘ un po‘ il destino delle fasi di transizione quello di offrirsi solo in un secondo momento

alla consapevolezza degli osservatori, e giusto per il fatto che proprio coloro che sono

immersi più profondamente in una rivoluzione finiscono con l‘essere meno consapevoli delle

sue dinamiche (McLuhan 1962, pp. 210-212).2

Mi sono successivamente appassionata degli spazi infiniti di internet e alle infinite

possibilità da questi offerte, per poi anche preoccuparmi, in tempi vicini all‘oggi,

delle infinite insidie che altrettanto facilmente poteva offrire. Parlando di database

viene spontaneo anche riflettere su quella che potremmo considerare l‘anima nera

delle nuove tecnologie. Partendo difatti dall‘esemplificazione del database come un

sistema per mezzo del quale dare origine e organizzare dati e forme cultura, ci

rendiamo poi conto che ha anche il potere di organizzare e catalogare la nostra vita e

la nostra stessa società. Quali i possibili sviluppi? Da integrata e non apocalittica

dovrei vederne soltanto i positivi, ma una vena di negatività comunque salta fuori.

1 G. Frasca ― La lettera che muore-la “letteratura”nel reticolo mediale‖; 2005-meltemi editore Srl,

Roma,cap. secondo pag.42. 2 G. Frasca ― La lettera che muore-la “letteratura”nel reticolo mediale‖.Op.Cit. Cap. terzo, pag. 82

INTRODUZIONE

4

Questo perché i nostri dati non sono posseduti soltanto dagli uffici della pubblica

amministrazione (cosa anche che qualche volta ci mette quantomeno a disagio, tenuti

sotto mira come siamo), ma dalle banche, dalle università, dalla rete ospedaliera e

dalle biblioteche. Non basta: sappiamo che i nostri movimenti, le nostre condotte, le

compere e quant‘altro, sono rintracciabili per mezzo delle carte di credito, dei

telefonini, dei badge d‘identificazione. Inoltre, positivo o negativo che sia al

momento, in molti spazi pubblici e nelle strade molto spesso siamo anche controllati

dalle telecamere. Siamo sotto il tiro continuo di un controllo che può farsi più duro in

casi eccezionali, quando questi dati possono essere incrociati tra loro per mezzo di

più database, come capita nel caso di reati, quando l‘investigazione, anche nascosta

agli stessi, avviene su persone o gruppi di individui che si presume possano avere

commesso un reato, e in quel caso ci sentiamo di dire che per un alto numero di casi

queste operazioni avvengono nel nome di efficienza e sicurezza. Ci auguriamo anche

che il prezzo da noi pagato (ossia di essere sempre sotto controllo, appunto), sia reso

giustificabile dall‘efficacia con cui possiamo sentirci anche protetti…

L‘altra faccia della medaglia è che il world wide web3 è una terra virtuale laddove è

possibile esprimere se stessi e ricercare libertà di pensiero e verità, per cui diventa

territorio di contesa da parte degli stati cui la sua struttura affrancata e scorrevole

rappresenta un pericolo, o comunque uno spazio da amministrare e verificare. Per

Manuel Castells internet si palesa come un mezzo efficace affinché la democrazia

possa espandersi nel globo e quindi egli trova ovvio che il web possa concorrere alla

sua costruzione. In una nazione libera e democratica difatti le differenti forme

associazionistiche, private e pubbliche, le reti civiche e le reti private, attraverso il

Web assolvono i loro compiti di informazione, sia questa alternativa, pubblica,

amministrativa, di volontariato, religiosa o di altro tipo, si affidano alla rete.

Purtroppo questa larghezza di pensiero ha i suoi risvolti nella possibilità che sia

sfruttata anche in negativo e che vi sia un background meno nitido e pulito di quanto

vorremmo fosse. Se la rete deve essere controllata, occorre creare una legislazione ad

hoc e porre dei filtri per entrare in essa e in questo modo il controllo disporrebbe dei

mezzi per essere totale e dittatoriale, cosa documentata nel caso di regimi totalitari

3 Il World Wide Web (nome di origine inglese), in sigla WWW, più spesso abbreviato in Web,

anche

conosciuto come Grande Ragnatela Mondiale, è un servizio di Internet che permette di navigare ed

usufruire di un insieme vastissimo di contenuti multimediali e di ulteriori servizi accessibili a tutti o

ad una parte selezionata degli utenti di Internet.

INTRODUZIONE

5

dove l‘informazione è imbavagliata, anche perché in Internet è facile essere

controllati, si è completamente trasparenti, la privacy è assente e il rischio di essere

spiati, più alto.

E‘ interessante fermarci un momento per porre l‘accento da quanto lontano questa

preziosa innovazione tecnologica proviene. La nascita del Web risale al 6 agosto

1991, giorno in cui Berners-Lee mise on-line su Internet il primo sito che

Inizialmente venne utilizzato solo dalla comunità scientifica. Arriviamo al 30 aprile

1993 allorquando il CERN (ossia l‘organizzazione Europea per la ricerca nucleare),

stabilisce di rendere pubblica la tecnologia alla base del Web. Insospettabile il

successo ampio e quasi istantaneo del Web a ragione delle infinite e subito intuite

possibilità offerte a chiunque, di diventare editore della sua efficienza e, non ultima,

della sua semplicità. Con il successo del Web ha inizio la crescita esponenziale e

inarrestabile di Internet ancora oggi in atto, nonché la cosiddetta ―era del Web‖.

E‘ oramai evidente che i cosiddetti ―new media‖ abbiano portato a un sovvertimento

del modo stesso di guardare al mondo, già rendendo così ―reale‖ il virtuale e

penetrando nella vita giornaliera delle persone permettendo la loro fruizione, ma

anche per il fatto di avere condotto a soluzioni stilistiche ed estetiche innovative e

aiutando i vecchi media a un confronto proficuo e reciproco attraverso i contenuti e

le forme. Appare chiaro che Il database diviene una delle configurazioni simboliche

e culturali con cui si estende l‘interesse e il bisogno dell‘uomo contemporaneo di

svilupparsi attraverso la tecnologia. Dovendo decidere, una volta avvicinatami alla

tesi in Information Design su quale campo di azione applicare la mia ricerca, sono

stata colpita dalle idee sviluppate da Manovich nel suo ―Il linguaggio dei nuovi

media‖ e in particolare da quello del database come nuova forma simbolica. La mia

tesi ubbidirà al fine di chiarirmi che cosa possiamo intendere oggi con il termine

―new media‖, dando uno sguardo ai media che li hanno preceduti, al passato dei

nuovi media e agli artefici che hanno dato luogo ai mutamenti mediali di oggi.

Cercherò di chiarire quale sia il procedimento che utilizziamo e che essi stessi

impiegano per entrare a fare parte della nostra quotidianità e in che modo abbiano

trasformato le nostre abitudini, penetrando quasi in sordina e sempre più rendendosi

necessari al nostro vivere di ogni giorno. Parlerò dei database e del loro vario utilizzo

nella società ed anche, da artista, con quali metodi e criteri i new media e gli stessi

database abbiano modificato o stiano modificando in itinere i nostri percorsi di vita e

INTRODUZIONE

6

il concetto stesso di arte, o quantomeno lo abbiano ampliato, creando, attraverso la

loro esistenza, nuovi mezzi di espressione e altri ancora rendendoli potenzialmente

possibili anche grazie alle nuove tecnologie.

Inserendoci sul discorso dei database dobbiamo ricordare che in un passato neanche

troppo lontano la parola ―archivio‖ faceva pensare a stanze polverose dove i dati si

accumulavano senza posa e con criteri distributivi vari, tra cui non era difficile

rintracciare la classica ricerca per ordine alfabetico. In informatica oggi, si usa la

definizione ―database”, ossia banca dati per fare riferimento non ad ―un‖ archivio

ma ad un insieme di archivi che sono messi in relazione per mezzo di un particolare

modello logico (relazionale, gerarchico o reticolare) la quale cosa permette la

coordinazione dei dati stessi, ossia l‘immissione di nuovi dati, il loro ordinamento, la

modifica, la ricerca e le interrogazioni ma anche l‘eliminazione e l‘aggiornamento di

quelli presenti attraverso particolari software appositamente creati allo scopo. Gli

archivi informatici sono usati da milioni di utenti in ogni momento anche senza che

questi se ne rendano conto. I siti internet si basano internamente sui database per cui

ogni volta che su un sito immettiamo username e password il gestore del sito

confronta le informazioni da noi digitate con quelle presenti nel suo database e

verifica la loro correttezza. Passano per i database tutte le telefonate che facciamo

con i nostri telefoni cellulari giacché sono archiviate e attraverso questo mezzo i

gestori calcolano le bollette. Ci sembra ovvio che i Comuni conservino le

informazioni sui cittadini per poter poi emettere certificati. Anche queste sono

ovviamente, raccolte sui database e potremmo portare moltissimi esempi. Nei

database i dati sono naturalmente suddivisi per argomenti (in tabelle) e poi tali

argomenti sono suddivisi per categorie (campi). Ciò che rende gli attuali database

notevolmente differenti dalle vecchie forme di archiviazione è innanzitutto il fatto

che siano ―navigabili‖ da chi abbia l‘accesso a questi, nel giro di pochi minuti e si

possa accedere a loro, classificarli, riorganizzarli, pur trattandosi di milioni di

registrazioni in modo velocissimo.

Le funzionalità più avanzate consentono ai database di comunicare con altri

programmi. La tendenza attuale è produrre file di scambio in formato XML e a

ragion di ciò i moderni data base sono attrezzati per quest'esigenza. Un'altra

funzionalità essenziale è la sicurezza dei dati e delle operazioni.

Allo stesso tempo il database diventa la nuova metafora che permette la

INTRODUZIONE

7

rappresentazione mentale della memoria culturale individuale e collettiva, una

raccolta di documenti, oggetti e altri fenomeni ed esperienze in cui sono trasmessi

anche gli elementi della nostra vita sociale, civile e religiosa. Siamo difatti abituati

nell‘era contemporanea a considerare il computer come un elemento indispensabile

della nostra esistenza umana e, per quanto pochi ancora si rifiutino di ammetterlo, ci

riesce difficile pensare a come facevamo prima del suo inserirsi costante nelle nostre

vite. Molto di più di un tavolo di lavoro o di un elettrodomestico, questi rappresenta

il nostro contatto giornaliero con il mondo, un qualcosa che taglia le distanze e il

tempo e ci permettere l‘incontro con un mondo ―fuori‖, globalizzato e raggiungibile.

Pur senza dimenticare i lati negativi della ―rete‖, quali il ―digital devide‖, di cui parla

con cognizione di causa Castells e il fatto che esista una economia globale di tipo

criminale, interconnessa in tutto il mondo che è un fenomeno nuovo ma

oggettivamente presente. Al momento, secondo il Fondo monetario internazionale

(FMI), questa corrisponde quasi a 1500 miliardi di dollari nel mondo, ossia quanto il

PIL del Regno Unito. Tutto ciò si collega al fatto che nella civiltà occidentale i

nuovi strumenti sono video, telecomunicazioni, computer, con le loro numerose

articolazioni ed emanazioni. Basti dire che nel millenovecentonovantaquattro il

numero di computer venduti ha superato quello delle televisioni che gli utenti di

internet in tutto il mondo aumentano ogni mese di otto milioni di unità.4 Essendo

artisti o studiosi in un qualsiasi campo non si può evitare di raffrontarsi con questi

nuovi oggetti mediali per penetrarne le possibilità evidenti e nascoste e comprendere

la relazione che il pubblico stabilisce con essi. Parliamo di rapporto, pur se non di

tipo ―uomo a uomo,‖ ma comunque interagente giacché parliamo di ―macchine‖, o

―elettrodomestici‖ differenti da quelli su cui eravamo abituati ad agire. Ci riferiamo,

difatti, a mezzi interattivi, nati allo scopo di un uso e di una ricezione attiva e non

passiva come quello che possiamo avere oggi con una televisione o un frigorifero,

fino a nuovo ordine. Interagire può significare molto di più di quanto siamo disposti

a credere. Basti pensare al progetto MyLifeBits, di cui parleremo più avanti,

sviluppato a partire dal 2003 da Microsoft Research, la divisione di ricerca di

Microsoft, ed in particolare dagli ingegneri informatici Gordon Belle e Jim Gemmel,

che consiste nel registrare e gestire tutti gli eventi della vita di una persona, (nel caso

particolare lo stesso Bell), attraverso dati e piattaforme multimediali ossia nella

4 P. L. Cappucci ―Arte & tecnologie‖ 1966 edizioni dell‘ortica. Fonte internet

http://www.noemalab.org/sections/specials/arte_tecnologie/main.html

INTRODUZIONE

8

fattispecie foto, registrazioni vocali, cambiamenti di temperatura corporea. In tal

modo il database diviene una forma culturale ma anche sociale e strettamente

collegata alla vita dell‘essere umano.

Siamo impregnati di dati e le nostre passate abitudini riguardo al cartaceo non

bastano certamente più per accoglierli per cui risulta estremamente utile un database

informatico che:

è completamente diverso da una tradizionale archiviazione di documenti: permette di

accedere, classificare e riorganizzare milioni di registrazioni nel giro di pochi minuti; può

contenere vari tipi di media e assume più forme d‘indicizzazione dei dati, visto che ogni

registrazione contiene una serie di campi i cui valori vengono definiti dall‘utente5.

Non stupisce dunque che il database sia diventato il contrassegno dell‘era dei

computer e ci abbia progressivamente costretti, quasi in modo indolore, ad un

metodo mai usato in precedenza di organizzare la nostra consapevolezza del mondo.

Ciò, inevitabilmente, raggiungendo una concretezza estetica innovativa. Nel

ventesimo secolo si è quindi amplificata all‘inverosimile la consuetudine già

esistente nei secoli precedenti, sia che gli artisti s‘influenzassero a vicenda sia che

costruissero sul lavoro dei loro coetanei. Qualsiasi buon insegnante di storia dell‘arte

o conoscitore d‘arte è potuto entrare in contatto con movimenti artistici quali pop e

Dada, con i ready-made6e i collage, ossia con maestri innovativi che, invece di

partire dal nulla, hanno usato materiale esistente per creare le loro opere. In tal senso

è divenuto usuale il concetto di ―sampling‖ (campionamento) in musica, ossia l'atto

di prendere una porzione o ―campione― , di una registrazione del suono e farne un

uso differente. Riutilizzarlo come uno strumento o una registrazione sonora per una

canzone diversa. L'uso esteso di campionamento nella musica popolare nasce con la

nascita della musica hip hop a New York nel 1970. Ciò avviene tipicamente con un

campionatore che può essere un pezzo di hardware o un programma per computer .

Il campionamento è possibile anche con loop7 di nastro o con dischi in vinile su un

5 L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Edizioni Olivares. The MIT Press. IX edizione.

Novembre 2009. Pag. 268. 6 Il termine ready-made (traducibile come "istantaneo", "detto-fatto"...) è utilizzato per descrivere

un'opera d'arte ottenuta da oggetti per lo più appartenenti alla realtà del quotidiano, lontana dal

sentimentalismo e dall'affezione, che possono essere modificati (in questo caso si parla di ready-made

rettificato) o meno. L'inventore di questo ―movimento artistico‖, fu il dadaista Marcel Duchamp nei

primi decenni del Novecento ed ancora oggi è una pratica molto usata (nelle sue varie evoluzioni)

nell'arte contemporanea. 7 Anello, cappio, occhiello, laccio, nodo

INTRODUZIONE

9

fonografo ed è usualmente applicato in hip-hop e danza. Adoperando campioni di

musica di artisti già esistenti, i produttori hip-hop e danza hanno riorganizzato gli

elementi esistenti e hanno associato nuovi costituenti per creare prodotti innovativi.

Questo sampling, ossia l'impiego di elementi già disponibili è molto comune anche

nei new media art.8 Tanto di più grazie alle tecnologie innovative, come Internet e i

software di editing (composizione), i quali hanno rappresentato la possibilità, per gli

artisti, dell‘utilizzo d‘immagini già disponibili, di suoni e testi preesistenti e della

condivisione dei dati con più rilevante semplicità. La grande quantità di materiale

che è ora adoperabile può essere utilizzata anche dai meno bravi nell‘uso del PC, per

mezzo delle applicazioni del computer con funzioni semplici, come il copia-incolla.

La condivisione di dati ha spinto gli artisti verso la creazione e l‘utilizzo dei software

open source, anche per evitare di doversi preoccupare dei copyright. Un elemento

distintivo dell‘open source è la cooperazione, e possiamo notarlo in modo evidente

nella new media art. Il file ―sharing‖ è, diversamente dal ―copyright‖, la possibilità

di avere file in comune all'interno di una rete. Può avere luogo per mezzo di una rete

con struttura ―client-server‖ (cliente-servente) oppure ―peer-to-peer‖ (pari a pari).

Ovviamente questo tipo di cultura crea una logica di orientamento verso l‘abolizione

del diritto proprietario delle forme, incoraggiando un‘arte della postproduzione,

tramite la quale gli artisti concepiscono nuovi usi per le opere del passato e

compiono una sorta di editing delle narrative storiche e ideologiche.

Secondo Lev Manovich, i New Media sono i media basati sul computer e sulle

tecnologie digitali e appaiono rivoluzionari più di ogni altro che li ha preceduti, in

quanto:

oggi la rivoluzione dei media computerizzati investe tutte le fasi della comunicazione -

acquisizione, manipolazione, archiviazione e distribuzione - e anche tutti i tipi di media -

testi, immagini statiche e in movimento, suono e costruzione spaziale.9

Alcuni artisti in questo modo rendono il loro lavoro liberamente disponibile (il che,

se vogliamo, può apparire strano, poiché l‘artista è, generalmente, geloso della

propria opera), così che altri artisti possano facilmente costruire su di esso e lavorare

di remix per creare nuove opere. In tal modo tali artisti creatori sul vissuto, utilizzano

8 In questo senso il termine viene utilizzato da Michael Rush in ―New Media in Late 20th Century

Art”. (1999). 9 L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Op. cit. Pag 38.

INTRODUZIONE

10

la raccolta di dati, anche ―del database‖, utilizzando nuovi metodi per creare nuove

opere. Ciò contraddistingue il lavoro di un artista nel modo seguente:

Molti oggetti dei nuovi mezzi di comunicazione non raccontano storie, non hanno un inizio

né fine, infatti, non hanno alcuno sviluppo tematico, formalmente, o comunque che organizzi

i loro elementi in una sequenza. Invece, sono raccolte di singoli elementi, con ogni elemento

che possiede il significato stesso di qualsiasi altro .10

Il nostro momento culturale attuale sembra quindi contrassegnato dai database.

Il database è la forma simbolica che struttura, o meglio, destruttura i dati in suo

possesso. I database usano diversi tipi di organizzazione dei dati e a seconda di

questi vengono definiti gerarchici, integrati o relazionali e orientati all‘oggetto. Se

osservate dall‘utente, appaiono come collezioni di voci tramite cui si può «guardare,

navigare, ricercare», per questo motivo «l‘esperienza è quindi del tutto diversa dalla

lettura di un romanzo, dalla visione di un film o dalla navigazione su un sito

architettonico».11

Il database non può dunque essere considerato come una semplice

collezione di oggetti. Piuttosto, il database è organizzato in modo che la

fabbricazione o l‘impiego dei suoi dati sia caratterizzato come un metodo non lineare

di navigazione, e sicuramente di contro narrativa. Appare ovvio che quanto sopra

detto sia in gran parte determinato proprio dalle interfacce e dagli strumenti

informatici che utilizziamo quotidianamente tra cui proprio il database. Questi è

inteso come una forma di organizzazione in archivio che ormai caratterizza

indifferentemente immagini, testi e suoni ed è presente nei CD-ROM, nelle

enciclopedie, nei sistemi di ricerca delle librerie, ma soprattutto in Internet, dove

trova la più grande espressione. Permette anche nuove operazioni artistiche, con un

impianto narrativo nuovo, sia nel cinema sia nella letteratura. Insomma la nozione

stessa di database è penetrata in tutte le forme della nostra vita riconfigurandole, e

ridefinendone i contenuti, riducendoli al linguaggio dei bit e memorizzandoli allo

scopo di potere essere trattati allo stesso modo. Il database è divenuto in tal modo

centrale per il processo creativo, e il contenuto e l‘interfaccia sono diventate entità

separate ragion per cui con uno stesso contenuto possiamo avere diverse interfacce.

Possiamo rifarci sempre a Lev Manovich con il suo progetto artistico

10

L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Op. cit. Pag. 273. 11

L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Op. cit. Pag. 274.

INTRODUZIONE

11

―SoftCinema,‖12

nato dalla collaborazione tra lo stesso Manovich e Andreas

Kratky13

. Appoggiati da una serie di artisti che vanno da DJ Spooky e Scanner per la

musica a Schoenerwisse/of CD per le visualizzazioni e Ross Cooper Studios per il

media design. ―Soft Cinema project‖ evidenzia le possibilità creative all‘incrocio tra

cultura del software, del cinema e della architettura, intende rappresentare un

progetto che, annoverando film, ―dynamic visualization‖, installazioni guidate di

computer, realizzazioni di progetti architettonici, stampa di cataloghi e DVD,

permetta anche e un‘analisi efficace delle estetiche non solo e semplicemente

generate dal computer, ma impostate sulle configurazioni di produzione e consumo

che si sono sviluppate per mezzo di questi. È un grande database in cui confluiscono

molte immagini che in successione producono percorsi narrativi differenti, il layout

stesso è costituito da diversi ―frame" (cornici), che mescolano svariati elementi

media (immagini video e grafiche, suoni, testi...). Il progetto studia il metodo con cui

le nuove tecniche di rappresentazione di software possano essere utilizzate nel

cinema per affrontare le nuove dimensioni del nostro tempo, come ad esempio la

nascita delle mega-città, la ―nuova‖ Europa e gli effetti delle tecnologie

dell‘informazione sulla soggettività individuale. A centro del piano di lavoro vi sono

i software personalizzati e i database multimediali.

Per comprendere come siamo arrivati al mondo d‘oggi e al modo attuale di

raffrontarci con la realtà, che sia virtuale o meno, occorre rivolgere uno sguardo al

passato.

12

http://www.softcinema.net. 13

Andreas Kratky, media artist e ―visiting professor‖ presso la USC School of Cinematic Arts . Nato

a Berlino , Germania, attualmente vive e lavora tra Berlino e Los Angeles . Il suo lavoro è incentrato

sulla memoria dei database e sulle nuove forme di cinema. E‘ designer e co-direttore di numerosi

progetti tra cui quello di Kyogen (2001).

CAPITOLO I

12

CAPITOLO I

Media Digitali e Software Culture

1.1 I media dal passato verso l’attuale.

Per chi, come me, sia nato negli anni cinquanta - sessanta appare forse più evidente

di quanto capiti a chi è nato negli ultimi due decenni, il modo con cui si è modificato

il panorama dell‘esperienza umana, con il proiettarsi di noi stessi in una in una

condizione di vita particolare, in cui ci si ritrova immersi in ciò che è denominato in

senso ampio ―software culturale‖. Ampio, dicevamo ossia un insieme di concetti, di

abitudini, di strumenti e linguaggi che si rapportano e subiscono processi per mezzo

di software funzionanti su reti telematiche, di media che costruiscono in maniera

pressante il modo con cui possiamo rapportarci con le persone e il mondo.

Dei cosiddetti ―vecchi media‖ abbiamo memoria, ma occorre ricordare che, come fra

―cultura orale‖ (vocale e poi elettrica) e ―civiltà della scrittura‖ non avviene mai che

un media prenda letteralmente il posto dell‘altro, giacché, come dice Goody:«i mezzi

di comunicazione tendono piuttosto a cumularsi che a sostituirsi»14

così siamo

lentamente ―slittati‖ nei nuovi media e nell‘ibridazione di questi, trascinandoci dietro

i ―vecchi media‖. In realtà non possiamo pensare di operare come tentava di fare

Paul Joseph Goebbels (ministro della propaganda e responsabile della radiofonia),

quando, la sera del 10 maggio del 1933, stette a guardare gli studenti di Berlino che

iniziavano il primo di quelli che sarebbe divenuta una serie di roghi di libri (ne

bruciarono solo quel giorno ventimila), perché, come si legge in Gabriele Frasca

Soltanto un osservatore sprovveduto (o un ―uomo tipografico‖) avrebbe potuto interpretare

quella scena incandescente come un'opera di censura popolare alimentata dal regime nazista

(o intravedervi piuttosto, in odore di continuità, l'animazione di quel quadro, conservato al

Museo del Prado, in cui un imperioso san Domenico indica i volumi con cui ravvivare il

fuoco della santa ortodossia). In quelle fiamme che, come ebbe a dire lo stesso Goebbels agli

entusiasti studenti, ―illuminavano sì la fine della vecchia era, ma soltanto per stagliare

nell'abbaglio delle loro vampe il profilo di quella nuova ―, (Shirer 1959-60, pp. 376-377), 15

14

J. R. Goody. ―L'ambivalenza della rappresentazione. Cultura, ideologia, religione‖. Trad.It. 2000.

Milano. Feltrinelli. Pag. 20. 15

W. L. Shirer, 1959-60, ―The rise, and Fall of the Third Reich‖; trad. It. 1990, ―Storia del terzo

Reich, Torino, Einaudi, 2 voll.

CAPITOLO I

13

si dissolveva, nel modo traumatico che sarebbe stato proprio della guerra imminente e delle

sue atrocità, il monopolio alfabetico (chirografico e tipografico) dell'informazione non

genetica. Non erano solo i libri degli 'intellettuali ―degenerati‖ ad andare in fumo, se mai per

essere sostituiti da quelli cari al regime, ma il grande progetto educativo platonico alla base

delle culture chirografiche e l'interfaccia individuo-libro che aveva sostanziato l'epoca

moderna (fino alla sua grande ―esplosione‖ industriale), fra le cui pieghe gradatamente

s'interponeva (e forse contrapponeva) la coralità dell'ascolto radiofonico, il fluire risonante di

una voce che chiamava alla compartecipazione e alla mobilitazione.16

Chiedendo perdono per la lunga citazione si precisa che intendevasi dimostrare come

neanche i roghi possano davvero scalzare dalla memoria degli uomini alcuni ―media

basilari‖, che possono essere, come la parola scritta o orale, soltanto acquisiti dai

media successivi, lasciando comunque dietro di sé il ricordo più vivo delle leggi, dei

riti e delle convenzioni che ai media precedenti erano collegati.

Non può verificarsi una ―damnatio memoriae”, dei vecchi media, primo fra tutti la

stampa, propugnatrice di dialoghi ―uno a uno‖, viva nell‘interlocutore muto caro a

Derrida17

, che lasciò il posto al concetto di ―uno verso tutti‖ e alla simultaneità e

l'eterno presente della radio, caratterizzante per lungo periodo regimi totalitari o

comunque regimi di stato. Si pensi al 15 agosto del 1945, allorché l‘imperatore del

Giappone Hirohito lesse per via radiofonica a tutta la nazione la dichiarazione con

cui l'Impero del Giappone si arrendeva alle Forze Alleate accettando la dichiarazione

della Conferenza di Potsdam. Mai avrebbe potuto avere lo stesso effetto con un

editto scritto e letto in strada o con pagine tipografiche. Malgrado ciò,

successivamente al fallito tentativo di trafugare il nastro contenente la registrazione

dell'imperatore da parte di alcuni esponenti delle forze militari contrari alla resa, la

voce dell‘imperatore non fu davvero compresa nelle sue intenzioni dai sudditi

giapponesi, sia a causa dei disturbi nelle comunicazioni via radio (era un mezzo

―nuovo‖ a cui non si era ancora neanche abituati), che per via dell'utilizzo del

―keigo‖, l'alto registro linguistico e il lessico raffinato, da parte del ―Tennō‖

(l'Imperatore 天皇 tennō?, letteralmente ―sovrano celeste‖), ben diverso dal

16― G. Frasca ― La lettera che muore-la “letteratura”nel reticolo mediale‖ Op. Cit. cap. secondo

pag.35 17

Jacques Derrida, nato a El Biar, 15 luglio 1930 – Parigi, 9 ottobre 2004, è stato un filosofo

francese. È stato fino alla morte direttore di ricerca presso l'École des Hautes Études en Sciences

Sociales di Parigi.

CAPITOLO I

14

giapponese corrente. Fatto sta che vi furono casi molteplici di militari nipponici che

proseguirono le loro azioni ostili nei confronti degli americani anche dopo la firma di

resa. Non si può dire che la radio, dunque, non ―firmasse‖ un lungo periodo della

storia dell‘umanità che, almeno dal dopoguerra in poi, non potrebbe essere

immaginata senza i suoi media elettrici. Intanto la cultura precedente, ossia quella

tipografica (che aveva già inglobato la chirografica), tendeva a scomparire per mezzo

di:

Un processo di erosione che era oramai in atto in maniera conclamata dalla fine del secolo

XIX, e forse addirittura dal 1844, anno in cui Samuel Morse, dopo aver ridotto il linguaggio

a soli tre elementi discreti, aveva inaugurato il primo collegamento telegrafico fra

Washington e Baltimora (o almeno da quando, nel 1887, Heinrich Hertz produsse in

laboratorio le prime onde elettromagnetiche). Ciò che ne sarebbe conseguito non sarebbe

stata solo una modificazione della percezione dello spazio e del tempo (Kern 1983, pp. 8-

16), quanto piuttosto un cambiamento complessivo del sensorio umano, dal momento che

quella che si sta continuando a definire informazione non genetica (la cultura, in senso

antropologico, vale a dire l'informazione non inflitta nel corpo ma ―stoccata‖ nel medium

linguistico) è parte sostanziale dell'evoluzione della specie stessa.18

I passaggi da un media a un altro non sono stati sempre così platealmente avvertiti.

Dalla chirografia si passò quasi senza grossi sobbalzi alla stampa nel 1439, con

Gutenberg e i caratteri di stampa mobile. Ci riferiamo chiaramente a un lavoro

manuale, in cui il concetto di macchina non compariva affatto, anche se, in seguito, il

lavoro tipografico prenderà altre forme. Più interessante, pur se sempre sotto il

profilo della meccanizzazione, ciò che avviene nel 1800, con J.M. Jacquard e il suo

telaio controllato automaticamente da schede perforate.19

Manuale ancora nel 1839 il lavoro di Louis Jacques Mandé Daguerre, che, anche se

non riproducibile in più di una copia rappresentò il primo procedimento fotografico

per lo sviluppo di immagini. Le fotografie furono quindi ―catturate‖ utilizzando

supporti di rame, vetro o metallo cosparso di soluzioni di nitrato d'argento, per

giungere poi al bromuro di cadmio, nitrato d'argento e gelatina. Il 1888 vide la

nascita della Kodak N.1 e della pellicola avvolgibile ed il cammino della fotografia

18

G. Frasca ― La lettera che muore-la “letteratura”nel reticolo mediale‖ Op.Cit.,cap. secondo

pag.36. 19

Il telaio veniva impiegato per elaborare immagini figurative intricate. Quel ―computer grafico ad

uso specialistico‖ ispirò Babbage nella progettazione della sua macchina analitica.

CAPITOLO I

15

analogica, che utilizza la luce per impressionare la pellicola attraverso una reazione

chimica incominciò. La foto digitale in uso oggi molto più spesso dell‘analogica

utilizza anch'essa la luce, ma non avvengono reazioni chimiche perché i toni di

colore sono memorizzati sotto forma di bit (digit da qui il termine digitale) e possono

essere visualizzati come file del PC. Altra cosa, dunque.

Tornando di nuovo indietro nel tempo, il 1833 Charles Babbage progetta la macchina

analitica che poteva effettuare qualunque operazione matematica ed eseguire un

programma attraverso le schede perforate. Un passo avanti dunque, verso gli

algoritmi, se non verso la logica computazionale. Meccanica ed elettronica nel 1871

con il telettrofono di Antonio Meucci, pensato nel 1854 come primo prototipo di

telefono, allo scopo di poter mettere in comunicazione il suo ufficio con la camera da

letto dove la moglie era costretta da una grave malattia. Ma fu Alexander Graham

Bell nel 1876 a depositare il brevetto. Meucci gli intentò causa, ma, il giudice che

emise la sentenza nel 1887 sostenne che Meucci avrebbe inventato un telefono

meccanico, mentre quello oggetto del brevetto di Bell era elettrico. Gli anni tra il

1893 e il 1895 vedono il mondo stupire per Edison e poi Lumiére, con il kinetoscope

o cinématographe e la cinematografia. L‘apparecchio introdusse il metodo di base

che sarebbe divenuto il modello per tutte le proiezioni cinematografiche prima

dell'avvento del video, ossia creare l'illusione di movimento trasmettendo una

striscia di pellicola perforata recante immagini in sequenza, su una sorgente di luce

con una velocità dell'otturatore elevata. Restiamo nell‘ambito della meccanica, per

poi sfociare con le proiezioni cinematografiche, nell‘elettronica. Il 1898 ci regala con

Guglielmo Marconi la realizzazione dei primi apparecchi con circuiti sintonici atti a

garantire l'indipendenza delle comunicazioni contemporanee di più stazioni20

e nel

luglio del1898 il primo servizio radiotelegrafico giornalistico.21

Il cammino della

tecnologia si fa più veloce, i media ―vecchi‖ cominciano ad essere assorbiti e

migliorati dai più attuali e sembra logico a questo punto che si realizzino scoperte

eccezionali: Il fisico inglese James Clerk Maxwell descrisse attraverso un sistema di

equazioni differenziali la dinamica dei campi elettrico e magnetico e queste,

opportunamente elaborate, dimostrarono l'esistenza delle onde radio. Facendo

20

Che condurrà al famoso Brevetto Britannico N° 7777 del 26 aprile 1900 intestato a Guglielmo

Marconi.. http://www.radiomarconi.com/marconi/popov/7777.html 21

In occasione delle regate veliche indette dal Royal Yacht Club per conto del Daily Express, con

trasmissione della radiocronaca dal piroscafo Flying Hontress a Kingstown e collegamento via

telefono.

CAPITOLO I

16

seguito a ciò il fisico sperimentale Heinrich Rudolf Hertz verificò tali teorie, benché

entrambi non compresero quale fosse la possibile applicazione tecnologica in tali

studi. Successivamente però successivi sviluppi di studio effettuati da altri scienziati,

condussero all'invenzione della radio, un dono che ci viene dal contributo individuale

di molti ricercatori e condusse alla realizzazione di sistemi di comunicazione ―senza

fili‖. La voce viene ―catturata‖ e trasmessa oramai in molti modi e molto lontano.

Sembra un dato ovvio, ma è invece un grosso cambiamento: il posto dell‘emissione

del suono e il luogo dove questo può essere percepito non coincidono più.

Il 25 marzo 1925 fa il suo ingresso, quasi in sordina, nella storia dell‘umanità un

mezzo che sarebbe diventato per molti versi più importante della radio: la

televisione. John Logie Baird, un inventore scozzese, il 2 ottobre 1925, dopo la

prima guerra mondiale, invia a distanza un'immagine televisiva vera e propria

formata da 28 linee22

. William Taynton, un suo fattorino diviene il primo uomo della

storia a comparire in televisione. Si trattava di un mezzo a scansione meccanica: un

disco di Nipkow girava davanti agli elementi sensibili di selenio, e momento dopo

momento si conseguiva un valore elettrico corrispettivo alla luminosità di un singolo

punto dell'immagine, riga dopo riga. Il principio è in definitiva fedelmente quello che

attualmente è in uso con un sistema di scansione elettronica. Al presente la

televisione viene classificata in: televisione analogica terrestre e televisione digitale

terrestre, televisione analogica via cavo e televisione digitale via cavo, televisione

analogica satellitare e televisione digitale satellitare.23

1.2 I computer di prima generazione. Uno sguardo veloce.

Arriviamo a loro, i computer di prima generazione, teorizzati nel milleottocento ma

sviluppati soltanto a metà del millenovecento, ricordando che da essi si è richiesto

dapprima che funzionassero per mezzo di algoritmi, in modo da eseguire una serie di

operazioni al posto dell‘uomo, quindi si è preteso che avessero funzioni logiche e che

oltre a progettare come una macchina di calcolo, ―ragionassero‖ fornendo risposte

esatte a tutta una serie di problematiche. Il primato dell‘essere stato il ―primo

22

Ricordiamo che nella massima evoluzione, la televisione elettromeccanica raggiungerà 240 linee di

risoluzione verticale dell'immagine televisiva prima di essere completamente dismessa già nel 1939

sostituita dalla televisione elettronica. 23

Oggi i moderni standard di televisione digitale prevedono anche la televisione ad alta definizione

con risoluzione verticale dell'immagine televisiva di 1080 e 1920 pixel (nota sulla terminologia: nella

televisione digitale si parla di pixel invece che di linee, termine quest'ultimo usato solo con la

televisione analogica).

CAPITOLO I

17

computer‖ se lo giocano diversi pretendenti: la Macchina Analitica (Analytical

Engine), ideata dal matematico inglese Charles Babbage ha rappresentato un passo

importante nella storia dei computer. Si trattava di un progetto di tipo meccanico ed è

stato il successore del ―Babbage Difference Engine―, progettato come calcolatrice di

tipo meccanico. La Macchina Analitica incorporava un unità aritmetica, un flusso di

controllo in forma di diramazione condizionale e un circuito di memoria integrato,

rappresentando così il primo progetto completo per un computer di Turing ―general

purpouse”. Purtroppo Babbage non riuscì mai a completarne la costruzione a causa

di conflitti con il suo direttore e di finanziamenti inadeguati. Sono state costruite

diverse versioni del ―Difference Engine‖, di cui una si trova al ―London's Science

Museum” ed è stata realizzata nel millenovecentottanta. Il matematico ha lasciato

molti disegni per la macchina analitica e si tenta di costruire il progetto denominato

Piano 28. Per la storia dei media e dei computer, il millenovecentotrentasei, anno in

cui il matematico inglese Alan Turing descrisse teoricamente la sua “macchina

universale di Turing”, rappresenta un momento cruciale poiché tale macchina poteva

lavorare leggendo e scrivendo numeri su nastro continuo. Come ricorda Manovich Il

suo diagramma di funzionamento è particolarmente simile a quello di un proiettore e

inoltre lo stesso termine ―cinematografo‖, altro non vuole significare che ―scrivere il

movimento‖, per cui il cinema, memoria universale, grande conservatore della voce e

dei corpi dei defunti, assieme ad altri strumenti di registrazione audio e video,

rappresenta il primo grande database per la registrazione e lo stoccaggio di dati

visibili su supporto materiale. Per quanto riguarda “quale fu il vero primo computer”

le idee sono davvero poco chiare: se vogliamo intenderlo come macchina meccanica,

dobbiamo prendere in considerazione la “macchina di Anticitera‖, nota anche come

meccanismo di Antikythera, che è il più antico calcolatore meccanico conosciuto,

databile intorno al 100 - 150 a.C. Si trattava di un complesso planetario, spinto da

ruote dentate, che aveva lo scopo di determinare il sorgere del sole, le fasi lunari, i

movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi e i giorni della

settimana. Prende il nome dall'isola greca di Anticitera (Cerigotto) presso cui è stata

ritrovata, ed é custodita nel Museo archeologico nazionale di Atene. Nel senso più

stretto del termine il primo computer dovrebbe essere considerato invece quello

costruito dagli inglesi durante la seconda guerra mondiale con lo scopo di decifrare i

messaggi segreti dei tedeschi (e sembra che tali decifrazioni di questo arcaico

CAPITOLO I

18

computer furono determinanti per la vittoria finale). Questo calcolatore a valvole era

denominato Colossus e fu distrutto dopo la guerra, per cui non se ne seppe più nulla,

mantenendo il segreto sulla sua esistenza. La macchina, era elettromeccanica,

costituita da migliaia di ―relè‖, tanto che era chiamata ―the bomb‖ da chi la

utilizzava, a causa del ticchettio che produceva. I messaggi cifrati che l'esercito

tedesco trasmetteva erano prodotti, e decifrati da chi li riceveva, tramite una

macchina meccanica, ―Enigma‖ che può essere anch'essa considerata un computer,

inventato prima di ―Colossus‖.

Il primato spetta, però, senza altro a Blaise Pascal che realizzò la prima ―macchina

addizionatrice‖, interamente in legno e che battezzò ―Pascalina‖ nel 1642. Fu però

l`ENIAC, costruito dagli americani nel 1946, a essere considerato il primo computer

della storia.

Il primo computer Turing, completo, impostato sul sistema numerico binario e

totalmente programmabile fu lo Z3, costruito in Germania da componenti riciclati di

telefonia dal Konrad Zuse24

, che lo realizzò in sostanza da solo, nel 1941. Il prototipo

dello Z1, come accadde in altre occasioni per altre invenzioni dell‘umanità, non vide

la luce in una attrezzata officina o in una industria, ma venne costruito in casa dei

genitori di Konrad, che lo aiutarono economicamente. La prima macchina di Konrad

Zuse presentava una struttura già molto simile a quella dei moderni computer: era

programmabile, dotata di unità di memoria e di un'autonoma unità di calcolo in

virgola mobile basata sul sistema binario. Inoltre lo ―Z1‖ funzionava ad una velocità

di clock generata da un motore elettrico, regolabile manualmente con un

potenziometro da un minimo di circa 0,3 cicli al secondo fino al massimo di 1 hertz,

ossia un ciclo di calcolo al secondo. Lo Z3 fu poi distrutto in un bombardamento

dagli Alleati, e per molti anni ne è stata ignorata perfino l'esistenza; di conseguenza il

primato di primo computer della storia è stato ingiustamente riconosciuto alla

macchina statunitense ―ENIAC‖.

In quest‘ambito occorre ricordare che, di partenza, il computer è nato per uso

militare, anche se poi, finita la guerra, conclusa la guerra fredda, le sue implicazioni

sono divenute eminentemente civili, rendendosi utile in chirurgia, in medicina, nelle

industrie, per i sistemi satellitari, nel settore del turismo, offrendo immagini in

24

(Berlino, 22 giugno 1910 – Hünfeld, 18 dicembre 1995) è stato un pioniere dell'informatica e viene

considerato come l'inventore del computer moderno.

CAPITOLO I

19

archeologia, prevedendo le catastrofi naturali e apprendendo a interfacciarsi non solo

con l‘uomo, ma anche con altre macchine di vario tipo. Non ci dilungheremo sulla

sua preistoria ma ricorderemo invece che ―i nuovi media‖, sono da considerarsi

prima di tutto media computazionali. Parliamo di media digitali (numerici), con

modalità di codifica e trasmissione del contenuto mediale e con creazione, accesso e

distribuzione dei contenuti mediali attraverso computers. Abbiamo detto

―computazionali‖, perché se facessimo una differenza soltanto tra media digitali e

analogici vorrebbe dire separare la maggioranza dei media contemporanei dai pochi

restati puramente analogici o quantomeno ―non ibridizzati‖ come ad esempio alcune

forme di pittura e alcune forme di teatro.

1.3. Il paesaggio va mutando.

Oggi il concetto di multimedia sta assumendo sempre più il contorno

dell‘ibridazione, ma già prima del concetto di convergenza mediale si parlava di

bagaglio plurimediale, ossia più media con diversi piani di competenza. Adesso

viviamo esperienze multimediali, cioè convergenti. Ossia si rimodella anche ciò che

è all‘interno delle tecnologie.

D‘altra parte multimedia è una parola composta che in primis ha a che fare con il

concetto di medium. Il prefisso "multi" arriva negli ultimi decenni in cui si parla, a

livello culturale, di una convergenza culturale e partecipativa, attraverso la

moltiplicazione di stimoli, di bisogni e di desideri da parte del soggetto sociale il

quale si trova a vivere la modernità e poi il post moderno, per cui si moltiplicano

anche le modalità di interazione tra differenti soggetti mediali. Per questa ragione i

media devono, se è possibile, soddisfare più bisogni e ricoprire più funzioni

contemporaneamente. Nel tempo, i contenuti tendono ad aumentare, mentre i mezzi

tendono a diminuire, andando sempre più verso l‘integrazione di un unico ―device”.

È importante rilevare che non bisogna limitarsi a pensare al multimediale come

qualcosa di hardware, anzi per multimediale si intende uno stesso contenuto

veicolato da più mezzi, che, addirittura, va a espandersi (ad esempio un video visibile

su you tube tratto da Italia1 è multimediale perché è un flusso televisivo veicolato da

un altro mezzo). Sappiamo che i nuovi media, sia che vengano creati ex novo sul

computer o siano convertiti da fonti analogiche, sono costituiti in ogni caso da un

codice digitale essendo quindi rappresentazioni numeriche. Avremo perciò, come ci

CAPITOLO I

20

viene ampiamente spiegato da Lev Manovich25

quali principi dei nuovi media:

1. La rappresentazione numerica, che ha un valore sostanziale perché trasforma i

media in dati informatici e quindi li rende programmabili. E‘ la programmabilità che

cambia radicalmente la natura dei media.

2. La modularità che si potrebbe definire con il principio ―della struttura frattale dei

nuovi media‖, per cui il nuovo medium mantiene sempre la stessa struttura modulare

e un prodotto mediale computazionale è composto di diverse parti, o moduli. Queste

parti rendono il prodotto flessibile, poiché può essere scomposto, modificato, e

ricomposto in modo da creare un prodotto diverso. La flessibilità e la potenza dei

media computazionali consentono di rendere automatici molti processi come ad

esempio, creare interfacce customizzate26

, recuperare ―files‖ e documenti da fonti

diverse e così via, tenuto conto che la flessibilità e la potenza dei media

computazionali consentono di rendere automatici molti processi.

3. L‘automazione, giacché la codifica numerica dei media (principio 1:

rappresentazione numerica) e la loro struttura modulare (principio 2: la modularità)

consentono l‘automazione di molte operazioni necessarie, per cui l‘intenzionalità

umana può essere tolta, almeno in parte, dal processo.

4. La variabilità, in quanto un nuovo oggetto mediale non è qualcosa che rimane

identico a sé stesso all‘infinito, è qualcosa che può essere declinato in versioni molto

diverse tra loro. Questo principio si connette al fatto che i media computazionali,

poiché sono modulari, possono creare prodotti differenti sempre di tipo

multimediale, possono essere customizzati (personalizzati), secondo le esigenze e

sono scalabili .

5. La transcodifica, che descrive la conseguenza più rilevante della

computerizzazione dei media. I media computazionali sono divisi in due ―parti‖, una

parte ―tecnica‖ e una ―culturale‖, separazione che suddivide il linguaggio dei

computer da quello degli umani.

Per quanto riguarda il ―modo‖ con cui i nuovi media nel tempo, si approcciano

25 L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Edizioni Olivares. The MIT Press. IX edizione.

Novembre 2009. 26

customizzazione significa la concessione, da parte dello sviluppatore di una interfaccia (ad es. una

pagina web), di un certo grado di libertà all'utente riguardo a «presentazione, navigazione e

contenuto» degli elementi.

CAPITOLO I

21

all‘individuo e alla società dobbiamo ricordare che il computer vive anche un

orientamento epistemologico, e in questo senso ha avuto un excursus storico/sociale

con riferimento alla comunicazione da esso mediata. A livello di tecnologie

didattiche, ad esempio, proveniamo da una scuola di comportamentismo degli anni

50/60 per cui i calcolatori elettronici a scuola potevano riferirsi al CMI (Computer

Manager Instruction), al CAI (Computer Assisted Instruction) e alla ICAI

(Intelligent Computer assisted Instruction). Ci siamo avviati al cognitivismo degli

anni 70/80 laddove il computer era inteso come tutor per cui poteva essere di aiuto

agli studenti in un ambiente di apprendimento collaborativo e/o operativo,

(intendendolo come operativo in un ambiente di apprendimento collaborativo

intelligente). Tale atteggiamento si è ampliato con la possibilità di lavorare sulla

rete27

e negli anni tra gli ottanta ed i novanta anche a mezzo del ―personal computer‖.

Dalla fine degli anni novanta, con il concetto di costruttivismo si è parlato di

multimedialità ed ipertesto28

, fino a giungere, verso il duemila al principio di

cooperazione, mediante il computer ―tool‖ cooperativo.

Da nuovi media, a digital media, a media distribuiti da computers, in questo periodo

il paesaggio sta mutando sia a livello sociale sia didattico verso un universo

mediatico ibrido, convergente, manipolato e manipolabile, laddove il digitale e

l'analogico, il tangibile e il virtuale, e la computazione espressa in diverse forme, si

amalgamano con direttive differenti e concorrono a creare, utilizzare e permutare

linguaggi differenti di espressione e accesso ai contenuti artistici e mediali.

Possiamo annoverare Tra gli elementi distintivi e fondamentali dell'attuale scenario

tele-comunicativo l‘impetuoso avanzare di servizi e spazi esperienziali creati da

remix digitali che ibridano i media tradizionali rendendo possibile nuove funzioni ed

espressioni, attivando connessioni che qualche decennio fa, appunto, erano forse,

soltanto nelle fantasie più evolute di qualche militante dei nuovi media.

1.4 Un percorso del software culturale

Per ritrovare il filo di Arianna che ci collega proprio a quei tempi che ci appaiono

contemporaneamente vicini e lontani, dobbiamo compiere po‘ di passi indietro nel

27

L‘ultima grande tappa è rappresentata dalla tecnologia Adsl (Asymmetric digital subscriber line) e

dalle connessioni in fibra ottica e la modalità di connessione ―a banda larga‖ 28

L‘ipertesto è inteso come una rete di documenti, di testi legati tra loro come in una ragnatela, con i

rimandi da una pagina all‘altra che vengono effettuati attraverso una procedura informatica attivata

facendo click su una certa parola, un‘immagine o un pulsante.

CAPITOLO I

22

passato per ritrovare la strada percorsa proprio dai primi ricercatori, dai pionieri.

Collegata a un tempo in cui uomini straordinari hanno gettato ponti sul nulla, così

come oggi possiamo fare progettando senza carta straordinari edifici avveniristici che

potranno divenire solide costruzioni in cui e su cui vivere. Parliamo di un tempo in

cui qualcuno sviluppò una utopia che avrebbe condotto gli utenti al controllo degli

strumenti creativi. Si trattava di permettere a persone che non hanno studiato da

programmatori, di rendersi capaci di scriversi da soli il loro software. A questo fine

si continua a tendere anche oggi, pur se, per molti versi, siamo ancora lontani

dall‘ottenerlo. E‘ lo stesso Lev Manovic ad ammettere:

Continuiamo a dire che la cultura digitale è importante quanto il torchio tipografico, ma

ignoriamo la genesi dell‘elemento cruciale di questa rivoluzione: il software culturale.29

Il clima dei primi anni dell‘avvento del computer nella società è ben rappresentato

dall‘aneddoto secondo cui il presidente di IBM, Thomas Watson Sr., avrebbe

affermato nel 1943: «credo che al mondo ci sia mercato forse per cinque

computer.».30

In sostanza tra la metà degli anni quaranta e la comparsa del PC nella

metà degli anni ottanta al computer si guardava come a un calcolatore, a un

elaboratore di dati scientifici, economici e militari31

, non certamente come a una

macchina interattiva di tipo creativo. Nei primi anni ‗50 vi erano, in tutto il mondo,

solo pochissimi calcolatori elettronici, riservati quasi esclusivamente ai calcoli per la

fisica, l‘ingegneria e la statistica.

Guardando al passato recente in cerca di un nome cui possa associarsi la

formulazione di un paradigma e di tecnologie informatiche multimediali di massa, il

primo che spicca alla nostra attenzione è quello di Alan Kay, il quale rappresenta un

personaggio principale della storia del progresso multimediale. Lavorava presso lo

Xeros PARC, un centro di ricerca a Palo Alto ed era alla guida del gruppo di ricerca

Learning Research Group. Dobbiamo a lui anche il linguaggio di programmazione

Smalltalk, il quale, come in molti altri casi, nasce e si fonda su idee precedenti anche

se all‘apparenza non attinenti. La logica dei nuovi media difatti è da sempre

29

L. Manovich ―Software culture‖, edizione italiana, 2010-MCF srl- Edizioni Olivares. Pag. 29 30

La frase è probabilmente apocrifa Alcuni la attribuiscono ad altri ‗padri‘ dell‘informatica, come

l‘inglese Douglas Hartree o l‘americano Howard Aiken, il che lascia comunque intendere che si

trattava di un‘opinione piuttosto diffusa. Per una trattazione vedi

Http://en.wikipedia.org/wiki/Thomas_J._Watson oppure http://baris.typepad.com/venture_capitalist/-

2007/11/the-tj-watson-p.html. 31

Il risultato di un‘evoluzione, iniziata nei primi anni della guerra fredda e continuata grazie a

cospicui finanziamenti governativi, era di uso decisamente militare.

CAPITOLO I

23

rappresentabile come un grande albero su cui si siano verificati molti innesti

produttivi e niente sia stato veramente predefinito o definitivamente concluso.

Stiamo parlando già negli anni tra il settanta e l‘Ottanta, tuttavia negli anni

precedenti, intorno agli anni Cinquanta circolavano novità, difatti alcuni artisti nei

vari campi avevano preso a utilizzare il computer, collaborando per la realizzazione

dei loro software con laboratori di ricerca quali Bell Labs e IBM Watson Researche e

realizzando software specifici nel loro uso e quindi non estendibili. Per gli anni

Sessanta32

, possiamo riferirci alla comunità Arpa per scoprire che in essa si sono

verificate una serie di fenomeni di ―simbiosi uomo-computer‖, laddove sono state

inventate anche le schermate grafiche e i dispositivi di puntamento con linguaggi di

programmazione avanzati, allo scopo di riprodurre sistemi complessi come raffinerie

di petrolio e lo studio di comportamenti semi-intelligenti, per mezzo di computer

interattivi e di particolari forme di condivisione del tempo.

Il 9 dicembre 1968, nella Brooks Hall del Convention Center di San Francisco nel

corso della ―Fall Joint Computer Conference”, Douglas Engelbart mostrò lo ―NLS‖

(On Line System)33

a un migliaio di persone che l‘affollava e, su di uno schermo di sei

metri di grandezza le righe di testo furono evidenziate, modificate, cancellate,

reinserite; le strutture ad albero dei dati si espansero e si compressero, da alcune

parole evidenziate si ―saltò‖ ad altre informazioni a esse logicamente collegate. I

primi piani mostrarono

anche le mani del relatore,

nell‘atto di manipolare una

tastiera e altri ―strani

oggetti‖, tramite i quali

sembrava comandare gli

eventi.

Al termine vi fu un attimo

di silenzio, seguito da

un‘ovazione di alcuni

minuti. Paul Saffo, dello

32

Nel 1958 vi erano 2.500 computer negli Stati Uniti, salirono a 6.000 nel 1960 e ad oltre 20.000 nel

1964: Nel 1969 erano 63.000. 33

L‘acronimo è imperfetto, ma occorreva distinguere tra On- (NLS) e Off-Line Information

System(FLS).

CAPITOLO I

24

Institute for the Future di Palo Alto, commentò: «…fu come se un UFO fosse

atterrato sul prato della Casa Bianca»34

E‘ proprio negli anni sessanta che Gordon Moore, uno dei fondatori della ―Fairchild

Semiconductor Company‖ e in seguito della ―Intel Corporation‖, ebbe una

illuminante intuizione (datata 1965), argomentante sullo sviluppo futuro

dell‘elettronica integrata. Tale previsione, conosciuta impropriamente sotto il nome

di ―legge di Moore‖si è poi mostrata singolarmente corretta fino ad oggi. Nella

genesi dell‘enunciazione, Gordon Moore afferma che dapprima, per una data

tecnologia, aumentando il numero di componenti per chip il costo della stessa

diminuirà sino al limite per cui l‘aumento della complessità del sistema non farà in

contrapposizione lievitare i costi. Si dovrà quindi raggiungere una certa densità di

impaccamento dei componenti su chip35

che garantisca il costo minimo. Moore,

lavorando sui dati dei primi anni di sviluppo, fu in grado di prevedere un costante

avanzamento tecnologico, che avrebbe condotto all‘aumento della densità ottimale e,

attraverso i grafici su quei dati, giunse alla previsione secondo cui il numero di

componenti di minimo costo che trovano posto su un singolo chip si sarebbe

raddoppiata circa ogni anno. Da questa formulazione originaria si giunge poi a quella

che divenne celebre come Legge di Moore. In realtà non si trattava di una legge,

piuttosto di una straordinaria intuizione su dati empirici capace di prevedere

correttamente lo sviluppo tecnologico nei successivi 40 anni e più. Dalla tabella è

possibile seguire l'aumento del numero di componenti per chip nel corso degli anni,

fino ai giorni nostri. Si nota come il tasso di crescita attuale evidenzi un raddoppio

del numero di componenti per chip ogni 18 mesi circa. Difatti, dal dato del 1965 (50

componenti per chip) si giunge adesso a un numero di componenti dell‘ordine del

miliardo. Sempre seguendo le previsioni, poi avveratisi, anche rispetto alla

diminuzione negli anni delle dimensioni minime dei dispositivi semiconduttori micro

fabbricati, l'andamento rispecchia le intuizioni della legge di Moore.

Estendendo la legge di Moore a vari altri aspetti importanti per la fabbricazione di

circuiti integrati, possiamo annotare in primis il raddoppio della densità dei

componenti su chip, cosa che implica la contemporanea diminuzione dell‘estensione

superficiale dei componenti stessi, di un fattore due ogni 18 mesi. Ossia il più

34

Vedi: http://www.mondodigitale.net/Rivista/08_numero_3/He_nin%20p.%2048-57.pdf 35

Il die (letteralmente "dado") o chip è la sottile piastrina di materiale semiconduttore sulla quale è

realizzato un circuito elettronico. Il die sigillato nel suo contenitore forma un componente elettronico.

CAPITOLO I

25

piccolo particolare realizzabile diventa di 0.7 volte più piccolo ogni 18 mesi. A ogni

―nodo tecnologico‖, rappresentato dai passaggi di scala, troviamo una diversa

generazione tecnologica. La dimensione tipica da considerare come riferimento per

definire un nodo tecnologico è la metà della distanza fra celle vicine in un chip

contenente memoria DRAM (―DRAM half-pitch‖)36

.

La contemporanea riduzione della complessità, e l'alfabetizzazione per l'utente finale

richiede che i dati e le strutture di controllo siano eliminati in favore di uno schema

più biologico di una interazione vicina a imitare la natura permettendo qualsiasi

comportamento desiderato. Oltre allo sviluppo tecnologico, furono quindi decisivi il

cambio di ―destinazione d‘uso‖ dei computer, che passarono dal solo svolgimento di

calcoli matematici alla più complessa predisposizione alla informazione sotto forma

di messaggi, testi, immagini, suoni e ovviamente la esecuzione di un sistema di

interazione uomo/computer più facile e diretto, accessibile quindi da chiunque.

Alan Kay è uno dei padri della programmazione orientata agli oggetti. Inoltre ha

concepito i ―laptop‖, ha inventato le interfacce grafiche moderne, ha contribuito a

creare ethernet ed il modello client-server. Scusate se è poco.

Il nostro genio ha potuto operare in un ambiente che Castells definirebbe ottimale:

presso lo Xerox Palo Alto Research Center, dove lavorava come ricercatore. Al

PARC37

Kay si interessò tra le altre cose a come i bambini apprendessero di più

tramite immagini e suoni che tramite il testo, ragion per cui incrementò un ambiente

grafico che si rivelò eccezionalmente adattabile e consono appunto ai bambini

(alcune tecnologie derivate da questo lavoro, per esempio Squeak,38

sono ancora

considerate ―futuristiche‖). Le sue anteriori conoscenze e l‘influenza della scuola

pedagogica di Jean Piaget lo conducevano a concepire con la fantasia un calcolatore

piccolo, portatile e di bassissimo costo (meno di 500 $), tanto facile da usare da

potere essere affidato a un bambino. Di fatto i computer attuali, pur non essendo

36

La DRAM, acronimo di Dynamic Random Access Memory, è un tipo di RAM che immagazzina

ogni bit in un diverso condensatore. Il numero di elettroni presenti nel condensatore determina se il bit

è 1 o 0. Se il condensatore perde la carica, l'informazione è perduta: nel funzionamento la ricarica avviene periodicamente. Da qui la definizione di memoria dinamica, opposta alle memorie statiche

come la SRAM. Per la caratteristica di perdere le informazioni in mancanza di energia, la DRAM

viene definita anche volatile; è detta anche memoria solida. 37

Xerox Palo Alto Research Center (Xerox PARC) è la più famosa divisione di ricerca della Xerox

Corporation, con sede a Palo Alto (California), negli USA. Venne fondata nel 1970 ed è stata separata

dalla compagnia madre nel 2002. 38

Si tratta di un moderno open source, con piena funzionalità e piena attuazione dei linguaggi di

programmazione.

CAPITOLO I

26

―facili‖, sono comprensibilissimi dai bambini che sembrano particolarmente

predisposti fin da piccolissimi al suo uso. Restando su la biografia veloce di questo

uomo innovativo e creativo ricordiamo che dopo 10 anni al PARC, Key è stato per 3

anni capo ingegnere presso Atari e nel 1984 è stato assunto dalla Apple. In seguito ha

lavorato per la Walt Disney ed è attualmente consulente dell'HP e presidente del

Viewpoints Research Institute. Ovviamente non dobbiamo dimenticare che vi erano

altre persone ugualmente rilevanti, come Ivan Sutherland, Ted Nelson e altri, ma

molti di loro si dedicavano soprattutto alla progettazione di nuovi strumenti per

professionisti e scienziati. Alan Kay (di cui si occupa anche molto Lev Manovich

nei suoi studi), ha la particolarità a me grata (in quanto artista) di avere dei

precedenti in ambito musicale e di essere anche molto interessato alla psicologia e in

modo più ampio alle scienze umane, a causa di questo ha posto peculiare attenzione

ai processi creativi legati all‘arte e all‘immaginazione. Sembrava divertirsi con le sue

ricerche e le compiva con particolare libertà concettuale senza farsi impacciare da un

estremo senso di professionalità ed era anche influenzato ideologicamente dalle tesi

di Marshall MacLuhan.

Se Alan Kay da un lato tendeva la sua attenzione al modo migliore di offrire un

funzionamento del computer e del software a livello professionale, d‘altro canto era

coinvolto nelle logiche dei linguaggi di programmazione, e dal modo con cui

avrebbe potuto concedere agli utenti la sperimentazione con questi strumenti. Non

possiamo dimenticare che il termine metamedium sia stato creato nel 1977 proprio

da Alan Kay e Adele Goldberg nello stesso anno in cui scrissero assieme l‘articolo.

―Personal Dynamic Media‖. Ci si riferiva alla capacità del computer di influenzare

gli altri mezzi di comunicazione (media, al singolare medium) e di simularne le

peculiarità, ma anche di trasformarsi in altri mezzi di comunicazione in funzione del

software eseguito dal computer stesso (ovviamente in presenza di adeguati hardware

e periferiche). In quel periodo i due ricercatori informatici statunitensi lavoravano

alla progettazione dell'allora avveniristico sistema informatico chiamato Dynabook39

Kay sapeva bene che la tecnologia fondamentale non era ancora fruibile, ma restava

persuaso che presto lo sarebbe stata, per cui sviluppò ulteriormente la sua idea al

PARC, vedendo con la mente che l‘interazione con il computer potesse avvenire

manipolando oggetti virtuali sullo schermo, senza alcun comando da tastiera. Il

39

Il concetto di Dynabook, descriveva già nel 1968, ciò che oggi è definito computer portatile, ma in

realtà era stato pensato per l‘utilizzo da parte di bambini.

CAPITOLO I

27

Dynabook avrebbe dovuto poter essere posseduto da qualunque persona e doveva

essere in grado di gestire tutte le necessità di informazione del proprietario, operando

in modo che non ci fosse alcuna pausa distinguibile tra la causa e l‘effetto, quindi

non un time-sharing40

, ma un calcolatore dedicato completamente all‘utente. Tale

calcolatore non sarebbe stato più il knowledge-worker di Licklider e di Engelbart

(ossia dell‘esperto nel settore computer), ma della segretaria, del commerciante e

dello studente che l‘avesse acquistato.

Occorre dire che le idee riconoscibili fin da allora si sono, in effetti, realizzate

almeno in parte. Sin dai primi anni novanta, difatti molti artisti in quel tempo

lavoravano con i computer ed era già sviluppato l'uso dei media digitali nel campo

delle arti visive.

D‘altra parte, già nel 1960, ossia ben prima che la tecnologia necessaria fosse

disponibile, Licklider41

pubblicò un articolo avveniristico, ossia ―Man–Computer

Symbiosis,‖42

in cui tracciava un mai usato archetipo di reciprocità tra l‘uomo e il

calcolatore e una allora inimmaginabile destinazione d‘uso di questi. Valutando alla

luce dei fatti gli obiettivi espressi occorre dire che alcuni di essi appaiono ancora

attuali:

… fare in modo che i computer stimolino la formulazione dei pensieri […] mettere uomini e

computer nelle condizioni di cooperare nel compiere scelte complesse senza dipendere

rigidamente da programmi predeterminati; […] [creare tra uomini e computer] un rapporto

―simbiotico‖ in cui l‘uomo stabilisce gli obiettivi, formula le ipotesi, fissa i criteri ed esegue

le valutazioni; il computer svolge i compiti di routine necessari a prendere le decisioni

nell‘ambito tecnico e scientifico.

Nella visione di Licklider, il computer doveva diventare una specie di ―collega

artificiale‖ o ―collaboratore interattivo‖. «I computer odierni sono progettati

primariamente per risolvere problemi pre-formulati o elaborare dati secondo rigide e

predeterminate procedure.» (proseguiva Licklider, riferendosi al batch-

processing):«Se invece si potesse creare una relazione simbiotica tra l‘uomo e una

40

Il time-sharing è un termine di origine inglese che tradotto letteralmente significa "condivisione di

tempo". E‘ un approccio all'uso interattivo del processore. 41

Joseph Carl Robnett Licklider (11 marzo 1915 – 26 giugno 1990) è stato un informatico

statunitense. È considerato una delle figure più importanti nella storia dell'informatica e del calcolo

generale. 42

http://www.mondodigitale.net/Rivista/08_numero_3/He_nin%20p.%2048-57.pdf

CAPITOLO I

28

macchina veloce, capace di cercare le informazioni ed elaborarle […]»43

. Licklider

non poteva che concepire soltanto con la fantasia l‘idea di un costoso calcolatore

dell‘epoca dedicato a un solo utilizzatore, che lui, a differenza di quanto farà Alan

Kay, faceva coincidere ancora come un ingegnere o uno scienziato. L‘allora direttore

dell‘IPTO difatti, non offrì contributi personali alla concretizzazione di questa sua

visione, ma, come afferma Alan J. Perlis: «Quello che fece fu di tradurre in azione,

in molte sedi diverse, l‘immaginazione e l‘energia di persone che vedevano come il

computer, di per sé, richiedeva un dinamismo [...] indipendente dalle applicazioni per

le quali era stato inventato».44

La caratteristica davvero speciale di un computer ancora oggi è quella di poter

simulare in modo dinamico le possibilità di qualsiasi altro mezzo, incluso i media

che non possono esistere fisicamente. Non possiamo definirlo come uno strumento

benché possa comportarsi come molti altri strumenti. Il computer è il metamedium

per eccellenza, e come tale ha gradi di libertà di riproduzione e di espressione mai

viste prima e ancora poco indagate. La sua natura proteiforme è gli permette di agire

come una macchina o come un linguaggio per essere configurato e sfruttato in molti

e diversi modi. Come ricorda Lev Manovich:45

... se vogliamo davvero capire il medium computazionale contemporaneo, l‘articolo scritto a

quattro mani nel 1977 (da Alan Kay.n.d.a.) con uno dei suoi principali collaboratori al

PARC, la scienziata informatica Adele Goldberg, è una risorsa particolarmente preziosa.

Vi si legge tra l‘altro che questo dispositivo, ossia il nuovo computer:

... abbia abbastanza potenza da trascendere i sensi della vista e dell‘udito, abbastanza

capacità di memori da archiviare, in caso di un eventuale recupero successivo, migliaia di

dati equivalenti a migliaia di pagine di materiali di consultazione, poesie, lettere, ricette, ma

anche dischi, disegni, animazioni, spartiti musicali, forme d‘onda, simulazioni dinamiche e

ogni altra cosa si desideri ricordare o cambiare.46

E aggiunge:«La natura non sequenziale dell‘archivio mediale e l‘uso della

manipolazione dinamica permettono di accedere a un testo da molti punti di vista.»

E‘ un dato certo che non fu l‘Università, ma l‘industria sostenere la ricerca, anche

43

J. C. R. Licklider, ―Man-Computer Symbiosis.‖ IRE Transactions on Human Factors in

Electronics.Vol. HFE-1, Marzo 1960,http://groups.csail.mit.edu/medg/people/-psz/Licklider.html. 44

A. Goldberg, (a cura di): ―A History of Personal Workstations.‖ ACMPress, 1988. 45

L. Manovich ―Software culture‖, edizione italiana, 2010-MCF srl- Edizioni Olivares.

Pag .50. 46

A. Kay, A. Goldberg, ―Personal Dynamic Media‖,‖ ―IEEE Computer‖, X,3 marzo 1977. Pag 394

CAPITOLO I

29

quella di Alan Kay. Forse basta pensare che l‘ottica industriale sia quella di creare

prodotti che possono essere venduti a largo raggio e monetizzati in vari modi.

Manovich lo spiega così:

Il business moderno trae profitto dalla creazione di nuovi mercati, nuovi prodotti e nuove

categorie di prodotti. Benché la creazione di nuovi mercati e prodotti sia sempre rischiosa, è

anche molto redditizia47

.

A proposito di creazione di nuovi mercati e nuovi prodotti, partendo dal presupposto

di cui parla Manuel Castells, ossia:

La frontiera della tecnologia dell‘informazione alla svolta del millennio sembrava essere

l‘applicazione di un approccio nano tecnologico alla produzione dei chip basato sulla

chimica e/o sulla biologia. Pertanto, nel luglio 1999, la rivista ―Science‖ ha pubblicato i

risultati del lavoro sperimentale dell‘informatico Phil Kuekes al laboratorio Hewelett

Packard di Palo Alto e del chimico James Health dell‘UCLA. Essi hanno trovato il modo di

realizzare i commutatori elettronici utilizzando processi chimici al posto della luce, con la

conseguente riduzione dei commutatori alle dimensioni di una molecola.[...] Basandosi su

tali tecnologie, gli informatici prevedono la possibilità di ambienti di elaborazione in cui

miliardi di microscopici dispositivi informatici saranno diffusi ovunque, ―come pigmenti

nella vernice. 48

Non possiamo meravigliarci se la scienza umana si è poi diretta verso le

nanotecnologie. Il prefisso ―nano‖ nel caso particolare si riferisce all‘estremamente

piccolo. Stiamo parlando di misure cui l‘occhio umano, senza ausili, non ha accesso:

difatti, perché una struttura di dimensioni nanometriche sia osservabile, è necessario

utilizzare una apparecchiatura in grado di ingrandirla oltre dieci milioni di volte.

Con il termine ―nanotecnologia‖ si intendono quelle tecnologie in cui la materia è

manipolata a livello atomico e molecolare, allo scopo di creare nuovi materiali e

processi. Non si tratta soltanto dello studio dell‘estremamente piccolo ma delle

possibili applicazioni pratiche di tale conoscenza, che sono in gran parte ancora da

verificare ed utilizzare.

A questo proposito mi piace di aggiungere alla mia tesi una notizia che risale soltanto

al 19 di agosto 2011, quindi molto recente e stupefacente:

47

L. Manovich. ―Software culture‖, op. cit. Pag.65. 48

M. Castells, ―La nascita della società in rete‖- 2002. UBE paperback edizioni. Pag. 56

CAPITOLO I

30

La Ibm ha annunciato ieri di aver sviluppato un nuovo tipo di microprocessore che simula i

neuroni e le sinapsi del cervello umano. Seppur fatto di silicio come i chip tradizionali, il

nuovo processore è in grado di fare cose che gli attuali computer si sognano, come «imparare

dalle esperienze fatte – spiega Dharmendra Modha, il responsabile del progetto Synapse di

Ibm – trovare correlazioni, fare ipotesi e imparare dai risultati». La ricerca, realizzata

insieme a sei importanti atenei americani e co-finanziata dal Darpa (il braccio scientifico del

Pentagono, che ha già messo sul piatto altri 21 milioni di dollari), punta a creare chip e

quindi macchine che saranno in grado di fare cose impensabili. La più remota? La

costruzione di un robot umanoide (finalmente) intelligente, con 100 miliardi di neuroni.

Potrebbe essere un passo storico nella storia della tecnologia. Ma ieri il titolo Ibm (-5%

circa) è stato ugualmente travolto dal fiume in piena delle vendite. (M.Mag.) 49

C‘è da pensare che ancora tutto sia da prevedere in ambito scientifico/tecnologico e

che ―L‘uomo bicentenario‖50

non sia tanto lontano.

1.5 Incontro con il database

L‘accessibilità all‘informazione è diventata un‘attività cruciale nell‘era digitale.

Riflettendo su di una politica intesa come dimensione di connessione sociale e

condivisione di uno stesso ambiente di aggregazione, il passaggio ai nuovi modi di

comunicare ha condotto a una perdita della sequenzialità a livello di corpo sociale,

cioè, se prima si aveva una logica organizzativa ferrea per cui c‘era una gerarchia

sociale, anche nell‘apprendimento, nella condivisione dell‘informazione con questi

nuovi modi di comunicare tale gerarchia ha subito una trasformazione.

Se pensiamo all‘ultima volta in cui sono state messe in discussione le sorgenti

d‘informazione, dobbiamo ricordare che ciò ha prodotto la nascita di una nuova

classe sociale che ha condotto a un cambiamento nell‘ordine costituito e nelle forme

precedenti di trasmissione del sapere (Chiesa e Aristocrazia), con la nascita della

Borghesia e dal punto di vista politico, alla nascita della società che abbiamo

conosciuto fino al secolo scorso. E‘ un dato certo che il possedere più informazione e

poterla gestire permetteva di compiere alla borghesia il suo compito di intrattenere

relazioni commerciali, ma noi oggi viviamo immersi in un mare di dati che si

49 http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-08-19/sviluppa-chip-simula-cervello-

082237_PRN.shtml 50

L'uomo bicentenario (Bicentennial Man) è un film del 1999 diretto da Chris Columbus, basato

sull'omonimo racconto di Isaac Asimov e sul suo susseguente romanzo Robot NDR 113, scritto a

quattro mani da Robert Silverberg e Isaac Asimov.

CAPITOLO I

31

moltiplicano e ci inseguono, sempre più capaci di penetrare e sapere dove ci

troviamo e altri li ricerchiamo nel Web o li riceviamo da altri canali, come, ad

esempio, quelli filmici. Oggi tutto ciò è reso ancora più possibile dalla ―context-

awareness‖, (tecnologia sensibile al contesto) e ―dall‘Ubiquitous computing”

(tecnologia invisibile integrata nell‘ambiente). In quest‘ottica le informazioni del

contesto più importanti saranno: l'identità, le informazioni spaziali e temporali, le

risorse accessibili e la conoscenza della tipologia di rete. Nella scienza informatica,

la denominazione ―database”, banca dati o base di dati, designa un insieme di

archivi posti in comunicazione secondo un particolare modello logico (relazionale,

gerarchico o reticolare) e in tal modo da permettere la coordinazione dei dati stessi

(inserimento, ricerca, cancellazione ed aggiornamento) da parte di particolari

applicazioni software destinate a questo scopo.

Nei database più moderni ossia quelli fondati sul modello relazionale i dati sono

distribuiti per argomenti (in tabelle) e poi questi argomenti sono distribuiti per

tipologie (campi) con tutte le pensabili operazioni di cui sopra. Tale distribuzione ed

efficienza offre ai database una maggiore efficacia rispetto ad un archivio di dati

creato ad esempio per mezzo di file system di un sistema operativo su un computer

se non altro per la gestione di dati complessi

Secondo lo studioso russo Lev Manovich è il momento di capire quali forme

assumono i flussi di dati per diventare accessibili a tutti, e quali sono i canoni estetici

di questo nuovo assetto. Ne parla in ―Info-estetica: raccontare con l‘organizzazione

concettuale delle macchine‖ e precisa tra l‘altro:

Oggi il concetto di forma non è più statico, definito una volta per tutte, ma variabile secondo

infiniti parametri. Sempre più spesso abbiamo a che fare con strutture dinamiche che si

generano in tempo reale [...]. In questo senso il passaggio dalla forma al flussso segna la

trasformazione dall‘analogico al digitale.51

Di questo dovrebbe occuparsi l‘infoestetica. Di un‘analisi teorica dell‘estetica

dell‘accesso all‘informazione e della produzione di nuovi oggetti mediali che

estetizzino l‘elaborazione dell‘informazione, ne abbiamo tanto più bisogno riguardo

al cinema:

51

L. Manovich,―Infoestetica‖ Le forme dell‘ope-source culture, in

hhtp://www.hdemia.it/revobit/1.0/bononi/manovichf.swf

CAPITOLO I

32

Dopo la preferenza del romanzo e del cinema per la narrazione come forma principale di

espressione culturale, l‘era dei computer ha introdotto il suo complice, il database. Molti

nuovi oggetti mediali non raccontano storie; non hanno alcuno sviluppo tematico formale o

di altro tipo che ne organizzi gli elementi in una sequenza. Sono piuttosto raccolte di

elementi individuali, ognuno con la stessa possibilità di significare.52

Ad esempio i database dedicati al cinema, sono dei grandi archivi ―on line‖ che

generalmente racchiudono dati su film o persone (registi, attori, produttori,

sceneggiatori, direttori della fotografia, musicisti). Dei film si possono trovare l‘anno

di realizzazione, il cast, la produzione, i dati tecnici, e possibili recensioni. Il

campione dei database di cinema è Internet Movie Database (IMDb:

http://www.imdb.com). Si tratta di una banca dati di 260 mila film di ogni paese del

mondo, realizzati dal 1892 a oggi. Di ogni singolo film è fornita una vasta serie di

indicazioni: cast, dati tecnici, data di uscita, premi ricevuti, sinossi, commenti dei

lettori, decine di link.

Il database, dunque, è oggi impiegato per stoccare qualsivoglia tipo di dati, dalle

statistiche finanziarie ai videoclip ed è totalmente diverso da una tradizionale

archiviazione di documenti. Basti pensare che consenta di avere accesso, classificare

e riorganizzare milioni di registrazioni in un brevissimo lasso di tempo.

Contemporaneamente il database diviene la nuova metafora che funge da

rappresentazione mentale per la memoria culturale individuale e collettiva, consente

una raccolta di documenti, oggetti e altri fenomeni ed esperienze, rappresenta

insomma un nuovo modo di organizzare la nostra conoscenza per noi stessi e il

mondo anche se, contrariamente dalla lettura di un romanzo o dalla visione di un

film, non ha contatto con la narrazione. Neanche è pensabile possa averlo, per la

natura stessa di cui è composto il risultato è una collezione, ma non una narrazione.

Su Internet la forma database ha sperimentato il più grande successo; la pagina web è

un elenco di elementi staccati che possono variare dalla pagina personale, a un

motore di ricerca, a una stazione radiofonica, o a un sito dedicato a un personaggio

storico o famoso. E‘ ovvio che si possano sempre modificare e inserire dati per cui ci

si allontana dalla logica anti-narrativa del Web. In proposito Manovich ricorda i

―musei virtuali‖con i CD-Rom che accompagnano l‘utente nella sua visita al Museo.

52

L. Manovich, ―Il linguaggio dei nuovi media” Edizioni Olivares. The MIT Press. IX edizione.

Novembre 2009. 1. Il database. pag.273.

CAPITOLO I

33

Si tratta di una delle sistemi più lampanti con cui un museo cerca di dare impulso e

ribadire l'interesse per le opere d'arte che si trovano al suo interno, in un contesto

socio-economico che appare sempre più competitivo e più difficile per il suo

successo. Il concetto è di richiamare le opere attraverso un database che contiene le

immagini da richiamare con differenti logiche, ossia cronologicamente, per paese o

per artista.

In alcuni casi è previsto una visita virtuale al museo reale (ad esempio in 3D o

tramite panoramiche a 360°). Per i new media la parola ―narrazione‖ è utilizzata a

fianco alla parola interattiva. L‘utente della narrazione passa attraverso un database

andando dietro a dei link ubbidendo quindi al tragitto circoscritto dal creatore.

Parlando di narrazione interattiva possiamo interpretarlo come la somma di più

tragitti che attraversano un database, e la narrazione tradizionale come una delle

tante condizioni di un‘ipernarrazione. Nondimeno il termine narrazione prevede

l‘esistenza di un attore o narratore, di un testo che sia la storia o la fabula, e di una

serie di contenuti collegati da causa effetto, determinati o provati dagli attori.

In ogni caso ad esempio il sito di un motore di ricerca di grande interesse è una

raccolta di link collegati fra loro, o meglio ―linkati‖ tra loro, che conducono su altri

siti. Poniamo di essere interessati allo studio della storia e indaghiamo su Vittorio

Emanuele II, possiamo restare attratti da un quadro che lo rappresenta da bambino

insieme alla madre, Maria Teresa di Toscana, e al fratello Ferdinando e in seguito

incuriosirci su chi fosse Maria Teresa. Scopriremmo allora che sposò Carlo Alberto

di Sardegna il 30 settembre 1817 per poi ritornare sul figlio Ferdinando. Saremo così

informati del fatto che tanto Ferdinando Maria Alberto Amedeo Filiberto Vincenzo

di Savoia assomigliava al padre, quanto il fratello Vittorio, tracagnotto e basso, non

gli somigliava assolutamente e comprendere la conseguente ragione per cui, al tempo

sorsero pettegolezzi sul fatto che non fosse figlio dello stesso Carlo Alberto.

Incuriositi e volendo proseguire, Internet ci permetterebbe di apprendere di più

attraverso un motore di ricerca, ad esempio Google. Per questo potremmo perderci in

un mare di rivoli ampliando la nostra indagine su altri testi che parlano di storie

collegate, link dopo link, come è facile accada su Wikipedia.

Il database a sostegno in questo caso appaga la nostra richiesta di acquisizione di

nozioni mettendoci a disposizione un percorso molto più vasto di quello che un

tempo ci avrebbe offerto anche la migliore enciclopedia cartacea ed in alcuni casi

CAPITOLO I

34

questa vasta scelta può risultare anche dispersiva, per cui occorre essere molto mirati

per non correre il rischio di finire fuori strada:

La differenza sta nel fatto che, finora, l‘ipertestualità era un evento mentale, una relazione

testuale che si compiva nell‘atto della lettura, nell‘ordine delle associazioni del lettore,

mentre oggi è possibile renderla evidente in un testo che, come il World Wide Web, segnala

con chiarezza la presenza degli agganci testuali, delle relazioni tra testo e testo.53

Tutto ciò ha sostituito qualsivoglia enciclopedia, tanto sponsorizzate in passato

come essenziali in una biblioteca, specie per gli studenti e persino quella su CD che

avevamo acquisito sul computer, pur così vasta, che rappresentava l‘archivio della

nostra ―possibile‖ memoria.

D‘altra parte le stesse biblioteche oggi ricorrono alla digitalizzazione del loro

materiale, messo a disposizione sul loro portale, non ultima quella della biblioteca

dell‘Università di Fisciano, che ci permette di sapere in anticipo se troveremo il tale

libro del tale autore ed anche lo scaffale ed il numero in cui è sistemato, restringendo

i tempi della ricerca e andando a colpo sicuro. Anche il singolo individuo, per

questioni squisitamente personali o per professione tende a registrare i propri lavori, i

propri dati sulla memoria di un computer e questo fa pensare che la cultura stia

andando verso una decodifica in bit, verso un‘informazione immateriale che viene

scambiata e consumata. Tutto ciò un po‘ spaventa per il fatto stesso di essere così

virtuale, rende perplesso specialmente chi sia vissuto nel cartaceo per decenni ed

esilia nell‘oblio di vecchi pacchi polverosi tutto ciò che non abbia un‘essenza

digitale, oppure lo traduce e lo ―rimedia‖, per tenerlo in vita e al passo con i tempi.

A prescrivere ed obbligare al mutamento pare sia la logica del tutto e subito; gli

archivi informatici parrebbero meno soggetti al passare spietato del tempo e alla

corruzione materiale e risultano inoltre velocemente consultabili. I libri nelle

biblioteche hanno bisogno di attività utili a rallentare il degrado causato dal tempo e

dall'uso. Infatti, i beni culturali sono fatalmente soggetti a invecchiamento e il

molteplice assieme delle azioni conservative attuate può solo rendere più lento il

processo di degrado, naturale e indotto. Anche i ricordi nella nostra mente sono

soggetti ovviamente ad alterarsi nel tempo e per risolvere questa inevitabile realtà la

rete mette a disposizione una memoria globale, sempre ammettendo che, il ritrovare

53 L. De Carli Bollati Boringheri, ―Internet, memoria e oblio‖ Torino 1997, pag. 18

CAPITOLO I

35

perfettamente conservata una giornata della nostra vita in un database, possa

permetterci di rinnovarne la memoria e non ci appaia, invece, come la storia di altri. I

mezzi che possediamo per registrare e memorizzare concedono così un efficace

sostegno alla necessità fisica o psicologica di ―conservare la memoria‖ ma non è

detto che risolva la questione psicologica della conservazione del passato. Manovich

ricorda54

che Erwin Panofsky nel saggio ―La prospettiva come forma simbolica”,

vuole dimostrare come ogni epoca culturale abbia maturato un proprio modo di

raffigurare lo spazio, che può essere interpretato come la ―forma simbolica‖ di quella

cultura e vede nella prospettiva la ―forma simbolica‖ che ha caratterizzato la storia

dell‘arte dal Rinascimento all‘Impressionismo. Aggiunge quindi che il database può

essere inteso come un nuovo modo di concepire lo spazio ed in buona sostanza la

forma simbolica dell‘era moderna, i cui punti di partenza possono essere

lontanamente individuate già nella prima metà del Novecento, con largo anticipo

sull‘era digitale.

Manovich afferma come oggi, considerando il mondo come «una raccolta infinita e

destrutturata d‘immagini, testi e altri record di dati, è perfettamente logico

assimilarlo a un database».55L‘assimilazione della logica del database, sotto il profilo

artistico è un dato di fatto. Basti pensare al ―ready made.‖ Marcel Duchamp, ad

esempio, prendendo quasi a caso prodotti industriali di uso comune, li designa quali

―opera d‘arte‖, benché siano oggetti già esistenti. E‘ il caso della ―Ruota di

bicicletta” del 1913, di un badile per spalare la neve o di uno ―Scolabottiglie” nel

1914. Fa lo stesso denominando ―fontana‖ un orinatoio in porcellana nel1917 ed in

molti altri casi. Compie una ricerca per recuperare all‘interno di un database di

oggetti quelli di suo interesse, analogamente a quella di qualcuno che cerchi su

Google un oggetto digitale tirandolo fuori da questo grande archivio, per riutilizzarlo

a proprio vantaggio. Anche Andy Warhol prelevava dal grande archivio mediale

degli anni Sessanta i suoi ―oggetti‖, li riutilizzava a suo piacere facendoli propri

ingrandendoli, moltiplicandoli e quindi traducendoli in quelle che lui percepiva ed

offriva al mondo come opere d‘arte. Spesso si trattava di esseri umani mitizzati dalla

società, quali Marilyn Monroe e Mao, o immagini tratte un po‘ da ovunque, come

per ―The Thirteen Most Wanted Men, Police Departement, City of New York,

54

L. Manovich, ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Edizioni Olivares. The MIT Press. IX edizione.

Novembre 2009. Pag. 274. 55

L. Manovich, ―Il linguaggio dei nuovi media‖op. cit. pag 274.

CAPITOLO I

36

Dossier n° 2357‖, datato 1967. Ma anche bottiglie di coca cola e barattoli di

pomodori.

Manovich inoltre fa riferimento alla fotografia: «la logica del database ha ispirato la

fotografia: da Pencil of Nature di William Henry Fox Talbot a Face of Our Time, la

monumentale raccolta di immagini della società tedesca moderna realizzata da

August Sander, l‘altrettanto ossessiva catalogazione di serbatoi idrici di Bernd e

Hilla Becher»56

ed al cinema, precisando però che i media elettronici, in riferimento

al secondo, «supportano l‘immaginazione narrativa». Per Manovich è «una nuova

forma simbolica dell‘era dei computer o un nuovo modo di strutturare la nostra

esperienza per noi stessi e per il mondo.»57

In proposito occorre evidenziare il

progetto ―Mylifebits‖58

della Microsoft. Partito dall‘idea di digitalizzare dei

documenti, si è trasformato nell‘archiviazione di una vita. In pratica potremmo

considerarlo come un piccolo succedaneo del cervello. Può sembrare incredibile, ma

è invece reale: per la persona che lo utilizza, diviene un hard disk personale che

fotografa e memorizza qualsiasi evento o incontro. Lo stesso accade con quanto

viene letto o scritto, incessantemente immagazzinato nel database di Mylifebits. La

storia di questo strumento ebbe inizio nel 2001, allo scopo di esplorare l‘uso dei

Microsoft SQL Server per memorizzare tutti i dati riportati nel d P.C. Al Dott.

Gordon Bell fu chiesto di prendere parte ad un progetto allo scopo di creare

un‘illimitata biblioteca di libri in formato elettronico. Bell d‘accordo nel

concretizzare questo progetto, si impegnò nell‘osservazione della sua collezione di

libri, ma poi andò oltre. Si determinò, contemporaneamente, di analizzare e

organizzare anche tutti i suoi documenti, in quanto a quel punto realizzò di essere

alla ricerca di un qualcosa che gli permettesse di immagazzinare qualsiasi cosa un

computer potesse codificare. Trascorsi diversi anni aveva ‗digitalizzato‘ ogni

documento che era avvenuto nella sua casa o nel suo ufficio, fossero anche articoli,

lettere, fax e persino le sue prescrizioni mediche. Accadde quindi che il numero di

documenti registrati nel suo computer divenisse ingestibile, e la Microsoft

management, resasi conto dalle possibili opportunità di business, intervenne: nacque

così il MyLifeBits. Si giunse poi ad un metodo di recupero del materiale molto più

56

L. Manovich, ―Il linguaggio dei nuovi media”.op. cit. pag. 290 57

L. Manovich, ―Il linguaggio dei nuovi media”.op. cit. pag. 274 58

MyLifeBits è un progetto sviluppato da Microsoft Research, la divisione di ricerca di Microsoft,

che consiste nel registrare e gestire tutti gli eventi della vita di una persona, attraverso dati e

piattaforme multimediali.

CAPITOLO I

37

efficiente, per cui, se ad esempio, si immetteva la parola ―medico‖ durante la ricerca,

appariva il nome del suo medico, il suo numero di telefono e la sua foto. Per di più il

computer era in grado di procurare liste di lettere, oltre le chiamate telefoniche e le

prescrizioni che aveva ricevuto da quel medico, ed anche gli orari degli

appuntamenti che gli erano stati dati. Gordon Bell utilizzava la ―Microsoft

SenseCam‖ che era in grado di registrare e immagazzinare qualsiasi piccolo

cambiamento, dalla temperatura ai movimenti, compreso le persone incontrate e ogni

conversazione avuta. Se entrava in un bar, i sensori notavano i cambiamenti di luce e

di temperatura e li registravano. In seguito sviluppò un software in grado di lavorare

più adeguatamente, conservando qualsiasi cosa il PC fosse in grado di codificare. In

una parola ―SenseCam‖ e ―MyLifeBits‖ lavoravano assieme, e uniti funzionavano

come un sistema di memoria in grado di registrare tutto ciò che accade nella vita di

un individuo. Lo strumento è davvero eccezionale: poniamo ad esempio che un

individuo ricordi di aver incontrato qualcuno di recente, ma gli sfugga il suo nome e

la circostanza in cui l‘ha conosciuto, e ricordi invece che quel giorno faceva freddo,

potrà cercare nel sistema le giornate in cui la temperatura era di sotto ai 5 gradi negli

ultimi tre mesi e guardare le foto delle persone incontrate, in modo tale da ricordare

il nome e anche i particolari della conversazione avuta con quella persona. Si tratta di

un sistema dalle possibilità davvero infinite.

In realtà nessuno dei sistemi utilizzati da SenseCam e MyLifeBits è effettivamente

nuovo. La novità sta nel fatto di avere messi insieme questi due apparecchi per

realizzare a un sistema di memoria al servizio di chiunque lo usi e del tutto simile a

quella umana, solo più esatta e particolareggiata.

Sei prototipi di SenseCam sono effettivamente adoperati in un ospedale di

Cambridge per pazienti con disturbi di memoria. Per mezzo di questi apparecchi, i

pazienti sono in grado oggi di ricordare eventi e fatti che i loro cervelli non sarebbero

stati in grado di immagazzinare. Ovviamente si è ancora all‘inizio dell‘esplorazione

di questo settore, ma gli studiosi sono convinti che i risultati futuri possano essere

eccezionali.

Database e narrazione: su questa scelta si fronteggiano i media contemporanei, fermo

restando che quasi tutti i film sono narrazioni, Manovich chiarisce: «Il computer

digitale è il mezzo espressivo ideale per la forma database».59

59

L. Manovich, ―Il linguaggio dei nuovi media”.op. cit. pag. 291

CAPITOLO II

38

CAPITOLO II

L’estetica del database

2.1 Il cinema o “i cinema”? Il cinema digitale

In Francia, in una calda giornata di agosto del milleottocentonovantasei, nel buio di

una sala cinematografica, un treno venne fuori dallo schermo e fece saltare dalle

poltrone gli spettatori impauriti. Non è facile credere che, dopo Lumiere e quella

giornata di agosto, un film abbia potuto colpire di più l‘immaginario di uno

spettatore. ―L’arrivée d’un train en gare de la Ciotat60―, documentario della durata di

meno un minuto, segnò per sempre la storia del cinema.

Oggi, nel buio, ci lasciamo travolgere da immagini di ogni tipo, tentati di allungare

una mano per toccare il muso di uno squalo che ci viene incontro dallo schermo

oppure i semi volanti di una pianta che sembrano svolazzarci intorno come in una

famosa scena di ―Amarcord,‖ uno tra i film più famosi di Federico Fellini,

ambientato dall'inizio della primavera del 1933 all'inizio della primavera del 1934

(riferimento certo visto la corsa della VII edizione della Mille Miglia), in una Rimini

onirica ricostruita a Cinecittà come la ricordava Fellini in sogno.

Siamo muniti dei nostri occhiali altamente tecnologici, dotati di lenti LCD, che

operano in sinergia con un proiettore speciale e con le nuove cineprese 3D. Le

cineprese che hanno realizzato il film utilizzano due obiettivi che lavorano in

contemporanea per riprendere due punti di vista diversi, sviluppando al massimo la

vecchia tecnica tradizionale degli anni ottanta che si accontentava di utilizzare un

paio di occhiali di plastica o cartone dotati di due lenti colorate, una rossa e una blu,

allo scopo di ingannare l‘occhio suggerendogli delle coordinate virtuali al fine di

percepire la profondità delle immagini.

Ma la malia non sarà mai quella del treno dei fratelli Lumiere o quella trasmessa

dalle scene oniriche di Fellini, perché l‘immaginario dell‘uomo attuale non è più

capace di dimenticare la logica e perdersi nel nulla della suggestione ―più autentica‖.

Non tutti nella loro vita dedicano tempo alla visione di film che sia questo in

60

Girato nel 1895 a La Ciotat, Bouches-du-Rhône, Francia, per mezzo del Cinématographe,

L'Arrivée d'un train à La Ciotat. è un film 35 mm, in bianco e nero, muto, della durata di 45 secondi

circa. In esso viene rappresentato l'arrivo di un treno, trainato da una locomotiva a vapore, nella

stazione ferroviaria della città costiera di La Ciotat.

CAPITOLO II

39

pubblico o in sale cinematografiche oppure in privato coi mezzi che oggi concede la

televisione ma chiunque appartenga in tutto o in parte al mondo della comunicazione

non può tralasciare la schematizzazione di Jean-Luc Godard, ubbidendo ai soliti

canoni degli ipotetici due filoni del cinema delle origini: uno dipendente dal cinema

dei Lumière che avevano scoperto ―lo straordinario nell'ordinario‖ e uno derivato da

Méliès che aveva trovato ―l'ordinario nello straordinario‖61

A Méliès viene dunque connesso il cinema fantastico ed ai Lumière quello realistico,

ma sappiamo bene che le due peculiarità non possono sussistere così nitidamente

separate. Méliès fu indubbiamente il primo a presentare con le immagini i mondi

fantastici già rivelati in letteratura, ottenendo il massimo rendimento dalla credibilità

della fotografia in movimento per dare attendibilità allo spettacolo. André Bazin62

,

descrivendo il cinema ―uno specchio dal riflesso differito‖, affermava che esso

doveva ―rendere e non significare‖. In questo modo i grandi film, come tutte le

grandi opere, hanno potuto svolgere quel compito educativo che è un loro elemento

distintivo. Poi venne, Dziga Vertov, che portò nel cinema il ―database‖ per cui

possiamo pensare a lui come un grande ―database director‖ del ventesimo secolo. Il

suo film ―L‘uomo con la macchina da presa‖ (Человек с киноаппаратом, Chelovek

s kino-apparatom), del 1929, è forse l'esempio più importante dell‘uso di un database

per una nuova arte mediatica. In una delle scene fondamentali (ripetuta più volte nel

film), vediamo una sala di montaggio con una serie di casellari utilizzati per

mantenere e predisporre il materiale girato. I ripiani sono indicati da targhette come

―macchine‖, ―club‖, ―il movimento di una città‖, ―esercizio fisico‖, ―un illusionista‖,

e così via. Si tratta della banca dati del materiale registrato. La moglie di Vertov,

Elizaveta Svilova, editore del film, viene mostrata al lavoro con quel database,

mentre recupera alcune bobine oppure mette a posto le bobine utilizzate o ne

aggiunge di nuove.

In ogni caso non si può parlare di ―cinema‖ al singolare, perché non esiste un solo

cinema, ma esistono ―i cinema‖ (cinema muto, sonoro, in bianco e nero, a colori,

mono, stereo, dolby surround, thx63

, analogico, digitale): Edgar Morin64

ci ricorda

61

J. L. Godard, ―Il cinema è il cinema‖, traduzione di Adriano Aprè, Garzanti, Milano 1981,cap. 11. 62

André Bazin (Angers, 18 aprile 1918 – Nogent-sur-Marne, 11 novembre 1958) è stato un critico

cinematografico francese 63

THX è un certificato di qualità, applicato ai sistemi di riproduzione audiovisiva, siano essi

professionali o domestici.

CAPITOLO II

40

inoltre che nel momento in cui si accetta che il cinema è il passaggio dal

cinematografo (tecnologia: macchina cinematografica in movimento. Fratelli

Lumiere) al cinema (tecnologia per raccontare storie: macchina cinematografica in

movimento utilizzata per raccontare storie): «Sullo schermo vengono proiettate

soltanto macchie di luce [...]. Ora ciò è esattamente il contrario di quanto si produce

nel campo percettivo (dello spettatore). La visione cinematografica si forma dal

movimento delle ombre sullo schermo»65

ed inoltre: «L'unica realtà di cui siamo

sicuri è la rappresentazione, cioè l'immagine, cioè la non-realtà, dato che l'immagine

rimanda a una realtà sconosciuta».66

Insomma: siamo spettatori di una illusione che

facciamo nostra attraverso la sospensione del giudizio, oppure non ci appartiene

affatto.

Inoltre con un medium come il cinema, occorre parlare guardando al futuro, perché

quest‘ultimo, nel momento in cui è divenuto linguaggio ed è stato usato per

raccontare storie, non ha finito la sua evoluzione, ma si trova soltanto al momento

originario della sua definizione di campo, continuando a cambiare in accordo con le

trasformazioni del pubblico, cioè con le trasformazioni sociali. D‘altra parte i media

tutti sono dinamici in quanto è in atto in essi un processo di trasformazione

inesausto, che non solo rende difficile parlare di medium al singolare ma anche rende

necessario accettare che nessun medium resti uguale a se stesso per ogni anno che

passa. Tutto questo ha condotto inevitabilmente a una mutevolezza tale dei linguaggi

della comunicazione industriale per cui in età postindustriale tutto si riannoda intorno

a nuovi nuclei problematici. Ogni medium non va inteso come una cosa ma come un

processo, cioè non è fermo e ipostatizzato ma è mobile, fluido, liquido, come direbbe

Bauman.67

Esiste una distanza che ci pone davanti a grandi dispositivi di massa concepiti per il

pubblico a partire dal cinema. Manovich, nel suo lavoro ―Il linguaggio dei nuovi

media‖, fa costantemente riferimento al cinema considerandolo come un ―dispositivo

64

Edgar Nahoum detto Edgar Edgar Morin (םוחנ) (Parigi, 8 giugno 1921) è un filosofo e sociologo

francese.È noto per l'approccio transdisciplinare grazie al quale ha superato i confini tra varie

discipline, trattando un'ampia gamma di argomenti 65

E. Morin, ―Il cinema o l’uomo immaginario”, Feltrinelli, Milano 1982 . pp. 52-53. 66

E. Morin, ―Il cinema o l’uomo immaginario”, op. cit . pp. 107. 67

Zygmunt Bauman (Poznań, 19 novembre 1925) è un sociologo e filosofo polacco di origini

ebraico-polacche. Dal 1971 al 1990 è stato professore di Sociologia all'Università di Leeds. Sul finire

degli anni ottanta, si è guadagnato notorietà grazie ai suoi studi riguardanti la connessione tra la

cultura della modernità e il totalitarismo, in particolar modo il nazionalsocialismo e l'Olocausto .

CAPITOLO II

41

esemplare‖. Aggiunge, inoltre, che il pubblico non ha ancora risolto il proprio

rapporto con il cinema.

Lev Manovich nel suo ―Cinema, l'arte dell'indice”68ricorda che circa quarant‘anni fa

il teorico francese Christian Metz 69

sosteneva come la maggior parte dei film

realizzati al suo tempo, senza tenere conto del fatto che fossero belli o brutti,

originali o no, commerciali o no – avessero in comune la peculiarità di raccontare

storie e per questo motivo appartenevano tutti ad unico genere, che lui

definiva‖surgenere‖, del ventesimo secolo, ma aggiunge che lo stesso Metz non

aveva sottolineato la caratteristica comune più importante, ossia che i film fiction si

basano sull‘azione reale e consistono soprattutto in fotogrammi non ritoccati che

registrano eventi reali accaduti nello spazio fisico reale. Manovich sottolinea quindi

che oggi, nell‘era della simulazione computerizzata e dell‘elaborazione digitale,

risultano peculiari proprio quelle caratteristiche ―dimenticate‖ da Metz per definire la

specificità del cinema del ventesimo secolo, ossia:

Dal punto di vista di uno storico del cinema del futuro, le differenze tra il cinema classico

hollywoodiano, i film d‘autore europei e quelli d‘avanguardia (eccetto i film astratti)

appariranno meno rilevanti (perché) tutte quelle forme cinematografiche sfruttano la

registrazione fotografica del reale.).

Insomma: non sono digitali

Leggiamo in ―Il digitale non esiste‖, di Lorenzo Esposito70

31. Parole dell‘era digitale: trasmissione, fruizione, archiviazione, manipolazione,

discrezione, assemblaggio, connessione, omogeneità,sintesi, parcellizzazione, dislocazione,

standardizzazione, automazione, relazione, contaminazione, duttilità, impurità, versatilità

interattività, modello, matrice, rappresentazione, simulazione, clonazione, istantaneo,

globale, reticolare, asimmetrico, flessibile, virtuale.

32. Parole dell‘era analogica: realtà.

Restando sul tema delle riflessioni sul cinema nell‘era digitale ci si è concentrati

sulle possibilità della narrazione interattiva con l‘idea di uno spettatore che partecipi

dinamicamente alla narrazione, scegliendo percorsi diversi nello spazio narrativo e

68

http://www.trax.it/lev_manovich.htm 69

Christian Metz (Béziers, 12 dicembre 1931 – Parigi, 7 settembre 1993) è stato un semiologo

francese. 70

L. Esposito. ―Il digitale non esiste Verità e menzogna dell’immagine‖- Liguori Editore. Pag.11

CAPITOLO II

42

avendo la possibilità di interagire con i personaggi, ma questo concetto si collega

soltanto sull‘aspetto della narrazione di cui parlava Metz. Invece occorre percorrere

anche strade differenti che chiariscano le caratteristiche del digitale nel cinema.

Parlando della proprietà indicale del cinema, ricordiamo con Garfinkel71

che nella

vita di ogni giorno non esiste un significato oggettivo nel linguaggio o nei gesti, ma

un significato che è dato dal rapporto tra l'account e il contesto, per cui, sotto il

profilo ontologico, dobbiamo ammettere che nell‘era della simulazione

computerizzata questo viene a cadere nel momento che è possibile realizzare delle

scene realistiche con un sistema di animazione computerizzato, oppure trasformare

fotogrammi o intere sequenze per mezzo di un programma di disegno digitale, o

fondere situazioni reali a quelle virtuali con totale credibilità fotografica senza, in

effetti, aver filmato nulla di tutto ciò che viene visivamente prodotto. Secondo

Manovich con l‘ingresso del cinema nell‘era digitale le tecniche manuali tornano a

essere al centro del processo cinematografico giacché la costruzione manuale delle

immagini del cinema digitale raffigura una ricomparsa delle pratiche

precinematografiche del diciannovesimo secolo. Si ritorna insomma alle immagini

dipinte a mano e animate artigianalmente. Possiamo tornare molto indietro nel tempo

filmico e ricordare ―La presa di Roma, anche conosciuto come ―Bandiera bianca” e

―La Breccia di Porta Pia”, ossia un cortometraggio , di Filoteo Alberini, prima

pellicola proiettata pubblicamente in Italia, il 20 settembre 1905, nell'anniversario

della presa di Roma che all‘epoca costò ben 500 lire per 250 metri (una decina di

minuti). Si trattava di una grande ricostruzione storica in sette quadri, con

scenografie di cartapesta utilizzate per i tre quadri, ripresi in teatro di posa che si

alternano a quelli girati in esterni dal vero che conferiscono un'inedita autenticità alle

scene di massa. Possiamo assimilarla oggi, ad esempio a ―La nobildonna e il duca‖,

un film di Eric Rohmer del 2001. Qui Rohmer è stato indotto dalla opportunità di

trasporre in immagini un diario e dall'uso, per lui del tutto nuovo, del digitale. Non

potendo e forse non volendo ricomporre la Parigi ―com'era‖, ne ha affidata difatti la

ricostruzione delle vedute pittoriche, con effetti straordinari d‘insieme, a un artista e

le ha usate come sfondi su cui far muovere gli attori nel momento in cui si girava in

71

Harold Garfinkel (29 ottobre 1917 – 21 aprile 2011) è stato un sociologo statunitense, professore

emerito in sociologia all'University of California, Los Angeles, uno dei personaggi chiave della scuola

dell'etnometodologia e della sociologia americana in generale.

CAPITOLO II

43

esterno. Ne risulta un film geometrico e prezioso, ma un po' freddo. Che assomiglia

ad una stampa antica.

All‘inizio del ventesimo secolo il cinema incaricò di queste tecniche manuali

l‘animazione e si definì, seguendo il filone del cinema dei Lumière che avevano

scoperto ―lo straordinario nell'ordinario‖, come un medium di registrazione del

reale. Ma con l‘ingresso del cinema nell‘era digitale le tecniche artigianali

ricompaiono nel processo cinematografico, con l‘effetto che il cinema non può più

essere distinto dall‘animazione. Manovich sostiene dunque la nascita di una

differente logica dell‘immagine digitale in movimento che subordina il fotografico e

il cinematografico al pittorico e al grafico, annientando l‘identità del cinema come

mezzo di registrazione.

In seguito alla nascita del digitale le grandi case di produzione, soprattutto

hollywoodiane hanno assegnato agli effetti speciali una enorme importanza nella

produzione dei film, e la loro costruzione e concretizzazione conquista l‘attenzione

di molti documentari e spazi nei dvd come contenuto supplementare di fianco al film

di riferimento. Nondimeno col digitale non solo gli studios sono in grado di

concedersi i dispositivi digitali e i tecnici specializzati. Difatti con la propagazione

dei mezzi digitali l‘intera concezione della produzione cinematografica è modificata,

dagli studios, agli indipendenti e ai dilettanti. Ciò che era sostanziale nel cinema

tradizionale, ossia tutto il processo di produzione e post produzione, viene meno oggi

nel processo in cui tutte le immagini del film devono passare attraverso una lunga

serie di programmi prima di entrare nel film; per cui la ripresa dal vivo è ormai una

semplice materia grezza destinata all‘elaborazione manuale per mezzo

dell‘animazione, dell'inserimento di immagini in 3D, della pittura e altro.

37. Il digitale smaschera ciò che al cinema non è mai servito: i set e le sceneggiature-se ne

può fare a meno. Così oggi qualsiasi cinema e qualsiasi film svaniscono non appena si

convincono di potersi tracciare confini e, peggio, di potersi comunicare.72

Per quanto riguarda quelli che Manovich considera i nuovi principi del cinema

digitale, validi tanto per le produzioni indipendenti, quanto per quelle industriali, che

lui ritiene siano applicabili sia alle macchine più costose e avanzate, che a quelle del

72

L. Esposito. ―Il digitale non esiste‖. Op. Cit..Pag 12

CAPITOLO II

44

dilettante, sono da lui riassunti in cinque punti73

:

1) Oggi si possono realizzare scene cinematografiche direttamente sul computer con l‘aiuto

della animazione cinematografica in tre-D. Di conseguenza la ripresa dal vivo perde il ruolo

di materia prima della costruzione cinematografica.

2) Una volta digitalizzato il filmato dal vivo(o registrata direttamente in formato digitale),

questo perde la sua relazione privilegiata indicizzante, con la realtà pre-filmica. Il computer

non distingue tra l‘immagine ottenuta attraverso l‘obiettivo fotografico, l‘immagine creata

con un programma di montaggio o l‘immagine sintetizzata tramite un software di grafica

tridimensionale perché tutte e tre le immagini sono costituite dal medesimo materiale - il

pixel. Questi, indipendentemente dalla loro origine, si possono facilmente modificare,

sostituire, etc. Il filmato realizzato sul set o in esterni si riduce quindi a qualsiasi soluzione

grafica, uguale alle immagini create manualmente.

3) Se le immagini ―dal vivo‖ sono rimaste intatte nella produzione cinematografica

tradizionale, oggi fungono da materia prima per una ulteriore attività di composizione,

animazione e morphing. Di conseguenza pur mantenendo il realismo virtuale specifico del

processo fotografico, il film è connotato di una plasticità che in precedenza era possibile solo

nella pittura o nella animazione. Per usare il titolo di un celebre programma di grafica

tridimensionale, i registi digitali lavorano con una ―elastic reality‖. Per esempio, la sequenza

d‘apertura di Forest Gump (Robert Zemeckis, Paramount Pictures, 1994, effetti speciali della

Industrial Light and Magic) presenta il lungo e intricato volo di una piuma. Per creare quella

ripresa, una vera piuma è stata prima ripresa in diverse posizioni contro uno sfondo blu, e poi

animata e composta sullo sfondo di un paesaggio. Il risultato è un nuovo tipo di realismo che

potrebbe essere descritto come ―qualcosa che è pensato per sembrare possibile, per quanto

sia irreale‖.

4) Nella produzione cinematografica tradizionale il montaggio e gli effetti speciali erano

attività rigidamente separate. Il montatore ordinava le sequenze; qualsiasi ritocco

all‘immagine era di esclusiva competenza degli addetti agli effetti speciali. Il computer

elimina questa distinzione. La manipolazione delle singole immagini al computer o

l‘elaborazione algoritmica delle immagini risultano operazioni facili come il montaggio:

entrambe richiedono semplicemente l‘uso del comando ‗taglia e incolla‘.La manipolazione

delle immagini digitali (o di altri elementi digitali) non è sensibile alle distinzioni spazio-

tempo, né alle differenze di scala. Perciò riordinare cronologicamente la sequenza delle

73

L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Edizioni Olivares. The MIT Press. IX edizione.

Novembre 2009. 1.4 Il cinema ridefinito. Pag. 369

CAPITOLO II

45

immagini, ricomporle in un solo spazio, modificare alcune parti di un‘immagine e

modificare i pixel, diventano operazioni identiche, sia a livello pratico che concettuale.

E conclude:

Dati i principi appena formulati, possiamo definire il cinema digitale con questa equazione:

cinema digitale = ripresa dal vivo + pittura + elaborazione delle immagini + montaggio +

animazione computerizzata a due dimensioni + animazione computerizzata a 3D.

Insomma non si potrà negare più nulla, non si potrà dire: «167. Non sono uno

scemo. Anche io ho il piacere della linea quando la voglio, ma lì c‘è uno scoglio. (p.

Cezanne,1921).» 74

Perché il digitale farà scomparire lo scoglio.

Ciò che emerge in maggior misura è che la ripresa dal vivo diviene una materia come

le altre nel cinema digitale, occorre saper manipolare programmi ed effetti speciali e

in questo il cinema di animazione assume un ruolo preminente. Può rifarsi della

discriminazione che l‘aveva, per anni, relegato a stupire i bambini ancora capaci di

credere alle favole.

Non dimentichiamo che alla base del digitale dal punto di vista tecnologico, vi è un

codice binario e la presenza di pacchetti di dati da trasmettere. Dal punto di vista

culturale il digitale tende a competere con l‘analogico, nel senso che il digitale, pur

basandosi su un codice binario (acceso/spento, 0/1) e, quindi, non avendo più

bisogno, almeno in teoria di un referente fisico per dare le informazioni, ha, in ogni

caso, la capacità di interfacciarsi con l‘utente in modo da non creare shock percettivi

considerevoli.

Il cinema è anche performance mediata tecnologicamente ed è esso stesso effetto

speciale. Vi è attrazione per la tecnologia che mette in scena se stessa. La Disney75

in

questo campo è sempre stata pronta a elaborare le innovazioni in quanto è stata

quella che ha sperimentato maggiormente la questione visiva (alleanza Disney-

Pixar76

e costante innovazione tecnologica). Con il film ―Tron”, un film di

74

L. Esposito. ―Il digitale non esiste‖.Op. Cit..Pag 37. 75

La Walt Disney Company (meglio nota semplicemente come "Disney") è una delle più grandi

aziende del mondo nel campo dei media e dello spettacolo, leader assoluta del mercato

dell'intrattenimento per l'infanzia. Fondata il 16 ottobre 1923 da Walter Elias Disney e suo fratello

Roy Oliver con il nome di Disney Brothers Cartoon Studio, è oggi la seconda compagnia di media

negli Stati Uniti. 76

La Pixar Animation Studios è una delle più importanti case cinematografiche specializzata in

"computer generated imagery" (CGI), con base a Emeryville, California (USA). Appartiene alla The

CAPITOLO II

46

fantascienza del 1982 prodotto dalla Disney, diretto da Steven Lisberger e

considerato a ragione un film di culto, è stato affrontato il primo tentativo di cinema

informatico con un uso esteso e programmatico di immagini sintetiche. Non si

trattava solo di un abbellimento visivo: la storia stessa si svolge per buona parte

all'interno di un computer per cui l'uso di quelle nuove tecniche era anche al servizio

della vicenda che si intendeva raccontare. E‘ questo il primo ingresso del digitale nel

cartone animato. Il progetto del Film ―Tron‖77

fu proposto dagli ideatori

all'attenzione di vari Studios ma alla fine fu la Walt Disney Pictures che accettò la

sfida e decise di finanziare il dispendioso progetto. A prima vista poteva apparire una

contraddizione che la maggior produttrice di film animati realizzati con tecnica

tradizionale potesse tendere a sviluppare un mezzo che andava per l'appunto nella

direzione opposta, ma la compagnia sul finire degli anni '70 non passava

assolutamente uno dei suoi periodi più prosperosi ed era decisa a percorrere altre

strade per l‘indirizzo del proprio sviluppo per cui Tron raffigurava un balzo in avanti

ed era per molti versi né più né meno un film sperimentale. Il primo film animato

della casa a ricorrere alla grafica computerizzata sarebbe stato, nel 1986, ―Basil

l'investigatopo.‖

La stessa pellicola diventa oggi nei film digitali assimilabile a una serie di dipinti

creati da un artista che manipola le immagini, una per una o tutte insieme. Le

immagini digitalizzate, e ritoccate con l‘ausilio di un computer sono l‘esempio del

nuovo status del cinema: non più costretto al solo ambito fotografico, il cinema si

apre al mondo del pittorico. Molti degli effetti speciali si fondano sulla modifica

fotogramma per fotogramma, sono colorati, modificate o ricreate le ambientazioni.

Ma nel passato non recente si può trovare un lavoro anticipatore sempre nel film

“Tron”. Tra l‘altro, allo scopo di non far apparire troppo realistica tutta la parte del

film che si svolge nel mondo virtuale del MC ci si avvalse del trucco di girare il tutto

in bianco e nero su pellicola 65 mm (fu il primo film ad essere girato in questo

formato dai tempi de ―La figlia di Ryan‖ di David Lean, 1970). Ogni singolo

fotogramma fu in seguito stampato su una speciale cellula plastificata trasparente di

dimensioni 25 cm per 42. Questo smisurato numero di fotogrammi ingranditi fu

Walt Disney Company. Non dimentichiamo poi che nel 2009 la The Walt Disney Company ha

acquistato la Marvel. 77

http://www.fantascienza.com/magazine/servizi/6471/1/venti-anni-fa-al-cinema-br-tron-odissea-nel-

pac/

CAPITOLO II

47

quindi inviato a Taiwan, dove un piccolo esercito di coloranti lavorò per mesi con

filtri e gelatine. Dopodiché il tutto fu rifotografato e il film colorato fu rimandato in

America, dove poté cominciare il lavoro specifico affidato alle quattro ditte di

Computer Graphic interessate al progetto ossia la M.A.G.I., la Triple I, la Abel &

Associates e la Digital Effects. La più importante all‘epoca era la M.A.G.I.

(Mathematical Applications Group Inc) di New York a cui fu affidata la lunga

sequenza della fuga e dell'inseguimento sulle motociclette. La ditta già dal 1972

possedeva un costosissimo programma per la realizzazione di filmati interamente

digitali utilizzato prevalentemente in quegli anni per la produzione di spot

pubblicitari. La Triple I si occupò invece del veliero solare che era seguito dalla nave

di Sark e della visualizzazione vera e propria della faccia del Master Control, una

rappresentazione mentale di design che forse non è tra le più brillanti fra quelli ideati

per il film. Occorre tener presente che il lavoro di quelle ditte era sicuramente il top

dell'avanguardia per i primi anni ottanta ed il loro ufficio consisteva sostanzialmente

nel trasferire e rendere tridimensionali le soluzioni grafiche inventate dagli artisti

grafici coinvolti con passione dall‘allora giovane regista. Si trattava di una

operazione del tutto eccezionale per l‘epoca giacché l'associazione matematica per

ogni pixel di opportuni valori di intensità di colore e luminosità era molto

rudimentale se paragonata alle risorse attuali. Difatti, esaminando con attenzione il

film su DVD si notano qua e la delle sbavature, le stesse che si potevano riscontrare

nei videogiochi dell'epoca. Occorre considerare inoltre il non marginale dettaglio che

negli anni ottanta i computer potevano si generare immagini statiche ma non

meccanicamente metterle in movimento. In relazione a ciò le coordinate grafiche che

componevano ogni singolo elemento (ad esempio quello delle motociclette)

dovevano essere comunicate all'elaboratore per ogni singolo fotogramma che si

desiderava ottenere. Occorsero 600 coordinate per avere 4 secondi di film ed

ciascuna di queste coordinate doveva essere copiata a mano, tramite tastiera, dagli

animatori. Un lavoro eccezionale.

Ripigliando il discorso sulla questione del realismo, potrebbe sembrare che il

linguaggio del cinema tradizionale non sempre ne venga intaccato, perché gli effetti

o le elaborazioni sono occultate in molti casi bene sotto il realismo classico, in altre

parole sotto la finzione di reale:

CAPITOLO II

48

Di che cosa si tratta infine? Dell‘altalenante attestarsi e smarrirsi del pensiero, compreso nel

passaggio e specificazione dal digitale tout court all‘immagine digitale (in corsivo nel testo),

cioè all‘eterno ritorno che è il film. Da un lato, ecco il punto, il flusso (ma è un riflusso!)

digitale offre la menzogna della libertà massima contenuta nella manipolazione,

nell‘incursione veloce e anonima, contro informativa, svincolata dal potere; dall‘altro dota

tale attività della verità degli strumenti atti a produrla e quindi, potenzialmente, ad

assimilarla, ad assimilare, rendendole inestricabili, verità e menzogna (in corsivo nel testo).

Poiché tutto è stato detto tutto andrà riutilizzato.78

Vien fatto di pensare alle parole del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: «Occorre

che cambi tutto, perché tutto resti com’é.»

Certamente non possiamo più, tecnologicamente almeno, collegarci ai desideri di

Sergej M. Ejzenstejn79

giacché l‘aspirazione del cineasta sovietico era proprio quella

di rapportare l‘intellettualità alle sue origini, all‘emozione, per mezzo del montaggio,

«il mezzo compositivo più potente per raccontare una storia»,80

ma la narratività,

insiste Jean Mitry, resta «interamente basata sulle condizioni dinamiche del

montaggio».81

Oggi possiamo chiederci, con Metz se in futuro saranno realizzati più

film non narrativi: «se mai dovesse accadere, il cinema non avrebbe più bisogno di

creare un effetto realistico.»82

Ed ammettere che i mezzi elettronici ci indirizzano

verso altri campi visuali contraddistinti dal flusso d‘informazioni quali la televisione,

lo schermo di un computer, i video musicali. Il cinema ha sempre raccontato, ma la

narratività filmica si fonda nell’immagine senza discendere in essa da uno o più

codici linguistici, insomma non è una determinazione linguistica recondita, né la

conseguenza di una struttura linguistica che la sottende, piuttosto una mescolanza di

immagini, ―organica‖ quella del Cinema classico e ―non-organica‖ quella della

modernità. Il film pur essendo un testo (come rileva Raymond Bellour nel suo

―L’analisi del film”, è introvabile, siccome la mobilità del film è «irriducibile al

linguaggio che vorrebbe impadronirsene per farla apparire, raddoppiandola»83

e

78

L Esposito. ―Il digitale non esiste‖. Op. Cit..Pag 2.‖Differenza e identità‖ 79

Sergej Michajlovič Ėjzenštejn (in russo: Сергей Михайлович Эйзенштейн[?]

; Riga, 23 gennaio

1898 – Mosca, 11 febbraio 1948) è stato un regista, sceneggiatore, montatore, scrittore, produttore

cinematografico e scenografo sovietico, ritenuto tra i più influenti della storia del cinema per via dei

suoi lavori, rivoluzionari per l'uso innovativo del montaggio e la composizione formale dell'immagine 80

M. Ejzenstejn, ―Il linguaggio cinematografico”, in ―La forma cinematografica”, Einaudi, Torino

1986, p. 118. 81

J. Mitry, ―Histoire du ciném”a, I, Editions Univérsitaires, Paris 1967, p. 370. 82

da ―Cos'è il cinema digitale?‖citazione di Christian Metz in L e v M a n o v i c h su

http://www.trax.it/lev_manovich.htm 83

R. Bellour, ―L’analisi del film”, Kaplan, Torino 2005, p. 43.

CAPITOLO II

49

proprio questa sua irriducibile mobilità (―il paradosso dell‘immagine in movimento‖)

esprime la sua ―testualità‖: pertanto l‘immagine è «l‘essenziale»84

. Infine la

narrazione filmica non è paragonabile, né tantomeno può sovrapporsi alla

esposizione letteraria. Il cinema insomma e cosa a sé e allontana il racconto fuori dei

canoni tradizionali del testo scritto.

La narrazione è teoricamente composta da quelle parti della trama narrativa che

concedono lo scorrere della vicenda; la descrizione è costituita da quelle parti che

non influiscono su di essa. A tal proposito Manovich afferma che nell‘era

dell‘informazione, narrazione e descrizione si siano scambiati i ruoli. Se le culture

tradizionali permettevano narrazioni ben definite (miti, religioni) e insufficienti

informazioni, oggi per contraltare possediamo troppe informazioni e poche

narrazioni capaci d‘integrare il tutto.

2.2 Un’estetica della rimediazione

Mario Costa85

afferma nel suo libro ―L'estetica dei media‖ che l'innovazione

tecnologica ha sempre implicato un ripensamento risolutivo delle forme tradizionali

di espressione artistica. In tal senso la fotografia ha condotto a vari tipi di

ripensamento di ruoli e forma della pittura (poniamo ad esempio l‘impressionismo

francese e l‘espressionismo tedesco). Ragion per cui le nuove tecnologie hanno avuto

sulla produzione artistica tradizionale, in ogni settore, effetti molto forti:

non si è trattato tanto di quella vicendevole compenetrazione tra l‘arte e la scienza nella

quale Benjamin era inclino a credere, ma di un pesante condizionamento della scienza

sull‘arte86

Si dice invece d'accordo con Walter Benjamin87

sul tema della riproducibilità tecnica

dell'opera d'arte, di cui parlava il filosofo nel suo saggio nel '36. Non ha più senso,

dunque, parlare di un'aura dell'opera d'arte. Ma nelle sue valutazioni sull‘estetica

dell‘arte oggi, afferma che la questione non sia più quella della riproducibilità, ma

84

R. Bellour, ―L’analisi del film Op. cit., pp. 44-45. 85

Mario Costa (Torre del Greco, 7 dicembre 1936) è un filosofo italiano. E' conosciuto, in

particolare, per aver studiato le conseguenze, nell'arte e nell'estetica, delle nuove tecnologie,

introducendo nel dibattito internazionale una nuova prospettiva teorica, attraverso concetti come

"estetica della comunicazione", "sublime tecnologico", "blocco comunicante", "estetica del flusso". 86

M. Costa, ― L’estetica dei Media. (tecnologie e riproduzione artistica)‖ , Capone Editore

Lecce1990 pag. 9 87

Walter Benjamin (Charlottenburg, 15 luglio 1892 – Portbou, 26 settembre 1940) è stato un

filosofo, scrittore, critico letterario e traduttore tedesco.

CAPITOLO II

50

quella della producibilità elettronica in tempo reale. Secondo Costa la nozione della

riproducibilità, è un poco come la nozione di protesi di McLuhan. Entrambe ritenute

estremamente moderne ma in realtà non più in grado di spiegare quello che avviene e

oltrepassate dai tempi. La nozione di protesi sarebbe sorpassata da questa nozione di

complessiva indipendenza del neotecnologico, e la nozione di riproducibilità è

oltrepassata da quella di producibilità in tempo reale, di tempo che si annulla. Non

esiste più la copia originale che sia poi riproducibile, ma la nozione stessa di

riproducibilità con l'elettronica e con le reti non ha più senso. Anche di fronte al

cinema digitale dunque, un film, come ogni opera digitale, essendo un insieme di bit

è per sua stessa natura infinitamente replicabile in maniera identica e quindi unica.

Secondo Costa si deve modificare l‘ottica con cui si guarda all‘arte, anche quella

cinematografica, ossia far subentrare al concetto di una categoria generale dell'arte a

quella di una molteplicità di pratiche artistiche, ciascuna delle quali sia connessa a un

proprio dispositivo, ciascuna delle quali sia in grado di produrre un proprio

significato che altre non sono in grado di produrre. Tocca quindi ad una

nuova'estetica contemporanea che non si esprima ancora di arte in termini

tradizionali, tematizzare e problematizzare la situazione che le nuove cose, le nuove

tecniche, le nuove energie ci costringono a considerare. A suo tempo le avanguardie

artistiche sono state le prime a percepire il cambiamento ed a tentare di farlo proprio.

Difatti:

Non c‘è aspetto della antropologia contemporanea di cui non si possa trovare nel lavoro

dell‘avanguardia un presentimento, una sperimentazione preventiva, un esercizio di

domesticazione.88

Costa sostiene che ad ogni mutamento tecnologico di una sfera sensoriale specifica si

unisce un cambiamento artistico legato a quel campo:

La mia ipotesi è che tutta l'avanguardia artistica, dalla fine dell'Ottocento fino alle ultime

avanguardie degli anni Sessanta-Settanta, si spiega solamente come un complesso di

reazione agli avventi progressivi delle tecnologie. La fotografia trasforma la pittura, gli

strumenti di registrazione acustica trasformano la poesia, il magnetofono trasforma la

musica, il cinema trasforma il teatro.89

88

M. Costa, ― L’estetica dei Media. (tecnologie e riproduzione artistica)‖ , Op. Cit. pag. 11 89

Dall‘intervista a Mario Costa sul libro ―sublime tecnologico‖ fonte internet:

http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/c/costa.htm

CAPITOLO II

51

L‘immaginario quindi assumerebbe la forma delle tecnologie a cui è strettamente

legato e l‘irruzione nell‘immaginario artistico avverrebbe in quattro modi: l‘arte da

prima imita le procedure scientifiche, in seguito i mutamenti investono il campo del

contenuto, della ―significazione del medium‖90attraverso l‘ibridazione con altri

medium (da qui la scrittura attraverso il flusso di coscienza, ad esempio in Joyce,

diviene la trasposizione nel romanzo della tecnica cinematografica). A questo punto

può iniziare il passo verso la crisi del mezzo artistico per mezzo della

contaminazione di ―congegni significanti‖, per poi giungere ad un suo superamento

quando ciascuna delle componenti artistiche è prodotta da diverse tecnologie che

generano forme e modi di significazioni diversi. Le moderne tecnologie fanno

nascere quindi nuovi prodotti artistici e nuove forme di sensibilità che nell‘artista si

sviluppano attraverso l‘approfondimento delle possibilità delle nuove tecnologie

stesse, ottenendo la creazione di nuovi significati e nuovi modi di significazione, e la

ricerca dei nuovi comportamenti ―estetico-antropologici‖ imposti dall‘utilizzo dei

dispositivi tecnologici. Gli artisti, che Costa definisce ―artisti della comunicazione‖,

operativi su una base di arte e tecno-scienza, sviluppano una estetica della

comunicazione, ossia quella che Manovich chiamerà con caratteristiche diverse

Infoestetica, i cui principi fondamentali saranno: 1) l‘evento come processo

interattivo in un flusso spazio-tempo; 2) estetica dell‘evento che si realizza tramite

un dispositivo tecnologico in grado di mettere in comunicazione spazi diversi ma in

tempo reale, attraverso la simultaneità e da origine al sentimento non del bello ma

del ―sublime‖.

Baudrillard 91

, famoso per il suo detto: «Visto che il mondo sta prendendo una

direzione delirante è il caso di assumere un punto di vista delirante.» Sosteneva che

l‘arte e i media viaggiano verso uno stesso destino, ovvero quello dell‘annullamento

dello spazio e del tempo (just in time) in un percorso in cui l‘arte sarebbe stata

trascinata nel flusso senza opportunità di trattenersi, annullandovisi. In questa

convinzione si legge una critica forte nei confronti dell‘arte che sembrerebbe essere

dominata dalla tecnica la quale in questo caso appare sotto aspetti demoniaci.

All‘opposto McLuhan92

conferisce all‘arte e all‘artista un ruolo dominante

90

M. Costa, ― L’estetica dei Media. (tecnologie e riproduzione artistica)‖ , Op. Cit. pag. 13 91

Jean Baudrillard (pronuncia IPA: [ bo.dʀi.jaʀ]; Reims, 20 giugno 1929 – Parigi, 6 marzo 2007)

è stato un filosofo e sociologo francese di formazione tedesca. 92

Herbert Marshall McLuhan (Edmonton, 21 luglio 1911 – Toronto, 31 dicembre 1980) è stato un

sociologo canadese

CAPITOLO II

52

all‘interno del contesto sociale e mediale, in quanto l‘aspetto mediale dell‘arte, il suo

essere technè sarebbe centrale nell‘osservazione e raffigurazione del mondo. Quando

un nuovo medium si presenta, è riconfigurato tutto l‘ambiente mediale nato in

precedenza, ma ciò non vuol dire annullamento, piuttosto mediazione tra il vecchio e

il nuovo e definizione certa di quello precedente:

la vera forma della radio è stata rivelata dalla televisione. La forma vera delle televisione si è

resa manifesta soltanto dopo l‘invenzione del computer. La forma del computer è già

possibile comprenderla meglio perché siamo entrati nel mondo delle Reti. La forma delle

Reti, invece, non è ancora visibile, perché non c‘è nessun medium più avanzato delle Reti.93

L‘artista primo mediatore fra i medium anticipa le individualità che possono non

riuscire a comunicarsi, verso una creazione collettiva e nuovi scenari sociali ha la

capacità di percepire prima degli altri esseri umani i cambiamenti epocali a cui non ci

si può sottrarre: «essi raccolgono il messaggio della sfida culturale e tecnologica

decenni prima che essa incominci a trasformare le società»94

. Derrick De

Kerckhove95

non parla più di intelligenza collettiva, come Pierre Levy, ma di

intelligenza connettiva:

Il poeta è il primo scienziato, colui che si occupa del software che utilizza l'uomo: il

linguaggio. Nell'epoca dell'elettronica il poeta è colui che scrive il software il nuovo

linguaggio. La nuova poesia è quella del software; Linus Thorvald è il grande poeta

dell'oggi; Linux è una forma d'arte, è una poesia moderna. Accanto a questa nuova idea di

poesia sopravvive tutto un mondo di nomi e di ―modi di dire96

.

Anche David Bolter segue e condivide questa funzione dell‘artista di anticipazione e

mediazione. Per De Kerckhove l‘arte, compromessa con le nuove tecnologie, diviene

più fruibile, è un‘arte che allaccia relazioni in cui il consumatore è un coautore non

riconosciuto. Bolter dalle pagine di Remediation delinea il ruolo prima di tutto di

mediazione che ha l‘artista con l‘arte e i nuovi media, in un‘operazione avvertibile.

L‘esperienza estetica diviene così interattiva e visibile. Tanto da implicare tutti nel

processo creativo. La rete non è solo un luogo culturale, non è soltanto una

tecnologia, ma è queste due cose insieme. Essa è un modo di pensare che ha a che

93

D. De Kerckhove, citato in M. T. Costa e Nolan. ―Estetica dei nuovi media. forme espressive e

network society‖ Editore Milano 2007. 94

M. Mc-Luhan ―Gli strumenti del comunicare‖, il Saggiatore Milano 1995 95

Antropologo, direttore Mc Luhan Program-Università di Toronto. 96

Da: http://www.e-journal.it/special_event/relatori/articoli/de_kerckhove.htm

CAPITOLO II

53

fare con l‘idea di velocità, di immediatezza. Valutando, ad esempio, l‘approccio

heideggeriano rispetto alla questione della costituzione del mondo, la rete va vista

come un nuovo habitat linguistico con caratteri totalmente innovativi rispetto al

passato. Inoltre, è un supporto essenziale alla multimedialità, nuovo continente del

sociale caratterizzato dalla molteplicità dei punti di vista: molteplicità dei punti di

vista sul mondo, la rete è il luogo della massima visibilità. Secondo Castells sebbene

la tecnologia di per sé non determini l‘evoluzione storica e il cambiamento sociale,

essa (o la sua mancanza) rappresenta la capacità delle società di trasformare se

stesse. Egli inoltre afferma che, per la comprensione del rapporto tra tecnologia e

società, va ricordato il ruolo dello Stato, capace di arrestare, stimolare o guidare

l‘innovazione tecnologica, per cui costituisce un fattore decisivo nel processo

complessivo.

I nuovi strumenti di comunicazione rispondono all‘esigenza di espressione e

creazione, tuttavia in modo altamente individualizzante. La rete offre la possibilità di

collegare queste individualità che possono non riuscire a comunicare, verso una

creazione collettiva e democratica. «l‘arte, sempre più un‘espressione ibrida dei

materiali virtuali e fisici, può essere un ponte fondamentale tra l‘io e la rete»97

Lev Manovich, avendo studiato architettura, animazione e programmazione prima di

iniziare a lavorare con i computer media, appare particolarmente capace di percepire

una infoestetica che si riferisca alle nuove pratiche culturali contemporanee le quali

possono essere intese come responso alle nuove priorità della società

d‘informazione. Occorre dare un senso all‘informazione, lavorare con l‘informazione

e produrne conoscenza. Manovich si è molto interessato al mezzo cinematografico ed

afferma che l‘estetica del montaggio ha avuto da sempre nella selezione e nella

composizione le sue due operazioni fondamentali. Il database oggi diviene la base

per una scelta e una successiva integrazione di parti in modo nuovo e originale, come

il remix e il DJ.

Gia al momento in cui, negli anni novanta, Hollywood produsse versioni

cinematografiche di romanzi classici, quali le opere di Jane Austen (ad esempio

―Orgoglio e pregiudizio‖), si trattava di opere che , pur non evidenziando chiari

riferimenti con la versione cartacea, erano, in realtà, degli adattamenti. Il contenuto

97

M. Castells ,―Galassia Internet‖ di Feltrinelli Milano 2002

CAPITOLO II

54

di una forma di ―prestito‖ di un medium da un altro e quindi di una sorta di rimedi

azione. Se, come è in verità. per rimediazione si intende la rappresentazione di un

medium in un altro medium, ossia l'utilizzo di alcune caratteristiche tipiche di un

medium all'interno di un altro. Nello specifico al presente si intende il fenomeno di

rimediazione dei media analogici da parte di quelli digitali e dobbiamo il termine a

Jay David Bolter e Richard Grusin, i quali a loro volta fecero propria loro la tesi che

Marshall McLuhan aveva già manifestata nel 1964: ―Il ‗contenuto‘ di un medium è

sempre un altro medium. Il contenuto della scrittura è il discorso, così come la parola

scritta è il contenuto della stampa e la stampa quello del telegrafo‖98

. McLuhan

pensava alla rimediazione come un modalità di prestito tra media, basata sulla

incorporazione o rappresentazione di un altro medium.

Jay David Bolter e Richard Grusin rivedono, attualizzano e applicano questa

intuizione alla luce dello scenario mediale contemporaneo, caratterizzato dalle

tecnologie digitali di rete. Nel lavoro99

c‘è la risposta che il testo offre alla domanda:

qual è il ‗contenuto‘ dei media digitali?

Gli autori, partendo dal presunto determinismo tecnologico imputato al

massmediologo canadese, sul quale molti hanno scritto e per il quale rimandano a

Denis McQuail,100

e Patrice Flichy,101

oltre che a Raymond Williams,102

sottolineano in che modo una teoria mediologica possa leggere l‘invenzione e

l‘applicazione delle tecnologie di comunicazione, corredate di una loro ―forma‖

intrinseca, come determinanti il cambiamento sociale. Oltre alla linearità

unidirezionale, è proprio la ―forma‖ caratterizzante ad attirare le critiche più severe:

esiste davvero, ci si domanda, un‘essenza pura del medium, incorrotta dal processo

storico-sociale? Bolter e Grusin, affermano da prima che:

Sebbene McLuhan fosse considerato un radicale negli anni, Sessanta, il teorico canadese è

ora diventato il santo protettore dell‘industria dell‘informazione. Negli anni sessanta la frase

―villaggio globale‖, da lui coniata, veniva interpretata come una giustificazione della

protesta sociale e del movimento dei ―figli dei fiori‖. Oggi, anche i giganti della

comunicazione hanno felicemente adottato l‘espressione nelle loro campagne

98

M. McLuhan, ―Gli strumenti del comunicare‖. Il saggiatore (collana la cultura). 2008. 99

J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi‖.

Guerini studio. 2007. 100

D. McQuail, ―Sociologia dei media‖, Bologna, 1986 101

P. Flichy “L’innovazione tecnologica. Le teorie dell’innovazione di fronte alla rivoluzione

digitale”, Milano, 1996 102

R.Williams. “Televisione. Tecnologia e forma culturale‖, Roma, Editori riuniti.

CAPITOLO II

55

pubblicitarie103

per specificare poi come in McLuhan il determinismo tecnologico non sia così

decisivo e come, quindi, la critica che si pone alla sua logica non debba arrestare una

ricezione del suo pensiero. In tal modo, cominciando con il recuperare intricate

relazioni tra media, e non semplicistico determinismo, in McLuhan, si può giungere

sino al :

considerare gli agenti sociali e le forme tecnologiche come due facce della stessa medaglia:

quindi esplorare le tecnologie digitali come ibridi derivanti dalla combinazione di elementi

tecnici, materiali, sociali ed economici104

in un giudizio finale ed estremamente produttivo. Bruno Latour105

, sostiene

l‘impossibilità di continuare ad utilizzare le categorie interpretative della modernità,

in primis quelle di soggetto e oggetto, per approfondire lo sviluppo inarrestabile

degli ―ibridi‖. Cerca quindi di sostenere il discorso sulla necessità dell‘uomo

contemporaneo di ripensarsi, vale a dire di ripensare il proprio pensiero di se stesso.

In proposito si pone un interrogativo severo:

[…] ma quando ci si trova invasi da embrioni surgelati, da sistemi esperti, da macchine a

controllo numerico, da robot sensorizzati, dagli ibridi del granturco, dalle banche dati, dagli

psicotropi forniti per legge, dalle balene dotate di radio-sonda, dai sintetizzatori di geni, dagli

analizzatori di audience e così via […] Dove mettere questi ibridi? Sono umani si perché

sono opera nostra. Sono naturali? Si perché non sono di nostra fattura. Sono locali o globali?

Entrambe le cose.106

In tal senso ritroviamo il discorso fondamentale di Remediation, ossia che non

possiamo considerare un medium come l‘ultimo gadget tecnologico, ma piuttosto

come un network formato da attori sociali, oggetti tecnologici, dinamiche

dell‘ambiente globale. Tale network include al proprio interno riferimenti circolari

tra i suoi costituenti: «Benché sia vero che le qualità formali di un medium riflettono

i significati sociali e culturali ad esse associate, è ugualmente vero che questi aspetti

103

J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.

cit. Pag. 107. 104

J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi”.op.

cit. Pag. 108. 105

Bruno Latour (Beaune, 22 giugno 1947) è un sociologo, antropologo e filosofo francese 106

B. Latour, ―Non siamo mai stati moderni.‖ Saggio di antropologia simmetrica, Elèuthera, Milano,

1995.Pag. 68.

CAPITOLO II

56

sociali ed economici riflettono, a loro volta, le qualità tecniche e formali»107

.

Il pensiero di McLuhan segue, a svantaggio delle limitazioni e delle appiattimenti a

cui viene sottoposto (come ad esempio sul concetto di media caldi/media freddi), uno

sviluppo complesso, non dialettico, connesso allo sforzo di difendere la presenza di

contrari, senza giungere ad alcuna sintesi. Proprio in questo tentativo si deve

afferrare l‘incarico più impegnativo che Bolter e Grusin si assumono: riuscire, con

McLuhan, a non appiattire il concetto di rimediazione su quello hegeliano di

Aufhebung, (cioè superamento che toglie l’opposizione tra tesi e antitesi ma anche

conservazione, nello stesso tempo, della verità di entrambe e della loro precedente

opposizione). Considerare lo scenario mediale nell‘attuale contesto storico in tutta la

sua varietà, senza con questo negare e superare il passato: logiche differenti che

coesistono senza presunzioni di dominio.

Lo scopo è quello di esplorare le trasformazioni che i nuovi media apportano sui

vecchi e viceversa sostenendo una pluralità di forme mediali che diviene centrale

nella cultura mediale in America come in Europa. I principi estetici sostenuti da

Bolter e Grusin sono quelli dell‘immediatezza, ipermediazione e rimediazione ed

esaminano non solo la scena attuale (offrendoci il loro testo per aiutarci ad

comprenderlo), ma tutta l‘avventura moderna sin dal Rinascimento, precisando non

una ma due modernità mediali: la prima dominante e magnificente e l‘altra, invece,

molto spesso nascosta ma pur sempre viva. Seguendo tali percorsi, gli autori

ricercano e disegnano una genealogia dei media digitali, ponendosi in opposizione a

tutta una retorica della rivoluzione digitale molte volte corrosa da profondo

determinismo e da non dichiarate valenze ideologiche.

Abbiamo due ―realtà‖ che appaiono in contrasto: l’immediatezza, ossia la capacità

del medium di rendersi trasparente, di farsi percepire con prontezza percettiva, priva

di mediazioni e interfacce e l’ipermermediazione, quello stile frammentato,

eterogeneo «che, per dirla come William J. Mitchell(1994)‖ privilegia la

frammentazione,l‘indeterminatezza e l‘etereogeneità e […] enfatizza il processo o la

performance piuttosto che l‘oggetto artistico compiuto.»108

L‘immediatezza la si

ritrova nella realtà virtuale, ma è presente anche nell‘esigenza di usare immagini

107

J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.

cit. Pag.96 108

J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.

cit pag. 56

CAPITOLO II

57

digitali che siano più realistiche e dal vivo come se, ad esempio nel cinema, le

immagini in cui sono presenti elaborazioni al computer, animazioni e controfigure

computerizzate fossero girate dal vero. La realtà virtuale come la grafica

tridimensionale e l‘interfaccia del computer GUI trasformano la tecnologia digitale

trasparente:

In questo senso, un‘interfaccia trasparente dovrebbe essere in grado di cancellare se stessa,

in modo tale che l‘utente non sia consapevole del fatto che sta confrontandosi con un

medium, ma si trovi piuttosto in una relazione immediata con i contenuti di quel medium.109

Come ricordano gli autori, questo bisogno di immediatezza risale alla prospettiva

rinascimentale teorizzata da Brunelleschi, Alberti, Donatello ed altri, che troverà

contemporaneo e successivo sviluppo con la tecnologia della camera oscura anche

attraverso le opere dei ―vedutisti‖ e più precise realizzazioni con la fotografia, il

cinema e la televisione. La fotografia, introducendo la prospettiva lineare attraverso

un processo di automazione, sembrerà rendere inutile l‘artista, posto fra la realtà e il

fruitore e lo farà attraverso la meccanica e la chimica.. Al momento più di un secolo

di cinema e fotografia si sono dati il compito di studiare il modo di ottenere la

riproduzione dello spazio tridimensionale su superfici piatte. I film che uniscono

animazione e immagini tridimensionali con le tradizionali tecniche fotografiche e

cinematografiche hanno ricondotto l‘interesse nei confronti di una disciplina che ha

il fine di plasmare con scrupolosità le proprietà fisiche e ottiche del mondo reale.

L‘arte e la matematica, che parrebbero tanto lontane tra di loro, si sono fuse per

affascinare e trascinare l‘osservatore nell‘immaginario non reale ma sintetico

concedendo alla mente umana la realizzazione fantastica dell‘immateriale.

Il fotorealismo rappresenta immagini fatte nascere da computer che avvalendosi delle

proprietà ottiche e fisiche del mondo reale, le traduce matematicamente, con un

procedimento tale che un osservatore sia ingannato fino a confondere un‘immagine

artificiale con una fotografia.

Non vuole essere un inganno per lo spettatore, in realtà per immediatezza si intende

qualcosa che accomuna varie forme e pratiche culturali in cui vi è un punto di

contiguità tra il medium e quello che viene riprodotto.

Allo stesso modo della immediatezza trasparente, anche i media hanno una loro

109

Jay J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.”

op. cit. pag. 46

CAPITOLO II

58

storia. Negli anni sessanta e settanta operarono Englebart, Kay ed i loro colleghi

della xerox parc che inventarono l‘interfaccia utente di tipo grafico chiamata

―finestre‖ i rettangoli che scorrono sul video. Lo stile a finestre dell‘interfaccia del

computer ci rimanda alla nota metafora, coniata da Leon Battista Alberti, del quadro-

finestra. Una metafora che è andata oltre l'idea di mimesi e che ha rappresentato un

vero e proprio topos della teoria estetica. Le finestre del Web sono una interfaccia

trasparente, ossia non cerca di nascondere se stessa, il suo linguaggio risiede nella

continua esibizione dei suoi contenuti eterogenei, nella varietà delle sue finestre. In

questo caso l‘immediatezza viene a cadere:

Se la logica dell‘immediatezza porta a cancellare o a rendere automatico l‘atto di

rappresentazione, la logica dell‘ipermediazione riconosce l‘esistenza di atti di

rappresentazione multipli e li rende visibili. Dove l‘immediatezza suggerisce uno spazio

visuale unificato, l‘ipermediazione ne offre uno eterogeneo […] un‘entità costituita da

finestre: finestre che si aprono su altre rappresentazioni o su altri media […] cerca di

riprodurre la ricchezza sensoriale dell‘esperienza umana.110

La rappresentazione di un medium dentro un altro è una peculiarità sostanziale dei

nuovi media digitali che sono in grado di legare in un network indissolubile tutta la

varietà mediale utilizzabile (dalla stampa alla televisione) e tutte gli sviluppi sociali

ed economici possibili.

I media digitali come si è visto implicano il contrasto tra le due logiche che nel corso

di tutta la modernità non sono state comparabili in quanto hanno caratterizzato un

medium piuttosto che un altro.

Bolter e Grusin hanno focalizzato la ―doppia logica della rimediazione‖, presentando

da un lato la dialettica dell‘immediatezza e dall‘altro quella dell‘ipermediazione. Con

immediatezza gli autori distinguono quelle certezze e quelle pratiche mediali vicine

tra loro dalla «convinzione che esista un punto di contatto tra il medium e ciò che

viene rappresentato»111

Possiamo parlare in tal senso della prospettiva di Leon

Battista Alberti che può essere considerato l‘archetipo mediale della dialettica

dell‘subitaneità dal momento che per mezzo della finestra delimitata dalla cornice si

può osservare la realtà, qual é, escludendo la cornice da quella realtà. «Se la logica

110

J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.

cit pag. 59 111

J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.

cit. pag. 56

CAPITOLO II

59

dell‘immediatezza porta a cancellare o a rendere automatico l‘atto di

rappresentazione, la logica dell‘ipermediazione riconosce l‘esistenza di atti di

rappresentazione multipli e li rende visibili»:112

Si tratta di due dialettiche: se

immediatezza significa trasparenza e autenticità dell‘esperienza, visione di una realtà

reale, ipermediazione invece evidenzia opacità e, ancora una volta, autenticità

dell‘esperienza, ma di una realtà mediale. Difatti oggi, sia secondo una logica

epistemologica che psicologica, occorre fare i conti con due realtà: quella che

potremmo definire realtà fisica, ossia l'insieme di ciò che esiste realmente e

concretamente e, nell‘informatica, della realtà virtuale, con situazioni, esperienze

simulate al computer e in tutto simili a quelle reali. Nei media digitali, le due logiche

agiscono e reagiscono contemporaneamente e di conseguenza :

la cultura contemporanea vuole allo stesso tempo moltiplicare i propri media ed eliminare

ogni traccia di mediazione: idealmente, vorrebbe cancellare i propri media nel momento

stesso in cui li moltiplica113

.

La rimediazione, caratteristica specifica dell‘attuale morfologia mediale, in aggiunta

alla ricerca di una convivenza simultanea dei caratteri di immediatezza e

ipermediazione implica una competizione e contemporaneamente una integrazione

tra media vecchi e nuovi. ―Remediation‖ su questo punto prova a realizzare una

logica non moderna, cioè non lineare. Si pone in modo differente riguardo ai

all‘enfatizzazione di futuri eccezionali e progressisti che desidererebbero far

realizzare l‘emergere di nuovi media come l‘atto di morte dei media trascorsi, Bolter

e Grusin suggeriscono un andamento articolato al punto da includere dentro di sè la

rimediazione dei vecchi media da parte dei nuovi, così come la rimediazione dei

nuovi da parte dei vecchi.

La rimediazione opera in entrambe le direzioni: gli utenti dei vecchi media come film e

televisione possono cercare di appropriarsi e rimodellare la grafica computerizzata, così

come gli artisti di grafica digitale possono rimodellare cinema e televisione114

112

J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.

cit.pag. 59 113

J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.

cit.pag. 59 114

J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.

cit.pag. 76

CAPITOLO II

60

Questi sviluppi di integrazione e competizione sono verosimili in virtù della

impurità dei media, ininterrottamente collegati ad ambiti mediali e il più delle volte

sociali e non riconducibile ad essi.

Prendendo su di sé l‘eredità mcluhaniana, Bolter e Grusin individuano il ―contenuto‖

dei nuovi media digitali nei media antecedenti, racchiudendo i media come

ibridazioni di più costituenti, indicando dialettiche e sviluppi non lineari e tese al

compendio. Immediatezza e ipermediazione vogliono spingere verso una autenticità

dell‘esperienza. La dialettica dei nuovo media sembra includere dunque termini

apparentemente in contrasto tra loro oppure formanti una triade comunque

essenziale e in necessaria coesistenza : il bisogno di immediatezza trasparente cozza

contro la natura mediale del mezzo ma in qualche modo viene confermata

l‘autenticità dell‘esperienza .

Bolter e Grusin sono particolarmente legati alla realtà virtuale, la discendente della

prospettiva dell‘Alberti e del Brunelleschi, in quanto rimedia il punto di vista fisso

caratteristico dei dipinti rinascimentali, donando un punto di vista non fisso, e perché

si avvicina alla trasparenza completa, ossia tale da far scomparire il medium e

permettere allo spettatore di entrare nel quadro. Si è in grado di realizzare tale

immediatezza attraverso l‘immersione tridimensionale e la possibilità di interazione.

E‘ possibile creare un collegamento tra la prospettiva , la realtà virtuale ed il cinema

con l‘uso della ―soggettiva‖. Attualmente la realtà virtuale sembra appagare la

voglia di subitaneità predominante lungo la modernità, che la televisione ed il

cinema fino ad oggi non avevano appagato, ma attualmente sono in grado di offrire

Possiamo però parlare di medium visivi? W.J.T. Mitchell , l‘autore di ―There are

no visual media‖ sosterrebbe che non si possa farlo, benché questa espressione

venga utilizzata comunemente per designare cose come Tivù, film, fotografia,

dipinto e così via. Questo perché tutti i così detti media visivi ad una più attenta

analisi, in qualche modo coinvolgono gli altri sensi (specialmente il tatto e l‘udito).

In ultima analisi tutti i media , dal punto di vista delle percezioni, sono ''media

mescolati.'' E c‘è da credere che a breve al 3D si aggiungerà la possibilità di sentire

profumi attinenti alle situazioni virtuali. D‘altra parte Mitchell ci ricorda

l'osservazione di Aristotele a proposito del dramma, che connette i tre ordini del

lexis, del melos, e della opsis, ossia parole, musica e spettacolo.

Ogni concezione di genuinità assoluta, anche prima della rimediazione, sembra

CAPITOLO II

61

quindi fuori luogo parlando di questi media antichi e moderni, sia dal punto di vista

dei sensi che da quello degli elementi semeiotici che contengono e in ciò che è

esterno nella loro eterogenea composizione pubblica. E, se si è argomentato che i

film muto fossero media ―puramente visivi'', occorre ricordare il semplice fatto che

nella storia dei film muti questi fossero sempre accompagnati da musica e discorsi, e

che gli stessi filmati hanno avuto al loro interno spesso scritte o parole stampate.

Sottotitoli, interstizi, parlati e accompagnamenti musicali fecero coreografia del film

―muto‖. Occorre dire che il candidato migliore di un media puramente visivo resta

dunque soltanto la pittura. Fermo restando le tecniche pittoriche di uscita dalla

cornice come la Prospettiva passante di Masaccio, ad esempio nella Cappella

Brancacci al Carmine, gli scorci di Mantegna, come nel ―Cristo morto‖, lo

sfondamento delle cupole barocche e i Trompe l‘oeil.

Parlando di realtà virtuale, secondo Jenny Holzer, 115

questa è una tecnologia, un

medium e un concetto allo stesso momento e non è tre cose differenti. Lui li

considera tre aspetti differenti della stessa idea che concedono l‘abilità di controllare

e creare l‘esperienza. Il termine realtà virtuale , con cui la società attuale si appresta

ad entrare sempre più in contatto (il tatto, appunto) si riferisce a sette diverse idee e

tecnologie: simulazione, interazione, artificialità, immersione, telepresenza,

immersione di tutto il corpo, e comunicazione in rete. Infine la RV è un tipo di

Immaginario Oggettivo in cui le persone possono sia controllare che condividere

esperienze che sono reali ma non realmente materiali, né veramente mentali. In un

mondo virtuale, non soltanto gli oggetti ma lo spazio stesso è interattivo. L‘effetto

dell‘ambiente virtuale è quello di circondare il visitatore per cui può apparire, come

afferma Margaret Morse116

, come qualcosa di ―vivo‖ o ―animato.‖

La RV dunque non è soltanto una tecnologia della visione, ma anche del tatto. Bolter

e Grusin, parlano del tatto:

115

Jenny Holzer (Gallipolis, 29 luglio 1950) è una artista statunitense considerata una delle principali

esponenti delle più recenti tendenze dell'arte concettuale e dell'arte pubblica.

Il suo campo di intervento è costituito dal posizionamento di brevi testi nello spazio urbano attraverso

l'utilizzo di vari supporti (cartaceo, LED luminosi, pietre incise, video). Complessivamente si tratta di

un'operazione di defamiliarizzazione del paesaggio mediatico più consueto che mima e ribalta i

dispositivi pubblicitari. 116

Margaret Morse è Professore Associato. di Film e Video presso la UC di Santa Cruz, dove

insegna Teoria e critica dei nuovi media.

CAPITOLO II

62

Il teorico dei media Florian Rotzer può però avere ragione nel sostenere che, proprio perché

il tatto è difficile da integrare nell‘ambiente virtuale essa sarà considerata una sensazione

privilegiata.117

In ultimo dedichiamo una attenzione particolare al paragrafo ―La dissoluzione dell’Io

cartesiano‖, in cui gli autori riportano una descrizione di Anne Balsamo118

che tra

l‘altro precisa: «In un programma di realtà virtuale l‘utente sperimenta la realtà

virtuale attraverso uno sguardo disincarnato- una prospettiva fluttuante e in

movimento- che mima il movimento dell‘occhio disincarnato della telecamera»119

.

Ricordano appunto Cartesio, il quale sostiene che nemmeno le scienze matematiche,

apparentemente certe, possono sottrarsi allo scetticismo metodologico, non avendo

gli esseri umani una conoscenza precisa e sicura della nostra origine e del mondo che

ci circonda, e seguendo gli autori che descrivono la RV come «una tecnologia che ha

il potere di ribaltare completamente il pensiero di Cartesio»120

, giungiamo assieme a

loro alla conclusione che «la realtà virtuale contiene dunque la contraddizione di

essere allo stesso tempo cartesiana e anticartesiana, astratta e sensuale, centrata e

frammentata, forse anche simultaneamente maschilista e femminista»121

.

Concludiamo con le parole di Mario Costa

La natura del medium, per tentare di capire di più, ci sembra, da un lato, quella di dissolvere

il soggetto individuale(facendolo non tanto ―navigare‖ quanto ―annegare‖ nello sconfinato

―oceano/serbatoio‖ di dati o facendolo ―disperdere‖nell‘infinità della comunicazione di rete),

d‘altro lato quella di affermare se stesso come flusso. Un‘estetica di Internet deve coincidere

insomma con una qualunque modalità di tematizzazione sovra personale del flusso, deve

cioè operare nella direzione di una modulazione ipersoggettiva del flusso o, il che è lo stesso,

di una modulazione ipersoggettiva del tempo.

Ed è quanto mi pareva di avere capito nell‘86, prima dell‘avvento stesso di Internet, quando

scrivevo: L‘estetica della comunicazione è una estetica di eventi. L‘evento è ciò che si

sottrae dalla forma e si presenta come flusso spazio-temporale o processo dinamico e

117

J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.

cit. pag. 288. 118

Attualmente Professore Ordinario, della Divisione Interactive Media, School of Cinematic Arts

(SCA) e nella Annenberg School di Comunicazione e Giornalismo, presso l‘università di Southern

California, Los Angeles. 119

J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. op. cit.pag. 283. 120

J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. op. cit.pag. 285. 121

J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. op. cit.pag. 288.

CAPITOLO II

63

vivente‖. Il ―flusso‖, o ―processo dinamico‖ di cui parlavo allora è, in sostanza, quella

modulazione ipersoggettiva del tempo alla quale Internet, in particolare, ci fa accedere e

sulla quale gli artisti sono chiamati a lavorare.

2.3 La rimediazione nel cinema e nella televisione

2.3 1 Lo schermo, l‘utente e la realtà virtuale.

Sia che si parli di cinema o di televisione il punto di partenza su cui si giocano le

nuove tecnologie, almeno per ora, sembra essere lo schermo e la relativa cornice.

Sin dalle sue origini ―la cornice‖ svolge un ruolo rilevante all'interno dei dispositivi

di produzione e assimilazione delle immagini, permettendoci di disgiungere il

dominio dell'arte, o del ―non reale‖, dal mondo reale. Prende su di sé una punto di

rottura tra due diverse forme di realtà, il mondo fenomenico e ―l‘altro‖, ad esempio

quello della rappresentazione pittorica, e differenzia lo spazio dell'opera, ossia il ―di

dentro‖ della rappresentazione, dallo spazio dello spettatore, ossia il ―di fuori‖.

Inoltre, oltre a separare queste due entità spaziali, ―mette in cornice‖ l‘oggetto da

osservare, dandogli importanza strategica.

La cultura visiva è contraddistinta dunque ( dalla pittura, alla televisione, al cinema

ed al computer), dall‘esistenza di un altro spazio virtuale compreso in una cornice e

collocato all‘interno del nostro spazio normale. In pratica è la cornice che divide i

due spazi, così dissimili tra di loro, che pure sono compresenti nel nostro mondo

reale.

Stiamo parlando evidentemente dello schermo ―classico‖.

Da sempre, anche nella logica di Leon Battista Alberti, si tratta di una superficie

piatta (che in pittura può assumere anche una forma circolare), me che nel cinema,

nella televisione e nei Pc, assume una forma piana, rettangolare, destinata alla

visione frontale, con la caratteristica di esistere nel nostro mondo fisico ed agire in

uno spazio ―altro‖: quello della rappresentazione.

Tale spazio usufruisce una scala dimensionale diversa da quella che impieghiamo nel

nostro spazio normale. Stiamo parlando di uno schermo che non è molto cambiato

nello spazio di cinque secoli ed è a causa di ciò che i nomi dei due formati

fondamentali per l‘uso dei monitor del Pc. hanno relazione con due differenti generi

pittorici: il formato orizzontale viene chiamato ―a paesaggio‖ e quello verticale ―a

ritratto‖. Nasce circa un secolo fa il tipo di schermo che può definirsi ―dinamico‖, il

CAPITOLO II

64

quale aggiunge alle vecchie caratteristiche la possibilità di una immagine che muta

nel tempo, come avviene nello schermo del cinema, della televisione e del video del

computer. Tale tipologia di schermo comporta però una particolare relazione tra

l‘immagine e lo spettatore, ovvero un certo regime di visione. L‘immagine che

appare sullo schermo si sforza di creare una completa illusione con la ricchezza di

visuale, ma viene richiesto allo spettatore di lasciare da parte lo scetticismo e

identificarsi con l‘immagine stessa.

Brunelleschi tentava di recuperare questa illusione a mezzo della prospettiva sin dal

quattrocento. Dice Giuliano Briganti122

in relazione all‘opera del Brunelleschi:

La vista è un fenomeno molto più complesso di quanto non supponesse il Brunelleschi.

Quello che l‘occhio percepisce è uno spazio limitato e discontinuo, l‘immagine è sfocata ai

margini e divisa in gruppi più o meno indipendenti. Inoltre, poiché il campo visivo è

fisiologicamente sferoidale l‘occhio, in parte percepisce curve, invece di rette.

Ma c‘è un ―nuovo gioco‖ che le moderne tecnologie della realtà virtuale possono

offrire: la realtà virtuale, che già nel 1968 ci regalò David Sutherland, con il display

tridimensionale per l‘HMD, ―head Mounted display‖. Una realtà virtuale, partita per

ricerca di strumentario di guerra, atterrata invece nel mondo civile, con i videogiochi

e l‘utilizzo nel lavoro, oltre al mondo della sanità con una svariata possibilità di

utilizzo per la salute pubblica.

Da questo punto in poi il dentro ed il fuori, il vero ed il falso, il percepito e l‘esistente

si avviano proprio a confondere e non sappiamo dove ci condurrà questa strada. Basti

pensare a ciò che potrebbe regalarci il futuro anche se oggi è fantascienza: nello

―Star Trek”123

, i membri dell‘astronave Enterprise per rilassarsi, possono accedere a

tutti i paesaggi che la loro immaginazione o quella di chiunque possa sognare.

Possono rivivere una battaglia da un'antica guerra, conversare con personaggi di

fiction come il Detective Sherlock Holmes. Possono vedere, ascoltare, sentire, ma

anche il gustare e odorare. Possono partecipare e interagire alle scene. Camminando

attraverso una scena, il loro punto di vista si abbassa, come sarebbe se fossero a piedi

122

G. Briganti ―Il romanzo della pittura - Masaccio e Piero”, supplemento a ―La Repubblica‖, 2

novembre 1988, p. 18. 123

Star Trek è una sere televisiva statunitense di genere fantascientifico che ha avuto inizio nel 1966,

ideata da Gene Roddenberry, divenuta in seguito tra le più popolari nella storia della televisione. Dal

successo della prima serie - in larga parte postumo - sono derivate nel corso di quarant'anni altre

cinque serie televisive (di cui una a cartoni animati) e undici pellicole cinematografiche (la più recente

del 2009).

CAPITOLO II

65

in un luogo reale. Quando parlano, i personaggi nella scena rispondono. Quando

colgono un fiore, ne percepiscono la consistenza e il peso nelle loro mani. Ma sanno

che nulla è reale. Tutto è stato creato da un computer. Un inventore di nome Ivan

Sutherland ha immaginato qualcosa di simile nel 1965. Egli l‘ha chiamato l'ultimo

display. Ha illustrato una sorta di ―stanza‖ entro la quale il computer è in grado di

controllare l'esistenza della materia e in grado di creare ciò che egli definiva ―mondi

virtuali‖. Sutherland ha scritto: «Sulla sedia [che faceva parte del display]... sarebbe

sufficiente sedersi. Con la programmazione del caso, ossia un display, chiunque

potrebbe essere letteralmente scagliato nel paese delle meraviglie in cui Alice ha

camminato .»

I dispositivi dei computer possono far girare in forme matematiche le informazioni

che gli utenti possono percepire con i sensi. Chi si trova all‘interno della stanza

virtuale è completamente circondato, o immerso in questi mondi artificiali. Gli

oggetti in mostra hanno aspetto tridimensionale, con le diverse parti che possono

essere spostate e utilizzate. I display sono interattivi, individuano i movimenti dei

telespettatori e cambiano in risposta ad essi, in ―tempo reale‖e anche più rapidamente

di quanto accade nel mondo reale.

Nel tardo 1980, un altro inventore, Jaron Lanier, ha lavorato alla realtà virtuale,

spesso ridotta a VR. In quel tempo, la tecnologia necessaria per la loro creazione era

già in fase di sviluppo.

Oggi, quindi, la tecnologia della realtà virtuale sta cominciando a diventare parte

della vita delle persone. I giocatori seduti in ―video arcades‖ o al loro computer di

casa o alla consolle per videogiochi, impiegano funzionalità per vedere in

panoramica tridimensionale, scene reali o di fantasia. I piloti usano una più

complessa VR, con simulazioni pratiche di volo, i lavoratori edili li usano per

imparare a operare con pesanti attrezzature. I chirurghi si occupano di realtà virtuale

per pianificare le operazioni, gli psichiatri la utilizzano per trattare alcuni tipi di

malattie mentali. I bambini nelle aule con uso VR apprendono di arte e di scienza nei

musei, nei parchi nazionali, o ricreanti eventi storici. Gli scienziati utilizzano la VR

per vedere dentro la terra o per manipolare gli atomi e le molecole per creare nuovi

farmaci. I designer possono utilizzarla per creare nuovi aerei, automobili e edifici.

Naturalmente l‘utilizzo della realtà virtuale sta cominciando a suscitare seri

interrogativi etici, malgrado ciò è pensabile che entro la metà del XXI secolo, molte

CAPITOLO II

66

aziende e anche le case private potranno avere camere in grado di creare illusioni

convincenti che circondano i telespettatori.

2.3. 2 Cinema e tv.

Naturalmente la sempre maggiore predominanza dei nuovi mezzi di comunicazione

non poteva restare fuori da quella che possiamo considerare la forma d‘arte più

amata del ventesimo secolo, ossia il cinema. La televisione, per sopravvivere, ha

anch‘essa bisogno di rimediare i nuovi media digitali, anche se, come ricordano

Bolter e Grusin: «… rispetto al cinema, essa ha il vantaggio di avere sempre attinto

liberamente forme e materiali da altri media». 124

La televisione insomma è stata

―ipermediata‖ anche prima che la grafica digitale divenisse di uso comune E‘

evidente che la televisione broadcast di tipo tradizionale stia attualmente affrontando

una sfida di grande interesse, non appare strano che possa fondersi o avvicinarsi ad

altri media controllati esplicitamente dalla evoluzione del computer senza correre il

rischio di perdere in modo totale la propria identità. Intanto i produttori televisivi

sono occupatissimi a ottenere il massimo rendimento dalla tecnologia digitale allo

scopo di accrescere l‘ostentazione della immediatezza, caratteristica del medium

televisivo.

Questo avviene per cinema e televisione per mezzo dell‘incorporamento della

grafica digitalizzata e di accorgimenti di grafica digitale per ridisegnare i film con

una struttura narrativa lineare. Bolter e Grusin in Remediation si muovono dal

cinema d‘animazione quale esempio in cui l‘introduzione delle tecnologie digitali ha

disposto la crescita dei film tradizionali. Questo tipo di cinema, infatti,

particolarmente quelli prodotti dalla Disney, qualificati specialmente all‘inizio come

un genere destinato a una propria fascia di utenti, ha spesso rimediato ―all‘indietro‖

leggende, miti, fiabe, classici della letteratura, come anche le pratiche

cinematografiche con la simulazione di carrelli o movimenti della macchina da presa

caratteristici dei film d‘azione e generi come il musical.

Con Toy Story, il primo lungometraggio d'animazione completamente sviluppato in

grafica computerizzata, realizzato dalla Pixar e distribuito dalla Walt Disney

124

J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.

cit. pag. 217

CAPITOLO II

67

Pictures, vi fu un incasso di 356.800.000$ in tutto il mondo. Divenne il film con il

maggiore incasso nel 1995 ed entrò al 65º posto nella lista dei film che hanno

venduto maggiormente. Il film, che venne proiettato in anteprima mondiale il 19

novembre 1995 a Los Angeles, uscì nelle sale cinematografiche degli Stati Uniti

d'America nel novembre 1995, ma in Italia uscì il 22 marzo 1996. successivamente è

stato rimasterizzato in 3D ed è uscito nelle sale statunitensi e canadesi il 2 ottobre

2009. Ciò non evita che, secondo Bolter «prende a prestito il potere grafico dei

media digitali ma ne rimuove la promessa (o minaccia) di interattività»,125

il film

difatti conserva gli statuti della linearità narrativa, verosimilmente dovuto alle

logiche economiche dei principali studi di produzione cinematografica. Per Bolter e

Grusin quello che il cinema d‘animazione ha assimilato nell‘incontro con le moderne

tecnologie è stata una più grande cognizione dei suoi modi d‘espressione meritevoli

di misurarsi con il realismo di hollywood.

A tal proposito occorre ricordare che la televisione è emersa, come forma mediale,

quando il cinema hollywoodiano si era da qualche tempo attestato come forma

culturale ed era pervenuto a una stabilità sul piano economico e un preciso e notevole

status sociale. Nel corso dei suoi primi anni di vita la televisione si ispirò a

precedenti forme di spettacolo quali il vaudeville, in bilico tra il genere teatrale di

carattere leggero, sorto in Francia alla fine del Settecento, è la Commedia brillante,

basata su un fitto alternarsi di situazioni spiritose, in voga tra la fine dell'Ottocento e

gli inizi del Novecento.

In seguito, continuando nella sua opera di rimediazione ha iniziato con il rimediare i

classici generi cinematografici, giungendo con il tempo a trasmettere i film già

passati sul grande schermo per poi convertirsi in un vero e proprio cinema privato

domestico.

Nel tempo ha predisposto i suoi stili di trasparenza, collegati alla fruizione del

pubblico; le sue necessità hanno quindi coinvolto la componente estetica e la

capacità di essere in continuo aggiornamento e contatto con l‘emotività del pubblico,

tale da fare propria l‘attenzione in modo dinamico e incessante. E‘ il momento in cui

la ostentazione di una ripresa dal vero diviene il marchio di garanzia, per cui

125 J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.

cit.pag. 179.

CAPITOLO II

68

cominciano a moltiplicarsi programmi definiti reality, verso cui lo spettatore più che

guardare, si pone nell‘ottica del voyeur. Tale immediatezza è, però intrinsecamente

collegata a una forte ipermediazione giacché la grafica e la superficie dello schermo

stanno divenendo molto somiglianti a quella di un computer.

Paradossalmente lo stile a finestra tipico del computer è più evidente in quei programmi che

offrono una visione trasparente degli eventi in diretta. Dal momento che i telegiornali

vogliono proporre il maggior numero di notizie nel minor tempo possibile, essi tendono a

riempire lo schermo, evidenziando il potere della televisione di cogliere gli eventi. Questo

atteggiamento porta a quello che può essere chiamato ―look CNN‖.126

Per contro, sebbene vi sia la presenza di media digitali integrativi che ovviamente

non possono non essere percepiti dallo spettatore, togliendo quindi trasparenza alla

visione, questo non tende a diminuire il ricercato senso di immediatezza. Basti

pensare che, ad esempio, la CNN sia resa nota al pubblico proprio per la sua capacità

di offrire la realtà ―momento per momento‖, di guerre, crimini e disastri naturali.

La logica dell‘immediatezza contraddistingue anche la rappresentazione

hollywoodiana benché all‘interno di questa la grafica venga introdotta sia la logica

dell‘immediatezza sia quella dell‘ipermediazione. Difatti in molti film d‘azione la

grafica è molto visibile così come gli effetti speciali, che sono riportati in modo

talmente visibile da rendere lo spettatore stupito e incantato dal procedimento in cui

è reso l‘effetto. Nel caso di ―Jurassik Park‖ le creature concepite al computer sono

realizzate in modo iperrealistico tanto da apparire ―più vere del vero‖.

L‘immediatezza e la trasparenza si compiono nelle produzioni cinematografiche che

utilizzano i mezzi digitali in sintonia con lo spettatore come accadeva in passato per

il cinema d‘attrazione. Era quindi riconosciuto immediatamente il nuovo mezzo,

tuttavia permaneva la meraviglia per l‘effetto di realtà che introduceva nelle platee.

Bolter e Grusin affermano che Hitchcock sia uno dei precursori di questa logica e in

tal senso sostengono che il film ―Vertigo, la donna che visse due volte” del 1958,

anticipi di circa due decenni la rivoluzione digitale del cinema e permetta un esempio

molto evidente delle tecniche di rappresentazione ora in uso dai grafici digitali e dai

designer. Vi sono scene che non seguono la logica della trasparenza, quale quella

126

J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.

cit.pag. 222

CAPITOLO II

69

dell'effetto Vertigo, che è la combinazione di uno zoom in avanti e di una carrellata

indietro, o di uno zoom all'indietro e una carrellata in avanti. Hitchcock l‘usò per

creare il senso di vertigine del protagonista affetto da acrofobia.127

Negli anni Cinquanta quindi la sensazione dell‘ipermediazione poteva essere

associata ai disturbi mentali mentre oggi questa tecnica appare normale.

2.3. 3 Uno sguardo alla terza dimensione.

Per quanto riguarda la televisione sembra oramai divenuta una realtà, anche se

ancora costosa e quindi ―non per tutti‖, della Tv in 3D.

3D è l‘abbreviazione di ‗tre dimensioni‘ ossia la relazione di un oggetto o di

un‘immagine al campo delle tre dimensioni spaziali: verticale, orizzontale e

profondità.

La possibilità della vista in tre dimensioni è connaturata nell‘essere umano per via

della convergenza degli assi visivi (visione binoculare), che focalizza un unico punto

partendo da posizione diversa (i nostri due occhi).

Il cinema 3D o la incombente televisione 3D vuole ricreare questa sensazione di

immagini in tre dimensioni che è pertinente alla vita reale.

La riproduzione tridimensionale di immagini e filmati non è una tecnologia recente,

anche se solo recentemente ha ridestato un grande interesse nel pubblico grazie ai

miglioramenti della tecnologia.

Questa tecnologia utilizzata basandosi sulla stereo-visione non è per nulla recente in

realtà, infatti, si parlava di visione 3D applicata alla proiezione di contenuti visivi già

nel 1830 esposta da Sir Charles Wheatstone128

e poi fu effettivamente prodotta nel

1922, precisamente il 22 dicembre con il film The man from M.A.R.S. proiettato al

Selwyn Theatre di New York. Seguirono ―Il Mostro della Laguna Nera‖ nel 1954 e

―Lo squalo III‖ nel 1983, ma la legittimazione del cinema 3D è avvenuta nel 2009

con ―Avatar‖.

La tecnica di ripresa che permette la visione stereoscopica di immagini in movimento

usufruisce una cinepresa o una videocamera con doppio obiettivo e doppia

esposizione, che riprende contemporaneamente due visioni leggermente sfalsate (di

127

L'acrofobia (ákros, in greco alto e fòbos, in greco fobia) è una fobia. È definita come paura delle

altezze e dei luoghi elevati 128 Sir David Brewster (Jedburgh, 11 dicembre 1781 – Allerly, 10 febbraio 1868) è stato un fisico e

inventore scozzese

CAPITOLO II

70

circa 6 cm.) della identica immagine, cioè alla identica distanza degli occhi umani.

Nel passato un'altra tecnica usufruiva di due cineprese collocate una di fronte

all'altra, che riprendevano la stessa immagine attraverso due specchi collocati a 90°

rispetto al soggetto.

Il 2010 è stato l‘anno dell‘avvento inatteso dei televisori 3d. Si tratta di un televisore

in grado di visualizzare filmati tridimensionali. Per ottenere la dimensione della

profondità è ricreata si provvede un‘immagine diversa per ciascun occhio (visione

stereoscopica) facendo in modo che ogni occhio veda solo quella a lui riservata.

La tecnica adottata da tutti i produttori per portare la visione 3D sui televisori a

schermo piatto (LCD e Plasma) consta nell‘intervallare, nella sequenza dei

fotogrammi, le immagini indirizzate all‘occhio destro con quelle per l‘occhio

sinistro, in modo da somministrare al nostro cervello due dati da due canali diversi.

Lo spettatore indossa a tal fine dei particolari occhiali con otturatori ―attivi‖, detti

―active shutters‖.

Si tratta di lenti in cui è presente uno strato a cristalli liquidi che si oscura in contatto

di un segnale elettrico. Inviando una sequenza di segnali di oscuramento

sincronizzati con la riproduzione dei fotogrammi sullo schermo, a una frequenza che

superi la persistenza della visione sulla retina, è dato fare in modo che ogni occhio

veda unicamente il fotogramma a lui indirizzato.

Anche gli occhiali devono essere in grado di aprire e chiudere le due lenti al ritmo di

120 volte il secondo, in modo sincronizzato con la riproduzione dei fotogrammi. Per

ottenere questo, il televisore deve possedere un emettitore wireless (a infrarossi o

Bluetooth) che invia agli occhiali un segnale di sincronizzazione.

Attualmente in Italia non esistono trasmissioni televisive in 3D e anche se le stanno

testando in Spagna e in Gran Bretagna, occorrerà del tempo perché siano realizzate.

Tuttavia le marche di televisori hanno anticipato che i loro apparecchi televisivi 3D

saranno dotati di un convertitore 3D in tempo reale che dovrebbe adattarle al nuovo

formato, anche se l‘effetto non sarà straordinario come con i contenuti fatti apposta

per le tre dimensioni. Visto che il sistema utilizza la nitidezza dell‘immagine come

criterio per identificare i diversi livelli di profondità in base alla messa a fuoco,

funziona bene con inquadrature in esterni, in cui lo sfondo è sfocato rispetto al

soggetto principale, ma non altrettanto nelle riprese di studio, in cui spesso

l‘immagine è tutta perfettamente a fuoco.

CAPITOLO II

71

Fino a quando la tecnologia non progredirà (abbassando i costi) e non avremo le tv

auto-stereoscopiche ci sarà necessità degli occhialini che dovranno essere della stessa

marca del televisore altrimenti saranno incompatibili.

Gli occhiali shutter agiscono a batteria e devono mettersi in comunicazione wireless

con il televisore: sono quindi voluminosi e scomodi da infilare sopra un paio di

occhiali da vista.

Siamo anche in attesa dei televisori intelligenti. In grado di accedere a Internet in via

diretta, di veicolare contenuti aggiuntivi, di offrire servizi di video e audio ―on

demand,‖ e di consentire la navigazione online. Si prevede che entro il 2014 si

conteranno oltre 123 milioni di TV Internet-connected consegnati in tutto il mondo.

In realtà, la televisione e il WWW sono impegnati in una competizione non

riconosciuta per cui una cerca di rimediare l‘altro. Si tratta di un concorso

economico, prima che estetico e forse la soluzione sarebbe proprio nelle TV, perché

le televisioni che supportano l‘accesso diretto a Internet sono in grado di fornire

benefici immediati agli utenti, offrendo loro la possibilità di fruire all‘istante dei

contenuti audiovisivi veicolati attraverso la Rete.

Il futuro è già domani.

CAPITOLO III

72

CAPITOLO III

L’ibridazione. Un tentativo di analisi

3.1 Il sogno realizzato

Seguendo quella che Manovich definisce ―una metafora biologica‖, possiamo

assimilare le nuove combinazioni di elementi mediali alla nascita di nuove specie. In

alcuni casi il ―nuovo nato‖ è fine a se stesso e non si replica. In ogni caso dobbiamo

considerare l‘ibridazione come un sogno realizzato, o meglio come lo sviluppo del

sogno di Alan Kay e Adele Goldberg sul ―metamedium‖. «L‘estetica globale‖

contemporanea celebra l‘ibridazione, utilizzandola per generare emozioni, narrazioni

ed esperienze per gli utenti».129

L‘autore sostiene che oggi sia tutto soggetto a

ibridazione e che i nuovi nati siano messi in comune dal fatto di avere incorporato in

loro tecniche un tempo non conciliabili, provenienti da media differenti. Non conta

più contestualizzare i media di provenienza e dividerli, ad esempio, in analogici o

digitali. Neanche se una tecnica è stata creata allo scopo di imitare un media

tradizionale o è nata come digitale. E‘ interessante piuttosto notare come Alan Kay e

Adele Goldberg l‘avessero previsto nel parlare di un medium che avrebbe messo

assieme «una vasta gamma di media già esistenti e non ancora inventati.»130

Manovich definisce il remix come «la logica culturale del capitalismo

globale»,131

chiedendosi, però quali siano i meccanismi del remix che operano nel

software culturale e in qual modo si distinguono da quelli operanti in altri ambiti

culturali. Fermo restando che l‘incontro di strumenti e tecniche separati nello stesso

ambiente software ha prodotto un sovvertimento e una metamorfosi anche nelle

esperienze creative in cui questo mix è utilizzato e modificato il concetto stesso di

―media‖. Laddove ad esempio ha prodotto grandi mutamenti è nel design

dell‘immagine in movimento, con un linguaggio che è apparso evidente tra il

millenovecentonovantatre e il novantotto, quando i registi e i designer hanno preso a

servirsi con procedimento regolare dei software per l‘editing e l‘authoring.

Tra gli elementi di distinzione per questo tipo di linguaggio Manovich registra le

«forme variabili in continua mutazione, l‘uso dello spazio tridimensionale, come

129

L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Edizioni Olivares. The MIT Press. IX edizione.

Novembre 2009. Pag. 90. 130

A. Kay, A. Goldberg, ―Personal Dynamic Media‖,‖IEEE Computer‖, X,3 marzo 1977. Pag 403. 131

131

L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖Op. Cit. Pag. 34.

CAPITOLO III

73

piattaforma per il media design e l‘integrazione di tecniche mediali un tempo non

compatibili.» 132

In pratica adesso non viene fatto il soltanto il remix del contenuto di

differenti media ma altresì quello delle loro tecniche, i processi produttivi e le prassi

di rappresentazione ed espressione. Per quanto riguarda la ―grafica in movimento‖,

rivelatasi all‘improvviso, il successo fu dovuto all‘espandersi di ―after effects‖ e

software simili, che potevano essere utilizzati in modo economico anche tra le

piccole case di post produzione per la creazione di animazioni sofisticate ed effetti

speciali in stile cinematografico. Adobe After Effects permette, ad esempio, la

trasformazione delle immagini in movimento e può renderle adatte alla

visualizzazione sul grande schermo come in ambienti domestici, su PC e dispositivi

mobili. Nella cultura attuale delle immagini in movimento sono riuniti nello stesso

ambiente informatico, i linguaggi del cinema, dell‘animazione tradizionale e di

quella computerizzata, degli effetti speciali, della grafica e della tipografia

compiendo quello che Manovich chiama ―assemblaggio profondo”,133

perché sono

remixate anche le tecniche di ciascuno dei media.

La propensione alla riproduzione e alla ricombinazione non è più un avvenimento di

rottura, piuttosto un‘usanza nell‘universo mediale e digitale contemporaneo nel quale

i multimedia audiovisivi, tra social network e nuove piattaforme (da YouTube per

giungere all‘Ipad), sono divenuti il luogo editoriale e documentario principale.

Due parole sull‘iPad: si tratta di un tablet134

computer della Apple che riproduce

contenuti multimediali e può navigare su Internet. Il dispositivo è dotato di uno

schermo da 9,7 pollici con retroilluminazione a LED e supporto al multi-touch.

L‘iPad usa una connessione Wi-Fi (In telecomunicazioni il termine Wi-Fi indica la

tecnica che consente a terminali di utenza di collegarsi tra loro attraverso una rete

locale in maniera wireless (WLAN) fondandosi sulle specifiche dello standard IEEE

802.11 ), o 3G (il termine 3G o 3rd Generation, indica le tecnologie e gli standard di

terza generazione che permettono telefonate digitali, download da internet, invio e

132

L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Op. Cit. pag. 103. 133

L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖. Op. Cit. pag. 118 134 Il tablet PC (lett. PC tavoletta) è un computer portatile che grazie alla presenza di uno o più

digitalizzatori (digitizers, in inglese) permette all'utente di interfacciarsi con il sistema direttamente

sullo schermo mediante una penna e, in particolari modelli, anche le dita. Il tablet PC è di fatto un

normale Personal Computer portatile con capacità di input superiori.

CAPITOLO III

74

ricezione di email ed instant messaging anche se la “killer application135

, utilizzata

come traino dal marketing degli operatori 3G per l'acquisizione di nuova clientela è

la videochiamata) per collegarsi a Internet.

Tornando ai media, intesi nel senso ampio della parola, questi disegnano oramai un

archivio (o banca dati, database), in persistente accrescimento e di facile reperibilità

dal quale servirsi e nel quale il cinema, la televisione, la telefonia, l‘arte, la fotografia

e la musica accedendo rimpinguano i loro potenziali immaginativi. Eccoci di nuovo a

parlare di archivi, dei database che disegnano ormai la memoria mediale delle

società. Occorre considerare i remix e l‘ibridazione come pratiche portatrici di nuove

esperienze mediali, e conseguenti mai usate forme di coscienza che gli utenti (i

cosiddetti prosumer), dovranno acquisire. In ambiente informatico il termine

ProSumer è stato creato negli anni ottanta e deriva dalla crasi delle parole Producer e

Consumer (produttore e consumatore). È utilizzato a riguardo di quelli che nella rete

hanno il doppio ruolo di utenti e creatori d‘informazioni, pur non trattandosi di

professionisti, ma sono in grado di creare, rimaneggiare e pubblicare materiali molto

vari quali documenti testuali, foto, video e musica. Basti pensare agli esempi presenti

su Flickr, YouTube, DeBaser, etc. Per necessità e senza quasi rendersene conto

questi fruitori-creatori si allontaneranno sempre di più dal classico ruolo inattivo del

consumatore, per assumere via via in modo maggiore un ruolo produttivo nel

processo che coinvolge le fasi di creazione, produzione, distribuzione e consumo di

questi nuovo nati.

3.2 Il sogno infranto

Dice Manovich: «Nell‘ultimo terzo del ventesimo secolo [...] le nuove tecnologie

hanno iniziato la loro corsa, divorando una dopo l‘altra le strategie artistiche degli

altri mezzi espressivi».136

Il grande sogno di ogni artista è essere simile a un dio, nella creazione. L‘ispirazione

veniva agli artisti dagli dei stessi, era Apollo ad ispirare ai poeti i versi e la loro

metrica.

135

La locuzione inglese killer application (abbreviata anche come killer app), spesso utilizzata nel

gergo dell'informatica, dell'elettronica, dei videogiochi e in altri settori, significa letteralmente

applicazione assassina, ma viene intesa nel senso metaforico di applicazione decisiva, vincente. 136 L. Manovich ―Software culture‖, edizione italiana, 2010-MCF srl- Edizioni Olivares.

Pag. 235.

CAPITOLO III

75

Padroni della prospettiva, dal quattrocento, i pittori hanno resistito bene all‘impatto

con la tecnologia dell‘apparecchio fotografico, anche perché dal momento in cui la

grande nemica mediale ha iniziato a minacciarli con il dagherrotipo nel

milleottocentotrentanove al millenovecentotrentacinque, anno in cui la Kodak

introdusse la prima pellicola a colori prodotta in serie, sono passati circa cento anni.

Tiziano, Raffaello, Leonardo e poi Caravaggio, Rubens, Rembrandt, Vermeer,

Velasquez e Van Dyck. Pittori che interpreteranno con stili molto personali la

ritrattistica del loro tempo per accontentare le commissioni di ritratti delle corti e dei

potenti come a Venezia Tiepolo, Longhi, Rosalba Carriera. Un ritratto che non

poteva mai considerarsi come la fedele ed arida riproduzione meccanica delle

fattezze (al modo di una qualsiasi impressione fotografica), ma metteva in gioco, per

definirsi tale, la sensibilità dell'artista, che definiva le fattezze secondo il suo gusto, il

suo momento estetico e secondo le caratteristiche dell'arte del tempo in cui operava.

Più tardi sarà Hayez a lasciarci il volto di Cavour e Jean Louis David quello di Marat

assassinato nel bagno o le nozze di Napoleone, come in una foto, ricca di ciò che

c‘era e non c‘era ma avrebbe dovuto esserci. Così come accadeva per il vedutismo e i

paesaggi di ogni tipo. Nello stesso tempo il terreno franava sotto i loro piedi: la

fotografia come un mostro in agguato alitava sugli artisti e con il digitale

―nell‘ultimo terzo del ventesimo secolo‖ li ha raggiunti costringendoli a dimenticare

della loro arte la creatività assoluta e l‘unicità.

Tanti, ancora, lavorano all‘ombra del grande sogno infranto fingendo che nulla sia

cambiato, ma tanti altri invece, seguendo i passi dei loro predecessori dei primi del

novecento, cercano altre forme d‘arte, altri mezzi espressivi, proprio in quei media

che hanno messo fine alla creazione.

Ma, con la riproducibilità, il remix, l‘ibridazione e la rimedi azione non può che

realizzarsi il fenomeno che Walter Benjamin chiama la ―perdita dell'aura‖ dell'opera

d'arte nel suo saggio ―L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica”

pubblicato nel 1936.. L'aura, secondo Benjamin, era una specie di spaesamento, di

carattere mistico o religioso in senso lato, provocata nello spettatore dalla presenza

materiale dell'esemplare originale di un'opera d'arte. Unica. Unica anche quando

Leonardo, della vergine delle rocce, fece due copie. Splendidamente differenti.

Gli artisti che lavorano usando le tecnologie informatiche devono pensare difatti alla

rete invisibile dei database e alla navigazione nel WWW, come alla spina dorsale

CAPITOLO III

76

delle informazioni utilizzate che guida anche l‘estetica dei loro progetti. In alcuni

casi dovranno decidere se includere se stessi nella loro opera ed appartenere ad un

sistema aperto, piuttosto che chiuso. Questo nuovo modo di fare propria l‘idea

artistica e concretarla sembra sempre di più ci costringe a chiamare in causa una

nuova estetica che possa essere calzante per le nuove forme d‘arte.

L'estetica, nata ―ufficialmente‖ nel 1750 con Alexander Gottlieb Baumgarten, era da

questi definita come ―scienza del Bello, delle arti liberali e gnoseologia inferiore,

sorella della Logica‖. In pratica, investita della designazione dei concetti di Bello

come categoria a sé stante e con propri criteri di valore; implicava determinati

giudizi di valore sulle attività oggi definite come artistiche, quali la pittura o la

danza; era attinente allo studio delle percezioni sensibili, della conoscenza ottenibile

per mezzo dei sensi opposta e complementare a quella ottenibile attraverso la mente:

il termine greco ―aisthesis‖, designa le indicazioni percepite attraverso i sensi e il

corpo, e da questo termine Baumgarten farà derivare il neologismo ―aesthetica‖.

Denis Diderot tralasciando gli schemi idealistici, proporrà il senso estetico e la

bellezza come il frutto di un ―rapporto‖ tra l'oggetto artistico e chi lo percepisce con

la propria sensibilità individuale. In tal modo l'―estetico‖ non è più l'oggetto in sé, ma

il ―rapporto‖ soggetto-oggetto. Oggi gli artisti prendono su di loro il carico di una

sfida, quella di creare con le tecnologie della rete scoprendo che occorre essere

consapevole dell‘overflow d‘informazioni che può calare su di lui e di dovere

sviluppare una sorta di filosofia in merito alla manipolazione di enormi quantità di

dati. Ciò è particolarmente vero quando si crea un lavoro interattivo, che genera

ancora più informazioni perché include la partecipazione di un pubblico attivo.

Il remix, l‘ibridazione, l‘estetica che ha posto il problema del rapporto con il

copyright e con il libero accesso alle fonti: se sia davvero giusto e corretto prelevare

a destra e manca o se invece vada riconosciuta comunque la proprietà intellettuale, se

la libertà nel web sia un fatto ormai acquisito o se invece siano poste delle restrizioni

che garantiscano il diritto d‘autore.

3.3. La realtà condivisa e l'arte.

E‘ inevitabile e la storia delle società lo insegna, che ad ogni trasformazione di

regime mediatico faccia seguito un conflitto di culture che mette in gioco

l‘opposizione e la negoziazione fra tradizione e innovazione. Da questo non può

CAPITOLO III

77

esimersi l‘arte, che è un elemento essenziale dell‘essere umano giacché tale e non è

presente nell‘animale sotto nessuna forma.

Rientra nella logica di questi mutamenti che le nuove tecniche di comunicazione che

avvengono per mezzo di mondi virtuali suggeriscano in modo diverso i problemi del

legame sociale. Qui entrano in ballo due concetti essenziali di Pierre Levy,137

l‘intelligenza collettiva e ―l‘ominazione‖, entrambi collegati all‘uso del database e

delle moderne tecnologie informatiche. In tal senso il processo di formazione del

genere umano, ben lontano dall‘essere terminato, in questo periodo sta vivendo

un‘accelerazione improvvisa. Il filosofo francese sostiene che il fine più elevato di

Internet sia quella di consentire che lui definisce ―intelligenza collettiva―, un

concetto già introdotto da filosofi del passato e spiegato da lui parlando

dell‘intelligenza come di un materiale, un prodotto, una merce, distribuita nel mondo

dovunque ci sia l‘uomo. A suo parere le nuove tecnologie la valorizzano, perché la

pongono in sinergia. La logica è che se due persone, distanti tra di loro, possiedono

un patrimonio di conoscenza complementare, entrando in comunicazione hanno

modo di scambiarsi i loro saperi cooperando al miglioramento sociale. Sempre a

carico positivo delle nuove tecnologie avverrebbe l‘ominazione. Levy difatti

sconfessa il concetto che virtuale sia l‘equivalente di falso, di artificioso ed irreale e

sostiene invece che, essendo il virtuale il contrario di irreale, si sia tanto più veri

quanto più si è virtuali, in quanto il virtuale è la dimensione dell‘esistenza umana che

allontanando l‘uomo dallo stato di natura, lo rende più umano. Ciò rinnega le

ideologie acquisite nel passato per cui l‘uomo rappresenterebbe il valore assoluto e

quindi la tecnologia, assimilandolo sempre più alle macchine ed ai robot, lo

alienerebbe, rendendolo meno umano. Per Levy, lo scisma rispetto allo stato di

natura, avvia il processo di ominazione che è essenzialmente un processo di

virtualizzazione. Giocando poi con i termini di reale e virtuale occorre considerare

che, sociologicamente la realtà è, secondo i paradigmi costruzionisti138

della

sociologia della conoscenza, un senso negoziato e condiviso, per cui gli uomini,

attraverso una serie di agenzie d‘istituzioni, di forme della vita psichica, si mettono

d‘accordo su quale sia la realtà e la condividono. Una forma di realtà costruita

attraverso processi di negoziazione, una visione del mondo per cui ogni realtà

137

Pierre Lévy (Tunisi, 1956) è un filosofo francese che studia l'impatto di Internet sulla società 138

Costruzionismo : approccio sociologico, epistemologico, psicologico, filosofico della conoscenza

e della scienza, i cui massimi esponenti sono considerati Peter Ludwig Berger e Thomas Luckmann

CAPITOLO III

78

potrebbe essere considerata virtuale e, quindi, quest‘apparente ossimoro è vanificato.

I media mutano, si differenziano e divengono più complessi delimitando le nuove

norme di associazione sociale e, dunque, le nuove norme di costruzione di questa

realtà che ininterrottamente è rinegoziata per mezzo dei processi di comunicazione

per cui l‘interazione tra cultura e tecnologia cambia continuamente.

La memoria, sia quella dell‘uomo sia quella costruita artificialmente attraverso le

tecnologie informatiche, è un‘importante categoria della multimedialità, nel senso

che le tecnologie digitali sono fondamentalmente tecnologie di memoria. La

comunicazione informatica è resa avverabile dalla persistenza della memoria di

dispositivi di codici e questo si riflette nella realizzazione degli archivi multimediali.

Una delle cose che rende caratteristico adesso il rapporto tra cultura e tecnologia è

che non si è mai avuta una tal estensione di memorizzazione e tutto questo si gioca

attorno ai mutamenti dei supporti e alla loro efficienza, soprattutto negli ultimi venti

anni (PC: schede traforate, nastri magnetici, floppy, cd, pen drive).

Archivi e banche dati possono offrire agli artisti un veicolo per commentare la

cultura e le pratiche istituzionali, attraverso un intervento diretto. L‘arte stesa è stata

riconosciuta dai concettualisti come una istituzione che funge da traino alla

produzione ed al consumo, ed in molti casi gli artisti si sono resi conto di queste

problematiche con maggiore capacità di quanto abbiano potuto fare gli storici, gli

antropologi o i sociologi. Dal XX secolo il mondo dell‘arte è stato lentamente

decostruito, mentre in parallelo, le istituzioni promuovevano le tecnologie

dell‘informazione facendo sì che emergesse una nuova generazione di artisti e di

pubblico. IL palcoscenico più promettente per il lavoro concettuale del ventunesimo

secolo è già in atto, da quando gli archivi e i database si stanno sviluppando a

velocità vertiginosa. L‘estetica della navigazione è nello stesso codice di ricerca che

il nuovo lavoro degli artisti esplica sul campo concettuale. Questi sono luoghi adatti

a fare commenti ed interventi, ma anche per concettualizzare modi alternativi per

pratiche artistiche, per cui anche il pubblico non deve restare passivo, altrimenti gli

artisti attuali resterebbero emarginati. Gli artisti hanno da tempo riconosciuto la

potenza concettuale ed estetica delle banche dati, e del lavoro che è stato fatto per

creare gli archivi come base intenzionale di attività quali quelle artistiche. Anche i

musei come istituzioni ed il generale atteggiamento della società verso l‘arte deve far

sì che gli ―oggetti dell‘ arte possano essere visualizzati e selezionati mediante

CAPITOLO III

79

un‘ottica adeguata ai tempi. La galleria dei musei diviene purtroppo la sola parte

esposta al pubblico, mentre i magazzini rappresentano le sue parti intime con una

grande quantità di opere che vi risiedono e sono dimenticate. Opere dimenticate che,

se opportunamente segnalate in un database, possono essere portate alla luce ed

ammirate da tutti. Gli artisti già dai primi del novecento hanno descritto i musei

come un luogo in cui una gran parte dell‘arte giace nascosta. In particolare si può

ricordare l‘operazione intellettuale di Marcel Duschamp, sotto forma di una serie di

opere dal titolo ―La boîte-en-valise” (o semplicemente Valise), la prima del

millenovecentotrentasei. L‘opera consiste in una valigia contenente sessantanove

riproduzioni delle sue opere, tra cui molte fotografie e riproduzioni di ―ready-made

La Fontaine― e ―Grand Verre,‖ spesso considerate come una critica alla pratica

museale, ossia parodie del museo, visto come uno spazio chiuso di cui deride la

formula di archiviazione e suggerisce che l‘artista possa divenire come un commesso

viaggiatore che vive soltanto di preoccupazioni promozionali delle sue opere. Gli

artisti che operano con i media digitali, in particolare con le reti, sono consapevoli

dell‘overflow di informazioni cui sono soggetti e che la progettazione della

navigazione attraverso questi spazi è divenuta una esigenza di pratica estetica.

Uno dei primi artisti che hanno utilizzato il World Wide Web, con l‘oramai obsoleto

browser Mosaic, fu Antonio Muntadas.139

―The file room‖ ci viene spiegato da lui

stesso:140

Ho costruito uno spazio apparentemente repressivo, kafkiano, appartenente alla burocrazia,

al controllo, con 800 archivi metallici. Otto Macintosh collegati con internet (e un server)

fornivano l‘accesso a un archivio in rete composto di casi di censura sulla cultura. In questo

modo ho cercato di ribaltare il ruolo di questo spazio fornendo la possibilità di accedere a

una informazione alternativa. Questa finestra è aperta su internet e crea lo spazio per un

dialogo e per lo scambio di idee. L‘archivio in se stesso è tuttora attivo e accessibile su

internet. [...] The File Room consiste quindi sia in un sito su internet che in una

installazione da cui si può accedere al sito. Le pagine sul world wide web sono organizzate

con una serie di entrate, un ―search‖ (tasto di ricerca), delle istruzioni, un‘introduzione, delle

definizioni di censura e l‘archivio dei casi (organizzato per geografia, storia, soggetto,

139

Antoni Muntadas (nato nel 1942 a Barcellona) ha avuto un approccio multidisciplinare con i

media. A volte è indicato anche come Anonio Muntadas o semplicemente Muntadas. 140

http://www.undo.net/cgi-bin/openframe.pl?x=/Pinto/muntadas.htm

CAPITOLO III

80

media). Si può intervenire su questa banca dati e aggiungere altre informazioni. C‘è inoltre

un registro delle persone che visitano il sito (guest book).

In ogni artista c‘è la paura della perdita di originalità e dell‘aura nelle loro opere, ma

quanti lavorano in gruppi collaborativi il concetto di originalità ha assunto altri

significati.

Gli artisti che lavorano con internet sono alla ricerca di un altro tipo di infoestetica

che coinvolga non soltanto la rappresentazione visiva ma anche gli aspetti invisibili

dell‘organizzazione del recupero dei dati e la navigazione in sé. I dati sono visti

come le forme prime che si utilizzano come commento attivo per l‘ambiente da cui

dipendono, ossia la rete con i suoi multiformi aspetti. Viviamo un‘epoca in cui siamo

sempre più consapevoli di noi stessi come base di dati, identificati dai numeri della

previdenza sociale, delle carte di credito, dal numero di codice fiscale, sempra

imperativo agli artisti partecipare attivamente al modo con cui i dati sono modellati,

organizzati e diffusi. La caduta del muro di Berlino non è dovuta al piccone, ma alle

tecnologie dell‘informazione e gli artisti, contestualizzandosi, vogliono divenire gli

architetti dell‘informazione, inaugurando questo modo di operare e pensare,

giocando d‘anticipo nella realizzazione di nuove strutture.

CAPITOLO III

81

3.4 L’arte del Data-Base

In effetti appare difficile definire il significato dell‘arte del database mentre il

contesto tecnologico, sociale e globale continua nel suo mutamento. E‘ molto vasta e

differente l‘espressione della conoscenza umana che si è codificata in rete con una

serie differente di informazioni ed esperienze. Il termine stesso di ―estetica

database‖ è divenuto un left motiv del mondo digitale e fa nascere questioni anche

sotto il profilo semantico e su quello dello stesso database. viene fatto di chiedersi

cosa si intenda con il termine ―estetica del database‖ Sappiamo che questi viene

usato, quando si parli di arte digitale, per descrivere i principi estetici che si

impomgono alla logica del database per qualsiasi tipo di informazione, filtraggio,

raccolta di dati e la stessa visualizzazione usata per essi. Ciò implica che il

significato e la struttura di un database siano strettamente collegati alla natura della

stessa scelta dati ed alla loro visualizzazione. In tal senso ogni ―contenitore‖ delle

informazioni costituisce infine uno spazio dell‘architettura dei propri dati, anche se

in modo differente dalle caratteristiche di uno spazio virtuale e dinamico di dati. In

passato, con la cultura orale, erano gli anziano a rappresentare una vera e propria

banca dati della memoria personale ed in qualche modo collettiva, o di un gruppo, di

una famiglia ed attraverso loro le informazioni passavano di generazione in

generazione. Niente a che vedere con le informazioni che riceviamo oggi, perché un

database, in qualsiasi modo si presenti all‘utente, è essenzialmente un sistema che

comprende l‘hardware che memorizza i dati. E dietro lui si nascondono algoritmi ed

insiemi di dati.

Ecco perché, partendo dalla tensione tra la struttura dei dati/flusso e la forma visiva

di questi è straordinario che gli artisti vi lavorino e creino qualcosa di ―estetico‖.

I progetti di arte che seguono evidenziando in che modo si possa rendere l'aspetto dei

dati oggi significativamente differenti dalle ―vecchie‖, raffigurazioni di questi stessi

dati. Nel caso della ―narrativa”, da sempre esemplificata dal concetto di ―libro‖,

possiamo comprendere oggi come questo termine sia soltanto uno dei modi di

accesso ai dati. Esiste una chiave di lettura dei dati che porta a pensare di come

questi stessi possano essere presentati differentemente in modo inconsueto.

CAPITOLO III

82

Un remix di arte spesso assume molteplici prospettive sul tema stesso. Un artista

prende un opera d'arte originale e aggiunge di suo sul pezzo in modo di creare

qualcosa di completamente diverso, pur lasciando tracce del lavoro originale. Si

tratta essenzialmente di una rielaborazione

creativa del lavoro primigenio da cui

traspaiono comunque parti dell‘originale, i

veri significati di questi. Esempi famosi

includono la stampa di Marilyn di Andy

Warhol (modifica colori e stili di una

immagine), e ―Weeping Woman‖ di Pablo

Picasso (con il cubismo fonde vari angoli di

prospettiva rendendo l‘assieme con differenti

punti di vista). Alcuni degli altri quadri di Picasso sono famosi perché incorporano

parti della sua vita (come i suoi amori), nei suoi dipinti. Ad esempio, nella sua

pittura Les Trois Danseuses, o le tre Ballerini, parla di un triangolo amoroso.

Altri tipi di remix in arte sono parodie. Una parodia in uso contemporaneo, è un

lavoro creato per prendere in giro, commentare, divertire attraverso la rielaborazione

di un lavoro originale in sé dello stile dell'autore, o per qualche altro obiettivo, con il

mezzo di imitazione umoristico, satirico o ironico. Essi si possono riscontrare in

tutta l'arte e la cultura dalla letteratura alla animazione. I programmi televisivi attuali

sono pieni di parodie, come South Park, Family Guy, e i Simpson.

Internet ha permesso un remix più semplice dell'arte, come evidenziato da siti quali

memgenerator.net (fornisce modello pittorico su cui ogni parola può essere scritta da

diversi utenti anonimi), e Dan Walsh http://garfieldminusgarfield.net/ (rimuove il

principale carattere da varie strisce originali dal creatore di Garfield di Jim Davis).

I progetti d‘Arte frequentemente applicano i principi e la logica dei database esistenti,spesso

partendo da informazioni originariamente analogiche, informazioni che vanno da un libro ad

un film, a serie televisive, fino alle cartoline, per rivelare relazioni che rimangono invisibili

nel formato originale 141

141

C. Paul, ―The Database as System and Cultural Form: Anatomies of Cultural Narratives‖, in

Victoria Vesna (Ed.). Pag. 101 “Database Aesthetics: Art in the Age of Information Overflow”,

Minneapolis: University of Minnesota Press, 2007.

CAPITOLO III

83

W. Bradford Paley - TextArc Reading Alice in Wonderland (2002)

In questa opera

d'arte. W.

Bradford Paley

TextArc offre

un esempio di

progetto

artistico che

applica i

principi e la

logica dei

database

esistenti.

Christiane Paul spiega l'idea dietro l'opera d'arte ―TextArc‖, e ―come funziona‖:

TextArc è un modello visivo che rappresenta un intero testo su una singola pagina. Il testo

appare come una spirale concentrica sullo schermo, con ciascuna delle sue linee tracciate in

piccolo e dimensione dei caratteri illeggibili in giro per l'esterno. In una seconda spirale, ogni

parola è rappresentata in un formato più leggibile, e un pool di parole che appaiono nel bel

mezzo della spirale costituisce la struttura principale organizzativa. I menu consentono agli

utenti di trasformare ogni parola contenuta nell‘insieme ―on‖ o ―off‖ e quindi renderlo

visibile o invisibile. Nella vasca centrale, parole che appaiono più di una volta si trovano

nella posizione media in cui si trovano in spirali 'testo e le parole usate frequentemente

appaiono più luminose, si stagliano dallo sfondo. Se gli utenti selezionano le parole,

appaiono delle linee sottili a collegare la parola alla sua posizione nel testo. Una finestra di

visualizzazione del testo è in grado di mostrare ogni riga che utilizza la parola, e una

funzione di lettura consente al testo ―da leggere se stesso‖, tracciando una linea in continuo

movimento tra le parole così come appaiono in sequenza.

In questo lavoro ―la stessa narrazione si muove sullo sfondo, mentre i modelli della sua

costruzione possono diventare un centro di attenzione. Ciò che nel progetto s‘illumina sono

modelli strutturali e simmetrie che presumibilmente non sono molto evidenti durante il

processo di lettura (e scrittura) 142

.

142 C. Paul, ―The Database as System and Cultural Form: Anatomies of Cultural Narratives‖, in

Victoria Vesna (ed.). Pag. 101 “Database Aesthetics: Art in the Age of Information Overflow”,

Minneapolis: University of Minnesota Press, 2007.

CAPITOLO III

84

Questo esempio di TextArc artwork propone anche un remix di un vecchio,

veramente noto artwork, in questo caso ―Alice nel paese delle meraviglie‖. Quasi

tutti conoscono il racconto che è già stato usato come remix, in vari film. Tuttavia,

questo progetto riesce a mostrarci un modo totalmente diverso e nuovo di questa

narrazione. Si tratta di cambiare una forma classica in una forma grafica e visiva di

narrativa. La sua enfasi è l‘applicazione laica sull'estetica, sullo spettacolo visivo,

invece di basarsi sul significato delle parole. Così, questa forma di remix, è anche

una decostruzione del lavoro originale. Allo stato, le parti, in questo caso le parole,

sono strutturate in modo diverso, in un ordine specifico relazionale.

Qui di seguito tentiamo di rispondere alla domanda di come una banca dati possa

manifestarsi nell‘estetica della media art, attraverso una selezione di opere.

Anni '60 – '80: immagine digitale di Manfred Mohr 143

che è considerato un

pioniere dell‘arte digitale su cui opera dagli inizi degli anni sessanta.

143

http://www.emohr.com/

CAPITOLO III

85

Lev Manovich & Jeremy

Douglass Tempo Mapping (2010)

144

Manovich e Douglass hanno preso

4.535 copertine della rivista Time,

dal 1923 al 2010, ponendole in

ordine in un certo numero di modi

diversi per mostrare diversi

possibili modelli. Hanno immesso le copertine di tutti questi periodi usandole come

un database e mostrato ciò che si può fare con questi dati. Come Manovich dice:

«L'obiettivo è quello di dimostrare come possiamo visualizzare il graduale

cambiamento nel tempo di un certo numero di scale.»145

Ad esempio, si vede il primo

colore introdotto intensamente dopo il bianco e nero nelle copertine, ma alla fine dei

XX secolo, si vede che i progettisti usavano meno colori. Visualizzando tali dati già

esistenti e mostrando loro in modo piacevole, per la gente è più facile recepire questi

cambiamenti.

Va notato che, ironicamente, il loro modo di mettere le opere in questa mostra, non è

davvero così diverso dalle mostre d'arte tradizionale. L'opera è in una cornice, le

persone sono in piedi dinanzi ad essa e lo osservano. E 'come un quadro che si può

appendere al muro. E 'senza dubbio il riportare una forma di estetica indietro nel new

media art. Manovich prende l‘estetica alla lettera, rendendo l‘oggetto mostrato anche

accattivante.

Nel 2001, Manovich ha scriveva:

Although database form may be inherent to new media, countless attempts to create ―interactive

narratives‖ testify to our dissatisfaction with the computer in the sole role of an encyclopedia or a

catalog of effects. We want new media narratives, and we want these narratives to be different from

the narratives we saw or read before. In fact, regardless of how often we repeat in public that the

modernist notion of medium specificity (―every medium should develop its own unique langauge‖) is

obsolete, we do expect computer narratives to showcase new aesthetic possibilities which did not exist

before digital computers. In short, we want them to be new media specific. Given the dominance of

database in computer software and the key role it plays in the computer-based design process, perhaps

we can arrive at new kinds of narrative by focusing our attention on how narrative and database can

144

http://www.digicult.it/2010/mappingtimeexhibition.asp 145

http://mastersofmedia.hum.uva.nl/2011/03/06/the-rebirth-of-data-between-database-and-narrative/

CAPITOLO III

86

work together. How can a narrative take into account the fact that its elements are organised in a

database? How can our new abilities to store vast amounts of data, to automatically classify, index,

link, search and instantly retrieve it lead to new kinds of narratives?

Anche se i moduli di database possono essere compatibili con i nuovi media, per contro gli

innumerevoli tentativi di creare “racconti interattivi” testimoniano la nostra insoddisfazione

per il computer nel ruolo unico di enciclopedia o catalogo di effetti. Vogliamo nuovi mezzi di

narrazioni mediatiche, e vogliamo che questi nuovi mezzi di narrazione siano diverse dai

sistemi narrativi di cui abbiamo visto o letto prima. Infatti, indipendentemente da come

spesso ho ripetuto in pubblico che la nozione più moderni dei media specialisti (“ogni

mezzo dovrebbe sviluppare il suo proprio e unico linguaggio), sia obsoleto noi ci dobbiamo

attendere che il computer in grado di produrre narrazione siano in grado di presentare

nuove possibilità estetiche che non esistevano prima del computer digitale. In breve noi

vogliamo che siano nuovi mezzi specifici. In ragione della predominanza del database nei

software per il computer e il ruolo chiave che loro giocano nei processi di progettazione

basati sui computer, forse possiamo pervenire a nuovi tipi di sistemi narrativi, concentrando

la nostra attenzione su come la narrazione e i database siano in grado di lavorare assieme.

Come può un sistema narrativo tenere conto del fatto che i suoi elementi sono organizzati

sotto la forma di database? Come possiamo attraverso la nostra capacità di memorizzare

nuove grandi quantità di dati, per poi classificarli automaticamente, porci un indice, dei link

di ricerca, e avere la possibilità di un recupero immediato, condurre a nuovi tipi di

narrazioni ? .146

146

L. Manovich, ‗The Database as Symbolic For”’, in ―The Language of New Media”, Cambridge,

MA: MIT Press, 2001, Pag. 237.

CAPITOLO III

87

Kevin e Jennifer McCoy - Ogni shot /Ogni episodio (2000)147

Kevin e Jennifer McCoy hanno preso ogni inquadratura di venti episodi della serie

anni '70 Starsky & Hutch per creare il loro progetto ―Ogni shot / ogni episodio‖. Si

decostruisce il programma televisivo di campionamento in digitale per metterlo in un

database, in modo da poter ricostruire l'opera originale in modo nuovo. Il progetto

illustra il concetto di estetica del database di Manovich, nel senso che non racconta

una storia con un inizio e una fine. Kevin e Jennifer McCoy hanno catalogato le

scene per temi diversi ed hanno messo queste categorie su un display, in modo da

vedere le scene relative invece di seguire la narrazione degli episodi separati. Hanno

usato i temi come ―ogni stereotipo razziale‖, ―ogni stop improvviso‖ e ―ogni

movimento del soggetto che si sposta a sinistra‖. Con la decostruzione del racconto

originale, mostrano il fondamento estetico della serie. Christiane Paul analizza

l'opera d'arte come segue:

There is no reason to expect that this type of classification would result in the construction of an

interesting new narrative in the traditional sense. What Every Shot Every Episode creates, however, is

a record of the elemental aesthetics of familiar genres, the subtexts of stereotypes, and formulaic

representation that the viewer otherwise would not necessarily perceive in this clarity.148

Non c'è ragione di aspettarsi che questo tipo di classificazione comporti la costruzione di un

nuovo racconto interessante in senso tradizionale. Qualsiasi cosa ogni inquadratura

dell‘episodio crei, è comunque un record dell'estetica elementare di generi familiari, il

147

http://translate.google.it/translate?hl=it&langpair=en%7Cit&u=http://www.flickr.com/photos/mccoys

pace/sets/124273/ 148

Christiane Paul, Op. Cit. Pag. 103.

CAPITOLO III

88

sottotesti di stereotipi, e la rappresentazione stereotipata che lo spettatore altrimenti non

necessariamente percepirebbe con questa chiarezza.

Ciò che Kevin e Jennifer McCoy fanno, è davvero molto semplice, ma le nuove

narrazioni surreali create fuori del database, mostrano le opere originali in una luce

diversa.

Osserviamo un progetto simile da parte McCoys, con ―Looney Tunes scenes.‖

Olia Lialina - My Boyfriend Came

Back From the wer (1996)149

In molti casi alcune opere d'arte

sono state remixate proprio come

accade nella musica da ballo, dove

la cultura del remix è molto comune.

Un esempio lampante di questo

remix è ―My Boyfriend Came Back

From The War‖. Ciò che vediamo

anche qui è una forma di condivisione di dati open source e l‘uso della creatività

attraverso Internet. Altri artisti hanno utilizzato questo materiale illustrativo

particolare per creare nuove opere. Un artista fa qualcosa di simile con differenti

immagini, un altro lo traduce in forma di blog . L'opera originale è interattiva, si crea

il proprio racconto, entro i limiti di questo progetto.

Olia Lialina proviene da esperienze nel cinema, e si vede chiaramente in questo

primo lavoro di new media art. ―My Boyfriend Came Back From the wer‖ è una

storia d'amore, di due persone che si incontrano di nuovo dopo che il ragazzo torna

da un conflitto militare. E sono tutti i frammenti di dei dialoghi apparentemente

casuali, ma che, messi insieme raccontano, la storia del loro incontro e dei problemi

che hanno a riconnettersi. La ragazza nella storia confessa che ha avuto una relazione

con il vicino di casa mentre il ragazzo era fuori a combattere per il suo paese.

Malgrado ciò il ragazzo chiede alla ragazza di sposarlo.

Il lavoro utilizza parti di un database in un modo diverso della costruzione della

narrazione. Questo è ancora molto vicino all‘essere una narrazione, ma non nella

forma tradizionale, come con il cinema. Utilizza l‘ipertesto per costruire la storia, e

149

M. Deseriis G. Marano, ―L’arte della connessione‖ Shake edizioni Undergrand. 2003. Pag. 31.

CAPITOLO III

89

lo fa in maniera non lineare. L'ipertesto ha permesso di fare un'opera d'arte e di

raccontare una storia flessibile, in un modo che è specifico per i nuovi media.

Vuk Cosic - Deep ASCII /

ASCII Storia delle immagini

in movimento (1998)150

lumiere

Eisenstein

King Kong

Star Trek

psycho

gola profonda

Questa arte usa la pellicola

come mezzo ed è composta

dall‘artista sloveno Vuk Cosic

, che è un player originale nella storia della nuova arte-media. Egli è anche

generalmente riconosciuto come colui che in realtà è venuto su con il termine

―net.art‖. Il titolo di una delle sue opere più celebri, ‖ storia delle immagini in

movimento”, evidenzia in Cosic l'interesse al modo per cui l'arte diventa storia. In

questo lavoro si modificano spezzoni di film classici americani e serie televisive, per

esempio Psycho, Gola

profonda, e Star Trek.

Vuk Cosic, Ascii History of

Art for the Blind, 1997151

Cosic utilizza uno speciale

software per trasformare

un'immagine del film

originale in una immagine

che mostra come i caratteri

ASCII-pixel o punti. ASCII

è l'acronimo di American Standard Code per l'interscambio d‘informazioni ed è uno

150

http://www.youtube.com/watch?v=DGktK6OxfJI 151

Da Victoria Vesna (ed.). Op. Cit. Pag. 50

CAPITOLO III

90

schema di codifica dei caratteri in base all'ordinamento dell'alfabeto inglese.

Sostituendo ai valori pittorici dell'immagine e dei personaggi e giocando queste

nuove immagini in modo veloce l'opera d'arte diventa un nuovo film. Cosic ha

studiato Archeologia, ed il suo ASCII ―cinema-archeologico‖ illustra un approccio

multimediale molto personale delle arti e mostra il suo interesse per le tecniche

obsolete. Non è stato il primo artista che ha lavorato con caratteri ASCII. Uno dei

pionieri fu Kenneth Knowlton152

che ricostruì un nudo fotografico in caratteri

tipografici utilizzando una speciale macchina fotografica che aveva scansionato

l'originale su nastro magnetico.

Questo può essere visto come l'antenato dell‘ASCII art. Cosic spiega così il

significato del suo lavoro:

La scelta dell‘Ascii è legata a questioni più ideologiche. Succede spesso che l‘artista sia

costretto a produrre un output creativo con la sola funzione di giustificare gli investimenti

hardware di qualche istituzione artistica. Utilizzando le tecnologie date, uno potrebbe anche

accettare i limiti creativi segnati dall‘inventore della tecnologia, ma mi piace credere che la

mia creatività sia altrove rispetto a quella dell‘ingegnere, per quanto sia grande il mio

rispetto per i fabbricanti di strumenti. La mia reazione a questo stato di cose consiste nel

guardare al passato e continuare l‘aggiornamento di alcune tecnologie marginalizzate o

dimenticate. Gebhard Sengmuller153

la chiama ―archeologia dei media.154

Si tratta di un approccio allo studio dei media che è emerso nel corso degli ultimi due

decenni. Esso è mutuato da Michel Foucault, Walter Benjamin, e Friedrich Kittler,

ma si discosta anche da tutti questi teorici per formare un unico insieme di strumenti

e pratiche. Non si tratta di una scuola di pensiero e non si distingue per una precisa

abilità, ma è piuttosto un aspetto in rilievo dell‘insieme di tattiche formanti una teoria

contemporanea dei media contraddistinta dalla volontà di scoprire e far circolare

tecnologie dei media represse o trascurate.

152

Kenneth C. Knowlton (nato nel 1931 a Springville, New York ), è un pioniere della computer

grafica, artista mosaicista e ritrattista, che ha lavorato presso i Bell Labs . 153

Gebhard Sengmüller nasce a Vienna Austria), nel 1967, è un artista che lavora nel campo della

tecnologia dei media, attualmente con sede a Vienna, Austria. Dal 1992 ha sviluppato progetti e

manifestazioni incentrate sulla storia dei media elettronici., la creazione di sistemi alternativi atti ad

ordinare i contenuti dei medie e reti autogenerantisi 154

M. Deseriis G. Marano, ―L’arte della connessione‖ Op. Cit. Pag. 45.

CAPITOLO III

91

In questo senso Cosic sceglie di utilizzare una tecnica che non è nuova o innovativa,

ma a quanto pare non è neanche morta. Secondo Garnet Hertz155

e Jussi Parikka: «Un

media può scomparire in un certo senso popolare, ma non muore mai: esso decade,

marcisce, si riforma, trova un remix, e si storicizza, viene reinterpretato e

raccolto.»156

E questo che Cosic esattamente fa qui. Egli riforma, o fa un remix delle

opere d'arte esistenti. Cosic ha scelto di raccogliere immagini riconoscibili, come la

famosa scena della doccia di Psycho dal 1960, le immagini pornografiche

controverse di Gola Profonda, del 1972, e la fantascientifico-popolare serie

televisiva di Star Trek 1966-1969. Queste immagini ben note dalla pop-culture

americana sono visualizzate in modo diverso, non come un ri-organizzare dei dati,

ma cambiando l'estetica stessa dei dati. I dati del fotografico, delle immagini a colori,

sono sostituiti dai dati tipografici e dal verde-nero. L'immagine originale invece è

tuttora rimasta intatta e riconoscibile.

Hertz e Parikka pongono l‘accento sull'importanza del riutilizzo dei dati di opere

esistenti:

Noi (...) propongono che il riutilizzo, sia una dinamica importante della cultura

contemporanea, specialmente nel contesto dei rifiuti elettronici. (...). Siamo d'accordo a che

la cultura aperta al remix dovrebbe essere estesa a manufatti fisici.157

Questa estetica di costruire sui caratteri dell‘alfabeto della lingua inglese /

americana, che è ovviamente, un database esistente in sé da molto tempo, è usata da

Cosic per cambiare l'estetica

d‘immagini di film noti, facendo uso di

uno strumento che è un database ben

noto. Vediamo questi caratteri

normalmente rigorosamente ordinati

dalla A alla Z, divenuti funzionanti

come un pixel di un'immagine più

grande. DJ Spooky - Rebirth of a Nation (2004) 158

Paul D. Miller, che si fa

155

Doctor Garnet Hertz è un Fulbright Scholar, un artista contemporaneo il cui lavoro esplora I temi

del progresso tecnologico, della creatività dell‘innovazione della interdisciplinarietà. e‘ ricercatore

informatico alla UC Irvine e Adjunct Assistant Professor in the Media Design Program all‘ Art Center

College of Design di Pasadena. California. 156

G. Hertz and J. Parikka, ‗Zombie Media: Circuit Bending Media Archaeology into an Art

Method”, Leonardo . Pag. 19 157

G. Hertz and J. Parikka, ‗Zombie Media: Circuit Bending Media Archaeology into an Art

Method‘. Op. Cit. Pag. 15

CAPITOLO III

92

chiamare DJ Spooky, è un conosciuto dj, scrittore e artista. Il lavoro è una serie di

performance dal vivo in cui sono remixati clip dal controverso film ―Nascita di una

nazione” di DW Griffith, del 1915. La colonna sonora è anche remixata e costituita

da più strati di suono.

Nascita di una nazione è visto come un film americano classico. Tuttavia, il film è

stato e rimane molto controverso a causa della sua rappresentazione degli uomini

afroamericani (interpretati da attori bianchi con il volto dipinto di nero), come

sessualmente aggressivi verso le donne bianche e stupidi, e la rappresentazione del

Ku Klux Klan (la cui fondazione è drammatizzata) come una forza eroica. Ci sono

state proteste contro ―La nascita di una nazione”, (che in origine si chiamava ―The

Clansman, ‖), ed è stato vietato in diverse città. Il grido di razzismo è stato così

grande che DW Griffith si sentì spinto l'anno successivo a produrre ―intollerance‖.

Miller ha utilizzato immagini da questo lavoro originale facendone un remix di

ristrutturazione. Proprio come Cosic, Miller usa immagini di un notissimo film

americano classico, e fa qualcosa di nuovo con esso. La storia, basata su un romanzo,

era una narrazione lineare, fino a che DJ Spooky non l‘ha fatta a pezzi. Così,

diversamente da Cosic, non cambiando l'estetica dell'immagine, ma spostando

l'ordine delle sequenze di fotogrammi e delle inquadrature. Egli ha decostruito la

narrazione lineare in una contro-narrativa, come lui stesso ha spiegato: ―In

un’implosione, quella in cui nascono nuove storie sulle ceneri.‖ Anche la

combinazione delle immagini con il suono, durante la performance, è nuova. Come

si può notare il suono che DJ Spooky utilizza per le sue performance è molto diverso

(e ha probabilmente radici nella musica afro-americana), dalla colonna sonora

originale di Nascita di una nazione. Il ―remix‖ - vi è chiaramente indicato, con il

nome ―Rinascita di una Nazione”. L'idea di rinascita può anche riferirsi a ―start

overnew‖, o ―lavoro da tabula rasa‖, relativo al rispetto che assume la cultura bianca

verso la cultura afro-americana. In quanto all‘ispirazione per fare questo lavoro,

afferma Miller:

Griffith‘s film has been a historical object of fascination for me for a long while – it‘s been

one of the defining images of America in the 20th century. As we enter the 21st Century it

158

http://www.youtube.com/watch?v=MdkvHNkIbvw&NR=1

CAPITOLO III

93

sometimes helps to know like the philosopher Santayana said so long ago, that ―those who

do not understand the past are doomed to repeat it.159

Il film di Griffith è stato un oggetto storico di fascino per me per lungo tempo - è stata una

delle immagini che definiscono l'America nel XX secolo. Mentre entriamo nel 21° secolo, è

giusto dire come il filosofo Santayana, che coloro che non capiscono il passato sono

condannati a ripeterlo

―Nascita di una nazione‖ si concentra su come l'America avesse bisogno di creare

una finzione della cultura afroamericana in sintonia con la fabbricazione di

―whiteness‖ che sottende al pensiero americano durante la maggior parte degli ultimi

secoli: conserva la sua popolarità nel mondo del cinema anche se appare totalmente

razzista, perché si presenta come il racconto epico di un'America che, in sostanza,

non è mai esistita. Tuttavia il Ku Klux Klan utilizza ancora questo film come un

dispositivo di reclutamento ed è considerato un ―cinema classico‖ americano,

nonostante il contenuto razzista.

Dice l‘autore:

By remixing the film along the lines of dj culture, I hoped to create a counter-narrative, one

where the story implodes on itself, one where new stories arise out the ashes of that

explosion. These are some of the images that are taken from the film and well... you can see,

it's a bit hectic. 160

―Remixando il film sulla falsariga di cultura dj, speravo di creare una contro-narrativa,

quello in cui la storia implodesse su se stessa, quella in cui nascono nuove storie dalle

ceneri di quell’esplosione. Queste sono alcune delle immagini che sono tratte da il film, e

beh ... si può vedere, sono un po’ frenetiche.

Questo lavoro si inserisce perfettamente nel concetto di Manovich di database, come

alternativa della narrazione lineare normale, poiché espone una contro-narrativa,

come dice Miller. Miller si basa sul lavoro di un pioniere del cinema, come per

riflettere criticamente su di esso. Con la decostruzione della nascita di una nazione la

serie d‘immagini non ha un inizio né fine, infatti, non ha alcuno sviluppo, sia

tematicamente sia formalmente, o comunque di una qualsiasi organizzazione dei loro

elementi in una sequenza.

159

http://saverichmond.com/?m=200803 160

http://www.djspooky.com/art.php

CAPITOLO III

94

Napiers Mark - Schredder 1,0 (1998)161

L‘interfaccia Shredder

1,0 prende preesistenti

siti web e decostruisce il

loro codice per creare

originali composizioni

astratte. Sminuzza

testo, immagini e codice

sorgente e crea con esso

composizioni e forme

astratte.

Questo è quanto si è ottenuto da un sito personale.

162Secondo Mark Napier Il web non è una pubblicazione. I siti web non sono di carta.

Eppure il pensiero corrente dei web design è quello della rivista, del giornale, del

libro o del catalogo.

Visivamente, esteticamente, legalmente, il web viene considerato come una pagina

fisica su cui sono scritti testo e immagini.

Nelle pagine Web le immagini grafiche create quando il software di navigazione

interpreta le istruzioni HTML sono temporanee. Finché tutti i browser sono

d'accordo (almeno un po') sulle convenzioni di HTML c'è l'illusione di solidità o di

permanenza nel web. Ma dietro l‘illusione grafica c‘è un vasto corpo di file di testo –

che contiene il codice HTML- che riempie i dischi rigidi del computer in posizioni di

tutto il mondo. Collettivamente queste istruzioni costituiscono ciò che chiamiamo

―web‖. Ma cosa succede se queste istruzioni vengono interpretate in modo diverso

rispetto al previsto? Forse radicalmente diverso?

Il browser web è un organo di percezione attraverso il quale noi ci illudiamo di

―vedere Internet‖. Si filtra e si organizza una massa enorme d‘informazioni

strutturate che abbraccia i continenti, ed è in costante crescita, riorganizzandosi,

spostando il suo aspetto, sempre in evoluzione. Lo Shredder presenta questa struttura

globale come un caotico, irrazionale, collage. Modificando il codice HTML prima

161

http://www.artfacts.net/en/institution/damberlin-2655/artwork/mark-napier-shredder-10-

22668.html 162

http://www.potatoland.org/shredder/shredder.html

http://digilander.libero.it/fasanobi/chi%20%E8.htm

CAPITOLO III

95

che il browser lo legga, lo Shredder si appropria dei dati del web, trasformandolo in

un sito web parallelo per cui il contenuto diventa astrazione, il testo diventa grafica e

l‘Informazioni diventa arte.

A volte si può ancora in qualche modo riconoscere il vecchio disegno, ma l'estetica

modernista dei brandelli visivi lo fanno assomigliare ad una forma astratta, ad una

pittura surrealista. In Napiers si ha uno sfondo come nel lavoro di un pittore, quindi

c'è anche l'accento sul fattore estetico del risultato.

L'artista descrive le sue opere come interfaccia per cui l'utente è parte del disegno.

Con l'interazione, i visitatori formano l'opera. Napiers vuole richiamare l'attenzione

degli spettatori sulle caratteristiche fondamentali della tecnologica di Internet. In

questo caso il codice che di solito è nascosto, lo sfondo del sito, è in parte spinto in

primo piano, rendendolo visibile e ne permette all'utente la conoscenza. Secondo

Hertz & Parikka, il sito web può essere visto come una scatola nera. Per molti utenti

il funzionamento interno del sito web come mezzo resta sconosciuto, gli basta sapere

cosa confezionarlo o visionarlo e cosa appare. Shredder in realtà, distruggendo il sito

web, non fa mantenere una funzionalità del vecchio, però l'utente è consapevole del

fatto che il sito è costruito da molti elementi, ossia codici, immagini, logo, colori e

altro e che la combinazione specifica di tutti gli elementi crea insieme il sito web.

Schredder fornisce al pubblico o l'utente di una pagina web una nuova esperienza

derivata dalla vecchia forma. Si tratta di un remix del sito. Il vecchio sito è il

database da cui è costruito il nuovo, presentandolo in modo inatteso. In un certo

senso è il riutilizzo

di un sito web

come un artefatto

non-fisico.

Radical Software

Group -

Carnivore

(2001)163

è un progetto

ispirato al noto software creato dall'Fbi, poi rinominato Dcs 1000.164

Un'applicazione

163

www.rhizome.org/carnivore

CAPITOLO III

96

in grado di ―sniffare‖ i dati di una rete locale, attraverso l'uso di un normale software

di ―packet sniffing‖ come Tcp Dump. Convertendo con uno script in Perl165

i

pacchetti di dati intercettati da ―Tcp Dump‖, il gruppo ha creato un software che era

installato sulla rete locale degli uffici di Rhizome - una piattaforma per il net art di

base a New York - e trasmetteva uno ―stream‖ di dati sul Web. Nella seconda fase,

diversi net artisti erano invitati a interpretare questo flusso di dati con la creazione di

client (o plug-in) specifici, in grado di tradurlo in immagini e suoni. Mark Napier,

Toni Betts, Mark Daggett, Joshua Davis, Cory Arcangel e tanti altri si sono cimentati

in una serie di ―interpretazioni‖ che hanno trasformato i pacchetti di dati provenienti

dalla rete locale di Rhizome in musica elettronica, animazioni in Flash, loop video o

videogame online. «L'assegnazione della Golden Nica a Rsg da parte della Giuria

dell'Ars Electronica Festival del 2002 trasformerà Carnivore in un'opera di net art

nota al grande pubblico.»166

Un esempio di uno di questi client è ―Amalgamatmosphere‖167

(2001) di Joshua

Davis, Branden Hall e Shapeshifter. Ogni cerchio rappresenta un utente attivo, il

colore del cerchio indica una certa attività. Ad esempio, il verde rappresenta un

utente di AOL, blu scuro significa che l'utente sta navigando.

Un altro esempio è Guernica168

(2001), gli artisti dietro di esso, il gruppo

entropy8zuper!, immaginano Internet come anti-utopia, un paesaggio di morti in

bianco e nero. Ci sono aerei roteantì che rappresentano frammenti di e-mail. Altri

tipi di dati vengono visualizzati come razzi, elementi di edilizia ecc. E un riferimento

a Guernica di Picasso,169

un quadro politico. Questi artisti hanno anche un

programma politico e vogliono sottolineare le implicazioni politiche della rete di

164

Carnivore è un sistema attuato dalla Federal Bureau of Investigation , che è stato progettato per

monitorare le comunicazioni e-mail ed elettroniche. Ha usato uno packet sniffer personalizzabile in

grado di monitorare tutto il traffico Internet dell'utente target. Carnivore è stato realizzato nell'ottobre 164 Perl è un linguaggio di programmazione ad alto livello, dinamico, procedurale e interpretato,

creato nel 1987 da Larry Wall. Perl ha un singolare insieme di funzionalità ereditate da C, scripting

shell Unix (sh), Awk, sed e in diversa misura da molti altri linguaggi di programmazione, compresi

alcuni linguaggi funzionali. del 1997 e sostituito nel 2005 con il miglioramento del software

commerciale come NarusInsight 165

Perl è un linguaggio di programmazione ad alto livello, dinamico, procedurale e interpretato,

creato nel 1987 da Larry Wall. Perl ha un singolare insieme di funzionalità ereditate da C, scripting

shell Unix (sh), Awk, sed e in diversa misura da molti altri linguaggi di programmazione, compresi

alcuni linguaggi funzionali. 166

M. Deseriis, G. Marano ―L‘arte della connessione‖ Shake edizioni Undergrand. 2003.pag. 116

http://www.wikiartpedia.org/index.php?title=Brucker-Cohen_Jonah 167

http://ps3.praystation.com/pound/assets/2001/11-20-2001/index.html 168

http://entropy8zuper.org/guernica/ 169

http://employees.oneonta.edu/farberas/arth/Images/110images/sl24_images/guernica_details/guerni

ca_all.jpg

CAPITOLO III

97

spionaggio. Intendono esporre il vero contenuto del flusso di bit che attraversa il

computer. Nello stesso periodo l‘artista americano Jonah Brucker Cohen170

realizza

Police State 171

collegando i dati di Carnivore a venti macchinine della polizia

radiocomandate. Quando sul server generante il flusso passa una parola o una frase

valutata importante per la sicurezza nazionale americana, questa viene modificata in

un codice trasmesso alle macchinine le quali si collocano automaticamente secondo

uno schema prestabilito Si tratta di una istallazione che controlla le auto in risposta a

parole chiave che possono essere collegate al terrorismo. In questo modo,

ironicamente, gli stessi dati che vengono spiati dalle autorità sono quelli che

controllano le auto della polizia, trasformando la polizia stessa in un fantoccio del

loro sistema di sorveglianza. Il progetto Carnivore, secondo Christiane Paul

Are the unlimited possibilities of visualizing the server‘s data stream in a collaborative,

―open source‖way—allowing its users to create maps of the data stream that often remain

detached from or obscure the original data source. Apart from illustrating the relationship

between the back end of data and the visual front end, Carnivore also turns the client-server

relationship of data into a metaphor for artistic creation.172

Sono le infinite possibilità di visualizzare il flusso di dati del server in una collaborazione

“open source”, la strada che permette agli utenti di creare mappe di flussi di dati che spesso

rimangono staccati da in modo da oscurare la fonte originale dei dati. Oltre ad illustrare la

relazione tra il back-end dei dati ed il front-end visivo, Carnivore trasforma anche la

relazione client-server di dati in una metafora della creazione artistica.

Ogni artista può utilizzare questi dati per creare traiettorie diverse. Carnivore

visualizza la tensione tra le strutture di dati e la forma visiva che queste possono

prendere ed offre così tanti modi diversi per visualizzare i dati, che spesso sembra

staccato dalla forma originale. Nel caso di Carnivore, alla rappresentazione audio-

visiva basata sul software generativo fecero seguito interfacce hardware. Nell‘ottobre

2002 il gruppo milanese Limiteazero173

<www.limiteazero.com> sviluppò Chaos &

170

Jonah Brucker-Cohen artista digitale e ricercatore, ha conseguito nel 1999 il Master Of

Professional Studies dell‘Interactive Telecommunication Program, Tisch School of the Arts, New

York University, dove ha lavorato fino al 2001. Attualmente è ricercatore allo Human Connectedness

Group, Media Lab Europe e PhD candidate al Networks and Telecommunications Research Group

(NTRG), Trinity College, Dublino, Irlanda. 171

http://www.youtube.com/watch?v=-5gb6eoncUQ 172

Deseriis M. Marano G. ―L‘arte della connessione‖. Op. Cit. pag. 97. 173

Limiteazero sono un gruppo italiano di designer, residenti a Milano, impegnato a provare nuovi

modelli d'interfaccia e comunicazione audio visiva attraverso le piattaforme shockwave e flash

CAPITOLO III

98

Order, un‘installazione che permetteva al visitatore di interagire fisicamente con i

numeri Ip trasmessi dal server di Carnivore.

Raqs Media Collective -

Opus174

(2001)

Il gruppo indiano Raqs

Media Collective175

è stato

fondato a New Dehli nel

1991 da Monica Narula,

Jeebesh Bagchi e

Shuddhabrata Sengupta.

I tre collaboratori vivono e lavorano nella città di Dehli. Il gruppo attraverso le

proprie esposizioni affronta problemi economici e sociali che si stanno verificando

nei paesi in via di sviluppo. Mediante le proprie opere e soprattutto grazie

all‘ideazione della piattaforma ―Opus“, ha tentato di creare una cultura digitale

fondata sul principio della condivisione delle informazioni, tutto ciò preservando la

creatività individuale di ciascuno. Infatti “Opus”, permette di vedere, creare ed

esporre oggetti mediatici come video, audio, immagini, html, testo e di modificare il

lavoro effettuato dalle altre persone che vi hanno partecipato. Questo principio segue

la logica dell'intelligenza collettiva del filosofo Pierre Lévy. La cultura telematica

amplifica le potenzialità soggettive per creare un'esperienza intensa che consente

l'interazione tra diverse menti, sistemi di pensieri, d‘idee che circolano su un unico

canale che unisce differenze culturali, geografiche, sociali e individuali. La struttura

connettiva della rete è caratterizzata da un‘orizzontalità che esclude ogni tipo di

gerarchia. La piattaforma ―Opus‖ segue inoltre l'idea di opera aperta rilanciata da

Umberto Eco in quanto è un progetto modificabile, soggetto ad alterazioni introdotte

dagli utenti. La logica dei collaboratori segue le regole del software libero che

concerne la libertà di vedere, di modificare e distribuire. Il codice sorgente è il video,

l‘immagine, il suono, il testo. La cultura hacker in India, come altrove, è un tema

importante dell‘universo digitale, in quanto essa rende possibile l‘accesso alle risorse

culturali e mette a portata di tutti la strada della creatività e dell‘ingegnosità. La

174

http://opus.walkerart.org/main.php 175

http://www.raqsmediacollective.net/

CAPITOLO III

99

cultura pirata ha fatto molto per la diffusione delle conoscenze in confronto al

sistema proprietario.

Artisti e scrittori sono invitati a caricare i loro file di origine al sistema. Altri

possono remixare le fonti trovate o modificarli e caricarli nuovamente nel sistema

OPUS. Ogni upload è etichettato nel database on-line con i tag e parole chiave.

Molte di questo sono testo, ma ci sono anche le immagini.

OPUS utilizza un algoritmo per confrontare le parole chiave di ogni altro e utilizza il

risultato di questa posizione per porre ulteriormente in relazioni le icone nello spazio

di visualizzazione. Se passi con il mouse sul simbolo di una certa visualizzazione, i

progetti correlati sono evidenziati.

Sono i creatori e gli utenti che utilizzano il confronto con la genealogia, i file di

origine sono i genitori, e tutto ciò che ne deriva, è il loro figlio. Le opere di nuova

creazione sono chiamati Rescensions e non vengono descritte come una copia legale

o illegale, né una versione migliore o peggiore, proprio come un bambino non è

nessuno dei precedenti in relazione ai suoi genitori.

Il concetto chiave è ―trasferimento‖ e questa idea risale al dadaismo e alla pop art.

Transfer è la prassi da utilizzare su elementi già esistenti e l'aggiunta o la modifica di

tali elementi. Come nel colloquio di Geert Lovink con Wolfgang Ernst (Lovink

2003: p. 6), egli afferma che la cultura spesso pensa ancora a concetti di sistema

come

inaccessibili allo

stesso modo dei

vecchi archivi

dei media, le

biblioteche.

ART + COM

Le forme

invisibile delle

cose passate

176(1995-2007)

176

http://www.artcom.de/en/projects/project/detail/the-invisible-shape-of-things-past/

CAPITOLO III

100

Il progetto artistico ―The Invisible Shapes of Things Past‖ ha cercato, di tradurre

parametricamente il film lineare tradizionale in un oggetto tridimensionale nello

spazio. singoli fotogrammi di una sequenza del film sono realizzati in un oggetto

spaziale che segue il movimento della fotocamera con cui è stato girato il filmato.

In un film, il tempo è tradotto in singoli fotogrammi, che insieme formano l'opera

d'arte da guardare. Lo spazio non è letteralmente presente, dal momento che un film

è bidimensionale. Il progetto ―Le Forme invisibile del tempo perduto‖ fa di un film

un oggetto a tre dimensioni .

Sauter, Joachim; Lüsebrink, Dirk, «Forma invisibile del tempo perduto», 1995 -

2001

Installation view:

ZKM | Centro per

l'Arte e Media,

Karlsruhe, 2002,

2002 | Fotografia:

Franz Wamhof | ©

Sauter, Joachim;

Lüsebrink, Dirk

―Invisible Shape of

Things Past‖177

è

un'esplorazione in

pellicola, che rappresenta nello spazio virtuale la navigazione attraverso il tempo in

VR.

Il progetto consente agli utenti di trasformare le sequenze di film in oggetti virtuali

interattivi. Questa trasformazione si basa su tutti i parametri della fotocamera di un film, con

particolare sequenze (movimento, prospettiva, lunghezza focale). [...] Per la <play movie,>

l'utente attiva la parte anteriore di un oggetto, mentre un doppio clic guida l'utente lungo il

percorso della telecamera virtuale attraverso l'oggetto stesso. Trascinando il mouse a sinistra

o a destra rende il film corre in avanti o indietro. [...] In una seconda fase, è stato sviluppato

un concetto di organizzazione spaziale basato sul tempo per gli oggetti di pellicola. Dal

momento che esiste un tempo così come esiste un luogo per il verificarsi di ogni sequenza

del film, è stata modellata una rappresentazione virtuale del luogo di occorrenza di ciascun

177

http://www.medienkunstnetz.de/works/invisible-shape/

CAPITOLO III

101

oggetto, permettendo così all'utente di navigare attraverso il tempo. Prendendo la città di

Berlino come un esempio, sono state modellate tutte le situazioni urbane dal 1900,

posizionando gli oggetti del film in base al loro posto e al momento in cui è stata effettuata la

della ripresa. Joachim Sauter e Lüsebrink Dirk 178

Alcuni clip sono stati fatti prima dell‘uso delle stampanti 3D capaci di rendere

effettivamente oggetti fisici per cui queste opere d'arte sono state fatte solo per essere

viste in un mondo di realtà virtuale di una città.

La forma del progetto: ―Invisible Things Past‖ già nel titolo dimostra di riferirsi alla

riproposizione di oggetti del passato per ricreare forme che sono diventate invisibili,

utilizzando gli stessi dati dell'oggetto originale. Oppure, semplicemente, se la

raccolta di singoli fotogrammi sono i dati e in passato è stato il film o i film che

hanno reso queste strutture accessibili visivamente, allora il gruppo ―Com Arte‖

modifica la tecnica artistica con cui erano utilizzati questi dati per creare una

visualizzazione nuova.

Qui, possiamo fare riferimento a Lev Manovich che probabilmente riguarderà alla

collezione di immagini, come al database da cui è stato tratto il lavoro. Secondo

Manovich è la logica stessa del computer, la logica del digitale, ad avere la capacità

di produrre infinite varianti di elementi e ad agire come un sistema di filtraggio.

Quindi, di nuovo, se i fotogrammi sono gli elementi, questo progetto di

presentazione particolare dalle forme delle cose invisibili del passato può essere

considerato un filtro.

Qualsiasi immagine visiva, immagini digitali da stampa a video, è stato prodotto, in

ultima analisi, da istruzioni e dal software che è stato utilizzato per crearla o

manipolarla. Il mezzo digitale non è di natura visiva, ma consiste sempre di un ―back

end‖, ossia di uno stato iniziale del processo, di algoritmi e insiemi di dati che

rimangono nascosti e di un visibile ―front end‖, ossia lo stato finale del processo, che

è vissuto dallo spettatore / utente. Il progetto è caratterizzato da una propria

caratteristica ―estetica database‖ che consiste in una riconfigurazione dell'interfaccia

e front-end, attraverso il quale sperimentiamo i fotogrammi del ―database film‖.

178

Libera traduzione da: Jeffrey Shaw e Peter Weibel (a cura di), ―Future Cinema. The cinematic

Imaginary after Film, exhib‖. Cat., Cambridge, MA/ London, 2003, p. 466f.)

CAPITOLO III

102

Ben Rubin e

Mark Hansen -

(2010)

Per Moveable

Type,179

Ben Rubin

e Mark Hansen

hanno usato il

traffico di dati

all'interno del

palazzo del New

York Times come fonte dei dati per l‘opera d‘arte. L'installazione deve il suo

contenuto da tre fonti: i dati vivi dal The New York Times, l'acquisizione di testo e

dati in tempo quasi reale rispetto a quando l'informazione è stata pubblicata, le

attività ed i commenti dei visitatori del sito web del Times e l‘archivio completo del

Times risalente al 1851.

Gli algoritmi sono stati progettati per selezionare le citazioni sulla base di

determinate regole. Una caratteristica è quella di lasciare che tutti i 560 schermi del

display fluorescente visualizzino delle lettere al direttore (accompagnati dai suoni

prodotti dalla macchina per scrivere), un‘altra è la comparsa di citazioni del giornale

di carta di quel giorno che iniziano con le parole ―io‖ e ―tu‖, disposti uno accanto

all'altro per contrasto (o meno).

Per ―Moveable Type‖ l'idea è di visualizzare la news come si è visto dal New York

Times in un ambiente carico di attendibilità. Per prendere pezzi di notizie mostrarli

tutti insieme, strappati dal loro contesto originale e dando loro un nuovo contesto.

Questa idea si riferisce con forza a ciò che noi conosciamo come teoria di ipertesto, o

almeno, l‘idea che si ha dell‘ipertesto nella teoria letteraria. Come Peter Krapp:

l‘ipertesto si basa su processi di sovvertimento, di inversione, in modo che esploda la

linearità apparente della pagina. Peter Krapp180

parla anche di screditare la linearità

della pagina, spingendo la sovversione, creando così un nuovo contesto.

179

http://www.youtube.com/watch?v=WfZQf1983iw 180

Peter Krapp è professore associato di Cinema e MediaStudies/Visual studies, presso l‘Università

della California, dove è anche membro del Dipartimento di lingua inglese ed informatica.

CAPITOLO III

103

Ben Rubin e Mark Hansen cercano di dare al loro contenuto un nuovo ambiente,

trasformando il database passivo in un grande organismo vivente che si comporta

molto casualmente e ogni giorno ha i suoi momenti di lavoro e i suoi momenti di

tranquillità. Il suo comportamento è legato a quello delle persone, al flusso di

informazioni negli spazi fisici e alle informazioni del giornale leader negli Stati

Uniti. Moveable Type potrebbe non essere leggibile come il ―The New York Times‖,

ma fornisce uno sguardo nel mondo del sito di produzione del giornale in modo

esteticamente stimolante.

Per dare a questa opera un terreno più teorico, torniamo a fare riferimento alla

distinzione tra le nozioni della logica del database (diciamo di raccontare una storia)

e la narrativa. In breve, se il racconto è caratterizzato da linearità, allora il database è

caratterizzato da caos totale. Ed è compito dell'utente o del creatore, in questo caso

dell'opera d'arte, di utilizzare i dati passivi del database e di raccontare una storia.

Citato da Paul:

The characteristics of the database as a collection of information that can be structured

according to various criteria and result in a meta-narrative in many ways differ from the

concept of the traditional narrative (in the broadest sense) as it unfolds in a book, film, or

even a single visual image.181

Le caratteristiche del database sono come un insieme d’informazioni che possono essere

strutturate secondo criteri diversi e risultare in un meta-racconto per molti versi diverso dal

concetto di narrazione tradizionale (nel senso più ampio), come si svolge in un libro, in un

film, o anche in una sola immagine visiva.

Questo è naturalmente quello che Rubin e Hansen quasi esplicitamente stanno

facendo. Essi prendono da varie fonti del New York Times frammenti

d‘informazioni per presentarli in un modo radicalmente diverso, per raccontare la

storia di newsmaking o la produzione del giornale.

181

C. Paul, ―The Database as System and Cultural Form: Anatomies of Cultural Narratives‖, in

Victoria Vesna (ed.). Pag. 106 “Database Aesthetics: Art in the Age of Information Overflow”,

Minneapolis: University of Minnesota Press, 2007.

CAPITOLO III

104

Epicpedia - Annemieke van der Hoek (2008)182

A proposito

sempre di

Database e

narrativa è utile

osservare

l‘esempio che ci

viene da

―Epicpedia‖, che

rende la

realizzazione di

una narrazione

molto letterale.

Secondo il suo creatore: Epicpedia è uno script web che rende gli articoli di

Wikipedia e la loro revisione / modifica, di storia come un copione teatrale,

prendendo l‘ispirazione dal senso di estraniamento che Bertold Brecht ha usato nella

sua idea di Epic Theatre. Così quest‘opera d'arte fa letteralmente un racconto di una

raccolta di dati d'archivio che è la cronologia delle modifiche di Wikipedia.

Dal momento in cui ogni parola, ogni numero e persino ogni lettera dell‘alfabeto

sono divenuti virtualmente linkabili o registrabili come domini, questi stessi segni

hanno acquisito un nuovo significato, non sempre assimilabile alla funzione

conferitagli dalla lingua ―naturale‖. Ovviamente gli artisti, che hanno da sempre una

sensibilità particolare per i grandi mutamenti sociali, e in particolare gli artisti della

Rete sono stati tra i primi ad afferrare le potenzialità di queste trasformazioni e

renderle manifeste con una serie di progetti e interventi che in parte si possono

considerare anche canzonatori e bizzarri.

In conclusione di questo breve excursus si ritiene utile riportare un interessante

episodio denominato ―Female Extension‖183

Nel febbraio del 1997 a Galleria d‘Arte Contemporanea Hemburg Art Museum in

Germania, proclamava il bando di concorso per Extension. Si trattava di una grande

182

http://www.epicpedia.org/index.cgi 183

Per chi voglia approfondire, in Victoria Vesna (ed.). Database Aesthetics: Art in the Age of

Information Overflow, Minneapolis: University of Minnesota Press, 2007. Pag. 68 e segg.

CAPITOLO III

105

novità per il mondo dell‘arte, poiché si inaugurava la prima competizione

internazionale di net.art promossa da un corpo istituzionale. L‘avvenimento era

sponsorizzato da una conosciuta multinazionale dell‘elettronica e dalla rivista

tedesca ―Spiegel Online‖ corrispondeva allo scopo di rendere ufficiale l‘estensione

del museo nello spazio virtuale. Sembrava giunto il tempo, difatti di rivolgere

l‘attenzione alle nuove forme artistiche, ma anche alle modifiche che i database e la

rete avrebbero potuto migliorare e modificare gli usuali compiti di raccolta,

conservazione e mediazione rispetto all‘arte da offrire a un pubblico più largo,

attraverso il World Wide Web.

Al concorso avrebbero dovuto partecipare soltanto opere in formato digitale per cui

gli artisti erano chiamati a proporre progetti originali sul tema Internet come

materiale e oggetto. Il bando faceva espresso rapporto alla net.art e gli artisti

autorizzati a partecipare alla gara avrebbero ricevuto una password per inserire le

loro opere esplicitamente sul server del museo. In tal modo i curatori della

competizione chiaramente identificavano tout court la net.art con la mera

esposizione di materiali sul Web, senza considerare i che potessero essere presentati

progetti serventesi di altri canali e protocolli di comunicazione.

Il fatto mise in agitazione l‘artista tedesca Cornelia Sollfrank la quale decise di

partecipare alla competizione allo scopo di metterne in dubbio l‘autorevolezza e di

evidenziare l‘incompetenza dei curatori. Difatti il suo lavoro intitolato ― Female

Extension ―era legata alla cyberfemminismo e mirava a dimostrare anche che gli

artisti di sesso maschile sarebbero stati favoriti in questo genere. Avendo alle spalle

la comunità della net.art, Sollfrank iscrisse al concorso duecento artiste donne

immaginarie, ognuna fornita di numero di telefono, di fax e di un account di posta

elettronica funzionante. Fu così che ricevette una password per ciascuna delle artisti

donne che furono regolarmente registrate. I curatori della gara si dissero molto felici

dell‘alto numero di concorrenti (circa 280) e comunicarono alla stampa la splendida

partecipazione di artiste donne che superava i due terzi del totale.

Il problema era quello di realizzare concretamente tutti i progetti presentati, ma la

Sollfrank non si perse d‘animo e prese in considerazione l‘idea di delegare un

software – chiamato Net.art Generator3 a tale scopo.

<www.obn.org/generator> –ricombinava pagine Web e file pescati quasi

casualmente dalla Rete, sulla base delle parole chiave inserite in un apposito motore

CAPITOLO III

106

di ricerca. La Sollfrank, e le sue fantomatiche concorrenti, a merito di questa

macchina generatrice di Internet ready-mades, fu in grado di presentare in

pochissimo tempo i duecento progetti necessari.

Fatto sta che, a dispetto dell‘alta percentuale di possibilità di vittoria, (i due terzi dei

partecipanti erano donne), i suoi sforzi non ebbero successo, difatti i tre premi in

denaro andarono tutti ad artisti di sesso maschile. Occorre dire che forse la ragione

andava alla qualità delle opere, ma non siamo in grado di affermarlo su dati di fatto.

Il giorno in cui la commissione annunciò i nomi dei vincitori, la Sollfrank diffuse un

comunicato stampa in cui diffondeva la vera natura del suo intervento, chiamandolo

ironicamente Female Extension.

Occorre dire che la commissione, esaminando i progetti, era sì rimasta sorpresa

dall‘enorme quantità di dati apparentemente priva di senso, ma non si era resa conto

del fatto che fossero tutti ―artificiali‖ e di unica provenienza. In ultimi termini i

progetti (duecento!) presentati dall‘artista come il frutto di individualità diverse e

non di un unico soggetto erano stati accettati come tali.

CONCLUSIONI

107

CONCLUSIONI

Le innovazioni mediatiche collegate all‘arte sono di difficile attuazione per quanti

operando nell‘arte hanno vissuto lunghi anni di esperienza personale secondo

tradizioni in base alle quali l‘arte è:

Quell‘attività dello spirito umano con la quale questi tenta di esprimere, con mezzi sensibili,

la bellezza di un‘idea o la vigoria di un sentimento che sente fervere dentro.

Artisti cresciuti con l‘insegnamento di un docente di qualità quale padre Michele

Schioppa, che ha rappresentato un punto fondamentale di riferimento, trovano

difficile il ―salto‖ in una accezione dell‘arte ―moderna‖ e ―diversa‖ che richiede, per

essere compresa, una preparazione culturale e scientifica necessariamente collegata

allo sviluppo della società. Tuttavia, quanti non rinunciano a rimanere messi in

comunicazione col mondo che si modifica continuamente, è necessario che si

adeguino alle molteplici novità che l‘uso del computer e ancor di più l‘inserimento in

una rete globale quale il WEB consente e invita a conoscere. Basti pensare che, a

proposito del concetto di patrimonio culturale, la stessa organizzazione

dell‘UNESCO si sia vista costretta a rivedere i propri principi, innestandovi una

―Convenzione per la tutela del patrimonio culturale immateriale‖. A tal proposito

l‘UNESCO sancisce, su scala mondiale, l‘istituzionalizzazione di una nuova

categoria patrimoniale e prospetta rilevanti mutamenti nel modo stesso di guardare ai

beni culturali. Già nel momento in cui estende la definizione di patrimonio, fino a

includere espressioni culturali tradizionali popolari ordinarie, l‘UNESCO dimostra di

ammettere un approccio basato sulla definizione antropologica di cultura, più ampia

rispetto a quella umanistica e fondata sull‘eccellenza che aveva caratterizzato i suoi

programmi iniziali. Nell‘enunciazione dell‘UNESCO, tale tipologia di beni culturali

―immateriali‖ è da intendersi come:

le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli

strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i

gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio

culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione,

è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro

CONCLUSIONI

108

interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d‘identità e di continuità,

promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana.184

In tal senso divengono ―Patrimonio dell'umanità‖ anche alcuni siti prescelti, difatti

quella di ―Sito Patrimonio dell'Umanità‖ è la denominazione ufficiale delle aree

registrate nella Lista del Patrimonio dell'Umanità, o nella

sua accezione inglese World Heritage List, della

Convenzione sul Patrimonio dell'Umanità. Tale

Convenzione è stata adottata dalla Conferenza generale

dell'UNESCO il 16 novembre 1972, con lo scopo di

riconoscere e conservare la lista di quei siti che raffigurano

delle caratteristiche di eccezionale rilevanza da un punto di

vista culturale o naturale.

Il Comitato della Convenzione, ha maturato dei criteri precisi185

per l'inclusione dei

siti nella lista. In base all'ultima revisione eseguita nella riunione del Comitato per il

Patrimonio dell'Umanità a Parigi il 19 giugno 2011186

, la lista risulta composta da un

totale di 936 siti (di cui 725 beni culturali, 183 naturali e 28 misti) presenti in 153

Nazioni del mondo187

.

Al momento è l'Italia la nazione che possiede il maggior numero di siti inseriti nella

lista, con 47 siti, la segue la Spagna con 43 siti e la Cina con 41 siti.

La notizia che Wikipedia abbia fatto domanda all‘UNESCO per essere riconosciuta

come Patrimonio Culturale dell‘Umanità non sorprende, ma neanche sarà facile che

possa riuscirci, in quanto Wikipedia è la prima entità digitale a fare domanda per il

patrocinio dell‘organizzazione e molti si dicono scettici riguardo alle valutazioni

positive che giungerebbero dai giudici e dai commissari dell‘Unesco.

Tuttavia, se prendessimo in considerazione il primo criterio per essere accolto nel

patrimonio UNESCO, che è quello di rappresentare un capolavoro dell‘ingegno

creativo umano, parrebbe logico ascrivere la candidatura di Wikipedia per questo

riconoscimento. Tornerebbe in proposito la teoria dell‘intelligenza collettiva di Pierre

Levy:

184

UNESCO 2003 art. 2, par. 1. La traduzione italiana della convenzione utilizzata in questo testo è a

cura della Commissione nazionale italiana per l‘UNESCO. 185

http://whc.unesco.org/en/criteria/ 186

http://whc.unesco.org/en/sessions/35COM/ 187

http://whc.unesco.org/en/list

CONCLUSIONI

109

Che cos'è l'intelligenza collettiva? In primo luogo bisogna riconoscere che l'intelligenza è

distribuita dovunque c'è umanità, e che questa intelligenza, distribuita dappertutto, può

essere valorizzata al massimo mediante le nuove tecniche, soprattutto mettendola in sinergia.

Oggi, se due persone distanti sanno due cose complementari, per il tramite delle nuove

tecnologie, possono davvero entrare in comunicazione l'una con l'altra, scambiare il loro

sapere, cooperare. Detto in modo assai generale, per grandi linee, è questa in fondo

l'intelligenza collettiva.188

Wikipedia, come piattaforma collaborativa può essere considerata come l‘unione

dell‘ingegno di tutti coloro che contribuiscono al suo aggiornamento (compresa la

scrivente), dunque, con una definizione precipuamente olistica, potrebbe giungere al

monumentale traguardo di esprimere il sapere dell‘umanità nel senso più

immateriale.

Wikipedia, inoltre, appare sotto una forma di perenne crescita e in conseguenza di

ciò è caratterizzata da una connaturata contraddittorietà e un‘incompletezza che la

caratterizza e la rende vicina alla logica matematica.

Offre di sé la possibilità di una flessibile revisione purché convalidata da autorevoli

fonti e il suo permanere incompiuta nasce proprio dall‘impossibilità di concludere

l‘opera, che altrimenti sarebbe caratterizzata da una visione statica e dogmatica.

Per quanto riguarda l‘autorevolezza delle fonti, non possedendo, di fatto, una natura

fortemente gerarchica, concede di ospitare un pluralismo d‘idee, perennemente

controllato da molti collaboratori, senza mai imporre una prospettiva prevaricatrice,

la qual cosa ha la sua valenza negativa e positiva assieme, con cui necessariamente

deve convivere.

Anche la questione del business che la regge è fondata su donazioni allo scopo di

evitare il giogo finanziario per cui (almeno per il momento), è percepita dall‘utente

come gratuita.

Tutto ciò fa parte dei nuovi media, che rappresentano ancora, per la nostra cultura,

appunto, una novità. Quanti vedono l‘effetto positivo, spesso ne evidenziano proprio

l‘innovazione; inoltre, restando nel contesto artistico: «Come ha notato Cavel189

(1979), il compito dell‘artista contemporaneo è sempre stato ―non quello di creare un

188

Intervista a Pierre Levy sul concetto di intelligenza collettiva proposto nella sua opera

"L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio".

http://www.hackerart.org/corsi/fm03/esercitazioni/pecorini/Interviste/11_interviste.htm 189

Stanley Cavell (Atlanta, 1º settembre 1926) è un filosofo statunitense

CONCLUSIONI

110

nuovo esempio della sua espressione artistica, ma di inserirvi un nuovo medium

(p.104) ».190

Si può dissentire, ma non dimenticare che ogni arte è stata ―moderna‖, ossia

appartenente al suo contesto storico e sociale e proiettata in avanti. Anche l‘uso della

prospettiva, nel quattrocento italiano, rappresentava una rottura con il passato. Lo

stesso Giotto, pur avendola intuita, usava la ―prospettiva parallela‖ (assonometria),

cui i ―lettori delle opere d‘arte‖191

erano abituati ed in rare occasioni (una, che io

sappia, si direbbe per prova), la prospettiva centrale, in una tavola minore di una pala

d‘altare conservata al Louvre. Rompere con il passato è difficile, ma «offre

quell‘esperienza non mediata che tutti i media precedenti hanno cercato, ma non

sono mai riusciti a raggiungere.»192

Una forma di ricostituzione dei significati, e di ristrutturazione e rimediazione di

elementi già esistenti che ubbidisce alla geniale intuizione di Marshall McLuhan: «Il

contenuto di un medium è sempre un altro medium». In altre parole, per

rimediazione s‘intende la rappresentazione di un medium all‘interno di un altro

medium, ma anche la rimediazione delle esperienze, delle logiche, dei concetti, ossia

di tutto quanto abbia avuto valore in precedenza, per una parte della società. E

occorre dire che mai come oggi, a causa della democratizzazione dei media (basti

pensare alla musica, all‘animazione, alla grafica e allo sviluppo degli stessi

software), abbiamo modo di vedere on line progetti che nulla hanno da invidiare a

quelli promossi da aziende famose e artisti conosciuti. Il web ha reso possibile

l‘emergere di un sottobosco silenzioso di artisti che hanno potuto promuovere le loro

idee come mai avrebbero fatto prima. Idee che si sono tradotte in parole, musica,

grafica, animazione, ma anche in una ibridazione di queste singole tecnologie, in

nuovi modi di esprimersi che sarebbero stati impossibili da perseguire nel passato.

Proprio questa libertà di espressione, genuina, coraggiosa, multietnica e globalizzata

è la strada più luminosa che ci ha regalato la nuova tecnologia e percorrerla in ogni

senso, trovandovi nuovi spazi e nuove vie, non può non essere nella volontà di chi

ama l‘arte. Da sempre.

190

J. D. Bolter e R. Grusin . ―Remedition‖, op. cit. Pag. 304. 191

Parlo di lettori perché le opera artistiche erano il Vangelo degli analfabeti, che vi apprendevano le

storia di Gesù, della Madonna e dei Santi 192

J. D. Bolter e R. Grusin . ―Remedition”,op. cit. Pag. 304.

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111

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