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ARISTONOTHOS Scritti per il Mediterraneo antico Quaderni, n. 6 (2018) Vera von Falkenhausen, Federica Chiesa & Fabio Eugenio Betti (a cura di) NEL RICORDO DI GIANFRANCO FIACCADORI ATTI DELLA GIORNATA DI STUDI Milano, 21 gennaio 2016

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Vera von Falkenhausen, Federica Chiesa & Fabio Eugenio Betti (a cura di)

NEL RICORDO DI GIANFRANCO FIACCADORI ATTI DELLA GIORNATA DI STUDI

Milano, 21 gennaio 2016

ARISTONOTHOS Scritti per il Mediterraneo antico

Quaderni, n. 6 (2018)

Vera von Falkenhausen, Federica Chiesa & Fabio Eugenio Betti (a cura di)

NEL RICORDO DI GIANFRANCO FIACCADORI ATTI DELLA GIORNATA DI STUDI

Milano, 21 gennaio 2016

ARISTONOTHOS Scritti per il Mediterraneo antico

Quaderni, n. 6 (2018)

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Copyright © 2018 Ledizioni Via Alamanni 11 – 20141 Milano

Prima edizione: settembre 2018, Printed in ItalyISBN 9788867058211

Collana ARISTONOTHOS – Scritti per il Mediterraneo antico – Quaderno n.6

DirezioneFederica Cordano, Giovanna Bagnasco Gianni

Comitato scientificoCarmine Ampolo, Pietrina Anello, Gilda Bartoloni, Maria Bonghi Jovino, Stéphane Bourdin, Maria Paola Castiglioni, Giovanni Colonna, Tim Cornell, Michele Faraguna, Elisabetta Govi, Michel Gras, Pier Giovanni Guzzo, Maurizio Harari, Jean-Luc Lamboley, Mario Lombardo, Nota Kourou, Annette Rathje, Christopher Smith, Henri Tréziny

RedazioneEnrico Giovanelli, Stefano Struffolino

Il volume è stato stampato grazie a un contributo del Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali dell’Università degli Studi di Milano.

Finito di stampare in Settembre 2018

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Siamo molto onorate di ospitare nei Quaderni di Aristonothos la “Giornata di studi nel ricordo di Gianfranco Fiaccadori”, tenutasi nell’Università de-gli Studi di Milano, a Palazzo Greppi, il 21 gennaio 2016, per ricordare il nostro compianto collega e amico, grate agli studiosi che ne celebrano qui la statura scientifica internazionale.

Federica Cordano Giovanna Bagnasco Gianni

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Parma, 16 ottobre 1957 – 24 gennaio 2015

Per gentile concessione della famiglia Fiaccadori

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SOMMARIO

Prefazione

Vera von Falkenhausen, Federica Chiesa, Fabio Eugenio Betti Saluto dal Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali Alberto Bentoglio Gianfranco Fiaccadori Giorgio Bejor Gianfranco Fiaccadori e l’Accademia Ambrosiana Pier Francesco Fumagalli Ricordo di Gianfranco Fiaccadori Antonio Rigo

*** Il carro della Dea? Una lastra architettonica con leonesse dal complesso monumentale di Tarquinia Federica Chiesa Una nota su San Sepolcro di Milano Pier Francesco Fumagalli La croce e le sue leggende a Costantinopoli Mauro della Valle La spada ‘riposta’ nell’iconografia imperiale medio-bizantina. Riflessi figurativi di un’insegna del potere Andrea Torno Ginnasi Moschee a Costantinopoli (VIII-XIII secolo) Marco Di Branco Vetri bizantini nel Mediterraneo antico Elisa Panero Palmira islamica. I nuovi dati dal quartiere sud-ovest Maria Teresa Grassi Il simbolismo dell’Albero della Vita secondo la tradizione iranica Antonio Panaino La descrizione della capitale di Himālaya nel Kumārasambhava (VI, 37-47) di Kālidāsa Giuliano Boccali

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Vampiri in Mingrelia e altre avventure. Usanze caucasiche nel Libellus de notitia orbis di Giovanni di Sultanìa Paolo Chiesa Una collana sudarabica in oro da Kharibat Hamdān/Haram (Jawf, Yemen) Fabio Eugenio Betti Alessandria d’Egitto l’italiana. Giuseppe Botti, gli scavi e il Museo Greco-Romano Patrizia Piacentini Alcune “gemme letterate” della collezione Ficoroni al Museo Nazionale di Ravenna Andrea Gariboldi Diritto al premio e Università Agrarie. Note in margine alle ricerche archeologiche dell’Università degli Studi di Milano a Tarquinia Sergio Lazzarini

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IL CARRO DELLA DEA?

UNA LASTRA ARCHITETTONICA CON LEONESSE DAL COMPLESSO MONUMENTALE DI TARQUINIA

Federica Chiesa

Non un’esegesi compiuta, piuttosto un’analisi iconografica sintetica e preliminare è l’omaggio che porgo alla memoria stimatissima di Gianfianco Fiaccadori: la sua ampiezza dottrinale avrebbe con signorile gentilezza accolto un modesto contributo la cui essenza, se non armonizza con le temati-che tutte certamente più affini ai suoi molteplici filoni di studio che i Colleghi di seguito tratteranno, è tuttavia da parte mia offerto con autentico spirito di ammirazione.

Si tratta, nel novero di una piccola serie di elementi architettonici fittili, di una lastra frammenta-ria che reca l’immagine di una leonessa gradiente: la testa dai volumi tondi e massicci è rivolta all’indietro, ornata di lunghi ciuffi di crine sotto la gola e sul collo, gli occhi sono globosi, il muso dalle fauci dischiuse con lingua e dentatura in vista; la femminilità è enfatizzata da vistose mam-melle rigonfie. Il numero di zampe superstiti indica che almeno una coppia di animali fungeva da tiro per un carro con auriga, del quale resta parte di un avambraccio proteso che impugna le redini1 (fig. 1).

IL CONTESTO

Poco, allo stato attuale delle ricerche, mi è consentito dire a proposito del contesto di rinvenimento, il riempimento di una grande struttura ipogea con sei pilastri al centro e ampio dromos, frutto degli scavi in corso sul pianoro della Civita di Tarquinia2. Non si può ancora affermare se essa, ad esem-pio e come ha talora illustrato la nostra esperienza passata, possa eventualmente collocarsi tra quel-le che nella fase finale della loro storia assolsero a necessità lontane dalle destinazioni originali: eventi di tale natura non sorprendono, se si pensa al materiale recuperato all’interno di pozzi e ci-sterne dismessi dalla funzione idrica e in seguito reimpiegati quale luoghi di scarico ragionato, co-me si è dato per il caso di una bella lastra con guerriero combattente da me studiata pochi anni ad-dietro e la cui pur più appagante esplicitazione iconografica non aveva permesso una valutazione che potesse inoltrarsi al di là del tema e dello stile. Prelevata in antico in modo evidentemente selet-tivo da un edificio non identificato del pianoro, essa fu deposta in una cisterna forse nel corso di una vera e propria espoliazione, un genere di operazione che non di rado accadde nei travagliati tempi della conquista romana in Etruria e che può talora aver implicato l’adozione di una vera e

1 Misure: alt. max. cons. 32; largh. max. cons. 21,4; spess. lastra 3,3 cm; spess. max. lastra e aggetto leonessa 7,6 cm. A questa si aggiungono due frammenti, il più grande dei quali conserva, oltre alle onde nella cornice inferiore, tre zampe feline e un foro pervio per il fissaggio alla trabeazione. L’impasto, di colore molto chiaro, è omogeneo e compatto e presenta copiosi inclusi affioranti in superficie. Ringrazio il dott. Jacopo Tulipano per le fotografie. 2 Ringrazio amichevolmente la collega Giovanna Bagnasco Gianni per avermi offerto lo studio di questo inedito e per alcune fondamentali indicazioni. Trattandosi di un complesso architettonico ancora in corso di esplorazione, la lastra è stata con prudenza esaminata nella sua sola veste iconografica e stilistica, in attesa della futura diagnosi circa la destinazione (o destinazioni succedutesi nel tempo) della struttura, della quale, naturalmente, terrò debito conto per un’eventuale riconsiderazione o accrescimento interpretativo del pezzo.

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propria prassi rituale di rispetto, tesa a salvaguardare partes pro toto esemplari della decorazione architettonica fittile di costruzioni sacre demolite o distrutte3.

Anche la terracotta che oggi pubblichiamo si presenta in giacitura secondaria e non si esclude possa aver subito analogo trattamento.

Veniamo ora ad alcune supposizioni circa il soggetto rappresentato.

QUIS DEUS INCERTUM EST: CIBELE O DIONISO?

Ci attenderemmo nell’un caso leoni e nell’altro pantere. E invece abbiamo leonesse. Se di Cibele si potesse trattare, la lastra accoglierebbe un’immagine, e quindi la menzione di un culto, davvero i-nusuale se non addirittura archeologicamente sconosciuto per l’Etruria.

L’effigie della sua selvatichezza sfuma a ritroso in tempi antichissimi e la dea nella canonizzata ipostasi di Signora degli animali selvaggi4 è di norma ritratta affiancata da leoni, seduta su un carro trainato da due o quattro fiere, come nelle sparse e non numerose, ma preziose testimonianze figu-rative più tarde – dalla statua della dea del gruppo bronzeo conservato al Metropolitan Museum (datato alla seconda metà del II secolo d.C.)5 (fig. 3) – solo per citare qualche documento – sino al più celebre incunabolo della categoria, la Patera di Parabiago (fig. 4), spesso sontuose nella qualità iconografica e non meno nel supporto, disseminate entro un esteso arco geografico e temporale a denotare la resilienza di una devozione a cicli riaffioranti, che a Roma, nel periodo immediatamen-te posteriore alla seconda Guerra Punica, si collocherà in una temperie religiosa entro la quale il culto della Grande Dea godrà della massima e devota celebrazione. La frigia Magna Mater deum Idaea sarà infatti la prima divinità orientale ad essere ammessa nella religione di Stato, quando ver-rà condotta nell’Urbe con un decreto senatorio nel 204 a.C. per ordine degli Oracoli Sibillini la Pie-tra Nera di Pessinunte solennemente concessa da Attalo di Pergamo e ben presto fatta oggetto di dedica nella costruzione di un tempio sul Palatino, inaugurato nel 191 a.C., per il quale l’imbarazzante natura orgiastica richiese una collocazione topografica riservata e discosta che non turbasse il decorum proprio del costume religioso romano6.

3 CHIESA 2014. 4 È Lucrezio (De rer. nat, II, vv. 600-644, in particolare i vv. 602-605.) che la definisce madre degli dei e delle fiere e la ritrae: sedibus in curru biiugos agitare leones; e, su sua derivazione, anche Virgilio (Aen. III, 113 e X, 253): biiugique ad frena leones; CRACA 2000, pp. 23-42. Per la copiosa raccolta di fonti su Cibele, vd. SANZI 2003. 5 The Metropolitan Museum of Art, p. 140, fig. 108, dalla collezione ottocentesca di H.G. Marquand. 6 Nella bibliografia di apparato vd., MATTERN 2000 e SFAMENI GASPARRO 1985. Sugli aspetti ‘imbarazzanti’ del culto metroaco: PACHIS 1996 e BIANCHI – VERMASEREN 1983. Sugli aspetti soteriologici: ALVAR 2008 e, in pre-cedenza, SFAMENI GASPARRO 1985. Largo spazio le fu dedicato in La soteriologia dei culti orientali 1982; inoltre PENSABENE 2008, con bibliografia. Altro utile repertorio bibliografico generale in PAVOLINI 2015 e IDEM 2016. Vd. anche CCCA 1977 e 1978 ed Essay Vermaseren 1996, nonché, più di recente, SCARPI 2002 e PEDRUCCI 2009. In qualche caso le fonti letterarie concorrono a spiegare la fama dell’iconografia di Cibele con i leoni: ad es., Pli-nio (N.H. XXXV, 108) narra di come Nichomacos, celebre per i suoi legami artistici con la corte macedone, l’avesse ritratta in leone sedentem, come poi verrà effigiata sul tempio di Athena Poliàs a Priene e sul lato meri-dionale dell’Altare di Pergamo, mentre già compariva sul fregio settentrionale del Tesoro dei Sifni a Delfi nella versione con carro a tiro leonino. In margine, seppure testimonianza secondaria e antiquaria, per lo Pseudo Apol-lodoro (Bibl. 3, 5, 1) Dioniso e Cibele si incontrarono e la dea liberò il dio dalla manìa. Oltre a quello sulle pendi-ci nord-occidentali del Palatino a Roma, ripristinato dopo gli incendi ancora in epoca augustea, altri tre importanti luoghi religiosi italici (aedes Matris Magnae) dedicati a Cibele sono quelli di Ostia, di età adrianea, e di Gragnano (località Trivione): Imperium der Götter 2013, pp. 85-121, con carta di diffusione. A latere, sulla perduranza della tradizione religiosa, incuriosisce che in Irpinia, a Montevergine (Av), sulla scorta di Catullo (Carme LXIII, vv. 84-93) e Virgilio (supra, nota 4), si voglia che la venerazione per la Madonna locale sia la rivisitata manifestazione

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Per Tarquinia l’ipotesi sarebbe affascinante ma, come vedremo più oltre in merito a una propo-sta di datazione dell’antepagmentum fittile, essa, qualora verosimile, striderebbe con la quota cro-nologica della testimonianza romana, senza contare che sfortunatamente le prove di cui avremmo potuto disporre, già rare e tenui, sono state oramai destituite di fondamento. Alludo a due ipogei funerari, a lungo dati per perduti e datati genericamente ad età ellenistica:

- Tomba con Donna con Diadema, Cimbali e Uomo su Elefante, a camera unica, scoperta nella prima metà del Settecento e descritta negli anni Settanta dell’Ottocento da George Dennis nel suo Cities and Cemeteries of Etruria: la vecchia letteratura tramandava l’ipotesi che la donna fosse Ci-bele e l’uomo su elefante Bacco indico7.

- Tomba con Processione di Cibele, a camera unica, anch’essa scoperta nella prima metà del Settecento: Cibele, con corona turrita, siede su un carro trainato da quattro leoni preceduto da un corteo di dodici musici seminudi con timpani e cembali, e con iscrizioni8.

Se le descrizioni fossero state fededegne, il soggetto sarebbe risultato quanto mai singolare e o-riginale nella pittura etrusca: purtroppo non sapremo mai se qualche altro ipogeo tarquiniese, reso anonimo dalla vaghezza delle citazioni antiche e dall’illeggibilità delle pitture definitivamente evà-nide, avrebbe potuto candidarsi ad aver ospitato soggetti simili.

Quanto a Dioniso, le fonti tarde eleggono la pantera a nutrice del dio, mentre tigri e leoni sono varianti connesse alla pompé trionfale e in particolare ne prefigurano il trionfo indiano9, come si era immaginato nel primo degli ipogei summenzionati e piuttosto come ben testimonia la ceramografia greca, nella quale anche Cibele compare a partire dal periodo classico: basti pensare al magnifico cratere apulo a figure rosse da Ruvo di Puglia con personaggi del corteggio, dove aggiogate al car-ro del dio sono in coppia due pantere (fig. 5) e alla ieratica coppia, dove sono forse da riconoscere entrambi, sul famoso cratere polignoteo dalla tomba 128 della necropoli spinetica di Valle Trebba10 (fig. 6).

Se poi ci basassimo su quanto conosciamo per Tarquinia e per l’Etruria meridionale in questo orizzonte temporale, sull’acropoli nella città etrusca un edificio con iconografie pertinenti alla sfera dionisiaca non sarebbe affatto fuori campo e magari schiuderebbe aperture circa una possibile isti-tuzionalizzazione ufficiale della devozione.

La rassegna delle notissime segnalazioni sparse nel territorio tarquiniese lungo l’età ellenistica può costituire il favorevole clima nel quale ambientare un’ipotesi sulla medesima falsariga: dalla vicina Vulci da un lato e sino a Nord, a Orvieto-Volsinii dall’altro, con la quale ultima, come con altri centri del distretto settentrionale, i rapporti di Tarquinia nella fase ellenistico-romana sono comprovati prosopograficamente nelle iscrizioni tombali da legami nunziali intessuti tra le rispetti-

cristiana di un più antico culto per Cibele, con processione di adepti ‘femminielli’ in occasione della festa della Candelora il 2 febbraio. 7 HARARI 2012, specie le pp. 107-109, per Padre Forlivesi. Lo Studioso ricorda che l’inattendibilità dell’esistenza di una raffigurazione di Donna con Diadema, Cimbali e Uomo su Elefante si deve a Witold Dobrowolski: si trat-tava, infatti, della errata interpretazione di banchettanti su klinai della Tomba del Biclinio, dove le gambe della kline sono state assunte come quelle dell’elefante, correggendo STEINGRÄBER 1985, p. 308, n. 61. La tomba è cor-rettamente menzionata in MARZULLO 2016, pp. 55-57. 8 È ancora la versione inautenticabile – false iscrizioni comprese – derivata da Padre Forlivesi: MARZULLO 2016, p. 299, dove si emenda STEINGRÄBER 1985, p. 340, n. 102. 9 BUCCINO 2014. 10 Ringrazio la dott.ssa Federica Giacobello per le indicazioni relative alla ceramica dipinta: SENA CHIESA – AR-

SLAN 2004, p. 107, fig. 83 (Collezione Jatta, Pittore di Ruvo, 340-320 a.C.); Spina 1993, p. 149 (ultimo ventennio del V secolo a.C.), benché rimanga in predicato, per una ventilata derivazione dall’Elena euripidea, l’effettiva compresenza di due divinità o delle loro statue di culto. Vd. anche ISLER-KERÉNYI 2002. Nella ceramica apula al carro del corteo dionisiaco sono imbrigliate anche femmine di pantere, come in una famosa anfora canosina del Pittore di Dario al Museo Archeologico Nazionale di Napoli: MORENO 1987, p. 153, fig. 155.

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ve aristocrazie e tra le famiglie ascese di rango in tempi più recenti11, in una complessa e precisa rete di strategie matrimoniali esogamiche volte a corroborare i legami politici, e dove le liturgie in onore di Fufluns-Paχies affiorano proprio in seno alle tombe riferite alle gentes di maggior spicco sociale12. E, in precedenza, per restare nella stessa megalografia funeraria tarquiniese di fase arcai-ca, già affioravano attestazioni riferite al dio, come nella Tomba con Dioniso e i Sileni (520 a.C. circa)13.

Non meno note e studiate le ricorrenze plastiche superstiti riferibili ad apparati decorativi di edi-fici templari che contemplano l’esistenza del tema bacchico, talora presentificato per effigie anzi-ché in scene compiute, come nelle belle lastre fittili dei Musei Vaticani con teste dionisiache, di manifattura etrusco meridionale e datate da Fernando Gilotta, con buoni argomenti, alla prima metà del III secolo a.C.14

L’ufficialità e l’istituzionalizzazione del culto italico di Dioniso-Bacco fondano su una serie di capisaldi tutt’altro che effimeri, i quali da tempo rinforzano la nostra conoscenza di una peculiare tendenza religiosa in suolo italico nel pieno Ellenismo, taluni dei quali fatti oggetto di nuovo vaglio esegetico: tra essi risalta il tempio suburbano di S. Abbondio di Pompei, datato alla metà del secolo III a.C. e tradizionalmente interpretato quale sede di una liturgia misterica, il cui rilievo frontonale, che avrebbe ospitato le immagini di Dioniso e Arianna, una decina di anni fa è stato ridiscusso a favore di Libero e Libera, destinatari di una venerazione a sfondo agrario di qualche decennio più tardo, in risposta allo scandalo dei Baccanali del 186 a.C.15

E resta ovviamente d’obbligo un riferimento al Trono di Bolsena (III secolo a.C. o al passaggio tra III e II secolo a.C., al più tardi entro il 170-160 a.C. circa), con le maestose pantere sedute, a lungo interpretato come elemento di apparato di un luogo di culto sotterraneo dagli scavatori F.-H. Massa Pairault e da J.-M. Pailler, e il cui ruolo all’interno di una presunta liturgia bacchica era stato revocato in dubbio da Olivier de Cazanove (fig. 7)16.

Vista la precarietà entro la quale si muove il mio tentativo di identificazione iconografica del soggetto della lastra tarquiniese, oltretutto scorporata dal contesto (che, come detto e salvo stupirci, potrebbe non essere affatto quello di origine) e vista la contenuta e singola portata di un singolo pezzo per delucidare l’eventuale esistenza di un edificio sacro a tema sulla Civita, occorre rinuncia-re ad ambizioni probatorie e piuttosto raccogliere piccole analogie collaterali: a tal riguardo, specie a fini cronologici, può essere interessante osservare che a Poggio Moscini proprio insieme al Trono di Bolsena vennero recuperati frammenti fittili profilati dal caratteristico motivo a onde che pure orla la nostra lastra, nonché mammelle pertinenti a un felino e, ancora, altre lastre del pari bordate

11 CHIESA 2005, pp. 387-399. 12 Dal classico e remoto lavoro generale di BRUHL1953 e, per l’Etruria, dalle messe a punto di oltre vent’anni fa di M. Cristofani e M. Martelli (CRISTOFANI – MARTELLI 1978) e poi di G. Colonna (COLONNA 1991), insieme ai la-vori di respiro generale (vd., ad es., L’association dionysiaque dans les sociétés anciennes 1986), la bibliografia si è ovviamente sviluppata, a cominciare dall’età arcaica: per un repertorio rappresentativo ci si può riferire a CER-

CHIAI 2014 e PIZZIRANI 2010 (ivi, p. 61, il cratere spinetico della Tomba 128, datato al 440-430 a.C.: la Pizzirani accoglie quanto detto alcuni anni prima da Cornelia Isler-Kerényi, che rilevava sia l’originalità iconografica sia la tangenza e la sovrapposizione fra Hades e Dioniso). 13 STEINGRÄBER 1985, p. 307, n. 59; MARZULLO 2016, p. 120. 14 GILOTTA 2005, p. 238, fig. 1 e IDEM 2002. 15 BIELFELDT 2007 e Archéologie et religion 2013. 16 MASSA PAIRAULT 1986 e, soprattutto per “le group à la panthèr”, vd. MASSA PAIRAULT-PAILLER 1976, pp. 83-84, 165-220; tra i materiali invocati a confronto dagli editori vi sono anche le urne ellenistiche con giovane Dioni-so a cavallo di pantera con mammelle. Oltre a DE CAZANOVE 2000, ancora sul Trono e sui Baccanali, da ultimo, MASTROIANNI-MACCHIONE c.s.

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dalla stessa cornice dentellata che decora almeno altri due antepagmenta rinvenuti nell’ambiente ipogeo che ha reso la lastra con leonesse17 (fig. 8).

In riferimento al territorio di Bolsena, la stessa Françoise-Helene Massa Pairault considerava al-lora quanto non fosse semplice definire la questione dionisiaca per il periodo anteriore al 264 a.C.18: per quanto ci concerne più da vicino, ricorderò per inciso la notizia, non certo ignota ma assai im-plicata, secondo la quale ancora in età imperiale Plinio menziona il Lago di Bolsena quale lacus Tarquiniensis19, in una fase storica in cui il comprensorio interno di Tarquinia si incuneava proiet-tandosi verso Nord sino al bacino lacustre, e che poco distante in quella direzione un centro impor-tante come Tuscania, a misura della propria rilevanza politica e della propria permeabilità alle e-manazioni culturali collegate alla metropoli costiera attraverso la notevole prosopografia locale, mostrava l’elevato livello sociale di penetrazione (e magari di gestione diretta) delle liturgie bac-chiche20.

Nel Viterbese segni di una gravitazione verso il lago sono marcati da una serie di sepolcri dis-seminati nel contado (tra Musarna e i vocaboli di Cipollara, Cipollaretta, Poggio Tondo, Rosavec-chia e Campo della Macina), dove il parallelo testimoniale è eloquentemente fornito dalla memoria iscritta delle famiglie gentilizie, che illustra le trame di una accorta politica matrimoniale concepita tra pari sociali, all’interno delle aristocrazie di antica o più recente fortuna del comprensorio tar-quiniese e le città più a Nord proprio in anni che vedono cambiamenti di assetto politico preannun-ciati e poi cruciali21.

E a Tarquinia naturalmente spiccano le esplicite menzioni sui sarcofagi di Laris Pulenas (ultimo quarto del III secolo a.C.), dove pur tra lacune si indicano “campi per Caθa e Bacco”22, e soprattut-to di un membro della famiglia dei Camna a Poggio Cavalluccio (III sec. a.C.) insignito delle cari-che civiche di marunuχ cepen e di marunuχ paχanati: “(---) figlio di Laris (Camnas) Crespe e di

17 Si tratta del frammento di lastra con teoria di arieti, dei quali se ne conservano cinque in fila verso sinistra con le sole zampe anteriori visibili e sollevate, in una curiosa postura che li fa somigliare ad animali che nuotano. E di una seconda lastra frammentaria, con almeno una coppia di cavalli in corsa e carro con auriga, di cui resta il brac-cio sinistro che regge una patera, entrambe in corso di studio. 18 Vd. TURCAN 2003; secondo lo studioso, in linea con l’opinione di de Cazanove, non erano stati, sino a quel momento, riconosciuti ambienti dedicati al culto bacchico. In questo quadro potrebbe rientrare, in ispecie per la sua provenienza da Falerii e le implicazioni che la città ebbe nella questione della diffusione dei culti bacchici a Roma, una statua fittile conservata al Louvre, per la quale è stata proposta l’identificazione con Arianna, ellenisti-ca ma con discussa datazione: GAULTIER 2000, pp. 289-290. 19 Plin., N.H. 2, 208: Tarquiniensis lacus magnus Italiae, in precedenza Vitruvio (De Arch. II, 7, 3) parla di lacum Volsiniensem. Graduare il peso storico delle pur valide notizie isolate offerte dalle fonti, trasponendole temporal-mente in maniera corretta nella non breve e complessa fase storica della romanizzazione in relazione al profilo della città e al suo prolungato tentativo di mantenimento dell’autonomia politica espressa nei propri statuti civici e territoriali, non è semplice; mentre, per cogliere la spinta verso Nord di Tarquinia e la natura degli assetti venutisi a delineare al suo interno e nei riguardi del comprensorio lacustre, gli indicatori affidabili sono la documentazione materiale e quella prosopografica, che, semmai, dalle fonti traggono sfumata conferma. 20 Per il rinvenimento tarquiniese di un coperchio raffigurante una Mater Thiasi rinvenuta nel 1830 nel Fondo Marzi, vd. CHIESA 2005, p. 393, nt. 97. 21 CHIESA 2005, pp. 394-397; per un sepolcro adespota a Campo della Macina, dal quale proviene un’arca figura-ta, al cui interno erano un cratere a campana in bronzo con attacchi configurati a testa di sileno, di elevato pregio toreutico e artistico, paragonabile ad altro dalla tuscanese Tomba I dei Curuna (ultimi decenni del secolo IV. a.C.), nonché una teca di specchio bronzea con tema pure dionisiaco, vd. CHIESA 2005, pp. 392-393. Per le tombe della famiglia Curuna e i corredi relativi, MORETTI – SGUBINI MORETTI 1983. Sul sarcofago dalla Cipollara, con onde e delfini, vd. KRAUSKOPF 2009, p. 613. 22 CHIESA 2005, p. 324 (Tav. 1.17). Importante la consultazione del repertorio MORANDI TARABELLA 2004, ad vo-cem. Per il teonimo Caθa e per la sua associazione con Paχa all’interno del cursus honorum (con l’ipotesi di una possibile coppia divina sul tipo Bacco-Proserpina in una fase anteriore al Senatus consultum del 186 a.C.), vd. SANNIBALE 2008, p. 32. Inoltre, per la formula del sarcerdozio: AGOSTINIANI 1997; FACCHETTI 2000, pp. 30-40 e 93-94; ADIEGO 2007.

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Θanχvil Pumpui, capo della Lega Etrusca .... avendo rivestito e il maronato del collegio di Bac-co”23.

Nel distretto di Tuscania, poi, un importante sarcofago dalla località San Pietro (prima metà del secolo III a.C.) ricorda i fasti e le numerose investiture politiche e militari di un membro di ignoto lignaggio locale, Arnθ, figlio di una Θanχvil Pešli, che ha rivestito anche il maronato dei Bacchici24, come Larθ Statlanes (II secolo a.C.), nella cui epigrafe rinvenuta all’interno della tomba gentilizia di Rosavecchia di nuovo si menziona il maronato dei Bacchici e di Caθa25.

Queste iscrizioni si affiancano per consistenza testimoniale alla già citata Vulci26, dove gli e-sempi più eclatanti con ierogamia appartengono specialmente all’architettura sacra o all’architettura funeraria di imitazione templare, ovvero la placca di rivestimento dell’edicola della necropoli di Ponte Rotto, ascrivibile alla prima metà III secolo a.C. (fig. 9), il timpano in nenfro dalla necropoli di Cavalupo (seconda metà III secolo a.C.), il modellino fittile di tempio dal deposi-to votivo della Porta Nord di Vulci (fine II-I secolo a.C.)27.

Trascureremo invece volutamente la ceramografia, non foss’altro per il fatto che il tema è noto e studiato28.

UN POSSIBILE INDICATORE CRONOLOGICO: LA DECORAZIONE ACCESSORIA A ONDE CORRENTI

Ai fini di una datazione, o quantomeno di un’oasi cronologica entro la quale situare la nostra lastra, non sono da sottostimare i motivi decorativi accessori ossia le onde marine (e, aggiungerei, indiret-tamente la cornice dentellata sul margine superiore delle altre due lastre recuperate insieme ad essa e che magari avrebbero potuto far parte dello stesso edificio o di edifici coevi, un motivo architet-tonico che si trova anche su frammenti dalla Maison aux Salles di Bolsena29), adottate a Tarquinia e in Etruria meridionale (e non solo) nella più rimarchevole megalografia tombale, tanto da rappre-sentare una spia preziosa, a partire, seppur diversamente formulate e talvolta associate a delfini che balzano in aria dalle acque, dalle più antiche tombe delle Leonesse, del Triclinio e del Letto Fune-bre30.

Il motivo a onde correnti, sovente ancora con i delfini, allusivo alla dimensione marina con la sua simbologia liminare31, è infatti un ornato naturalistico replicato in un gruppo di camere funera-

23 CHIESA 2005; MORANDI TARABELLA 2004, ad vocem. La tomba dei Camna viene occupata tra la fine del IV sin quasi alla metà del III secolo a.C. 24 CHIESA 2005, p. 351, AR 1.1, a prescindere dal fatto che la tomba possa essere appartenuta alla insigne famiglia degli Statlane, come è stato anche proposto in passato (EADEM 2005, nt. 56). 25 CHIESA 2005, p. 355 (AT 1.32); MORANDI TARABELLA 2004, ad vocem. 26 Sin dal V secolo a.C., vasi con iscrizioni: a Vulci l’ipotesi dell’esistenza di un vero e proprio santuario dionisia-co è stata incoraggiata dai vasi dalla necropoli della Doganella con dedica a Fufluns Paχies Velχlθi: MARAS 2000, pp. 132-133. Sul culto in Etruria una prima sintesi era quella di CRISTOFANI – MARTELLI 1978, cui sono seguiti altri lavori, tanto che la bibliografia sull’argomento è corposa e giunge sino al presente: mi limito a citare due soli contributi noti e senza nulla togliere al valore del resto del corpus: MASSA PAIRAULT 1987 e PAILLER 1988. 27 BONAMICI 1992 in generale e Tav. V per la testata dell’edicola di Ponte Rotto. 28 Gli Etruschi 2000, p. 451; nella vasta categoria ceramica merita una nota il soggetto dionisiaco del Pittore dell’Aja su un pregevole stamnos da Vulci, il cui fregio sul collo ospita il carro dionisiaco trainato da belve (300 a.C. circa). 29 MASSA PAIRAUL – PAILLER 1976, ad es. p. 276, fig. III: lastra con pantera anguiforme e cornice dentellata supe-riore. Aggiungo, più prossime, le sime con ippocampi fantastici, delfini e teoria di onde alla base e ovoli sulla sommità, della Collezione dell’Università La Sapienza, che C. Carlucci ha datato alla prima metà del III secolo a.C. 30 MARZULLO 2016, pp. 178-182, pp. 388-393, pp. 195-200. 31 GALLON SAUVAGE 2005. Non è certo per materialismo o per inconsapevole elusione dell’universale significato dell’acqua – qui esemplata da onde e delfini – che trascurerò di soffermarmi sul côte simbolico della questione e

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rie etrusche affrescate di epoca ellenistica, sia tarquiniesi sia in generale etrusco-meridionali (come le Tombe dei Sarcofagi e delle Onde Marine di Cerveteri32; ma non soltanto: dalle Tombe 1 e 2 del-la necropoli Le Grotte di Populonia sino la Tomba degli Hescanas di Orvieto33 senza tacere del raro caso della coppia di tombe rupestri di Blera, la Grotta Dipinta I e la Grotta Dipinta II34) e tutte, fra l’altro, importanti, nelle più notevoli delle quali le scene principali sono a carattere fortemente o-stensivo o recano cortei magistratuali, come nelle Tombe del Convegno, degli Scudi (fig. 10), Bru-schi35 e Tifone.

A Tarquinia ricorderei, in sequenza temporale, almeno i complessi che seguono; il riferimento cronologico è all’impianto originario e alle pitture parietali, sulla base delle opinioni più autorevoli e condivise; per alcuni sono contemplate le proposte alternative scaturite da una recentissima revi-sione, che ha interessato esclusivamente l’apparato pittorico inteso come sistema crono-tipologico36:

del suo grandioso portato in ambito funerario, anzi, proprio a motivo di ciò (basti scorrere la letteratura, scil. an-che nel mondo etrusco); e riconoscendo che, mentre la cornice marina nelle camere dipinte trova una sua armonica spiegazione nell’economia del sistema di cui costituisce uno specimen affatto secondario, nella lastra in esame, che si contestualizzava in ben diversa situazione architettonica, posso comunque supporre che il motivo a onde sarà stata avvertito come coerente e intonato alla raffigurazione (divina?) dell’antepagmentum, meglio ancora qua-lora essa avesse avuto valenze escatologiche, soteriologiche o altre similari: ma di fronte a tale incertezza manca lo strumento che consenta di misurarne il reale portato metaforico accanto a quello meramente decorativo; e senza peraltro che questo termine risulti svilente, poiché anche la semplice ornamentazione possiede nella memoria de-gli artefici, della committenza e della comunità una filtrata dignità evocativa, che nella coscienza collettiva riman-da a temi più profondi e originari, pur senza magari chiamarli in causa in chiave diretta e protagonistica all’interno della rappresentazione figurata. Sulle onde, vd. MARZULLO 2017, pp. 25-26; 186-189; 197-198. Sul sistema deco-rativo e le sue reviviscenze successive, vd. TORELLI 2011, pp. 406-408. 32 STEINGRÄBER 1985, p. 268 n. 8 e p. 270 n. 10. Per Populonia, vd. ROMUALDI 2003, pp. 67-68, dove le due tom-be dipinte, con teoria di onde e delfini rispettivamente, appaiono un’eccezione nel tessuto locale caratterizzato da una medietas e suggeriscono, insieme a un congruente tenore sociale e/o economico, anche rimandi artistici tar-quiniesi e/o ceretani; per Caere, vd. THIERMANN – ARNOLD 2013. Per un utile elenco di complemento e con una digressione sulla possibile origine del motivo a onde, vd. GOVI – SASSATELLI 2004 e GOVI 2008, infra. 33 Steingräber (STEINGRÄBER 1985, p. 283, n. 29) menziona anche una tomba da Grotte S. Stefano (Casa Bovani), precocemente datata al V secolo a.C., che rientrerebbe fra le più antiche, ma le pitture sono illeggibili e si intrav-vedono appena figure umane di danzatori e cavalli. 34 Plausibile la datazione alla prima metà del IV secolo a.C., secondo STEINGRÄBER 2006, p. 237. 35 VINCENTI 2009, pp. 134-135: il suo apprestamento cade nella seconda metà-terzo venticinquennio del IV secolo a.C. e la sua probabile dismissione, dopo un utilizzo protratto, prima dell’assorbimento della città etrusca nell’orbita di Roma nel 280 a.C. circa. Le pitture furono eseguite dopo le prime deposizioni in sarcofago, già ad-dossate alle pareti. Il riesame accurato della Tomba Bruschi non è stato ininfluente per la valutazione degli altri complessi con processus magistratualis (sul quale, sotto un’indole più appropriata e accanto alle citazioni biblio-grafiche e alle questioni linguistiche interne alle iscrizioni che tutti gli specialisti conoscono, vd. TASSI SCANDONE 2014); peraltro in generale sono state diverse le tombe dipinte più importanti ad essere state fatte oggetto di rialzo cronologico, già a partire dalla Tomba del Tifone, così come in varie sedi la discussione si è riproposta in termini più ampi e sistemici. La Tomba Bruschi è specialmente importante, proprio insieme a quelle del Convegno e del Tifone (anch’esse bene analizzate per i caratteri della tecnica artistica impiegata e giudicate però dalla Vincenti, in virtù dello stesso criterio, l’una di poco più antica e l’altra più recente, metà III secolo a.C.), in quanto è un raro caso di allestimento figurativo con soggetto monotematico (EADEM, p. 138). 36 Per ovvi motivi faccio riferimento esclusivo allo stile degli affreschi, la cui preparazione coincide in genere (salvo per la Tomba Bruschi: vd. supra, nt. 35) con l’allestimento iniziale vero e proprio degli ipogei; per la stessa ragione non tengo qui conto della datazione più ampia offerta dall’utilizzo sepolcrale prolungato nel tempo per accogliere vari membri della stessa stirpe e nella cui valutazione cronologica rientrano anche l’eventuale occor-renza di sarcofagi, lacerti di corredo, iscrizioni prosopografiche etc. Non ho inoltre precisato la collocazione topo-grafica delle tombe nelle rispettive aree funerarie (Primi Archi, Cimitero, Calvario, Scataglini, Fondo Maggi etc.), in quanto non funzionale al discorso, ma agevolmente rintracciabile. La recentissima disamina del patrimonio me-galografico delle necropoli di Tarquinia di M. Marzullo (MARZULLO 2016) ha in larga parte ricalcato o, per con-tro, talvolta ripensato alcune delle datazioni nel tempo proposte dalla tradizione degli studi, secondo un criterio di stampo razionale che incrocia reciprocamente la presenza contestuale degli elementi architettonici dipinti e degli

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- Tomba Lerici 5513: metà del V secolo a.C. - Tomba Lerici 3716: 450-400 a.C. - Tomba Bruschi (gens Apuna): metà-terzo venticinquennio IV secolo a.C. - Tomba degli Scudi (gens Velχa): metà-terzo quarto IV secolo a.C.; sistema architettonico dipinto: 350 a.C. - Tomba dell’Orco I (gens Spurina/Murina): 400 a.C. – prima metà IV sec. a.C.; sistema architetto-nico dipinto: 360-300 a.C. - Tomba dell’Orco III: 300 a.C. circa, ma con valutazioni cronologiche discordanti e anche più re-centi; sistema architettonico dipinto: 350-325 a.C. - Tomba Lerici 1625: 275-200 a.C.; sistema architettonico dipinto: 310-275 a.C. - Tomba Messerschmidt 1: età etrusco-romana; sistema architettonico dipinto: 325-300 a.C. - Tomba 4835: 300-250 a.C. - Tomba dei Ceisinie (gens Ceisinie): 350-300 a.C.; sistema architettonico dipinto: 350 a.C. - Tomba del Convegno: 300 a.C. o poco dopo - Tomba Querciola II (gens Ane): 300-200 a.C.; sistema architettonico dipinto: 310-275 a.C. - Tomba del Tifone (gens Pumpu): 300-250 a.C.

Un accostamento calzante proviene, invece, dalla protoellenistica Tomba della Quadriga Infer-

nale (fig. 11), nella necropoli delle Pianacce di Sarteano, nel Senese37, manifattura probabile di maestranze orvietane, dove non solo vi è lo zoccolo abbellito di flutti marini e delfini, ma, sopra-stante, un raro tiro fantastico di belve, una quadriga di leoni e grifi in coppia guidata da un demone auriga, e che – come bene segnala Alessandra Minetti, autrice della scoperta – d’acchito evoca im-mancabilmente proprio il carro di Dioniso o di Cibele, le cui rappresentazioni più monumentali so-no ben lontane dal potersi indicare a confronto, per quanto perduranti nella memoria religiosa e ar-tistica mediterranea (e, nondimeno, attraenti in letteratura, come modello di indubbio peso).

Nel contesto culturale etrusco l’eccezionalità della pariglia si incastona in una sua dimensione naturale, al cui interno sono i demoni dell’Aldilà i protagonisti meglio intonati a governare animali oltremondani e inaddomesticabili: la presenza di tiri di belve si accorda perfettamente con l’ambientazione escatologica38.

Nella Tomba della Quadriga Infernale le fiere sollevano entrambe le zampe anteriori artigliate come si accingessero alla partenza guidate dalle lunghe briglie, coi quarti posteriori fissi al suolo e la coda curiosamente ripiegata in segno di timorosa obbedienza (se dovessimo interpretare il com-portamento animale secondo l’etologia reale).

Infine, circostanziando più strettamente nel campo delle terrecotte architettoniche, possiamo produrre un confronto poco meno suggestivo dalla Regio VI, dall’Umbria, e precisamente nell’area di Todi da Vettona (odierna Bettona), non lontano dall’etrusca Perugia, una lastra tardo-ellenistica, anch’essa con figure in aggetto marcato, che doveva essere posizionata a completare il lato sinistro

apporti decorativi, istituendo una sorta di media cronologica. Al catalogo mi appello per comodità, in quanto vi è radunata in ordine la bibliografia precedente delle tombe qui citate: T. 5513, pp. 52-53; T. 3716, pp. 611-612; T. Bruschi, pp. 64-65; T. degli Scudi, pp. 334-341; Orco I, pp. 253-260; Orco III, p. 263; T. Lerici 1625, p. 521-522; T. Messerschmidt 1, p. 226; T. 4835, pp. 666-667; T. dei Ceisinie, pp. 97-99; T. del Convegno, pp. 105-106; T. Querciola II, pp. 322-323;. T. del Tifone, pp. 360-368. 37 MINETTI 2006, pp. 79-91. 38 MINETTI 2006, pp. 79-91, p. 38 e STEINGRÄBER 1985, p. 376, n. 1, con riferimento ai due ipogei tarquiniesi rin-venuti nel Settecento, che avrebbero accolto ciascuno, separatamente, le stesse raffigurazioni che nella tomba sar-teanese compaiono insieme, ovvero in uno i serpenti tricipiti e nell’altro una quadriga trainata da quattro leoni. Rimando alla rettifica di M. Marzullo (MARZULLO 2016, p. 103) e a una precedente e opportuna menzione dubita-tiva in HARARI 2012, pp. 110-111.

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della sima frontonale di un edificio39. Le fiere che corrono, travolgendo un cratere, erano dipinte in colore giallastro e cinte con nastro rosso, e pure di colore rosso era il fondo della lastra.

La citazione che porto a confronto è interessante, non soltanto perché – come afferma l’editrice del pezzo, Simonetta Stopponi – risulta agevole rintracciare in trasparenza un modello plastico e/o pittorico colto assegnabile a un momento avanzato dell’Ellenismo, ma per il fatto che si tratta di una delle poche sime figurate di questa fase.

Per questo vecchio rinvenimento, come sottolinea la Stopponi, Arvid Andrén nella sua silloge degli anni Quaranta parlò di una biga dionisiaca, “Dionysus on his chariot drawn by panthers”, ri-facendosi alle più tarde raffigurazioni delle lastre Campana, dove il dio appare in corteo di satiri su biga trainata da fiere40.

Ma del nostro il caso della sima tudertina è, interpretativamente parlando, più fortunato, poiché proprio la presenza del cratere travolto dalle pantere in corsa sembra orientare in maniera definita: esso infatti rimanda a un corpus di immagini che nel loro nucleo narrativo compaiono anche negli altorilievi fittili di edifici sacri etrusco-italici (immancabile è avvertito il rimando a Civitalba nell’Anconetano e alla Catona di Arezzo), il cui tema è di quelli caratteristici di questa temperie storica e provvisto di un forte contenuto ideologico, ovvero la Celtomachia, nella prima fattispecie collegata al tentativo di profanazione del santuario di Delfi, scampato ai Galati – ricorda Pausania41 – grazie all’intervento delle divinità locali.

Proprio in collegamento con la Celtomachia bene si configurerebbe – a Vettona come a Civital-ba – la presenza di Dioniso sulla biga, ancorché per l’episodio delfico non menzionato direttamente alla fonte letteraria42. A Vettona, inoltre, se questa fosse la giusta lettura, essa al principio del II se-colo a.C. troverebbe conforto storico proprio nelle vicende della romanizzazione, soverchiante nei territori in mano ai Celti43.

In calce e in chiusura, vorrei tornare per un istante alla summenzionata suggestione di Andrén, rimarcando come essa investa un alveo critico ben più ampio rispetto alla sola comparazione ico-nografica relativa al soggetto: l’interrogativo basilare consiste nello stabilire in quali termini possa delinearsi una eventuale parentela fra la nostra lastra (insieme a quella con biga e cavalli in corsa) e la serie Campana con i suoi derivati regionali, nelle quali scene con carro dionisiaco tirato da bestie feroci e scene di corse su biga con Nike in veste di auriga effettivamente ricorrono, queste ultime dall’Ara della Regina a Tarquinia44.

Sulle Lastre Campana, sulla loro aulica produzione urbana e suburbana dalla tarda Repubblica, sulla loro cronologia e pluralità di destinazione, come pure sul loro divenire (o meno, e poi non

39 STOPPONI 2009. 40 STOPPONI 2009, p. 855. 41 Paus., X, 23. Entrambi i complessi fittili non abbisognano certo di rimandi; sappiamo che la Catona di Arezzo, insieme al Giudizio di Paride, contemplava forse una Galatomachia e costituisce un esempio piuttosto tardivo, es-sendo il complesso fittile datato in pieno II secolo a.C. (le opinioni variano dal primo quarto alla metà del secolo), mentre il frontone di Civitalba, per le coincidenze storiche con le vittorie su Galati/Celti conseguite in scenari temporali e geografici diversi, lega la sua cronologia al frangente in cui gli eventi si cristallizzarono nella memoria collettiva e furono trasposti in un edificio sacro: BRACCESI 2007, con discussione alle pp. 31-41. Per la presenza di Dioniso sul frontone occidentale del tempio delfico ricostruito nel corso della seconda metà del IV secolo a.C., nella composta versione di citaredo, con pantere agli angoli e corteggio: KOLONIA 2009, pp. 9-10. 42 Vd. supra, nt. 41. 43 STOPPONI, p. 857. 44 Si tratta di frammenti: STRAZZULLA 1990, p. 121, fig. 45; e da Bettona, donde proviene anche l’esemplare con leonesse richiamato nel testo, p. 122, fig. 46, ripresa in STOPPONI 2009, p. 858, figg. 4-5, che alle pp. 858-859 non dimentica un commento alla questione genealogica dei tipi (tra II e I sec. a.C.).

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sempre) luminoso indizio della romanizzazione dei territori italici, siamo sorretti da una trattatistica impeccabile45.

Al presente opterei senza dubbio per inserire il ritrovamento della Civita nel gruppo delle mani-fatture che, nel solco di una tradizione molto consolidata, ne anticiparono spontaneamente gli esiti in seguito maturati su alcune categorie edilizie pubbliche, alla maniera di una gestazione dei tipi e delle immagini, valida di conseguenza come antefatto in senso cronologico.

UNA CONCLUSIONE PROVVISORIA

Abbiamo ipotizzato almeno una duplice via di lettura. Della nostra lastra rimane insoluta la precisa destinazione architettonica: la assumeremo come parte di un programma decorativo organizzato sulla fronte di un edificio ad oggi non rinvenuto e magari demolito, forse un sacello, una aedes o un comunque una costruzione di discreta grandezza, a giudicare dal modulo sommariamente ricostrui-bile della terracotta (un’altezza di almeno 45 cm), unico indizio per le (assolutamente) congetturali dimensioni che potremmo vagheggiare di un alzato.

Nonostante il suo attuale isolamento, la lastra tarquiniese ribadisce che gli elementi di copertura secondari potevano veicolare un significato pregnante e coerente all’interno di una narrazione ico-nografica organica, della quale il timpano frontonale esplicitava l’episodio principale, e cui po-tremmo latamente aver accesso per via congetturale se nutrissimo la certezza che fosse una divinità colui (o colei) che sta alla guida del carro con leonesse.

Quanto a un’ipotesi di datazione, pur rimanendo sottomessa ai limiti estimativi dovuti alle con-dizioni del rinvenimento e della frammentaria conservazione, occorre considerare che il plausibile contenuto religioso dell’iconografia, al presente per noi impenetrabile, non può del tutto svincolarsi dalla proposta cronologica (e viceversa) per la quale mi sentirei di optare, racchiusa fra le più re-centi testimonianze pittoriche tarquiniesi prima elencate, intorno al 300 a.C. quale terminus post quem, e il III secolo a.C., magari entro la prima metà.

Senza voler accantonare il dubbio di una recenziorità, cui anche il tipo di impasto concorre sen-za però dirimere46, intenderei motivare quanto sopra detto con alcune semplici riflessioni.

Ogni immagine richiede di essere percepita ed esaminata nel suo insieme e non sempre vale il criterio razionale di un’artificiosa scomposizione e separazione dei suoi partiti figurativi e decorati-vi, da cui consegue che, estrapolando, verrà potenziata o edulcorata degli uni o degli altri l’incisività a fini di un orientamento cronologico: un simile approccio può produrre intuizioni pro-pizie quando gli elementi assunti siano numerosi e notevoli in quanto pertinenti a un contesto strut-turale articolato e composito o un programma figurativo compiuto, mentre in casi come il nostro, quando se ne abbia a disposizione uno solamente per ciascuna categoria – la leonessa e le onde cor-renti – e per di più su un singolo campione, il tentativo rischia di farsi metodologicamente più de-bole.

A proposito delle onde, rinforzerei comunque l’idea che la loro presenza sulla terracotta possa fungere da indicatore probante a conforto di una datazione non attardata: la zoccolatura marina del-le pareti affrescate all’interno di spazi di per sé eccezionali e altamente selettivi quali gli ipogei fu-nerari costituisce un argomento a favore della loro rilevanza in tal senso47. Il dettato morfologica-

45 I principali rimandi sono STRAZZULLA 1990 e TORTORELLA 1981, con referenze basilari (ad es. al lavoro di M.A. Rizzo degli anni Settanta), e le rispettive messe a punto degli anni a seguire. 46 Il tipo di impasto non è molto dissimile da quello riscontrato in alcune terrecotte architettoniche post-classiche ed ellenistiche dagli scavi diretti da Maria Bonghi Jovino nel santuario dell’Ara della Regina, ancora inedite in quanto del tempio sono state pubblicate le fasi arcaiche. 47 Un’ipotesi diversa e orientata verso una datazione più recente, ma che ancora voglia insistere sul portato dia-gnostico dell’ornato a onde correnti, direbbe che, dopo la cristallizzazione formale del motivo in epoca tardo-

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mente e cronologicamente omogeneo negli ambienti sepolcrali mi pare coincida con un oggettivo e cosciente risalto di questo ornato nel patrimonio simbolico tarquiniese e garantisca la trasparenza immediata del suo allusivo richiamo (il mare con le sue liminarità nell’oscuro tragitto delle umane sorti post mortem, se non addirittura echi dionisiaci) sia nell’orditura dell’immaginario collettivo sia nel lessico artistico locale.

Concludendo: al presente tutto è ancora sfumato ed esegeticamente fragile, ma questo non ci au-torizza a ignorare il rinvenimento nella sua originalità e la futura possibilità di trovargli una ascri-zione. Così come, per contro, è precoce sopravvalutare, sulla base di un solo elemento fittile, l’ipotesi che sulla Civita di Tarquinia si facesse – per dirla con Rudolf Otto – “esperienza del mi-stero”, ma la raffigurazione è decisamente inusuale e davvero piacerebbe poter immaginare un car-ro con timone aggiogato a grandi felini e presupporre un trasporto divino.

Difficile, perciò, sottrarsi al fascino di una interpretazione che si volga soprattutto a Dioniso o, in subordine, a Cibele: al suo proposito, è innegabile che, prospettandone l’epifania all’interno di una sequenza di terrecotte impaginate in un sistema decorativo che la ospitasse e la celebrasse, la ricaduta cronologica sarebbe obbligata e ci raccomanderebbe di guardare a tempi più recenti che non confliggano con l’introduzione del culto a Roma.

Ammetteremo che inevitabilmente ogni responso giace in predicato e possiamo solo auspicare che lo scavo dell’ambiente ipogeo presto produca le necessarie informazioni contestuali. Allora sa-remo pronti a dare seguito o, per contro, a capovolgere questa timida proposta, pegno anticipato di un esame più approfondito e strumentato che auspichiamo possa verificarsi; del resto tale è il ri-schio delle operazioni in corso, ma questo lo abbiamo ricordato al principio e ogni tentativo possie-de, in quanto tale, un valore contenuto e quindi instabile, che lo studioso deve umilmente porre in conto.

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classica ed ellenistica (ben esemplato nel famosissimo mosaico macedone con caccia al cervo di Gnosi e nelle ca-se di Pella), evoluzione del modello di onda documentata nelle tombe arcaiche, esiste – come ha scritto M. Torelli (TORELLI 2011) – una linea di continuità che seguita a riprodurre le onde con ricciolo pronunciato e chioccioli-forme per un lasso di tempo che va ben oltre la soglia cronologica che qui propongo.

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Fig. 1. Lastra architettonica fittile con leonesse dal complesso monumentale di Tarquinia (Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale Tarquiniense, Magazzino Scavi Cattedra

di Etruscologia. Fotografia: Archivio Cattedra di Etruscologia, Università degli Studi di Milano)

Fig. 2. Particolare della

lastra con leonesse Fig. 3. Gruppo bronzeo con Cibele (New York, Metropolitan Museum of Art, da The Metropoli-

tan Museum of Art, p. 140, fig.108)

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Fig 4. Patera da Parabiago (Milano, Civiche Raccolte Acheologiche. Fotografia: F. Chiesa)

Fig. 5. Cratere apulo a figure rosse con Dioniso (Ruvo di Puglia, Museo Archeologico

Nazionale Jatta, da Miti greci 2004, p. 107, fig. 83)

Fig. 6. Cratere a figure rosse da Spina, Valle Trebba, tomba 128 (Ferrara, Museo

Archeologico Nazionale, da Spina 1993, p. 149)

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Fig. 7. Trono di Bolsena: ricostruzione con integrazioni (Museo Territoriale del Lago di Bolsena. Fotografia: Museo Territoriale del Lago di Bolsena)

Fig. 8. A sinistra: lastra architettonica fittile con arieti; a destra: lastra architettonica fittile con car ro eques t re in cor sa , da l comples so monumen ta l e d i Tarqu in ia . (Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale Tarquiniense, Magazzino Scavi Cattedra di Etruscologia. Fotografia: Archivio Cattedra di Etruscologia, Università degli Studi di Milano)

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Fig. 9. Lastra architettonica fittile con Dioniso e Arianna dall’edicola della necropoli di Ponte Rotto, Vulci (Firenze, Museo Archeologico Nazionale, da BONAMICI 1992, tav. V)

Fig. 10. Tarquinia, Tomba degli Scudi (da STEINGRÄBER 1994, fig. 147)

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Fig. 11. Sarteano, Tomba della Quadriga Infernale (da MINETTI 2006, p. 26, fig. 23)