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NEOCORPORATIVISMO E PLURALISMO
Quale modello è più idoneo per minimizzare il conflitto industriale?
Esame in Sociologia del Lavoro in Europa
a.a. 2014/2015
Tesina di Elena Bellettati
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INDICE
INTRODUZIONE …………………………………………………………………………..pag 3
CAPITOLO I
- La teoria dell’azione razionale collettiva e la teoria dello scambio ……………...pag 4
- Varietà dei sistemi di relazioni industriali ……………………………………...…pag 6
- Modelli di regolazione del lavoro …………………………….…………………….pag 6
CAPITOLO II
- La metà degli anni ’70 del ‘900 …………………………………….……………....pag 10
- La fine degli anni ’80 del ‘900 ……………………………………………….……..pag 13
CONCLUSIONI …………………………………………………………...…………..……pag 16
SITOGRAFIA E BIBLIOGRAFIA…………..…………………………………………….pag 18
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INTRODUZIONE
Quando si parla di regolazione del lavoro si intende una serie di “pacchetti di norme e di pratiche
finalizzati a proteggere le lavoratrici e i lavoratori da un serie di rischi”1. Nella maggior parte dei
casi queste norme nascono da esperienze concrete che avvengono sui luoghi di lavoro, dalle
trattative tra il lavoro e il capitale.
La regolazione del lavoro ha interessato tutti i paesi europei, e non solo, fin dal Medioevo, quando
ancora esistevano le gilde. Come fa notare Colin Crouch nel suo testo “Relazioni industriali nella
storia politica europea”, testo di riferimento in questa tesina, ogni Stato-nazione ha seguito una
strada diversa ed è stato caratterizzato da meccanismi di regolazione diversi.
Qui si cercherà di capire se il modello neocorporativo sia più idoneo del modello pluralista a
minimizzare il conflitto tramite l’analisi dei sistemi di regolazione del lavoro di tre paesi, prendendo
in considerazione il periodo che va dal 1975 al 1990. In quegl’anni l’Europa fu investita da una
terribile crisi inflazionistica a cui i paesi risposero essenzialmente in due modi diversi: da una parte
i paesi anglosassoni, ritenendo responsabili della crisi le associazioni dei lavoratori, hanno portato
avanti politiche economiche di stampo liberista che non prevedevano il coinvolgimento dei
lavoratori; dall’altra parte i paesi continentali e meridionali, i quali hanno deciso di muoversi verso
il modello neocorporativo scandinavo in quanto sembrava essere il più idoneo ad affrontare la crisi.
I tre paesi scelti sono la Finlandia, unico paese a riuscire ad adottare negli anni della crisi il modello
neocorporativo; la Gran Bretagna e l’Italia, entrambi paesi caratterizzati dalla contrattazione
collettiva pluralista ma in un contesto politico e sociale molto diverso.
Le variabili che prenderò in considerazione per questa analisi sono: gli sviluppi istituzionali,
l'articolazione e la forza delle organizzazioni sindacali, lo sviluppo economico e il conflitto nel
paese.
La tesina è divisa in due parti importanti: la prima racchiude alcuni argomenti teorici, nello
specifico le due teorie che stanno alla base del testo di Colin Crouch, la varietà dei sistemi di
relazioni industriali e infine la descrizione dei due modelli presi in considerazione.
Nella seconda parte, troviamo una panoramica dei tre paesi che può aiutarci a rispondere alla
domanda di partenza. Al termine le conclusioni dove proverò ad esporre una risposta personale.
1 www.unite.it/...php/.../De-regolazione_del_mercato_del_lavoro_1.doc
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CAPITOLO 1
- La teoria dell’azione razionale collettiva e la teoria dello scambio
La base teorica sulla quale si fonda il lavoro di Crouch fa riferimento a due importanti approcci: la
teoria dell’azione razionale collettiva e la teoria dello scambio.
La prima fa riferimento ai lavori di Mancur Olson sulla logica dell’azione collettiva, il quale
teorizzò che solo un incentivo separato e selettivo stimolerà un individuo razionale in un gruppo
latente ad agire in un modo orientato-al-gruppo, ciò significa che gli individui agiranno in maniera
collettiva solo se questo porterà ad ottenere dei beni privati2.
Nella teoria di Olson i piccoli gruppi organizzati possono ottenere vantaggi interferendo con le
forze di mercato senza doverne subire le conseguenze negative, dato che l’impatto generale
all’esterno è molto piccolo, ma non è così per le organizzazioni più ampie.
Queste includono tra i propri membri una grossa fetta di cittadini, di “pubblico”, e sono quindi
costrette ad interiorizzare una parte di quella esternalità; l’impatto abbastanza ampio da essere
riconosciuto3.
In altre parole, Olson vuole dimostrare che le organizzazioni di rappresentanza degli interessi hanno
un effetto antiefficientista, cioè l’efficienza economica risente del ruolo delle organizzazioni di
rappresentanza degli interessi. Più le organizzazioni sono grandi più sono alti i costi, quindi è
necessario indebolire la potenza delle organizzazioni intermedie della società perché il mercato
possa funzionare. Però nei paesi scandinavi trova delle eccezioni alla sua teoria e afferma che lì si
sono sviluppate delle associazioni di grandi dimensioni che lavorano in direzione della produzione
di beni collettivi e non minano l’economia. Olson definisce queste associazioni encompassing.
Le associazioni encompassing sono determinate dalla centralità dell’organizzazione interna che al
vertice ha una leadership e dal consenso, dalla coesione interna. Crouch pone all’attenzione queste
due dimensioni spiegando che l’una non può esistere senza l’altra, e questo, soprattutto nel
neocorporativismo, viene spesso tralasciato perché ci si concentra solo sull’aspetto burocratico
senza tener conto del consenso e della coesione interna.
Crouch nel suo testo, invece, parla di articolazione che è intesa come la “capacità di C (capitale) o
L (lavoro) di agire in maniera strategica, con una dirigenza centrale in grado di mobilitare gli
iscritti”4.
2 http://it.wikipedia.org/wiki/Mancur_Olson 3 Colin Crouch [1996] “Relazioni industriali nella storia politica europea”, Ediesse, pag 33 4 Colin Crouch [1996] op. cit, pag 70
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Ogni relazione sociale, quindi anche la regolazione dei rapporti tra capitale e lavoro, prevede
sempre e comunque degli scambi, si dà qualcosa e si prende qualcosa.
L’approccio che usa Crouch ha come punto di partenza il concetto del “puro” scambio, puro nel
senso che ciascuna materia di scambio ha un valore calcolabile. Questo valore può essere definito
tramite un contratto.
La figura 1 ci mostra come l’estensione del calcolo nel rapporto varia a seconda del grado di
separatezza che c’è tra gli attori.
Nella dimensione orizzontale troviamo il grado di separatezza degli attori che può essere pari a
zero, in questo caso siamo di fronte a due perfetti sconosciuti, o molto elevato, caso di perfetta
identità.
Nella società gli attori individuali
possono collocarsi in qualsiasi punto
all’interno di questo continuum. Il grado
di estraneità totale è la non esistenza di
rapporti pregressi e la sicurezza che non
ve ne sanno di futuri, l’identità perfetta tra
due persone non può esistere anche se in
alcuni tipi di relazioni ci sono forme di
comunanze e di identità molto forti, come
in una relazione amorosa o in una setta.
Nella dimensione verticale Crouch colloca la misura in cui lo scambio ha bisogno di un contratto,
che va dall’assenza di contratto al bisogno di un contratto puro.
Come evolve il bisogno di contratto nelle relazioni?
Nell’estraneità totale tra i soggetti c’è assenza di contratto in quanto non avviene scambio, ma se
con un estraneo iniziamo ad avere interazioni ripetute nasce il bisogno di stipularne uno. Questo
bisogno si esaurisce quando viene raggiunto un alto grado di fiducia.
La teoria può essere perfettamente applicata alle relazioni che intercorrono tra il capitale e il lavoro:
quando tra le associazioni sindacali e le associazioni datoriali ci sono pochi scambi non si sviluppa
un alto grado di fiducia e le parti sentono la necessità di stipulare un contratto. Ciò lo ritroviamo
soprattutto nelle grandi aziende, mentre in quelle piccole/piccolissime si instaura un rapporto di
fiducia tra datore di lavoro e lavoratore che smorza la diffidenza.
Il discorso è valido anche per i rapporti tra le singole imprese e i propri fornitori.
Figura 1 Modalità dello scambio sociale
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- Varietà dei sistemi di relazioni industriali
Nel suo testo Crouch teorizza un grafico (figura 2) che considera quattro possibilità. Nell’asse
verticale troviamo il potere delle organizzazioni sindacali, indicato da una misurazione della sua
capacità di ottenere concessioni dal capitale, e nell’asse orizzontale si prende in considerazione il
livello di articolazione delle organizzazioni del capitale e del lavoro.
Nel caso del I quadrante, con il lavoro debole ed entrambe le parti sprovviste di capacità strategica,
è probabile che si preferisca la contrattazione pluralista o la contestazione. Nel II quadrante le
relazioni possono diventare instabili. Il
lavoro, che ha un potere alto e una bassa
capacità strategica, è in grado di
generare conflitti con costi molto elevati
che non possono essere sostenuti dal
capitale. Quest’ultimo, a causa della sua
scarsa articolazione, dovrà cercare di
tenere basso il costo del conflitto e
quindi tenderà ad offrire più concessioni
di quelle che vorrebbe.
Il III quadrante è caratterizzato da un
forte potere delle organizzazioni
sindacali e da una elevata articolazione che permettono il raggiungimento di accordi vantaggiosi per
entrambe le parti, qui ci sono le condizioni del neocorporativismo.
Infine il IV quadrante è un po’ curioso: come può il lavoro avere un’organizzazione ben strutturata
se rimane debole? Nella realtà questo è possibile.
Ci troviamo sempre nel neocorporativismo ma il lavoro è debole, paradossalmente in questa
situazione è più facile raggiungere accordi vantaggiosi per entrambe le parti5.
- Modelli di regolazione del lavoro
Nel paragrafo precedente abbiamo parlato di pluralismo e neocorporativismo, ma cosa caratterizza
questi due modelli? Quali sono le loro principali differenze?
Ora li guardiamo più nel dettaglio.
5 Colin Crouch [1996] op. cit, pag 70
Figura 2 Varietà dei sistemi di relazioni industriali
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1. Il modello della contrattazione pluralistica
In questo modello i due principi che regolano le attività sono: la regolazione di mercato e la
regolazione associativa.
Diventa importante il ruolo dello Stato, il quale riconoscendo e legittimando le associazioni di
rappresentanza degli interessi, è meno libero di compiere atti di repressione.
Le associazioni qui presenti hanno diverse caratteristiche: sono piccole e numerose, potenzialmente
di numero infinito; hanno interessi molto diversi; sono competizione tra di loro, perché le risorse
sono scarse; sono controllate dalla membership, in quanto i leader non sono liberi di stabilire le loro
strategie perché rispondono in maniera diretta ai loro associati e questo rende le associazioni
incapaci di svolgere il ruolo pubblico di encompassing.
Il modello richiama quello della contestazione instabile dei primi due quadranti di Crouch, perché
affianco alla contestazione e al conflitto si può usare anche la contrattazione. Infatti tutte le
organizzazioni di rappresentanza del lavoro interagiscono tra di loro attraverso il principio della
contrattazione. Difficilmente avvengono scambi a somma positiva.
Non dobbiamo dimenticarci che ci troviamo sempre in un regime di mercato libero e
concorrenziale.
In questo contesto Crouch parla di “collettivismo liberale”; liberale perché il mercato continua ad
esercitare un ruolo fondamentale, collettivismo perché gli attori non si muovono più al suo interno
seguendo strategie individuali ma cercando la soluzione migliore per l’associazione di
appartenenza.
La forma di esito del confronto tra le parti è il contratto, in quanto la fiducia reciproca è bassa, e
assume valore normativo quanto una legge dello Stato.
Le regole sono ancora poche, non ci sono norme dello Stato che definiscono in maniera dettagliata
il rapporto tra le parti, il potere pubblico interviene solo per tutelare il diritto e la libertà.
Questo modello funziona solo se all’interno della società le idee e i valori della libertà di
associazione, della libertà dei soggetti collettivi e individuali, dell’importanza e della legittimità
della rappresentanza degli interessi sono condivisi.
2. Il modello neocorporativo
È un modello abbastanza complesso dove viene fortemente valorizzata l’esperienza associativa. Le
associazioni del modello neocorporativo sono poche, grandi, dove si sviluppa un intenso lavoro di
mediazione, discussione e confronto in quanto raccolgono interessi plurimi. La contrattazione
interna porta al convergere di una domanda aggregata che viene portata avanti dalle parti interessate
tramite lo strumento della concertazione. Sono organizzate gerarchicamente e quanto più questa
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gerarchia è articolata tanto più le relazioni tra le parti sono continue e tanto meglio funzionerà
l’associazione.
La leadership ha una autonomia maggiore rispetto al modello pluralista ma in ogni caso deve
condividere e comunicare le scelte che prende con la propria membership, altrimenti non viene
legittimata. Al tempo stesso però deve stare attenta a non diventare ostaggio della propria base, in
questo caso il rischio è quello di non riuscire più a produrre delle scelte di medio-lungo periodo.
Usando le parole della scuola di Francoforte, queste associazioni hanno uno status pubblico in
quando la loro esistenza e il loro funzionamento sono legittimati e in quanto hanno il diritto di
essere consultate nelle decisioni di interesse generale. Possono ricevere deleghe di autorità, ad
esempio dallo Stato.
Lo Stato ha un forte interesse all’esistenza dei corpi intermedi perché gli semplifica e gli riduce
l’impegno per la produzione di regole generali e di politiche di interesse generale, lo Stato quindi
non è neutro ma sostiene e legittima queste associazioni.
Associarsi, come il ricorso alla concertazione e al dialogo, è frutto della libera scelta e della
volontarietà degli attori, non è un percorso obbligato.
La predilezione che questo modello ha nei confronti della concertazione e del dialogo non esclude il
conflitto che qui assume un ruolo diverso rispetto al modello di contrattazione pluralistica. Mentre
nella fase di contrattazione i giochi sono a somma negativa e il conflitto ha lo scopo di strappare
qualcosa alla controparte, in questo modello esso è di tipo simbolico, cioè viene usato dalle
associazioni come strumento per dimostrare il proprio peso.
Come per l’altro modello tutto questo non avviene in un contesto neutro ma sempre all’interno del
libero mercato concorrenziale.
Un elemento un po’ complicato del modello è la selezione degli attori. Infatti gli attori da
coinvolgere bisogna sceglierli di volta in volta perché devono essere adeguati al tema che si vuole
affrontare, poiché solo i rappresentanti di certi interessi specifici sono portatori dell’esperienza
necessaria.
Gli attori però hanno tra di loro una differenza asimmetrica che si ricollega alle tra categorie di
Hirschman: voice, exit and loyalty.
La voice viene esercitata quando non c’è possibilità di exit. Questo accade nelle associazioni
sindacali dove i lavoratori, non potendo uscire dal sindacato perché un lavoratore da solo è troppo
debole per far valere i propri diritti, esercitano la voice per far sentire i propri bisogni.
Per gli imprenditori avviene il contrario, essendo possibile per loro l’exit non solo in modo
permanente ma anche temporaneo, questi hanno meno interesse a far sentire la propria voice a
livello di associazione.
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Il risultato è che la loyalty associativa, cioè la disciplina all’interno dell’associazione, è molto più
forte nel sindacato che nelle associazioni datoriali.
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CAPITOLO II
- La metà degli anni ’70 del ‘900
Negli anni ’70 del ‘900 la Finlandia cerca di spostarsi verso il modello neocorporativo, come Gran
Bretagna, Irlanda e Italia, ma in questo paese la spinta da parte del governo è più evidente. La
speranza è quella di raffreddare il conflitto, ma nonostante questi sforzi il contesto rimane sempre
quello di una contrattazione conflittuale.
Le divisioni sindacali rendono impossibile la cooperazione all’interno dello spazio politico fino al
1968, anno in cui si ritennero formalmente superate le divisioni e in cui il governo decise di lanciare
le sue iniziative sulle politiche dei redditi. Queste sono iniziative progettate verso una cooperazione
tripartitica ma non mancherà il ricorso all’intervento normativo.
La situazione presente in Gran Bretagna Crouch la definisce “disarticolata”: da un parte abbiamo un
forte riconoscimento a livello aziendale con una contrattazione molto attiva, e dall’altro tentativi di
scambio a livello centrale guidati dal governo e molte iniziative per la cooperazione triangolare,
rafforzate da un intervento normativo. Questi due livelli però non sono articolati tra di loro.
L’esperienza italiana non è molto diversa. Molte forze politiche, sindacali e industriali, sono
impegnate nel tentativo di superare la storica emarginazione del movimento sindacale. Il grado di
sviluppo istituzionale di questa integrazione resta però debole. Il sociologo italiano Pizzorno
definisce “politico” lo scambio tra le parti che avviene in Italia in questo periodo, ma vien presto
criticato da Marin.
Marin infatti parla di scambio politico
generalizzato quando abbiamo una ripetizione
nel tempo delle relazioni tra Stato, capitale e
lavoro. Non può esservi un solo momento di
trattative ma deve esserci un numero costante e
reiterato di incontri per far sì che si crei fiducia
tra le parti e che si possa andare verso giochi a
somma positiva per tutti. Quindi il termine
“scambio politico” non è adatto a definire quello
che succede in Italia6.
La metafora dello spazio politico viene utilizzata
da Crouch per aiutarci a capire dove individuare
6 Colin Crouch [1996] op. cit, pag 80
Paese Sindacati affiliati alla principale confederazione
Iscritti in % di
forza lavoro 1950
Iscritti in % di
forza lavoro 1975
Austria 41.78 51.24
Norvegia 36.31 44.80
Svezia 39.78 77.70
Belgio 19.31 31.31
Germania 22.48 24.13
Paesi Bassi 9.87 22.10
Finlandia 15.42 43.36
Irlanda 13.40 34.85
Danimarca 32.15 43.80
Regno Unito 34.63 44.14
Italia 18.24 16.69
Francia 14.21 7.84
Tabella 1
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il baricentro, il punto base delle relazioni industriali. Nel suo testo scrive: “[…] dobbiamo
considerare lo spazio politico nei suoi termini propri […]. Nei termini cioè che comprendono le
materie sulle quali vengono prese decisioni generali, di interesse pubblico, all’interno di una data
unità politica; in particolare, quelle decisioni che, secondo gli attori politici, riguardano l’ordine
sociale complessivo. Il campo così definito è variabile, e sarà senza dubbio materia di conflitto
all’interno delle società il limite al quale può giungere tale delimitazione7”. In altre parole lo spazio
politico è un luogo astratto dove si prendono decisioni generali di interesse
pubblico e si incrocia con il baricentro. Nei paesi
pluralisti il baricentro è soprattutto a livello
aziendale, mentre in quelli neocorporativi è a livello
nazionale.
Il numero di finlandesi iscritti ai sindacati (Tab. 1) è
cresciuto esponenzialmente passando dal 15%,
negli anni ’50 del ‘900, al 43% negli anni ’70.
Questo aumento potrebbe essere causato dalla forte
industrializzazione che caratterizzò il paese in
quegli anni e che ebbe come conseguenza un forte
aumento del numero degli operai, quindi di persone
interessate ad iscriversi ad un sindacato.
Nello stesso arco di tempo anche la Gran Bretagna assiste ad un incremento della sindacalizzazione,
passa rispettivamente dal 34% al 44%, rispettando l’andamento che interessa la maggior parte dei
paesi europei presi in considerazione da Crouch. Al
contrario in Italia vediamo un leggero calo del tasso di
sindacalizzazione dal 18,24% passa al 16,69%.
In Finlandia non esiste più la rivalità tra le due
confederazioni sindacali SAJ e SAK, quest’ultima
riconquista una posizione di monopolio, anche se non
ha molto potere sugli scioperi. All’interno della SAK
continuano le tensioni con i gruppi comunisti, dove una
frazione dei delegati di base coordina l’opposizione a
una politica che va indirizzandosi verso un classico
approccio nordico. A livello aziendale c’è una fortissima autonomia settoriale.
7 Colin Crouch [1996] op. cit, pag 327
Giornate perse per 1000 iscritti
Lavoratori dipendenti Iscritti al sindacato
Belgio 250.92 333.49
Danimarca 451.43 598.16
Finlandia 774.61 904.48
Francia 251.66 1036.92
Germania 61.29 158.17
Irlanda 416.55 767.13
Italia 1405.98 3028.17
Paesi Bassi 40.31 104.13
Norvegia 59.76 80.68
Svezia 99.64 106.03
Regno Unito 661.27 1173.09
Tabella 2
Paese Inflazione Disoccupazione Povertà
Belgio 10.9 3.9 14.8
Danimarca 9.9 3.0 12.9
Finlandia 14.4 2.2 16.6
Francia 10.2 3.4 13.6
Germania 6.7 2.3 9.0
Irlanda 15.9 7.0 22.9
Italia 13.9 5.8 19.7
Paesi Bassi 9.8 3.5 13.3
Norvegia 8.6 1.8 10.4
Svezia 8.5 2.3 10.8
Regno Unito 16.8 3.9 20.7
Tabella 3
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La principale confederazione inglese, la TUC, cerca di coordinare la contrattazione all’interno dello
spazio politico ma i movimenti autonomi a livello aziendale mantengono una forma di
contrattazione che fa crescere la tensione tra i delegati di base e la dirigenza sindacale.
Questo succede anche in Italia dove però la CGIL è impegnata, senza molto successo, in movimenti
verso l’unità de facto con le confederazioni “rivali”.
La tabella 2 mostra i dati sul conflitto industriale della prima metà degli anni ’70. Crouch ci dice
che sembra esistere una certa correlazione tra
tesseramento e livelli di conflittualità nei paesi
dove non esistono accordi di tipo neocorporativo
e ci fa notare il basso livello di conflittualità nei
paesi neocorporativi, con eccezione della
Danimarca. Guardando la tabella 3 ci
accorgiamo che le performance economiche
migliori sono nei paesi di tradizione
neocorporativa. Affermazione che trova
conferma nel grafico di figura 3, il quale mette in
relazione l’indice di Okun (misura addizionale
dell’inflazione e della disoccupazione di un
paese, permette di misurarne il grado di povertà) e la densità sindacale, riaffermando che le
perfomance economiche peggiori si hanno quasi sempre nei paesi senza meccanismi stabili e
tradizionali di scambio politico generalizzato che però cercano di realizzarli. In questi anni la
Finlandia, come la Gran Bretagna e l’Italia, passa al II quadrante nello schema sui modelli di
regolazione di Crouch, in quanto il potere sindacale si rafforza ma l’articolazione rimane ancora
debole a causa di due divisioni che permangono, una di carattere verticale e una di carattere
orizzontale.
La prima la ritroviamo nel fatto che il coinvolgimento delle parti nello spazio politico sulle politiche
dei redditi non trova riscontro a livello aziendale e la seconda nella divisione che coinvolge i
sindacati interni alla SAK; una divisione non solo settoriale, ma anche politica. Da una parte questo
non riduce la conflittualità, che confrontata con gli altri paesi rimane elevata, e dall’altra ritarda il
raggiungimento della Finlandia verso una solida struttura di neocorporativismo e di spazio politico
generalizzato.
In più i politici non sono stati in grado di capire il bisogno di articolazione richiesto soprattutto dai
sindacati dei settori non protetti che in Finlandia raccolgono la metà degli iscritti a un sindacato.
Figura 3 Performance economica e forza sindacale 1971-
1975
13
- La fine degli anni ’80 del ‘900
La Finlandia entra a pieno regime nel sistema scandinavo, è l’unico paese tra quelli “aspiranti
neocorporativi” ad aver proceduto alla piena elaborazione delle istituzioni tipiche dei sistemi di
spazio politico generalizzato.
Il Gran Bretagna il governo di Margaret Thatcher punta alla ripresa economica cercando di limitare
il potere e il coinvolgimento dei sindacati respingendo quasi tutte le strategie di cooperazione
triangolare.
La situazione italiana in questo periodo e particolarmente anomala. Nel nord e nel centro del paese
vi è una notevolissima crescita della contrattazione, con lo sviluppo di agenzie amministrative
triangolari a livello di settore produttivo o regionale, tutto ciò però non è collegato a strutture di
riequilibrio a livello di fabbrica.
Qui non si sviluppa il modello neocorporativo perché le associazioni datoriali e i movimenti
sindacali hanno seguito una politica intermittente al fine di realizzare un tavolo nazionale per il
raggiungimento del consenso, ma sempre all’interno di un sistema contrattuale disorganizzato e
decentralizzato.
In questi anni c’è una forte e generale tendenza
in tutti i paesi a sposare il baricentro delle
relazioni industriali verso il livello aziendale, in
Scandinavia sono le associazioni imprenditoriali
che decidono di preferire una decentralizzazione.
Come vediamo nella tabella 4 il numero di
iscritti ai sindacati declina ovunque tranne in
Finlandia, dove l’iscrizione è una tutela contro la
disoccupazione, e in Irlanda. L’articolazione
resta ancora bassa a causa di continui conflitti tra
diverse correnti interne alla confederazione che lasciano la Finlandia ai confini dei quadranti II e III.
La Gran Bretagna assiste ad un crollo della sindacalizzazione e dell’articolazione dovuto
principalmente al declino della principale confederazione, la TUC, in ogni funzione di livello
statale, e dunque della sua importanza e del suo peso all’interno del movimento.
In Italia ci sono grandi difficoltà. Non solo falliscono tutti i tentativi di unire le varie confederazioni
rivali, ma c’è una forte crescita dei sindacati autonomi di base, completamente svincolati dalle
confederazioni nazionali. È una fortissima crisi dell’articolazione.
Paese Sindacati affiliati alla principale confederazione
Iscritti in % di
forza lavoro 1975
Iscritti in % di
forza lavoro 1990 ca.
Austria 51.24 48
Norvegia 44.80 36
Svezia 77.70 46
Belgio 31.31 31
Germania 24.13 22
Paesi Bassi 22.10 12
Finlandia 43.36 44
Irlanda 34.85 43
Danimarca 43.80 51
Regno Unito 44.14 29
Italia 16.69 14
Francia 7.84 2
Tabella 4
14
La tabella 5 sul conflitto industriale ci mostra una Finlandia ancora particolarmente conflittuale, ma
con livelli inferiori rispetto agli anni ’70 e ci
conferma che i paesi di stabile e ben radicato
neocorporativismo sono meno conflittuali rispetto a
quelli di stampo pluralista. Basti solo confrontare il
conflitto presente in Svezia, Danimarca o quello
finlandese, anche se più elevato, con paesi come la
Spagna o l’Italia.
L’indebolimento del movimento sindacale inglese si
rispecchia nel conflitto che non è
particolarmente elevato in quanto messo in forte
difficoltà da una legge che il governo vara negli anni
’80, la quale rende legale lo sciopero tradizionale
solo se votato dalla maggior parte dei lavoratori in azienda, quindi anche quelli non
iscritti al sindacato e viene definito illegale lo sciopero di solidarietà.
In Italia il conflitto aumenta ulteriormente rispetto agli anni ’70 staccandosi, insieme alla Spagna,
dalla media europea.
Come Crouch ci fa notare nei paesi neocorporativi scandinavi qualcosa sta cambiando: nei decenni
scorsi le relazioni di tipo neocorporativo e l’articolazione sindacale crescevano in parallelo, ora
invece siamo in una situazione con un alto livello di
scambio politico generalizzato ma con una
articolazione sempre più bassa. Le strutture
neocorporative da sole non possono sostenere gli effetti
associati con il neocorporativismo se si deteriora il
sostegno offerto dalle strutture interne delle
organizzazioni partecipanti.
La stessa Finlandia può essere considerata un paese con
un fragile neocorporativismo dove la pratica non si
condensa nella nascita di istituzioni. La Finlandia entra
nella rosa dei paesi con modello neocorporativo perché
lo pratica, anche se il livello avanzato di spazio politico
generalizzato non può compensare la mancanza di infrastrutture.
Paese Giornate perse per 1000
lavoratori dipendenti iscritti al sindacato
Austria 1.42 2.40
Danimarca 41.24 44.92
Finlandia 401.47 483.13
Francia 65.06 712.51
Germania 4.58 14.11
Irlanda 282.01 457.69
Italia 2499.70 4846.16
Paesi Bassi 12.75 46.65
Norvegia 149.94 226.03
Svezia 132.47 15.38
Spagna 618.11 5645.93
Regno Unito 141.31 288.67
Paese Inflazione Disoccupazione Povertà
Austria 2.19 4.08 6.27
Belgio 2.13 9.58 11.71
Danimarca 3.92 8.64 12.56
Finlandia 4.83 4.32 9.15
Francia 3.09 9.84 12.93
Germania 1.36 5.90 7.26
Irlanda 3.29 16.04 19.33
Italia 5.75 10.64 16.39
Paesi Bassi 0.75 8.90 9.65
Norvegia 6.27 3.46 9.75
Svezia 6.25 1.82 8.07
Spagna 6.46 18.60 25.06
Regno Unito 5.96 8.80 14.76
Tabella 5
Tabella 6
15
In questi anni i dati sulla disoccupazione e
sull’inflazione (Tab. 6) ci dicono qualcosa di
nuovo: i livelli più bassi di inflazione li
troviamo in Germania ed Olanda, paesi di
tradizione neocorporativa ma che non guidano
la classifica della forza sindacale, mentre nei
paesi neocorporativi ma con un potere sindacale
rilevante non vengono mostrati risultati
significativi, anzi sembrano andare peggio
rispetto alla maggior parte dei paesi con
tradizione di contrattazione collettiva o contestazione come la Gran Bretagna.
Se però guardiamo alla disoccupazione vediamo che la situazione cambia, le performance migliori
sono nei paesi di tradizione neocorporativa “socialdemocratica”, ad esclusione della Danimarca.
Vediamo infatti come i valori sull’inflazione della Gran Bretagna e dell’Italia siano inferiori o in
linea con quelli della Svezia e della Norvegia, ma non con la Finlandia, e come, se guardiamo alla
disoccupazione, la situazione cambi.
Esaminando il grafico di figura 4 Crouch ci fa vedere che i paesi neocorporativi continuano ad
essere i più ricchi e che continuano a limitare le potenziali conseguenze economiche di un alto
livello di tesseramento sindacale. Non c’è una forte correlazione tra forza sindacale e “povertà”
anche se i paesi più poveri non hanno un’alta sindacalizzazione8.
8 Colin Crouch [1996] op. cit, pag 261- 312
Figura 4 Performance economica e forza sindacale, 1986-1990
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CONCLUSIONI
Alla luce dei capitoli precedenti, il neocorporativismo è più idoneo del pluralismo a minimizzare il
conflitto?
In Finlandia il passaggio da un modello di contrattazione collettiva pluralista a uno di
neocorporativismo è accompagnano ad un drastico calo della conflittualità.
La conflittualità in questo paese è di origini politiche, le divisioni nel movimento sindacale
riguardavano la fondamentale questione delle relazioni geopolitiche con l’Unione Sovietica9. Come
già citato, questo era un elemento di debolezza, anche se la volontà delle elite politiche finlandesi di
plasmare le loro istituzioni sul modello svedese aveva, col passare degli anni, migliorato la
situazione.
In questo periodo assistiamo all’arrivo di un fenomeno nuovo per la Finlandia: la disoccupazione.
Com’è possibile che con l’aumentare della disoccupazione il conflitto si riduca? Inizialmente
pensavo che una possibile spiegazione potesse essere collegata al concetto di “vantaggio differito”.
Ritenevo che il lavoro fatto negli anni per raggiungere un modello di scambio politico generalizzato
fosse stato sufficiente a creare una fiducia tale da spingere i lavoratori a fare dei sacrifici nel
presente per dei vantaggi futuri. Ma una spiegazione del genere presuppone che ci sia una forte
articolazione all’interno delle associazioni di rappresentanza, in Finlandia però non è così.
Una spiegazione più facile e immediata può essere collegata ai programmi di protezione sociale
dalla disoccupazione rivolti ai lavoratori iscritti a un sindacato, in questo caso perché spendere
tempo, energie e costi nel conflitto?
In uno stato non interventista come la Gran Bretagna, che aveva tollerato una crescita sindacale di
tipo non formale e non partecipativa e che aveva pian piano accolto i rappresenti del lavoro
organizzato nell’ormai consolidato sistema di accordi tra “gentlemen”, l’arrivo al governo della
“lady di ferro” Margaret Thatcher fu un punto di svolta nel paese.
Il modello delle relazioni industriali portati avanti dalla lady prevedeva il minimo coinvolgimento
dei sindacati.
Nel pieno della grave crisi inflazionistica che colpì l’Europa negli anni ’70 e ’80, il governo
conservatore fu costretto ad una serie di provvedimenti molto impopolari che portò ad una forte
esplosione del conflitto industriale tra il 1983 e il 1987, la quale venne però bruscamente repressa.
La principale causa del calo del conflitto nel paese sembra proprio essere l’approvazione della legge
che rendeva illegali gli scioperi, a cui vanno aggiunte tutte le azioni del governo volte a indebolire i
sindacati inglesi.
9 Colin Crouch [1996] op. cit, pag 371
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C’è un altro elemento che va tenuto in considerazione: la riduzione della classe operaia in termini
quantitativi. Ciò influisce sull’indebolimento di un sistema sindacale che basava la propria forza
sulla pura e semplice dimensione della classe lavoratrice industriale.
Nel complesso questo caso ci mostra che il neocorporativismo non è l’unico modo per raffreddare il
conflitto industriale, ma la strada della repressione non è la migliore.
L’Italia, al contrario degli altri due paesi, non è caratterizzata da un calo della conflittualità, ma da
un suo aumento.
Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, nel paese, nonostante i buoni propositi della
classe dirigente, ritornò ad instaurarsi un sistema particolarista di stampo clientelare. In
concomitanza si affermò l’ascesa al governo del partito “Democrazia Cristiana” che guidò il paese
40 anni.
Con questa specificazione di carattere politico non voglio affermare che la responsabilità della
mancanza di concertazione, di fiducia tra le parti (a parte il caso della “Maxi Trattativa) e l’elevata
conflittualità nel paese sia da attribuire unicamente allo Stato.
Ma se da una parte abbiamo delle associazioni sindacali disarticolate, scoordinate e con un calo di
legittimità, è anche vero che lo Stato non si è mostrato particolarmente interessato a cercare un
dialogo continuo e duraturo con i sindacati, il che avrebbe comportato a un dialogo con
l’opposizione, il Partito Comunista Italiano e il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria in un
clima di guerra fredda.
In aggiunta il sistema contrattuale era disorganizzato e disarticolato, e vi era una divisione interna
tra il Nord e il Centro del paese e il Meridione che si accentuò negli anni ’80, quando la crescita
della contrattazione interessò solo il Settentrione.
In un contesto dove manca il dialogo tra le parti e dove il conflitto porta a giochi a somma negativa
non è banale trovare una soluzione che possa aiutare ad attenuare le tensioni e gli scontri.
Sembra che il modello neocorporativismo sia più efficace a raffreddare il conflitto industriale, di
quanto faccia il sistema a contrattazione pluralistica.
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SITOGRAFIA E BIBLIOGRAFIA
- Colin Crouch [1996] “Relazioni industriali nella storia politica europea”, Ediesse
- www.wikipedia.it
- www.unite.it