Neurologia Basta un fascio di luce verde - AICE Liguria ... · figlia rischia di avere come modello...

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Chi è CARDIOLOGIA Un pacemaker per l’ipertensione Se la pressione non si abbassa con i farmaci, ci penserà un pacemaker? Si tratta di un dispositivo che si impianta sottocute a livello del collo; i suoi elettrodi collegati alla biforcazione delle carotidi stimolano il baroriflesso, il principale riflesso nervoso che controlla il ritmo cardiaco e la pressione. Stando ad alcune ricerche il baroriflesso sarebbe meno efficiente in chi soffre di pressione alta. In Italia partirà uno studio sul dispositivo, già sperimentato negli Stati Uniti su 300 persone: i primi pazienti a beneficiarne saranno quelli della Lombardia, della Toscana e dell’ Emilia Romagna. Il dispositivo costerà alle Regioni 15 mila euro, prezzo ridotto del 40 per cento rispetto a quello originario. Dipendenza L’obiettivo è quello di mettere a punto un farmaco capace di liberare dalla dipendenza Marisa Roberto, premiata pochi giorni fa alla Casa Bianca per le sue ricerche sulla dipendenza da alcol (insieme ad un centinaio di altri giovani scienziati) ha 38 anni e da dieci vive e lavora in California allo Scripp Institute di San Diego. Nata a Volterra, si è laureata in biologia a Pisa nel 1996 e dopo l’esperienza in California per il dottorato in neuroscienze, ha deciso di trasferirsi lì definitivamente nel 2001. Nell’arco di soli quattro anni è diventata professore e oggi dirige un suo laboratorio di ricerca. Legatissima alla Toscana, ha organizzato a Volterra nel 2008 un congresso internazionale su alcol e stress che vuole ripetere l’anno prossimo. Una terapia genica rende i neuroni fotosensibili Attualità «È stato affabile. Mi ha det- to di ricordargli l’appuntamen- to a Volterra dove io organiz- zo un convegno. Non è esclu- so che venga». Parla con entusiasmo di Ba- rack Obama e dell’incontro avuto con lui pochi giorni fa alla Casa Bianca, Marisa Rober- to, italiana, toscanissima di Volterra (dice «il mi’ babbo...» anche se le consonanti tradi- scono un accento già america- no), che da dieci anni lavora in California al prestigioso isti- tuto di ricerca Scripp di La Jol- la. Ha incontrato Obama («tan- to alto e magro» , racconta) a Washington perché a lei e a un altro centinaio di ricercato- ri è stato consegnato il Presi- dential early career award for scientists and ingeneers (Pea- se). Il premio, istituito da Bill Clinton nel 1996, garantisce un sostegno finanziario a ri- cercatori che stiano portando avanti studi innovativi in aree scientifiche. Di questi cento, 23 sono donne e due italiani, Gianlui- gi Ciovati, fisico che lavora al Thomas Jefferson National Ac- cellerator in Virginia con fon- di del ministero dell’energia americano e Marisa Roberto, appunto, biologa che studia il meccanismo della dipenden- za d alcol e droghe grazie al fi- nanziamento dei National He- alth Institutes, l’ente statuni- tense per la ricerca pubblica in campo medico. La raggiungiamo al telefo- no nel suo laboratorio di San Diego, dove la «professores- sa» a soli 38 anni guida un gruppo di cinque persone, co- sa inimmaginabile in Italia al momento attuale. Contenta del premio? « Felicissima. Non soltanto per il prestigio e la possibilità di visitare la Casa Bianca che il premio mi ha offerto, ma, so- prattutto, per ciò che significa in termini di ricerca: il finan- ziamento garantito per altri cinque anni. Un’opportunità preziosa». Come si svolge il suo lavo- ro allo Scripp Institute? «Si lavora sodo, comincian- do presto la mattina, ma poi si fa una pausa molto "california- na", visto che la maggior par- te di noi (l’istituto conta tremi- la ricercatori, oltre a studenti, dottorandi e tecnici, ndr) va al mare per riprendere poi fino a tardi. Io vado a correre. Anche questo è molto nello stile West Coast: d’altro canto il cli- ma lo permette, non fa mai freddo». Come è arrivata in Califor- nia e, soprattutto, perché ha deciso di rimanervi, ennesi- mo cervello «migrante»? «Dopo la laurea in biolo- gia, l’università di Pisa mi ha offerto l’opportunità di fare un anno del dottorato in neuroscienze (all’epoca di quattro anni), qui a La Jolla, grazie ai contatti con lo Scripp Institute, di Walter Francesconi, professore di fisiologia a Pisa che vi aveva lavora- to. Prendevo poco più di un milione al mese (era ancora l’epoca del- la lire) dall’università italiana. Mi sono tro- vata subito benissi- mo: per il dottorato mi dovevo occupare degli effetti dell’alcol sulla me- moria e mi accorsi della gran- de attenzione che c’era già al- lora negli Stati Uniti per gli studi sugli effetti delle droghe sul cervello. Così il rientro in Italia durò poco: mi si offrì la possibilità di tornare in Cali- fornia per studiare i meccani- smi con cui l’abuso di sostan- ze, soprattutto di alcol, condi- ziona la dipendenza. Focaliz- zando l’attenzione sull’ami- gdala, la struttura del cervello a livello del lobo temporale, connessa all’ansia e all’aggres- sività. Era il 2001 e da allora ho avuto molte soddisfazioni, compreso il ruolo di associate professor, per il quale in Italia avrei allungato il collo chissà fino a quando». Di che cosa si sta occupan- do adesso? «Stiamo studiando l’effetto dell’alcol sull’amigdala a livel- lo cellulare, ovvero la risposta dei suoi neuroni all’etanolo, mediata da sostanze come il Gaba e il glutammato. Abbia- mo pubblicato già risulta- ti su Pnas e sul Journal of neuro- science. Sono con- vinta che queste ri- cerche apriranno la strada alla messa a punto di farmaci ca- paci di interferire con questi circuiti li- berando una persona dalla dipendenza». E il congresso di Volterra nel quale vuo- le coinvolgere Obama? «Nel 2008 sono riusci- ta ad organizzare nella mia città un convegno in- ternazionale su stress e al- col, grazie anche all’ap- poggio della Cassa di ri- sparmio. Ora sto preparan- do la seconda edizione pre- vista per il 2011. Ho invita- to Obama: mi ha detto che non è escluso..». Allora i contatti con l’Ita- lia sono ancora forti: il soli- to rapporto di odio-amore? «No; sono serena, la mia è una scelta abbastanza definiti- va. Tornerei comunque in Ita- lia se mi si offrisse un’oppor- tunità. Resta il fortissimo lega- me con la famiglia, la terra di origine. Ma il fidanzato è un pittore californiano, Chri- stopher Oleata». Si vede con altri ricercato- ri italiani in America? «A San Diego lavora anche Lorenzo Puri, uno bravo. Ci siamo sentiti più volte, ma non ci frequentiamo. Con gli altri mi capita poco: sa, gli ita- liani quando si ritrovano, fan- no un gran spettegolare ...». Anche lì? Franca Porciani [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA Psicologia L’intervista Una ricercatrice italiana emigrata in California Mia figlia, di tredici anni, ha tre amiche che frequenta dal- la prima elementare. Si vedono tutti giorni, ma se fino all'an- no scorso chiacchieravano della scuola, di altre compagne, di ragazzi, diete e feste, ora discutono delle mamme e dei papà: ne parlano male e per di più si confidano vicende pri- vate delle varie famiglie. Una di loro sostiene che suo padre tradisce la madre e su questo tema si sono molto accalorate. Un giorno mia figlia mi ha detto che lei e le altre pensano che il modello ideale di donna sia un'altra mamma, non certo io. Ci sono rimasta male perché pensavo di essere simpatica a tutte. Forse lo sono ma evidentemente non basta e così mia figlia rischia di avere come modello una donna scelto dal gruppo di amiche, una signora volgare e priva di fascino. Posso fare qualcosa per bilanciare l'influenza delle amiche? Lettera firmata Penso che abbia già fatto molto e che le rimanga ancora qualche anno per cercare di farsi eleggere "madre-donna mo- dello". Non sarà facile perché probabilmente sua figlia ha tut- to l'interesse a farsi aiutare dal gruppo di amiche per emanci- parsi dalla sua influenza. A cos'altro pensa che serva un lega- me di gruppo di coetanee tanto coeso? E' una congiura sotto gli occhi delle mamme-regine che spesso non si accorgono di essere sotto tiro. Le piccole congiurate tramano di abbatte- re il potere delle regine e di costruire un nuovo modello di femminilità che tenga conto dei valori della loro generazio- ne, delle mode e dei modelli recentissimi. Senza l'appoggio delle amiche sarebbe difficile sfuggire all'influenza delle don- ne della famiglia, soprattutto della madre. Perciò ora tocca a lei: si faccia sentire, non proibendo l'amicizia, ma avviando la campagna elettorale per eleggere la donna dell'anno. Se la volgarità della sua rivale le sembra deplorevole, faccia valere l'importanza della classe, del fascino discreto, della seduzio- ne intelligente, dell'intelligenza emotiva. Le giovani congiu- rate sono affamate di modelli di femminilità e le mamme debbono proporre il loro: lei sta perdendo punti e deve recu- perare. Le consiglio di non usare le maniere forti perché que- sto è un campo delicato e le ragazze di tredici anni sono più sensibili alla pubblicità che alle minacce e ai castighi. *docente di Psicologia dinamica, psicoterapeuta dell' adolescenza di Gustavo P. Charmet* Una ricerca del Massachu- setts Institute of Technology, il famoso Mit di Boston, inau- gura l'era del trattamento a ba- se di luce. Per il momento pro- vato solo nell'epilessia e solo sull’animale da esperimento, potrebbe riguardare, come az- zardano gli stessi autori, mol- te altre malattie neurologi- che. Per la nuova terapia è ne- cessario affondare nella mem- brana cellulare dei neuroni particolari proteine che ne modulano l'attività; per que- sto «affondo» si inserisce nel- le cellule un gene chiamato Arch (estratto da un batterio) tramite un virus che funge da navetta di trasporto. L’inserimento del gene fa sì che i neuroni «modificati» producano queste proteine sensibili alla luce che funzio- nano come pannelli solari bio- logici. Una impresa comples- sa ma che sembra essere riu- scita ai ricercatori del Mit di- retti da Edward Boyden. Lo studio, appena pubblica- to su Nature, indica che se questi pannelli vengono colpi- ti dalla luce l'attività delle cel- lule cambia perché al loro in- terno si attivano particolari pompe che espellono ioni clo- ro e potassio, fondamentali per l'equilibrio elettrico del neurone. Queste pompe non sono molto diverse dalle pom- pe protoniche delle cellule ga- striche balzate alla ribalta vent'anni fa con l'avvento di farmaci che, inibendole, cam- biarono la storia dell'ulcera, legata all'eccesso di ioni acidi secreti nello stomaco. I «pannelli solari» ora inse- riti nei neuroni erano comun- que già noti: si tratta di strut- ture proteiche arcaiche usate da batteri e funghi. Nei verte- brati si sono evolute e i loro analoghi oggi si trovano so- prattutto nella retina (rodop- sine) dove sfruttano la luce per trasmettere gli impulsi al- le aree visive della corteccia cerebrale. Essere riusciti, per ora solo nel topo, a inserire nelle cellu- le nervose questi modulatori può avere ricadute in malattie come l'epilessia: si ipotizza di disinnescare eventuali scari- che anomale delle cellule me- diante microcateteri con fibre ottiche a luce laser. «Questa malattia — spiega Raffaele Canger di Milano, un'autorità nel campo dell'epilessia — è il risultato degli impulsi ano- mali prodotti da alcuni neuro- ni che, per i più diversi moti- vi, iniziano a emetterli senza controllo. Normalmente, le cellule nervose mantengono il loro interno elettricamente negativo, ma, essendo eccita- bili, sono capaci di effettuare una rapida inversione del po- tenziale elettrico: l'interno di- venta improvvisamente posi- tivo, per poi tornare negativo nel giro di pochi millisecondi. Il rovesciamento di potenzia- le (potenziale d'azione, ndr) serve ai neuroni per la loro principale funzione: trasmet- tere segnali. La microscarica elettrica che ne nasce inizia a viaggiare lungo le connessio- ni nervose e il segnale passa rapidamente da una cellula all'altra. Questa prerogativa è però una lama a doppio ta- glio: in caso di alterazione si possono generare impulsi aberranti come quelli che sca- tenano l'attacco epilettico». I farmaci antiepilettici stabi- lizzano questi processi di de- polarizzazione, controllando l'ipereccitabilità dei neuroni. In caso di farmacoresisten- za, si può ricorrere alla stimo- lazione cerebrale profonda o alla stimolazione vagale, che risettano il potenziale tramite microimpulsi artificiali: il pri- mo trattamento è più invasi- vo per il posizionamento in- tracranico del microcatetere stimolatore; col secondo «ba- sta» allacciarsi al nervo vago che transita nel collo. Per il momento la procedu- ra optogenetica appare ancor più laboriosa di questi tratta- menti di neurostimolazione: il gene inviato tramite il virus è come il seme di una pianta che, giunto a destinazione, si sviluppa a formare la protei- na che agirà da pannello sola- re. Occorre poi stimolarlo con un fascio di luce verde e a que- sto punto le pompe si attiva- no. A ripolarizzarsi corretta- mente è quasi il 100 per cento dei neuroni. La controprova dell'efficacia della procedura è stata ottenuta con un altro gene (Mac) ricavato dal fun- go Leptoapheria maculans: in questo caso la luce utile è quella blu. L'impiego nell'uomo non è poi così lontano: con una di queste proteine ottenuta da al- cuni microbi è già possibile controllare con la luce l'attivi- tà dei neuroni nelle scimmie. Cesare Peccarisi © RIPRODUZIONE RISERVATA Basta un fascio di luce verde per spegnere l’epilessia In breve Vuole sconfiggere l’alcolismo Obama l’ha premiata L’età della congiura anti-mamme Neurologia Sperimentata al Mit di Boston tecnica innovativa per agire sulle cellule cerebrali 56 Salute Domenica 24 Gennaio 2010 Corriere della Sera

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Page 1: Neurologia Basta un fascio di luce verde - AICE Liguria ... · figlia rischia di avere come modello una donna scelto dal ... re il potere delle regine e di costruire un nuovo modello

Chi è

CARDIOLOGIA

Un pacemakerper l’ipertensioneSe la pressione non siabbassa con i farmaci, cipenserà un pacemaker? Sitratta di un dispositivoche si impianta sottocutea livello del collo; i suoielettrodi collegati allabiforcazione delle carotidistimolano il baroriflesso,il principale riflessonervoso che controlla ilritmo cardiaco e lapressione. Stando ad

alcune ricerche ilbaroriflesso sarebbe menoefficiente in chi soffre dipressione alta. In Italiapartirà uno studio suldispositivo, giàsperimentato negli StatiUniti su 300 persone: iprimi pazienti abeneficiarne sarannoquelli della Lombardia,della Toscana e dell’Emilia Romagna. Ildispositivo costerà alleRegioni 15 mila euro,prezzo ridotto del 40 percento rispetto a quellooriginario.

DipendenzaL’obiettivo è quellodi mettere a puntoun farmaco capace diliberare dalla dipendenza

Marisa Roberto, premiatapochi giorni fa alla CasaBianca per le sue ricerchesulla dipendenza da alcol(insieme ad un centinaio dialtri giovani scienziati) ha 38anni e da dieci vive e lavora inCalifornia allo Scripp Institutedi San Diego. Nata a Volterra,si è laureata in biologia a Pisanel 1996 e dopo l’esperienzain California per il dottorato inneuroscienze, ha deciso ditrasferirsi lì definitivamente nel2001. Nell’arco di soli quattroanni è diventata professore eoggi dirige un suo laboratoriodi ricerca. Legatissima allaToscana, ha organizzato aVolterra nel 2008 uncongresso internazionale sualcol e stress che vuoleripetere l’anno prossimo.

Una terapia genica rende i neuroni fotosensibili

Attualità

«È stato affabile. Mi ha det-to di ricordargli l’appuntamen-to a Volterra dove io organiz-zo un convegno. Non è esclu-so che venga».

Parla con entusiasmo di Ba-rack Obama e dell’incontroavuto con lui pochi giorni faalla Casa Bianca, Marisa Rober-to, italiana, toscanissima diVolterra (dice «il mi’ babbo...»anche se le consonanti tradi-scono un accento già america-no), che da dieci anni lavorain California al prestigioso isti-tuto di ricerca Scripp di La Jol-la.

Ha incontrato Obama («tan-to alto e magro» , racconta) aWashington perché a lei e aun altro centinaio di ricercato-ri è stato consegnato il Presi-dential early career award forscientists and ingeneers (Pea-se).

Il premio, istituito da BillClinton nel 1996, garantisceun sostegno finanziario a ri-cercatori che stiano portandoavanti studi innovativi in areescientifiche.

Di questi cento, 23 sonodonne e due italiani, Gianlui-gi Ciovati, fisico che lavora alThomas Jefferson National Ac-cellerator in Virginia con fon-di del ministero dell’energiaamericano e Marisa Roberto,appunto, biologa che studia ilmeccanismo della dipenden-za d alcol e droghe grazie al fi-nanziamento dei National He-alth Institutes, l’ente statuni-tense per la ricerca pubblicain campo medico.

La raggiungiamo al telefo-no nel suo laboratorio di SanDiego, dove la «professores-sa» a soli 38 anni guida ungruppo di cinque persone, co-sa inimmaginabile in Italia almomento attuale.

Contenta del premio?« Felicissima. Non soltanto

per il prestigio e la possibilitàdi visitare la Casa Bianca che ilpremio mi ha offerto, ma, so-prattutto, per ciò che significain termini di ricerca: il finan-ziamento garantito per altricinque anni. Un’opportunitàpreziosa».

Come si svolge il suo lavo-ro allo Scripp Institute?

«Si lavora sodo, comincian-do presto la mattina, ma poi sifa una pausa molto "california-na", visto che la maggior par-te di noi (l’istituto conta tremi-la ricercatori, oltre a studenti,dottorandi e tecnici, ndr) va almare per riprendere poi fino atardi. Io vado a correre. Anchequesto è molto nello stileWest Coast: d’altro canto il cli-ma lo permette, non fa maifreddo».

Come è arrivata in Califor-nia e, soprattutto, perché hadeciso di rimanervi, ennesi-mo cervello «migrante»?

«Dopo la laurea in biolo-gia, l’università di Pisa miha offerto l’opportunità difare un anno del dottoratoin neuroscienze (all’epocadi quattro anni), qui a LaJolla, grazie ai contatticon lo Scripp Institute,di Walter Francesconi,professore di fisiologia aPisa che vi aveva lavora-to. Prendevo poco piùdi un milione al mese(era ancora l’epoca del-la lire) dall’universitàitaliana. Mi sono tro-vata subito benissi-mo: per il dottoratomi dovevo occuparedegli effetti dell’alcol sulla me-moria e mi accorsi della gran-de attenzione che c’era già al-lora negli Stati Uniti per glistudi sugli effetti delle droghesul cervello. Così il rientro inItalia durò poco: mi si offrì lapossibilità di tornare in Cali-fornia per studiare i meccani-smi con cui l’abuso di sostan-ze, soprattutto di alcol, condi-ziona la dipendenza. Focaliz-zando l’attenzione sull’ami-gdala, la struttura del cervelloa livello del lobo temporale,connessa all’ansia e all’aggres-sività. Era il 2001 e da alloraho avuto molte soddisfazioni,compreso il ruolo di associateprofessor, per il quale in Italiaavrei allungato il collo chissàfino a quando».

Di che cosa si sta occupan-do adesso?

«Stiamo studiando l’effettodell’alcol sull’amigdala a livel-

lo cellulare, ovvero la rispostadei suoi neuroni all’etanolo,mediata da sostanze come ilGaba e il glutammato. Abbia-

mo pubblicato già risulta-ti su Pnas e sulJournal of neuro-science. Sono con-vinta che queste ri-cerche apriranno lastrada alla messa apunto di farmaci ca-paci di interferirecon questi circuiti li-berando una personadalla dipendenza».

E il congresso diVolterra nel quale vuo-le coinvolgere Obama?

«Nel 2008 sono riusci-ta ad organizzare nellamia città un convegno in-ternazionale su stress e al-col, grazie anche all’ap-poggio della Cassa di ri-sparmio. Ora sto preparan-do la seconda edizione pre-vista per il 2011. Ho invita-to Obama: mi ha detto chenon è escluso..».

Allora i contatti con l’Ita-lia sono ancora forti: il soli-

to rapporto di odio-amore?«No; sono serena, la mia è

una scelta abbastanza definiti-va. Tornerei comunque in Ita-lia se mi si offrisse un’oppor-tunità. Resta il fortissimo lega-me con la famiglia, la terra diorigine. Ma il fidanzato è unpittore californiano, Chri-stopher Oleata».

Si vede con altri ricercato-ri italiani in America?

«A San Diego lavora ancheLorenzo Puri, uno bravo. Cisiamo sentiti più volte, manon ci frequentiamo. Con glialtri mi capita poco: sa, gli ita-liani quando si ritrovano, fan-no un gran spettegolare ...».

Anche lì?Franca Porciani

[email protected]

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Psicologia

L’intervista Una ricercatrice italiana emigrata in California

Mia figlia, di tredici anni, ha tre amiche che frequenta dal-la prima elementare. Si vedono tutti giorni, ma se fino all'an-no scorso chiacchieravano della scuola, di altre compagne,di ragazzi, diete e feste, ora discutono delle mamme e deipapà: ne parlano male e per di più si confidano vicende pri-vate delle varie famiglie. Una di loro sostiene che suo padretradisce la madre e su questo tema si sono molto accalorate.Un giorno mia figlia mi ha detto che lei e le altre pensano cheil modello ideale di donna sia un'altra mamma, non certo io.Ci sono rimasta male perché pensavo di essere simpatica atutte. Forse lo sono ma evidentemente non basta e così miafiglia rischia di avere come modello una donna scelto dalgruppo di amiche, una signora volgare e priva di fascino.Posso fare qualcosa per bilanciare l'influenza delle amiche?

Lettera firmata

Penso che abbia già fatto molto e che le rimanga ancoraqualche anno per cercare di farsi eleggere "madre-donna mo-dello". Non sarà facile perché probabilmente sua figlia ha tut-to l'interesse a farsi aiutare dal gruppo di amiche per emanci-parsi dalla sua influenza. A cos'altro pensa che serva un lega-me di gruppo di coetanee tanto coeso? E' una congiura sottogli occhi delle mamme-regine che spesso non si accorgonodi essere sotto tiro. Le piccole congiurate tramano di abbatte-re il potere delle regine e di costruire un nuovo modello difemminilità che tenga conto dei valori della loro generazio-ne, delle mode e dei modelli recentissimi. Senza l'appoggiodelle amiche sarebbe difficile sfuggire all'influenza delle don-ne della famiglia, soprattutto della madre. Perciò ora tocca alei: si faccia sentire, non proibendo l'amicizia, ma avviandola campagna elettorale per eleggere la donna dell'anno. Se lavolgarità della sua rivale le sembra deplorevole, faccia valerel'importanza della classe, del fascino discreto, della seduzio-ne intelligente, dell'intelligenza emotiva. Le giovani congiu-rate sono affamate di modelli di femminilità e le mammedebbono proporre il loro: lei sta perdendo punti e deve recu-perare. Le consiglio di non usare le maniere forti perché que-sto è un campo delicato e le ragazze di tredici anni sono piùsensibili alla pubblicità che alle minacce e ai castighi.

*docente di Psicologia dinamica,psicoterapeuta dell' adolescenza

di Gustavo P. Charmet*

Una ricerca del Massachu-setts Institute of Technology,il famoso Mit di Boston, inau-gura l'era del trattamento a ba-se di luce. Per il momento pro-vato solo nell'epilessia e solosull’animale da esperimento,potrebbe riguardare, come az-zardano gli stessi autori, mol-te altre malattie neurologi-che.

Per la nuova terapia è ne-cessario affondare nella mem-brana cellulare dei neuroniparticolari proteine che nemodulano l'attività; per que-sto «affondo» si inserisce nel-le cellule un gene chiamatoArch (estratto da un batterio)tramite un virus che funge danavetta di trasporto.

L’inserimento del gene fa sìche i neuroni «modificati»producano queste proteinesensibili alla luce che funzio-nano come pannelli solari bio-logici. Una impresa comples-sa ma che sembra essere riu-scita ai ricercatori del Mit di-retti da Edward Boyden.

Lo studio, appena pubblica-to su Nature, indica che sequesti pannelli vengono colpi-ti dalla luce l'attività delle cel-lule cambia perché al loro in-terno si attivano particolaripompe che espellono ioni clo-ro e potassio, fondamentaliper l'equilibrio elettrico delneurone. Queste pompe non

sono molto diverse dalle pom-pe protoniche delle cellule ga-striche balzate alla ribaltavent'anni fa con l'avvento difarmaci che, inibendole, cam-biarono la storia dell'ulcera,legata all'eccesso di ioni acidisecreti nello stomaco.

I «pannelli solari» ora inse-riti nei neuroni erano comun-que già noti: si tratta di strut-ture proteiche arcaiche usateda batteri e funghi. Nei verte-brati si sono evolute e i loroanaloghi oggi si trovano so-prattutto nella retina (rodop-sine) dove sfruttano la luceper trasmettere gli impulsi al-

le aree visive della cortecciacerebrale.

Essere riusciti, per ora solonel topo, a inserire nelle cellu-le nervose questi modulatoripuò avere ricadute in malattiecome l'epilessia: si ipotizza didisinnescare eventuali scari-che anomale delle cellule me-diante microcateteri con fibreottiche a luce laser. «Questamalattia — spiega RaffaeleCanger di Milano, un'autoritànel campo dell'epilessia — èil risultato degli impulsi ano-mali prodotti da alcuni neuro-ni che, per i più diversi moti-vi, iniziano a emetterli senza

controllo. Normalmente, lecellule nervose mantengonoil loro interno elettricamentenegativo, ma, essendo eccita-bili, sono capaci di effettuareuna rapida inversione del po-tenziale elettrico: l'interno di-venta improvvisamente posi-tivo, per poi tornare negativonel giro di pochi millisecondi.Il rovesciamento di potenzia-le (potenziale d'azione, ndr)serve ai neuroni per la loroprincipale funzione: trasmet-tere segnali. La microscaricaelettrica che ne nasce inizia aviaggiare lungo le connessio-ni nervose e il segnale passa

rapidamente da una cellulaall'altra. Questa prerogativa èperò una lama a doppio ta-glio: in caso di alterazione sipossono generare impulsiaberranti come quelli che sca-tenano l'attacco epilettico».

I farmaci antiepilettici stabi-lizzano questi processi di de-polarizzazione, controllandol'ipereccitabilità dei neuroni.

In caso di farmacoresisten-za, si può ricorrere alla stimo-lazione cerebrale profonda oalla stimolazione vagale, cherisettano il potenziale tramitemicroimpulsi artificiali: il pri-mo trattamento è più invasi-vo per il posizionamento in-tracranico del microcateterestimolatore; col secondo «ba-sta» allacciarsi al nervo vagoche transita nel collo.

Per il momento la procedu-ra optogenetica appare ancorpiù laboriosa di questi tratta-menti di neurostimolazione:il gene inviato tramite il virusè come il seme di una piantache, giunto a destinazione, sisviluppa a formare la protei-na che agirà da pannello sola-re.

Occorre poi stimolarlo conun fascio di luce verde e a que-sto punto le pompe si attiva-no. A ripolarizzarsi corretta-mente è quasi il 100 per centodei neuroni. La controprovadell'efficacia della proceduraè stata ottenuta con un altrogene (Mac) ricavato dal fun-go Leptoapheria maculans: inquesto caso la luce utile èquella blu.

L'impiego nell'uomo non èpoi così lontano: con una diqueste proteine ottenuta da al-cuni microbi è già possibilecontrollare con la luce l'attivi-tà dei neuroni nelle scimmie.

Cesare Peccarisi© RIPRODUZIONE RISERVATA

Basta un fascio di luce verdeper spegnere l’epilessia

In breveVuole sconfiggere l’alcolismoObama l’ha premiata

L’età della congiuraanti-mamme

Neurologia Sperimentata al Mit di Boston tecnica innovativa per agire sulle cellule cerebrali

56 Salute Domenica 24 Gennaio 2010 Corriere della Sera