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-148Ter- 1 NEUROSCIENZA E LIBERO ARBITRIO Sommario: 1. Introduzione. I. LA FONDAZIONE DEL LIBERO ARBITRIO NELLA FILOSOFIA INTELLETTUALISTICA. 2. La motivazione metafisica del libero arbitrio. - 3 La separazione della mente dal cervello. -4. Segue. II. LA NEGAZIONE DEL LIBERO ARBITRIO. -5. L’anima umana nel contesto della visione atomistica dell’esistente. -6. Il “servum arbitrium” nella teologia cristiana. -7. La responsabilità penale nella civitas hominis III. LA MATERIALIZZAZIONE DELLA MENTE UMANA AD OPERA DELLA NEUROSCIENZA 8. Il nichilismo come quadro culturale di riferimento della neuroscienza. -9. La reificazione della mente umana. -10. Dall’etica alla neuroetica, ovvero, la fondazione dell’etica neuronale, la relativizzazione del libero arbitrio. IV. I LIMITI DELLA NEUROSCIENZA 11. La delegittimazione della scienza ad opera del nichilismo. La riduzione della scienza a tecnica. La neuroscienza come tecnica. -12. Limiti della metodica sperimentale impiegata dalla neuroscienza. -13. L’autocoscienza V. IL PROFILO RICOSTRUTTIVO -14. La priorità del pensiero rispetto al cervello: il pensiero deriva dal pensiero. -15. Libero arbitrio e responsabilità penale. 1. — Introduzione L’articolo che segue è stato occasionato da una relativamente recente pubblicazione ( 1 ) il cui pregio risiede nell’aver sottoposto agli studiosi del diritto, ma non solo, il problema del libero arbitrio riguardato sulla base delle risultanze messe a disposizione dalla neuroscienza, il cui orientamento dominante è nel senso della sua inesistenza o di una sua valenza marginale. La responsabilità penale, tradizionalmente, si basa su due principi. Il primo, si risolve nella affermazione dell’esistenza del libero arbitrio, della capacità, specificamente umana, di scegliere i

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NEUROSCIENZA E LIBERO ARBITRIO

Sommario: 1. Introduzione. I. LA FONDAZIONE DEL

LIBERO ARBITRIO NELLA FILOSOFIA INTELLETTUALISTICA. 2. La motivazione metafisica del libero arbitrio. - 3 La separazione della mente dal cervello. -4. Segue. II. LA NEGAZIONE DEL LIBERO ARBITRIO. -5. L’anima umana nel contesto della visione atomistica dell’esistente. -6. Il “servum arbitrium” nella teologia cristiana. -7. La responsabilità penale nella civitas hominis III. LA MATERIALIZZAZIONE DELLA MENTE UMANA AD OPERA DELLA NEUROSCIENZA 8. Il nichilismo come quadro culturale di riferimento della neuroscienza. -9. La reificazione della mente umana. -10. Dall’etica alla neuroetica, ovvero, la fondazione dell’etica neuronale, la relativizzazione del libero arbitrio. IV. I LIMITI DELLA NEUROSCIENZA 11. La delegittimazione della scienza ad opera del nichilismo. La riduzione della scienza a tecnica. La neuroscienza come tecnica. -12. Limiti della metodica sperimentale impiegata dalla neuroscienza. -13. L’autocoscienza V. IL PROFILO RICOSTRUTTIVO -14. La priorità del pensiero rispetto al cervello: il pensiero deriva dal pensiero. -15. Libero arbitrio e responsabilità penale.

1. — Introduzione L’articolo che segue è stato occasionato da una

relativamente recente pubblicazione (1) il cui pregio risiede nell’aver sottoposto agli studiosi del diritto, ma non solo, il problema del libero arbitrio riguardato sulla base delle risultanze messe a disposizione dalla neuroscienza, il cui orientamento dominante è nel senso della sua inesistenza o di una sua valenza marginale.

La responsabilità penale, tradizionalmente, si basa su due principi. Il primo, si risolve nella affermazione dell’esistenza del libero arbitrio, della capacità, specificamente umana, di scegliere i

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comportamenti da tenere. Il secondo, esprime la necessità della preesistenza di una norma che prescriva un comportamento vietando quello opposto.

Se il primo difetta, la responsabilità penale si dimensiona di conseguenza. La messa in discussione della presenza del libero arbitrio, non più relazionata all’età e neppure a particolari affezioni patologiche, destituisce di fondamento l’etica e di conseguenza anche il fenomeno giuridico come tradizionalmente intesi.

Appare, dunque, necessario misurarsi con la neuroscienza onde valutare l’attendibilità delle sue pregiudiziali nei riguardi della libertà umana (2).

L’articolo si suddivide in quattro parti. Nella prima, brevemente, si individuano i fondamenti sia della affermazione che della negazione del libero arbitrio nel quadro del pensiero tradizionale (§§ 2-7). Nella seconda, si delinea il rapporto tra il cervello e la mente dal punto di vista della neuroscienza e la conseguente relativizzazione del libero arbitrio (§§ 8-10). Nella terza, vengono evidenziati i limiti della neuroscienza (§§ 11-13). Nella quarta (§§ 14-15), si indicano le linee ricostruttive di questa problematica assumendo questa stessa relativizzazione, ma diversamente fondata e capace di conservare il ruolo ordinante della mente.

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LA FONDAZIONE DEL LIBERO ARBITRIO NELLA FILOSOFIA INTELLETTUALISTICA

2. — La motivazione metafisica del libero arbitrio Nella filosofia intellettualistica classica, l’anima umana, è, al

pari delle altre sub-stantiae, generata, non creata ex nihilo da Dio. Conseguentemente, essa gli è “congenere” (), in questo senso, è “divina” (3). Le sub-stantiae sono disposte gerarchicamente a seconda del grado di partecipazione divina che esse esprimono, più specificamente, a seconda del grado di

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razionalità posseduto, quindi, anche di indipendenza dalla influenza della materia.

Poiché la razionalità è attributo divino ed è anche esclusiva dell’uomo (4), essa, da un lato, fonda una similitudine (similitudo) specifica tra l’uomo e Dio, dall’altro, un legame parentale (cognatio) corrispondente: “[la razionalità] è dunque una somiglianza tra l’uomo e Dio (est igitur homini cum Deo similitudo). Così essendo, quale parentela (cognatio) vi potrebbe essere più stretta e più certa?” (5).

La agnatio (cognatio) che lega l’uomo a Dio, la conseguente parentela che si stabilisce tra tutti gli uomini, l’unicità della substantia umana, il principio di uguaglianza degli uomini che ne deriva, consentono di intendere la ratio del precetto: “alteri detrahere sui commodi causa, contra naturam esse” (6). Il valore giuridico, così espresso, è sintetizzato dall’alterum non laedere (D. 1, 1, 10, 1) (7).

Dal fatto che l’anima umana sia pars Dei, discende anche che essa è, per natura, buona, discende, pertanto, che essa “non può peccare” ( ) (8).

In questa visione, il male morale non ha realtà ontologica. Esso è un non essere, è, come si esprimono i filosofi, una privatio boni (9), una mancanza, appunto, di bene (10). In altri termini, ciascun uomo è un bonum, ma, al tempo stesso, un bonum limitatum. Il male, allora, può solo essere il bene di cui egli manca, “come il buio non esiste in se stesso, ma si dà per assenza di luce” ( ) (11).

Tale visione è sintetizzata dal brocardo “malum nihil est” (12).

Il male morale è, allora, il frutto dell'errore (13), in quanto tale evitabile. E’ così fondato il libero arbitrio, il cui concetto è reso, nella lingua latina, con il termine facultas (14). Sulla sua base, si introduce la nozione giuridica di culpa (e, quindi, anche del dolo): “Culpam autem esse, quod, cum a diligente provideri poterit, non esset provisum” (D. 9, 2, 31); “definitur culpa

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iuridica, ut sit deviatio ab eo, quod bonum est, et per hominum diligentiam privideri potest” (15).

3. — La separazione della mente dal cervello La filosofia intellettualistica classica introduce la distinzione

tra quella parte dell’anima che è connessa alla corporeità e l’altra che ne è separata e posta, nei suoi confronti, in una posizione gerarchicamente sovraordinata: “Perciò quella parte dell’anima ove hanno sede i sensi, il movimento, le passioni non può concepirsi separata dal corpo; mentre quella ove si trovano intelletto e ragione tanto più dimostra la sua vivida luce quanto più si distacca dal corpo” (16).

La prima, è definita come anima irrazionale, la seconda, come anima razionale. L'anima irrazionale si divide in anima vegetativa che, in quanto tale, non può venire in considerazione sotto il profilo etico essendo comune a tutti i viventi e non esclusiva dell'uomo, essendo, inoltre, sottratta al governo della ragione (17).

L'ulteriore parte dell'anima irrazionale, soggetta, invece, al controllo della ragione (rationale per participationem), è costituita dall'appetito sensitivo (appetitus sensitivus), ovvero, dalle passioni (passiones), appetito che, a sua volta, si suddivide in quello concupiscibile e in quello irascibile (18).

L’uomo, dunque, percepisce se stesso come una macchina biologica governata da leggi fisiche, ma anche come attività spirituale indipendente dalla corporeità () e capace di influenzarne lo svolgimento (19).

Per quanto riguarda specificamente il cervello, esso è inteso come organo strumentale di questa quiddità spirituale. Un organo fisico capace di riflettere su se stesso, di trascendere se stesso, è un non senso. Sarebbe, un po’, come dire che il sole illumina se stesso, che la mano afferra se medesima e così di seguito.

Il fatto, pertanto, che la mente sia capace di autoriflessione, che, così facendo, riscontri la presenza dei prima principia

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speculativa e dei prima principia moralia (20), di principî che sono indimostrabili ricorrendo all’attività neuronale, induce a concludere che “Il pensare è identico ai pensieri” (21).

“L’anima si muove da sé”, è , è “ [...] ”, “principio del movimento”, vale a dire, ha in sé stessa i principî che ne informano l’attività (22). In ciò il suo libero arbitrio.

Tutte le cose materiali sono mosse da un qualcos’altro, ma con riferimento all’anima di questa induzione causativa non c’è traccia (23).

I pensieri non possono essere materiali poiché, diversamente, sarebbero grandezze fisiche, ciò che non può essere. Essi, infatti, “costituiscono un’unità per consecuzione, come il numero, non come la grandezza. Pertanto l’intelletto non è un continuo in quest’ultimo modo ma è o completamente senza parti o è continuo ma non come una grandezza. E come penserà se è una grandezza? Con tutta la sua totalità o con una qualunque delle sue parti?” (24).

4. — Segue Questa concezione viene ripresa dall’Illuminismo, da quella

sua componente che si richiama al deismo. Il libero arbitrio non forma oggetto di una specifica trattazione, la sua esistenza è presupposta, è una verità per sé evidente, è un assioma. Su di esso si sviluppa il giusnaturalismo illuministico a partire dal suo fondatore, Ugo Grozio che, infatti, definisce la giustizia come “dictatum rectae rationis, indicans actui alicui, ex ejus convenientia aut discovenientia cum ipsa natura rationali ac sociali, inesse moralem turpitudinem, aut necessitatem moralem” (25).

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II LA NEGAZIONE DEL LIBERO ARBITRIO

5. — L’anima umana nel contesto della visione atomistica

dell’esistente La tesi modernamente sostenuta dalla neuroscienza non è

nuova trovando, per stare agli archetipi più noti, nel materialismo di Leucippo, di Epicuro e di Lucrezio il proprio fondamento remoto (26). Secondo questa filosofia, l’esistente sarebbe costituito da atomi, di numero infinito, eterni e, quindi, increati, eternamente in movimento nello spazio vuoto.

Questa configurazione atomistica e, quindi, materialistica dell’esistente, riguarda anche l’anima, talché, appunto, “l’animo e l’anima hanno natura corporea” (27). Inoltre, questa spiritualità materiale non viene in considerazione per se stessa, ma è un prodotto della materialità cerebrale: “L’animo è un organo proprio della persona e sta fisso in una sede speciale, come vi stanno le orecchie e gli occhi e tutti quegli altri sensi che reggono la vita” (28).

Dal punto di vista di questa teoresi, il problema del libero arbitrio non ha una reale consistenza, tutto dipendendo dal movimento degli atomi (29). Non esistendo una spiritualità assoluta, quella divina, chiamata ad ordinare la materia, non esistendo, di conseguenza, una spiritualità umana chiamata, in virtù del nesso genetico che ad essa la lega, a realizzare la imitatio Dei, non resta che quel movimento materiale fine a se stesso.

6. — Il “servum arbitrium” nella teologia cristiana Il cristianesimo innova sia rispetto all’umanesimo

intellettualistico classico, sia, in diversa misura, a quello opposto indotto dal materialismo.

In questo diverso contesto, l’essere umano non è più generato dal Dio-Uno, ma dal Dio trinitario (30). Egli, inoltre, non è più de ipso, ma è ex ipso (31), vale a dire, è creato dal nulla (ex

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nihilo) ed è composto di anima e corpo (“Corpore et anima unus”) (32).

La derivazione dal nulla sta a significare che l’anima non è più pars Dei, donde il corrispondente scadimento della sua somiglianza a Dio (“Inter creatorem et creaturam est maior dissimilitudo quam similitudo”) (33).

Inoltre, la caduta adamitica priva l’uomo di un libero arbitrio capace di renderlo esente, per quanto umanamente possibile, dal peccato. Questa situazione è espressa dall’apostolo Paolo esclamando: “non quod volo bonum hoc ago, sed quod nolo malum hoc facio” (Rm 7, 15; 7, 18; 7, 21-23; 8, 7-8; 2 Cor 12, 7-9; Ga 5, 17); “omnes [...] sub peccato nasci propter propaginis vitium; et ideo esse sub diabolo, donec renascantur in Christo” (34).

E’ così introdotto nella cultura occidentale la nozione del “servum arbitrium”.

Esiste, dunque, l’anima umana, ma non può più essere considerata separatamente dal corpo e la loro connessione, dopo la caduta di Adamo, è tale da pregiudicare il libero arbitrio che, pertanto, non può più essere la fonte della salvezza eterna.

Questo assetto valoriale è superato dal primato della charitas divina in virtù della quale l’uomo è salvato dal Dio trinitario pur essendo del tutto privo di meriti alla stregua del Decalogo (Rm 3, 28; Rm 3, 24; Rm 3, 27-28) (“tanta est erga omnes homines bonitas [Dei], ut eorum velit esse merita, quae sunt ipsius dona”) (35). Questa charitas, a sua volta, diviene di precetto tra gli stessi uomini, donde il dovere del perdono incondizionato delle violazioni del Decalogo (1 Ts 5, 15; Rm 12, 17; 1 Pt 3, 9; 1 Cor 16, 14; Gc 2, 13), ciò che è reso da Agostino (Santo) nei seguenti termini: “ama [i.e., habe charitatem] et quod vis fac” (36).

Per altro, da ciò non segue che il rispetto della charitas sia una prerogativa, una conseguenza, del libero arbitrio, che, quindi, Dio remuneri o punisca a seconda che essa sia stata, o non sia stata, ottemperata. Se così fosse, sarebbe meritevole della salvezza eterna colui che vive conformemente a tale valore, ciò che, invece, non può darsi, poiché la salvezza è un dono gratuito

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del Dio trinitario, mai può ascriversi ad un merito umano (Gc 2, 13).

Le violazioni della charitas non formano oggetto della charitas divina, non possono, dunque, essere perdonate dal Dio trinitario. Esse, infatti, contraddicono la sua essenza (“Deus charitas est”) (1 Gv 4, 16), risolvendosi, così, in quel peccato contro lo Spirito Santo che è, appunto, irrimettibile (Mt 12, 31-32). In altri termini, tali violazioni si traducono nella riviviscenza e nella attuazione del Decalogo, talché il loro perdono da parte del Dio trinitario varrebbe come remunerazione di un merito acquisito alla sua stregua, di un merito che, invece, non può in alcun modo darsi.

Conclusivamente, sia in riferimento al Decalogo, sia con riguardo alla charitas, ciò che viene in considerazione è l’oggettività delle rispettive trasgressioni, la responsabilità morale diviene altrettanto oggettiva, il libero arbitrio è compiutamente obliterato.

7. — La responsabilità penale nella civitas hominis La teoresi della charitas che si è appena esposta trova

applicazione nella civitas Dei, non anche o, per lo meno, non negli stessi termini, nella civitas hominis che, infatti, invece di essere retta da tale valore, è soggetta alla legge positiva e, quindi, alla correlata responsabilità penale.

Per altro, non potendo, neppure quest’ultima, essere fondata sul libero arbitrio, essa è la conseguenza di un comportamento che sia contrario a quello prescritto dalla norma giuridica (37). La colpa e il dolo non sono più aspetti del libero arbitrio, ma circostanze che qualificano le modalità della condotta. Su di esse, unitamente alla tipologia del fatto, si determina, fondamentalmente, la natura e l’ammontare della pena. In altri termini, l’essere prevale sul dover essere: “il principio cristiano, in senso letterale, non è ‘tu devi’, ma ‘tu sei’” (38).

Ciò non sta a significare la negazione del libero arbitrio (“Si quis liberum hominis arbitrium post Adae peccatum amissum et

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extrinsecum esse dixerit [...] anathema sit”) (39), sta, invece, ad indicare che, in riferimento alla legge positiva, i requisiti della colpa e del dolo, pur essendo presenti, scadono di conseguenza.

Il diritto penale si atteggia, pertanto, alla stessa maniera delle sanzioni naturali per i comportamenti contrari all’ordine naturale stesso. Alla natura non interessa l’intenzionalità del comportamento, ma solo il suo allontanamento dalle sue leggi mentre le conseguenze negative sono meccanicisticamente proporzionali alle modalità delle loro violazioni.

Nella visione cristiana un diritto penale rieducativo è, di conseguenza, una contraddizione in termini.

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III LA MATERIALIZZAZIONE DELLA MENTE UMANA

AD OPERA DELLA NEUROSCIENZA 8. — Il nichilismo come quadro culturale di riferimento della

neuroscienza Nel contesto contemporaneo, il nichilismo è divenuto la

filosofia dominante. Il suo statuto si può considerare sintetizzato dalla formula

“non ci sono fatti, ma solo interpretazioni” (40), dall’affermazione della “interpretatività di ogni esperienza del vero”, della “storicità delle aperture entro cui ogni vero può darsi” (41).

La conoscenza, dunque, non è che attribuzione di significati, non si dà che “il puro arbitrio interpretativo del filosofo, la sua soggettivissima sensazione rispetto al tempo che vive (o che esamina)” (42).

Per altro, anche “l’ermeneutica come metateoria del gioco delle interpretazioni” deve, a sua volta, essere storicizzata “eliminando”, così, “l’ultimo equivoco metafisico che la minaccia e che tende a farne una pura filosofia relativistica della molteplicità delle culture” (43). Essa stessa non è che interpretazione.

Il nichilismo diviene, per questa via, assoluto, rifiutando anche di teorizzarsi poiché, così facendo, si tradurrebbe pur sempre in una verità, sia pure negativa, vale a dire, nella affermazione della inesistenza della verità. Esso trova, così, conferma nei termini teorizzati da Cratilo che, infatti, “finì col credere che non si debba parlare, e muoveva il dito solamente, e biasimava Eraclito per aver detto che non è possibile immergersi due volte nello stesso fiume: a suo avviso, neppure una volta è possibile” (44).

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9. — La reificazione della mente umana Allo spessore culturale così acquisito dal nichilismo, un

significativo contributo alla sua diffusione proviene dalla neuroscienza. Per il suo tramite, si ritiene che sia stata caducata la tradizionale distinzione tra enti fisici ed enti morali, che sia venuto meno il convincimento secondo cui l’uomo ha natura dualistica, essendo composto di anima (res cogitans) e di corpo (res exstensa) (45). L’anima umana non è sussistente ma è una derivazione della corporeità, il pensiero non è che una produzione del cervello (46), “minds are brains” (47).

La tesi della presenza della res cogitans viene qualificata come “the dogma of the Ghost in the Machine”, come “category-mistake”, come “a philosopher’s myth” (48): il “corpo non è più che un insieme di valvole, setacci, chiuse, ciotole e vasi comunicanti” (49); “noi [...] siamo composti soltanto da miliardi di stupidi ingranaggi” (50); “human nature differs only in degree of complexity from clockwork” (51); “l’ego cartesiano, la coscienza [...] [diventano] una neurochimica che presto conosceremo” (52); “l'uomo è attualmente veduto come una entità bio-macchinale, un vivente che ha comportamenti tutti integralmente spiegabili nelle combinatorie di flussi di informazioni, omogenei a quelli che oggi specificano e connettono sistemi biologici e sistemi informatici” (53).

Per questa via, gli antichi convincimenti della filosofia materialista (54) tornano ad imporsi come verità scientifiche.

Dalla concezione dualistica dell'uomo si transita, dunque, ad una visione monistica in cui egli è inteso come res extensa, come machinery: “Perché il fatto che il pensiero sia una secrezione del cervello dovrebbe essere più stupefacente che la gravità sia una proprietà della materia?” (55).

Non è la mente (l’anima) a servirsi del cervello, è quest’ultimo che regola la mente secondo un rapporto di natura organica: “Quel che è certo è che la coscienza [...] si sviluppa da ciò che fa il cervello [...] e non da ciò da cui è fatta” (56); “Quando

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affermiamo che la coscienza può agire sul corpo, sosteniamo che le strutture neuronali agiscono sul corpo” (57).

Si sarebbe, insomma, in presenza di una seconda rivoluzione copernicana, avente ad oggetto la relazione tra la mente ed il cervello.

Compito, pertanto, della neuroscienza è di svelare le “radici biologiche della mente umana” (58), è “di formulare una teoria che riesca, in linea di principio, a fornire una spiegazione completa del comportamento animale e umano nella sua globalità, compreso il comportamento verbale dell’uomo” (59); “il nostro problema consiste ormai nella ricerca dei meccanismi cellulari che permettano di passare da un livello a un altro, di selezionare[,] quindi di ricostruire gli ‘oggetti mentali’ partendo dalle attività elementari d’insiemi definiti di neuroni” (60).

Ciò importa che le usuali denominazioni delle molteplici attività culturali umane vengono ad essere precedute dal prefisso “neuro”. Si ha, così, il neuro-essenzialismo che studia “la corrispondenza tra il cervello e l’essenza della persona”; il neuro-realismo avente ad oggetto l’“interpretazione dei dati provenienti dalla ricerca su neuroimmagini”; la neuro-politica riguardante “la promozione di politiche sociali sulla base delle neuroscienze” (61); il neuro-diritto (62); la neuro-filosofia (63); in prospettiva, di certo, si avrà, la neuro-fisica, la neuro-medicina, la neuro-arte, la neuro-musica, etc., si transiterà alla “neuromania” (64): “Parleremo quindi sempre meno di esperienze, percezioni, pensieri, credenze, progetti e scopi, e sempre più invece di processi cerebrali, di disposizioni a comportarsi e di comportamento manifesto. In questo modo il linguaggio mentalista passerà di moda e verrà usato soltanto nelle relazioni storiche oppure metaforicamente o ironicamente” (65).

Si è in presenza di una visione, presentata come scientifica, che demanda la soluzione delle problematiche umane ai neuro scienziati, riguardati come “preti secolari” (66), ciò che induce a configurare una società di tipo orwelliano.

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10. — Dall’etica alla neuroetica, ovvero, la fondazione dell’etica neuronale, la relativizzazione del libero arbitrio

Sul piano della filosofia morale e, quindi, della giustizia,

l’apporto della neuroetica è nel senso che la problematica relativa al libero arbitrio deve essere trattata nei termini dei criteri deducibili dalla fisiologia del cervello, non diversamente da quanto accade per qualsiasi altro organo umano, donde la conclusione: “non siamo agenti del tutto liberi”, il libero arbitrio non è che una “illusione” (67); donde, ancora, il dovere di accettare “l’idea che il nostro corpo sia in continua attività, mosso com’è da sistemi automatici che seguono leggi deterministiche” (68): “ritengo che il pensiero morale coincida intrinsecamente, e a tutti i livelli, con le scienze naturali” (69); “la nostra natura morale è come è perché i nostri cervelli sono come sono” (70); “noi siamo dei ‘burattini biochimici’” (71).

Non potrebbe, pertanto, darsi un’etica che abbia un rilievo autonomo, ma solo una neuroetica, vale a dire, un’etica a fondamento materialistico, in quanto riducibile a pondus, numerus et mensura. Dall’anima moralmente orientata si transita all’Ethical Brain (72), alla Neurobiologia della morale (73) e ad alia hujusmodi.

Le ricadute sul piano etico-giuridico possono così essere sintetizzate: negazione della coscienza (74); negazione del libero arbitrio (75); negazione dei valori etici (76); possibile tipizzazione neurologica dei soggetti devianti [da che?] (77), donde ancora la neuropredizione nei termini della “possibilità di usare dati neuroscientifici per stabilire la futura pericolosità del reo [...] e per decidere conseguentemente gli interventi utili per prevenire ulteriori crimini” (78).

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IV I LIMITI DELLA NEUROSCIENZA

11. — La delegittimazione della scienza ad opera del nichilismo. La

riduzione della scienza a tecnica. La neuroscienza come tecnica La scienza moderna, nata da Galileo Galilei, intesa come

finalizzata alla emancipazione dallo stato di ignoranza e, pertanto, di errore, conseguentemente, diretta alla elevazione della condizione umana, è ormai decaduta, avendo acquisito natura strumentale rispetto alle esigenze del sistema capitalistico della produzione. L’universalismo della scienza è divenuto parte costitutiva e significante dell’universalismo capitalistico, della globalizzazione economica e, quindi, politica della società umana. La scienza non è più espressione della filosofia dell’umanesimo, non è più al servizio dell’uomo. Essa, integrata nel sistema economico capitalistico, ne supporta il valore ordinante costituito dal nichilismo concorrendo, per questa via, alla “distruzione della filosofia” (79) intesa come conoscenza dell’esistente riguardato come ordinamento razionale. Sul piano della filosofia della giustizia questa stessa scienza, contribuendo alla diffusione del nichilismo, si presta ad indurre il decadimento della teorica della inherent dignity e dei connessi inherent rights (natural rights), in quanto ostativi della legge del massimo profitto.

Per bene intendere le implicazioni culturali derivanti da questa connessione della scienza con il nichilismo, si deve tenere presente che la scienza è propriamente tale solo in quanto sia sorretta da una precisa filosofia capace di ricondurre l’esistente ad una causa movens prima (80), senza cui l’affermazione della sua razionalità e della sua conoscibilità non potrebbe essere fondata.

Quando si sostiene che “l’ipotesi di Dio, una volta che vanga accettata, può ‘spiegare’ ogni cosa (nel senso che può ricondurre ogni evento a una causa sovrannaturale), e proprio perciò non spiega in termini scientifici, e non predice, nulla” (81), si fa luogo ad una affermazione che è esatta se con essa si intende far riferimento all’intervento miracolistico divino che,

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infatti, preclude la sua comprensione in termini scientifici. Ma non è in questo senso che può essere riguardato il frequente ricorso all’idea di Dio che si rinviene nella fisica intellettualistica (ad es. in Galileo, in Newton, in Keplero). Con tale richiamo, infatti, non si intende spiegare i fenomeni naturali ancora inesprimibili in termini scientifici, si intende, invece, attestare che, ciò nonostante, essi sono razionalmente ordinati.

Causalità e casualità non possono essere compresenti, o vige l’una o l’altra (82). Se esiste una fisica dell’ordine, esiste anche una causa prima rationalis che la rende possibile. Essa pervade l’esistente talché le casualità riscontrate dall’uomo nella natura non sono che apparenze, non sono che conseguenze di una loro inadeguata conoscenza.

Il transito dalla filosofia deistica al nichilismo priva l’esistente della sua strutturazione ontologicamente razionale (83), rendendone impossibile la scienza, donde l’affermazione della “fisica del chaos” (84).

La scienza, di conseguenza, decade al livello della tecnica, dell’artigianato sia pure altamente qualificato, cessando, così, di far parte della filosofia dell’umanesimo. Per questa via, decade anche la distinzione “tra ‘scienza’ e ‘tecnica’, poiché essa ha senso quando la scienza ha il compito di rivelare la verità delle cose e la tecnica quello di applicarla secondo le diverse modalità dell’agire umano” (85). Perduta la prima funzione, non resta che la seconda.

La scienza, dunque, non è più conoscenza di una verità oggettiva depositata nella natura. Si fa così luogo ad una certezza scientifica che è transeunte, ad una certezza che finisce per coniugarsi con un privo di una causa initalis e di una causa finalis e, quindi, privo di senso, in quanto tale scientificamente inconoscibile.

La crisi della scienza non può non investire la neuroscienza privandola di quella autorità che altrimenti potrebbe avere.

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12.— Limiti della metodica sperimentale impiegata dalla neuroscienza

Il rapporto tra il cervello e la mente è trattato dalla

neuroscienza in modo tutt’altro che univoco. Questa circostanza depone a sfavore della valenza scientifica delle ricerche, ovvero, ciò che non cambia, incide negativamente sulla loro idoneità a fondare convincimenti certi. I dati sono raccolti con metodiche che riflettono la personalità dei singoli scienziati e ne sono, quindi, significativamente influenzati. Essi formano oggetto di interpretazione piuttosto che rivelare un loro oggettivo ed univoco significato (86). Non esiste una metodica comune capace di uniformare le indagini e di rendere universalmente veridici i risultati, qualunque essi siano.

Ma non è questo il punto. Il fatto è che la tesi della derivazione del pensiero dal cervello incontra difficoltà insuperate. Le modalità della loro correlazione restano, infatti, sostanzialmente sconosciute poiché non si comprende come la materia possa produrre il pensiero che, per giunta, reagisce su di essa facendone oggetto di una riflessione propria ed inducendo l’acquisizione delle connesse capacità modificative. Un vero e proprio non senso. In natura, mai l’effetto prevale sulla propria causa, mai si pone come causa della propria causa riducendola ad un suo effetto. La neuroscienza non si rende conto che l’indagine svolta sui neuroni non può essere opera dei neuroni stessi, ovvero, di un super neurone, ma soltanto della mente, la sola capace di autocoscienza e, quindi, di autoriflessione.

L’esistenza dei valori etici è un fatto incontestabile. La loro riduzione, al fine di delegittimarne la provenienza dal pensiero, a folk psychology, talché le relative prescrizioni sarebbero “quasi tutte infondate” (87), è semplicistica e, quindi, priva di scientificità. In ogni caso, questo riduzionismo non incide minimamente sulla loro presenza, pertanto, è inidoneo a costituirne una spiegazione.

Nessun esperimento neuroscientifico ha evidenziato la produzione di un solo valore da parte del cervello. Ciò sta a significare che la loro fonte è altrove. Quando la neuroscienza

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sarà stata in grado di provare l’origine neuronale del “neminem laedere”, ovvero, su tutt’altro piano, del “cogito ergo sum” cartesiano, vale a dire, allorché, li avrà raccolti spremendoli da un contesto neuronale, quando, più a monte, avrà dimostrato che la vita è la corporeità umana talché l’uomo e, più latamente, ogni vivente, in nulla differiscono dai corpi fisici, si potrà parlare, rispettivamente, di neuroetica e di neurofilosofia.

Allorché, argomentando dai dati messi a disposizione dalla neuroscienza, si afferma che i valori sono il prodotto di “passioni”, di “emozioni”, di “autoinganni” e così di seguito (88), quando si sostiene che “Noi universalizziamo i nostri giudizi [...] ma lo facciamo in quanto siamo spinti da intuizioni radicate nelle nostre strutture emotive [...] e non perché guidati dalla ragione e sulla base di una decisione autonoma o libera” (89), quando, al fine di motivare queste dichiarazioni si fa riferimento ad una particolare parte del cervello che ne costituirebbe la causa, non ci si accorge che le “passioni” sono atteggiamenti dell’anima, della mente, non della materia per sua natura insensibile.

Il patrimonio culturale umano viene destituito di fondamento unicamente perché il neuroscienziato non ne rileva la presenza a livello neuronale quantunque ne costituisca, secondo i suoi stessi assunti, un prodotto specifico. Per questa via, viene anche delegittimata la tradizione nonostante la sua valenza ordinante sia nella vita dei singoli come delle comunità. La historia non può più essere magistra vitae, sebbene nella realtà lo sia (90).

Gli individui non sono uguali. Essi si distinguono non solo per le qualità fisiche ma anche e soprattutto per quelle mentali, tanto che la società umana, tendenzialmente, si struttura gerarchicamente di conseguenza. La neuroscienza non ne dà alcuna spiegazione.

I “neuroni specchio” sono inidonei a spiegare la comprensione dell’altrui personalità non solo umana (91) ma anche animale e, per certi versi, vegetale. I termini coinvolti sono qualitativamente e quantitativamente così diversificati e complessi da non poter essere ridotti ad una relazione neuronale

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“a specchio”. La materialità di quest’ultima non spiega, inoltre, come sia possibile la relazione spirituale che si instaura con le persone defunte allorché la loro personalità risulti da supporti materiali (libri, testimonianze artistiche, etc.).

Nessun cervello è uguale ad un altro. Si dà un rapporto di similitudine, ma, appunto, mai di uguaglianza. Tuttavia, è indubbia la presenza di idee universali. Essa è particolarmente significativa nella visone giusnaturalistica della giustizia in cui, infatti, ex pluribus unus, è riscontrabile il valore del neminem laedere. Ora, un’idea universale può essere basata solo su un sostrato comune e tale non può essere il complesso dei cervelli, mentre soddisfa questa esigenza l’anima (la mente) umana in quanto quiddità comune a tutti gli uomini (92).

Perseguendo l’intento di delegittimare il significato della presenza, nella cultura umana, di idee di giustizia universali viene introdotta l’idea della evolutività del cervello (93). Per altro, tra questi due termini non c’è nesso di conseguenzialità: dall’evolutività del cervello non segue l’universalità dei precetti di giustizia. Inoltre, non ci si avvede che il termine “evoluzionismo” è una parola priva di significato scientifico. L’evoluzione è un fatto, l’evoluzionismo ne è l’interpretazione, è una filosofia, in quanto tale soggetta ai criteri di verifica che le sono propri. Ancora oggi la scienza nega la presenza di una causa initialis e di una causa finalis che ne costituisca la motivazione, ciò che sta a significare il protagonismo del caso, la conseguente impossibilità di spiegazioni che possano dirsi scientifiche. L’evoluzionismo è uno di quei termini che l’uomo introduce per coprire una situazione di ignoranza dei fenomeni naturali, come il miracolo, il flogisto, la ghiandola pineale et similia.

Quando, al fine di negare il libero arbitrio si sostiene che l’autocoscienza è successiva alla decisione (94), si fa luogo ad una proposizione errata poiché è la prima a precedere la seconda. Le quattro virtù c.d. cardinali - la prudenza, la fortezza, la temperanza e la giustizia - presuppongono l’autocoscienza (95), vale a dire, la consapevolezza della relazione intercorrente tra il momento attuale e i suoi ulteriori possibili sviluppi;

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presuppongono, quindi, una decisione e l’anteriorità della volontà rispetto alla sua attuazione; richiedono che l’autocoscienza si estenda a queste fasi onde indurne, tramite l’ulteriore attività discrezionale e volitiva, il costante controllo.

Se le virtù cardinali, o le altre che si vogliano prendere in considerazione, fossero posteriori ai processi neuronali, esse sarebbero inutili, ciò che è un non senso, ciò che è contraddetto dalla realtà.

13. — L’autocoscienza Esisto, infine, due ulteriori dati che ostano alla accoglibilità

della reificazione della mente umana. Il primo, è espresso dalla presenza dell’autocoscienza. La neuroscienza non ne dà alcuna spiegazione se non quella, semplicistica, consistente nella sua negazione (96).

Dire che “le nostre capacità di auto-conoscenza attraverso l’introspezione sono fallaci - l’introspezione serve all’autoinganno e i cosiddetti Sé o Io, che dir si voglia, non esistono affatto” (97), significa negare i fatti, significa, quindi, assumere il più antiscientifico degli atteggiamenti. La sua sola motivazione risiede nel fatto che autocoscienza e neuronalità del pensiero sono termini incompatibili.

L’autocoscienza è, infatti, la consapevolezza di esistere, è la capacità di cogliersi come esistente, come soggetto delle molteplici relazioni con se medesimi, con gli altri, con la natura. L’autocoscienza, in virtù di questa sua collocazione meta-corporale, è, pertanto, eminentemente spirituale.

Nessun vivente è privo di autocoscienza. Le differenze riscontrabili, sotto questo specifico profilo, sono soltanto secundum magis et minus. Una pietra esiste senza che, di questo suo esistere, abbia la consapevolezza. L’autocoscienza è, pertanto, oltre l’essere meramente fisico. Il cervello, anche ammesso che produca pensieri, non può acquisire la consapevolezza di questa sua attività. Perché questo accada occorre che il pensiero si autonomizzi rispetto ad esso, che si collochi al di sopra di esso,

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ciò che non è possibile poiché mai l’effetto può separarsi dalla causa, può cessare di esserne parte. Resterebbe, comunque, che è il pensiero a generare l’autocoscienza e non il cervello.

A rigore, l’autocoscienza non è il prodotto di un pensiero, è, invece, uno status originario poiché, nel momento stesso in cui si pensa, nel momento stesso in cui si vive, si ha coscienza di esistere: “Lo stesso è pensare ed essere” (98). Pensare ed essere sono appunto la stessa cosa, mentre nella logica della neuroscienza, il cervello pensando dovrebbe indurre, anche se non si sa bene come, la consapevolezza di esistere; dal suo punto di vista, essere e pensare sono momenti distinti, vale a dire, il primo precede il secondo. Per altro non è così poiché, appunto, l’esse e la conscientia sono momenti coincidenti.

Il secondo dei dati che ostano alla reificazione della mente umana è la sua infinità. La mente è finita quanto alle sue potenzialità che, infatti, se fossero infinite, non potrebbero mai tradursi in atto (99), ciò che, invece, è contraddetto dalla realtà. La mente, al tempo stesso, è infinita quanto alla sua estensione. Sotto questo profilo, non esiste un limite entro cui essa sia ricompresa, non esiste un limite oltre il quale non possa andare (100). Nulla esiste che non possa essere incluso in essa.

Questa qualità è incompatibile con la finitezza materiale propria del cervello e della relativa attività neuronale.

V IL PROFILO RICOSTRUTTIVO

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14. — La priorità del pensiero rispetto al cervello: il pensiero deriva dal pensiero

La neuroscienza scopre che, sollecitando parti specifiche del

cervello, si verificano funzioni tipiche dell’attività mentale, donde la conclusione secondo cui quest’ultime trarrebbero origine dal cervello stesso.

Tale inferenza è solo apparentemente sillogistica. Dal fatto che zone determinate del cervello siano correlate ad altrettanto determinate manifestazioni mentali, non si può affatto inferire il superamento della concezione spiritualistica dell’essere umano (101), non si può indurre la conclusione secondo cui non è il pensiero a servirsi del cervello. E’ proprio la natura strumentale di quest’ultimo che spiega come esso sia dotato delle sedi specificative ed identificative delle attività mentali.

La neuroscienza ha riproposto la tesi materialistica ignorando il pensiero filosofico maturato al riguardo, in particolare, quello platonico ed aristotelico, ma anche quello cristiano (102), ciò che è sufficiente a minarne la serietà scientifica.

Il pensiero è immateriale, la sola sede in cui esso può essere riscontrato, in cui possono essere rilevati i suoi specifici contenuti è il pensiero stesso, vale a dire, l’autocoscienza. Se la sua fonte fosse cerebrale e, quindi, materiale, anch’esso dovrebbe essere rilevabile materialmente, ciò che non avviene. Così come il pensiero si serve dei gesti, delle parole, degli scritti, etc., analogamente del cervello. Questi aspetti riguardano la sua comunicazione, la sua esteriorizzazione, non la sua ontologia come significata dal processo di autocoscienza (103).

Il cervello senza il pensiero non pensa. Degli altri organi fisici è possibile la riproduzione meccanica e la relativa implementazione, non è così per il cervello. Un cervello meccanico capace di pensare indipendentemente da un programma ricevuto, capace, altresì, di autocoscienza, non esiste (104).

15. — Libero arbitrio e responsabilità penale

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Come si è precedentemente riferito, l’avvento del

cristianesimo, il suo radicamento nel tessuto culturale della società occidentale, hanno mutato profondamente i termini della tematica del libero arbitrio (105).

La storiografia filosofica attesta la presenza di due componenti umane, una informata al “sapere oportet”, al “neminem laedere” e al “Deum colere”, l’altra a valori opposti (106).

Di conseguenza, il libero arbitrio non riguarda la scelta tra queste due ontologie etiche essendo esse da natura, ma le modalità della loro realizzazione.

Il fenomeno giuridico non è che la positivizzazione di finalità etiche la cui imperatività diviene, così, coercitiva.

Il rapporto tra colui che ordina e il suo destinatario, tradizionalmente, è caratterizzato, per quanto riguarda il primo, dalla necessità di regolare, in funzione di specifiche esigenze, il comportamento del secondo; per quanto riguarda quest’ultimo, dalla libertà di eseguire o non eseguire quanto comandato. Non si comanda a una pietra o a un vegetale.

Su queste basi, si introduce la nozione del libero arbitrio: “Quod igitur homo aptus sit ad recipiendam obligationem, una quidem causa est, quia voluntatem habet, quae in utramque partem sese flectere, adeoque ad normam aliquam moralem se componere potest” (107); “Sequitur ergo, ut ille obligationis sit capax, qui et normam praescriptam potest cognoscese, et voluntatem habet intrinsece liberam, et in diversa flexilem” (108).

Ma, a ben vedere, la scelta non è tra il poter obbedire e il non poterlo, ma tra l’acquisire e il non acquisire i vantaggi che derivano dall’obbedire, ciò che condiziona il libero arbitrio riducendone proporzionalmente la vigenza. Libertà e dover essere sono, infatti, termini antagonistici.

La scelta trascende questa dimensione utilitaristica allorché sia dettata dall’imprinting etico e, quindi, allorché l’obbedienza derivi dalla corrispondenza della legge positiva con esso;

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inversamente, allorché il rifiuto di obbedienza tragga origine dall’assenza di una tale corrispondenza.

Più specificamente, la colpa assume rilievo come disobbedienza restando, tuttavia, da stabilire quale sarebbe stato il comportamento ove tale status soggettivo fosse mancato.

Il dolo, invece, diviene la modalità dell’obiezione di coscienza.

La presenza dell’imprinting etico condiziona, dunque, la libertà umana orientandola secondo i suoi specifici contenuti. Ciò sta a significare che la punibilità di coloro che si attengono al proprio imprinting, per altro, contrastante con il valore di giustizia accolto dall’ordinamento giuridico vigente, non può essere basata sul libero arbitrio ma sul dato oggettivo della disobbedienza, esattamente come avviene in natura dove il vivente soggiace alle conseguenze della violazione della legge fisica o biologica per ciò solo che essa abbia avuto luogo.

Di conseguenza, il dolo e la colpa non sono che circostanze aggravanti o attenuanti di questo tipo di responsabilità penale.

Id aequius quod validius, vale a dire, prevale lo statuto etico e giuridico che è riuscito a porsi, nella società civile, come dominante, talché l’afferenza ontologica alla statuto etico opposto non può essere addotta come esimente dalla responsabilità penale derivante dall’obiezione di coscienza.

Concludendo, il libero arbitrio, riguardato nelle sue manifestazioni più elevate, non riguarda la scelta dei valori ultimi conformativi dell’agire umano, ma attiene alla scelta dei media più adatti alla loro realizzazione, alla loro implementazione.

Quanto sostenuto dai neuroscienziati è, pertanto, del tutto inidoneo a spiegare questo concreto atteggiarsi della personalità umana, la martirologia che ad esso è correlata.

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1) Corbellini G.-Sirgiovanni E., Tutta colpa del cervello Un’introduzione alla neuroetica, Mondadori, Milano, 2013. 2) Per una trattazione più estesa, si rinvia a Donati A., Diritto naturale e globalizzazione, Roma, Aracne, 2007, Cap. IV. 3) Su quanto esposto, vd., ubi supra, § 57. 4) Cicero, De legibus, I, 7, 22: “[homo] solum est enim ex tot animantium generibus atque naturis particeps rationis et cogitationis, quom cetera sint omnia expertia”. 5) Cicero, ubi supra., I, 8, 25; vd. anche, I, 7. 6) Grotius H., De jure belli ac pacis Libri tres, Janssonius van Waesberge, Amstelaedami, 1720, Lib. I, Cap. I, § III.1, richiamando Cicero, De officiis, III, 5. Vd., altresì, ivi, 6, 27: “una continemur omnes et eadem lege naturae, idque ipsum si ita est, certe violare alterum naturae lege prohibemur”. 7) Per ulteriori riferimenti bibliografici, si rinvia a Donati, Diritto naturale e globalizzazione, cit., § 76. 8) Plotino, Enneadi, trad. it. di G. Faggin, Rusconi, Milano, 1992, I, 1, 12. 9) Aristoteles, in Thomas de Aquino, In decem libros Ethicorum ad Nicomachum expositio, Marietti, Torino-Roma, 1964, Thom. Aq. expos., n. 808; Id., in Thomas de Aquino, In octo libros Physicorum Aristotelis expositio, Marietti, Torino-Roma, 1965, Thom. Aq. exp., n. 135: “privatio pertinet ad malum”. 10) Aristoteles, in Thomas de Aquino, In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio, Marietti, Torino-Roma, 1950, Thom. Aq. expos., n. 896. 11) Salustius, De Diis et mundo, trad. it. di R. Di Giuseppe, Adelphi, Milano, 2000, Cap. 12, § 1, p. 147. 12) Aristoteles, in Thomas de Aquino, In decem Libros Ethicorum ad Nicomachum..., cit., Thom. Aq. expos., n. 808; Plotino, Enneadi, cit., 5, 9, 10: “il male, qui fra noi, deriva solo da mancanza, da privazione, da difetto”. 13) Vd. Platone, Protagora, trad. it. F. Adorno, in Opere complete, Vol. V, Laterza, Bari, 1988, 358a-b: “nessuno volontariamente si volge a ciò che è o che ritiene male”; Id., La Repubblica, trad. it. F. Sartori, ivi, Vol. VI, 413a-b; Id., Liside, trad. it. P. Pucci, ivi, Vol. IV, Laterza, Bari, 1988, 218a; Id., Alcibiade I, trad. it. P. Pucci, ivi, 118a; Id., Leggi, trad. it. A. Zadro, ivi, Vol. VII, 863c-d; Plotino, Enneadi, cit., III, 2, 10: “gli uomini sono cattivi contro il loro stesso volere e involontariamente”.

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14) Vd. Donati A., Homo e Persona. Inherent Dignity e Menschenwürde, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, XVII Convegno Internazionale, Aracne, Roma, 2010, Tom. I, §§ 6-7. 15) Così, Bonacina M., Opera omnia, Tom. II, Lugduni, Sumptibus Laurentii Anisson, 1546, Diput. III, Quaest. I, Punct. VI, p. 490, 2a col., n. 1, richiamando la l. quod Nerva, ff. depositi (D. 16, 3, 32). 16) Cicerone, Della divinazione, a cura di R. Giomini, in Tutte le opere, Vol. 28, Mondadori, Milano, 1968, 32, 70-71, p. 214. 17) Aristoteles, in Thomas de Aquino, In decem libros Ethicorum ad Nicomachum..., cit., Thom. Aq. expos., nn. 231-233; vd. anche nn. 234, 235, 240. 18) Ubi supra, n. 293: “Appetitus autem sensitivus dividitur in duas vires: scilicet in concupiscibilem [...] et irascibilem”; vd. anche n. 437. 19) Ubi supra, n. 241: “ratio non subditur motibus passionum appetitus sensitivi, sed potest eos reprimere. [...] Cum enim intellectus vel ratio non sit potentia alicuius organi corporalis, non subditur directe alicuius virtutis corporeae actioni. Et eadem ratione nec voluntas, quae est in ratione”. 20) Per riferimenti bibliografici, vd. Donati A., Diritto naturale e globalizzazione, Aracne, Roma, 2007, Cap. XII; Id., Alla ricerca di Dio, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2012, §§ 5-8. 21) Aristotele, Dell’anima, trad. it. R. Laurenti, in Opere, Vol. IV, Laterza, Roma-Bari, 1983, Cap. III, 407a, p. 113. 22) Platone, Fedro, trad. it. P. Pucci, in Opere complete, Vol. 3, Laterza, Roma-Bari, 1989, 245e; Id., Leggi, trad. it. A. Zadro, ivi, Vol. 7, Laterza, Roma-Bari, 1987, 895a. 23) Pensiero riferito e condiviso da Aristotele, Dell’anima, cit., 404 a, p. 106, e quivi nota redazionale 27; ivi, 410 b, p. 123: “che ci sia qualcosa di più grande dell’anima, che la domini, è impossibile”; 429 a, p. 174: “l’anima [intellettiva] è il luogo delle forme [i.e., dei concetti]”. 24) Aristotele, ubi supra, 407 a, p. 113. 25) Vd. De jure belli..., cit., Lib. I, Cap. I, §. X.1. 26) Sul piano ricostruttivo, vd. Aristotele, Dell’anima, cit., Cap. II. 27) Lucrezio, De rerum natura, Lib. III, vv. 162-163. 28) Ivi, vv. 547-549. 29) Su questa problematica vd. quanto riferito da Cicerone, Sul destino, a cura di F. Pini, 10 e 11, 21-26, in Tutte le opere, Vol. 28, Mondadori, 1968, p. 518 sqq.

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30) Per riferimenti bibliografici, vd. Donati A., Diritto naturale e globalizzazione, cit., in particolare, Cap. VIII. 31) Augustinus A., De natura boni contra Manichaeos, in Opera, Tom. VIII, F. Muguet, Parisiis, 1688, Capp. XXVII e XXVIII, c. 508 C-F. 32) Vd. Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 362 sqq. 33) Estrapolazione dalla fonte cit. in Denzinger H.-Schönmetzer A., Enchiridion Symbolorum Definitionum et Declarationum de rebus fidei et morum36, Herder, Barcinone-Romae, 1976, n. 806. 34) Augustinus, Contra duas epistolas Pelagianorum, Lib. II, § 9, in Opera, Tom. X, Muguet, Parisiis, MDCXC, c. 436 F. 35) Vd. la fonte cit. in Denzinger-Schönmetzer, Enchiridion Symbolorum..., cit., n. 1548; vd. anche nn. 248 e 1582. 36) Augustinus A., In epistolam Johannis ad Parthos Tractatus decem, Tract. VII, § 8, in Opera, Tom. III.2, Muguet, Parisiis, 1680, c. 875E; Glossa e, a Gratianus, Decretum, Concordia discordantium canonum, Venetiis, 1605, I, Dist. I, pr. 37) Vd. anche Quinzio S., La filosofia della Bibbia, Morcelliana, Brescia, 2015, p. 19: “Il peccato è un attentato alle radici della vita, che può determinarsi del tutto indipendentemente dalle intenzioni e che pertanto non ha necessariamente rapporto con la responsabilità personale e con la vita etica [...] (2° Libro di Samuele, 6, 4-7). Il peccato, più che alla colpevolezza in senso morale, è simile alla malattia che minaccia la vita e contagia”. 38) Così, Müller K., Antiteismo d’élite, in il Regno, 2010, n. 1083, p. 484. 39) Vd. la fonte cit. in Denzinger-Schönmetzer, Enchiridion Symbolorum..., cit., n. 1555. 40) Vattimo G., Oltre l’interpretazione, Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 4, p. 17. 41) Vattimo, op. ult. cit., p. 13. 42) Così, sul piano ricostruttivo Flores D’Arcais P., Addio alla verità? Addio all’essere?, in MicroMega, 2011, n. 5, p. 103. 43) Vattimo, loc. ult. cit. 44) Così, sul piano ricostruttivo, Aristotele, La Metafisica, trad it. A. Carlini, Laterza, Bari, 1965, 1010a. 45) Su tale convincimento nel pensiero contemporaneo vd. Popper K.R., in Popper K.R.-Eccles J.C., L’Io e il Suo Cervello, trad. it. G. Mininni, Vol. I, Armando Armando, Roma, 1981, § 5, p. 22 sq. e Cap. P3, p. 69 sqq. Vd. anche la seguente affermazione di Rose S., Il cervello del ventunesimo secolo, Trad. it., Codice Ediz., 2005, p. 183: “La vita mentale e la coscienza, come non sono riducibili alla

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biochimica, non possono nemmeno essere abbassate al livello delle singole sinapsi o dei singoli neuroni”. 46) Vd. Damasio A.R., E dal corpo nacque l’anima: le emozioni nell’evoluzione, in MicroMega, 2, 2007, p. 63 sqq.; Pinker S., Come è nata la mente?, ivi, p. 72 sqq. 47) Così, Thagard P., The Brain and the Meaning of Life, Princeton University Press, Priceton and Oxford, 2010, Cap. III, p. 42 sqq. 48) Espressioni tratte da Ryle G., The Concept of Mind, Penguin Books, 1949, p. 17. 49) Citazione riportata da Punzi A., L’ordine giuridico delle macchine La Mettrie Helvétius D’Holbach L’uomo-macchina verso l’intelligenza collettiva, Giappichelli, Torino, 2003, p. 25, nota 51. 50) Così, Dennet D.C., Dove nascono le idee, trad. it. F. Garofoli, Di Renzo Editore, Roma, 2006, p. 55. 51) Così, Ryle, The Concept of Mind, cit., p. 20. 52) Così, Steiner G., La barbarie dell’ignoranza, trad. it. A. Cariolato, Nottetempo, 2005, p. 52. 53) Così, Romano B., Prefazione a Punzi, L’ordine giuridico delle macchine..., cit., p. VII. 54) Vd., retro, § 5. 55) Cit. in MicroMega, 2005, n. 4, p. 1, senza indicazione della fonte specifica. 56) Così, Dennet, Dove nascono le idee, cit., p. 42; ibidem: “I nostri cervelli non sono nulla più che macchine sintattiche”. 57) Così, Searle J.R., Libertà e neurobiologia : riflessioni sul libero arbitrio, il linguaggio e il potere politico, a cura di E. Carli, B. Mondadori, Milano, 2005, p. 20. 58) Così, Kandel E.R., La nuova scienza della mente, in Mente e cervello, 2006, n. 23, p. 66. Vd., altresì, Id., Psichiatria, psicoanalisi e nuova biologia della mente, trad. it. D. Sarracino, Cortina Edit., Milano, 2007, Cap. 8, p. 448: “l’ultimo grande mistero con il quale è chiamata a confrontarsi la biologia è la natura della mente umana”. 59) Così, sul piano ricostruttivo, Eccles J.C., Strutture e funzioni cerebrali, in Popper-Eccles, L’Io e il Suo Cervello, cit., Vol. II, Cap. E7, § 50, p. 435. Il testo, così prosegue: “Tuttavia, credo che la strategia riduzionistica non sarà in grado di portare a termine il suo tentativo di spiegare i livelli superiori di attività cosciente del cervello umano”. 60) Così, Changeux J.-P., L’uomo neuronale, trad. it. C. Sughi, Feltrinelli, 1996, p. 160 sq.

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61) Così, Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., p. XI. 62) Ubi supra, p. 162 sqq. 63) Ubi supra, p. 174 sqq., p. 178. 64) Così, Legrenzi P.-Umiltà C., Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo, il Mulino, Bologna, 2009. 65) Così, Popper K.R., in Popper-Eccles, L’Io e il Suo Cervello, Vol. I, cit., § 26, p. 121 sq. 66) Per questa espressione, vd. Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., p. XV. 67) Così Gazzaniga M., Chi comanda? Scienza, mente e libero arbitrio, trad it. S. Inglese, Le Scienze, Roma, 2013, p. 113. 68) Ubi supra, p. 121. 69) Così, Wilson E.O., L’armonia meravigliosa, trad. it., Mondadori, Milano, 1999, p. 272; vd. anche p. 275: l’etica avrebbe “un’origine puramente materiale”. 70) Churchland P.S., cit da Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., p. 102 sq.; Gazzaniga M.S., The Ethical Brain, Dana Press, New York - Washington, D.C., 2005, p. XIX. 71) Espressione riferita da Nahmias E., La questione del libero arbitrio, in Le Scienze, n. 559, Marzo, 2015, p. 60, 1a col. 72) Titolo della omonima monografia di Gazzaniga cit. nella nota 70. 73) Titolo della omonima monografia di Churchland P.S., trad it. S. Zipoli, Cortina Ed., Milano, 2012. 74) Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., p. 127 sqq.; p. 132: “il concetto di coscienza così come lo usiamo, cioè riferito a un’entità sovraordinante e dotata di potere causale, sembrerebbe non avere senso. E, comunque, non c’è ‘nessuno’ che prende decisioni”.

75) Ubi supra, p. 213 sq., riferendo il pensiero di P.S. Churchland. Vd., altresì, Raine A., The Anatomy of Violence, Allan Lane, 2013, come riferito da Dennet D.C., Criminali si nasce o si diventa?, in MicroMega, 2014, n. 1, p. 114: “qualunque azione da noi intrapresa, che siamo cittadini sani e normali oppure serial killer, rappresenta l’effetto fisico di una combinazione complessa di fattori genetici, fattori legati allo sviluppo e fattori dipendenti dall’esperienza, che fanno di noi chi e cosa siamo quando agiamo”, quantunque rimanga vero che “la biologia non è destino”.

Sui condizionamenti della mente da parte del mondo esterno, vd. Clark A.-Chalmers D.J., La mente oltre la testa, in MicroMega,2010, n. 7, p. 161 sqq.

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76) Vd. Legrenzi P., L’empatia, il bene e il male, in MicroMega, 2014, n. 1, p. 122 sqq. 77) Vd. Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., p. 103: “Questo non significa che le nostre scelte morali sono già prestabilite dalla nascita, ma che le capacità o predisposizioni a giudicare e scegliere sulla base di preferenze personali sono predefinite geneticamente e implementate epigeneticamente”; p. 143: “i geni non sono predittori di un ‘destino’ biologico ineluttabile, ma predispongono, in modi statisticamente più o meno significativi e rilevabili, a manifestare particolari tratti, e in forme più o meno accentuate, a seconda dei contesti ambientali in cui matura il fenotipo individuale”. 78) Ubi supra, p. 159. 79) Così, Severino E., Téchne Le radici della violenza, Rizzoli, Milano, 2002, p. 27. 80) Per le fonti, vd. Donati A., Alla ricerca di Dio, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2012, Cap. VI. 81) Barone V., No al Dio tappabuchi, in Il Sole 24 Ore, 1 marzo 2015, p. 29. 82) Vd. A.G.P.R.P. [A. Genovesi], Institutiones metaphysicae6, ex typographia J. Migliacii, Neapoli, MDCCXCIII, P. I, Theoremata, Cap. VI, Prop. L, p. 84: “Chaos et Ordo inter sese opponuntur, quare sit, ut in universo, aut chaos regnet, aut Ordo necesse sit. Leges igitur cosmologicae sunt, quibus fit, ne mundus sit Chaos”. 83) Vd., tra gli altri, Severino, Téchne..., cit., p. 244: “Il tratto essenziale della vecchia cultura è costituito dalla metafisica. Oggi, la parola ‘metafisica’ viene usata per indicare quanto di più irreale, nebuloso, infecondo, arbitrario esiste nel pensiero degli uomini”; p. 245: “si può dire che la filosofia contemporanea non consista in altro che in una critica radicale della metafisica”. 84) Per riferimenti bibliografici, vd. Donati, Scienza della natura ed etica, cit., Cap. IX. 85) Severino, Téchne..., cit., p. 11. 86) Vd. Nahmias, La questione del libero arbitrio, cit., p. 60 sq. 87) Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., p. 184. 88) Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., Cap. V e p.183 sqq. Vd. anche p. 111 e p. 124. 89) Ubi supra, p. 111. 90) Vd. Deacon T.W., Natura incompleta Come la mente è emersa dalla materia, trad. it. A. Tutino, Le Scienze, Roma, 2012, p. 19: “nessuna

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mera descrizione di processi fisici ci dirà perché insorge l’esperienza. L’emergenza dell’esperienza va al di là di ciò che si può derivare dalle teorie fisiche”. 91) Vd. Hickok G., Il mito dei neuroni specchio Comunicazione e facoltà cognitive La nuova frontiera, trad it. S. Frediani, Bollati Boringhieri, Torino, 2015. 92) Per riferimenti bibliografici, vd. Donati, Diritto naturale e globalizzazione, cit., Capp. VI-XII. 93) Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., p. 184: “Le intuizioni di senso comune, quando sono universali, quindi distribuite attraverso tutte le culture e maturano spontaneamente negli individui, sono istanziate in qualche modo nel genoma e nel cervello, cioè in un qualche modulo o meccanismo di teoria della mente che ha un'origine evolutiva e la funzione di spiegare e predire il comportamento”. 94) Vd. Strata P., La strana coppia Il rapporto mente-cervello da Cartesio alle neuroscienze, Carocci, Roma, 2014, p. 99, p. 159. 95) Su cui, vd., più estesamente, il paragrafo successivo. 96) Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., pp. 127-135: “uno dei concetti filosofici che le neuroscienze hanno messo più radicalmente in discussione è quello di coscienza” (p. 127). 97) Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., p. 210. 98) Parmenide, Sulla natura, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano, 2001, P. I, fr. 3, 45. 99) Per riferimenti bibliografici sulla inammissibilità dell’infinito in atto, vd. Donati, Alla ricerca di Dio, cit., nel contesto del § 28. 100) Vd. Leopardi G., L’infinito, vv. 1-7: “Sempre caro mi fu quest’ermo colle, / e questa siepe, che tanta parte / dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. / Ma sedendo e mirando, interminati / spazi di là da quella, e sovraumani / silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo”. 101) Vd. anche la raccolta di saggi in Göcke B.P., edited by, After Physicalism, University of Notre Dame Press, Indiana, 2012. 102) Vd., retro, §§ 2, 3, 6. 103) Vd. anche Deacon, Natura incompleta..., cit., p. 13: “ci manca una comprensione scientifica di come possano le frasi scritte in questo libro essere riferite ad atomi, DNA o [a] qualunque altra cosa”. 104) Vd. Strata, La strana coppia..., cit., p. 132: “Costruire programmi è frutto della mente umana. Pertanto, tutto ciò che fa la macchina è frutto dell’intelligenza dell’uomo, intesa come attività razionale finalizzata a uno scopo. Le cosiddette macchine pensanti finora

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proposte elaborano simboli e risolvono problemi che possono anche superare le capacità della mente umana, ma imitare non significa riprodurre”. 105) Vd., retro, § 6. 106) Per riferimenti bibliografici, vd. Donati, Alla ricerca di Dio, cit., Cap. VIII; Id., Scienza della Natura ed Etica, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2014. 107) Pufendorf (de) S., De jure naturae et gentium, in Gesammelte Werke, Band 4.1, Akademie Verlag, Berlin, 1998, Lib. I, Cap. VI, § 6, p. 73, rr. 2-4. 108) Ubi supra, p. 75, § 8, rr. 10-12; vd. anche rr. 5-7.