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FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
TEORIA DELLA COMUNICAZIONE AUDIOVISIVI E SOCIETÀ DELLA
CONOSCENZA
TESI DI LAUREA
IN
INFORMATION DESIGN
NEW DESIGN: “L’ESTETICA GLOBALE I DATABASE E
L’IBRIDAZIONE MEDIALE”
Relatore Candidato
Ch. mo Prof. Guelfo Tozzi Bianca Fasano
matr. 032/2800047
Correlatore
Dr. Stefano Perna
Anno accademico 2010-2011
NEW DESIGN: “L’ESTETICA GLOBALE I DATABASE E L’IBRIDAZIONE MEDIALE”
0
DEDICO QUESTO MIO LAVORO
ALLA GOLDREY & BOYCE, ULTIMA
AZIENDA AL MONDO CHE PRODUCEVA MACCHINE PER SCRIVERE,
CHIUSA IN INDIA IL 25 APRILE DEL 2011
NEW DESIGN: “L’ESTETICA GLOBALE I DATABASE E L’IBRIDAZIONE MEDIALE”
1
INDICE
INTRODUZIONE
Motivi e forme della ricerca ……………….………………………..……. pag.4
CAPITOLO I
Media digitali e software culture
1.1) I media dal passato verso l‘attuale…………………………………….pag.12
1.2) I computer di prima generazione. Uno sguardo veloce….…………… pag.16
1.3) Il paesaggio va mutando …………………………………………..…. pag.19
1.4) un percorso del software culturale……………………………………..pag.21
1.5) Incontro con il database………………………………………………. pag.30
CAPITOLO II
L’estetica del database
2.1) Il cinema o ―i cinema‖? Il cinema digitale………………………..……pag.38
2.2) Per una estetica della rimediazione………………………………..…..pag.49
2.3) La rimediazione nel cinema e nella televisione……………….……pag.63
2.3.1) Lo schermo, l‘utente e la realtà virtuale...……………………..…….pag.63
2.3.2) Cinema e TV………………………………………………….……...pag.66
2.3.3) Uno sguardo alla terza dimensione………………………….……….pag.69
CAPITOLO III
L’ibridazione. Un tentativo di analisi
3.1) Il sogno realizzato……………………………………………..………pag.72
3.2) Il sogno infranto……………………………………...………………...pag.74
NEW DESIGN: “L’ESTETICA GLOBALE I DATABASE E L’IBRIDAZIONE MEDIALE”
2
3,3) La realtà condivisa e l‘arte……………………………………………....pag.76
3.4) L‘arte del Data-Base……………………………………………….…….pag.81
Conclusioni……………………………………………………………..........pag.106
Bibliografia……………………………………….………………………….pag.111
INTRODUZIONE
3
INTRODUZIONE
Motivi e forme della ricerca
L‘ottica con cui mi sono avvicinata all‘argomento della mia tesi è stata almeno
duplice: da insegnante di disegno e storia dell‘arte (e pittrice io stessa), l‘esame di
Information design mi aveva, sin dal primo anno degli studi di questa laurea,
catapultata in un nuovo modo di concepire l‘arte, di cui i testi ―usuali‖ non parlano.
Dall‘altra, in quanto giornalista e scrittrice, già rapita dal mondo del PC, sin
dall‘infanzia di questi, anche se, decisamente, non dalla mia (visto che ho cominciato
con lo scrivere testi, dapprima chirograficamente e successivamente a macchina). Il
mio primo PC (non mio, mi fu in realtà prestato da un editore ―per sveltire il
lavoro‖), negli anni ottanta, mi confuse e attirò, sconosciuto e pieno di promesse, per
cui, da quel magico momento, fu amore a prima vista. Gabriele Frasca dice che «…
nelle epoche di passaggio da una galassia di mezzi a un‘altra suscita la paralizzante
sensazione di una vera e propria ―guerra mediale"».1 Così non fu per me, passata in
modo lieto dalla pur cara macchina da scrivere ad un mezzo che mi permetteva
libertà fino ad allora inimmaginabili e, nel tempo, mi avrebbe consentito l‘accesso
all‘immenso database di internet. D‘altra parte:
E‘ un po‘ il destino delle fasi di transizione quello di offrirsi solo in un secondo momento
alla consapevolezza degli osservatori, e giusto per il fatto che proprio coloro che sono
immersi più profondamente in una rivoluzione finiscono con l‘essere meno consapevoli delle
sue dinamiche (McLuhan 1962, pp. 210-212).2
Mi sono successivamente appassionata degli spazi infiniti di internet e alle infinite
possibilità da questi offerte, per poi anche preoccuparmi, in tempi vicini all‘oggi,
delle infinite insidie che altrettanto facilmente poteva offrire. Parlando di database
viene spontaneo anche riflettere su quella che potremmo considerare l‘anima nera
delle nuove tecnologie. Partendo difatti dall‘esemplificazione del database come un
sistema per mezzo del quale dare origine e organizzare dati e forme cultura, ci
rendiamo poi conto che ha anche il potere di organizzare e catalogare la nostra vita e
la nostra stessa società. Quali i possibili sviluppi? Da integrata e non apocalittica
dovrei vederne soltanto i positivi, ma una vena di negatività comunque salta fuori.
1 G. Frasca ― La lettera che muore-la “letteratura”nel reticolo mediale‖; 2005-meltemi editore Srl,
Roma,cap. secondo pag.42. 2 G. Frasca ― La lettera che muore-la “letteratura”nel reticolo mediale‖.Op.Cit. Cap. terzo, pag. 82
INTRODUZIONE
4
Questo perché i nostri dati non sono posseduti soltanto dagli uffici della pubblica
amministrazione (cosa anche che qualche volta ci mette quantomeno a disagio, tenuti
sotto mira come siamo), ma dalle banche, dalle università, dalla rete ospedaliera e
dalle biblioteche. Non basta: sappiamo che i nostri movimenti, le nostre condotte, le
compere e quant‘altro, sono rintracciabili per mezzo delle carte di credito, dei
telefonini, dei badge d‘identificazione. Inoltre, positivo o negativo che sia al
momento, in molti spazi pubblici e nelle strade molto spesso siamo anche controllati
dalle telecamere. Siamo sotto il tiro continuo di un controllo che può farsi più duro in
casi eccezionali, quando questi dati possono essere incrociati tra loro per mezzo di
più database, come capita nel caso di reati, quando l‘investigazione, anche nascosta
agli stessi, avviene su persone o gruppi di individui che si presume possano avere
commesso un reato, e in quel caso ci sentiamo di dire che per un alto numero di casi
queste operazioni avvengono nel nome di efficienza e sicurezza. Ci auguriamo anche
che il prezzo da noi pagato (ossia di essere sempre sotto controllo, appunto), sia reso
giustificabile dall‘efficacia con cui possiamo sentirci anche protetti…
L‘altra faccia della medaglia è che il world wide web3 è una terra virtuale laddove è
possibile esprimere se stessi e ricercare libertà di pensiero e verità, per cui diventa
territorio di contesa da parte degli stati cui la sua struttura affrancata e scorrevole
rappresenta un pericolo, o comunque uno spazio da amministrare e verificare. Per
Manuel Castells internet si palesa come un mezzo efficace affinché la democrazia
possa espandersi nel globo e quindi egli trova ovvio che il web possa concorrere alla
sua costruzione. In una nazione libera e democratica difatti le differenti forme
associazionistiche, private e pubbliche, le reti civiche e le reti private, attraverso il
Web assolvono i loro compiti di informazione, sia questa alternativa, pubblica,
amministrativa, di volontariato, religiosa o di altro tipo, si affidano alla rete.
Purtroppo questa larghezza di pensiero ha i suoi risvolti nella possibilità che sia
sfruttata anche in negativo e che vi sia un background meno nitido e pulito di quanto
vorremmo fosse. Se la rete deve essere controllata, occorre creare una legislazione ad
hoc e porre dei filtri per entrare in essa e in questo modo il controllo disporrebbe dei
mezzi per essere totale e dittatoriale, cosa documentata nel caso di regimi totalitari
3 Il World Wide Web (nome di origine inglese), in sigla WWW, più spesso abbreviato in Web,
anche
conosciuto come Grande Ragnatela Mondiale, è un servizio di Internet che permette di navigare ed
usufruire di un insieme vastissimo di contenuti multimediali e di ulteriori servizi accessibili a tutti o
ad una parte selezionata degli utenti di Internet.
INTRODUZIONE
5
dove l‘informazione è imbavagliata, anche perché in Internet è facile essere
controllati, si è completamente trasparenti, la privacy è assente e il rischio di essere
spiati, più alto.
E‘ interessante fermarci un momento per porre l‘accento da quanto lontano questa
preziosa innovazione tecnologica proviene. La nascita del Web risale al 6 agosto
1991, giorno in cui Berners-Lee mise on-line su Internet il primo sito che
Inizialmente venne utilizzato solo dalla comunità scientifica. Arriviamo al 30 aprile
1993 allorquando il CERN (ossia l‘organizzazione Europea per la ricerca nucleare),
stabilisce di rendere pubblica la tecnologia alla base del Web. Insospettabile il
successo ampio e quasi istantaneo del Web a ragione delle infinite e subito intuite
possibilità offerte a chiunque, di diventare editore della sua efficienza e, non ultima,
della sua semplicità. Con il successo del Web ha inizio la crescita esponenziale e
inarrestabile di Internet ancora oggi in atto, nonché la cosiddetta ―era del Web‖.
E‘ oramai evidente che i cosiddetti ―new media‖ abbiano portato a un sovvertimento
del modo stesso di guardare al mondo, già rendendo così ―reale‖ il virtuale e
penetrando nella vita giornaliera delle persone permettendo la loro fruizione, ma
anche per il fatto di avere condotto a soluzioni stilistiche ed estetiche innovative e
aiutando i vecchi media a un confronto proficuo e reciproco attraverso i contenuti e
le forme. Appare chiaro che Il database diviene una delle configurazioni simboliche
e culturali con cui si estende l‘interesse e il bisogno dell‘uomo contemporaneo di
svilupparsi attraverso la tecnologia. Dovendo decidere, una volta avvicinatami alla
tesi in Information Design su quale campo di azione applicare la mia ricerca, sono
stata colpita dalle idee sviluppate da Manovich nel suo ―Il linguaggio dei nuovi
media‖ e in particolare da quello del database come nuova forma simbolica. La mia
tesi ubbidirà al fine di chiarirmi che cosa possiamo intendere oggi con il termine
―new media‖, dando uno sguardo ai media che li hanno preceduti, al passato dei
nuovi media e agli artefici che hanno dato luogo ai mutamenti mediali di oggi.
Cercherò di chiarire quale sia il procedimento che utilizziamo e che essi stessi
impiegano per entrare a fare parte della nostra quotidianità e in che modo abbiano
trasformato le nostre abitudini, penetrando quasi in sordina e sempre più rendendosi
necessari al nostro vivere di ogni giorno. Parlerò dei database e del loro vario utilizzo
nella società ed anche, da artista, con quali metodi e criteri i new media e gli stessi
database abbiano modificato o stiano modificando in itinere i nostri percorsi di vita e
INTRODUZIONE
6
il concetto stesso di arte, o quantomeno lo abbiano ampliato, creando, attraverso la
loro esistenza, nuovi mezzi di espressione e altri ancora rendendoli potenzialmente
possibili anche grazie alle nuove tecnologie.
Inserendoci sul discorso dei database dobbiamo ricordare che in un passato neanche
troppo lontano la parola ―archivio‖ faceva pensare a stanze polverose dove i dati si
accumulavano senza posa e con criteri distributivi vari, tra cui non era difficile
rintracciare la classica ricerca per ordine alfabetico. In informatica oggi, si usa la
definizione ―database”, ossia banca dati per fare riferimento non ad ―un‖ archivio
ma ad un insieme di archivi che sono messi in relazione per mezzo di un particolare
modello logico (relazionale, gerarchico o reticolare) la quale cosa permette la
coordinazione dei dati stessi, ossia l‘immissione di nuovi dati, il loro ordinamento, la
modifica, la ricerca e le interrogazioni ma anche l‘eliminazione e l‘aggiornamento di
quelli presenti attraverso particolari software appositamente creati allo scopo. Gli
archivi informatici sono usati da milioni di utenti in ogni momento anche senza che
questi se ne rendano conto. I siti internet si basano internamente sui database per cui
ogni volta che su un sito immettiamo username e password il gestore del sito
confronta le informazioni da noi digitate con quelle presenti nel suo database e
verifica la loro correttezza. Passano per i database tutte le telefonate che facciamo
con i nostri telefoni cellulari giacché sono archiviate e attraverso questo mezzo i
gestori calcolano le bollette. Ci sembra ovvio che i Comuni conservino le
informazioni sui cittadini per poter poi emettere certificati. Anche queste sono
ovviamente, raccolte sui database e potremmo portare moltissimi esempi. Nei
database i dati sono naturalmente suddivisi per argomenti (in tabelle) e poi tali
argomenti sono suddivisi per categorie (campi). Ciò che rende gli attuali database
notevolmente differenti dalle vecchie forme di archiviazione è innanzitutto il fatto
che siano ―navigabili‖ da chi abbia l‘accesso a questi, nel giro di pochi minuti e si
possa accedere a loro, classificarli, riorganizzarli, pur trattandosi di milioni di
registrazioni in modo velocissimo.
Le funzionalità più avanzate consentono ai database di comunicare con altri
programmi. La tendenza attuale è produrre file di scambio in formato XML e a
ragion di ciò i moderni data base sono attrezzati per quest'esigenza. Un'altra
funzionalità essenziale è la sicurezza dei dati e delle operazioni.
Allo stesso tempo il database diventa la nuova metafora che permette la
INTRODUZIONE
7
rappresentazione mentale della memoria culturale individuale e collettiva, una
raccolta di documenti, oggetti e altri fenomeni ed esperienze in cui sono trasmessi
anche gli elementi della nostra vita sociale, civile e religiosa. Siamo difatti abituati
nell‘era contemporanea a considerare il computer come un elemento indispensabile
della nostra esistenza umana e, per quanto pochi ancora si rifiutino di ammetterlo, ci
riesce difficile pensare a come facevamo prima del suo inserirsi costante nelle nostre
vite. Molto di più di un tavolo di lavoro o di un elettrodomestico, questi rappresenta
il nostro contatto giornaliero con il mondo, un qualcosa che taglia le distanze e il
tempo e ci permettere l‘incontro con un mondo ―fuori‖, globalizzato e raggiungibile.
Pur senza dimenticare i lati negativi della ―rete‖, quali il ―digital devide‖, di cui parla
con cognizione di causa Castells e il fatto che esista una economia globale di tipo
criminale, interconnessa in tutto il mondo che è un fenomeno nuovo ma
oggettivamente presente. Al momento, secondo il Fondo monetario internazionale
(FMI), questa corrisponde quasi a 1500 miliardi di dollari nel mondo, ossia quanto il
PIL del Regno Unito. Tutto ciò si collega al fatto che nella civiltà occidentale i
nuovi strumenti sono video, telecomunicazioni, computer, con le loro numerose
articolazioni ed emanazioni. Basti dire che nel millenovecentonovantaquattro il
numero di computer venduti ha superato quello delle televisioni che gli utenti di
internet in tutto il mondo aumentano ogni mese di otto milioni di unità.4 Essendo
artisti o studiosi in un qualsiasi campo non si può evitare di raffrontarsi con questi
nuovi oggetti mediali per penetrarne le possibilità evidenti e nascoste e comprendere
la relazione che il pubblico stabilisce con essi. Parliamo di rapporto, pur se non di
tipo ―uomo a uomo,‖ ma comunque interagente giacché parliamo di ―macchine‖, o
―elettrodomestici‖ differenti da quelli su cui eravamo abituati ad agire. Ci riferiamo,
difatti, a mezzi interattivi, nati allo scopo di un uso e di una ricezione attiva e non
passiva come quello che possiamo avere oggi con una televisione o un frigorifero,
fino a nuovo ordine. Interagire può significare molto di più di quanto siamo disposti
a credere. Basti pensare al progetto MyLifeBits, di cui parleremo più avanti,
sviluppato a partire dal 2003 da Microsoft Research, la divisione di ricerca di
Microsoft, ed in particolare dagli ingegneri informatici Gordon Belle e Jim Gemmel,
che consiste nel registrare e gestire tutti gli eventi della vita di una persona, (nel caso
particolare lo stesso Bell), attraverso dati e piattaforme multimediali ossia nella
4 P. L. Cappucci ―Arte & tecnologie‖ 1966 edizioni dell‘ortica. Fonte internet
http://www.noemalab.org/sections/specials/arte_tecnologie/main.html
INTRODUZIONE
8
fattispecie foto, registrazioni vocali, cambiamenti di temperatura corporea. In tal
modo il database diviene una forma culturale ma anche sociale e strettamente
collegata alla vita dell‘essere umano.
Siamo impregnati di dati e le nostre passate abitudini riguardo al cartaceo non
bastano certamente più per accoglierli per cui risulta estremamente utile un database
informatico che:
è completamente diverso da una tradizionale archiviazione di documenti: permette di
accedere, classificare e riorganizzare milioni di registrazioni nel giro di pochi minuti; può
contenere vari tipi di media e assume più forme d‘indicizzazione dei dati, visto che ogni
registrazione contiene una serie di campi i cui valori vengono definiti dall‘utente5.
Non stupisce dunque che il database sia diventato il contrassegno dell‘era dei
computer e ci abbia progressivamente costretti, quasi in modo indolore, ad un
metodo mai usato in precedenza di organizzare la nostra consapevolezza del mondo.
Ciò, inevitabilmente, raggiungendo una concretezza estetica innovativa. Nel
ventesimo secolo si è quindi amplificata all‘inverosimile la consuetudine già
esistente nei secoli precedenti, sia che gli artisti s‘influenzassero a vicenda sia che
costruissero sul lavoro dei loro coetanei. Qualsiasi buon insegnante di storia dell‘arte
o conoscitore d‘arte è potuto entrare in contatto con movimenti artistici quali pop e
Dada, con i ready-made6e i collage, ossia con maestri innovativi che, invece di
partire dal nulla, hanno usato materiale esistente per creare le loro opere. In tal senso
è divenuto usuale il concetto di ―sampling‖ (campionamento) in musica, ossia l'atto
di prendere una porzione o ―campione― , di una registrazione del suono e farne un
uso differente. Riutilizzarlo come uno strumento o una registrazione sonora per una
canzone diversa. L'uso esteso di campionamento nella musica popolare nasce con la
nascita della musica hip hop a New York nel 1970. Ciò avviene tipicamente con un
campionatore che può essere un pezzo di hardware o un programma per computer .
Il campionamento è possibile anche con loop7 di nastro o con dischi in vinile su un
5 L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Edizioni Olivares. The MIT Press. IX edizione.
Novembre 2009. Pag. 268. 6 Il termine ready-made (traducibile come "istantaneo", "detto-fatto"...) è utilizzato per descrivere
un'opera d'arte ottenuta da oggetti per lo più appartenenti alla realtà del quotidiano, lontana dal
sentimentalismo e dall'affezione, che possono essere modificati (in questo caso si parla di ready-made
rettificato) o meno. L'inventore di questo ―movimento artistico‖, fu il dadaista Marcel Duchamp nei
primi decenni del Novecento ed ancora oggi è una pratica molto usata (nelle sue varie evoluzioni)
nell'arte contemporanea. 7 Anello, cappio, occhiello, laccio, nodo
INTRODUZIONE
9
fonografo ed è usualmente applicato in hip-hop e danza. Adoperando campioni di
musica di artisti già esistenti, i produttori hip-hop e danza hanno riorganizzato gli
elementi esistenti e hanno associato nuovi costituenti per creare prodotti innovativi.
Questo sampling, ossia l'impiego di elementi già disponibili è molto comune anche
nei new media art.8 Tanto di più grazie alle tecnologie innovative, come Internet e i
software di editing (composizione), i quali hanno rappresentato la possibilità, per gli
artisti, dell‘utilizzo d‘immagini già disponibili, di suoni e testi preesistenti e della
condivisione dei dati con più rilevante semplicità. La grande quantità di materiale
che è ora adoperabile può essere utilizzata anche dai meno bravi nell‘uso del PC, per
mezzo delle applicazioni del computer con funzioni semplici, come il copia-incolla.
La condivisione di dati ha spinto gli artisti verso la creazione e l‘utilizzo dei software
open source, anche per evitare di doversi preoccupare dei copyright. Un elemento
distintivo dell‘open source è la cooperazione, e possiamo notarlo in modo evidente
nella new media art. Il file ―sharing‖ è, diversamente dal ―copyright‖, la possibilità
di avere file in comune all'interno di una rete. Può avere luogo per mezzo di una rete
con struttura ―client-server‖ (cliente-servente) oppure ―peer-to-peer‖ (pari a pari).
Ovviamente questo tipo di cultura crea una logica di orientamento verso l‘abolizione
del diritto proprietario delle forme, incoraggiando un‘arte della postproduzione,
tramite la quale gli artisti concepiscono nuovi usi per le opere del passato e
compiono una sorta di editing delle narrative storiche e ideologiche.
Secondo Lev Manovich, i New Media sono i media basati sul computer e sulle
tecnologie digitali e appaiono rivoluzionari più di ogni altro che li ha preceduti, in
quanto:
oggi la rivoluzione dei media computerizzati investe tutte le fasi della comunicazione -
acquisizione, manipolazione, archiviazione e distribuzione - e anche tutti i tipi di media -
testi, immagini statiche e in movimento, suono e costruzione spaziale.9
Alcuni artisti in questo modo rendono il loro lavoro liberamente disponibile (il che,
se vogliamo, può apparire strano, poiché l‘artista è, generalmente, geloso della
propria opera), così che altri artisti possano facilmente costruire su di esso e lavorare
di remix per creare nuove opere. In tal modo tali artisti creatori sul vissuto, utilizzano
8 In questo senso il termine viene utilizzato da Michael Rush in ―New Media in Late 20th Century
Art”. (1999). 9 L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Op. cit. Pag 38.
INTRODUZIONE
10
la raccolta di dati, anche ―del database‖, utilizzando nuovi metodi per creare nuove
opere. Ciò contraddistingue il lavoro di un artista nel modo seguente:
Molti oggetti dei nuovi mezzi di comunicazione non raccontano storie, non hanno un inizio
né fine, infatti, non hanno alcuno sviluppo tematico, formalmente, o comunque che organizzi
i loro elementi in una sequenza. Invece, sono raccolte di singoli elementi, con ogni elemento
che possiede il significato stesso di qualsiasi altro .10
Il nostro momento culturale attuale sembra quindi contrassegnato dai database.
Il database è la forma simbolica che struttura, o meglio, destruttura i dati in suo
possesso. I database usano diversi tipi di organizzazione dei dati e a seconda di
questi vengono definiti gerarchici, integrati o relazionali e orientati all‘oggetto. Se
osservate dall‘utente, appaiono come collezioni di voci tramite cui si può «guardare,
navigare, ricercare», per questo motivo «l‘esperienza è quindi del tutto diversa dalla
lettura di un romanzo, dalla visione di un film o dalla navigazione su un sito
architettonico».11
Il database non può dunque essere considerato come una semplice
collezione di oggetti. Piuttosto, il database è organizzato in modo che la
fabbricazione o l‘impiego dei suoi dati sia caratterizzato come un metodo non lineare
di navigazione, e sicuramente di contro narrativa. Appare ovvio che quanto sopra
detto sia in gran parte determinato proprio dalle interfacce e dagli strumenti
informatici che utilizziamo quotidianamente tra cui proprio il database. Questi è
inteso come una forma di organizzazione in archivio che ormai caratterizza
indifferentemente immagini, testi e suoni ed è presente nei CD-ROM, nelle
enciclopedie, nei sistemi di ricerca delle librerie, ma soprattutto in Internet, dove
trova la più grande espressione. Permette anche nuove operazioni artistiche, con un
impianto narrativo nuovo, sia nel cinema sia nella letteratura. Insomma la nozione
stessa di database è penetrata in tutte le forme della nostra vita riconfigurandole, e
ridefinendone i contenuti, riducendoli al linguaggio dei bit e memorizzandoli allo
scopo di potere essere trattati allo stesso modo. Il database è divenuto in tal modo
centrale per il processo creativo, e il contenuto e l‘interfaccia sono diventate entità
separate ragion per cui con uno stesso contenuto possiamo avere diverse interfacce.
Possiamo rifarci sempre a Lev Manovich con il suo progetto artistico
10
L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Op. cit. Pag. 273. 11
L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Op. cit. Pag. 274.
INTRODUZIONE
11
―SoftCinema,‖12
nato dalla collaborazione tra lo stesso Manovich e Andreas
Kratky13
. Appoggiati da una serie di artisti che vanno da DJ Spooky e Scanner per la
musica a Schoenerwisse/of CD per le visualizzazioni e Ross Cooper Studios per il
media design. ―Soft Cinema project‖ evidenzia le possibilità creative all‘incrocio tra
cultura del software, del cinema e della architettura, intende rappresentare un
progetto che, annoverando film, ―dynamic visualization‖, installazioni guidate di
computer, realizzazioni di progetti architettonici, stampa di cataloghi e DVD,
permetta anche e un‘analisi efficace delle estetiche non solo e semplicemente
generate dal computer, ma impostate sulle configurazioni di produzione e consumo
che si sono sviluppate per mezzo di questi. È un grande database in cui confluiscono
molte immagini che in successione producono percorsi narrativi differenti, il layout
stesso è costituito da diversi ―frame" (cornici), che mescolano svariati elementi
media (immagini video e grafiche, suoni, testi...). Il progetto studia il metodo con cui
le nuove tecniche di rappresentazione di software possano essere utilizzate nel
cinema per affrontare le nuove dimensioni del nostro tempo, come ad esempio la
nascita delle mega-città, la ―nuova‖ Europa e gli effetti delle tecnologie
dell‘informazione sulla soggettività individuale. A centro del piano di lavoro vi sono
i software personalizzati e i database multimediali.
Per comprendere come siamo arrivati al mondo d‘oggi e al modo attuale di
raffrontarci con la realtà, che sia virtuale o meno, occorre rivolgere uno sguardo al
passato.
12
http://www.softcinema.net. 13
Andreas Kratky, media artist e ―visiting professor‖ presso la USC School of Cinematic Arts . Nato
a Berlino , Germania, attualmente vive e lavora tra Berlino e Los Angeles . Il suo lavoro è incentrato
sulla memoria dei database e sulle nuove forme di cinema. E‘ designer e co-direttore di numerosi
progetti tra cui quello di Kyogen (2001).
CAPITOLO I
12
CAPITOLO I
Media Digitali e Software Culture
1.1 I media dal passato verso l’attuale.
Per chi, come me, sia nato negli anni cinquanta - sessanta appare forse più evidente
di quanto capiti a chi è nato negli ultimi due decenni, il modo con cui si è modificato
il panorama dell‘esperienza umana, con il proiettarsi di noi stessi in una in una
condizione di vita particolare, in cui ci si ritrova immersi in ciò che è denominato in
senso ampio ―software culturale‖. Ampio, dicevamo ossia un insieme di concetti, di
abitudini, di strumenti e linguaggi che si rapportano e subiscono processi per mezzo
di software funzionanti su reti telematiche, di media che costruiscono in maniera
pressante il modo con cui possiamo rapportarci con le persone e il mondo.
Dei cosiddetti ―vecchi media‖ abbiamo memoria, ma occorre ricordare che, come fra
―cultura orale‖ (vocale e poi elettrica) e ―civiltà della scrittura‖ non avviene mai che
un media prenda letteralmente il posto dell‘altro, giacché, come dice Goody:«i mezzi
di comunicazione tendono piuttosto a cumularsi che a sostituirsi»14
così siamo
lentamente ―slittati‖ nei nuovi media e nell‘ibridazione di questi, trascinandoci dietro
i ―vecchi media‖. In realtà non possiamo pensare di operare come tentava di fare
Paul Joseph Goebbels (ministro della propaganda e responsabile della radiofonia),
quando, la sera del 10 maggio del 1933, stette a guardare gli studenti di Berlino che
iniziavano il primo di quelli che sarebbe divenuta una serie di roghi di libri (ne
bruciarono solo quel giorno ventimila), perché, come si legge in Gabriele Frasca
Soltanto un osservatore sprovveduto (o un ―uomo tipografico‖) avrebbe potuto interpretare
quella scena incandescente come un'opera di censura popolare alimentata dal regime nazista
(o intravedervi piuttosto, in odore di continuità, l'animazione di quel quadro, conservato al
Museo del Prado, in cui un imperioso san Domenico indica i volumi con cui ravvivare il
fuoco della santa ortodossia). In quelle fiamme che, come ebbe a dire lo stesso Goebbels agli
entusiasti studenti, ―illuminavano sì la fine della vecchia era, ma soltanto per stagliare
nell'abbaglio delle loro vampe il profilo di quella nuova ―, (Shirer 1959-60, pp. 376-377), 15
14
J. R. Goody. ―L'ambivalenza della rappresentazione. Cultura, ideologia, religione‖. Trad.It. 2000.
Milano. Feltrinelli. Pag. 20. 15
W. L. Shirer, 1959-60, ―The rise, and Fall of the Third Reich‖; trad. It. 1990, ―Storia del terzo
Reich, Torino, Einaudi, 2 voll.
CAPITOLO I
13
si dissolveva, nel modo traumatico che sarebbe stato proprio della guerra imminente e delle
sue atrocità, il monopolio alfabetico (chirografico e tipografico) dell'informazione non
genetica. Non erano solo i libri degli 'intellettuali ―degenerati‖ ad andare in fumo, se mai per
essere sostituiti da quelli cari al regime, ma il grande progetto educativo platonico alla base
delle culture chirografiche e l'interfaccia individuo-libro che aveva sostanziato l'epoca
moderna (fino alla sua grande ―esplosione‖ industriale), fra le cui pieghe gradatamente
s'interponeva (e forse contrapponeva) la coralità dell'ascolto radiofonico, il fluire risonante di
una voce che chiamava alla compartecipazione e alla mobilitazione.16
Chiedendo perdono per la lunga citazione si precisa che intendevasi dimostrare come
neanche i roghi possano davvero scalzare dalla memoria degli uomini alcuni ―media
basilari‖, che possono essere, come la parola scritta o orale, soltanto acquisiti dai
media successivi, lasciando comunque dietro di sé il ricordo più vivo delle leggi, dei
riti e delle convenzioni che ai media precedenti erano collegati.
Non può verificarsi una ―damnatio memoriae”, dei vecchi media, primo fra tutti la
stampa, propugnatrice di dialoghi ―uno a uno‖, viva nell‘interlocutore muto caro a
Derrida17
, che lasciò il posto al concetto di ―uno verso tutti‖ e alla simultaneità e
l'eterno presente della radio, caratterizzante per lungo periodo regimi totalitari o
comunque regimi di stato. Si pensi al 15 agosto del 1945, allorché l‘imperatore del
Giappone Hirohito lesse per via radiofonica a tutta la nazione la dichiarazione con
cui l'Impero del Giappone si arrendeva alle Forze Alleate accettando la dichiarazione
della Conferenza di Potsdam. Mai avrebbe potuto avere lo stesso effetto con un
editto scritto e letto in strada o con pagine tipografiche. Malgrado ciò,
successivamente al fallito tentativo di trafugare il nastro contenente la registrazione
dell'imperatore da parte di alcuni esponenti delle forze militari contrari alla resa, la
voce dell‘imperatore non fu davvero compresa nelle sue intenzioni dai sudditi
giapponesi, sia a causa dei disturbi nelle comunicazioni via radio (era un mezzo
―nuovo‖ a cui non si era ancora neanche abituati), che per via dell'utilizzo del
―keigo‖, l'alto registro linguistico e il lessico raffinato, da parte del ―Tennō‖
(l'Imperatore 天皇 tennō?, letteralmente ―sovrano celeste‖), ben diverso dal
16― G. Frasca ― La lettera che muore-la “letteratura”nel reticolo mediale‖ Op. Cit. cap. secondo
pag.35 17
Jacques Derrida, nato a El Biar, 15 luglio 1930 – Parigi, 9 ottobre 2004, è stato un filosofo
francese. È stato fino alla morte direttore di ricerca presso l'École des Hautes Études en Sciences
Sociales di Parigi.
CAPITOLO I
14
giapponese corrente. Fatto sta che vi furono casi molteplici di militari nipponici che
proseguirono le loro azioni ostili nei confronti degli americani anche dopo la firma di
resa. Non si può dire che la radio, dunque, non ―firmasse‖ un lungo periodo della
storia dell‘umanità che, almeno dal dopoguerra in poi, non potrebbe essere
immaginata senza i suoi media elettrici. Intanto la cultura precedente, ossia quella
tipografica (che aveva già inglobato la chirografica), tendeva a scomparire per mezzo
di:
Un processo di erosione che era oramai in atto in maniera conclamata dalla fine del secolo
XIX, e forse addirittura dal 1844, anno in cui Samuel Morse, dopo aver ridotto il linguaggio
a soli tre elementi discreti, aveva inaugurato il primo collegamento telegrafico fra
Washington e Baltimora (o almeno da quando, nel 1887, Heinrich Hertz produsse in
laboratorio le prime onde elettromagnetiche). Ciò che ne sarebbe conseguito non sarebbe
stata solo una modificazione della percezione dello spazio e del tempo (Kern 1983, pp. 8-
16), quanto piuttosto un cambiamento complessivo del sensorio umano, dal momento che
quella che si sta continuando a definire informazione non genetica (la cultura, in senso
antropologico, vale a dire l'informazione non inflitta nel corpo ma ―stoccata‖ nel medium
linguistico) è parte sostanziale dell'evoluzione della specie stessa.18
I passaggi da un media a un altro non sono stati sempre così platealmente avvertiti.
Dalla chirografia si passò quasi senza grossi sobbalzi alla stampa nel 1439, con
Gutenberg e i caratteri di stampa mobile. Ci riferiamo chiaramente a un lavoro
manuale, in cui il concetto di macchina non compariva affatto, anche se, in seguito, il
lavoro tipografico prenderà altre forme. Più interessante, pur se sempre sotto il
profilo della meccanizzazione, ciò che avviene nel 1800, con J.M. Jacquard e il suo
telaio controllato automaticamente da schede perforate.19
Manuale ancora nel 1839 il lavoro di Louis Jacques Mandé Daguerre, che, anche se
non riproducibile in più di una copia rappresentò il primo procedimento fotografico
per lo sviluppo di immagini. Le fotografie furono quindi ―catturate‖ utilizzando
supporti di rame, vetro o metallo cosparso di soluzioni di nitrato d'argento, per
giungere poi al bromuro di cadmio, nitrato d'argento e gelatina. Il 1888 vide la
nascita della Kodak N.1 e della pellicola avvolgibile ed il cammino della fotografia
18
G. Frasca ― La lettera che muore-la “letteratura”nel reticolo mediale‖ Op.Cit.,cap. secondo
pag.36. 19
Il telaio veniva impiegato per elaborare immagini figurative intricate. Quel ―computer grafico ad
uso specialistico‖ ispirò Babbage nella progettazione della sua macchina analitica.
CAPITOLO I
15
analogica, che utilizza la luce per impressionare la pellicola attraverso una reazione
chimica incominciò. La foto digitale in uso oggi molto più spesso dell‘analogica
utilizza anch'essa la luce, ma non avvengono reazioni chimiche perché i toni di
colore sono memorizzati sotto forma di bit (digit da qui il termine digitale) e possono
essere visualizzati come file del PC. Altra cosa, dunque.
Tornando di nuovo indietro nel tempo, il 1833 Charles Babbage progetta la macchina
analitica che poteva effettuare qualunque operazione matematica ed eseguire un
programma attraverso le schede perforate. Un passo avanti dunque, verso gli
algoritmi, se non verso la logica computazionale. Meccanica ed elettronica nel 1871
con il telettrofono di Antonio Meucci, pensato nel 1854 come primo prototipo di
telefono, allo scopo di poter mettere in comunicazione il suo ufficio con la camera da
letto dove la moglie era costretta da una grave malattia. Ma fu Alexander Graham
Bell nel 1876 a depositare il brevetto. Meucci gli intentò causa, ma, il giudice che
emise la sentenza nel 1887 sostenne che Meucci avrebbe inventato un telefono
meccanico, mentre quello oggetto del brevetto di Bell era elettrico. Gli anni tra il
1893 e il 1895 vedono il mondo stupire per Edison e poi Lumiére, con il kinetoscope
o cinématographe e la cinematografia. L‘apparecchio introdusse il metodo di base
che sarebbe divenuto il modello per tutte le proiezioni cinematografiche prima
dell'avvento del video, ossia creare l'illusione di movimento trasmettendo una
striscia di pellicola perforata recante immagini in sequenza, su una sorgente di luce
con una velocità dell'otturatore elevata. Restiamo nell‘ambito della meccanica, per
poi sfociare con le proiezioni cinematografiche, nell‘elettronica. Il 1898 ci regala con
Guglielmo Marconi la realizzazione dei primi apparecchi con circuiti sintonici atti a
garantire l'indipendenza delle comunicazioni contemporanee di più stazioni20
e nel
luglio del1898 il primo servizio radiotelegrafico giornalistico.21
Il cammino della
tecnologia si fa più veloce, i media ―vecchi‖ cominciano ad essere assorbiti e
migliorati dai più attuali e sembra logico a questo punto che si realizzino scoperte
eccezionali: Il fisico inglese James Clerk Maxwell descrisse attraverso un sistema di
equazioni differenziali la dinamica dei campi elettrico e magnetico e queste,
opportunamente elaborate, dimostrarono l'esistenza delle onde radio. Facendo
20
Che condurrà al famoso Brevetto Britannico N° 7777 del 26 aprile 1900 intestato a Guglielmo
Marconi.. http://www.radiomarconi.com/marconi/popov/7777.html 21
In occasione delle regate veliche indette dal Royal Yacht Club per conto del Daily Express, con
trasmissione della radiocronaca dal piroscafo Flying Hontress a Kingstown e collegamento via
telefono.
CAPITOLO I
16
seguito a ciò il fisico sperimentale Heinrich Rudolf Hertz verificò tali teorie, benché
entrambi non compresero quale fosse la possibile applicazione tecnologica in tali
studi. Successivamente però successivi sviluppi di studio effettuati da altri scienziati,
condussero all'invenzione della radio, un dono che ci viene dal contributo individuale
di molti ricercatori e condusse alla realizzazione di sistemi di comunicazione ―senza
fili‖. La voce viene ―catturata‖ e trasmessa oramai in molti modi e molto lontano.
Sembra un dato ovvio, ma è invece un grosso cambiamento: il posto dell‘emissione
del suono e il luogo dove questo può essere percepito non coincidono più.
Il 25 marzo 1925 fa il suo ingresso, quasi in sordina, nella storia dell‘umanità un
mezzo che sarebbe diventato per molti versi più importante della radio: la
televisione. John Logie Baird, un inventore scozzese, il 2 ottobre 1925, dopo la
prima guerra mondiale, invia a distanza un'immagine televisiva vera e propria
formata da 28 linee22
. William Taynton, un suo fattorino diviene il primo uomo della
storia a comparire in televisione. Si trattava di un mezzo a scansione meccanica: un
disco di Nipkow girava davanti agli elementi sensibili di selenio, e momento dopo
momento si conseguiva un valore elettrico corrispettivo alla luminosità di un singolo
punto dell'immagine, riga dopo riga. Il principio è in definitiva fedelmente quello che
attualmente è in uso con un sistema di scansione elettronica. Al presente la
televisione viene classificata in: televisione analogica terrestre e televisione digitale
terrestre, televisione analogica via cavo e televisione digitale via cavo, televisione
analogica satellitare e televisione digitale satellitare.23
1.2 I computer di prima generazione. Uno sguardo veloce.
Arriviamo a loro, i computer di prima generazione, teorizzati nel milleottocento ma
sviluppati soltanto a metà del millenovecento, ricordando che da essi si è richiesto
dapprima che funzionassero per mezzo di algoritmi, in modo da eseguire una serie di
operazioni al posto dell‘uomo, quindi si è preteso che avessero funzioni logiche e che
oltre a progettare come una macchina di calcolo, ―ragionassero‖ fornendo risposte
esatte a tutta una serie di problematiche. Il primato dell‘essere stato il ―primo
22
Ricordiamo che nella massima evoluzione, la televisione elettromeccanica raggiungerà 240 linee di
risoluzione verticale dell'immagine televisiva prima di essere completamente dismessa già nel 1939
sostituita dalla televisione elettronica. 23
Oggi i moderni standard di televisione digitale prevedono anche la televisione ad alta definizione
con risoluzione verticale dell'immagine televisiva di 1080 e 1920 pixel (nota sulla terminologia: nella
televisione digitale si parla di pixel invece che di linee, termine quest'ultimo usato solo con la
televisione analogica).
CAPITOLO I
17
computer‖ se lo giocano diversi pretendenti: la Macchina Analitica (Analytical
Engine), ideata dal matematico inglese Charles Babbage ha rappresentato un passo
importante nella storia dei computer. Si trattava di un progetto di tipo meccanico ed è
stato il successore del ―Babbage Difference Engine―, progettato come calcolatrice di
tipo meccanico. La Macchina Analitica incorporava un unità aritmetica, un flusso di
controllo in forma di diramazione condizionale e un circuito di memoria integrato,
rappresentando così il primo progetto completo per un computer di Turing ―general
purpouse”. Purtroppo Babbage non riuscì mai a completarne la costruzione a causa
di conflitti con il suo direttore e di finanziamenti inadeguati. Sono state costruite
diverse versioni del ―Difference Engine‖, di cui una si trova al ―London's Science
Museum” ed è stata realizzata nel millenovecentottanta. Il matematico ha lasciato
molti disegni per la macchina analitica e si tenta di costruire il progetto denominato
Piano 28. Per la storia dei media e dei computer, il millenovecentotrentasei, anno in
cui il matematico inglese Alan Turing descrisse teoricamente la sua “macchina
universale di Turing”, rappresenta un momento cruciale poiché tale macchina poteva
lavorare leggendo e scrivendo numeri su nastro continuo. Come ricorda Manovich Il
suo diagramma di funzionamento è particolarmente simile a quello di un proiettore e
inoltre lo stesso termine ―cinematografo‖, altro non vuole significare che ―scrivere il
movimento‖, per cui il cinema, memoria universale, grande conservatore della voce e
dei corpi dei defunti, assieme ad altri strumenti di registrazione audio e video,
rappresenta il primo grande database per la registrazione e lo stoccaggio di dati
visibili su supporto materiale. Per quanto riguarda “quale fu il vero primo computer”
le idee sono davvero poco chiare: se vogliamo intenderlo come macchina meccanica,
dobbiamo prendere in considerazione la “macchina di Anticitera‖, nota anche come
meccanismo di Antikythera, che è il più antico calcolatore meccanico conosciuto,
databile intorno al 100 - 150 a.C. Si trattava di un complesso planetario, spinto da
ruote dentate, che aveva lo scopo di determinare il sorgere del sole, le fasi lunari, i
movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi e i giorni della
settimana. Prende il nome dall'isola greca di Anticitera (Cerigotto) presso cui è stata
ritrovata, ed é custodita nel Museo archeologico nazionale di Atene. Nel senso più
stretto del termine il primo computer dovrebbe essere considerato invece quello
costruito dagli inglesi durante la seconda guerra mondiale con lo scopo di decifrare i
messaggi segreti dei tedeschi (e sembra che tali decifrazioni di questo arcaico
CAPITOLO I
18
computer furono determinanti per la vittoria finale). Questo calcolatore a valvole era
denominato Colossus e fu distrutto dopo la guerra, per cui non se ne seppe più nulla,
mantenendo il segreto sulla sua esistenza. La macchina, era elettromeccanica,
costituita da migliaia di ―relè‖, tanto che era chiamata ―the bomb‖ da chi la
utilizzava, a causa del ticchettio che produceva. I messaggi cifrati che l'esercito
tedesco trasmetteva erano prodotti, e decifrati da chi li riceveva, tramite una
macchina meccanica, ―Enigma‖ che può essere anch'essa considerata un computer,
inventato prima di ―Colossus‖.
Il primato spetta, però, senza altro a Blaise Pascal che realizzò la prima ―macchina
addizionatrice‖, interamente in legno e che battezzò ―Pascalina‖ nel 1642. Fu però
l`ENIAC, costruito dagli americani nel 1946, a essere considerato il primo computer
della storia.
Il primo computer Turing, completo, impostato sul sistema numerico binario e
totalmente programmabile fu lo Z3, costruito in Germania da componenti riciclati di
telefonia dal Konrad Zuse24
, che lo realizzò in sostanza da solo, nel 1941. Il prototipo
dello Z1, come accadde in altre occasioni per altre invenzioni dell‘umanità, non vide
la luce in una attrezzata officina o in una industria, ma venne costruito in casa dei
genitori di Konrad, che lo aiutarono economicamente. La prima macchina di Konrad
Zuse presentava una struttura già molto simile a quella dei moderni computer: era
programmabile, dotata di unità di memoria e di un'autonoma unità di calcolo in
virgola mobile basata sul sistema binario. Inoltre lo ―Z1‖ funzionava ad una velocità
di clock generata da un motore elettrico, regolabile manualmente con un
potenziometro da un minimo di circa 0,3 cicli al secondo fino al massimo di 1 hertz,
ossia un ciclo di calcolo al secondo. Lo Z3 fu poi distrutto in un bombardamento
dagli Alleati, e per molti anni ne è stata ignorata perfino l'esistenza; di conseguenza il
primato di primo computer della storia è stato ingiustamente riconosciuto alla
macchina statunitense ―ENIAC‖.
In quest‘ambito occorre ricordare che, di partenza, il computer è nato per uso
militare, anche se poi, finita la guerra, conclusa la guerra fredda, le sue implicazioni
sono divenute eminentemente civili, rendendosi utile in chirurgia, in medicina, nelle
industrie, per i sistemi satellitari, nel settore del turismo, offrendo immagini in
24
(Berlino, 22 giugno 1910 – Hünfeld, 18 dicembre 1995) è stato un pioniere dell'informatica e viene
considerato come l'inventore del computer moderno.
CAPITOLO I
19
archeologia, prevedendo le catastrofi naturali e apprendendo a interfacciarsi non solo
con l‘uomo, ma anche con altre macchine di vario tipo. Non ci dilungheremo sulla
sua preistoria ma ricorderemo invece che ―i nuovi media‖, sono da considerarsi
prima di tutto media computazionali. Parliamo di media digitali (numerici), con
modalità di codifica e trasmissione del contenuto mediale e con creazione, accesso e
distribuzione dei contenuti mediali attraverso computers. Abbiamo detto
―computazionali‖, perché se facessimo una differenza soltanto tra media digitali e
analogici vorrebbe dire separare la maggioranza dei media contemporanei dai pochi
restati puramente analogici o quantomeno ―non ibridizzati‖ come ad esempio alcune
forme di pittura e alcune forme di teatro.
1.3. Il paesaggio va mutando.
Oggi il concetto di multimedia sta assumendo sempre più il contorno
dell‘ibridazione, ma già prima del concetto di convergenza mediale si parlava di
bagaglio plurimediale, ossia più media con diversi piani di competenza. Adesso
viviamo esperienze multimediali, cioè convergenti. Ossia si rimodella anche ciò che
è all‘interno delle tecnologie.
D‘altra parte multimedia è una parola composta che in primis ha a che fare con il
concetto di medium. Il prefisso "multi" arriva negli ultimi decenni in cui si parla, a
livello culturale, di una convergenza culturale e partecipativa, attraverso la
moltiplicazione di stimoli, di bisogni e di desideri da parte del soggetto sociale il
quale si trova a vivere la modernità e poi il post moderno, per cui si moltiplicano
anche le modalità di interazione tra differenti soggetti mediali. Per questa ragione i
media devono, se è possibile, soddisfare più bisogni e ricoprire più funzioni
contemporaneamente. Nel tempo, i contenuti tendono ad aumentare, mentre i mezzi
tendono a diminuire, andando sempre più verso l‘integrazione di un unico ―device”.
È importante rilevare che non bisogna limitarsi a pensare al multimediale come
qualcosa di hardware, anzi per multimediale si intende uno stesso contenuto
veicolato da più mezzi, che, addirittura, va a espandersi (ad esempio un video visibile
su you tube tratto da Italia1 è multimediale perché è un flusso televisivo veicolato da
un altro mezzo). Sappiamo che i nuovi media, sia che vengano creati ex novo sul
computer o siano convertiti da fonti analogiche, sono costituiti in ogni caso da un
codice digitale essendo quindi rappresentazioni numeriche. Avremo perciò, come ci
CAPITOLO I
20
viene ampiamente spiegato da Lev Manovich25
quali principi dei nuovi media:
1. La rappresentazione numerica, che ha un valore sostanziale perché trasforma i
media in dati informatici e quindi li rende programmabili. E‘ la programmabilità che
cambia radicalmente la natura dei media.
2. La modularità che si potrebbe definire con il principio ―della struttura frattale dei
nuovi media‖, per cui il nuovo medium mantiene sempre la stessa struttura modulare
e un prodotto mediale computazionale è composto di diverse parti, o moduli. Queste
parti rendono il prodotto flessibile, poiché può essere scomposto, modificato, e
ricomposto in modo da creare un prodotto diverso. La flessibilità e la potenza dei
media computazionali consentono di rendere automatici molti processi come ad
esempio, creare interfacce customizzate26
, recuperare ―files‖ e documenti da fonti
diverse e così via, tenuto conto che la flessibilità e la potenza dei media
computazionali consentono di rendere automatici molti processi.
3. L‘automazione, giacché la codifica numerica dei media (principio 1:
rappresentazione numerica) e la loro struttura modulare (principio 2: la modularità)
consentono l‘automazione di molte operazioni necessarie, per cui l‘intenzionalità
umana può essere tolta, almeno in parte, dal processo.
4. La variabilità, in quanto un nuovo oggetto mediale non è qualcosa che rimane
identico a sé stesso all‘infinito, è qualcosa che può essere declinato in versioni molto
diverse tra loro. Questo principio si connette al fatto che i media computazionali,
poiché sono modulari, possono creare prodotti differenti sempre di tipo
multimediale, possono essere customizzati (personalizzati), secondo le esigenze e
sono scalabili .
5. La transcodifica, che descrive la conseguenza più rilevante della
computerizzazione dei media. I media computazionali sono divisi in due ―parti‖, una
parte ―tecnica‖ e una ―culturale‖, separazione che suddivide il linguaggio dei
computer da quello degli umani.
Per quanto riguarda il ―modo‖ con cui i nuovi media nel tempo, si approcciano
25 L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Edizioni Olivares. The MIT Press. IX edizione.
Novembre 2009. 26
customizzazione significa la concessione, da parte dello sviluppatore di una interfaccia (ad es. una
pagina web), di un certo grado di libertà all'utente riguardo a «presentazione, navigazione e
contenuto» degli elementi.
CAPITOLO I
21
all‘individuo e alla società dobbiamo ricordare che il computer vive anche un
orientamento epistemologico, e in questo senso ha avuto un excursus storico/sociale
con riferimento alla comunicazione da esso mediata. A livello di tecnologie
didattiche, ad esempio, proveniamo da una scuola di comportamentismo degli anni
50/60 per cui i calcolatori elettronici a scuola potevano riferirsi al CMI (Computer
Manager Instruction), al CAI (Computer Assisted Instruction) e alla ICAI
(Intelligent Computer assisted Instruction). Ci siamo avviati al cognitivismo degli
anni 70/80 laddove il computer era inteso come tutor per cui poteva essere di aiuto
agli studenti in un ambiente di apprendimento collaborativo e/o operativo,
(intendendolo come operativo in un ambiente di apprendimento collaborativo
intelligente). Tale atteggiamento si è ampliato con la possibilità di lavorare sulla
rete27
e negli anni tra gli ottanta ed i novanta anche a mezzo del ―personal computer‖.
Dalla fine degli anni novanta, con il concetto di costruttivismo si è parlato di
multimedialità ed ipertesto28
, fino a giungere, verso il duemila al principio di
cooperazione, mediante il computer ―tool‖ cooperativo.
Da nuovi media, a digital media, a media distribuiti da computers, in questo periodo
il paesaggio sta mutando sia a livello sociale sia didattico verso un universo
mediatico ibrido, convergente, manipolato e manipolabile, laddove il digitale e
l'analogico, il tangibile e il virtuale, e la computazione espressa in diverse forme, si
amalgamano con direttive differenti e concorrono a creare, utilizzare e permutare
linguaggi differenti di espressione e accesso ai contenuti artistici e mediali.
Possiamo annoverare Tra gli elementi distintivi e fondamentali dell'attuale scenario
tele-comunicativo l‘impetuoso avanzare di servizi e spazi esperienziali creati da
remix digitali che ibridano i media tradizionali rendendo possibile nuove funzioni ed
espressioni, attivando connessioni che qualche decennio fa, appunto, erano forse,
soltanto nelle fantasie più evolute di qualche militante dei nuovi media.
1.4 Un percorso del software culturale
Per ritrovare il filo di Arianna che ci collega proprio a quei tempi che ci appaiono
contemporaneamente vicini e lontani, dobbiamo compiere po‘ di passi indietro nel
27
L‘ultima grande tappa è rappresentata dalla tecnologia Adsl (Asymmetric digital subscriber line) e
dalle connessioni in fibra ottica e la modalità di connessione ―a banda larga‖ 28
L‘ipertesto è inteso come una rete di documenti, di testi legati tra loro come in una ragnatela, con i
rimandi da una pagina all‘altra che vengono effettuati attraverso una procedura informatica attivata
facendo click su una certa parola, un‘immagine o un pulsante.
CAPITOLO I
22
passato per ritrovare la strada percorsa proprio dai primi ricercatori, dai pionieri.
Collegata a un tempo in cui uomini straordinari hanno gettato ponti sul nulla, così
come oggi possiamo fare progettando senza carta straordinari edifici avveniristici che
potranno divenire solide costruzioni in cui e su cui vivere. Parliamo di un tempo in
cui qualcuno sviluppò una utopia che avrebbe condotto gli utenti al controllo degli
strumenti creativi. Si trattava di permettere a persone che non hanno studiato da
programmatori, di rendersi capaci di scriversi da soli il loro software. A questo fine
si continua a tendere anche oggi, pur se, per molti versi, siamo ancora lontani
dall‘ottenerlo. E‘ lo stesso Lev Manovic ad ammettere:
Continuiamo a dire che la cultura digitale è importante quanto il torchio tipografico, ma
ignoriamo la genesi dell‘elemento cruciale di questa rivoluzione: il software culturale.29
Il clima dei primi anni dell‘avvento del computer nella società è ben rappresentato
dall‘aneddoto secondo cui il presidente di IBM, Thomas Watson Sr., avrebbe
affermato nel 1943: «credo che al mondo ci sia mercato forse per cinque
computer.».30
In sostanza tra la metà degli anni quaranta e la comparsa del PC nella
metà degli anni ottanta al computer si guardava come a un calcolatore, a un
elaboratore di dati scientifici, economici e militari31
, non certamente come a una
macchina interattiva di tipo creativo. Nei primi anni ‗50 vi erano, in tutto il mondo,
solo pochissimi calcolatori elettronici, riservati quasi esclusivamente ai calcoli per la
fisica, l‘ingegneria e la statistica.
Guardando al passato recente in cerca di un nome cui possa associarsi la
formulazione di un paradigma e di tecnologie informatiche multimediali di massa, il
primo che spicca alla nostra attenzione è quello di Alan Kay, il quale rappresenta un
personaggio principale della storia del progresso multimediale. Lavorava presso lo
Xeros PARC, un centro di ricerca a Palo Alto ed era alla guida del gruppo di ricerca
Learning Research Group. Dobbiamo a lui anche il linguaggio di programmazione
Smalltalk, il quale, come in molti altri casi, nasce e si fonda su idee precedenti anche
se all‘apparenza non attinenti. La logica dei nuovi media difatti è da sempre
29
L. Manovich ―Software culture‖, edizione italiana, 2010-MCF srl- Edizioni Olivares. Pag. 29 30
La frase è probabilmente apocrifa Alcuni la attribuiscono ad altri ‗padri‘ dell‘informatica, come
l‘inglese Douglas Hartree o l‘americano Howard Aiken, il che lascia comunque intendere che si
trattava di un‘opinione piuttosto diffusa. Per una trattazione vedi
Http://en.wikipedia.org/wiki/Thomas_J._Watson oppure http://baris.typepad.com/venture_capitalist/-
2007/11/the-tj-watson-p.html. 31
Il risultato di un‘evoluzione, iniziata nei primi anni della guerra fredda e continuata grazie a
cospicui finanziamenti governativi, era di uso decisamente militare.
CAPITOLO I
23
rappresentabile come un grande albero su cui si siano verificati molti innesti
produttivi e niente sia stato veramente predefinito o definitivamente concluso.
Stiamo parlando già negli anni tra il settanta e l‘Ottanta, tuttavia negli anni
precedenti, intorno agli anni Cinquanta circolavano novità, difatti alcuni artisti nei
vari campi avevano preso a utilizzare il computer, collaborando per la realizzazione
dei loro software con laboratori di ricerca quali Bell Labs e IBM Watson Researche e
realizzando software specifici nel loro uso e quindi non estendibili. Per gli anni
Sessanta32
, possiamo riferirci alla comunità Arpa per scoprire che in essa si sono
verificate una serie di fenomeni di ―simbiosi uomo-computer‖, laddove sono state
inventate anche le schermate grafiche e i dispositivi di puntamento con linguaggi di
programmazione avanzati, allo scopo di riprodurre sistemi complessi come raffinerie
di petrolio e lo studio di comportamenti semi-intelligenti, per mezzo di computer
interattivi e di particolari forme di condivisione del tempo.
Il 9 dicembre 1968, nella Brooks Hall del Convention Center di San Francisco nel
corso della ―Fall Joint Computer Conference”, Douglas Engelbart mostrò lo ―NLS‖
(On Line System)33
a un migliaio di persone che l‘affollava e, su di uno schermo di sei
metri di grandezza le righe di testo furono evidenziate, modificate, cancellate,
reinserite; le strutture ad albero dei dati si espansero e si compressero, da alcune
parole evidenziate si ―saltò‖ ad altre informazioni a esse logicamente collegate. I
primi piani mostrarono
anche le mani del relatore,
nell‘atto di manipolare una
tastiera e altri ―strani
oggetti‖, tramite i quali
sembrava comandare gli
eventi.
Al termine vi fu un attimo
di silenzio, seguito da
un‘ovazione di alcuni
minuti. Paul Saffo, dello
32
Nel 1958 vi erano 2.500 computer negli Stati Uniti, salirono a 6.000 nel 1960 e ad oltre 20.000 nel
1964: Nel 1969 erano 63.000. 33
L‘acronimo è imperfetto, ma occorreva distinguere tra On- (NLS) e Off-Line Information
System(FLS).
CAPITOLO I
24
Institute for the Future di Palo Alto, commentò: «…fu come se un UFO fosse
atterrato sul prato della Casa Bianca»34
E‘ proprio negli anni sessanta che Gordon Moore, uno dei fondatori della ―Fairchild
Semiconductor Company‖ e in seguito della ―Intel Corporation‖, ebbe una
illuminante intuizione (datata 1965), argomentante sullo sviluppo futuro
dell‘elettronica integrata. Tale previsione, conosciuta impropriamente sotto il nome
di ―legge di Moore‖si è poi mostrata singolarmente corretta fino ad oggi. Nella
genesi dell‘enunciazione, Gordon Moore afferma che dapprima, per una data
tecnologia, aumentando il numero di componenti per chip il costo della stessa
diminuirà sino al limite per cui l‘aumento della complessità del sistema non farà in
contrapposizione lievitare i costi. Si dovrà quindi raggiungere una certa densità di
impaccamento dei componenti su chip35
che garantisca il costo minimo. Moore,
lavorando sui dati dei primi anni di sviluppo, fu in grado di prevedere un costante
avanzamento tecnologico, che avrebbe condotto all‘aumento della densità ottimale e,
attraverso i grafici su quei dati, giunse alla previsione secondo cui il numero di
componenti di minimo costo che trovano posto su un singolo chip si sarebbe
raddoppiata circa ogni anno. Da questa formulazione originaria si giunge poi a quella
che divenne celebre come Legge di Moore. In realtà non si trattava di una legge,
piuttosto di una straordinaria intuizione su dati empirici capace di prevedere
correttamente lo sviluppo tecnologico nei successivi 40 anni e più. Dalla tabella è
possibile seguire l'aumento del numero di componenti per chip nel corso degli anni,
fino ai giorni nostri. Si nota come il tasso di crescita attuale evidenzi un raddoppio
del numero di componenti per chip ogni 18 mesi circa. Difatti, dal dato del 1965 (50
componenti per chip) si giunge adesso a un numero di componenti dell‘ordine del
miliardo. Sempre seguendo le previsioni, poi avveratisi, anche rispetto alla
diminuzione negli anni delle dimensioni minime dei dispositivi semiconduttori micro
fabbricati, l'andamento rispecchia le intuizioni della legge di Moore.
Estendendo la legge di Moore a vari altri aspetti importanti per la fabbricazione di
circuiti integrati, possiamo annotare in primis il raddoppio della densità dei
componenti su chip, cosa che implica la contemporanea diminuzione dell‘estensione
superficiale dei componenti stessi, di un fattore due ogni 18 mesi. Ossia il più
34
Vedi: http://www.mondodigitale.net/Rivista/08_numero_3/He_nin%20p.%2048-57.pdf 35
Il die (letteralmente "dado") o chip è la sottile piastrina di materiale semiconduttore sulla quale è
realizzato un circuito elettronico. Il die sigillato nel suo contenitore forma un componente elettronico.
CAPITOLO I
25
piccolo particolare realizzabile diventa di 0.7 volte più piccolo ogni 18 mesi. A ogni
―nodo tecnologico‖, rappresentato dai passaggi di scala, troviamo una diversa
generazione tecnologica. La dimensione tipica da considerare come riferimento per
definire un nodo tecnologico è la metà della distanza fra celle vicine in un chip
contenente memoria DRAM (―DRAM half-pitch‖)36
.
La contemporanea riduzione della complessità, e l'alfabetizzazione per l'utente finale
richiede che i dati e le strutture di controllo siano eliminati in favore di uno schema
più biologico di una interazione vicina a imitare la natura permettendo qualsiasi
comportamento desiderato. Oltre allo sviluppo tecnologico, furono quindi decisivi il
cambio di ―destinazione d‘uso‖ dei computer, che passarono dal solo svolgimento di
calcoli matematici alla più complessa predisposizione alla informazione sotto forma
di messaggi, testi, immagini, suoni e ovviamente la esecuzione di un sistema di
interazione uomo/computer più facile e diretto, accessibile quindi da chiunque.
Alan Kay è uno dei padri della programmazione orientata agli oggetti. Inoltre ha
concepito i ―laptop‖, ha inventato le interfacce grafiche moderne, ha contribuito a
creare ethernet ed il modello client-server. Scusate se è poco.
Il nostro genio ha potuto operare in un ambiente che Castells definirebbe ottimale:
presso lo Xerox Palo Alto Research Center, dove lavorava come ricercatore. Al
PARC37
Kay si interessò tra le altre cose a come i bambini apprendessero di più
tramite immagini e suoni che tramite il testo, ragion per cui incrementò un ambiente
grafico che si rivelò eccezionalmente adattabile e consono appunto ai bambini
(alcune tecnologie derivate da questo lavoro, per esempio Squeak,38
sono ancora
considerate ―futuristiche‖). Le sue anteriori conoscenze e l‘influenza della scuola
pedagogica di Jean Piaget lo conducevano a concepire con la fantasia un calcolatore
piccolo, portatile e di bassissimo costo (meno di 500 $), tanto facile da usare da
potere essere affidato a un bambino. Di fatto i computer attuali, pur non essendo
36
La DRAM, acronimo di Dynamic Random Access Memory, è un tipo di RAM che immagazzina
ogni bit in un diverso condensatore. Il numero di elettroni presenti nel condensatore determina se il bit
è 1 o 0. Se il condensatore perde la carica, l'informazione è perduta: nel funzionamento la ricarica avviene periodicamente. Da qui la definizione di memoria dinamica, opposta alle memorie statiche
come la SRAM. Per la caratteristica di perdere le informazioni in mancanza di energia, la DRAM
viene definita anche volatile; è detta anche memoria solida. 37
Xerox Palo Alto Research Center (Xerox PARC) è la più famosa divisione di ricerca della Xerox
Corporation, con sede a Palo Alto (California), negli USA. Venne fondata nel 1970 ed è stata separata
dalla compagnia madre nel 2002. 38
Si tratta di un moderno open source, con piena funzionalità e piena attuazione dei linguaggi di
programmazione.
CAPITOLO I
26
―facili‖, sono comprensibilissimi dai bambini che sembrano particolarmente
predisposti fin da piccolissimi al suo uso. Restando su la biografia veloce di questo
uomo innovativo e creativo ricordiamo che dopo 10 anni al PARC, Key è stato per 3
anni capo ingegnere presso Atari e nel 1984 è stato assunto dalla Apple. In seguito ha
lavorato per la Walt Disney ed è attualmente consulente dell'HP e presidente del
Viewpoints Research Institute. Ovviamente non dobbiamo dimenticare che vi erano
altre persone ugualmente rilevanti, come Ivan Sutherland, Ted Nelson e altri, ma
molti di loro si dedicavano soprattutto alla progettazione di nuovi strumenti per
professionisti e scienziati. Alan Kay (di cui si occupa anche molto Lev Manovich
nei suoi studi), ha la particolarità a me grata (in quanto artista) di avere dei
precedenti in ambito musicale e di essere anche molto interessato alla psicologia e in
modo più ampio alle scienze umane, a causa di questo ha posto peculiare attenzione
ai processi creativi legati all‘arte e all‘immaginazione. Sembrava divertirsi con le sue
ricerche e le compiva con particolare libertà concettuale senza farsi impacciare da un
estremo senso di professionalità ed era anche influenzato ideologicamente dalle tesi
di Marshall MacLuhan.
Se Alan Kay da un lato tendeva la sua attenzione al modo migliore di offrire un
funzionamento del computer e del software a livello professionale, d‘altro canto era
coinvolto nelle logiche dei linguaggi di programmazione, e dal modo con cui
avrebbe potuto concedere agli utenti la sperimentazione con questi strumenti. Non
possiamo dimenticare che il termine metamedium sia stato creato nel 1977 proprio
da Alan Kay e Adele Goldberg nello stesso anno in cui scrissero assieme l‘articolo.
―Personal Dynamic Media‖. Ci si riferiva alla capacità del computer di influenzare
gli altri mezzi di comunicazione (media, al singolare medium) e di simularne le
peculiarità, ma anche di trasformarsi in altri mezzi di comunicazione in funzione del
software eseguito dal computer stesso (ovviamente in presenza di adeguati hardware
e periferiche). In quel periodo i due ricercatori informatici statunitensi lavoravano
alla progettazione dell'allora avveniristico sistema informatico chiamato Dynabook39
Kay sapeva bene che la tecnologia fondamentale non era ancora fruibile, ma restava
persuaso che presto lo sarebbe stata, per cui sviluppò ulteriormente la sua idea al
PARC, vedendo con la mente che l‘interazione con il computer potesse avvenire
manipolando oggetti virtuali sullo schermo, senza alcun comando da tastiera. Il
39
Il concetto di Dynabook, descriveva già nel 1968, ciò che oggi è definito computer portatile, ma in
realtà era stato pensato per l‘utilizzo da parte di bambini.
CAPITOLO I
27
Dynabook avrebbe dovuto poter essere posseduto da qualunque persona e doveva
essere in grado di gestire tutte le necessità di informazione del proprietario, operando
in modo che non ci fosse alcuna pausa distinguibile tra la causa e l‘effetto, quindi
non un time-sharing40
, ma un calcolatore dedicato completamente all‘utente. Tale
calcolatore non sarebbe stato più il knowledge-worker di Licklider e di Engelbart
(ossia dell‘esperto nel settore computer), ma della segretaria, del commerciante e
dello studente che l‘avesse acquistato.
Occorre dire che le idee riconoscibili fin da allora si sono, in effetti, realizzate
almeno in parte. Sin dai primi anni novanta, difatti molti artisti in quel tempo
lavoravano con i computer ed era già sviluppato l'uso dei media digitali nel campo
delle arti visive.
D‘altra parte, già nel 1960, ossia ben prima che la tecnologia necessaria fosse
disponibile, Licklider41
pubblicò un articolo avveniristico, ossia ―Man–Computer
Symbiosis,‖42
in cui tracciava un mai usato archetipo di reciprocità tra l‘uomo e il
calcolatore e una allora inimmaginabile destinazione d‘uso di questi. Valutando alla
luce dei fatti gli obiettivi espressi occorre dire che alcuni di essi appaiono ancora
attuali:
… fare in modo che i computer stimolino la formulazione dei pensieri […] mettere uomini e
computer nelle condizioni di cooperare nel compiere scelte complesse senza dipendere
rigidamente da programmi predeterminati; […] [creare tra uomini e computer] un rapporto
―simbiotico‖ in cui l‘uomo stabilisce gli obiettivi, formula le ipotesi, fissa i criteri ed esegue
le valutazioni; il computer svolge i compiti di routine necessari a prendere le decisioni
nell‘ambito tecnico e scientifico.
Nella visione di Licklider, il computer doveva diventare una specie di ―collega
artificiale‖ o ―collaboratore interattivo‖. «I computer odierni sono progettati
primariamente per risolvere problemi pre-formulati o elaborare dati secondo rigide e
predeterminate procedure.» (proseguiva Licklider, riferendosi al batch-
processing):«Se invece si potesse creare una relazione simbiotica tra l‘uomo e una
40
Il time-sharing è un termine di origine inglese che tradotto letteralmente significa "condivisione di
tempo". E‘ un approccio all'uso interattivo del processore. 41
Joseph Carl Robnett Licklider (11 marzo 1915 – 26 giugno 1990) è stato un informatico
statunitense. È considerato una delle figure più importanti nella storia dell'informatica e del calcolo
generale. 42
http://www.mondodigitale.net/Rivista/08_numero_3/He_nin%20p.%2048-57.pdf
CAPITOLO I
28
macchina veloce, capace di cercare le informazioni ed elaborarle […]»43
. Licklider
non poteva che concepire soltanto con la fantasia l‘idea di un costoso calcolatore
dell‘epoca dedicato a un solo utilizzatore, che lui, a differenza di quanto farà Alan
Kay, faceva coincidere ancora come un ingegnere o uno scienziato. L‘allora direttore
dell‘IPTO difatti, non offrì contributi personali alla concretizzazione di questa sua
visione, ma, come afferma Alan J. Perlis: «Quello che fece fu di tradurre in azione,
in molte sedi diverse, l‘immaginazione e l‘energia di persone che vedevano come il
computer, di per sé, richiedeva un dinamismo [...] indipendente dalle applicazioni per
le quali era stato inventato».44
La caratteristica davvero speciale di un computer ancora oggi è quella di poter
simulare in modo dinamico le possibilità di qualsiasi altro mezzo, incluso i media
che non possono esistere fisicamente. Non possiamo definirlo come uno strumento
benché possa comportarsi come molti altri strumenti. Il computer è il metamedium
per eccellenza, e come tale ha gradi di libertà di riproduzione e di espressione mai
viste prima e ancora poco indagate. La sua natura proteiforme è gli permette di agire
come una macchina o come un linguaggio per essere configurato e sfruttato in molti
e diversi modi. Come ricorda Lev Manovich:45
... se vogliamo davvero capire il medium computazionale contemporaneo, l‘articolo scritto a
quattro mani nel 1977 (da Alan Kay.n.d.a.) con uno dei suoi principali collaboratori al
PARC, la scienziata informatica Adele Goldberg, è una risorsa particolarmente preziosa.
Vi si legge tra l‘altro che questo dispositivo, ossia il nuovo computer:
... abbia abbastanza potenza da trascendere i sensi della vista e dell‘udito, abbastanza
capacità di memori da archiviare, in caso di un eventuale recupero successivo, migliaia di
dati equivalenti a migliaia di pagine di materiali di consultazione, poesie, lettere, ricette, ma
anche dischi, disegni, animazioni, spartiti musicali, forme d‘onda, simulazioni dinamiche e
ogni altra cosa si desideri ricordare o cambiare.46
E aggiunge:«La natura non sequenziale dell‘archivio mediale e l‘uso della
manipolazione dinamica permettono di accedere a un testo da molti punti di vista.»
E‘ un dato certo che non fu l‘Università, ma l‘industria sostenere la ricerca, anche
43
J. C. R. Licklider, ―Man-Computer Symbiosis.‖ IRE Transactions on Human Factors in
Electronics.Vol. HFE-1, Marzo 1960,http://groups.csail.mit.edu/medg/people/-psz/Licklider.html. 44
A. Goldberg, (a cura di): ―A History of Personal Workstations.‖ ACMPress, 1988. 45
L. Manovich ―Software culture‖, edizione italiana, 2010-MCF srl- Edizioni Olivares.
Pag .50. 46
A. Kay, A. Goldberg, ―Personal Dynamic Media‖,‖ ―IEEE Computer‖, X,3 marzo 1977. Pag 394
CAPITOLO I
29
quella di Alan Kay. Forse basta pensare che l‘ottica industriale sia quella di creare
prodotti che possono essere venduti a largo raggio e monetizzati in vari modi.
Manovich lo spiega così:
Il business moderno trae profitto dalla creazione di nuovi mercati, nuovi prodotti e nuove
categorie di prodotti. Benché la creazione di nuovi mercati e prodotti sia sempre rischiosa, è
anche molto redditizia47
.
A proposito di creazione di nuovi mercati e nuovi prodotti, partendo dal presupposto
di cui parla Manuel Castells, ossia:
La frontiera della tecnologia dell‘informazione alla svolta del millennio sembrava essere
l‘applicazione di un approccio nano tecnologico alla produzione dei chip basato sulla
chimica e/o sulla biologia. Pertanto, nel luglio 1999, la rivista ―Science‖ ha pubblicato i
risultati del lavoro sperimentale dell‘informatico Phil Kuekes al laboratorio Hewelett
Packard di Palo Alto e del chimico James Health dell‘UCLA. Essi hanno trovato il modo di
realizzare i commutatori elettronici utilizzando processi chimici al posto della luce, con la
conseguente riduzione dei commutatori alle dimensioni di una molecola.[...] Basandosi su
tali tecnologie, gli informatici prevedono la possibilità di ambienti di elaborazione in cui
miliardi di microscopici dispositivi informatici saranno diffusi ovunque, ―come pigmenti
nella vernice. 48
Non possiamo meravigliarci se la scienza umana si è poi diretta verso le
nanotecnologie. Il prefisso ―nano‖ nel caso particolare si riferisce all‘estremamente
piccolo. Stiamo parlando di misure cui l‘occhio umano, senza ausili, non ha accesso:
difatti, perché una struttura di dimensioni nanometriche sia osservabile, è necessario
utilizzare una apparecchiatura in grado di ingrandirla oltre dieci milioni di volte.
Con il termine ―nanotecnologia‖ si intendono quelle tecnologie in cui la materia è
manipolata a livello atomico e molecolare, allo scopo di creare nuovi materiali e
processi. Non si tratta soltanto dello studio dell‘estremamente piccolo ma delle
possibili applicazioni pratiche di tale conoscenza, che sono in gran parte ancora da
verificare ed utilizzare.
A questo proposito mi piace di aggiungere alla mia tesi una notizia che risale soltanto
al 19 di agosto 2011, quindi molto recente e stupefacente:
47
L. Manovich. ―Software culture‖, op. cit. Pag.65. 48
M. Castells, ―La nascita della società in rete‖- 2002. UBE paperback edizioni. Pag. 56
CAPITOLO I
30
La Ibm ha annunciato ieri di aver sviluppato un nuovo tipo di microprocessore che simula i
neuroni e le sinapsi del cervello umano. Seppur fatto di silicio come i chip tradizionali, il
nuovo processore è in grado di fare cose che gli attuali computer si sognano, come «imparare
dalle esperienze fatte – spiega Dharmendra Modha, il responsabile del progetto Synapse di
Ibm – trovare correlazioni, fare ipotesi e imparare dai risultati». La ricerca, realizzata
insieme a sei importanti atenei americani e co-finanziata dal Darpa (il braccio scientifico del
Pentagono, che ha già messo sul piatto altri 21 milioni di dollari), punta a creare chip e
quindi macchine che saranno in grado di fare cose impensabili. La più remota? La
costruzione di un robot umanoide (finalmente) intelligente, con 100 miliardi di neuroni.
Potrebbe essere un passo storico nella storia della tecnologia. Ma ieri il titolo Ibm (-5%
circa) è stato ugualmente travolto dal fiume in piena delle vendite. (M.Mag.) 49
C‘è da pensare che ancora tutto sia da prevedere in ambito scientifico/tecnologico e
che ―L‘uomo bicentenario‖50
non sia tanto lontano.
1.5 Incontro con il database
L‘accessibilità all‘informazione è diventata un‘attività cruciale nell‘era digitale.
Riflettendo su di una politica intesa come dimensione di connessione sociale e
condivisione di uno stesso ambiente di aggregazione, il passaggio ai nuovi modi di
comunicare ha condotto a una perdita della sequenzialità a livello di corpo sociale,
cioè, se prima si aveva una logica organizzativa ferrea per cui c‘era una gerarchia
sociale, anche nell‘apprendimento, nella condivisione dell‘informazione con questi
nuovi modi di comunicare tale gerarchia ha subito una trasformazione.
Se pensiamo all‘ultima volta in cui sono state messe in discussione le sorgenti
d‘informazione, dobbiamo ricordare che ciò ha prodotto la nascita di una nuova
classe sociale che ha condotto a un cambiamento nell‘ordine costituito e nelle forme
precedenti di trasmissione del sapere (Chiesa e Aristocrazia), con la nascita della
Borghesia e dal punto di vista politico, alla nascita della società che abbiamo
conosciuto fino al secolo scorso. E‘ un dato certo che il possedere più informazione e
poterla gestire permetteva di compiere alla borghesia il suo compito di intrattenere
relazioni commerciali, ma noi oggi viviamo immersi in un mare di dati che si
49 http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-08-19/sviluppa-chip-simula-cervello-
082237_PRN.shtml 50
L'uomo bicentenario (Bicentennial Man) è un film del 1999 diretto da Chris Columbus, basato
sull'omonimo racconto di Isaac Asimov e sul suo susseguente romanzo Robot NDR 113, scritto a
quattro mani da Robert Silverberg e Isaac Asimov.
CAPITOLO I
31
moltiplicano e ci inseguono, sempre più capaci di penetrare e sapere dove ci
troviamo e altri li ricerchiamo nel Web o li riceviamo da altri canali, come, ad
esempio, quelli filmici. Oggi tutto ciò è reso ancora più possibile dalla ―context-
awareness‖, (tecnologia sensibile al contesto) e ―dall‘Ubiquitous computing”
(tecnologia invisibile integrata nell‘ambiente). In quest‘ottica le informazioni del
contesto più importanti saranno: l'identità, le informazioni spaziali e temporali, le
risorse accessibili e la conoscenza della tipologia di rete. Nella scienza informatica,
la denominazione ―database”, banca dati o base di dati, designa un insieme di
archivi posti in comunicazione secondo un particolare modello logico (relazionale,
gerarchico o reticolare) e in tal modo da permettere la coordinazione dei dati stessi
(inserimento, ricerca, cancellazione ed aggiornamento) da parte di particolari
applicazioni software destinate a questo scopo.
Nei database più moderni ossia quelli fondati sul modello relazionale i dati sono
distribuiti per argomenti (in tabelle) e poi questi argomenti sono distribuiti per
tipologie (campi) con tutte le pensabili operazioni di cui sopra. Tale distribuzione ed
efficienza offre ai database una maggiore efficacia rispetto ad un archivio di dati
creato ad esempio per mezzo di file system di un sistema operativo su un computer
se non altro per la gestione di dati complessi
Secondo lo studioso russo Lev Manovich è il momento di capire quali forme
assumono i flussi di dati per diventare accessibili a tutti, e quali sono i canoni estetici
di questo nuovo assetto. Ne parla in ―Info-estetica: raccontare con l‘organizzazione
concettuale delle macchine‖ e precisa tra l‘altro:
Oggi il concetto di forma non è più statico, definito una volta per tutte, ma variabile secondo
infiniti parametri. Sempre più spesso abbiamo a che fare con strutture dinamiche che si
generano in tempo reale [...]. In questo senso il passaggio dalla forma al flussso segna la
trasformazione dall‘analogico al digitale.51
Di questo dovrebbe occuparsi l‘infoestetica. Di un‘analisi teorica dell‘estetica
dell‘accesso all‘informazione e della produzione di nuovi oggetti mediali che
estetizzino l‘elaborazione dell‘informazione, ne abbiamo tanto più bisogno riguardo
al cinema:
51
L. Manovich,―Infoestetica‖ Le forme dell‘ope-source culture, in
hhtp://www.hdemia.it/revobit/1.0/bononi/manovichf.swf
CAPITOLO I
32
Dopo la preferenza del romanzo e del cinema per la narrazione come forma principale di
espressione culturale, l‘era dei computer ha introdotto il suo complice, il database. Molti
nuovi oggetti mediali non raccontano storie; non hanno alcuno sviluppo tematico formale o
di altro tipo che ne organizzi gli elementi in una sequenza. Sono piuttosto raccolte di
elementi individuali, ognuno con la stessa possibilità di significare.52
Ad esempio i database dedicati al cinema, sono dei grandi archivi ―on line‖ che
generalmente racchiudono dati su film o persone (registi, attori, produttori,
sceneggiatori, direttori della fotografia, musicisti). Dei film si possono trovare l‘anno
di realizzazione, il cast, la produzione, i dati tecnici, e possibili recensioni. Il
campione dei database di cinema è Internet Movie Database (IMDb:
http://www.imdb.com). Si tratta di una banca dati di 260 mila film di ogni paese del
mondo, realizzati dal 1892 a oggi. Di ogni singolo film è fornita una vasta serie di
indicazioni: cast, dati tecnici, data di uscita, premi ricevuti, sinossi, commenti dei
lettori, decine di link.
Il database, dunque, è oggi impiegato per stoccare qualsivoglia tipo di dati, dalle
statistiche finanziarie ai videoclip ed è totalmente diverso da una tradizionale
archiviazione di documenti. Basti pensare che consenta di avere accesso, classificare
e riorganizzare milioni di registrazioni in un brevissimo lasso di tempo.
Contemporaneamente il database diviene la nuova metafora che funge da
rappresentazione mentale per la memoria culturale individuale e collettiva, consente
una raccolta di documenti, oggetti e altri fenomeni ed esperienze, rappresenta
insomma un nuovo modo di organizzare la nostra conoscenza per noi stessi e il
mondo anche se, contrariamente dalla lettura di un romanzo o dalla visione di un
film, non ha contatto con la narrazione. Neanche è pensabile possa averlo, per la
natura stessa di cui è composto il risultato è una collezione, ma non una narrazione.
Su Internet la forma database ha sperimentato il più grande successo; la pagina web è
un elenco di elementi staccati che possono variare dalla pagina personale, a un
motore di ricerca, a una stazione radiofonica, o a un sito dedicato a un personaggio
storico o famoso. E‘ ovvio che si possano sempre modificare e inserire dati per cui ci
si allontana dalla logica anti-narrativa del Web. In proposito Manovich ricorda i
―musei virtuali‖con i CD-Rom che accompagnano l‘utente nella sua visita al Museo.
52
L. Manovich, ―Il linguaggio dei nuovi media” Edizioni Olivares. The MIT Press. IX edizione.
Novembre 2009. 1. Il database. pag.273.
CAPITOLO I
33
Si tratta di una delle sistemi più lampanti con cui un museo cerca di dare impulso e
ribadire l'interesse per le opere d'arte che si trovano al suo interno, in un contesto
socio-economico che appare sempre più competitivo e più difficile per il suo
successo. Il concetto è di richiamare le opere attraverso un database che contiene le
immagini da richiamare con differenti logiche, ossia cronologicamente, per paese o
per artista.
In alcuni casi è previsto una visita virtuale al museo reale (ad esempio in 3D o
tramite panoramiche a 360°). Per i new media la parola ―narrazione‖ è utilizzata a
fianco alla parola interattiva. L‘utente della narrazione passa attraverso un database
andando dietro a dei link ubbidendo quindi al tragitto circoscritto dal creatore.
Parlando di narrazione interattiva possiamo interpretarlo come la somma di più
tragitti che attraversano un database, e la narrazione tradizionale come una delle
tante condizioni di un‘ipernarrazione. Nondimeno il termine narrazione prevede
l‘esistenza di un attore o narratore, di un testo che sia la storia o la fabula, e di una
serie di contenuti collegati da causa effetto, determinati o provati dagli attori.
In ogni caso ad esempio il sito di un motore di ricerca di grande interesse è una
raccolta di link collegati fra loro, o meglio ―linkati‖ tra loro, che conducono su altri
siti. Poniamo di essere interessati allo studio della storia e indaghiamo su Vittorio
Emanuele II, possiamo restare attratti da un quadro che lo rappresenta da bambino
insieme alla madre, Maria Teresa di Toscana, e al fratello Ferdinando e in seguito
incuriosirci su chi fosse Maria Teresa. Scopriremmo allora che sposò Carlo Alberto
di Sardegna il 30 settembre 1817 per poi ritornare sul figlio Ferdinando. Saremo così
informati del fatto che tanto Ferdinando Maria Alberto Amedeo Filiberto Vincenzo
di Savoia assomigliava al padre, quanto il fratello Vittorio, tracagnotto e basso, non
gli somigliava assolutamente e comprendere la conseguente ragione per cui, al tempo
sorsero pettegolezzi sul fatto che non fosse figlio dello stesso Carlo Alberto.
Incuriositi e volendo proseguire, Internet ci permetterebbe di apprendere di più
attraverso un motore di ricerca, ad esempio Google. Per questo potremmo perderci in
un mare di rivoli ampliando la nostra indagine su altri testi che parlano di storie
collegate, link dopo link, come è facile accada su Wikipedia.
Il database a sostegno in questo caso appaga la nostra richiesta di acquisizione di
nozioni mettendoci a disposizione un percorso molto più vasto di quello che un
tempo ci avrebbe offerto anche la migliore enciclopedia cartacea ed in alcuni casi
CAPITOLO I
34
questa vasta scelta può risultare anche dispersiva, per cui occorre essere molto mirati
per non correre il rischio di finire fuori strada:
La differenza sta nel fatto che, finora, l‘ipertestualità era un evento mentale, una relazione
testuale che si compiva nell‘atto della lettura, nell‘ordine delle associazioni del lettore,
mentre oggi è possibile renderla evidente in un testo che, come il World Wide Web, segnala
con chiarezza la presenza degli agganci testuali, delle relazioni tra testo e testo.53
Tutto ciò ha sostituito qualsivoglia enciclopedia, tanto sponsorizzate in passato
come essenziali in una biblioteca, specie per gli studenti e persino quella su CD che
avevamo acquisito sul computer, pur così vasta, che rappresentava l‘archivio della
nostra ―possibile‖ memoria.
D‘altra parte le stesse biblioteche oggi ricorrono alla digitalizzazione del loro
materiale, messo a disposizione sul loro portale, non ultima quella della biblioteca
dell‘Università di Fisciano, che ci permette di sapere in anticipo se troveremo il tale
libro del tale autore ed anche lo scaffale ed il numero in cui è sistemato, restringendo
i tempi della ricerca e andando a colpo sicuro. Anche il singolo individuo, per
questioni squisitamente personali o per professione tende a registrare i propri lavori, i
propri dati sulla memoria di un computer e questo fa pensare che la cultura stia
andando verso una decodifica in bit, verso un‘informazione immateriale che viene
scambiata e consumata. Tutto ciò un po‘ spaventa per il fatto stesso di essere così
virtuale, rende perplesso specialmente chi sia vissuto nel cartaceo per decenni ed
esilia nell‘oblio di vecchi pacchi polverosi tutto ciò che non abbia un‘essenza
digitale, oppure lo traduce e lo ―rimedia‖, per tenerlo in vita e al passo con i tempi.
A prescrivere ed obbligare al mutamento pare sia la logica del tutto e subito; gli
archivi informatici parrebbero meno soggetti al passare spietato del tempo e alla
corruzione materiale e risultano inoltre velocemente consultabili. I libri nelle
biblioteche hanno bisogno di attività utili a rallentare il degrado causato dal tempo e
dall'uso. Infatti, i beni culturali sono fatalmente soggetti a invecchiamento e il
molteplice assieme delle azioni conservative attuate può solo rendere più lento il
processo di degrado, naturale e indotto. Anche i ricordi nella nostra mente sono
soggetti ovviamente ad alterarsi nel tempo e per risolvere questa inevitabile realtà la
rete mette a disposizione una memoria globale, sempre ammettendo che, il ritrovare
53 L. De Carli Bollati Boringheri, ―Internet, memoria e oblio‖ Torino 1997, pag. 18
CAPITOLO I
35
perfettamente conservata una giornata della nostra vita in un database, possa
permetterci di rinnovarne la memoria e non ci appaia, invece, come la storia di altri. I
mezzi che possediamo per registrare e memorizzare concedono così un efficace
sostegno alla necessità fisica o psicologica di ―conservare la memoria‖ ma non è
detto che risolva la questione psicologica della conservazione del passato. Manovich
ricorda54
che Erwin Panofsky nel saggio ―La prospettiva come forma simbolica”,
vuole dimostrare come ogni epoca culturale abbia maturato un proprio modo di
raffigurare lo spazio, che può essere interpretato come la ―forma simbolica‖ di quella
cultura e vede nella prospettiva la ―forma simbolica‖ che ha caratterizzato la storia
dell‘arte dal Rinascimento all‘Impressionismo. Aggiunge quindi che il database può
essere inteso come un nuovo modo di concepire lo spazio ed in buona sostanza la
forma simbolica dell‘era moderna, i cui punti di partenza possono essere
lontanamente individuate già nella prima metà del Novecento, con largo anticipo
sull‘era digitale.
Manovich afferma come oggi, considerando il mondo come «una raccolta infinita e
destrutturata d‘immagini, testi e altri record di dati, è perfettamente logico
assimilarlo a un database».55L‘assimilazione della logica del database, sotto il profilo
artistico è un dato di fatto. Basti pensare al ―ready made.‖ Marcel Duchamp, ad
esempio, prendendo quasi a caso prodotti industriali di uso comune, li designa quali
―opera d‘arte‖, benché siano oggetti già esistenti. E‘ il caso della ―Ruota di
bicicletta” del 1913, di un badile per spalare la neve o di uno ―Scolabottiglie” nel
1914. Fa lo stesso denominando ―fontana‖ un orinatoio in porcellana nel1917 ed in
molti altri casi. Compie una ricerca per recuperare all‘interno di un database di
oggetti quelli di suo interesse, analogamente a quella di qualcuno che cerchi su
Google un oggetto digitale tirandolo fuori da questo grande archivio, per riutilizzarlo
a proprio vantaggio. Anche Andy Warhol prelevava dal grande archivio mediale
degli anni Sessanta i suoi ―oggetti‖, li riutilizzava a suo piacere facendoli propri
ingrandendoli, moltiplicandoli e quindi traducendoli in quelle che lui percepiva ed
offriva al mondo come opere d‘arte. Spesso si trattava di esseri umani mitizzati dalla
società, quali Marilyn Monroe e Mao, o immagini tratte un po‘ da ovunque, come
per ―The Thirteen Most Wanted Men, Police Departement, City of New York,
54
L. Manovich, ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Edizioni Olivares. The MIT Press. IX edizione.
Novembre 2009. Pag. 274. 55
L. Manovich, ―Il linguaggio dei nuovi media‖op. cit. pag 274.
CAPITOLO I
36
Dossier n° 2357‖, datato 1967. Ma anche bottiglie di coca cola e barattoli di
pomodori.
Manovich inoltre fa riferimento alla fotografia: «la logica del database ha ispirato la
fotografia: da Pencil of Nature di William Henry Fox Talbot a Face of Our Time, la
monumentale raccolta di immagini della società tedesca moderna realizzata da
August Sander, l‘altrettanto ossessiva catalogazione di serbatoi idrici di Bernd e
Hilla Becher»56
ed al cinema, precisando però che i media elettronici, in riferimento
al secondo, «supportano l‘immaginazione narrativa». Per Manovich è «una nuova
forma simbolica dell‘era dei computer o un nuovo modo di strutturare la nostra
esperienza per noi stessi e per il mondo.»57
In proposito occorre evidenziare il
progetto ―Mylifebits‖58
della Microsoft. Partito dall‘idea di digitalizzare dei
documenti, si è trasformato nell‘archiviazione di una vita. In pratica potremmo
considerarlo come un piccolo succedaneo del cervello. Può sembrare incredibile, ma
è invece reale: per la persona che lo utilizza, diviene un hard disk personale che
fotografa e memorizza qualsiasi evento o incontro. Lo stesso accade con quanto
viene letto o scritto, incessantemente immagazzinato nel database di Mylifebits. La
storia di questo strumento ebbe inizio nel 2001, allo scopo di esplorare l‘uso dei
Microsoft SQL Server per memorizzare tutti i dati riportati nel d P.C. Al Dott.
Gordon Bell fu chiesto di prendere parte ad un progetto allo scopo di creare
un‘illimitata biblioteca di libri in formato elettronico. Bell d‘accordo nel
concretizzare questo progetto, si impegnò nell‘osservazione della sua collezione di
libri, ma poi andò oltre. Si determinò, contemporaneamente, di analizzare e
organizzare anche tutti i suoi documenti, in quanto a quel punto realizzò di essere
alla ricerca di un qualcosa che gli permettesse di immagazzinare qualsiasi cosa un
computer potesse codificare. Trascorsi diversi anni aveva ‗digitalizzato‘ ogni
documento che era avvenuto nella sua casa o nel suo ufficio, fossero anche articoli,
lettere, fax e persino le sue prescrizioni mediche. Accadde quindi che il numero di
documenti registrati nel suo computer divenisse ingestibile, e la Microsoft
management, resasi conto dalle possibili opportunità di business, intervenne: nacque
così il MyLifeBits. Si giunse poi ad un metodo di recupero del materiale molto più
56
L. Manovich, ―Il linguaggio dei nuovi media”.op. cit. pag. 290 57
L. Manovich, ―Il linguaggio dei nuovi media”.op. cit. pag. 274 58
MyLifeBits è un progetto sviluppato da Microsoft Research, la divisione di ricerca di Microsoft,
che consiste nel registrare e gestire tutti gli eventi della vita di una persona, attraverso dati e
piattaforme multimediali.
CAPITOLO I
37
efficiente, per cui, se ad esempio, si immetteva la parola ―medico‖ durante la ricerca,
appariva il nome del suo medico, il suo numero di telefono e la sua foto. Per di più il
computer era in grado di procurare liste di lettere, oltre le chiamate telefoniche e le
prescrizioni che aveva ricevuto da quel medico, ed anche gli orari degli
appuntamenti che gli erano stati dati. Gordon Bell utilizzava la ―Microsoft
SenseCam‖ che era in grado di registrare e immagazzinare qualsiasi piccolo
cambiamento, dalla temperatura ai movimenti, compreso le persone incontrate e ogni
conversazione avuta. Se entrava in un bar, i sensori notavano i cambiamenti di luce e
di temperatura e li registravano. In seguito sviluppò un software in grado di lavorare
più adeguatamente, conservando qualsiasi cosa il PC fosse in grado di codificare. In
una parola ―SenseCam‖ e ―MyLifeBits‖ lavoravano assieme, e uniti funzionavano
come un sistema di memoria in grado di registrare tutto ciò che accade nella vita di
un individuo. Lo strumento è davvero eccezionale: poniamo ad esempio che un
individuo ricordi di aver incontrato qualcuno di recente, ma gli sfugga il suo nome e
la circostanza in cui l‘ha conosciuto, e ricordi invece che quel giorno faceva freddo,
potrà cercare nel sistema le giornate in cui la temperatura era di sotto ai 5 gradi negli
ultimi tre mesi e guardare le foto delle persone incontrate, in modo tale da ricordare
il nome e anche i particolari della conversazione avuta con quella persona. Si tratta di
un sistema dalle possibilità davvero infinite.
In realtà nessuno dei sistemi utilizzati da SenseCam e MyLifeBits è effettivamente
nuovo. La novità sta nel fatto di avere messi insieme questi due apparecchi per
realizzare a un sistema di memoria al servizio di chiunque lo usi e del tutto simile a
quella umana, solo più esatta e particolareggiata.
Sei prototipi di SenseCam sono effettivamente adoperati in un ospedale di
Cambridge per pazienti con disturbi di memoria. Per mezzo di questi apparecchi, i
pazienti sono in grado oggi di ricordare eventi e fatti che i loro cervelli non sarebbero
stati in grado di immagazzinare. Ovviamente si è ancora all‘inizio dell‘esplorazione
di questo settore, ma gli studiosi sono convinti che i risultati futuri possano essere
eccezionali.
Database e narrazione: su questa scelta si fronteggiano i media contemporanei, fermo
restando che quasi tutti i film sono narrazioni, Manovich chiarisce: «Il computer
digitale è il mezzo espressivo ideale per la forma database».59
59
L. Manovich, ―Il linguaggio dei nuovi media”.op. cit. pag. 291
CAPITOLO II
38
CAPITOLO II
L’estetica del database
2.1 Il cinema o “i cinema”? Il cinema digitale
In Francia, in una calda giornata di agosto del milleottocentonovantasei, nel buio di
una sala cinematografica, un treno venne fuori dallo schermo e fece saltare dalle
poltrone gli spettatori impauriti. Non è facile credere che, dopo Lumiere e quella
giornata di agosto, un film abbia potuto colpire di più l‘immaginario di uno
spettatore. ―L’arrivée d’un train en gare de la Ciotat60―, documentario della durata di
meno un minuto, segnò per sempre la storia del cinema.
Oggi, nel buio, ci lasciamo travolgere da immagini di ogni tipo, tentati di allungare
una mano per toccare il muso di uno squalo che ci viene incontro dallo schermo
oppure i semi volanti di una pianta che sembrano svolazzarci intorno come in una
famosa scena di ―Amarcord,‖ uno tra i film più famosi di Federico Fellini,
ambientato dall'inizio della primavera del 1933 all'inizio della primavera del 1934
(riferimento certo visto la corsa della VII edizione della Mille Miglia), in una Rimini
onirica ricostruita a Cinecittà come la ricordava Fellini in sogno.
Siamo muniti dei nostri occhiali altamente tecnologici, dotati di lenti LCD, che
operano in sinergia con un proiettore speciale e con le nuove cineprese 3D. Le
cineprese che hanno realizzato il film utilizzano due obiettivi che lavorano in
contemporanea per riprendere due punti di vista diversi, sviluppando al massimo la
vecchia tecnica tradizionale degli anni ottanta che si accontentava di utilizzare un
paio di occhiali di plastica o cartone dotati di due lenti colorate, una rossa e una blu,
allo scopo di ingannare l‘occhio suggerendogli delle coordinate virtuali al fine di
percepire la profondità delle immagini.
Ma la malia non sarà mai quella del treno dei fratelli Lumiere o quella trasmessa
dalle scene oniriche di Fellini, perché l‘immaginario dell‘uomo attuale non è più
capace di dimenticare la logica e perdersi nel nulla della suggestione ―più autentica‖.
Non tutti nella loro vita dedicano tempo alla visione di film che sia questo in
60
Girato nel 1895 a La Ciotat, Bouches-du-Rhône, Francia, per mezzo del Cinématographe,
L'Arrivée d'un train à La Ciotat. è un film 35 mm, in bianco e nero, muto, della durata di 45 secondi
circa. In esso viene rappresentato l'arrivo di un treno, trainato da una locomotiva a vapore, nella
stazione ferroviaria della città costiera di La Ciotat.
CAPITOLO II
39
pubblico o in sale cinematografiche oppure in privato coi mezzi che oggi concede la
televisione ma chiunque appartenga in tutto o in parte al mondo della comunicazione
non può tralasciare la schematizzazione di Jean-Luc Godard, ubbidendo ai soliti
canoni degli ipotetici due filoni del cinema delle origini: uno dipendente dal cinema
dei Lumière che avevano scoperto ―lo straordinario nell'ordinario‖ e uno derivato da
Méliès che aveva trovato ―l'ordinario nello straordinario‖61
A Méliès viene dunque connesso il cinema fantastico ed ai Lumière quello realistico,
ma sappiamo bene che le due peculiarità non possono sussistere così nitidamente
separate. Méliès fu indubbiamente il primo a presentare con le immagini i mondi
fantastici già rivelati in letteratura, ottenendo il massimo rendimento dalla credibilità
della fotografia in movimento per dare attendibilità allo spettacolo. André Bazin62
,
descrivendo il cinema ―uno specchio dal riflesso differito‖, affermava che esso
doveva ―rendere e non significare‖. In questo modo i grandi film, come tutte le
grandi opere, hanno potuto svolgere quel compito educativo che è un loro elemento
distintivo. Poi venne, Dziga Vertov, che portò nel cinema il ―database‖ per cui
possiamo pensare a lui come un grande ―database director‖ del ventesimo secolo. Il
suo film ―L‘uomo con la macchina da presa‖ (Человек с киноаппаратом, Chelovek
s kino-apparatom), del 1929, è forse l'esempio più importante dell‘uso di un database
per una nuova arte mediatica. In una delle scene fondamentali (ripetuta più volte nel
film), vediamo una sala di montaggio con una serie di casellari utilizzati per
mantenere e predisporre il materiale girato. I ripiani sono indicati da targhette come
―macchine‖, ―club‖, ―il movimento di una città‖, ―esercizio fisico‖, ―un illusionista‖,
e così via. Si tratta della banca dati del materiale registrato. La moglie di Vertov,
Elizaveta Svilova, editore del film, viene mostrata al lavoro con quel database,
mentre recupera alcune bobine oppure mette a posto le bobine utilizzate o ne
aggiunge di nuove.
In ogni caso non si può parlare di ―cinema‖ al singolare, perché non esiste un solo
cinema, ma esistono ―i cinema‖ (cinema muto, sonoro, in bianco e nero, a colori,
mono, stereo, dolby surround, thx63
, analogico, digitale): Edgar Morin64
ci ricorda
61
J. L. Godard, ―Il cinema è il cinema‖, traduzione di Adriano Aprè, Garzanti, Milano 1981,cap. 11. 62
André Bazin (Angers, 18 aprile 1918 – Nogent-sur-Marne, 11 novembre 1958) è stato un critico
cinematografico francese 63
THX è un certificato di qualità, applicato ai sistemi di riproduzione audiovisiva, siano essi
professionali o domestici.
CAPITOLO II
40
inoltre che nel momento in cui si accetta che il cinema è il passaggio dal
cinematografo (tecnologia: macchina cinematografica in movimento. Fratelli
Lumiere) al cinema (tecnologia per raccontare storie: macchina cinematografica in
movimento utilizzata per raccontare storie): «Sullo schermo vengono proiettate
soltanto macchie di luce [...]. Ora ciò è esattamente il contrario di quanto si produce
nel campo percettivo (dello spettatore). La visione cinematografica si forma dal
movimento delle ombre sullo schermo»65
ed inoltre: «L'unica realtà di cui siamo
sicuri è la rappresentazione, cioè l'immagine, cioè la non-realtà, dato che l'immagine
rimanda a una realtà sconosciuta».66
Insomma: siamo spettatori di una illusione che
facciamo nostra attraverso la sospensione del giudizio, oppure non ci appartiene
affatto.
Inoltre con un medium come il cinema, occorre parlare guardando al futuro, perché
quest‘ultimo, nel momento in cui è divenuto linguaggio ed è stato usato per
raccontare storie, non ha finito la sua evoluzione, ma si trova soltanto al momento
originario della sua definizione di campo, continuando a cambiare in accordo con le
trasformazioni del pubblico, cioè con le trasformazioni sociali. D‘altra parte i media
tutti sono dinamici in quanto è in atto in essi un processo di trasformazione
inesausto, che non solo rende difficile parlare di medium al singolare ma anche rende
necessario accettare che nessun medium resti uguale a se stesso per ogni anno che
passa. Tutto questo ha condotto inevitabilmente a una mutevolezza tale dei linguaggi
della comunicazione industriale per cui in età postindustriale tutto si riannoda intorno
a nuovi nuclei problematici. Ogni medium non va inteso come una cosa ma come un
processo, cioè non è fermo e ipostatizzato ma è mobile, fluido, liquido, come direbbe
Bauman.67
Esiste una distanza che ci pone davanti a grandi dispositivi di massa concepiti per il
pubblico a partire dal cinema. Manovich, nel suo lavoro ―Il linguaggio dei nuovi
media‖, fa costantemente riferimento al cinema considerandolo come un ―dispositivo
64
Edgar Nahoum detto Edgar Edgar Morin (םוחנ) (Parigi, 8 giugno 1921) è un filosofo e sociologo
francese.È noto per l'approccio transdisciplinare grazie al quale ha superato i confini tra varie
discipline, trattando un'ampia gamma di argomenti 65
E. Morin, ―Il cinema o l’uomo immaginario”, Feltrinelli, Milano 1982 . pp. 52-53. 66
E. Morin, ―Il cinema o l’uomo immaginario”, op. cit . pp. 107. 67
Zygmunt Bauman (Poznań, 19 novembre 1925) è un sociologo e filosofo polacco di origini
ebraico-polacche. Dal 1971 al 1990 è stato professore di Sociologia all'Università di Leeds. Sul finire
degli anni ottanta, si è guadagnato notorietà grazie ai suoi studi riguardanti la connessione tra la
cultura della modernità e il totalitarismo, in particolar modo il nazionalsocialismo e l'Olocausto .
CAPITOLO II
41
esemplare‖. Aggiunge, inoltre, che il pubblico non ha ancora risolto il proprio
rapporto con il cinema.
Lev Manovich nel suo ―Cinema, l'arte dell'indice”68ricorda che circa quarant‘anni fa
il teorico francese Christian Metz 69
sosteneva come la maggior parte dei film
realizzati al suo tempo, senza tenere conto del fatto che fossero belli o brutti,
originali o no, commerciali o no – avessero in comune la peculiarità di raccontare
storie e per questo motivo appartenevano tutti ad unico genere, che lui
definiva‖surgenere‖, del ventesimo secolo, ma aggiunge che lo stesso Metz non
aveva sottolineato la caratteristica comune più importante, ossia che i film fiction si
basano sull‘azione reale e consistono soprattutto in fotogrammi non ritoccati che
registrano eventi reali accaduti nello spazio fisico reale. Manovich sottolinea quindi
che oggi, nell‘era della simulazione computerizzata e dell‘elaborazione digitale,
risultano peculiari proprio quelle caratteristiche ―dimenticate‖ da Metz per definire la
specificità del cinema del ventesimo secolo, ossia:
Dal punto di vista di uno storico del cinema del futuro, le differenze tra il cinema classico
hollywoodiano, i film d‘autore europei e quelli d‘avanguardia (eccetto i film astratti)
appariranno meno rilevanti (perché) tutte quelle forme cinematografiche sfruttano la
registrazione fotografica del reale.).
Insomma: non sono digitali
Leggiamo in ―Il digitale non esiste‖, di Lorenzo Esposito70
31. Parole dell‘era digitale: trasmissione, fruizione, archiviazione, manipolazione,
discrezione, assemblaggio, connessione, omogeneità,sintesi, parcellizzazione, dislocazione,
standardizzazione, automazione, relazione, contaminazione, duttilità, impurità, versatilità
interattività, modello, matrice, rappresentazione, simulazione, clonazione, istantaneo,
globale, reticolare, asimmetrico, flessibile, virtuale.
32. Parole dell‘era analogica: realtà.
Restando sul tema delle riflessioni sul cinema nell‘era digitale ci si è concentrati
sulle possibilità della narrazione interattiva con l‘idea di uno spettatore che partecipi
dinamicamente alla narrazione, scegliendo percorsi diversi nello spazio narrativo e
68
http://www.trax.it/lev_manovich.htm 69
Christian Metz (Béziers, 12 dicembre 1931 – Parigi, 7 settembre 1993) è stato un semiologo
francese. 70
L. Esposito. ―Il digitale non esiste Verità e menzogna dell’immagine‖- Liguori Editore. Pag.11
CAPITOLO II
42
avendo la possibilità di interagire con i personaggi, ma questo concetto si collega
soltanto sull‘aspetto della narrazione di cui parlava Metz. Invece occorre percorrere
anche strade differenti che chiariscano le caratteristiche del digitale nel cinema.
Parlando della proprietà indicale del cinema, ricordiamo con Garfinkel71
che nella
vita di ogni giorno non esiste un significato oggettivo nel linguaggio o nei gesti, ma
un significato che è dato dal rapporto tra l'account e il contesto, per cui, sotto il
profilo ontologico, dobbiamo ammettere che nell‘era della simulazione
computerizzata questo viene a cadere nel momento che è possibile realizzare delle
scene realistiche con un sistema di animazione computerizzato, oppure trasformare
fotogrammi o intere sequenze per mezzo di un programma di disegno digitale, o
fondere situazioni reali a quelle virtuali con totale credibilità fotografica senza, in
effetti, aver filmato nulla di tutto ciò che viene visivamente prodotto. Secondo
Manovich con l‘ingresso del cinema nell‘era digitale le tecniche manuali tornano a
essere al centro del processo cinematografico giacché la costruzione manuale delle
immagini del cinema digitale raffigura una ricomparsa delle pratiche
precinematografiche del diciannovesimo secolo. Si ritorna insomma alle immagini
dipinte a mano e animate artigianalmente. Possiamo tornare molto indietro nel tempo
filmico e ricordare ―La presa di Roma, anche conosciuto come ―Bandiera bianca” e
―La Breccia di Porta Pia”, ossia un cortometraggio , di Filoteo Alberini, prima
pellicola proiettata pubblicamente in Italia, il 20 settembre 1905, nell'anniversario
della presa di Roma che all‘epoca costò ben 500 lire per 250 metri (una decina di
minuti). Si trattava di una grande ricostruzione storica in sette quadri, con
scenografie di cartapesta utilizzate per i tre quadri, ripresi in teatro di posa che si
alternano a quelli girati in esterni dal vero che conferiscono un'inedita autenticità alle
scene di massa. Possiamo assimilarla oggi, ad esempio a ―La nobildonna e il duca‖,
un film di Eric Rohmer del 2001. Qui Rohmer è stato indotto dalla opportunità di
trasporre in immagini un diario e dall'uso, per lui del tutto nuovo, del digitale. Non
potendo e forse non volendo ricomporre la Parigi ―com'era‖, ne ha affidata difatti la
ricostruzione delle vedute pittoriche, con effetti straordinari d‘insieme, a un artista e
le ha usate come sfondi su cui far muovere gli attori nel momento in cui si girava in
71
Harold Garfinkel (29 ottobre 1917 – 21 aprile 2011) è stato un sociologo statunitense, professore
emerito in sociologia all'University of California, Los Angeles, uno dei personaggi chiave della scuola
dell'etnometodologia e della sociologia americana in generale.
CAPITOLO II
43
esterno. Ne risulta un film geometrico e prezioso, ma un po' freddo. Che assomiglia
ad una stampa antica.
All‘inizio del ventesimo secolo il cinema incaricò di queste tecniche manuali
l‘animazione e si definì, seguendo il filone del cinema dei Lumière che avevano
scoperto ―lo straordinario nell'ordinario‖, come un medium di registrazione del
reale. Ma con l‘ingresso del cinema nell‘era digitale le tecniche artigianali
ricompaiono nel processo cinematografico, con l‘effetto che il cinema non può più
essere distinto dall‘animazione. Manovich sostiene dunque la nascita di una
differente logica dell‘immagine digitale in movimento che subordina il fotografico e
il cinematografico al pittorico e al grafico, annientando l‘identità del cinema come
mezzo di registrazione.
In seguito alla nascita del digitale le grandi case di produzione, soprattutto
hollywoodiane hanno assegnato agli effetti speciali una enorme importanza nella
produzione dei film, e la loro costruzione e concretizzazione conquista l‘attenzione
di molti documentari e spazi nei dvd come contenuto supplementare di fianco al film
di riferimento. Nondimeno col digitale non solo gli studios sono in grado di
concedersi i dispositivi digitali e i tecnici specializzati. Difatti con la propagazione
dei mezzi digitali l‘intera concezione della produzione cinematografica è modificata,
dagli studios, agli indipendenti e ai dilettanti. Ciò che era sostanziale nel cinema
tradizionale, ossia tutto il processo di produzione e post produzione, viene meno oggi
nel processo in cui tutte le immagini del film devono passare attraverso una lunga
serie di programmi prima di entrare nel film; per cui la ripresa dal vivo è ormai una
semplice materia grezza destinata all‘elaborazione manuale per mezzo
dell‘animazione, dell'inserimento di immagini in 3D, della pittura e altro.
37. Il digitale smaschera ciò che al cinema non è mai servito: i set e le sceneggiature-se ne
può fare a meno. Così oggi qualsiasi cinema e qualsiasi film svaniscono non appena si
convincono di potersi tracciare confini e, peggio, di potersi comunicare.72
Per quanto riguarda quelli che Manovich considera i nuovi principi del cinema
digitale, validi tanto per le produzioni indipendenti, quanto per quelle industriali, che
lui ritiene siano applicabili sia alle macchine più costose e avanzate, che a quelle del
72
L. Esposito. ―Il digitale non esiste‖. Op. Cit..Pag 12
CAPITOLO II
44
dilettante, sono da lui riassunti in cinque punti73
:
1) Oggi si possono realizzare scene cinematografiche direttamente sul computer con l‘aiuto
della animazione cinematografica in tre-D. Di conseguenza la ripresa dal vivo perde il ruolo
di materia prima della costruzione cinematografica.
2) Una volta digitalizzato il filmato dal vivo(o registrata direttamente in formato digitale),
questo perde la sua relazione privilegiata indicizzante, con la realtà pre-filmica. Il computer
non distingue tra l‘immagine ottenuta attraverso l‘obiettivo fotografico, l‘immagine creata
con un programma di montaggio o l‘immagine sintetizzata tramite un software di grafica
tridimensionale perché tutte e tre le immagini sono costituite dal medesimo materiale - il
pixel. Questi, indipendentemente dalla loro origine, si possono facilmente modificare,
sostituire, etc. Il filmato realizzato sul set o in esterni si riduce quindi a qualsiasi soluzione
grafica, uguale alle immagini create manualmente.
3) Se le immagini ―dal vivo‖ sono rimaste intatte nella produzione cinematografica
tradizionale, oggi fungono da materia prima per una ulteriore attività di composizione,
animazione e morphing. Di conseguenza pur mantenendo il realismo virtuale specifico del
processo fotografico, il film è connotato di una plasticità che in precedenza era possibile solo
nella pittura o nella animazione. Per usare il titolo di un celebre programma di grafica
tridimensionale, i registi digitali lavorano con una ―elastic reality‖. Per esempio, la sequenza
d‘apertura di Forest Gump (Robert Zemeckis, Paramount Pictures, 1994, effetti speciali della
Industrial Light and Magic) presenta il lungo e intricato volo di una piuma. Per creare quella
ripresa, una vera piuma è stata prima ripresa in diverse posizioni contro uno sfondo blu, e poi
animata e composta sullo sfondo di un paesaggio. Il risultato è un nuovo tipo di realismo che
potrebbe essere descritto come ―qualcosa che è pensato per sembrare possibile, per quanto
sia irreale‖.
4) Nella produzione cinematografica tradizionale il montaggio e gli effetti speciali erano
attività rigidamente separate. Il montatore ordinava le sequenze; qualsiasi ritocco
all‘immagine era di esclusiva competenza degli addetti agli effetti speciali. Il computer
elimina questa distinzione. La manipolazione delle singole immagini al computer o
l‘elaborazione algoritmica delle immagini risultano operazioni facili come il montaggio:
entrambe richiedono semplicemente l‘uso del comando ‗taglia e incolla‘.La manipolazione
delle immagini digitali (o di altri elementi digitali) non è sensibile alle distinzioni spazio-
tempo, né alle differenze di scala. Perciò riordinare cronologicamente la sequenza delle
73
L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Edizioni Olivares. The MIT Press. IX edizione.
Novembre 2009. 1.4 Il cinema ridefinito. Pag. 369
CAPITOLO II
45
immagini, ricomporle in un solo spazio, modificare alcune parti di un‘immagine e
modificare i pixel, diventano operazioni identiche, sia a livello pratico che concettuale.
E conclude:
Dati i principi appena formulati, possiamo definire il cinema digitale con questa equazione:
cinema digitale = ripresa dal vivo + pittura + elaborazione delle immagini + montaggio +
animazione computerizzata a due dimensioni + animazione computerizzata a 3D.
Insomma non si potrà negare più nulla, non si potrà dire: «167. Non sono uno
scemo. Anche io ho il piacere della linea quando la voglio, ma lì c‘è uno scoglio. (p.
Cezanne,1921).» 74
Perché il digitale farà scomparire lo scoglio.
Ciò che emerge in maggior misura è che la ripresa dal vivo diviene una materia come
le altre nel cinema digitale, occorre saper manipolare programmi ed effetti speciali e
in questo il cinema di animazione assume un ruolo preminente. Può rifarsi della
discriminazione che l‘aveva, per anni, relegato a stupire i bambini ancora capaci di
credere alle favole.
Non dimentichiamo che alla base del digitale dal punto di vista tecnologico, vi è un
codice binario e la presenza di pacchetti di dati da trasmettere. Dal punto di vista
culturale il digitale tende a competere con l‘analogico, nel senso che il digitale, pur
basandosi su un codice binario (acceso/spento, 0/1) e, quindi, non avendo più
bisogno, almeno in teoria di un referente fisico per dare le informazioni, ha, in ogni
caso, la capacità di interfacciarsi con l‘utente in modo da non creare shock percettivi
considerevoli.
Il cinema è anche performance mediata tecnologicamente ed è esso stesso effetto
speciale. Vi è attrazione per la tecnologia che mette in scena se stessa. La Disney75
in
questo campo è sempre stata pronta a elaborare le innovazioni in quanto è stata
quella che ha sperimentato maggiormente la questione visiva (alleanza Disney-
Pixar76
e costante innovazione tecnologica). Con il film ―Tron”, un film di
74
L. Esposito. ―Il digitale non esiste‖.Op. Cit..Pag 37. 75
La Walt Disney Company (meglio nota semplicemente come "Disney") è una delle più grandi
aziende del mondo nel campo dei media e dello spettacolo, leader assoluta del mercato
dell'intrattenimento per l'infanzia. Fondata il 16 ottobre 1923 da Walter Elias Disney e suo fratello
Roy Oliver con il nome di Disney Brothers Cartoon Studio, è oggi la seconda compagnia di media
negli Stati Uniti. 76
La Pixar Animation Studios è una delle più importanti case cinematografiche specializzata in
"computer generated imagery" (CGI), con base a Emeryville, California (USA). Appartiene alla The
CAPITOLO II
46
fantascienza del 1982 prodotto dalla Disney, diretto da Steven Lisberger e
considerato a ragione un film di culto, è stato affrontato il primo tentativo di cinema
informatico con un uso esteso e programmatico di immagini sintetiche. Non si
trattava solo di un abbellimento visivo: la storia stessa si svolge per buona parte
all'interno di un computer per cui l'uso di quelle nuove tecniche era anche al servizio
della vicenda che si intendeva raccontare. E‘ questo il primo ingresso del digitale nel
cartone animato. Il progetto del Film ―Tron‖77
fu proposto dagli ideatori
all'attenzione di vari Studios ma alla fine fu la Walt Disney Pictures che accettò la
sfida e decise di finanziare il dispendioso progetto. A prima vista poteva apparire una
contraddizione che la maggior produttrice di film animati realizzati con tecnica
tradizionale potesse tendere a sviluppare un mezzo che andava per l'appunto nella
direzione opposta, ma la compagnia sul finire degli anni '70 non passava
assolutamente uno dei suoi periodi più prosperosi ed era decisa a percorrere altre
strade per l‘indirizzo del proprio sviluppo per cui Tron raffigurava un balzo in avanti
ed era per molti versi né più né meno un film sperimentale. Il primo film animato
della casa a ricorrere alla grafica computerizzata sarebbe stato, nel 1986, ―Basil
l'investigatopo.‖
La stessa pellicola diventa oggi nei film digitali assimilabile a una serie di dipinti
creati da un artista che manipola le immagini, una per una o tutte insieme. Le
immagini digitalizzate, e ritoccate con l‘ausilio di un computer sono l‘esempio del
nuovo status del cinema: non più costretto al solo ambito fotografico, il cinema si
apre al mondo del pittorico. Molti degli effetti speciali si fondano sulla modifica
fotogramma per fotogramma, sono colorati, modificate o ricreate le ambientazioni.
Ma nel passato non recente si può trovare un lavoro anticipatore sempre nel film
“Tron”. Tra l‘altro, allo scopo di non far apparire troppo realistica tutta la parte del
film che si svolge nel mondo virtuale del MC ci si avvalse del trucco di girare il tutto
in bianco e nero su pellicola 65 mm (fu il primo film ad essere girato in questo
formato dai tempi de ―La figlia di Ryan‖ di David Lean, 1970). Ogni singolo
fotogramma fu in seguito stampato su una speciale cellula plastificata trasparente di
dimensioni 25 cm per 42. Questo smisurato numero di fotogrammi ingranditi fu
Walt Disney Company. Non dimentichiamo poi che nel 2009 la The Walt Disney Company ha
acquistato la Marvel. 77
http://www.fantascienza.com/magazine/servizi/6471/1/venti-anni-fa-al-cinema-br-tron-odissea-nel-
pac/
CAPITOLO II
47
quindi inviato a Taiwan, dove un piccolo esercito di coloranti lavorò per mesi con
filtri e gelatine. Dopodiché il tutto fu rifotografato e il film colorato fu rimandato in
America, dove poté cominciare il lavoro specifico affidato alle quattro ditte di
Computer Graphic interessate al progetto ossia la M.A.G.I., la Triple I, la Abel &
Associates e la Digital Effects. La più importante all‘epoca era la M.A.G.I.
(Mathematical Applications Group Inc) di New York a cui fu affidata la lunga
sequenza della fuga e dell'inseguimento sulle motociclette. La ditta già dal 1972
possedeva un costosissimo programma per la realizzazione di filmati interamente
digitali utilizzato prevalentemente in quegli anni per la produzione di spot
pubblicitari. La Triple I si occupò invece del veliero solare che era seguito dalla nave
di Sark e della visualizzazione vera e propria della faccia del Master Control, una
rappresentazione mentale di design che forse non è tra le più brillanti fra quelli ideati
per il film. Occorre tener presente che il lavoro di quelle ditte era sicuramente il top
dell'avanguardia per i primi anni ottanta ed il loro ufficio consisteva sostanzialmente
nel trasferire e rendere tridimensionali le soluzioni grafiche inventate dagli artisti
grafici coinvolti con passione dall‘allora giovane regista. Si trattava di una
operazione del tutto eccezionale per l‘epoca giacché l'associazione matematica per
ogni pixel di opportuni valori di intensità di colore e luminosità era molto
rudimentale se paragonata alle risorse attuali. Difatti, esaminando con attenzione il
film su DVD si notano qua e la delle sbavature, le stesse che si potevano riscontrare
nei videogiochi dell'epoca. Occorre considerare inoltre il non marginale dettaglio che
negli anni ottanta i computer potevano si generare immagini statiche ma non
meccanicamente metterle in movimento. In relazione a ciò le coordinate grafiche che
componevano ogni singolo elemento (ad esempio quello delle motociclette)
dovevano essere comunicate all'elaboratore per ogni singolo fotogramma che si
desiderava ottenere. Occorsero 600 coordinate per avere 4 secondi di film ed
ciascuna di queste coordinate doveva essere copiata a mano, tramite tastiera, dagli
animatori. Un lavoro eccezionale.
Ripigliando il discorso sulla questione del realismo, potrebbe sembrare che il
linguaggio del cinema tradizionale non sempre ne venga intaccato, perché gli effetti
o le elaborazioni sono occultate in molti casi bene sotto il realismo classico, in altre
parole sotto la finzione di reale:
CAPITOLO II
48
Di che cosa si tratta infine? Dell‘altalenante attestarsi e smarrirsi del pensiero, compreso nel
passaggio e specificazione dal digitale tout court all‘immagine digitale (in corsivo nel testo),
cioè all‘eterno ritorno che è il film. Da un lato, ecco il punto, il flusso (ma è un riflusso!)
digitale offre la menzogna della libertà massima contenuta nella manipolazione,
nell‘incursione veloce e anonima, contro informativa, svincolata dal potere; dall‘altro dota
tale attività della verità degli strumenti atti a produrla e quindi, potenzialmente, ad
assimilarla, ad assimilare, rendendole inestricabili, verità e menzogna (in corsivo nel testo).
Poiché tutto è stato detto tutto andrà riutilizzato.78
Vien fatto di pensare alle parole del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: «Occorre
che cambi tutto, perché tutto resti com’é.»
Certamente non possiamo più, tecnologicamente almeno, collegarci ai desideri di
Sergej M. Ejzenstejn79
giacché l‘aspirazione del cineasta sovietico era proprio quella
di rapportare l‘intellettualità alle sue origini, all‘emozione, per mezzo del montaggio,
«il mezzo compositivo più potente per raccontare una storia»,80
ma la narratività,
insiste Jean Mitry, resta «interamente basata sulle condizioni dinamiche del
montaggio».81
Oggi possiamo chiederci, con Metz se in futuro saranno realizzati più
film non narrativi: «se mai dovesse accadere, il cinema non avrebbe più bisogno di
creare un effetto realistico.»82
Ed ammettere che i mezzi elettronici ci indirizzano
verso altri campi visuali contraddistinti dal flusso d‘informazioni quali la televisione,
lo schermo di un computer, i video musicali. Il cinema ha sempre raccontato, ma la
narratività filmica si fonda nell’immagine senza discendere in essa da uno o più
codici linguistici, insomma non è una determinazione linguistica recondita, né la
conseguenza di una struttura linguistica che la sottende, piuttosto una mescolanza di
immagini, ―organica‖ quella del Cinema classico e ―non-organica‖ quella della
modernità. Il film pur essendo un testo (come rileva Raymond Bellour nel suo
―L’analisi del film”, è introvabile, siccome la mobilità del film è «irriducibile al
linguaggio che vorrebbe impadronirsene per farla apparire, raddoppiandola»83
e
78
L Esposito. ―Il digitale non esiste‖. Op. Cit..Pag 2.‖Differenza e identità‖ 79
Sergej Michajlovič Ėjzenštejn (in russo: Сергей Михайлович Эйзенштейн[?]
; Riga, 23 gennaio
1898 – Mosca, 11 febbraio 1948) è stato un regista, sceneggiatore, montatore, scrittore, produttore
cinematografico e scenografo sovietico, ritenuto tra i più influenti della storia del cinema per via dei
suoi lavori, rivoluzionari per l'uso innovativo del montaggio e la composizione formale dell'immagine 80
M. Ejzenstejn, ―Il linguaggio cinematografico”, in ―La forma cinematografica”, Einaudi, Torino
1986, p. 118. 81
J. Mitry, ―Histoire du ciném”a, I, Editions Univérsitaires, Paris 1967, p. 370. 82
da ―Cos'è il cinema digitale?‖citazione di Christian Metz in L e v M a n o v i c h su
http://www.trax.it/lev_manovich.htm 83
R. Bellour, ―L’analisi del film”, Kaplan, Torino 2005, p. 43.
CAPITOLO II
49
proprio questa sua irriducibile mobilità (―il paradosso dell‘immagine in movimento‖)
esprime la sua ―testualità‖: pertanto l‘immagine è «l‘essenziale»84
. Infine la
narrazione filmica non è paragonabile, né tantomeno può sovrapporsi alla
esposizione letteraria. Il cinema insomma e cosa a sé e allontana il racconto fuori dei
canoni tradizionali del testo scritto.
La narrazione è teoricamente composta da quelle parti della trama narrativa che
concedono lo scorrere della vicenda; la descrizione è costituita da quelle parti che
non influiscono su di essa. A tal proposito Manovich afferma che nell‘era
dell‘informazione, narrazione e descrizione si siano scambiati i ruoli. Se le culture
tradizionali permettevano narrazioni ben definite (miti, religioni) e insufficienti
informazioni, oggi per contraltare possediamo troppe informazioni e poche
narrazioni capaci d‘integrare il tutto.
2.2 Un’estetica della rimediazione
Mario Costa85
afferma nel suo libro ―L'estetica dei media‖ che l'innovazione
tecnologica ha sempre implicato un ripensamento risolutivo delle forme tradizionali
di espressione artistica. In tal senso la fotografia ha condotto a vari tipi di
ripensamento di ruoli e forma della pittura (poniamo ad esempio l‘impressionismo
francese e l‘espressionismo tedesco). Ragion per cui le nuove tecnologie hanno avuto
sulla produzione artistica tradizionale, in ogni settore, effetti molto forti:
non si è trattato tanto di quella vicendevole compenetrazione tra l‘arte e la scienza nella
quale Benjamin era inclino a credere, ma di un pesante condizionamento della scienza
sull‘arte86
Si dice invece d'accordo con Walter Benjamin87
sul tema della riproducibilità tecnica
dell'opera d'arte, di cui parlava il filosofo nel suo saggio nel '36. Non ha più senso,
dunque, parlare di un'aura dell'opera d'arte. Ma nelle sue valutazioni sull‘estetica
dell‘arte oggi, afferma che la questione non sia più quella della riproducibilità, ma
84
R. Bellour, ―L’analisi del film Op. cit., pp. 44-45. 85
Mario Costa (Torre del Greco, 7 dicembre 1936) è un filosofo italiano. E' conosciuto, in
particolare, per aver studiato le conseguenze, nell'arte e nell'estetica, delle nuove tecnologie,
introducendo nel dibattito internazionale una nuova prospettiva teorica, attraverso concetti come
"estetica della comunicazione", "sublime tecnologico", "blocco comunicante", "estetica del flusso". 86
M. Costa, ― L’estetica dei Media. (tecnologie e riproduzione artistica)‖ , Capone Editore
Lecce1990 pag. 9 87
Walter Benjamin (Charlottenburg, 15 luglio 1892 – Portbou, 26 settembre 1940) è stato un
filosofo, scrittore, critico letterario e traduttore tedesco.
CAPITOLO II
50
quella della producibilità elettronica in tempo reale. Secondo Costa la nozione della
riproducibilità, è un poco come la nozione di protesi di McLuhan. Entrambe ritenute
estremamente moderne ma in realtà non più in grado di spiegare quello che avviene e
oltrepassate dai tempi. La nozione di protesi sarebbe sorpassata da questa nozione di
complessiva indipendenza del neotecnologico, e la nozione di riproducibilità è
oltrepassata da quella di producibilità in tempo reale, di tempo che si annulla. Non
esiste più la copia originale che sia poi riproducibile, ma la nozione stessa di
riproducibilità con l'elettronica e con le reti non ha più senso. Anche di fronte al
cinema digitale dunque, un film, come ogni opera digitale, essendo un insieme di bit
è per sua stessa natura infinitamente replicabile in maniera identica e quindi unica.
Secondo Costa si deve modificare l‘ottica con cui si guarda all‘arte, anche quella
cinematografica, ossia far subentrare al concetto di una categoria generale dell'arte a
quella di una molteplicità di pratiche artistiche, ciascuna delle quali sia connessa a un
proprio dispositivo, ciascuna delle quali sia in grado di produrre un proprio
significato che altre non sono in grado di produrre. Tocca quindi ad una
nuova'estetica contemporanea che non si esprima ancora di arte in termini
tradizionali, tematizzare e problematizzare la situazione che le nuove cose, le nuove
tecniche, le nuove energie ci costringono a considerare. A suo tempo le avanguardie
artistiche sono state le prime a percepire il cambiamento ed a tentare di farlo proprio.
Difatti:
Non c‘è aspetto della antropologia contemporanea di cui non si possa trovare nel lavoro
dell‘avanguardia un presentimento, una sperimentazione preventiva, un esercizio di
domesticazione.88
Costa sostiene che ad ogni mutamento tecnologico di una sfera sensoriale specifica si
unisce un cambiamento artistico legato a quel campo:
La mia ipotesi è che tutta l'avanguardia artistica, dalla fine dell'Ottocento fino alle ultime
avanguardie degli anni Sessanta-Settanta, si spiega solamente come un complesso di
reazione agli avventi progressivi delle tecnologie. La fotografia trasforma la pittura, gli
strumenti di registrazione acustica trasformano la poesia, il magnetofono trasforma la
musica, il cinema trasforma il teatro.89
88
M. Costa, ― L’estetica dei Media. (tecnologie e riproduzione artistica)‖ , Op. Cit. pag. 11 89
Dall‘intervista a Mario Costa sul libro ―sublime tecnologico‖ fonte internet:
http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/c/costa.htm
CAPITOLO II
51
L‘immaginario quindi assumerebbe la forma delle tecnologie a cui è strettamente
legato e l‘irruzione nell‘immaginario artistico avverrebbe in quattro modi: l‘arte da
prima imita le procedure scientifiche, in seguito i mutamenti investono il campo del
contenuto, della ―significazione del medium‖90attraverso l‘ibridazione con altri
medium (da qui la scrittura attraverso il flusso di coscienza, ad esempio in Joyce,
diviene la trasposizione nel romanzo della tecnica cinematografica). A questo punto
può iniziare il passo verso la crisi del mezzo artistico per mezzo della
contaminazione di ―congegni significanti‖, per poi giungere ad un suo superamento
quando ciascuna delle componenti artistiche è prodotta da diverse tecnologie che
generano forme e modi di significazioni diversi. Le moderne tecnologie fanno
nascere quindi nuovi prodotti artistici e nuove forme di sensibilità che nell‘artista si
sviluppano attraverso l‘approfondimento delle possibilità delle nuove tecnologie
stesse, ottenendo la creazione di nuovi significati e nuovi modi di significazione, e la
ricerca dei nuovi comportamenti ―estetico-antropologici‖ imposti dall‘utilizzo dei
dispositivi tecnologici. Gli artisti, che Costa definisce ―artisti della comunicazione‖,
operativi su una base di arte e tecno-scienza, sviluppano una estetica della
comunicazione, ossia quella che Manovich chiamerà con caratteristiche diverse
Infoestetica, i cui principi fondamentali saranno: 1) l‘evento come processo
interattivo in un flusso spazio-tempo; 2) estetica dell‘evento che si realizza tramite
un dispositivo tecnologico in grado di mettere in comunicazione spazi diversi ma in
tempo reale, attraverso la simultaneità e da origine al sentimento non del bello ma
del ―sublime‖.
Baudrillard 91
, famoso per il suo detto: «Visto che il mondo sta prendendo una
direzione delirante è il caso di assumere un punto di vista delirante.» Sosteneva che
l‘arte e i media viaggiano verso uno stesso destino, ovvero quello dell‘annullamento
dello spazio e del tempo (just in time) in un percorso in cui l‘arte sarebbe stata
trascinata nel flusso senza opportunità di trattenersi, annullandovisi. In questa
convinzione si legge una critica forte nei confronti dell‘arte che sembrerebbe essere
dominata dalla tecnica la quale in questo caso appare sotto aspetti demoniaci.
All‘opposto McLuhan92
conferisce all‘arte e all‘artista un ruolo dominante
90
M. Costa, ― L’estetica dei Media. (tecnologie e riproduzione artistica)‖ , Op. Cit. pag. 13 91
Jean Baudrillard (pronuncia IPA: [ bo.dʀi.jaʀ]; Reims, 20 giugno 1929 – Parigi, 6 marzo 2007)
è stato un filosofo e sociologo francese di formazione tedesca. 92
Herbert Marshall McLuhan (Edmonton, 21 luglio 1911 – Toronto, 31 dicembre 1980) è stato un
sociologo canadese
CAPITOLO II
52
all‘interno del contesto sociale e mediale, in quanto l‘aspetto mediale dell‘arte, il suo
essere technè sarebbe centrale nell‘osservazione e raffigurazione del mondo. Quando
un nuovo medium si presenta, è riconfigurato tutto l‘ambiente mediale nato in
precedenza, ma ciò non vuol dire annullamento, piuttosto mediazione tra il vecchio e
il nuovo e definizione certa di quello precedente:
la vera forma della radio è stata rivelata dalla televisione. La forma vera delle televisione si è
resa manifesta soltanto dopo l‘invenzione del computer. La forma del computer è già
possibile comprenderla meglio perché siamo entrati nel mondo delle Reti. La forma delle
Reti, invece, non è ancora visibile, perché non c‘è nessun medium più avanzato delle Reti.93
L‘artista primo mediatore fra i medium anticipa le individualità che possono non
riuscire a comunicarsi, verso una creazione collettiva e nuovi scenari sociali ha la
capacità di percepire prima degli altri esseri umani i cambiamenti epocali a cui non ci
si può sottrarre: «essi raccolgono il messaggio della sfida culturale e tecnologica
decenni prima che essa incominci a trasformare le società»94
. Derrick De
Kerckhove95
non parla più di intelligenza collettiva, come Pierre Levy, ma di
intelligenza connettiva:
Il poeta è il primo scienziato, colui che si occupa del software che utilizza l'uomo: il
linguaggio. Nell'epoca dell'elettronica il poeta è colui che scrive il software il nuovo
linguaggio. La nuova poesia è quella del software; Linus Thorvald è il grande poeta
dell'oggi; Linux è una forma d'arte, è una poesia moderna. Accanto a questa nuova idea di
poesia sopravvive tutto un mondo di nomi e di ―modi di dire96
.
Anche David Bolter segue e condivide questa funzione dell‘artista di anticipazione e
mediazione. Per De Kerckhove l‘arte, compromessa con le nuove tecnologie, diviene
più fruibile, è un‘arte che allaccia relazioni in cui il consumatore è un coautore non
riconosciuto. Bolter dalle pagine di Remediation delinea il ruolo prima di tutto di
mediazione che ha l‘artista con l‘arte e i nuovi media, in un‘operazione avvertibile.
L‘esperienza estetica diviene così interattiva e visibile. Tanto da implicare tutti nel
processo creativo. La rete non è solo un luogo culturale, non è soltanto una
tecnologia, ma è queste due cose insieme. Essa è un modo di pensare che ha a che
93
D. De Kerckhove, citato in M. T. Costa e Nolan. ―Estetica dei nuovi media. forme espressive e
network society‖ Editore Milano 2007. 94
M. Mc-Luhan ―Gli strumenti del comunicare‖, il Saggiatore Milano 1995 95
Antropologo, direttore Mc Luhan Program-Università di Toronto. 96
Da: http://www.e-journal.it/special_event/relatori/articoli/de_kerckhove.htm
CAPITOLO II
53
fare con l‘idea di velocità, di immediatezza. Valutando, ad esempio, l‘approccio
heideggeriano rispetto alla questione della costituzione del mondo, la rete va vista
come un nuovo habitat linguistico con caratteri totalmente innovativi rispetto al
passato. Inoltre, è un supporto essenziale alla multimedialità, nuovo continente del
sociale caratterizzato dalla molteplicità dei punti di vista: molteplicità dei punti di
vista sul mondo, la rete è il luogo della massima visibilità. Secondo Castells sebbene
la tecnologia di per sé non determini l‘evoluzione storica e il cambiamento sociale,
essa (o la sua mancanza) rappresenta la capacità delle società di trasformare se
stesse. Egli inoltre afferma che, per la comprensione del rapporto tra tecnologia e
società, va ricordato il ruolo dello Stato, capace di arrestare, stimolare o guidare
l‘innovazione tecnologica, per cui costituisce un fattore decisivo nel processo
complessivo.
I nuovi strumenti di comunicazione rispondono all‘esigenza di espressione e
creazione, tuttavia in modo altamente individualizzante. La rete offre la possibilità di
collegare queste individualità che possono non riuscire a comunicare, verso una
creazione collettiva e democratica. «l‘arte, sempre più un‘espressione ibrida dei
materiali virtuali e fisici, può essere un ponte fondamentale tra l‘io e la rete»97
Lev Manovich, avendo studiato architettura, animazione e programmazione prima di
iniziare a lavorare con i computer media, appare particolarmente capace di percepire
una infoestetica che si riferisca alle nuove pratiche culturali contemporanee le quali
possono essere intese come responso alle nuove priorità della società
d‘informazione. Occorre dare un senso all‘informazione, lavorare con l‘informazione
e produrne conoscenza. Manovich si è molto interessato al mezzo cinematografico ed
afferma che l‘estetica del montaggio ha avuto da sempre nella selezione e nella
composizione le sue due operazioni fondamentali. Il database oggi diviene la base
per una scelta e una successiva integrazione di parti in modo nuovo e originale, come
il remix e il DJ.
Gia al momento in cui, negli anni novanta, Hollywood produsse versioni
cinematografiche di romanzi classici, quali le opere di Jane Austen (ad esempio
―Orgoglio e pregiudizio‖), si trattava di opere che , pur non evidenziando chiari
riferimenti con la versione cartacea, erano, in realtà, degli adattamenti. Il contenuto
97
M. Castells ,―Galassia Internet‖ di Feltrinelli Milano 2002
CAPITOLO II
54
di una forma di ―prestito‖ di un medium da un altro e quindi di una sorta di rimedi
azione. Se, come è in verità. per rimediazione si intende la rappresentazione di un
medium in un altro medium, ossia l'utilizzo di alcune caratteristiche tipiche di un
medium all'interno di un altro. Nello specifico al presente si intende il fenomeno di
rimediazione dei media analogici da parte di quelli digitali e dobbiamo il termine a
Jay David Bolter e Richard Grusin, i quali a loro volta fecero propria loro la tesi che
Marshall McLuhan aveva già manifestata nel 1964: ―Il ‗contenuto‘ di un medium è
sempre un altro medium. Il contenuto della scrittura è il discorso, così come la parola
scritta è il contenuto della stampa e la stampa quello del telegrafo‖98
. McLuhan
pensava alla rimediazione come un modalità di prestito tra media, basata sulla
incorporazione o rappresentazione di un altro medium.
Jay David Bolter e Richard Grusin rivedono, attualizzano e applicano questa
intuizione alla luce dello scenario mediale contemporaneo, caratterizzato dalle
tecnologie digitali di rete. Nel lavoro99
c‘è la risposta che il testo offre alla domanda:
qual è il ‗contenuto‘ dei media digitali?
Gli autori, partendo dal presunto determinismo tecnologico imputato al
massmediologo canadese, sul quale molti hanno scritto e per il quale rimandano a
Denis McQuail,100
e Patrice Flichy,101
oltre che a Raymond Williams,102
sottolineano in che modo una teoria mediologica possa leggere l‘invenzione e
l‘applicazione delle tecnologie di comunicazione, corredate di una loro ―forma‖
intrinseca, come determinanti il cambiamento sociale. Oltre alla linearità
unidirezionale, è proprio la ―forma‖ caratterizzante ad attirare le critiche più severe:
esiste davvero, ci si domanda, un‘essenza pura del medium, incorrotta dal processo
storico-sociale? Bolter e Grusin, affermano da prima che:
Sebbene McLuhan fosse considerato un radicale negli anni, Sessanta, il teorico canadese è
ora diventato il santo protettore dell‘industria dell‘informazione. Negli anni sessanta la frase
―villaggio globale‖, da lui coniata, veniva interpretata come una giustificazione della
protesta sociale e del movimento dei ―figli dei fiori‖. Oggi, anche i giganti della
comunicazione hanno felicemente adottato l‘espressione nelle loro campagne
98
M. McLuhan, ―Gli strumenti del comunicare‖. Il saggiatore (collana la cultura). 2008. 99
J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi‖.
Guerini studio. 2007. 100
D. McQuail, ―Sociologia dei media‖, Bologna, 1986 101
P. Flichy “L’innovazione tecnologica. Le teorie dell’innovazione di fronte alla rivoluzione
digitale”, Milano, 1996 102
R.Williams. “Televisione. Tecnologia e forma culturale‖, Roma, Editori riuniti.
CAPITOLO II
55
pubblicitarie103
per specificare poi come in McLuhan il determinismo tecnologico non sia così
decisivo e come, quindi, la critica che si pone alla sua logica non debba arrestare una
ricezione del suo pensiero. In tal modo, cominciando con il recuperare intricate
relazioni tra media, e non semplicistico determinismo, in McLuhan, si può giungere
sino al :
considerare gli agenti sociali e le forme tecnologiche come due facce della stessa medaglia:
quindi esplorare le tecnologie digitali come ibridi derivanti dalla combinazione di elementi
tecnici, materiali, sociali ed economici104
in un giudizio finale ed estremamente produttivo. Bruno Latour105
, sostiene
l‘impossibilità di continuare ad utilizzare le categorie interpretative della modernità,
in primis quelle di soggetto e oggetto, per approfondire lo sviluppo inarrestabile
degli ―ibridi‖. Cerca quindi di sostenere il discorso sulla necessità dell‘uomo
contemporaneo di ripensarsi, vale a dire di ripensare il proprio pensiero di se stesso.
In proposito si pone un interrogativo severo:
[…] ma quando ci si trova invasi da embrioni surgelati, da sistemi esperti, da macchine a
controllo numerico, da robot sensorizzati, dagli ibridi del granturco, dalle banche dati, dagli
psicotropi forniti per legge, dalle balene dotate di radio-sonda, dai sintetizzatori di geni, dagli
analizzatori di audience e così via […] Dove mettere questi ibridi? Sono umani si perché
sono opera nostra. Sono naturali? Si perché non sono di nostra fattura. Sono locali o globali?
Entrambe le cose.106
In tal senso ritroviamo il discorso fondamentale di Remediation, ossia che non
possiamo considerare un medium come l‘ultimo gadget tecnologico, ma piuttosto
come un network formato da attori sociali, oggetti tecnologici, dinamiche
dell‘ambiente globale. Tale network include al proprio interno riferimenti circolari
tra i suoi costituenti: «Benché sia vero che le qualità formali di un medium riflettono
i significati sociali e culturali ad esse associate, è ugualmente vero che questi aspetti
103
J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.
cit. Pag. 107. 104
J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi”.op.
cit. Pag. 108. 105
Bruno Latour (Beaune, 22 giugno 1947) è un sociologo, antropologo e filosofo francese 106
B. Latour, ―Non siamo mai stati moderni.‖ Saggio di antropologia simmetrica, Elèuthera, Milano,
1995.Pag. 68.
CAPITOLO II
56
sociali ed economici riflettono, a loro volta, le qualità tecniche e formali»107
.
Il pensiero di McLuhan segue, a svantaggio delle limitazioni e delle appiattimenti a
cui viene sottoposto (come ad esempio sul concetto di media caldi/media freddi), uno
sviluppo complesso, non dialettico, connesso allo sforzo di difendere la presenza di
contrari, senza giungere ad alcuna sintesi. Proprio in questo tentativo si deve
afferrare l‘incarico più impegnativo che Bolter e Grusin si assumono: riuscire, con
McLuhan, a non appiattire il concetto di rimediazione su quello hegeliano di
Aufhebung, (cioè superamento che toglie l’opposizione tra tesi e antitesi ma anche
conservazione, nello stesso tempo, della verità di entrambe e della loro precedente
opposizione). Considerare lo scenario mediale nell‘attuale contesto storico in tutta la
sua varietà, senza con questo negare e superare il passato: logiche differenti che
coesistono senza presunzioni di dominio.
Lo scopo è quello di esplorare le trasformazioni che i nuovi media apportano sui
vecchi e viceversa sostenendo una pluralità di forme mediali che diviene centrale
nella cultura mediale in America come in Europa. I principi estetici sostenuti da
Bolter e Grusin sono quelli dell‘immediatezza, ipermediazione e rimediazione ed
esaminano non solo la scena attuale (offrendoci il loro testo per aiutarci ad
comprenderlo), ma tutta l‘avventura moderna sin dal Rinascimento, precisando non
una ma due modernità mediali: la prima dominante e magnificente e l‘altra, invece,
molto spesso nascosta ma pur sempre viva. Seguendo tali percorsi, gli autori
ricercano e disegnano una genealogia dei media digitali, ponendosi in opposizione a
tutta una retorica della rivoluzione digitale molte volte corrosa da profondo
determinismo e da non dichiarate valenze ideologiche.
Abbiamo due ―realtà‖ che appaiono in contrasto: l’immediatezza, ossia la capacità
del medium di rendersi trasparente, di farsi percepire con prontezza percettiva, priva
di mediazioni e interfacce e l’ipermermediazione, quello stile frammentato,
eterogeneo «che, per dirla come William J. Mitchell(1994)‖ privilegia la
frammentazione,l‘indeterminatezza e l‘etereogeneità e […] enfatizza il processo o la
performance piuttosto che l‘oggetto artistico compiuto.»108
L‘immediatezza la si
ritrova nella realtà virtuale, ma è presente anche nell‘esigenza di usare immagini
107
J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.
cit. Pag.96 108
J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.
cit pag. 56
CAPITOLO II
57
digitali che siano più realistiche e dal vivo come se, ad esempio nel cinema, le
immagini in cui sono presenti elaborazioni al computer, animazioni e controfigure
computerizzate fossero girate dal vero. La realtà virtuale come la grafica
tridimensionale e l‘interfaccia del computer GUI trasformano la tecnologia digitale
trasparente:
In questo senso, un‘interfaccia trasparente dovrebbe essere in grado di cancellare se stessa,
in modo tale che l‘utente non sia consapevole del fatto che sta confrontandosi con un
medium, ma si trovi piuttosto in una relazione immediata con i contenuti di quel medium.109
Come ricordano gli autori, questo bisogno di immediatezza risale alla prospettiva
rinascimentale teorizzata da Brunelleschi, Alberti, Donatello ed altri, che troverà
contemporaneo e successivo sviluppo con la tecnologia della camera oscura anche
attraverso le opere dei ―vedutisti‖ e più precise realizzazioni con la fotografia, il
cinema e la televisione. La fotografia, introducendo la prospettiva lineare attraverso
un processo di automazione, sembrerà rendere inutile l‘artista, posto fra la realtà e il
fruitore e lo farà attraverso la meccanica e la chimica.. Al momento più di un secolo
di cinema e fotografia si sono dati il compito di studiare il modo di ottenere la
riproduzione dello spazio tridimensionale su superfici piatte. I film che uniscono
animazione e immagini tridimensionali con le tradizionali tecniche fotografiche e
cinematografiche hanno ricondotto l‘interesse nei confronti di una disciplina che ha
il fine di plasmare con scrupolosità le proprietà fisiche e ottiche del mondo reale.
L‘arte e la matematica, che parrebbero tanto lontane tra di loro, si sono fuse per
affascinare e trascinare l‘osservatore nell‘immaginario non reale ma sintetico
concedendo alla mente umana la realizzazione fantastica dell‘immateriale.
Il fotorealismo rappresenta immagini fatte nascere da computer che avvalendosi delle
proprietà ottiche e fisiche del mondo reale, le traduce matematicamente, con un
procedimento tale che un osservatore sia ingannato fino a confondere un‘immagine
artificiale con una fotografia.
Non vuole essere un inganno per lo spettatore, in realtà per immediatezza si intende
qualcosa che accomuna varie forme e pratiche culturali in cui vi è un punto di
contiguità tra il medium e quello che viene riprodotto.
Allo stesso modo della immediatezza trasparente, anche i media hanno una loro
109
Jay J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.”
op. cit. pag. 46
CAPITOLO II
58
storia. Negli anni sessanta e settanta operarono Englebart, Kay ed i loro colleghi
della xerox parc che inventarono l‘interfaccia utente di tipo grafico chiamata
―finestre‖ i rettangoli che scorrono sul video. Lo stile a finestre dell‘interfaccia del
computer ci rimanda alla nota metafora, coniata da Leon Battista Alberti, del quadro-
finestra. Una metafora che è andata oltre l'idea di mimesi e che ha rappresentato un
vero e proprio topos della teoria estetica. Le finestre del Web sono una interfaccia
trasparente, ossia non cerca di nascondere se stessa, il suo linguaggio risiede nella
continua esibizione dei suoi contenuti eterogenei, nella varietà delle sue finestre. In
questo caso l‘immediatezza viene a cadere:
Se la logica dell‘immediatezza porta a cancellare o a rendere automatico l‘atto di
rappresentazione, la logica dell‘ipermediazione riconosce l‘esistenza di atti di
rappresentazione multipli e li rende visibili. Dove l‘immediatezza suggerisce uno spazio
visuale unificato, l‘ipermediazione ne offre uno eterogeneo […] un‘entità costituita da
finestre: finestre che si aprono su altre rappresentazioni o su altri media […] cerca di
riprodurre la ricchezza sensoriale dell‘esperienza umana.110
La rappresentazione di un medium dentro un altro è una peculiarità sostanziale dei
nuovi media digitali che sono in grado di legare in un network indissolubile tutta la
varietà mediale utilizzabile (dalla stampa alla televisione) e tutte gli sviluppi sociali
ed economici possibili.
I media digitali come si è visto implicano il contrasto tra le due logiche che nel corso
di tutta la modernità non sono state comparabili in quanto hanno caratterizzato un
medium piuttosto che un altro.
Bolter e Grusin hanno focalizzato la ―doppia logica della rimediazione‖, presentando
da un lato la dialettica dell‘immediatezza e dall‘altro quella dell‘ipermediazione. Con
immediatezza gli autori distinguono quelle certezze e quelle pratiche mediali vicine
tra loro dalla «convinzione che esista un punto di contatto tra il medium e ciò che
viene rappresentato»111
Possiamo parlare in tal senso della prospettiva di Leon
Battista Alberti che può essere considerato l‘archetipo mediale della dialettica
dell‘subitaneità dal momento che per mezzo della finestra delimitata dalla cornice si
può osservare la realtà, qual é, escludendo la cornice da quella realtà. «Se la logica
110
J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.
cit pag. 59 111
J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.
cit. pag. 56
CAPITOLO II
59
dell‘immediatezza porta a cancellare o a rendere automatico l‘atto di
rappresentazione, la logica dell‘ipermediazione riconosce l‘esistenza di atti di
rappresentazione multipli e li rende visibili»:112
Si tratta di due dialettiche: se
immediatezza significa trasparenza e autenticità dell‘esperienza, visione di una realtà
reale, ipermediazione invece evidenzia opacità e, ancora una volta, autenticità
dell‘esperienza, ma di una realtà mediale. Difatti oggi, sia secondo una logica
epistemologica che psicologica, occorre fare i conti con due realtà: quella che
potremmo definire realtà fisica, ossia l'insieme di ciò che esiste realmente e
concretamente e, nell‘informatica, della realtà virtuale, con situazioni, esperienze
simulate al computer e in tutto simili a quelle reali. Nei media digitali, le due logiche
agiscono e reagiscono contemporaneamente e di conseguenza :
la cultura contemporanea vuole allo stesso tempo moltiplicare i propri media ed eliminare
ogni traccia di mediazione: idealmente, vorrebbe cancellare i propri media nel momento
stesso in cui li moltiplica113
.
La rimediazione, caratteristica specifica dell‘attuale morfologia mediale, in aggiunta
alla ricerca di una convivenza simultanea dei caratteri di immediatezza e
ipermediazione implica una competizione e contemporaneamente una integrazione
tra media vecchi e nuovi. ―Remediation‖ su questo punto prova a realizzare una
logica non moderna, cioè non lineare. Si pone in modo differente riguardo ai
all‘enfatizzazione di futuri eccezionali e progressisti che desidererebbero far
realizzare l‘emergere di nuovi media come l‘atto di morte dei media trascorsi, Bolter
e Grusin suggeriscono un andamento articolato al punto da includere dentro di sè la
rimediazione dei vecchi media da parte dei nuovi, così come la rimediazione dei
nuovi da parte dei vecchi.
La rimediazione opera in entrambe le direzioni: gli utenti dei vecchi media come film e
televisione possono cercare di appropriarsi e rimodellare la grafica computerizzata, così
come gli artisti di grafica digitale possono rimodellare cinema e televisione114
112
J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.
cit.pag. 59 113
J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.
cit.pag. 59 114
J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.
cit.pag. 76
CAPITOLO II
60
Questi sviluppi di integrazione e competizione sono verosimili in virtù della
impurità dei media, ininterrottamente collegati ad ambiti mediali e il più delle volte
sociali e non riconducibile ad essi.
Prendendo su di sé l‘eredità mcluhaniana, Bolter e Grusin individuano il ―contenuto‖
dei nuovi media digitali nei media antecedenti, racchiudendo i media come
ibridazioni di più costituenti, indicando dialettiche e sviluppi non lineari e tese al
compendio. Immediatezza e ipermediazione vogliono spingere verso una autenticità
dell‘esperienza. La dialettica dei nuovo media sembra includere dunque termini
apparentemente in contrasto tra loro oppure formanti una triade comunque
essenziale e in necessaria coesistenza : il bisogno di immediatezza trasparente cozza
contro la natura mediale del mezzo ma in qualche modo viene confermata
l‘autenticità dell‘esperienza .
Bolter e Grusin sono particolarmente legati alla realtà virtuale, la discendente della
prospettiva dell‘Alberti e del Brunelleschi, in quanto rimedia il punto di vista fisso
caratteristico dei dipinti rinascimentali, donando un punto di vista non fisso, e perché
si avvicina alla trasparenza completa, ossia tale da far scomparire il medium e
permettere allo spettatore di entrare nel quadro. Si è in grado di realizzare tale
immediatezza attraverso l‘immersione tridimensionale e la possibilità di interazione.
E‘ possibile creare un collegamento tra la prospettiva , la realtà virtuale ed il cinema
con l‘uso della ―soggettiva‖. Attualmente la realtà virtuale sembra appagare la
voglia di subitaneità predominante lungo la modernità, che la televisione ed il
cinema fino ad oggi non avevano appagato, ma attualmente sono in grado di offrire
Possiamo però parlare di medium visivi? W.J.T. Mitchell , l‘autore di ―There are
no visual media‖ sosterrebbe che non si possa farlo, benché questa espressione
venga utilizzata comunemente per designare cose come Tivù, film, fotografia,
dipinto e così via. Questo perché tutti i così detti media visivi ad una più attenta
analisi, in qualche modo coinvolgono gli altri sensi (specialmente il tatto e l‘udito).
In ultima analisi tutti i media , dal punto di vista delle percezioni, sono ''media
mescolati.'' E c‘è da credere che a breve al 3D si aggiungerà la possibilità di sentire
profumi attinenti alle situazioni virtuali. D‘altra parte Mitchell ci ricorda
l'osservazione di Aristotele a proposito del dramma, che connette i tre ordini del
lexis, del melos, e della opsis, ossia parole, musica e spettacolo.
Ogni concezione di genuinità assoluta, anche prima della rimediazione, sembra
CAPITOLO II
61
quindi fuori luogo parlando di questi media antichi e moderni, sia dal punto di vista
dei sensi che da quello degli elementi semeiotici che contengono e in ciò che è
esterno nella loro eterogenea composizione pubblica. E, se si è argomentato che i
film muto fossero media ―puramente visivi'', occorre ricordare il semplice fatto che
nella storia dei film muti questi fossero sempre accompagnati da musica e discorsi, e
che gli stessi filmati hanno avuto al loro interno spesso scritte o parole stampate.
Sottotitoli, interstizi, parlati e accompagnamenti musicali fecero coreografia del film
―muto‖. Occorre dire che il candidato migliore di un media puramente visivo resta
dunque soltanto la pittura. Fermo restando le tecniche pittoriche di uscita dalla
cornice come la Prospettiva passante di Masaccio, ad esempio nella Cappella
Brancacci al Carmine, gli scorci di Mantegna, come nel ―Cristo morto‖, lo
sfondamento delle cupole barocche e i Trompe l‘oeil.
Parlando di realtà virtuale, secondo Jenny Holzer, 115
questa è una tecnologia, un
medium e un concetto allo stesso momento e non è tre cose differenti. Lui li
considera tre aspetti differenti della stessa idea che concedono l‘abilità di controllare
e creare l‘esperienza. Il termine realtà virtuale , con cui la società attuale si appresta
ad entrare sempre più in contatto (il tatto, appunto) si riferisce a sette diverse idee e
tecnologie: simulazione, interazione, artificialità, immersione, telepresenza,
immersione di tutto il corpo, e comunicazione in rete. Infine la RV è un tipo di
Immaginario Oggettivo in cui le persone possono sia controllare che condividere
esperienze che sono reali ma non realmente materiali, né veramente mentali. In un
mondo virtuale, non soltanto gli oggetti ma lo spazio stesso è interattivo. L‘effetto
dell‘ambiente virtuale è quello di circondare il visitatore per cui può apparire, come
afferma Margaret Morse116
, come qualcosa di ―vivo‖ o ―animato.‖
La RV dunque non è soltanto una tecnologia della visione, ma anche del tatto. Bolter
e Grusin, parlano del tatto:
115
Jenny Holzer (Gallipolis, 29 luglio 1950) è una artista statunitense considerata una delle principali
esponenti delle più recenti tendenze dell'arte concettuale e dell'arte pubblica.
Il suo campo di intervento è costituito dal posizionamento di brevi testi nello spazio urbano attraverso
l'utilizzo di vari supporti (cartaceo, LED luminosi, pietre incise, video). Complessivamente si tratta di
un'operazione di defamiliarizzazione del paesaggio mediatico più consueto che mima e ribalta i
dispositivi pubblicitari. 116
Margaret Morse è Professore Associato. di Film e Video presso la UC di Santa Cruz, dove
insegna Teoria e critica dei nuovi media.
CAPITOLO II
62
Il teorico dei media Florian Rotzer può però avere ragione nel sostenere che, proprio perché
il tatto è difficile da integrare nell‘ambiente virtuale essa sarà considerata una sensazione
privilegiata.117
In ultimo dedichiamo una attenzione particolare al paragrafo ―La dissoluzione dell’Io
cartesiano‖, in cui gli autori riportano una descrizione di Anne Balsamo118
che tra
l‘altro precisa: «In un programma di realtà virtuale l‘utente sperimenta la realtà
virtuale attraverso uno sguardo disincarnato- una prospettiva fluttuante e in
movimento- che mima il movimento dell‘occhio disincarnato della telecamera»119
.
Ricordano appunto Cartesio, il quale sostiene che nemmeno le scienze matematiche,
apparentemente certe, possono sottrarsi allo scetticismo metodologico, non avendo
gli esseri umani una conoscenza precisa e sicura della nostra origine e del mondo che
ci circonda, e seguendo gli autori che descrivono la RV come «una tecnologia che ha
il potere di ribaltare completamente il pensiero di Cartesio»120
, giungiamo assieme a
loro alla conclusione che «la realtà virtuale contiene dunque la contraddizione di
essere allo stesso tempo cartesiana e anticartesiana, astratta e sensuale, centrata e
frammentata, forse anche simultaneamente maschilista e femminista»121
.
Concludiamo con le parole di Mario Costa
La natura del medium, per tentare di capire di più, ci sembra, da un lato, quella di dissolvere
il soggetto individuale(facendolo non tanto ―navigare‖ quanto ―annegare‖ nello sconfinato
―oceano/serbatoio‖ di dati o facendolo ―disperdere‖nell‘infinità della comunicazione di rete),
d‘altro lato quella di affermare se stesso come flusso. Un‘estetica di Internet deve coincidere
insomma con una qualunque modalità di tematizzazione sovra personale del flusso, deve
cioè operare nella direzione di una modulazione ipersoggettiva del flusso o, il che è lo stesso,
di una modulazione ipersoggettiva del tempo.
Ed è quanto mi pareva di avere capito nell‘86, prima dell‘avvento stesso di Internet, quando
scrivevo: L‘estetica della comunicazione è una estetica di eventi. L‘evento è ciò che si
sottrae dalla forma e si presenta come flusso spazio-temporale o processo dinamico e
117
J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.
cit. pag. 288. 118
Attualmente Professore Ordinario, della Divisione Interactive Media, School of Cinematic Arts
(SCA) e nella Annenberg School di Comunicazione e Giornalismo, presso l‘università di Southern
California, Los Angeles. 119
J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. op. cit.pag. 283. 120
J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. op. cit.pag. 285. 121
J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. op. cit.pag. 288.
CAPITOLO II
63
vivente‖. Il ―flusso‖, o ―processo dinamico‖ di cui parlavo allora è, in sostanza, quella
modulazione ipersoggettiva del tempo alla quale Internet, in particolare, ci fa accedere e
sulla quale gli artisti sono chiamati a lavorare.
2.3 La rimediazione nel cinema e nella televisione
2.3 1 Lo schermo, l‘utente e la realtà virtuale.
Sia che si parli di cinema o di televisione il punto di partenza su cui si giocano le
nuove tecnologie, almeno per ora, sembra essere lo schermo e la relativa cornice.
Sin dalle sue origini ―la cornice‖ svolge un ruolo rilevante all'interno dei dispositivi
di produzione e assimilazione delle immagini, permettendoci di disgiungere il
dominio dell'arte, o del ―non reale‖, dal mondo reale. Prende su di sé una punto di
rottura tra due diverse forme di realtà, il mondo fenomenico e ―l‘altro‖, ad esempio
quello della rappresentazione pittorica, e differenzia lo spazio dell'opera, ossia il ―di
dentro‖ della rappresentazione, dallo spazio dello spettatore, ossia il ―di fuori‖.
Inoltre, oltre a separare queste due entità spaziali, ―mette in cornice‖ l‘oggetto da
osservare, dandogli importanza strategica.
La cultura visiva è contraddistinta dunque ( dalla pittura, alla televisione, al cinema
ed al computer), dall‘esistenza di un altro spazio virtuale compreso in una cornice e
collocato all‘interno del nostro spazio normale. In pratica è la cornice che divide i
due spazi, così dissimili tra di loro, che pure sono compresenti nel nostro mondo
reale.
Stiamo parlando evidentemente dello schermo ―classico‖.
Da sempre, anche nella logica di Leon Battista Alberti, si tratta di una superficie
piatta (che in pittura può assumere anche una forma circolare), me che nel cinema,
nella televisione e nei Pc, assume una forma piana, rettangolare, destinata alla
visione frontale, con la caratteristica di esistere nel nostro mondo fisico ed agire in
uno spazio ―altro‖: quello della rappresentazione.
Tale spazio usufruisce una scala dimensionale diversa da quella che impieghiamo nel
nostro spazio normale. Stiamo parlando di uno schermo che non è molto cambiato
nello spazio di cinque secoli ed è a causa di ciò che i nomi dei due formati
fondamentali per l‘uso dei monitor del Pc. hanno relazione con due differenti generi
pittorici: il formato orizzontale viene chiamato ―a paesaggio‖ e quello verticale ―a
ritratto‖. Nasce circa un secolo fa il tipo di schermo che può definirsi ―dinamico‖, il
CAPITOLO II
64
quale aggiunge alle vecchie caratteristiche la possibilità di una immagine che muta
nel tempo, come avviene nello schermo del cinema, della televisione e del video del
computer. Tale tipologia di schermo comporta però una particolare relazione tra
l‘immagine e lo spettatore, ovvero un certo regime di visione. L‘immagine che
appare sullo schermo si sforza di creare una completa illusione con la ricchezza di
visuale, ma viene richiesto allo spettatore di lasciare da parte lo scetticismo e
identificarsi con l‘immagine stessa.
Brunelleschi tentava di recuperare questa illusione a mezzo della prospettiva sin dal
quattrocento. Dice Giuliano Briganti122
in relazione all‘opera del Brunelleschi:
La vista è un fenomeno molto più complesso di quanto non supponesse il Brunelleschi.
Quello che l‘occhio percepisce è uno spazio limitato e discontinuo, l‘immagine è sfocata ai
margini e divisa in gruppi più o meno indipendenti. Inoltre, poiché il campo visivo è
fisiologicamente sferoidale l‘occhio, in parte percepisce curve, invece di rette.
Ma c‘è un ―nuovo gioco‖ che le moderne tecnologie della realtà virtuale possono
offrire: la realtà virtuale, che già nel 1968 ci regalò David Sutherland, con il display
tridimensionale per l‘HMD, ―head Mounted display‖. Una realtà virtuale, partita per
ricerca di strumentario di guerra, atterrata invece nel mondo civile, con i videogiochi
e l‘utilizzo nel lavoro, oltre al mondo della sanità con una svariata possibilità di
utilizzo per la salute pubblica.
Da questo punto in poi il dentro ed il fuori, il vero ed il falso, il percepito e l‘esistente
si avviano proprio a confondere e non sappiamo dove ci condurrà questa strada. Basti
pensare a ciò che potrebbe regalarci il futuro anche se oggi è fantascienza: nello
―Star Trek”123
, i membri dell‘astronave Enterprise per rilassarsi, possono accedere a
tutti i paesaggi che la loro immaginazione o quella di chiunque possa sognare.
Possono rivivere una battaglia da un'antica guerra, conversare con personaggi di
fiction come il Detective Sherlock Holmes. Possono vedere, ascoltare, sentire, ma
anche il gustare e odorare. Possono partecipare e interagire alle scene. Camminando
attraverso una scena, il loro punto di vista si abbassa, come sarebbe se fossero a piedi
122
G. Briganti ―Il romanzo della pittura - Masaccio e Piero”, supplemento a ―La Repubblica‖, 2
novembre 1988, p. 18. 123
Star Trek è una sere televisiva statunitense di genere fantascientifico che ha avuto inizio nel 1966,
ideata da Gene Roddenberry, divenuta in seguito tra le più popolari nella storia della televisione. Dal
successo della prima serie - in larga parte postumo - sono derivate nel corso di quarant'anni altre
cinque serie televisive (di cui una a cartoni animati) e undici pellicole cinematografiche (la più recente
del 2009).
CAPITOLO II
65
in un luogo reale. Quando parlano, i personaggi nella scena rispondono. Quando
colgono un fiore, ne percepiscono la consistenza e il peso nelle loro mani. Ma sanno
che nulla è reale. Tutto è stato creato da un computer. Un inventore di nome Ivan
Sutherland ha immaginato qualcosa di simile nel 1965. Egli l‘ha chiamato l'ultimo
display. Ha illustrato una sorta di ―stanza‖ entro la quale il computer è in grado di
controllare l'esistenza della materia e in grado di creare ciò che egli definiva ―mondi
virtuali‖. Sutherland ha scritto: «Sulla sedia [che faceva parte del display]... sarebbe
sufficiente sedersi. Con la programmazione del caso, ossia un display, chiunque
potrebbe essere letteralmente scagliato nel paese delle meraviglie in cui Alice ha
camminato .»
I dispositivi dei computer possono far girare in forme matematiche le informazioni
che gli utenti possono percepire con i sensi. Chi si trova all‘interno della stanza
virtuale è completamente circondato, o immerso in questi mondi artificiali. Gli
oggetti in mostra hanno aspetto tridimensionale, con le diverse parti che possono
essere spostate e utilizzate. I display sono interattivi, individuano i movimenti dei
telespettatori e cambiano in risposta ad essi, in ―tempo reale‖e anche più rapidamente
di quanto accade nel mondo reale.
Nel tardo 1980, un altro inventore, Jaron Lanier, ha lavorato alla realtà virtuale,
spesso ridotta a VR. In quel tempo, la tecnologia necessaria per la loro creazione era
già in fase di sviluppo.
Oggi, quindi, la tecnologia della realtà virtuale sta cominciando a diventare parte
della vita delle persone. I giocatori seduti in ―video arcades‖ o al loro computer di
casa o alla consolle per videogiochi, impiegano funzionalità per vedere in
panoramica tridimensionale, scene reali o di fantasia. I piloti usano una più
complessa VR, con simulazioni pratiche di volo, i lavoratori edili li usano per
imparare a operare con pesanti attrezzature. I chirurghi si occupano di realtà virtuale
per pianificare le operazioni, gli psichiatri la utilizzano per trattare alcuni tipi di
malattie mentali. I bambini nelle aule con uso VR apprendono di arte e di scienza nei
musei, nei parchi nazionali, o ricreanti eventi storici. Gli scienziati utilizzano la VR
per vedere dentro la terra o per manipolare gli atomi e le molecole per creare nuovi
farmaci. I designer possono utilizzarla per creare nuovi aerei, automobili e edifici.
Naturalmente l‘utilizzo della realtà virtuale sta cominciando a suscitare seri
interrogativi etici, malgrado ciò è pensabile che entro la metà del XXI secolo, molte
CAPITOLO II
66
aziende e anche le case private potranno avere camere in grado di creare illusioni
convincenti che circondano i telespettatori.
2.3. 2 Cinema e tv.
Naturalmente la sempre maggiore predominanza dei nuovi mezzi di comunicazione
non poteva restare fuori da quella che possiamo considerare la forma d‘arte più
amata del ventesimo secolo, ossia il cinema. La televisione, per sopravvivere, ha
anch‘essa bisogno di rimediare i nuovi media digitali, anche se, come ricordano
Bolter e Grusin: «… rispetto al cinema, essa ha il vantaggio di avere sempre attinto
liberamente forme e materiali da altri media». 124
La televisione insomma è stata
―ipermediata‖ anche prima che la grafica digitale divenisse di uso comune E‘
evidente che la televisione broadcast di tipo tradizionale stia attualmente affrontando
una sfida di grande interesse, non appare strano che possa fondersi o avvicinarsi ad
altri media controllati esplicitamente dalla evoluzione del computer senza correre il
rischio di perdere in modo totale la propria identità. Intanto i produttori televisivi
sono occupatissimi a ottenere il massimo rendimento dalla tecnologia digitale allo
scopo di accrescere l‘ostentazione della immediatezza, caratteristica del medium
televisivo.
Questo avviene per cinema e televisione per mezzo dell‘incorporamento della
grafica digitalizzata e di accorgimenti di grafica digitale per ridisegnare i film con
una struttura narrativa lineare. Bolter e Grusin in Remediation si muovono dal
cinema d‘animazione quale esempio in cui l‘introduzione delle tecnologie digitali ha
disposto la crescita dei film tradizionali. Questo tipo di cinema, infatti,
particolarmente quelli prodotti dalla Disney, qualificati specialmente all‘inizio come
un genere destinato a una propria fascia di utenti, ha spesso rimediato ―all‘indietro‖
leggende, miti, fiabe, classici della letteratura, come anche le pratiche
cinematografiche con la simulazione di carrelli o movimenti della macchina da presa
caratteristici dei film d‘azione e generi come il musical.
Con Toy Story, il primo lungometraggio d'animazione completamente sviluppato in
grafica computerizzata, realizzato dalla Pixar e distribuito dalla Walt Disney
124
J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.
cit. pag. 217
CAPITOLO II
67
Pictures, vi fu un incasso di 356.800.000$ in tutto il mondo. Divenne il film con il
maggiore incasso nel 1995 ed entrò al 65º posto nella lista dei film che hanno
venduto maggiormente. Il film, che venne proiettato in anteprima mondiale il 19
novembre 1995 a Los Angeles, uscì nelle sale cinematografiche degli Stati Uniti
d'America nel novembre 1995, ma in Italia uscì il 22 marzo 1996. successivamente è
stato rimasterizzato in 3D ed è uscito nelle sale statunitensi e canadesi il 2 ottobre
2009. Ciò non evita che, secondo Bolter «prende a prestito il potere grafico dei
media digitali ma ne rimuove la promessa (o minaccia) di interattività»,125
il film
difatti conserva gli statuti della linearità narrativa, verosimilmente dovuto alle
logiche economiche dei principali studi di produzione cinematografica. Per Bolter e
Grusin quello che il cinema d‘animazione ha assimilato nell‘incontro con le moderne
tecnologie è stata una più grande cognizione dei suoi modi d‘espressione meritevoli
di misurarsi con il realismo di hollywood.
A tal proposito occorre ricordare che la televisione è emersa, come forma mediale,
quando il cinema hollywoodiano si era da qualche tempo attestato come forma
culturale ed era pervenuto a una stabilità sul piano economico e un preciso e notevole
status sociale. Nel corso dei suoi primi anni di vita la televisione si ispirò a
precedenti forme di spettacolo quali il vaudeville, in bilico tra il genere teatrale di
carattere leggero, sorto in Francia alla fine del Settecento, è la Commedia brillante,
basata su un fitto alternarsi di situazioni spiritose, in voga tra la fine dell'Ottocento e
gli inizi del Novecento.
In seguito, continuando nella sua opera di rimediazione ha iniziato con il rimediare i
classici generi cinematografici, giungendo con il tempo a trasmettere i film già
passati sul grande schermo per poi convertirsi in un vero e proprio cinema privato
domestico.
Nel tempo ha predisposto i suoi stili di trasparenza, collegati alla fruizione del
pubblico; le sue necessità hanno quindi coinvolto la componente estetica e la
capacità di essere in continuo aggiornamento e contatto con l‘emotività del pubblico,
tale da fare propria l‘attenzione in modo dinamico e incessante. E‘ il momento in cui
la ostentazione di una ripresa dal vero diviene il marchio di garanzia, per cui
125 J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.
cit.pag. 179.
CAPITOLO II
68
cominciano a moltiplicarsi programmi definiti reality, verso cui lo spettatore più che
guardare, si pone nell‘ottica del voyeur. Tale immediatezza è, però intrinsecamente
collegata a una forte ipermediazione giacché la grafica e la superficie dello schermo
stanno divenendo molto somiglianti a quella di un computer.
Paradossalmente lo stile a finestra tipico del computer è più evidente in quei programmi che
offrono una visione trasparente degli eventi in diretta. Dal momento che i telegiornali
vogliono proporre il maggior numero di notizie nel minor tempo possibile, essi tendono a
riempire lo schermo, evidenziando il potere della televisione di cogliere gli eventi. Questo
atteggiamento porta a quello che può essere chiamato ―look CNN‖.126
Per contro, sebbene vi sia la presenza di media digitali integrativi che ovviamente
non possono non essere percepiti dallo spettatore, togliendo quindi trasparenza alla
visione, questo non tende a diminuire il ricercato senso di immediatezza. Basti
pensare che, ad esempio, la CNN sia resa nota al pubblico proprio per la sua capacità
di offrire la realtà ―momento per momento‖, di guerre, crimini e disastri naturali.
La logica dell‘immediatezza contraddistingue anche la rappresentazione
hollywoodiana benché all‘interno di questa la grafica venga introdotta sia la logica
dell‘immediatezza sia quella dell‘ipermediazione. Difatti in molti film d‘azione la
grafica è molto visibile così come gli effetti speciali, che sono riportati in modo
talmente visibile da rendere lo spettatore stupito e incantato dal procedimento in cui
è reso l‘effetto. Nel caso di ―Jurassik Park‖ le creature concepite al computer sono
realizzate in modo iperrealistico tanto da apparire ―più vere del vero‖.
L‘immediatezza e la trasparenza si compiono nelle produzioni cinematografiche che
utilizzano i mezzi digitali in sintonia con lo spettatore come accadeva in passato per
il cinema d‘attrazione. Era quindi riconosciuto immediatamente il nuovo mezzo,
tuttavia permaneva la meraviglia per l‘effetto di realtà che introduceva nelle platee.
Bolter e Grusin affermano che Hitchcock sia uno dei precursori di questa logica e in
tal senso sostengono che il film ―Vertigo, la donna che visse due volte” del 1958,
anticipi di circa due decenni la rivoluzione digitale del cinema e permetta un esempio
molto evidente delle tecniche di rappresentazione ora in uso dai grafici digitali e dai
designer. Vi sono scene che non seguono la logica della trasparenza, quale quella
126
J. D. Bolter e R. Grusin ―Remedation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.” op.
cit.pag. 222
CAPITOLO II
69
dell'effetto Vertigo, che è la combinazione di uno zoom in avanti e di una carrellata
indietro, o di uno zoom all'indietro e una carrellata in avanti. Hitchcock l‘usò per
creare il senso di vertigine del protagonista affetto da acrofobia.127
Negli anni Cinquanta quindi la sensazione dell‘ipermediazione poteva essere
associata ai disturbi mentali mentre oggi questa tecnica appare normale.
2.3. 3 Uno sguardo alla terza dimensione.
Per quanto riguarda la televisione sembra oramai divenuta una realtà, anche se
ancora costosa e quindi ―non per tutti‖, della Tv in 3D.
3D è l‘abbreviazione di ‗tre dimensioni‘ ossia la relazione di un oggetto o di
un‘immagine al campo delle tre dimensioni spaziali: verticale, orizzontale e
profondità.
La possibilità della vista in tre dimensioni è connaturata nell‘essere umano per via
della convergenza degli assi visivi (visione binoculare), che focalizza un unico punto
partendo da posizione diversa (i nostri due occhi).
Il cinema 3D o la incombente televisione 3D vuole ricreare questa sensazione di
immagini in tre dimensioni che è pertinente alla vita reale.
La riproduzione tridimensionale di immagini e filmati non è una tecnologia recente,
anche se solo recentemente ha ridestato un grande interesse nel pubblico grazie ai
miglioramenti della tecnologia.
Questa tecnologia utilizzata basandosi sulla stereo-visione non è per nulla recente in
realtà, infatti, si parlava di visione 3D applicata alla proiezione di contenuti visivi già
nel 1830 esposta da Sir Charles Wheatstone128
e poi fu effettivamente prodotta nel
1922, precisamente il 22 dicembre con il film The man from M.A.R.S. proiettato al
Selwyn Theatre di New York. Seguirono ―Il Mostro della Laguna Nera‖ nel 1954 e
―Lo squalo III‖ nel 1983, ma la legittimazione del cinema 3D è avvenuta nel 2009
con ―Avatar‖.
La tecnica di ripresa che permette la visione stereoscopica di immagini in movimento
usufruisce una cinepresa o una videocamera con doppio obiettivo e doppia
esposizione, che riprende contemporaneamente due visioni leggermente sfalsate (di
127
L'acrofobia (ákros, in greco alto e fòbos, in greco fobia) è una fobia. È definita come paura delle
altezze e dei luoghi elevati 128 Sir David Brewster (Jedburgh, 11 dicembre 1781 – Allerly, 10 febbraio 1868) è stato un fisico e
inventore scozzese
CAPITOLO II
70
circa 6 cm.) della identica immagine, cioè alla identica distanza degli occhi umani.
Nel passato un'altra tecnica usufruiva di due cineprese collocate una di fronte
all'altra, che riprendevano la stessa immagine attraverso due specchi collocati a 90°
rispetto al soggetto.
Il 2010 è stato l‘anno dell‘avvento inatteso dei televisori 3d. Si tratta di un televisore
in grado di visualizzare filmati tridimensionali. Per ottenere la dimensione della
profondità è ricreata si provvede un‘immagine diversa per ciascun occhio (visione
stereoscopica) facendo in modo che ogni occhio veda solo quella a lui riservata.
La tecnica adottata da tutti i produttori per portare la visione 3D sui televisori a
schermo piatto (LCD e Plasma) consta nell‘intervallare, nella sequenza dei
fotogrammi, le immagini indirizzate all‘occhio destro con quelle per l‘occhio
sinistro, in modo da somministrare al nostro cervello due dati da due canali diversi.
Lo spettatore indossa a tal fine dei particolari occhiali con otturatori ―attivi‖, detti
―active shutters‖.
Si tratta di lenti in cui è presente uno strato a cristalli liquidi che si oscura in contatto
di un segnale elettrico. Inviando una sequenza di segnali di oscuramento
sincronizzati con la riproduzione dei fotogrammi sullo schermo, a una frequenza che
superi la persistenza della visione sulla retina, è dato fare in modo che ogni occhio
veda unicamente il fotogramma a lui indirizzato.
Anche gli occhiali devono essere in grado di aprire e chiudere le due lenti al ritmo di
120 volte il secondo, in modo sincronizzato con la riproduzione dei fotogrammi. Per
ottenere questo, il televisore deve possedere un emettitore wireless (a infrarossi o
Bluetooth) che invia agli occhiali un segnale di sincronizzazione.
Attualmente in Italia non esistono trasmissioni televisive in 3D e anche se le stanno
testando in Spagna e in Gran Bretagna, occorrerà del tempo perché siano realizzate.
Tuttavia le marche di televisori hanno anticipato che i loro apparecchi televisivi 3D
saranno dotati di un convertitore 3D in tempo reale che dovrebbe adattarle al nuovo
formato, anche se l‘effetto non sarà straordinario come con i contenuti fatti apposta
per le tre dimensioni. Visto che il sistema utilizza la nitidezza dell‘immagine come
criterio per identificare i diversi livelli di profondità in base alla messa a fuoco,
funziona bene con inquadrature in esterni, in cui lo sfondo è sfocato rispetto al
soggetto principale, ma non altrettanto nelle riprese di studio, in cui spesso
l‘immagine è tutta perfettamente a fuoco.
CAPITOLO II
71
Fino a quando la tecnologia non progredirà (abbassando i costi) e non avremo le tv
auto-stereoscopiche ci sarà necessità degli occhialini che dovranno essere della stessa
marca del televisore altrimenti saranno incompatibili.
Gli occhiali shutter agiscono a batteria e devono mettersi in comunicazione wireless
con il televisore: sono quindi voluminosi e scomodi da infilare sopra un paio di
occhiali da vista.
Siamo anche in attesa dei televisori intelligenti. In grado di accedere a Internet in via
diretta, di veicolare contenuti aggiuntivi, di offrire servizi di video e audio ―on
demand,‖ e di consentire la navigazione online. Si prevede che entro il 2014 si
conteranno oltre 123 milioni di TV Internet-connected consegnati in tutto il mondo.
In realtà, la televisione e il WWW sono impegnati in una competizione non
riconosciuta per cui una cerca di rimediare l‘altro. Si tratta di un concorso
economico, prima che estetico e forse la soluzione sarebbe proprio nelle TV, perché
le televisioni che supportano l‘accesso diretto a Internet sono in grado di fornire
benefici immediati agli utenti, offrendo loro la possibilità di fruire all‘istante dei
contenuti audiovisivi veicolati attraverso la Rete.
Il futuro è già domani.
CAPITOLO III
72
CAPITOLO III
L’ibridazione. Un tentativo di analisi
3.1 Il sogno realizzato
Seguendo quella che Manovich definisce ―una metafora biologica‖, possiamo
assimilare le nuove combinazioni di elementi mediali alla nascita di nuove specie. In
alcuni casi il ―nuovo nato‖ è fine a se stesso e non si replica. In ogni caso dobbiamo
considerare l‘ibridazione come un sogno realizzato, o meglio come lo sviluppo del
sogno di Alan Kay e Adele Goldberg sul ―metamedium‖. «L‘estetica globale‖
contemporanea celebra l‘ibridazione, utilizzandola per generare emozioni, narrazioni
ed esperienze per gli utenti».129
L‘autore sostiene che oggi sia tutto soggetto a
ibridazione e che i nuovi nati siano messi in comune dal fatto di avere incorporato in
loro tecniche un tempo non conciliabili, provenienti da media differenti. Non conta
più contestualizzare i media di provenienza e dividerli, ad esempio, in analogici o
digitali. Neanche se una tecnica è stata creata allo scopo di imitare un media
tradizionale o è nata come digitale. E‘ interessante piuttosto notare come Alan Kay e
Adele Goldberg l‘avessero previsto nel parlare di un medium che avrebbe messo
assieme «una vasta gamma di media già esistenti e non ancora inventati.»130
Manovich definisce il remix come «la logica culturale del capitalismo
globale»,131
chiedendosi, però quali siano i meccanismi del remix che operano nel
software culturale e in qual modo si distinguono da quelli operanti in altri ambiti
culturali. Fermo restando che l‘incontro di strumenti e tecniche separati nello stesso
ambiente software ha prodotto un sovvertimento e una metamorfosi anche nelle
esperienze creative in cui questo mix è utilizzato e modificato il concetto stesso di
―media‖. Laddove ad esempio ha prodotto grandi mutamenti è nel design
dell‘immagine in movimento, con un linguaggio che è apparso evidente tra il
millenovecentonovantatre e il novantotto, quando i registi e i designer hanno preso a
servirsi con procedimento regolare dei software per l‘editing e l‘authoring.
Tra gli elementi di distinzione per questo tipo di linguaggio Manovich registra le
«forme variabili in continua mutazione, l‘uso dello spazio tridimensionale, come
129
L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Edizioni Olivares. The MIT Press. IX edizione.
Novembre 2009. Pag. 90. 130
A. Kay, A. Goldberg, ―Personal Dynamic Media‖,‖IEEE Computer‖, X,3 marzo 1977. Pag 403. 131
131
L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖Op. Cit. Pag. 34.
CAPITOLO III
73
piattaforma per il media design e l‘integrazione di tecniche mediali un tempo non
compatibili.» 132
In pratica adesso non viene fatto il soltanto il remix del contenuto di
differenti media ma altresì quello delle loro tecniche, i processi produttivi e le prassi
di rappresentazione ed espressione. Per quanto riguarda la ―grafica in movimento‖,
rivelatasi all‘improvviso, il successo fu dovuto all‘espandersi di ―after effects‖ e
software simili, che potevano essere utilizzati in modo economico anche tra le
piccole case di post produzione per la creazione di animazioni sofisticate ed effetti
speciali in stile cinematografico. Adobe After Effects permette, ad esempio, la
trasformazione delle immagini in movimento e può renderle adatte alla
visualizzazione sul grande schermo come in ambienti domestici, su PC e dispositivi
mobili. Nella cultura attuale delle immagini in movimento sono riuniti nello stesso
ambiente informatico, i linguaggi del cinema, dell‘animazione tradizionale e di
quella computerizzata, degli effetti speciali, della grafica e della tipografia
compiendo quello che Manovich chiama ―assemblaggio profondo”,133
perché sono
remixate anche le tecniche di ciascuno dei media.
La propensione alla riproduzione e alla ricombinazione non è più un avvenimento di
rottura, piuttosto un‘usanza nell‘universo mediale e digitale contemporaneo nel quale
i multimedia audiovisivi, tra social network e nuove piattaforme (da YouTube per
giungere all‘Ipad), sono divenuti il luogo editoriale e documentario principale.
Due parole sull‘iPad: si tratta di un tablet134
computer della Apple che riproduce
contenuti multimediali e può navigare su Internet. Il dispositivo è dotato di uno
schermo da 9,7 pollici con retroilluminazione a LED e supporto al multi-touch.
L‘iPad usa una connessione Wi-Fi (In telecomunicazioni il termine Wi-Fi indica la
tecnica che consente a terminali di utenza di collegarsi tra loro attraverso una rete
locale in maniera wireless (WLAN) fondandosi sulle specifiche dello standard IEEE
802.11 ), o 3G (il termine 3G o 3rd Generation, indica le tecnologie e gli standard di
terza generazione che permettono telefonate digitali, download da internet, invio e
132
L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖ Op. Cit. pag. 103. 133
L. Manovich. ―Il linguaggio dei nuovi media‖. Op. Cit. pag. 118 134 Il tablet PC (lett. PC tavoletta) è un computer portatile che grazie alla presenza di uno o più
digitalizzatori (digitizers, in inglese) permette all'utente di interfacciarsi con il sistema direttamente
sullo schermo mediante una penna e, in particolari modelli, anche le dita. Il tablet PC è di fatto un
normale Personal Computer portatile con capacità di input superiori.
CAPITOLO III
74
ricezione di email ed instant messaging anche se la “killer application135
, utilizzata
come traino dal marketing degli operatori 3G per l'acquisizione di nuova clientela è
la videochiamata) per collegarsi a Internet.
Tornando ai media, intesi nel senso ampio della parola, questi disegnano oramai un
archivio (o banca dati, database), in persistente accrescimento e di facile reperibilità
dal quale servirsi e nel quale il cinema, la televisione, la telefonia, l‘arte, la fotografia
e la musica accedendo rimpinguano i loro potenziali immaginativi. Eccoci di nuovo a
parlare di archivi, dei database che disegnano ormai la memoria mediale delle
società. Occorre considerare i remix e l‘ibridazione come pratiche portatrici di nuove
esperienze mediali, e conseguenti mai usate forme di coscienza che gli utenti (i
cosiddetti prosumer), dovranno acquisire. In ambiente informatico il termine
ProSumer è stato creato negli anni ottanta e deriva dalla crasi delle parole Producer e
Consumer (produttore e consumatore). È utilizzato a riguardo di quelli che nella rete
hanno il doppio ruolo di utenti e creatori d‘informazioni, pur non trattandosi di
professionisti, ma sono in grado di creare, rimaneggiare e pubblicare materiali molto
vari quali documenti testuali, foto, video e musica. Basti pensare agli esempi presenti
su Flickr, YouTube, DeBaser, etc. Per necessità e senza quasi rendersene conto
questi fruitori-creatori si allontaneranno sempre di più dal classico ruolo inattivo del
consumatore, per assumere via via in modo maggiore un ruolo produttivo nel
processo che coinvolge le fasi di creazione, produzione, distribuzione e consumo di
questi nuovo nati.
3.2 Il sogno infranto
Dice Manovich: «Nell‘ultimo terzo del ventesimo secolo [...] le nuove tecnologie
hanno iniziato la loro corsa, divorando una dopo l‘altra le strategie artistiche degli
altri mezzi espressivi».136
Il grande sogno di ogni artista è essere simile a un dio, nella creazione. L‘ispirazione
veniva agli artisti dagli dei stessi, era Apollo ad ispirare ai poeti i versi e la loro
metrica.
135
La locuzione inglese killer application (abbreviata anche come killer app), spesso utilizzata nel
gergo dell'informatica, dell'elettronica, dei videogiochi e in altri settori, significa letteralmente
applicazione assassina, ma viene intesa nel senso metaforico di applicazione decisiva, vincente. 136 L. Manovich ―Software culture‖, edizione italiana, 2010-MCF srl- Edizioni Olivares.
Pag. 235.
CAPITOLO III
75
Padroni della prospettiva, dal quattrocento, i pittori hanno resistito bene all‘impatto
con la tecnologia dell‘apparecchio fotografico, anche perché dal momento in cui la
grande nemica mediale ha iniziato a minacciarli con il dagherrotipo nel
milleottocentotrentanove al millenovecentotrentacinque, anno in cui la Kodak
introdusse la prima pellicola a colori prodotta in serie, sono passati circa cento anni.
Tiziano, Raffaello, Leonardo e poi Caravaggio, Rubens, Rembrandt, Vermeer,
Velasquez e Van Dyck. Pittori che interpreteranno con stili molto personali la
ritrattistica del loro tempo per accontentare le commissioni di ritratti delle corti e dei
potenti come a Venezia Tiepolo, Longhi, Rosalba Carriera. Un ritratto che non
poteva mai considerarsi come la fedele ed arida riproduzione meccanica delle
fattezze (al modo di una qualsiasi impressione fotografica), ma metteva in gioco, per
definirsi tale, la sensibilità dell'artista, che definiva le fattezze secondo il suo gusto, il
suo momento estetico e secondo le caratteristiche dell'arte del tempo in cui operava.
Più tardi sarà Hayez a lasciarci il volto di Cavour e Jean Louis David quello di Marat
assassinato nel bagno o le nozze di Napoleone, come in una foto, ricca di ciò che
c‘era e non c‘era ma avrebbe dovuto esserci. Così come accadeva per il vedutismo e i
paesaggi di ogni tipo. Nello stesso tempo il terreno franava sotto i loro piedi: la
fotografia come un mostro in agguato alitava sugli artisti e con il digitale
―nell‘ultimo terzo del ventesimo secolo‖ li ha raggiunti costringendoli a dimenticare
della loro arte la creatività assoluta e l‘unicità.
Tanti, ancora, lavorano all‘ombra del grande sogno infranto fingendo che nulla sia
cambiato, ma tanti altri invece, seguendo i passi dei loro predecessori dei primi del
novecento, cercano altre forme d‘arte, altri mezzi espressivi, proprio in quei media
che hanno messo fine alla creazione.
Ma, con la riproducibilità, il remix, l‘ibridazione e la rimedi azione non può che
realizzarsi il fenomeno che Walter Benjamin chiama la ―perdita dell'aura‖ dell'opera
d'arte nel suo saggio ―L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica”
pubblicato nel 1936.. L'aura, secondo Benjamin, era una specie di spaesamento, di
carattere mistico o religioso in senso lato, provocata nello spettatore dalla presenza
materiale dell'esemplare originale di un'opera d'arte. Unica. Unica anche quando
Leonardo, della vergine delle rocce, fece due copie. Splendidamente differenti.
Gli artisti che lavorano usando le tecnologie informatiche devono pensare difatti alla
rete invisibile dei database e alla navigazione nel WWW, come alla spina dorsale
CAPITOLO III
76
delle informazioni utilizzate che guida anche l‘estetica dei loro progetti. In alcuni
casi dovranno decidere se includere se stessi nella loro opera ed appartenere ad un
sistema aperto, piuttosto che chiuso. Questo nuovo modo di fare propria l‘idea
artistica e concretarla sembra sempre di più ci costringe a chiamare in causa una
nuova estetica che possa essere calzante per le nuove forme d‘arte.
L'estetica, nata ―ufficialmente‖ nel 1750 con Alexander Gottlieb Baumgarten, era da
questi definita come ―scienza del Bello, delle arti liberali e gnoseologia inferiore,
sorella della Logica‖. In pratica, investita della designazione dei concetti di Bello
come categoria a sé stante e con propri criteri di valore; implicava determinati
giudizi di valore sulle attività oggi definite come artistiche, quali la pittura o la
danza; era attinente allo studio delle percezioni sensibili, della conoscenza ottenibile
per mezzo dei sensi opposta e complementare a quella ottenibile attraverso la mente:
il termine greco ―aisthesis‖, designa le indicazioni percepite attraverso i sensi e il
corpo, e da questo termine Baumgarten farà derivare il neologismo ―aesthetica‖.
Denis Diderot tralasciando gli schemi idealistici, proporrà il senso estetico e la
bellezza come il frutto di un ―rapporto‖ tra l'oggetto artistico e chi lo percepisce con
la propria sensibilità individuale. In tal modo l'―estetico‖ non è più l'oggetto in sé, ma
il ―rapporto‖ soggetto-oggetto. Oggi gli artisti prendono su di loro il carico di una
sfida, quella di creare con le tecnologie della rete scoprendo che occorre essere
consapevole dell‘overflow d‘informazioni che può calare su di lui e di dovere
sviluppare una sorta di filosofia in merito alla manipolazione di enormi quantità di
dati. Ciò è particolarmente vero quando si crea un lavoro interattivo, che genera
ancora più informazioni perché include la partecipazione di un pubblico attivo.
Il remix, l‘ibridazione, l‘estetica che ha posto il problema del rapporto con il
copyright e con il libero accesso alle fonti: se sia davvero giusto e corretto prelevare
a destra e manca o se invece vada riconosciuta comunque la proprietà intellettuale, se
la libertà nel web sia un fatto ormai acquisito o se invece siano poste delle restrizioni
che garantiscano il diritto d‘autore.
3.3. La realtà condivisa e l'arte.
E‘ inevitabile e la storia delle società lo insegna, che ad ogni trasformazione di
regime mediatico faccia seguito un conflitto di culture che mette in gioco
l‘opposizione e la negoziazione fra tradizione e innovazione. Da questo non può
CAPITOLO III
77
esimersi l‘arte, che è un elemento essenziale dell‘essere umano giacché tale e non è
presente nell‘animale sotto nessuna forma.
Rientra nella logica di questi mutamenti che le nuove tecniche di comunicazione che
avvengono per mezzo di mondi virtuali suggeriscano in modo diverso i problemi del
legame sociale. Qui entrano in ballo due concetti essenziali di Pierre Levy,137
l‘intelligenza collettiva e ―l‘ominazione‖, entrambi collegati all‘uso del database e
delle moderne tecnologie informatiche. In tal senso il processo di formazione del
genere umano, ben lontano dall‘essere terminato, in questo periodo sta vivendo
un‘accelerazione improvvisa. Il filosofo francese sostiene che il fine più elevato di
Internet sia quella di consentire che lui definisce ―intelligenza collettiva―, un
concetto già introdotto da filosofi del passato e spiegato da lui parlando
dell‘intelligenza come di un materiale, un prodotto, una merce, distribuita nel mondo
dovunque ci sia l‘uomo. A suo parere le nuove tecnologie la valorizzano, perché la
pongono in sinergia. La logica è che se due persone, distanti tra di loro, possiedono
un patrimonio di conoscenza complementare, entrando in comunicazione hanno
modo di scambiarsi i loro saperi cooperando al miglioramento sociale. Sempre a
carico positivo delle nuove tecnologie avverrebbe l‘ominazione. Levy difatti
sconfessa il concetto che virtuale sia l‘equivalente di falso, di artificioso ed irreale e
sostiene invece che, essendo il virtuale il contrario di irreale, si sia tanto più veri
quanto più si è virtuali, in quanto il virtuale è la dimensione dell‘esistenza umana che
allontanando l‘uomo dallo stato di natura, lo rende più umano. Ciò rinnega le
ideologie acquisite nel passato per cui l‘uomo rappresenterebbe il valore assoluto e
quindi la tecnologia, assimilandolo sempre più alle macchine ed ai robot, lo
alienerebbe, rendendolo meno umano. Per Levy, lo scisma rispetto allo stato di
natura, avvia il processo di ominazione che è essenzialmente un processo di
virtualizzazione. Giocando poi con i termini di reale e virtuale occorre considerare
che, sociologicamente la realtà è, secondo i paradigmi costruzionisti138
della
sociologia della conoscenza, un senso negoziato e condiviso, per cui gli uomini,
attraverso una serie di agenzie d‘istituzioni, di forme della vita psichica, si mettono
d‘accordo su quale sia la realtà e la condividono. Una forma di realtà costruita
attraverso processi di negoziazione, una visione del mondo per cui ogni realtà
137
Pierre Lévy (Tunisi, 1956) è un filosofo francese che studia l'impatto di Internet sulla società 138
Costruzionismo : approccio sociologico, epistemologico, psicologico, filosofico della conoscenza
e della scienza, i cui massimi esponenti sono considerati Peter Ludwig Berger e Thomas Luckmann
CAPITOLO III
78
potrebbe essere considerata virtuale e, quindi, quest‘apparente ossimoro è vanificato.
I media mutano, si differenziano e divengono più complessi delimitando le nuove
norme di associazione sociale e, dunque, le nuove norme di costruzione di questa
realtà che ininterrottamente è rinegoziata per mezzo dei processi di comunicazione
per cui l‘interazione tra cultura e tecnologia cambia continuamente.
La memoria, sia quella dell‘uomo sia quella costruita artificialmente attraverso le
tecnologie informatiche, è un‘importante categoria della multimedialità, nel senso
che le tecnologie digitali sono fondamentalmente tecnologie di memoria. La
comunicazione informatica è resa avverabile dalla persistenza della memoria di
dispositivi di codici e questo si riflette nella realizzazione degli archivi multimediali.
Una delle cose che rende caratteristico adesso il rapporto tra cultura e tecnologia è
che non si è mai avuta una tal estensione di memorizzazione e tutto questo si gioca
attorno ai mutamenti dei supporti e alla loro efficienza, soprattutto negli ultimi venti
anni (PC: schede traforate, nastri magnetici, floppy, cd, pen drive).
Archivi e banche dati possono offrire agli artisti un veicolo per commentare la
cultura e le pratiche istituzionali, attraverso un intervento diretto. L‘arte stesa è stata
riconosciuta dai concettualisti come una istituzione che funge da traino alla
produzione ed al consumo, ed in molti casi gli artisti si sono resi conto di queste
problematiche con maggiore capacità di quanto abbiano potuto fare gli storici, gli
antropologi o i sociologi. Dal XX secolo il mondo dell‘arte è stato lentamente
decostruito, mentre in parallelo, le istituzioni promuovevano le tecnologie
dell‘informazione facendo sì che emergesse una nuova generazione di artisti e di
pubblico. IL palcoscenico più promettente per il lavoro concettuale del ventunesimo
secolo è già in atto, da quando gli archivi e i database si stanno sviluppando a
velocità vertiginosa. L‘estetica della navigazione è nello stesso codice di ricerca che
il nuovo lavoro degli artisti esplica sul campo concettuale. Questi sono luoghi adatti
a fare commenti ed interventi, ma anche per concettualizzare modi alternativi per
pratiche artistiche, per cui anche il pubblico non deve restare passivo, altrimenti gli
artisti attuali resterebbero emarginati. Gli artisti hanno da tempo riconosciuto la
potenza concettuale ed estetica delle banche dati, e del lavoro che è stato fatto per
creare gli archivi come base intenzionale di attività quali quelle artistiche. Anche i
musei come istituzioni ed il generale atteggiamento della società verso l‘arte deve far
sì che gli ―oggetti dell‘ arte possano essere visualizzati e selezionati mediante
CAPITOLO III
79
un‘ottica adeguata ai tempi. La galleria dei musei diviene purtroppo la sola parte
esposta al pubblico, mentre i magazzini rappresentano le sue parti intime con una
grande quantità di opere che vi risiedono e sono dimenticate. Opere dimenticate che,
se opportunamente segnalate in un database, possono essere portate alla luce ed
ammirate da tutti. Gli artisti già dai primi del novecento hanno descritto i musei
come un luogo in cui una gran parte dell‘arte giace nascosta. In particolare si può
ricordare l‘operazione intellettuale di Marcel Duschamp, sotto forma di una serie di
opere dal titolo ―La boîte-en-valise” (o semplicemente Valise), la prima del
millenovecentotrentasei. L‘opera consiste in una valigia contenente sessantanove
riproduzioni delle sue opere, tra cui molte fotografie e riproduzioni di ―ready-made
La Fontaine― e ―Grand Verre,‖ spesso considerate come una critica alla pratica
museale, ossia parodie del museo, visto come uno spazio chiuso di cui deride la
formula di archiviazione e suggerisce che l‘artista possa divenire come un commesso
viaggiatore che vive soltanto di preoccupazioni promozionali delle sue opere. Gli
artisti che operano con i media digitali, in particolare con le reti, sono consapevoli
dell‘overflow di informazioni cui sono soggetti e che la progettazione della
navigazione attraverso questi spazi è divenuta una esigenza di pratica estetica.
Uno dei primi artisti che hanno utilizzato il World Wide Web, con l‘oramai obsoleto
browser Mosaic, fu Antonio Muntadas.139
―The file room‖ ci viene spiegato da lui
stesso:140
Ho costruito uno spazio apparentemente repressivo, kafkiano, appartenente alla burocrazia,
al controllo, con 800 archivi metallici. Otto Macintosh collegati con internet (e un server)
fornivano l‘accesso a un archivio in rete composto di casi di censura sulla cultura. In questo
modo ho cercato di ribaltare il ruolo di questo spazio fornendo la possibilità di accedere a
una informazione alternativa. Questa finestra è aperta su internet e crea lo spazio per un
dialogo e per lo scambio di idee. L‘archivio in se stesso è tuttora attivo e accessibile su
internet. [...] The File Room consiste quindi sia in un sito su internet che in una
installazione da cui si può accedere al sito. Le pagine sul world wide web sono organizzate
con una serie di entrate, un ―search‖ (tasto di ricerca), delle istruzioni, un‘introduzione, delle
definizioni di censura e l‘archivio dei casi (organizzato per geografia, storia, soggetto,
139
Antoni Muntadas (nato nel 1942 a Barcellona) ha avuto un approccio multidisciplinare con i
media. A volte è indicato anche come Anonio Muntadas o semplicemente Muntadas. 140
http://www.undo.net/cgi-bin/openframe.pl?x=/Pinto/muntadas.htm
CAPITOLO III
80
media). Si può intervenire su questa banca dati e aggiungere altre informazioni. C‘è inoltre
un registro delle persone che visitano il sito (guest book).
In ogni artista c‘è la paura della perdita di originalità e dell‘aura nelle loro opere, ma
quanti lavorano in gruppi collaborativi il concetto di originalità ha assunto altri
significati.
Gli artisti che lavorano con internet sono alla ricerca di un altro tipo di infoestetica
che coinvolga non soltanto la rappresentazione visiva ma anche gli aspetti invisibili
dell‘organizzazione del recupero dei dati e la navigazione in sé. I dati sono visti
come le forme prime che si utilizzano come commento attivo per l‘ambiente da cui
dipendono, ossia la rete con i suoi multiformi aspetti. Viviamo un‘epoca in cui siamo
sempre più consapevoli di noi stessi come base di dati, identificati dai numeri della
previdenza sociale, delle carte di credito, dal numero di codice fiscale, sempra
imperativo agli artisti partecipare attivamente al modo con cui i dati sono modellati,
organizzati e diffusi. La caduta del muro di Berlino non è dovuta al piccone, ma alle
tecnologie dell‘informazione e gli artisti, contestualizzandosi, vogliono divenire gli
architetti dell‘informazione, inaugurando questo modo di operare e pensare,
giocando d‘anticipo nella realizzazione di nuove strutture.
CAPITOLO III
81
3.4 L’arte del Data-Base
In effetti appare difficile definire il significato dell‘arte del database mentre il
contesto tecnologico, sociale e globale continua nel suo mutamento. E‘ molto vasta e
differente l‘espressione della conoscenza umana che si è codificata in rete con una
serie differente di informazioni ed esperienze. Il termine stesso di ―estetica
database‖ è divenuto un left motiv del mondo digitale e fa nascere questioni anche
sotto il profilo semantico e su quello dello stesso database. viene fatto di chiedersi
cosa si intenda con il termine ―estetica del database‖ Sappiamo che questi viene
usato, quando si parli di arte digitale, per descrivere i principi estetici che si
impomgono alla logica del database per qualsiasi tipo di informazione, filtraggio,
raccolta di dati e la stessa visualizzazione usata per essi. Ciò implica che il
significato e la struttura di un database siano strettamente collegati alla natura della
stessa scelta dati ed alla loro visualizzazione. In tal senso ogni ―contenitore‖ delle
informazioni costituisce infine uno spazio dell‘architettura dei propri dati, anche se
in modo differente dalle caratteristiche di uno spazio virtuale e dinamico di dati. In
passato, con la cultura orale, erano gli anziano a rappresentare una vera e propria
banca dati della memoria personale ed in qualche modo collettiva, o di un gruppo, di
una famiglia ed attraverso loro le informazioni passavano di generazione in
generazione. Niente a che vedere con le informazioni che riceviamo oggi, perché un
database, in qualsiasi modo si presenti all‘utente, è essenzialmente un sistema che
comprende l‘hardware che memorizza i dati. E dietro lui si nascondono algoritmi ed
insiemi di dati.
Ecco perché, partendo dalla tensione tra la struttura dei dati/flusso e la forma visiva
di questi è straordinario che gli artisti vi lavorino e creino qualcosa di ―estetico‖.
I progetti di arte che seguono evidenziando in che modo si possa rendere l'aspetto dei
dati oggi significativamente differenti dalle ―vecchie‖, raffigurazioni di questi stessi
dati. Nel caso della ―narrativa”, da sempre esemplificata dal concetto di ―libro‖,
possiamo comprendere oggi come questo termine sia soltanto uno dei modi di
accesso ai dati. Esiste una chiave di lettura dei dati che porta a pensare di come
questi stessi possano essere presentati differentemente in modo inconsueto.
CAPITOLO III
82
Un remix di arte spesso assume molteplici prospettive sul tema stesso. Un artista
prende un opera d'arte originale e aggiunge di suo sul pezzo in modo di creare
qualcosa di completamente diverso, pur lasciando tracce del lavoro originale. Si
tratta essenzialmente di una rielaborazione
creativa del lavoro primigenio da cui
traspaiono comunque parti dell‘originale, i
veri significati di questi. Esempi famosi
includono la stampa di Marilyn di Andy
Warhol (modifica colori e stili di una
immagine), e ―Weeping Woman‖ di Pablo
Picasso (con il cubismo fonde vari angoli di
prospettiva rendendo l‘assieme con differenti
punti di vista). Alcuni degli altri quadri di Picasso sono famosi perché incorporano
parti della sua vita (come i suoi amori), nei suoi dipinti. Ad esempio, nella sua
pittura Les Trois Danseuses, o le tre Ballerini, parla di un triangolo amoroso.
Altri tipi di remix in arte sono parodie. Una parodia in uso contemporaneo, è un
lavoro creato per prendere in giro, commentare, divertire attraverso la rielaborazione
di un lavoro originale in sé dello stile dell'autore, o per qualche altro obiettivo, con il
mezzo di imitazione umoristico, satirico o ironico. Essi si possono riscontrare in
tutta l'arte e la cultura dalla letteratura alla animazione. I programmi televisivi attuali
sono pieni di parodie, come South Park, Family Guy, e i Simpson.
Internet ha permesso un remix più semplice dell'arte, come evidenziato da siti quali
memgenerator.net (fornisce modello pittorico su cui ogni parola può essere scritta da
diversi utenti anonimi), e Dan Walsh http://garfieldminusgarfield.net/ (rimuove il
principale carattere da varie strisce originali dal creatore di Garfield di Jim Davis).
I progetti d‘Arte frequentemente applicano i principi e la logica dei database esistenti,spesso
partendo da informazioni originariamente analogiche, informazioni che vanno da un libro ad
un film, a serie televisive, fino alle cartoline, per rivelare relazioni che rimangono invisibili
nel formato originale 141
141
C. Paul, ―The Database as System and Cultural Form: Anatomies of Cultural Narratives‖, in
Victoria Vesna (Ed.). Pag. 101 “Database Aesthetics: Art in the Age of Information Overflow”,
Minneapolis: University of Minnesota Press, 2007.
CAPITOLO III
83
W. Bradford Paley - TextArc Reading Alice in Wonderland (2002)
In questa opera
d'arte. W.
Bradford Paley
TextArc offre
un esempio di
progetto
artistico che
applica i
principi e la
logica dei
database
esistenti.
Christiane Paul spiega l'idea dietro l'opera d'arte ―TextArc‖, e ―come funziona‖:
TextArc è un modello visivo che rappresenta un intero testo su una singola pagina. Il testo
appare come una spirale concentrica sullo schermo, con ciascuna delle sue linee tracciate in
piccolo e dimensione dei caratteri illeggibili in giro per l'esterno. In una seconda spirale, ogni
parola è rappresentata in un formato più leggibile, e un pool di parole che appaiono nel bel
mezzo della spirale costituisce la struttura principale organizzativa. I menu consentono agli
utenti di trasformare ogni parola contenuta nell‘insieme ―on‖ o ―off‖ e quindi renderlo
visibile o invisibile. Nella vasca centrale, parole che appaiono più di una volta si trovano
nella posizione media in cui si trovano in spirali 'testo e le parole usate frequentemente
appaiono più luminose, si stagliano dallo sfondo. Se gli utenti selezionano le parole,
appaiono delle linee sottili a collegare la parola alla sua posizione nel testo. Una finestra di
visualizzazione del testo è in grado di mostrare ogni riga che utilizza la parola, e una
funzione di lettura consente al testo ―da leggere se stesso‖, tracciando una linea in continuo
movimento tra le parole così come appaiono in sequenza.
In questo lavoro ―la stessa narrazione si muove sullo sfondo, mentre i modelli della sua
costruzione possono diventare un centro di attenzione. Ciò che nel progetto s‘illumina sono
modelli strutturali e simmetrie che presumibilmente non sono molto evidenti durante il
processo di lettura (e scrittura) 142
.
142 C. Paul, ―The Database as System and Cultural Form: Anatomies of Cultural Narratives‖, in
Victoria Vesna (ed.). Pag. 101 “Database Aesthetics: Art in the Age of Information Overflow”,
Minneapolis: University of Minnesota Press, 2007.
CAPITOLO III
84
Questo esempio di TextArc artwork propone anche un remix di un vecchio,
veramente noto artwork, in questo caso ―Alice nel paese delle meraviglie‖. Quasi
tutti conoscono il racconto che è già stato usato come remix, in vari film. Tuttavia,
questo progetto riesce a mostrarci un modo totalmente diverso e nuovo di questa
narrazione. Si tratta di cambiare una forma classica in una forma grafica e visiva di
narrativa. La sua enfasi è l‘applicazione laica sull'estetica, sullo spettacolo visivo,
invece di basarsi sul significato delle parole. Così, questa forma di remix, è anche
una decostruzione del lavoro originale. Allo stato, le parti, in questo caso le parole,
sono strutturate in modo diverso, in un ordine specifico relazionale.
Qui di seguito tentiamo di rispondere alla domanda di come una banca dati possa
manifestarsi nell‘estetica della media art, attraverso una selezione di opere.
Anni '60 – '80: immagine digitale di Manfred Mohr 143
che è considerato un
pioniere dell‘arte digitale su cui opera dagli inizi degli anni sessanta.
143
http://www.emohr.com/
CAPITOLO III
85
Lev Manovich & Jeremy
Douglass Tempo Mapping (2010)
144
Manovich e Douglass hanno preso
4.535 copertine della rivista Time,
dal 1923 al 2010, ponendole in
ordine in un certo numero di modi
diversi per mostrare diversi
possibili modelli. Hanno immesso le copertine di tutti questi periodi usandole come
un database e mostrato ciò che si può fare con questi dati. Come Manovich dice:
«L'obiettivo è quello di dimostrare come possiamo visualizzare il graduale
cambiamento nel tempo di un certo numero di scale.»145
Ad esempio, si vede il primo
colore introdotto intensamente dopo il bianco e nero nelle copertine, ma alla fine dei
XX secolo, si vede che i progettisti usavano meno colori. Visualizzando tali dati già
esistenti e mostrando loro in modo piacevole, per la gente è più facile recepire questi
cambiamenti.
Va notato che, ironicamente, il loro modo di mettere le opere in questa mostra, non è
davvero così diverso dalle mostre d'arte tradizionale. L'opera è in una cornice, le
persone sono in piedi dinanzi ad essa e lo osservano. E 'come un quadro che si può
appendere al muro. E 'senza dubbio il riportare una forma di estetica indietro nel new
media art. Manovich prende l‘estetica alla lettera, rendendo l‘oggetto mostrato anche
accattivante.
Nel 2001, Manovich ha scriveva:
Although database form may be inherent to new media, countless attempts to create ―interactive
narratives‖ testify to our dissatisfaction with the computer in the sole role of an encyclopedia or a
catalog of effects. We want new media narratives, and we want these narratives to be different from
the narratives we saw or read before. In fact, regardless of how often we repeat in public that the
modernist notion of medium specificity (―every medium should develop its own unique langauge‖) is
obsolete, we do expect computer narratives to showcase new aesthetic possibilities which did not exist
before digital computers. In short, we want them to be new media specific. Given the dominance of
database in computer software and the key role it plays in the computer-based design process, perhaps
we can arrive at new kinds of narrative by focusing our attention on how narrative and database can
144
http://www.digicult.it/2010/mappingtimeexhibition.asp 145
http://mastersofmedia.hum.uva.nl/2011/03/06/the-rebirth-of-data-between-database-and-narrative/
CAPITOLO III
86
work together. How can a narrative take into account the fact that its elements are organised in a
database? How can our new abilities to store vast amounts of data, to automatically classify, index,
link, search and instantly retrieve it lead to new kinds of narratives?
Anche se i moduli di database possono essere compatibili con i nuovi media, per contro gli
innumerevoli tentativi di creare “racconti interattivi” testimoniano la nostra insoddisfazione
per il computer nel ruolo unico di enciclopedia o catalogo di effetti. Vogliamo nuovi mezzi di
narrazioni mediatiche, e vogliamo che questi nuovi mezzi di narrazione siano diverse dai
sistemi narrativi di cui abbiamo visto o letto prima. Infatti, indipendentemente da come
spesso ho ripetuto in pubblico che la nozione più moderni dei media specialisti (“ogni
mezzo dovrebbe sviluppare il suo proprio e unico linguaggio), sia obsoleto noi ci dobbiamo
attendere che il computer in grado di produrre narrazione siano in grado di presentare
nuove possibilità estetiche che non esistevano prima del computer digitale. In breve noi
vogliamo che siano nuovi mezzi specifici. In ragione della predominanza del database nei
software per il computer e il ruolo chiave che loro giocano nei processi di progettazione
basati sui computer, forse possiamo pervenire a nuovi tipi di sistemi narrativi, concentrando
la nostra attenzione su come la narrazione e i database siano in grado di lavorare assieme.
Come può un sistema narrativo tenere conto del fatto che i suoi elementi sono organizzati
sotto la forma di database? Come possiamo attraverso la nostra capacità di memorizzare
nuove grandi quantità di dati, per poi classificarli automaticamente, porci un indice, dei link
di ricerca, e avere la possibilità di un recupero immediato, condurre a nuovi tipi di
narrazioni ? .146
146
L. Manovich, ‗The Database as Symbolic For”’, in ―The Language of New Media”, Cambridge,
MA: MIT Press, 2001, Pag. 237.
CAPITOLO III
87
Kevin e Jennifer McCoy - Ogni shot /Ogni episodio (2000)147
Kevin e Jennifer McCoy hanno preso ogni inquadratura di venti episodi della serie
anni '70 Starsky & Hutch per creare il loro progetto ―Ogni shot / ogni episodio‖. Si
decostruisce il programma televisivo di campionamento in digitale per metterlo in un
database, in modo da poter ricostruire l'opera originale in modo nuovo. Il progetto
illustra il concetto di estetica del database di Manovich, nel senso che non racconta
una storia con un inizio e una fine. Kevin e Jennifer McCoy hanno catalogato le
scene per temi diversi ed hanno messo queste categorie su un display, in modo da
vedere le scene relative invece di seguire la narrazione degli episodi separati. Hanno
usato i temi come ―ogni stereotipo razziale‖, ―ogni stop improvviso‖ e ―ogni
movimento del soggetto che si sposta a sinistra‖. Con la decostruzione del racconto
originale, mostrano il fondamento estetico della serie. Christiane Paul analizza
l'opera d'arte come segue:
There is no reason to expect that this type of classification would result in the construction of an
interesting new narrative in the traditional sense. What Every Shot Every Episode creates, however, is
a record of the elemental aesthetics of familiar genres, the subtexts of stereotypes, and formulaic
representation that the viewer otherwise would not necessarily perceive in this clarity.148
Non c'è ragione di aspettarsi che questo tipo di classificazione comporti la costruzione di un
nuovo racconto interessante in senso tradizionale. Qualsiasi cosa ogni inquadratura
dell‘episodio crei, è comunque un record dell'estetica elementare di generi familiari, il
147
http://translate.google.it/translate?hl=it&langpair=en%7Cit&u=http://www.flickr.com/photos/mccoys
pace/sets/124273/ 148
Christiane Paul, Op. Cit. Pag. 103.
CAPITOLO III
88
sottotesti di stereotipi, e la rappresentazione stereotipata che lo spettatore altrimenti non
necessariamente percepirebbe con questa chiarezza.
Ciò che Kevin e Jennifer McCoy fanno, è davvero molto semplice, ma le nuove
narrazioni surreali create fuori del database, mostrano le opere originali in una luce
diversa.
Osserviamo un progetto simile da parte McCoys, con ―Looney Tunes scenes.‖
Olia Lialina - My Boyfriend Came
Back From the wer (1996)149
In molti casi alcune opere d'arte
sono state remixate proprio come
accade nella musica da ballo, dove
la cultura del remix è molto comune.
Un esempio lampante di questo
remix è ―My Boyfriend Came Back
From The War‖. Ciò che vediamo
anche qui è una forma di condivisione di dati open source e l‘uso della creatività
attraverso Internet. Altri artisti hanno utilizzato questo materiale illustrativo
particolare per creare nuove opere. Un artista fa qualcosa di simile con differenti
immagini, un altro lo traduce in forma di blog . L'opera originale è interattiva, si crea
il proprio racconto, entro i limiti di questo progetto.
Olia Lialina proviene da esperienze nel cinema, e si vede chiaramente in questo
primo lavoro di new media art. ―My Boyfriend Came Back From the wer‖ è una
storia d'amore, di due persone che si incontrano di nuovo dopo che il ragazzo torna
da un conflitto militare. E sono tutti i frammenti di dei dialoghi apparentemente
casuali, ma che, messi insieme raccontano, la storia del loro incontro e dei problemi
che hanno a riconnettersi. La ragazza nella storia confessa che ha avuto una relazione
con il vicino di casa mentre il ragazzo era fuori a combattere per il suo paese.
Malgrado ciò il ragazzo chiede alla ragazza di sposarlo.
Il lavoro utilizza parti di un database in un modo diverso della costruzione della
narrazione. Questo è ancora molto vicino all‘essere una narrazione, ma non nella
forma tradizionale, come con il cinema. Utilizza l‘ipertesto per costruire la storia, e
149
M. Deseriis G. Marano, ―L’arte della connessione‖ Shake edizioni Undergrand. 2003. Pag. 31.
CAPITOLO III
89
lo fa in maniera non lineare. L'ipertesto ha permesso di fare un'opera d'arte e di
raccontare una storia flessibile, in un modo che è specifico per i nuovi media.
Vuk Cosic - Deep ASCII /
ASCII Storia delle immagini
in movimento (1998)150
lumiere
Eisenstein
King Kong
Star Trek
psycho
gola profonda
Questa arte usa la pellicola
come mezzo ed è composta
dall‘artista sloveno Vuk Cosic
, che è un player originale nella storia della nuova arte-media. Egli è anche
generalmente riconosciuto come colui che in realtà è venuto su con il termine
―net.art‖. Il titolo di una delle sue opere più celebri, ‖ storia delle immagini in
movimento”, evidenzia in Cosic l'interesse al modo per cui l'arte diventa storia. In
questo lavoro si modificano spezzoni di film classici americani e serie televisive, per
esempio Psycho, Gola
profonda, e Star Trek.
Vuk Cosic, Ascii History of
Art for the Blind, 1997151
Cosic utilizza uno speciale
software per trasformare
un'immagine del film
originale in una immagine
che mostra come i caratteri
ASCII-pixel o punti. ASCII
è l'acronimo di American Standard Code per l'interscambio d‘informazioni ed è uno
150
http://www.youtube.com/watch?v=DGktK6OxfJI 151
Da Victoria Vesna (ed.). Op. Cit. Pag. 50
CAPITOLO III
90
schema di codifica dei caratteri in base all'ordinamento dell'alfabeto inglese.
Sostituendo ai valori pittorici dell'immagine e dei personaggi e giocando queste
nuove immagini in modo veloce l'opera d'arte diventa un nuovo film. Cosic ha
studiato Archeologia, ed il suo ASCII ―cinema-archeologico‖ illustra un approccio
multimediale molto personale delle arti e mostra il suo interesse per le tecniche
obsolete. Non è stato il primo artista che ha lavorato con caratteri ASCII. Uno dei
pionieri fu Kenneth Knowlton152
che ricostruì un nudo fotografico in caratteri
tipografici utilizzando una speciale macchina fotografica che aveva scansionato
l'originale su nastro magnetico.
Questo può essere visto come l'antenato dell‘ASCII art. Cosic spiega così il
significato del suo lavoro:
La scelta dell‘Ascii è legata a questioni più ideologiche. Succede spesso che l‘artista sia
costretto a produrre un output creativo con la sola funzione di giustificare gli investimenti
hardware di qualche istituzione artistica. Utilizzando le tecnologie date, uno potrebbe anche
accettare i limiti creativi segnati dall‘inventore della tecnologia, ma mi piace credere che la
mia creatività sia altrove rispetto a quella dell‘ingegnere, per quanto sia grande il mio
rispetto per i fabbricanti di strumenti. La mia reazione a questo stato di cose consiste nel
guardare al passato e continuare l‘aggiornamento di alcune tecnologie marginalizzate o
dimenticate. Gebhard Sengmuller153
la chiama ―archeologia dei media.154
Si tratta di un approccio allo studio dei media che è emerso nel corso degli ultimi due
decenni. Esso è mutuato da Michel Foucault, Walter Benjamin, e Friedrich Kittler,
ma si discosta anche da tutti questi teorici per formare un unico insieme di strumenti
e pratiche. Non si tratta di una scuola di pensiero e non si distingue per una precisa
abilità, ma è piuttosto un aspetto in rilievo dell‘insieme di tattiche formanti una teoria
contemporanea dei media contraddistinta dalla volontà di scoprire e far circolare
tecnologie dei media represse o trascurate.
152
Kenneth C. Knowlton (nato nel 1931 a Springville, New York ), è un pioniere della computer
grafica, artista mosaicista e ritrattista, che ha lavorato presso i Bell Labs . 153
Gebhard Sengmüller nasce a Vienna Austria), nel 1967, è un artista che lavora nel campo della
tecnologia dei media, attualmente con sede a Vienna, Austria. Dal 1992 ha sviluppato progetti e
manifestazioni incentrate sulla storia dei media elettronici., la creazione di sistemi alternativi atti ad
ordinare i contenuti dei medie e reti autogenerantisi 154
M. Deseriis G. Marano, ―L’arte della connessione‖ Op. Cit. Pag. 45.
CAPITOLO III
91
In questo senso Cosic sceglie di utilizzare una tecnica che non è nuova o innovativa,
ma a quanto pare non è neanche morta. Secondo Garnet Hertz155
e Jussi Parikka: «Un
media può scomparire in un certo senso popolare, ma non muore mai: esso decade,
marcisce, si riforma, trova un remix, e si storicizza, viene reinterpretato e
raccolto.»156
E questo che Cosic esattamente fa qui. Egli riforma, o fa un remix delle
opere d'arte esistenti. Cosic ha scelto di raccogliere immagini riconoscibili, come la
famosa scena della doccia di Psycho dal 1960, le immagini pornografiche
controverse di Gola Profonda, del 1972, e la fantascientifico-popolare serie
televisiva di Star Trek 1966-1969. Queste immagini ben note dalla pop-culture
americana sono visualizzate in modo diverso, non come un ri-organizzare dei dati,
ma cambiando l'estetica stessa dei dati. I dati del fotografico, delle immagini a colori,
sono sostituiti dai dati tipografici e dal verde-nero. L'immagine originale invece è
tuttora rimasta intatta e riconoscibile.
Hertz e Parikka pongono l‘accento sull'importanza del riutilizzo dei dati di opere
esistenti:
Noi (...) propongono che il riutilizzo, sia una dinamica importante della cultura
contemporanea, specialmente nel contesto dei rifiuti elettronici. (...). Siamo d'accordo a che
la cultura aperta al remix dovrebbe essere estesa a manufatti fisici.157
Questa estetica di costruire sui caratteri dell‘alfabeto della lingua inglese /
americana, che è ovviamente, un database esistente in sé da molto tempo, è usata da
Cosic per cambiare l'estetica
d‘immagini di film noti, facendo uso di
uno strumento che è un database ben
noto. Vediamo questi caratteri
normalmente rigorosamente ordinati
dalla A alla Z, divenuti funzionanti
come un pixel di un'immagine più
grande. DJ Spooky - Rebirth of a Nation (2004) 158
Paul D. Miller, che si fa
155
Doctor Garnet Hertz è un Fulbright Scholar, un artista contemporaneo il cui lavoro esplora I temi
del progresso tecnologico, della creatività dell‘innovazione della interdisciplinarietà. e‘ ricercatore
informatico alla UC Irvine e Adjunct Assistant Professor in the Media Design Program all‘ Art Center
College of Design di Pasadena. California. 156
G. Hertz and J. Parikka, ‗Zombie Media: Circuit Bending Media Archaeology into an Art
Method”, Leonardo . Pag. 19 157
G. Hertz and J. Parikka, ‗Zombie Media: Circuit Bending Media Archaeology into an Art
Method‘. Op. Cit. Pag. 15
CAPITOLO III
92
chiamare DJ Spooky, è un conosciuto dj, scrittore e artista. Il lavoro è una serie di
performance dal vivo in cui sono remixati clip dal controverso film ―Nascita di una
nazione” di DW Griffith, del 1915. La colonna sonora è anche remixata e costituita
da più strati di suono.
Nascita di una nazione è visto come un film americano classico. Tuttavia, il film è
stato e rimane molto controverso a causa della sua rappresentazione degli uomini
afroamericani (interpretati da attori bianchi con il volto dipinto di nero), come
sessualmente aggressivi verso le donne bianche e stupidi, e la rappresentazione del
Ku Klux Klan (la cui fondazione è drammatizzata) come una forza eroica. Ci sono
state proteste contro ―La nascita di una nazione”, (che in origine si chiamava ―The
Clansman, ‖), ed è stato vietato in diverse città. Il grido di razzismo è stato così
grande che DW Griffith si sentì spinto l'anno successivo a produrre ―intollerance‖.
Miller ha utilizzato immagini da questo lavoro originale facendone un remix di
ristrutturazione. Proprio come Cosic, Miller usa immagini di un notissimo film
americano classico, e fa qualcosa di nuovo con esso. La storia, basata su un romanzo,
era una narrazione lineare, fino a che DJ Spooky non l‘ha fatta a pezzi. Così,
diversamente da Cosic, non cambiando l'estetica dell'immagine, ma spostando
l'ordine delle sequenze di fotogrammi e delle inquadrature. Egli ha decostruito la
narrazione lineare in una contro-narrativa, come lui stesso ha spiegato: ―In
un’implosione, quella in cui nascono nuove storie sulle ceneri.‖ Anche la
combinazione delle immagini con il suono, durante la performance, è nuova. Come
si può notare il suono che DJ Spooky utilizza per le sue performance è molto diverso
(e ha probabilmente radici nella musica afro-americana), dalla colonna sonora
originale di Nascita di una nazione. Il ―remix‖ - vi è chiaramente indicato, con il
nome ―Rinascita di una Nazione”. L'idea di rinascita può anche riferirsi a ―start
overnew‖, o ―lavoro da tabula rasa‖, relativo al rispetto che assume la cultura bianca
verso la cultura afro-americana. In quanto all‘ispirazione per fare questo lavoro,
afferma Miller:
Griffith‘s film has been a historical object of fascination for me for a long while – it‘s been
one of the defining images of America in the 20th century. As we enter the 21st Century it
158
http://www.youtube.com/watch?v=MdkvHNkIbvw&NR=1
CAPITOLO III
93
sometimes helps to know like the philosopher Santayana said so long ago, that ―those who
do not understand the past are doomed to repeat it.159
Il film di Griffith è stato un oggetto storico di fascino per me per lungo tempo - è stata una
delle immagini che definiscono l'America nel XX secolo. Mentre entriamo nel 21° secolo, è
giusto dire come il filosofo Santayana, che coloro che non capiscono il passato sono
condannati a ripeterlo
―Nascita di una nazione‖ si concentra su come l'America avesse bisogno di creare
una finzione della cultura afroamericana in sintonia con la fabbricazione di
―whiteness‖ che sottende al pensiero americano durante la maggior parte degli ultimi
secoli: conserva la sua popolarità nel mondo del cinema anche se appare totalmente
razzista, perché si presenta come il racconto epico di un'America che, in sostanza,
non è mai esistita. Tuttavia il Ku Klux Klan utilizza ancora questo film come un
dispositivo di reclutamento ed è considerato un ―cinema classico‖ americano,
nonostante il contenuto razzista.
Dice l‘autore:
By remixing the film along the lines of dj culture, I hoped to create a counter-narrative, one
where the story implodes on itself, one where new stories arise out the ashes of that
explosion. These are some of the images that are taken from the film and well... you can see,
it's a bit hectic. 160
―Remixando il film sulla falsariga di cultura dj, speravo di creare una contro-narrativa,
quello in cui la storia implodesse su se stessa, quella in cui nascono nuove storie dalle
ceneri di quell’esplosione. Queste sono alcune delle immagini che sono tratte da il film, e
beh ... si può vedere, sono un po’ frenetiche.
Questo lavoro si inserisce perfettamente nel concetto di Manovich di database, come
alternativa della narrazione lineare normale, poiché espone una contro-narrativa,
come dice Miller. Miller si basa sul lavoro di un pioniere del cinema, come per
riflettere criticamente su di esso. Con la decostruzione della nascita di una nazione la
serie d‘immagini non ha un inizio né fine, infatti, non ha alcuno sviluppo, sia
tematicamente sia formalmente, o comunque di una qualsiasi organizzazione dei loro
elementi in una sequenza.
159
http://saverichmond.com/?m=200803 160
http://www.djspooky.com/art.php
CAPITOLO III
94
Napiers Mark - Schredder 1,0 (1998)161
L‘interfaccia Shredder
1,0 prende preesistenti
siti web e decostruisce il
loro codice per creare
originali composizioni
astratte. Sminuzza
testo, immagini e codice
sorgente e crea con esso
composizioni e forme
astratte.
Questo è quanto si è ottenuto da un sito personale.
162Secondo Mark Napier Il web non è una pubblicazione. I siti web non sono di carta.
Eppure il pensiero corrente dei web design è quello della rivista, del giornale, del
libro o del catalogo.
Visivamente, esteticamente, legalmente, il web viene considerato come una pagina
fisica su cui sono scritti testo e immagini.
Nelle pagine Web le immagini grafiche create quando il software di navigazione
interpreta le istruzioni HTML sono temporanee. Finché tutti i browser sono
d'accordo (almeno un po') sulle convenzioni di HTML c'è l'illusione di solidità o di
permanenza nel web. Ma dietro l‘illusione grafica c‘è un vasto corpo di file di testo –
che contiene il codice HTML- che riempie i dischi rigidi del computer in posizioni di
tutto il mondo. Collettivamente queste istruzioni costituiscono ciò che chiamiamo
―web‖. Ma cosa succede se queste istruzioni vengono interpretate in modo diverso
rispetto al previsto? Forse radicalmente diverso?
Il browser web è un organo di percezione attraverso il quale noi ci illudiamo di
―vedere Internet‖. Si filtra e si organizza una massa enorme d‘informazioni
strutturate che abbraccia i continenti, ed è in costante crescita, riorganizzandosi,
spostando il suo aspetto, sempre in evoluzione. Lo Shredder presenta questa struttura
globale come un caotico, irrazionale, collage. Modificando il codice HTML prima
161
http://www.artfacts.net/en/institution/damberlin-2655/artwork/mark-napier-shredder-10-
22668.html 162
http://www.potatoland.org/shredder/shredder.html
http://digilander.libero.it/fasanobi/chi%20%E8.htm
CAPITOLO III
95
che il browser lo legga, lo Shredder si appropria dei dati del web, trasformandolo in
un sito web parallelo per cui il contenuto diventa astrazione, il testo diventa grafica e
l‘Informazioni diventa arte.
A volte si può ancora in qualche modo riconoscere il vecchio disegno, ma l'estetica
modernista dei brandelli visivi lo fanno assomigliare ad una forma astratta, ad una
pittura surrealista. In Napiers si ha uno sfondo come nel lavoro di un pittore, quindi
c'è anche l'accento sul fattore estetico del risultato.
L'artista descrive le sue opere come interfaccia per cui l'utente è parte del disegno.
Con l'interazione, i visitatori formano l'opera. Napiers vuole richiamare l'attenzione
degli spettatori sulle caratteristiche fondamentali della tecnologica di Internet. In
questo caso il codice che di solito è nascosto, lo sfondo del sito, è in parte spinto in
primo piano, rendendolo visibile e ne permette all'utente la conoscenza. Secondo
Hertz & Parikka, il sito web può essere visto come una scatola nera. Per molti utenti
il funzionamento interno del sito web come mezzo resta sconosciuto, gli basta sapere
cosa confezionarlo o visionarlo e cosa appare. Shredder in realtà, distruggendo il sito
web, non fa mantenere una funzionalità del vecchio, però l'utente è consapevole del
fatto che il sito è costruito da molti elementi, ossia codici, immagini, logo, colori e
altro e che la combinazione specifica di tutti gli elementi crea insieme il sito web.
Schredder fornisce al pubblico o l'utente di una pagina web una nuova esperienza
derivata dalla vecchia forma. Si tratta di un remix del sito. Il vecchio sito è il
database da cui è costruito il nuovo, presentandolo in modo inatteso. In un certo
senso è il riutilizzo
di un sito web
come un artefatto
non-fisico.
Radical Software
Group -
Carnivore
(2001)163
è un progetto
ispirato al noto software creato dall'Fbi, poi rinominato Dcs 1000.164
Un'applicazione
163
www.rhizome.org/carnivore
CAPITOLO III
96
in grado di ―sniffare‖ i dati di una rete locale, attraverso l'uso di un normale software
di ―packet sniffing‖ come Tcp Dump. Convertendo con uno script in Perl165
i
pacchetti di dati intercettati da ―Tcp Dump‖, il gruppo ha creato un software che era
installato sulla rete locale degli uffici di Rhizome - una piattaforma per il net art di
base a New York - e trasmetteva uno ―stream‖ di dati sul Web. Nella seconda fase,
diversi net artisti erano invitati a interpretare questo flusso di dati con la creazione di
client (o plug-in) specifici, in grado di tradurlo in immagini e suoni. Mark Napier,
Toni Betts, Mark Daggett, Joshua Davis, Cory Arcangel e tanti altri si sono cimentati
in una serie di ―interpretazioni‖ che hanno trasformato i pacchetti di dati provenienti
dalla rete locale di Rhizome in musica elettronica, animazioni in Flash, loop video o
videogame online. «L'assegnazione della Golden Nica a Rsg da parte della Giuria
dell'Ars Electronica Festival del 2002 trasformerà Carnivore in un'opera di net art
nota al grande pubblico.»166
Un esempio di uno di questi client è ―Amalgamatmosphere‖167
(2001) di Joshua
Davis, Branden Hall e Shapeshifter. Ogni cerchio rappresenta un utente attivo, il
colore del cerchio indica una certa attività. Ad esempio, il verde rappresenta un
utente di AOL, blu scuro significa che l'utente sta navigando.
Un altro esempio è Guernica168
(2001), gli artisti dietro di esso, il gruppo
entropy8zuper!, immaginano Internet come anti-utopia, un paesaggio di morti in
bianco e nero. Ci sono aerei roteantì che rappresentano frammenti di e-mail. Altri
tipi di dati vengono visualizzati come razzi, elementi di edilizia ecc. E un riferimento
a Guernica di Picasso,169
un quadro politico. Questi artisti hanno anche un
programma politico e vogliono sottolineare le implicazioni politiche della rete di
164
Carnivore è un sistema attuato dalla Federal Bureau of Investigation , che è stato progettato per
monitorare le comunicazioni e-mail ed elettroniche. Ha usato uno packet sniffer personalizzabile in
grado di monitorare tutto il traffico Internet dell'utente target. Carnivore è stato realizzato nell'ottobre 164 Perl è un linguaggio di programmazione ad alto livello, dinamico, procedurale e interpretato,
creato nel 1987 da Larry Wall. Perl ha un singolare insieme di funzionalità ereditate da C, scripting
shell Unix (sh), Awk, sed e in diversa misura da molti altri linguaggi di programmazione, compresi
alcuni linguaggi funzionali. del 1997 e sostituito nel 2005 con il miglioramento del software
commerciale come NarusInsight 165
Perl è un linguaggio di programmazione ad alto livello, dinamico, procedurale e interpretato,
creato nel 1987 da Larry Wall. Perl ha un singolare insieme di funzionalità ereditate da C, scripting
shell Unix (sh), Awk, sed e in diversa misura da molti altri linguaggi di programmazione, compresi
alcuni linguaggi funzionali. 166
M. Deseriis, G. Marano ―L‘arte della connessione‖ Shake edizioni Undergrand. 2003.pag. 116
http://www.wikiartpedia.org/index.php?title=Brucker-Cohen_Jonah 167
http://ps3.praystation.com/pound/assets/2001/11-20-2001/index.html 168
http://entropy8zuper.org/guernica/ 169
http://employees.oneonta.edu/farberas/arth/Images/110images/sl24_images/guernica_details/guerni
ca_all.jpg
CAPITOLO III
97
spionaggio. Intendono esporre il vero contenuto del flusso di bit che attraversa il
computer. Nello stesso periodo l‘artista americano Jonah Brucker Cohen170
realizza
Police State 171
collegando i dati di Carnivore a venti macchinine della polizia
radiocomandate. Quando sul server generante il flusso passa una parola o una frase
valutata importante per la sicurezza nazionale americana, questa viene modificata in
un codice trasmesso alle macchinine le quali si collocano automaticamente secondo
uno schema prestabilito Si tratta di una istallazione che controlla le auto in risposta a
parole chiave che possono essere collegate al terrorismo. In questo modo,
ironicamente, gli stessi dati che vengono spiati dalle autorità sono quelli che
controllano le auto della polizia, trasformando la polizia stessa in un fantoccio del
loro sistema di sorveglianza. Il progetto Carnivore, secondo Christiane Paul
Are the unlimited possibilities of visualizing the server‘s data stream in a collaborative,
―open source‖way—allowing its users to create maps of the data stream that often remain
detached from or obscure the original data source. Apart from illustrating the relationship
between the back end of data and the visual front end, Carnivore also turns the client-server
relationship of data into a metaphor for artistic creation.172
Sono le infinite possibilità di visualizzare il flusso di dati del server in una collaborazione
“open source”, la strada che permette agli utenti di creare mappe di flussi di dati che spesso
rimangono staccati da in modo da oscurare la fonte originale dei dati. Oltre ad illustrare la
relazione tra il back-end dei dati ed il front-end visivo, Carnivore trasforma anche la
relazione client-server di dati in una metafora della creazione artistica.
Ogni artista può utilizzare questi dati per creare traiettorie diverse. Carnivore
visualizza la tensione tra le strutture di dati e la forma visiva che queste possono
prendere ed offre così tanti modi diversi per visualizzare i dati, che spesso sembra
staccato dalla forma originale. Nel caso di Carnivore, alla rappresentazione audio-
visiva basata sul software generativo fecero seguito interfacce hardware. Nell‘ottobre
2002 il gruppo milanese Limiteazero173
<www.limiteazero.com> sviluppò Chaos &
170
Jonah Brucker-Cohen artista digitale e ricercatore, ha conseguito nel 1999 il Master Of
Professional Studies dell‘Interactive Telecommunication Program, Tisch School of the Arts, New
York University, dove ha lavorato fino al 2001. Attualmente è ricercatore allo Human Connectedness
Group, Media Lab Europe e PhD candidate al Networks and Telecommunications Research Group
(NTRG), Trinity College, Dublino, Irlanda. 171
http://www.youtube.com/watch?v=-5gb6eoncUQ 172
Deseriis M. Marano G. ―L‘arte della connessione‖. Op. Cit. pag. 97. 173
Limiteazero sono un gruppo italiano di designer, residenti a Milano, impegnato a provare nuovi
modelli d'interfaccia e comunicazione audio visiva attraverso le piattaforme shockwave e flash
CAPITOLO III
98
Order, un‘installazione che permetteva al visitatore di interagire fisicamente con i
numeri Ip trasmessi dal server di Carnivore.
Raqs Media Collective -
Opus174
(2001)
Il gruppo indiano Raqs
Media Collective175
è stato
fondato a New Dehli nel
1991 da Monica Narula,
Jeebesh Bagchi e
Shuddhabrata Sengupta.
I tre collaboratori vivono e lavorano nella città di Dehli. Il gruppo attraverso le
proprie esposizioni affronta problemi economici e sociali che si stanno verificando
nei paesi in via di sviluppo. Mediante le proprie opere e soprattutto grazie
all‘ideazione della piattaforma ―Opus“, ha tentato di creare una cultura digitale
fondata sul principio della condivisione delle informazioni, tutto ciò preservando la
creatività individuale di ciascuno. Infatti “Opus”, permette di vedere, creare ed
esporre oggetti mediatici come video, audio, immagini, html, testo e di modificare il
lavoro effettuato dalle altre persone che vi hanno partecipato. Questo principio segue
la logica dell'intelligenza collettiva del filosofo Pierre Lévy. La cultura telematica
amplifica le potenzialità soggettive per creare un'esperienza intensa che consente
l'interazione tra diverse menti, sistemi di pensieri, d‘idee che circolano su un unico
canale che unisce differenze culturali, geografiche, sociali e individuali. La struttura
connettiva della rete è caratterizzata da un‘orizzontalità che esclude ogni tipo di
gerarchia. La piattaforma ―Opus‖ segue inoltre l'idea di opera aperta rilanciata da
Umberto Eco in quanto è un progetto modificabile, soggetto ad alterazioni introdotte
dagli utenti. La logica dei collaboratori segue le regole del software libero che
concerne la libertà di vedere, di modificare e distribuire. Il codice sorgente è il video,
l‘immagine, il suono, il testo. La cultura hacker in India, come altrove, è un tema
importante dell‘universo digitale, in quanto essa rende possibile l‘accesso alle risorse
culturali e mette a portata di tutti la strada della creatività e dell‘ingegnosità. La
174
http://opus.walkerart.org/main.php 175
http://www.raqsmediacollective.net/
CAPITOLO III
99
cultura pirata ha fatto molto per la diffusione delle conoscenze in confronto al
sistema proprietario.
Artisti e scrittori sono invitati a caricare i loro file di origine al sistema. Altri
possono remixare le fonti trovate o modificarli e caricarli nuovamente nel sistema
OPUS. Ogni upload è etichettato nel database on-line con i tag e parole chiave.
Molte di questo sono testo, ma ci sono anche le immagini.
OPUS utilizza un algoritmo per confrontare le parole chiave di ogni altro e utilizza il
risultato di questa posizione per porre ulteriormente in relazioni le icone nello spazio
di visualizzazione. Se passi con il mouse sul simbolo di una certa visualizzazione, i
progetti correlati sono evidenziati.
Sono i creatori e gli utenti che utilizzano il confronto con la genealogia, i file di
origine sono i genitori, e tutto ciò che ne deriva, è il loro figlio. Le opere di nuova
creazione sono chiamati Rescensions e non vengono descritte come una copia legale
o illegale, né una versione migliore o peggiore, proprio come un bambino non è
nessuno dei precedenti in relazione ai suoi genitori.
Il concetto chiave è ―trasferimento‖ e questa idea risale al dadaismo e alla pop art.
Transfer è la prassi da utilizzare su elementi già esistenti e l'aggiunta o la modifica di
tali elementi. Come nel colloquio di Geert Lovink con Wolfgang Ernst (Lovink
2003: p. 6), egli afferma che la cultura spesso pensa ancora a concetti di sistema
come
inaccessibili allo
stesso modo dei
vecchi archivi
dei media, le
biblioteche.
ART + COM
Le forme
invisibile delle
cose passate
176(1995-2007)
176
http://www.artcom.de/en/projects/project/detail/the-invisible-shape-of-things-past/
CAPITOLO III
100
Il progetto artistico ―The Invisible Shapes of Things Past‖ ha cercato, di tradurre
parametricamente il film lineare tradizionale in un oggetto tridimensionale nello
spazio. singoli fotogrammi di una sequenza del film sono realizzati in un oggetto
spaziale che segue il movimento della fotocamera con cui è stato girato il filmato.
In un film, il tempo è tradotto in singoli fotogrammi, che insieme formano l'opera
d'arte da guardare. Lo spazio non è letteralmente presente, dal momento che un film
è bidimensionale. Il progetto ―Le Forme invisibile del tempo perduto‖ fa di un film
un oggetto a tre dimensioni .
Sauter, Joachim; Lüsebrink, Dirk, «Forma invisibile del tempo perduto», 1995 -
2001
Installation view:
ZKM | Centro per
l'Arte e Media,
Karlsruhe, 2002,
2002 | Fotografia:
Franz Wamhof | ©
Sauter, Joachim;
Lüsebrink, Dirk
―Invisible Shape of
Things Past‖177
è
un'esplorazione in
pellicola, che rappresenta nello spazio virtuale la navigazione attraverso il tempo in
VR.
Il progetto consente agli utenti di trasformare le sequenze di film in oggetti virtuali
interattivi. Questa trasformazione si basa su tutti i parametri della fotocamera di un film, con
particolare sequenze (movimento, prospettiva, lunghezza focale). [...] Per la <play movie,>
l'utente attiva la parte anteriore di un oggetto, mentre un doppio clic guida l'utente lungo il
percorso della telecamera virtuale attraverso l'oggetto stesso. Trascinando il mouse a sinistra
o a destra rende il film corre in avanti o indietro. [...] In una seconda fase, è stato sviluppato
un concetto di organizzazione spaziale basato sul tempo per gli oggetti di pellicola. Dal
momento che esiste un tempo così come esiste un luogo per il verificarsi di ogni sequenza
del film, è stata modellata una rappresentazione virtuale del luogo di occorrenza di ciascun
177
http://www.medienkunstnetz.de/works/invisible-shape/
CAPITOLO III
101
oggetto, permettendo così all'utente di navigare attraverso il tempo. Prendendo la città di
Berlino come un esempio, sono state modellate tutte le situazioni urbane dal 1900,
posizionando gli oggetti del film in base al loro posto e al momento in cui è stata effettuata la
della ripresa. Joachim Sauter e Lüsebrink Dirk 178
Alcuni clip sono stati fatti prima dell‘uso delle stampanti 3D capaci di rendere
effettivamente oggetti fisici per cui queste opere d'arte sono state fatte solo per essere
viste in un mondo di realtà virtuale di una città.
La forma del progetto: ―Invisible Things Past‖ già nel titolo dimostra di riferirsi alla
riproposizione di oggetti del passato per ricreare forme che sono diventate invisibili,
utilizzando gli stessi dati dell'oggetto originale. Oppure, semplicemente, se la
raccolta di singoli fotogrammi sono i dati e in passato è stato il film o i film che
hanno reso queste strutture accessibili visivamente, allora il gruppo ―Com Arte‖
modifica la tecnica artistica con cui erano utilizzati questi dati per creare una
visualizzazione nuova.
Qui, possiamo fare riferimento a Lev Manovich che probabilmente riguarderà alla
collezione di immagini, come al database da cui è stato tratto il lavoro. Secondo
Manovich è la logica stessa del computer, la logica del digitale, ad avere la capacità
di produrre infinite varianti di elementi e ad agire come un sistema di filtraggio.
Quindi, di nuovo, se i fotogrammi sono gli elementi, questo progetto di
presentazione particolare dalle forme delle cose invisibili del passato può essere
considerato un filtro.
Qualsiasi immagine visiva, immagini digitali da stampa a video, è stato prodotto, in
ultima analisi, da istruzioni e dal software che è stato utilizzato per crearla o
manipolarla. Il mezzo digitale non è di natura visiva, ma consiste sempre di un ―back
end‖, ossia di uno stato iniziale del processo, di algoritmi e insiemi di dati che
rimangono nascosti e di un visibile ―front end‖, ossia lo stato finale del processo, che
è vissuto dallo spettatore / utente. Il progetto è caratterizzato da una propria
caratteristica ―estetica database‖ che consiste in una riconfigurazione dell'interfaccia
e front-end, attraverso il quale sperimentiamo i fotogrammi del ―database film‖.
178
Libera traduzione da: Jeffrey Shaw e Peter Weibel (a cura di), ―Future Cinema. The cinematic
Imaginary after Film, exhib‖. Cat., Cambridge, MA/ London, 2003, p. 466f.)
CAPITOLO III
102
Ben Rubin e
Mark Hansen -
(2010)
Per Moveable
Type,179
Ben Rubin
e Mark Hansen
hanno usato il
traffico di dati
all'interno del
palazzo del New
York Times come fonte dei dati per l‘opera d‘arte. L'installazione deve il suo
contenuto da tre fonti: i dati vivi dal The New York Times, l'acquisizione di testo e
dati in tempo quasi reale rispetto a quando l'informazione è stata pubblicata, le
attività ed i commenti dei visitatori del sito web del Times e l‘archivio completo del
Times risalente al 1851.
Gli algoritmi sono stati progettati per selezionare le citazioni sulla base di
determinate regole. Una caratteristica è quella di lasciare che tutti i 560 schermi del
display fluorescente visualizzino delle lettere al direttore (accompagnati dai suoni
prodotti dalla macchina per scrivere), un‘altra è la comparsa di citazioni del giornale
di carta di quel giorno che iniziano con le parole ―io‖ e ―tu‖, disposti uno accanto
all'altro per contrasto (o meno).
Per ―Moveable Type‖ l'idea è di visualizzare la news come si è visto dal New York
Times in un ambiente carico di attendibilità. Per prendere pezzi di notizie mostrarli
tutti insieme, strappati dal loro contesto originale e dando loro un nuovo contesto.
Questa idea si riferisce con forza a ciò che noi conosciamo come teoria di ipertesto, o
almeno, l‘idea che si ha dell‘ipertesto nella teoria letteraria. Come Peter Krapp:
l‘ipertesto si basa su processi di sovvertimento, di inversione, in modo che esploda la
linearità apparente della pagina. Peter Krapp180
parla anche di screditare la linearità
della pagina, spingendo la sovversione, creando così un nuovo contesto.
179
http://www.youtube.com/watch?v=WfZQf1983iw 180
Peter Krapp è professore associato di Cinema e MediaStudies/Visual studies, presso l‘Università
della California, dove è anche membro del Dipartimento di lingua inglese ed informatica.
CAPITOLO III
103
Ben Rubin e Mark Hansen cercano di dare al loro contenuto un nuovo ambiente,
trasformando il database passivo in un grande organismo vivente che si comporta
molto casualmente e ogni giorno ha i suoi momenti di lavoro e i suoi momenti di
tranquillità. Il suo comportamento è legato a quello delle persone, al flusso di
informazioni negli spazi fisici e alle informazioni del giornale leader negli Stati
Uniti. Moveable Type potrebbe non essere leggibile come il ―The New York Times‖,
ma fornisce uno sguardo nel mondo del sito di produzione del giornale in modo
esteticamente stimolante.
Per dare a questa opera un terreno più teorico, torniamo a fare riferimento alla
distinzione tra le nozioni della logica del database (diciamo di raccontare una storia)
e la narrativa. In breve, se il racconto è caratterizzato da linearità, allora il database è
caratterizzato da caos totale. Ed è compito dell'utente o del creatore, in questo caso
dell'opera d'arte, di utilizzare i dati passivi del database e di raccontare una storia.
Citato da Paul:
The characteristics of the database as a collection of information that can be structured
according to various criteria and result in a meta-narrative in many ways differ from the
concept of the traditional narrative (in the broadest sense) as it unfolds in a book, film, or
even a single visual image.181
Le caratteristiche del database sono come un insieme d’informazioni che possono essere
strutturate secondo criteri diversi e risultare in un meta-racconto per molti versi diverso dal
concetto di narrazione tradizionale (nel senso più ampio), come si svolge in un libro, in un
film, o anche in una sola immagine visiva.
Questo è naturalmente quello che Rubin e Hansen quasi esplicitamente stanno
facendo. Essi prendono da varie fonti del New York Times frammenti
d‘informazioni per presentarli in un modo radicalmente diverso, per raccontare la
storia di newsmaking o la produzione del giornale.
181
C. Paul, ―The Database as System and Cultural Form: Anatomies of Cultural Narratives‖, in
Victoria Vesna (ed.). Pag. 106 “Database Aesthetics: Art in the Age of Information Overflow”,
Minneapolis: University of Minnesota Press, 2007.
CAPITOLO III
104
Epicpedia - Annemieke van der Hoek (2008)182
A proposito
sempre di
Database e
narrativa è utile
osservare
l‘esempio che ci
viene da
―Epicpedia‖, che
rende la
realizzazione di
una narrazione
molto letterale.
Secondo il suo creatore: Epicpedia è uno script web che rende gli articoli di
Wikipedia e la loro revisione / modifica, di storia come un copione teatrale,
prendendo l‘ispirazione dal senso di estraniamento che Bertold Brecht ha usato nella
sua idea di Epic Theatre. Così quest‘opera d'arte fa letteralmente un racconto di una
raccolta di dati d'archivio che è la cronologia delle modifiche di Wikipedia.
Dal momento in cui ogni parola, ogni numero e persino ogni lettera dell‘alfabeto
sono divenuti virtualmente linkabili o registrabili come domini, questi stessi segni
hanno acquisito un nuovo significato, non sempre assimilabile alla funzione
conferitagli dalla lingua ―naturale‖. Ovviamente gli artisti, che hanno da sempre una
sensibilità particolare per i grandi mutamenti sociali, e in particolare gli artisti della
Rete sono stati tra i primi ad afferrare le potenzialità di queste trasformazioni e
renderle manifeste con una serie di progetti e interventi che in parte si possono
considerare anche canzonatori e bizzarri.
In conclusione di questo breve excursus si ritiene utile riportare un interessante
episodio denominato ―Female Extension‖183
Nel febbraio del 1997 a Galleria d‘Arte Contemporanea Hemburg Art Museum in
Germania, proclamava il bando di concorso per Extension. Si trattava di una grande
182
http://www.epicpedia.org/index.cgi 183
Per chi voglia approfondire, in Victoria Vesna (ed.). Database Aesthetics: Art in the Age of
Information Overflow, Minneapolis: University of Minnesota Press, 2007. Pag. 68 e segg.
CAPITOLO III
105
novità per il mondo dell‘arte, poiché si inaugurava la prima competizione
internazionale di net.art promossa da un corpo istituzionale. L‘avvenimento era
sponsorizzato da una conosciuta multinazionale dell‘elettronica e dalla rivista
tedesca ―Spiegel Online‖ corrispondeva allo scopo di rendere ufficiale l‘estensione
del museo nello spazio virtuale. Sembrava giunto il tempo, difatti di rivolgere
l‘attenzione alle nuove forme artistiche, ma anche alle modifiche che i database e la
rete avrebbero potuto migliorare e modificare gli usuali compiti di raccolta,
conservazione e mediazione rispetto all‘arte da offrire a un pubblico più largo,
attraverso il World Wide Web.
Al concorso avrebbero dovuto partecipare soltanto opere in formato digitale per cui
gli artisti erano chiamati a proporre progetti originali sul tema Internet come
materiale e oggetto. Il bando faceva espresso rapporto alla net.art e gli artisti
autorizzati a partecipare alla gara avrebbero ricevuto una password per inserire le
loro opere esplicitamente sul server del museo. In tal modo i curatori della
competizione chiaramente identificavano tout court la net.art con la mera
esposizione di materiali sul Web, senza considerare i che potessero essere presentati
progetti serventesi di altri canali e protocolli di comunicazione.
Il fatto mise in agitazione l‘artista tedesca Cornelia Sollfrank la quale decise di
partecipare alla competizione allo scopo di metterne in dubbio l‘autorevolezza e di
evidenziare l‘incompetenza dei curatori. Difatti il suo lavoro intitolato ― Female
Extension ―era legata alla cyberfemminismo e mirava a dimostrare anche che gli
artisti di sesso maschile sarebbero stati favoriti in questo genere. Avendo alle spalle
la comunità della net.art, Sollfrank iscrisse al concorso duecento artiste donne
immaginarie, ognuna fornita di numero di telefono, di fax e di un account di posta
elettronica funzionante. Fu così che ricevette una password per ciascuna delle artisti
donne che furono regolarmente registrate. I curatori della gara si dissero molto felici
dell‘alto numero di concorrenti (circa 280) e comunicarono alla stampa la splendida
partecipazione di artiste donne che superava i due terzi del totale.
Il problema era quello di realizzare concretamente tutti i progetti presentati, ma la
Sollfrank non si perse d‘animo e prese in considerazione l‘idea di delegare un
software – chiamato Net.art Generator3 a tale scopo.
<www.obn.org/generator> –ricombinava pagine Web e file pescati quasi
casualmente dalla Rete, sulla base delle parole chiave inserite in un apposito motore
CAPITOLO III
106
di ricerca. La Sollfrank, e le sue fantomatiche concorrenti, a merito di questa
macchina generatrice di Internet ready-mades, fu in grado di presentare in
pochissimo tempo i duecento progetti necessari.
Fatto sta che, a dispetto dell‘alta percentuale di possibilità di vittoria, (i due terzi dei
partecipanti erano donne), i suoi sforzi non ebbero successo, difatti i tre premi in
denaro andarono tutti ad artisti di sesso maschile. Occorre dire che forse la ragione
andava alla qualità delle opere, ma non siamo in grado di affermarlo su dati di fatto.
Il giorno in cui la commissione annunciò i nomi dei vincitori, la Sollfrank diffuse un
comunicato stampa in cui diffondeva la vera natura del suo intervento, chiamandolo
ironicamente Female Extension.
Occorre dire che la commissione, esaminando i progetti, era sì rimasta sorpresa
dall‘enorme quantità di dati apparentemente priva di senso, ma non si era resa conto
del fatto che fossero tutti ―artificiali‖ e di unica provenienza. In ultimi termini i
progetti (duecento!) presentati dall‘artista come il frutto di individualità diverse e
non di un unico soggetto erano stati accettati come tali.
CONCLUSIONI
107
CONCLUSIONI
Le innovazioni mediatiche collegate all‘arte sono di difficile attuazione per quanti
operando nell‘arte hanno vissuto lunghi anni di esperienza personale secondo
tradizioni in base alle quali l‘arte è:
Quell‘attività dello spirito umano con la quale questi tenta di esprimere, con mezzi sensibili,
la bellezza di un‘idea o la vigoria di un sentimento che sente fervere dentro.
Artisti cresciuti con l‘insegnamento di un docente di qualità quale padre Michele
Schioppa, che ha rappresentato un punto fondamentale di riferimento, trovano
difficile il ―salto‖ in una accezione dell‘arte ―moderna‖ e ―diversa‖ che richiede, per
essere compresa, una preparazione culturale e scientifica necessariamente collegata
allo sviluppo della società. Tuttavia, quanti non rinunciano a rimanere messi in
comunicazione col mondo che si modifica continuamente, è necessario che si
adeguino alle molteplici novità che l‘uso del computer e ancor di più l‘inserimento in
una rete globale quale il WEB consente e invita a conoscere. Basti pensare che, a
proposito del concetto di patrimonio culturale, la stessa organizzazione
dell‘UNESCO si sia vista costretta a rivedere i propri principi, innestandovi una
―Convenzione per la tutela del patrimonio culturale immateriale‖. A tal proposito
l‘UNESCO sancisce, su scala mondiale, l‘istituzionalizzazione di una nuova
categoria patrimoniale e prospetta rilevanti mutamenti nel modo stesso di guardare ai
beni culturali. Già nel momento in cui estende la definizione di patrimonio, fino a
includere espressioni culturali tradizionali popolari ordinarie, l‘UNESCO dimostra di
ammettere un approccio basato sulla definizione antropologica di cultura, più ampia
rispetto a quella umanistica e fondata sull‘eccellenza che aveva caratterizzato i suoi
programmi iniziali. Nell‘enunciazione dell‘UNESCO, tale tipologia di beni culturali
―immateriali‖ è da intendersi come:
le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli
strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i
gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio
culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione,
è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro
CONCLUSIONI
108
interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d‘identità e di continuità,
promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana.184
In tal senso divengono ―Patrimonio dell'umanità‖ anche alcuni siti prescelti, difatti
quella di ―Sito Patrimonio dell'Umanità‖ è la denominazione ufficiale delle aree
registrate nella Lista del Patrimonio dell'Umanità, o nella
sua accezione inglese World Heritage List, della
Convenzione sul Patrimonio dell'Umanità. Tale
Convenzione è stata adottata dalla Conferenza generale
dell'UNESCO il 16 novembre 1972, con lo scopo di
riconoscere e conservare la lista di quei siti che raffigurano
delle caratteristiche di eccezionale rilevanza da un punto di
vista culturale o naturale.
Il Comitato della Convenzione, ha maturato dei criteri precisi185
per l'inclusione dei
siti nella lista. In base all'ultima revisione eseguita nella riunione del Comitato per il
Patrimonio dell'Umanità a Parigi il 19 giugno 2011186
, la lista risulta composta da un
totale di 936 siti (di cui 725 beni culturali, 183 naturali e 28 misti) presenti in 153
Nazioni del mondo187
.
Al momento è l'Italia la nazione che possiede il maggior numero di siti inseriti nella
lista, con 47 siti, la segue la Spagna con 43 siti e la Cina con 41 siti.
La notizia che Wikipedia abbia fatto domanda all‘UNESCO per essere riconosciuta
come Patrimonio Culturale dell‘Umanità non sorprende, ma neanche sarà facile che
possa riuscirci, in quanto Wikipedia è la prima entità digitale a fare domanda per il
patrocinio dell‘organizzazione e molti si dicono scettici riguardo alle valutazioni
positive che giungerebbero dai giudici e dai commissari dell‘Unesco.
Tuttavia, se prendessimo in considerazione il primo criterio per essere accolto nel
patrimonio UNESCO, che è quello di rappresentare un capolavoro dell‘ingegno
creativo umano, parrebbe logico ascrivere la candidatura di Wikipedia per questo
riconoscimento. Tornerebbe in proposito la teoria dell‘intelligenza collettiva di Pierre
Levy:
184
UNESCO 2003 art. 2, par. 1. La traduzione italiana della convenzione utilizzata in questo testo è a
cura della Commissione nazionale italiana per l‘UNESCO. 185
http://whc.unesco.org/en/criteria/ 186
http://whc.unesco.org/en/sessions/35COM/ 187
http://whc.unesco.org/en/list
CONCLUSIONI
109
Che cos'è l'intelligenza collettiva? In primo luogo bisogna riconoscere che l'intelligenza è
distribuita dovunque c'è umanità, e che questa intelligenza, distribuita dappertutto, può
essere valorizzata al massimo mediante le nuove tecniche, soprattutto mettendola in sinergia.
Oggi, se due persone distanti sanno due cose complementari, per il tramite delle nuove
tecnologie, possono davvero entrare in comunicazione l'una con l'altra, scambiare il loro
sapere, cooperare. Detto in modo assai generale, per grandi linee, è questa in fondo
l'intelligenza collettiva.188
Wikipedia, come piattaforma collaborativa può essere considerata come l‘unione
dell‘ingegno di tutti coloro che contribuiscono al suo aggiornamento (compresa la
scrivente), dunque, con una definizione precipuamente olistica, potrebbe giungere al
monumentale traguardo di esprimere il sapere dell‘umanità nel senso più
immateriale.
Wikipedia, inoltre, appare sotto una forma di perenne crescita e in conseguenza di
ciò è caratterizzata da una connaturata contraddittorietà e un‘incompletezza che la
caratterizza e la rende vicina alla logica matematica.
Offre di sé la possibilità di una flessibile revisione purché convalidata da autorevoli
fonti e il suo permanere incompiuta nasce proprio dall‘impossibilità di concludere
l‘opera, che altrimenti sarebbe caratterizzata da una visione statica e dogmatica.
Per quanto riguarda l‘autorevolezza delle fonti, non possedendo, di fatto, una natura
fortemente gerarchica, concede di ospitare un pluralismo d‘idee, perennemente
controllato da molti collaboratori, senza mai imporre una prospettiva prevaricatrice,
la qual cosa ha la sua valenza negativa e positiva assieme, con cui necessariamente
deve convivere.
Anche la questione del business che la regge è fondata su donazioni allo scopo di
evitare il giogo finanziario per cui (almeno per il momento), è percepita dall‘utente
come gratuita.
Tutto ciò fa parte dei nuovi media, che rappresentano ancora, per la nostra cultura,
appunto, una novità. Quanti vedono l‘effetto positivo, spesso ne evidenziano proprio
l‘innovazione; inoltre, restando nel contesto artistico: «Come ha notato Cavel189
(1979), il compito dell‘artista contemporaneo è sempre stato ―non quello di creare un
188
Intervista a Pierre Levy sul concetto di intelligenza collettiva proposto nella sua opera
"L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio".
http://www.hackerart.org/corsi/fm03/esercitazioni/pecorini/Interviste/11_interviste.htm 189
Stanley Cavell (Atlanta, 1º settembre 1926) è un filosofo statunitense
CONCLUSIONI
110
nuovo esempio della sua espressione artistica, ma di inserirvi un nuovo medium
(p.104) ».190
Si può dissentire, ma non dimenticare che ogni arte è stata ―moderna‖, ossia
appartenente al suo contesto storico e sociale e proiettata in avanti. Anche l‘uso della
prospettiva, nel quattrocento italiano, rappresentava una rottura con il passato. Lo
stesso Giotto, pur avendola intuita, usava la ―prospettiva parallela‖ (assonometria),
cui i ―lettori delle opere d‘arte‖191
erano abituati ed in rare occasioni (una, che io
sappia, si direbbe per prova), la prospettiva centrale, in una tavola minore di una pala
d‘altare conservata al Louvre. Rompere con il passato è difficile, ma «offre
quell‘esperienza non mediata che tutti i media precedenti hanno cercato, ma non
sono mai riusciti a raggiungere.»192
Una forma di ricostituzione dei significati, e di ristrutturazione e rimediazione di
elementi già esistenti che ubbidisce alla geniale intuizione di Marshall McLuhan: «Il
contenuto di un medium è sempre un altro medium». In altre parole, per
rimediazione s‘intende la rappresentazione di un medium all‘interno di un altro
medium, ma anche la rimediazione delle esperienze, delle logiche, dei concetti, ossia
di tutto quanto abbia avuto valore in precedenza, per una parte della società. E
occorre dire che mai come oggi, a causa della democratizzazione dei media (basti
pensare alla musica, all‘animazione, alla grafica e allo sviluppo degli stessi
software), abbiamo modo di vedere on line progetti che nulla hanno da invidiare a
quelli promossi da aziende famose e artisti conosciuti. Il web ha reso possibile
l‘emergere di un sottobosco silenzioso di artisti che hanno potuto promuovere le loro
idee come mai avrebbero fatto prima. Idee che si sono tradotte in parole, musica,
grafica, animazione, ma anche in una ibridazione di queste singole tecnologie, in
nuovi modi di esprimersi che sarebbero stati impossibili da perseguire nel passato.
Proprio questa libertà di espressione, genuina, coraggiosa, multietnica e globalizzata
è la strada più luminosa che ci ha regalato la nuova tecnologia e percorrerla in ogni
senso, trovandovi nuovi spazi e nuove vie, non può non essere nella volontà di chi
ama l‘arte. Da sempre.
190
J. D. Bolter e R. Grusin . ―Remedition‖, op. cit. Pag. 304. 191
Parlo di lettori perché le opera artistiche erano il Vangelo degli analfabeti, che vi apprendevano le
storia di Gesù, della Madonna e dei Santi 192
J. D. Bolter e R. Grusin . ―Remedition”,op. cit. Pag. 304.
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