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Nel mondo degli affetti. Della creatività. Del benessere.

Anno XXXIV - n° 2 - dicembre 2017

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Editoriale

Cari Amici,

il 2 febbraio del nuovo anno che sta per iniziare, Attivecomeprima festeggerà i suoi 45 anni! Due anni fa - all’apertura del nostro Mini-Master - Salvatore Palazzo, primario oncologo, consigliere nazionale del CIPOMO, ebbe a dire che “questa Associazione rappresenta un pezzo dell’oncologia italiana”. Come ben sa chi ci conosce, per una sorta di pudore innato, Attivecomeprima si è sempre sentita a disagio nel divulgare riconoscimenti di tale spessore ricevuti nella sua ormai lunga vita. Ma, superando almeno per una volta tale imbarazzo, credo che effettivamente la nascita di Attivecomeprima nel 1973 all’Istituto Tumori di Milano, sia stata un ingrediente molto significativo di quel profondo cambiamento culturale dell’oncologia italiana - e non solo - che ha rivoluzionato l’immaginario collettivo del cancro come rappresentazione di tutto il male possibile, l’innominabile, l’indicibile.

Era ancora il clima del ‘68. E nelle contestazioni che infiammavano la società era coinvolta anche la medicina che - come si diceva - curava la malattia e non il malato. Ma di fronte a una questione di vita o di morte, in assenza di cure mediche efficaci, l’unica possibilità di cura era giocarsi il tutto e per tutto con una chirurgia più mutilante possibile. L’equazione cancro = morte spegneva il senso della vita. E quando va in crisi il significato dell’esistenza, va in crisi l’identità stessa della persona: io non so più chi sono, cosa devo fare e perché sono qui.

In quella manciata di anni però, sono accadute almeno tre cose di straordinaria importanza che hanno iniziato a trasformare quell’equazione fino all’attuale cancro = malattia curabile e guaribile. Umberto Veronesi, proprio nel 1973, diede avvio a uno studio che dimostró, su 700 donne, che, per tumori mammari entro i tre centimetri, la quadrantectomia - cioè

1973: nasce la speranza in oncologia!

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l’asportazione del solo quadrante ove risiede il tumore - seguita da radioterapia, aveva la stessa efficacia terapeutica dell’asportazione radicale di tutta la mammella, ma evitava la sofferenza fisica e psicologica dovute a un intervento ben più invasivo, sia sul corpo, sia sulla mente.

Questa però non fu solo una straordinaria novità tecnica che riuscì a smontare le granitiche convinzioni dei maggiori chirurghi dell’epoca. Veronesi, implicitamente, stava anche dicendo alle donne qualcosa di nuovo: che la vita dopo il cancro poteva essere ancora tutta da vivere.

Non solo ma, sempre all’Istituto Tumori in quello stesso 1973, Gianni Bonadonna disegnò e condusse il primo studio clinico che dimostró l’efficacia della chemioterapia (il famoso CMF, tuttora ampiamente in uso) dopo chirurgia della mammella, nel migliorare ulteriormente l’efficacia della cura. Anche gli oncologi medici potevano così disporre di una terapia che, insieme a una chirurgia più rispettosa dell’integrità fisica e della qualità di vita della donna, poteva infondere nuove speranze ai malati e iniziare a cambiare davvero la storia clinica del cancro.

Ma a tutto ciò mancava ancora qualcosa di fondamentale. Occorreva trovare il modo di risanare quella ferita che il cancro provocava nella mente, spesso ben più profonda di quella che il bisturi lasciava sul corpo. Occorreva aiutare l’individuo a vivere la malattia non più come una ineluttabile condanna, ma come un evento trasformativo al quale poter reagire in modo vitale senza farsi sopraffare dagli eventi. Occorreva trovare il coraggio di guardare in faccia

la paura per poter rinnovare il senso della vita, ricomporre quell’identità personale che il cancro mandava in pezzi e accendere la capacità di speranza.

E fu così che in quel lontano 1973 Ada Burrone seppe trasformare tutto ciò in una metodologia originale di lavoro, nata all’interno dello stesso mondo medico e in stretta alleanza con esso. Dopo aver vissuto le ferite del cancro sulla propria pelle, infatti, col sostegno e l’incoraggiamento di quei medici illuminati dell’Istituto Tumori e insieme a quel gigante di cultura psicanalitica e di umanità che fu Franco Fornari - fondò Attivecomeprima, la prima Associazione nata in Italia per aiutare le donne che vivono l’esperienza del cancro e i loro famigliari a dare una nuova prospettiva alla propria vita e a contribuire attivamente, come lo stesso Veronesi si trovò a dire in anni recenti a proposito del lavoro dell’Associazione, al buon esito delle stesse terapie del cancro.

Questa è Attivecomeprima! E se può continuare a offrire i suoi servizi gratuitamente da 45 anni, ciò è dovuto alla passione e all’impegno delle persone che vi hanno lavorato e che vi lavorano e alla generosità vostra e di tutti coloro che, sostenendo il suo lavoro, rendono possibile tutto ciò.

A voi, cari Amici, giunga il grazie più riconoscente dell’Associazione e gli auguri più cari di un Natale felice!

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Periodico trimestrale

Anno XXXIV - N° 2 Dicembre 2017

La rivista è posta sotto la tutela delle leggi della stampa. Gli articoli pubblicati impegnano esclusivamente la responsabilità degli autori. La riproduzione scritta dei lavori pubblicati è permessa solo dietro autorizzazione scritta della Direzione

Direttore responsabile: Alberto Ricciuti

Vice Direttore: Serena Ali

Redattore: Caterina Ammassari

Hanno collaborato: Serena Ali, Caterina Ammassari, Angela Angarano, Giovanna Cicogna, Stefano Gastaldi, Jasmin Avitabile Leva, Manuela Provantini, Alberto Ricciuti, Sandro Spinsanti, Anna Villarini.

Proprietà della testata: © Ass. Attivecomeprima Onlus

Direzione, Redazione, Amministrazione: Attivecomeprima Onlus 20158 Milano Via Livigno, 3 Tel. 026889647 Fax 026887898 Email: [email protected] www.attive.org

Progetto grafico e impaginazione: Alessandro Petrini

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Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 39 del 28/1/1984

L’Associazione è iscritta:

- All’Albo delle Associazioni, Movimenti e Organizzazioni delle donne della Regione Lombardia

- Al Registro dell’Associazionismo della Provincia di Milano

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- All’Albo delle Associazioni della Zona 9 del Comune di Milano

- Alla Società Italiana di Psiconcologia (S.I.P.O.)

- Alla F.A.V.O. (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia)

Attivecomeprima aderisce al movimento di opinione “Europa Donna Italia”

Editoriale 2

AVVENTURA Un’avventura normale Giovanna Cicogna 4

IL LINGUAGGIO DEGLI AFFETTI Verità o conoscenza? Stefano Gastaldi 7

VIVERE IL CAMBIAMENTO Pet Therapy per pazienti oncologici Caterina Ammassari 10

CAREGIVER Iris Versus Spritz Manuela Provantini 15

PARLAMI DI TE Dopo Jasmin Avitabile Leva 19

LA MEDICINA CHE CI ASPETTIAMO Storie di un medico empatico Sandro Spinsanti 21

PROFILI Simona Atzori Caterina Ammassari 23

NUTRIRE IL BENESSERE Buoni propositi per l’Anno Nuovo Anna Villarini 26 Le ricette di Angela Angela Angarano 28

Letti e piaciuti a cura di Serena Ali 30

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Sommario

Fondatrice:

Ada Burrone.

Consiglio Direttivo:

Alberto Ricciuti, Arianna Leccese, Caterina Ammassari, Maria Lisa Di Latte, Claudio Fochi, Giovannacarla Rolando, Bernardina Stefanon.

Collegio dei Sindaci:

Flavio Brenna, Mauro Bracco, Luciana Dolci, Giusi Lamicela, Carlo Vitali.

Comitato Scientifico:

Stefano Gastaldi, Manuela Provantini, Serena Ali, Bettina Ballardini, Fabio Baticci, Franco Berrino, Nicoletta Buchal, Chiara Caldi, Massimo Callegari, Salvo Catania, Francesco Della Beffa, Roberto Labianca, Marina Negri, Alberto Ricciuti, Giorgio Secreto, Sandro Spinsanti, Paolo Veronesi, Claudio Verusio, Livia Visai.

Per tradizione, Attivecomeprima Onlus offre la Presidenza Onoraria al Sindaco di Milano.

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Avventura

Un’avventura normaleStoria di un’avventura in solitaria.

Quando sono partita non avevo alcuna idea in cosa consistesse la mia avventura.Non era una prestazione sportiva, dato che il percor-so era molto semplice e la pedalata assistita era un grande aiuto.Non un atto di particolare coraggio, perché era sì un viaggio in solitaria, ma in Italia e con sempre la possi-bilità di fermarsi e tornare indietro.La mia avventura è stata, l’ho capito cammin facen-do, sperimentare, di volta in volta, il libero fluire di un sentimento di fiducia nella vita.Sono partita da Milano con un itinerario approssima-tivo, programmato in una notte, spulciando in Google Map le possibili tappe giornaliere e lasciando al corso di ogni giornata la possibilità di plasmare gli obiettivi da raggiungere.Ogni giorno gli incontri e la mia apertura al mondo ge-neravano la direzione e la maggiore o minore difficoltà del percorso.Ed è così che il 1 luglio 2017 sono partita, a un mese dalla fine della chemio.Per prima cosa, ho scoperto che un sacco di amici volevano aver notizie.Ci si sente molto amati se si sceglie di far un viaggio “senza sicurezze apparenti”!Allora mi sono inventata un piccolo blog personale nel quale informare chi desiderava sapere dell’avventura del giorno.Mi sono resa conto che tanti stavano viaggiando con me e molte volte erano molto più preoccupati della sottoscritta.Allo stesso tempo, però, non ero mai sola e le piccole meravigliose scoperte che viaggiare in bicicletta regala diventavano l’avventura di tutti.I paesaggi, i colori e i profumi lentamente si susse-

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Un’avventura normale

guivano senza soluzione di continuità: i piccoli borghi, ognuno con qualcosa di particolare, le campagne dalla loro sottile e densa energia, piena di natura, e il mare, il cielo, il sole la cui luminosità aprivano il cuore e i polmoni...Viaggiare in bicicletta rende tutto viaggio.Pian piano, anche la mia presenza diventava parte di quel paesaggio e non ero io che guardavo, ma io che mi immergevo nella delicata atmosfera che mi circon-dava.E poi c’erano le meraviglie e gli imprevisti.L’arcobaleno e il temporale con cui giocare a fare gli spruzzi come quando ero bambina.Bello era affidarsi a un itinerario abbozzato come quello suggerito da Google a piedi e scoprire di volta in volta che la strada si poteva trasformare in uno sterra-to o in un sentiero... Bello percepire il leggero brivido nella schiena che fa perdere la sicurezza di strade asfaltate e luoghi abitati.Intuivo che se non rischiavo un po’ e non abbandona-vo qualche certezza, il viaggio non poteva proseguire.Tutto diventava occasione di stupore.La Lombardia mi ha sorpreso nella sconosciuta cam-pagna, dove ci si può sentir quasi soli, lontano dalla città.L’Emilia Romagna, tutta implacabilmente in linea, sen-za deviare di un metro, mi ha offerto la vista di tutte le piazze del Duomo della regione.Le Marche e l’Abruzzo erano una infinita distesa senza continuità di spiagge, mare e cielo, tutti abbacinanti nei loro colori puri.E infine la Puglia si è offerta come meravigliosa terra, tutta intensamente puntinata di contorti ulivi secolari e minuscole cittadine, ognuna ricca di storici gioielli architettonici a sorpresa.

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Gli incontri...Viaggiare in bicicletta in solitaria obbliga a incontrare e a fidarsi.La bici e il bagaglio erano un corpo unico e, se desi-deravo visitare qualche interno oppure semplicemente fermarmi per andare alla toilette, dovevo trovare degli alleati per fargli dare un’occhiata.Ed è così che ho imparato a chiedere agli sconosciuti che incontravo sul mio cammino di sorvegliare il mio agile mezzo.Questa è stata una lezione di fiducia che la mia bici mi ha regalato.Viaggiare in e-bike obbliga a chiedere.La pedalata assistita è un grande aiuto, ma il mez-zo necessita di essere ricaricato almeno una volta, nell’arco della giornata, per fare le tappe ipotizzate.Bisognava quindi chiedere di ricaricarla e affidarsi alla generosità di chi incontravo.Al principio chiedevo solo ai punti di ristoro dove mi fermavo, ma poi, non trovandoli sempre aperti, ho sco-perto che potevo chiedere anche senza dare qualcosa in cambio, come quando ho chiesto a una biblioteca o “alla spiaggia solidale”.Tutto questo mi ha obbligato a credere nella fiducia e generosità di coloro nei quali mi imbattevo...Così ho pedalato per 1381 km senza accorgermene e sono arrivata a Porto Badisco in soli 15 giorni, com-presi 2 giorni di sosta.Nel mio viaggio sono stata accompagnata da angeli: la generosità che ho incontrato lungo tutta l’ltalia è stata un balsamo per il mio cuore e la nostra terra, specie lontano dalle grandi direttrici del traffico, una delicata e potente meraviglia.

Un’avventura normale

Giovanna Cicogna.Amica di Attivecomeprima.

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Ho passato una gran parte della mia vita a stupirmi e a gioire di ciò che, di volta in volta, ho vissuto come una nuova conoscenza; ho avuto anche modo di riflettere e interrogarmi sul rapporto tra la conoscenza e quel che definiamo come “verità”.

Nel mio lavoro, questo rapporto è sempre critico e in via di definizione. Da un lato, alla mia età, gli studi e le esperienze che si sono accumulati tenderebbero a rendermi “esperto”, cioè in possesso di conoscenze varie e complesse che funzionano come una sorta di verità che spiega le ragioni dei comportamenti, della sofferenza e delle difficoltà che le persone mi raccontano. D’altra parte, proprio nel lavoro concreto con le persone o le organizzazioni si rende evidente che questa “verità” che mi abita è una luce e una trappola.

Una luce perché mi aiuta a comprendere in fretta e con un certo grado di profondità ciò che ho davanti, ma una trappola perché questa comprensione può limitarmi, costringermi in qualche modo a innamorarmi delle mie idee e a non ricercare davvero altro. Il rapporto infinito tra verità e fraintendimento è parte del nostro funzionamento intellettivo e può essere facilitato od ostacolato dai nostri pensieri e, ancor di più, dalle nostre emozioni. C’è infatti un rapporto stretto tra pensiero ed emozioni, nonché un’influenza reciproca.

Non oso neppure provare a entrare nel merito di questioni difficili e complicate come la definizione di “Verità”, ma mi limito a osservare che per

ognuno di noi il saper riconoscere la differenza tra vero o falso rappresenta un passo importante nella conoscenza e nella crescita personale.

Nella maggior parte delle questioni ordinarie della vita non è necessario porsi alcun problema, perché tutti sappiamo decidere quale strada è quella giusta. Ma non funziona sempre così. Faccio un esempio banale: un genitore vede un figlio che dà una botta all’altro e lo sgrida, perché non ci si deve picchiare. Se, però, approfondisce le ragioni di questo comportamento può scoprire che l’altro figlio, quello “innocente”, ha passato mezz’ora a provocare il primo, fino a esasperarlo. A questo punto il genitore sgrida anche quest’ultimo figlio, che ha i suoi torti. Approfondendo ancora, il genitore scopre che il “provocatore” che ha appena sgridato era arrabbiato col fratello perché lo aveva escluso e canzonato di fronte agli amici, e così via. È una storia infinita che succede tutti i giorni nelle famiglie con bambini e la “verità” non è mai stabile, definita una volta per tutte. Molti genitori risolvono la questione invitando i fratelli a non farsi dispetti e a risolvere con affetto e sportività le loro piccole contese, lasciando perdere in molti casi il discorso su chi ha ragione o torto. Questo comportamento è interessante perché utilizza una visione di livello superiore: non conta sempre decidere chi ha ragione o torto, ma saper risolvere i conflitti senza esagerare. Tale forma di “verità”, insegnata ai figli, mette in secondo piano i sentimenti di offesa personale, lascia uno spazio per non sentirsi male, per smettere di litigare,

Verità o conoscenza?

Il linguaggio degli affetti

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per parlarsi, chiarirsi, lasciar perdere, scherzare, utilizzare insomma mille strumenti per non incarognirsi su inutili bracci di ferro. Una “verità” di livello superiore ci aiuta a lasciare perdere altre verità che ci inchiodano al conflitto e al malessere.

La conoscenza si muove così, cresce attraverso tante “verità” che ci mettono in una dimensione più ampia del pensiero, in un livello superiore a quello in cui abitavamo prima. La visuale che abbiamo ora è diversa: non nega nulla di quel che apparteneva al prevedente livello, ma è più ampia, ci dà strumenti nuovi e più potenti, ci fa comprendere

meglio quel che accade e migliora molto la nostra capacità strategica.

C’è un detto a proposito del fatto che il guardare gli alberi da vicino non ci consente di vedere la foresta. Certo, gli alberi compongono la foresta e da vicino possiamo vederne i dettagli, ma la foresta la vediamo davvero solo se ci eleviamo al di sopra di essa. Come facevano gli antichi cartografi a disegnare le mappe geografiche, visto che non potevano disporre di alcun mezzo di visione aerea? Misuravano e immaginavano, possedevano conoscenze geometriche e avevano

Verità o conoscenza?

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Stefano Gastaldi.Psicologo e psicoterapeuta. Conduce in Associazione il gruppo “La terapia degli affetti”.

Verità o conoscenza?

la capacità di costruire un’immagine del territorio come se lo vedessero dall’alto. Le loro mappe possono apparire oggi approssimative e con errori, ma il loro sforzo fu immenso e il risultato fotografò progressivamente la topografia del pianeta.

Sapersi elevare ci dà quindi una mappa migliore. Ma sapersi elevare è anche un modo per risolvere le contraddizioni: “Mi hanno offerto un nuovo lavoro e non so cosa fare: lo stipendio è migliore, ma l’ambiente è più difficile, è più vicino a casa ma devo usare l’auto perché è mal collegato con i mezzi pubblici... sono davvero indecisa”. Un dilemma come questo può richiedere molto tempo e un sacco di energie per arrivare a una decisione conclusiva, perché contiene un bene e un male che si bilanciano. Per affrontarlo conviene allargare il campo e inoltre valutare la scelta più dall’alto.

Si devono introdurre altri criteri di valutazione (ad esempio: il nuovo lavoro offre più prospettive di crescita, o più garanzie di stabilità, o possibilità creative, o capi migliori, o...), ma anche valutare, come se si fosse sulla cima della collina, il nuovo panorama con un colpo d’occhio, unendo insieme tutto il quadro e cercando di immaginarsi nella nuova situazione per capire se ispira benessere o malessere. L’insieme delle nuove valutazioni creerà una mappa complessa, più ampia e potente rispetto al dilemma iniziale, e questa sarà la guida migliore per decidere.

La conoscenza che risolve le contraddizioni in una dimensione superiore ci rende davvero più liberi e un po’ più vicini a qualche forma più sofisticata della verità.

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Pet Therapy per pazienti oncologiciIntervista a Carola Viscardi e Cecilia Fochi

Vivere il cambiamento

Attivecomeprima ha avuto il piacere di incontrare Carola Viscardi e Cecilia Fochi, due giovani e appassionate Operatrici di interventi assistiti con animali, che ci hanno raccontato della loro esperienza e di “Un pet, un sorriso”, un progetto di pet therapy con pazienti oncologici adulti e bambini.

Care Carola e Cecilia, parlateci di voi e di come è nata la vostra collaborazione.

Carola: Io e Cecilia ci conosciamo da qualche anno perché facciamo parte della stessa équipe di lavoro presso la Cooperativa Sociale Onlus “Tempo per l’infanzia”. Non abbiamo, di fatto, ancora lavorato “gomito a gomito” ma molto presto inizieremo, con l’anno nuovo, una collaborazione, nell’ambito del progetto “Un pet, un sorriso” poiché mi occuperò della supervisione cinofila dei cani coinvolti nel progetto. Questo progetto è attivo da quattro anni, dapprima ho lavorato come coadiutrice con il cane, ora mi occupo della supervisione degli animali coinvolti insieme alla veterinaria comportamentalista. Si tratta di un intervento di sostegno ai malati oncologici e ai loro famigliari presso la struttura “Casa Amica” che offre accoglienza ai pazienti e alle loro ai caregiver durante i ricoveri ospedalieri.

Cecilia: Inoltre, noi e la cooperativa facciamo parte di un’Associazione di Promozione sociale più ampia che si chiama “We Animal” e che raggruppa tutti gli operatori ed i professionisti che lavorano

negli interventi assisti con animali (IAA), in tutta Italia. È un’Associazione che è nata in Veneto, regione dove sono state stabilite le linee guida in IAA e dove di fatto, è nata la pet therapy nel nostro paese.

Quale è stata la vostra formazione per poter lavorare con gli animali?

Carola: Sto studiando scienze dell’educazione, ma ho anche una laurea in campo farmaceutico. La mia passione è sempre stata quella degli animali, così ho studiato per diventare educatrice cinofila e poi ho deciso di intraprendere una scuola di formazione in pet therapy dove ho conosciuto Elena Sposito. Elena attualmente è la coordinatrice dell’area di interventi assistiti con animali della cooperativa sociale Onlus “Tempo per l’infanzia”, nonché da quest’anno vicepresidente di “We Animal”. Nel corso del tempo, abbiamo cominciato a proporre una nuova realtà, ci siamo messe in gioco e abbiamo voluto proporre un progetto di lavoro a favore di un’utenza di adolescenti a rischio di devianza sociale. È cominciato tutto così, per circa un anno, poi l’interesse verso questi nuovi interventi è cresciuto sempre di più e abbiamo ricevuto richieste di interventi di IAA da scuole elementari, asili, ecc. Man mano, la nostra realtà si è ingrandita e arricchita fino a diventare un’équipe completa multidisciplinare composta da educatori, psicoterapeuti, veterinari e coadiutori tutti specializzati in IAA. Negli anni, abbiamo lavorato sulla formazione di coadiutori dell’animale,

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Pet Therapy per pazienti oncologici

su molti progetti e su diverse tipologie di utenze; abbiamo potuto quindi acquisire tanta esperienza. Sono riconosciuta come coadiutrice del cane, gatto e coniglio in IAA e sto studiando per una seconda laurea in Scienze dell’educazione per diventare in futuro responsabile di progetto.

Cecilia: Ho fatto un percorso di laurea che si chiama “Allevamento e benessere animale” che è una interfacoltà di veterinaria e poi, dopo la laurea, ho intrapreso un Master sugli interventi assistiti con gli animali. Era necessario portare avanti un tirocinio pratico e così ho trovato “Tempo per l’infanzia” e ho conosciuto Carola ed Elena Sposito. Ovviamente, mi ha sempre accompagnato il mio cane Emma, anche in Università! Dopo la tesi, ho conseguito un Master, lavorando sul progetto con gli adolescenti con Elena in cooperativa e poi, dopo il tirocinio, sono stata presa all’interno dell’équipe. La definizione della mia professione è quindi “coadiutore dell’animale”.

Avete parlato di équipe... c’è anche un veterinario. Come mai?

Carola: Il veterinario esperto in IAA è una figura fondamentale prevista dalle linee guida in IAA quindi dalla normativa ed il suo ruolo è a due livelli: a livello progettuale nella ricerca dell’animale più adatto da inserire nei vari progetti e a livello pratico per il monitoraggio dello stress degli animali, durante e dopo la seduta. Noi coadiutori riportiamo a lui tutte le eventuali modifiche comportamentali dell’animale che abbiamo notato in seduta o dopo la seduta. Gli animali sono monitorati continuamente nel corso del progetto. È fondamentale vedere gli animali come compagni di lavoro e non come oggetti da usare. Sono soggetti che collaborano con noi ed è proprio grazie a loro che siamo in grado di raggiungere determinati obiettivi.

Il progetto con i pazienti oncologici “Un pet, un sorriso” vi ha fatto notare se ci sono delle differenze tra il lavoro condotto con i malati di cancro e quello con altri utenti? C’è qualche

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caratteristica particolare?

Secondo la mia opinione ed esperienza, con il paziente oncologico è necessario avere un approccio molto più delicato, ma alcuni obiettivi potrebbero essere comuni (dipende da ciò che si vuole raggiungere con una specifica tipologia di utenza). Il coadiutore e l’équipe devono avere un’attenzione più mirata all’emotività e alla delicatezza delle emozioni. È necessario andare a dare... amore. Sì, è quello. Amore, calore, attenzione ma stando particolarmente attenti a non fare sentire “diversi” questi pazienti. Dalla mia esperienza personale di malattia ho proprio compreso come il sentirsi “diversi” faccia davvero molto male. Con questa tipologia di utenza è necessaria una particolare delicatezza a livello relazionale, sostenendo la persona in questo momento di difficoltà fisica ed emotiva.

Carola, come tu hai accennato, hai avuto un’esperienza personale di malattia oncologica. Come ha influito sul tuo lavoro?

Sicuramente ha avuto un peso... chi più di me può capire nel profondo cosa deve sostenere emotivamente, fisicamente, e non solo, chi sta affrontando una terapia o un intervento molto invalidante? Per questo motivo, ho potuto, all’interno dell’équipe, essere un importante punto di riferimento, anche durante le supervisioni degli operatori, non soltanto dei cani, in questo senso anche per le mie colleghe di lavoro, aiutandole a comprendere meglio le problematiche e dove si poteva andare a intervenire a livello di obiettivi.

Quali sono questi obiettivi?

Abbiamo previsto questi obiettivi nel nostro progetto: stimolare emozioni positive per distogliere i pazienti, adulti e bambini, almeno momentaneamente e dove è possibile, da pensieri negativi e dalla pesantezza emotiva, per offrire momenti di gioia e spensieratezza, soprattutto dopo una giornata di terapie. Inoltre, è importante per noi lavorare anche sulla relazione tra gli utenti

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Pet Therapy per pazienti oncologici

stessi della struttura. “Casa Amica” è, infatti, composta da diverse stanze in cui dormono gli ospiti ma sono presenti anche delle sale, degli spazi comuni, dove si può mangiare, guardare la tv, parlare e fare conoscenza. Riteniamo che sia importante riuscire anche a stimolare una buona relazione di scambio tra gli ospiti della casa.

Volete parlarci dei vostri “colleghi di lavoro”?

Cecilia: Pensa che da piccola avevo il terrore dei cani... fa un po’ ridere, lo so. I miei genitori però mi

regalarono proprio un cane (invece che il gatto che desideravo...) e da lì è iniziata la mia passione per loro. Sono sempre vissuta con un cane quindi, fin da bambina. Poi è arrivata Emma. Lei è un Golden Retriver con la quale vivo e lavoro. Con lei ho seguito tutto il Master, e anche se ora ha solo tre anni, posso dire che è stata bravissima e molto paziente. È una cagnolina estremamente tranquilla e attenta: quando facciamo gli interventi insieme, basta che mi guardi e ci capiamo al volo. Non c’è bisogno neppure che le dica cosa fare. Abbiamo un rapporto per cui, nonostante non sia un

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cane proprio sicuro di sé, insieme sappiamo sempre cosa fare...

Tre aggettivi per descriverci Emma?

Affidabile, dolce e giocherellona. Riesce sempre a “tirare dentro tutti”!

Carola: Skin è un meticcio che ho trovato in canile, un incrocio tra un pastore tedesco e un Border Collie. Non ha una storia di allevamento quindi, l’ho adottata già adulta. È stato un colpo di fulmine... era molto diffidente all’inizio, non si lasciava accarezzare e avvicinare, ma quando mi ha vista è nato qualcosa... Quella scintilla mi ha fatto capire che era “lei”. È nata davvero un’amicizia profonda: Skin si è aperta completamente con me. Essendo una educatrice cinofila ha lavorato molto con lei e dopo anni è riuscita addirittura a diventare idonea per l’intervento assistito con gli animali. Posso dire che sia stata una mia grande conquista perché grazie al nostro rapporto, è diventata un cane nuovo. Skin è complice, dolcissima, affettuosa ed estremamente affidabile. L’episodio che più mi ha colpito è stato quello di una donna che mi ha raccontato del suo cane facendomi vedere le sue foto e di quanto le mancasse il suo contatto e la sua presenza (era lontana da casa da un mese ormai). Mi ha chiesto di tenersi accanto a lei sul divano Skin, di coccolarla e di abbracciarla e mi ha ringraziata per essere stata lì con lei ed aver condiviso questi momenti di affettività e di ricordi che tanto le mancavano.

Vi siete fatte un’idea di cosa accada dentro all’animale mentre lavora come pet therapist?

Carola: Me lo sono chiesta tante volte... Noi siamo molto attenti alla tutela del benessere animale. Se il cane sta bene il paziente lo sente. Il cane non deve essere un robot in seduta, deve stare bene ed essere

se stesso. Noi abbiamo delle accurate griglie di monitoraggio che rilevano proprio il benessere dell’animale in seduta, inoltre ci confrontiamo con la veterinaria coinvolta. Posso dirti che, ad esempio, vedo Skin rispondere molto positivamente alle attività, alcune volte addirittura anticipando il contatto con l’utente, ponendosi in modo propositivo. Questa non è meramente una ricerca di “coccole”. Lei si avvicina all’utente e propone un “con-tatto”. In particolare, con i pazienti oncologici, credo che lei colleghi questi utenti con la mia esperienza personale di malattia. Mentre mi stavo curando, infatti, Skin mi è sempre stata vicina. La mia idea è che, probabilmente, gli odori che avevo io addosso durante le terapie vengano riconosciuti dalla mia cagnolina e ciò fa in modo che lei sappia già come relazionarsi. È una profonda consapevolezza del cane legata alla mia esperienza.

Cecilia: Spesso mi chiedo se Emma sappia già dove stiamo andando quando la porto a lavorare. Quello che ho notato è che quando iniziamo la terapia, è molto reattiva, entra subito nel “mood da lavoro”. È incredibile quando, ad esempio, dobbiamo lavorare con i bambini: diventa particolarmente delicata, attenta, precisa.

Carola: È verissimo... quasi tutti gli animali che lavorano nella nostra équipe sanno già che stanno per iniziare la terapia quando li portiamo dai pazienti. A questo proposito, utilizziamo una pettorina o una bandana particolare prima di andare a lavorare, in modo tale che il cane sappia già che quando si indossa quell’oggetto specifico, può predisporsi emotivamente al suo compito.

Ultima domanda: quando verrete a collaborare con Attivecomeprima?

Carola: Ne saremmo davvero felici! Sarebbe bello!

Cecilia: Emma e io ne saremmo entusiaste!

Pet Therapy per pazienti oncologici

Caterina Ammassari.Redattore Rivista Attive.

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Caregiver

Iris Versus SpritzUna storia di videoterapia e long drink

Il nostro gruppo si chiama ufficialmente IRIS ma da noi seguaci è stato ribattezzato Spritz, perché siamo forti sostenitori dell’aperitivo come terapia complementare di massima efficacia.

Ci conosciamo da pochi mesi e insieme stiamo realizzando un progetto sperimentale, ideato dalla Dr.ssa Manuela Provantini e reso possibile dal nostro regista del cuore, Stefano Zoja: raccontarci attraverso dei video con lo scopo di aiutare noi stessi ad affrontare il percorso della malattia e l’ambizione di condividerlo con altri.

Cosa abbiamo in comune? Siamo caregiver: ognuno di noi ha una moglie, un marito, un fratello che necessita delle nostre cure e del nostro sostegno. Nelle nostre famiglie abita una patologia che quando arriva ci accompagna – se siamo fortunati – per lungo tempo: il cancro.

A noi spetta il difficile compito di vedere oltre la malattia, di riaccendere la speranza, di trovare un senso laddove sembra si sia perso, di far entrare la vita in una prospettiva di morte... Non è un lavoro facile e, in ogni caso, non lo abbiamo scelto. Anche noi siamo fragili e le energie ogni tanto ci abbandonano... per questo siamo qui, per raccontare la nostra storia.

NadiaQuando il cancro entra nella vita delle persone si prende tutto.Come un buco nero, che attira tutto verso il pro-prio centro nero, si mangia la vita, la felicità, le energie. Dopo la botta della diagnosi, si resta concentrati solo sulle cure e sul cruciale esito che ci attende.Quando il cancro ha colpito la nostra famiglia (nome e cognome: Linfoma non hodgkins a grandi cellule di tipo B) ho avuto l’impressione che la mia vita, solo la mia, si fosse fermata, fissata in un singolo, terribile istante: quello della diagnosi.Basta.Tutti gli altri continuavano a vivere, lavorare, ridere. Io ero dentro il buco nero. Ed ero molto, molto sola.La sensazione che ho provato soprattutto nei primi momenti è stata quella di essere diversa da tutti gli altri, di essere l’unica a vivere un dolore così grande, da non poter condividere con nessuno perché nessuno era in grado di capirlo.E poi siamo arrivati ad Attive, grazie a un caro amico.Per me Attive è stata una grande sorpresa. Ho avuto il privilegio di conoscere Ada, il suo sorriso gentile e la sua forza luminosa. Ho capito di non essere sola ma che come me c’erano tante, incre-dibilmente tantissime, persone che si trovavano vivere i miei stessi momenti di sconforto. C’erano gli ammalati, come mio marito, che trova-vano conforto nelle cure e nelle attività e c’erano

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Iris Versus Spritz

i caregiver. Il termine caregiver l’ho imparato ad Attive ed è stata una nuova definizione che ho aggiunto alla mia identità. Ad Attive ho incontrato persone che sorridevano: sì, incredibilmente sorridevano. Ho amato profon-damente il giardino dei i fiori gentili, che segna il confine tra la mia vita, i miei dispiaceri e lo spazio del gruppo dei caregiver.Partecipare al gruppo caregiver è condivisione e riconoscimento. Condividere ansie, rabbia e dolore e capire che non sono sola, né tantomeno l’unica. La sofferenza a volte è proporzionale alla presun-zione di essere unici. Il riconoscere che ci sono anche gli altri, volti che appaiono nella nebbia del dolore, riconduce il dolore ad una dimensione di normalità, meglio, di quotidianità. E questo perché non siamo soli, né i soli.Ho sempre trovato strano che qualcuno mi trovas-se interessante. Mi ha sorpreso sentire dire dai miei amici del gruppo caregiver “dai, racconta”. E così ho iniziato a raccontare, condividere, ascoltare e ho imparato nuovamente a sorridere e ridere di me, di noi tutti. L’occasione di raccontarmi attraverso le immagini mi ha messo di fronte a me stessa. Rivedermi e ascoltare la mia voce è stato quasi uno shock. Quindi questa sono IO? Ecco un altro pezzo della mia identità che mi fa sempre di più credere che io valga qualcosa.Tra di noi è nata un’amicizia profonda che va ben oltre l’esserci trovati uniti da Attive: ci siamo sim-patici e credo ci vogliamo un gran bene.Il giardinetto è sempre lì ad aspettarmi e ogni volta che lo attraverso la mia anima si riempie di bene. E mi ricordo di quando ero bambina e var-cavo la porta di scuola con la mia enorme cartella di cuoio arancione sulle spalle. E la maestra mi aspettava in classe: Nadia, dai, racconta...

Rita Partecipare al gruppo IRIS mi ha dato conforto.Inizialmente l’idea di trovarmi in un gruppo che in comune aveva il dolore per la malattia di un proprio caro mi ha spaventato. Poi, come per magia, ho cominciato ad attendere gli incontri programmati con gioia, la gioia di condividere e di

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Iris Versus Spritz

essere accolta da sguardi, carezze e sorrisi since-ri. Strano parlare di gioia in una situazione come questa ma per me è proprio così, è un raro momento di gioia che riesco a concedermi.L’angoscia del dolore e della paura viene attenuata dal ragionare in gruppo sulla necessità di VIVERE.Lo strumento della telecamera mi permette di vedere in modo più chiaro quello che sta succe-dendo a mio marito e a me, senza filtri senza sotterfugi, onestamente.Con l’aiuto di amici coraggiosi ci da la possibilità di dire a noi stessi e agli altri cosa ci sta succe-dendo, che cosa sentiamo veramente e qual è il peso della nostra angoscia.

LauraDopo una terapia individuale, la Dr.ssa Provantini mi ha proposto di far parte di questo progetto collettivo: ne ero molto attratta, ma avevo problemi di organizzazione familiare e temevo di non poter partecipare. Ne ho parlato con lei che, magi-camente, ha trovato una soluzione: durante gli incontri la mia bambina sta con Floriana, questa donna meravigliosa che ci accoglie con un sorriso appena varchiamo la soglia di Attive. Non la ringrazierò mai abbastanza per avermi dato questa possibilità!Sono partita piena di entusiasmo (per quanto si possa essere entusiasti in una situazione come la mia) e ho seguito attentamente il corso accelera-to di riprese video che Stefano ci ha impartito al primo incontro.Quanto a capacità di videomaker il risultato è piuttosto deludente, infatti o riprendo e sto muta (cercando di minimizzare l’effetto Parkinson tipico dei miei video) o metto la telecamera in inquadra-tura fissa e parlo. Le due cose insieme, mai.Però mi piace molto vedere come ciascuno di noi interpreti il tema che ci viene assegnato in modo diverso: è un confronto che mi arricchisce, che mi permette di capire altre prospettive e che mi mette in contatto intimo con quelli che ormai considero dei cari amici.Non sarà che i caregiver sono tutti speciali? Non lo so, ma di certo i miei amici lo sono. Quattro

donne e due uomini diversi per vissuto, età, pro-fessione, interessi, che forse non si sarebbero mai incontrati ma che grazie a questo progetto oggi condividono un’intimità profonda.Ognuno racconta di sé, gioiamo insieme se ci sono buone notizie e cerchiamo di dare un aspet-to meno brutto a quelle cattive, confortati dalla certezza di non essere soli. E poi ogni volta ci facciamo delle belle risate. Perché i caregiver, forse anche per smorzare la tensione, sono inclini al riso. E allo Spritz, natural-mente!

Antonio“Ci vuoi andare a un incontro tra caregiver ad Attive come prima?”.“Cos’è il caregiver?”.Ed eccomi catapultato in una situazione che non avrei mai immaginato, d’altra parte non avrei mai immaginato che a lei venisse un cancro, e chi ci pensava... ma lui, il mostro, non guarda in faccia a nessuno, colpisce chiunque, è democratico, è allevato democraticamente da ogni democrazia: scorie nucleari, fughe radioattive, inceneritori, discariche legali e illegali, polveri sottili, polveri d’amianto, cibi sofisticati, prodotti della terra ogm, acqua avvelenata, animali allevati chimicamente e potrei continuare per ore, ma anche no.È la disperazione il primo sentimento che mi ha attanagliato, poi la rabbia e l’odio verso tutti/e co-loro che sono responsabili dello sterminio silenzio-so. Ogni giorno i media ci propinano i vari allarmi e/o emergenze con cui il Ministero della Paura ha deciso di gestire l’esistente. L’allarme cancro non è mai stato evidenziato, anzi, ci raccontano che la ricerca sta dando ottimi risultati, che la mortalità da tumore è diminuita, che l’aspettativa di vita è aumentata... ma la verità è un’altra: negli anni ’70 si ammalava una persona su trenta, oggi siamo a una persona su tre e, come disse Umberto Ve-ronesi prima di morire, nel 2020 si ammalerà di cancro una persona su due...machetelodicoaffà!A Spritz ci sono arrivato più per curiosità che per necessità percepita, o forse per far piacere alla mia compagna. Mi diedero una videocamera e mi proposero di filmare ciò che volevo in base a un tema che sarebbe cambiato a ogni incontro.

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Ne avessi rispettato uno...La mia idiosincrasia nei confronti della tecnologia e, in particolare, di videocamere e fotocamere mi ha da subito procurato diffidenza verso la propo-sta, ma ci ho voluto provare, o meglio, ho portato a casa la videocamera e l’ho lasciata nella sua confezione per vari giorni. Poi, un’ispirazione, ma nulla c’entrava con il tema datoci, tuttavia sarebbe c’entrata con il tema suc-cessivo che ancora non conoscevo, in seguito ho proceduto così ed ho avuto fortuna: filmavo quello che mi sentivo e, incredibilmente, era in sintonia con un tema di un incontro precedente o succes-sivo. Non ho girato grandi filmati, in questo senso il mio contributo al progetto è stato minimo ma, chissà perché e chissà per come, sono ancora qui ad ascoltare storie simili alla mia ma allo stesso modo diversissime. Sono con persone con le quali è nato, una specie di affiatamento, nato sulla sfiga di avere un amore che rischia di lasciarci soli nel continuo della vita. Persone che sono in divenire degli amici/che che soffrono come me, che hanno paura, che hanno speranza. Che, nonostante si sono ritrovate in “un buco nero”, “ridono” convinte della “necessità di vivere”.Non ho scelto di fare il caregiver, è stata un’impo-sizione. Non ho scelto di piangere quando piove, è stata una necessità. Non ho scelto di subire supina-mente questa situazione e non lo farò. Ciò che ho scelto è stato il confronto, l’esser disposto a provare a dare qualcosa e al ricevere forse di più. Ciò che ho scelto in modo del tutto naturale è di aiutare in tutti i modi possibili e impossibili la mia compagna, e di andare ai resti con questo nuovo nemico.

FedericoIl cancro è un punto esclamativo!Ferma le lancette dell’orologio, ma non il tempoChe corre più veloce verso il limite che non conosciFin da quando sei nato, fino a quando sei nato.Oggi non importa quanto hai scelto del tuo viaggio

È quanto il viaggio ha scelto di teAncora una volta i tuoi nervi scossi dalla PauraAncora una volta il tuo cuore guarda la Strada Il Coraggio. Metti un passo davanti all’altro E guarda dal finestrinoGuardaTi dal finestrino.E, Santo Dio, continua a camminare!Senti il caldo del Sole così come senti il gelo della NeveÈ ancora il tuo momento.E... miracolo!Puoi scoprirti addirittura meno solo di quanto hai credutoFino ad ora.

AntonellaConosco Attive da sempre.Quando mio fratello mi ha detto di essersi amma-lato mi sono subito detta che da sola, senza un sostegno competente, non sarei stata in grado di farcela.Ci sono passata dal cancro, tanta, troppa fatica e tanta fortuna ho avuto... finora!Ho sempre detto che non sapevo se è più diffi-cile “stare” nella malattia o “stare” accanto a un familiare malato.Sono legatissima a mio fratello e alla sua famiglia.Ora ho provato: è stata durissima.Io che da sempre sono considerata una persona che “aiuta”, ho dovuto imparare, e il lavoro nel gruppo è stato fondamentale a “stare “ vicino a mio fratello senza attivarmi in cure e sostegno, senza poter mettere a disposizione la mia espe-rienza e le mie conoscenze.Giorgio se la vuole cavare da solo...Ho avuto grandi ansie e sofferenze, ho cercato ogni giorno un pezzo di cielo che mi confortasse...C’è una grande differenza fra me e le persone del gruppo: non mi confronto nella quotidianità della sofferenza. Mio fratello vive con la famiglia a 120 chilometri.

È stato ed è vitale poter condividere sorrisi, lacrime e Spritz...Ringrazio tutti di cuore!

Manuela Provantini.Psicologa e psicoterapeuta, assistente alle ricerche e alla progettazione delle attività.

Conduce in Associazione il gruppo dedicato ai caregiver.

Iris Versus Spritz

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Parlami di te

DopoAvete chiesto di parlare di me, prima, durante e dopo la malattia...

Ma io eliminerei il prima e il durante e passerei direttamente al dopo, perché è questo lo spazio di tempo che più caratterizza la mia esistenza adesso!

Adesso la mia vita è in mano a una barca che naviga a vista, tra tempeste, mareggiate e calma piatta, però perdere la bussola è sempre rischioso. Non solo nel fisico, ma anche, e soprattutto, nella psiche e nello spirito. Tutto cambia... la vita cambia e non ce n’è... Possono passare anni ma il pensiero di quel dì in cui tutto è cominciato, rimane! Rimane sempre!

Oggi, quanto è accaduto ha ancora il potere di farmi sentire a disagio.

Però il tumore mi ha reso più tenace, diversa, istintiva.

Ho imparato a volermi bene per ME e per le poche persone che meritano la mia felicità. Chi mi capisce, mi sta accanto. Chi mi vuole, mi cerca. Un po’ di sano egoismo, da tutta questa storia, ci vuole... diciamocelo!

Sono rimasta una persona attiva, grazie a voi e alle vostre splendide attività e ho ripreso a praticare i miei sport preferiti, come il nuoto e le lunghe camminate.

E poi la scoperta della lettura, la scrittura... La bellezza di un concerto seduta sulla poltrona

di velluto rosso!

La sofferenza personale è una grande scuola di vita che insegna a comprendere le sofferenze degli altri.

Aiutare il prossimo è un modo privilegiato per aiutare se stessi e dopo questa “bella” esperienza di vita - perché comunque così è, perché tutto serve per crescere e migliorarsi, anche con le cose “brutte” - mi sono dedicata molto al volontariato.

La ricerca di un nuovo equilibrio interiore ha modificato comunque la mia percezione del tempo. Ho capito che è un dono che non ricevi mai due volte, un tesoro che non possediamo ma siamo noi a decidere come viverlo e questo me lo ha insegnato Ada; nelle sue parole scorre tutta la dolcezza della vita e ogni volta che la guardo e ascolto la sua voce, non posso fare a meno di piangere!

Il tempo: cerco di non essere mai passiva di fronte al suo fluire, soprattutto mi concentro sull’eliminazione del superfluo, cose futili a cui attribuiamo un valore eccessivo.

Basta così poco per essere felici, ma “quel poco” bisogna sceglierlo bene. Il nostro addio è comunque compreso nel pacchetto, tanto vale prepararsi al meglio.

Siamo nati senza nulla e senza nulla andremo via! Ma felici!

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Jasmin Avitabile Leva.Amica di Attivecomeprima.

Dopo

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La medicina che ci aspettiamo

Storie di un medico empatico

I rapporti tra medici e pazienti sono cambiati rispetto al modello che ci aveva tramandato il passato: è esperienza quotidiana di ognuno che entri nel territorio di Cura. Chi la esercita non ha più un potere incondizionato; chi la riceve ha il diritto di far ascoltare la propria voce. Forse però non tutti sono consapevoli che anche tra i diversi professionisti della cura si sono instaurate relazioni diverse rispetto all’età in cui prevaleva una forte gerarchizzazione dei ruoli. Gli infermieri, per esempio, erano intesi come professione ausiliaria: dovevano essere sottomessi ai medici e prendevano ordini da loro. Non è più così. Un piccolo episodio, che ha avuto luogo in un pronto soccorso, può illustrare il cambiamento.

Cominciamo dall’antefatto. All’inizio c’è un infausto incidente automobilistico. Ne è vittima, alla fine del mese di maggio 2013, il dott. Pierangelo Piccioni. È primario di pronto soccorso nell’ospedale di Lodi. Le notizie le abbiamo di prima mano, perché ha scritto un libro, intitolato appunto “Pronto soccorso” (Mondadori, 2017). L’incidente è solo l’antefatto: il libro racconta la sua vita ospedaliera, due anni dopo l’evento, quando ha ripreso il ruolo di primario in un altro pronto soccorso. Dall’incidente ha avuto salva la vita, anche se ha dovuto intraprendere un percorso riabilitativo che lo ha messo in grado di riparare i danni subiti. Tutti, meno uno: il trauma gli ha procurato un’amnesia, che ha cancellato 12 anni della sua vita. Quando si è risvegliato dal coma, per lui era come se fosse il 25 ottobre 2001, il giorno in cui ha accompagnato

a scuola suo figlio che compiva otto anni. Gli anni che decorrono dal 2001 al 2013 sono evaporati, irrimediabilmente scomparsi. Anche questo aspetto autobiografico Pierangelo Piccioni l’ha raccontato in un libro: “Meno dodici. Perdere la memoria e riconquistarla: la mia lotta per ricostruire gli anni e la vita che ho dimenticato” (Mondadori, 2016).

Numerosi e vivaci sono gli episodi di quotidiana vita professionale che Piccioni riporta in Pronto soccorso, quando ha ripreso la sua attività di primario. A buon diritto, il libro reca come sottotitolo: “Storie di un medico empatico”. Tra le tante piccole-grandi vicende che hanno luogo in pronto soccorso, ne evidenziamo una che illustra il cambiamento di rapporti tra le professioni. La vicenda è, a prima vista, banale. Un giorno il dott. Piccioni è chiamato per analizzare un paziente che è caduto e ha un’amnesia transitoria. Per valutare la gravità del sintomo, il medico gli pone delle domande: il suo nome, la data di nascita, abitazione... Tra i dati che gli sottopone per conferma, ne inserisce deliberatamente uno falso, una piccola trappola per controllare il suo grado di attenzione e memoria. Quando sente menzionare il dato sbagliato, l’infermiera presente interviene, correggendolo. Il medico le dice di tacere e prosegue con le sue domande a scopo diagnostico. Più tardi, quando rincontra l’infermiera, il primario si accorge che è offesa. Le spiega allora quale era il suo intento con la domanda sbagliata; senza riuscire, tuttavia, a cancellare il risentimento.

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Storie di un medico empatico

“Neppure mio marito mi può ordinare di tacere”, gli dice l’infermiera. E prega il medico di non usare più con lei quel tono di comando perentorio.

Un piccolo aneddoto istruttivo. L’amnesia del medico ha coperto con un cono d’ombra ciò che nel frattempo è avvenuto nei 12 anni di buio nel mondo professionale infermieristico. Il medico si è rapportato con l’infermiera nel modo che era corrente prima del 2001.

Ignorava che in quel periodo di tempo scomparso dalla sua mente e dalla sua esperienza gli infermieri sono cambiati. I modi di relazionarsi del medico con l’infermiere, che erano normali e non suscitavano reazioni negative in quell’epoca, ora invece sono diventati intollerabili. Il buco nero dell’amnesia ha impedito al dott. Piccioni di registrare il cambiamento epocale avvenuto nella professione dell’infermiere. Per riprendere a esercitare la sua professione ha dovuto aggiornarsi sulle innovazioni scientifiche. E l’ha fatto in modo soddisfacente: ha avuto solo qualche piccola difficoltà prescrivendo farmaci che nel frattempo erano stati tolti dal prontuario ... Ma l’aggiornamento scientifico non basta: dovrà anche registrare i cambiamenti intervenuti nelle professioni di cura e nei ruoli rispettivi.

Anche i cittadini, tuttavia, possono e devono registrare il cambiamento e rapportarsi con gli infermieri in modo diverso. Più rispettoso della loro professionalità. Più avvertito anche delle modifiche intervenute nelle modalità di cura. Più consapevole che oggi potere e responsabilità non si organizzano in maniera piramidale: centrale è l’équipe, con competenze diverse che si integrano.

Anche il modello familistico tradizionale in medicina – il medico tecnico, distante e severo, come un padre; l’infermiera empatica, confortante e vicina,

come una madre – va decisamente messo in soffitta. Professionisti e cittadini siamo tutti ugualmente impegnati nell’inventare nuovi rapporti, efficienti e rispettosi.

Sandro Spinsanti.Psicologo, direttore Istituto Giano - Roma.

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Profili

Simona Atzori

Vuoi raccontarci la tua storia, il tuo percorso di vita e ciò che sei oggi, Simona?

Il momento in cui sono venuta al mondo è proprio stato il punto di partenza di tutto il mio percorso. La mia particolarità, la particolarità del mio cor-po, ha sicuramente segnato ciò che la mia vita è diventata dopo. La scelta della mia mamma e del mio papà di accogliermi come un grande dono e di donarmi poi, in un secondo momento, oltre il loro amore, anche la possibilità di essere, di fare e di realizzare tutti i miei sogni, ha fatto la differenza.Il mio percorso è davvero tutto partito da un sogno, anzi, da più sogni, nel mio caso quello di fare la ballerina e la pittrice; e questi sogni, grazie alla forza e alla determinazione mia e della mia fami-glia, che mi ha sempre aiutato in questo percorso, ora sono diventati la mia vita stessa. Io sono ciò che mi permette di comunicare e ciò in cui credo. Voglio esprimere la mia forza di volontà ma anche la bellezza di essere al mondo. Lo faccio così: danzando, dipingendo e ora anche scrivendo libri e raccontandomi nei miei incontri motivazionali.

L’arte non è solo il mezzo attraverso il quale tu ti esprimi. È la tua essenza. Che cosa provi quando pensi di aver trovato davvero il canale per esprimere in modo totalizzante tutti i tuoi talenti?

Questa è una bella domanda... l’arte è sicuramente il mezzo attraverso il quale mi esprimo ma è anche parte di me. Quando mi rendo conto, ad esempio, di essere riuscita, in qualche modo, ad essermi sintonizzata con la stessa energia del pubblico o delle persone che incontro, spesso si crea qual-

cosa di magico, quel qualcosa che mi permette di arrivare a un punto in cui comprendo che sto facendo ciò per cui che sono nata. Non importa quante braccia, gambe o capelli si abbiano, l’arte è ciò per cui sono nata. Quando accade quella magia è anche il momento in cui si azzerano tutte le fatiche e tutto il percorso compiuto, che a volte

Simona Atzori è una

persona che certamente

cambia la vita di chi la

incontra.

Il suo sorriso è avvolgente

proprio come un abbraccio.

Artista nell’anima,

motivatrice, scrittrice,

è sempre impegnatissima in

giro per l’Italia per portare

la sua testimonianza di

bellezza e vita.

L’abbiamo incontrata e ci ha

raccontato di sé.

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è stato difficile da percorrere. Ora non potrei più farne a meno...

Come risuonano in te parole come forza di vivere, resilienza, speranza?

Sono parole che fanno davvero parte di me, in qualche modo la forza di vivere è per me il seme della vita stessa. Penso che tutti quanti abbiamo quella forza dentro di noi: fin da bambini ci permet-te di camminare, nonostante le mille cadute. Non c’è mai un momento in cui pensiamo di arrenderci quando stiamo imparando a camminare... È una forza che è nostra e, certo, crescendo, magari si modifica perché qualcuno ci dice che non si può, che è impossibile, ma ciò non significa che quella forza venga a mancare. Bisogna solamente anda-re a riappropriarsene e riuscire a trasformarla, a farla, in qualche modo, camminare di fianco a noi quando sembra allontanarsi. Dobbiamo, in manie-ra un po’ più consapevole, andare a riprenderla e dirle che abbiamo bisogno di lei. Resilienza è una capacità, secondo me, un po’ innata... Signi-fica rendersi conto che è proprio al di là di quella difficoltà che devi andare, quando comprendi che quel momento della tua vita non è venuto per farti “pagare” nulla o perché sei sfortunato ma arriva a dirti che è proprio quel punto che devi superare. È come una stella che ci insegna il cammino e che ci tiene accesa la luce perché noi possiamo, anche nei momenti più bui, non perdere la strada.

Ada Burrone, la fondatrice della nostra Associazione diceva: “Non permettere alla tua mente di soffermarsi su tutto ciò che non hai,

Simona Atzori

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ma su quello che hai”. Come è per te questa affermazione?

Si sposa perfettamente con quello che io sono! È quello che dico nel libro che ho scritto “Cosa ti manca per essere felice”. Se i miei genitori si fossero fermati davanti al fatto che io non avessi le braccia, non avremmo mai scoperto che ho due piedi che fanno anche da mani e non solo! Con “ciò che abbiamo” andiamo alla scoperta di ciò che possiamo imparare, conoscere e diventare. È asso-lutamente vietato soffermarci su ciò che non c’è!

Il lavoro che Attivecomeprima svolge è quello di aiutare le persone che si trovano a dover affrontare un trauma devastante come il cancro, a non farsi “sbattere fuori” dalla propria vita e a ritrovare dentro di sé la Forza di Vivere. Hai un messaggio per i nostri lettori?

Questo tema mi colpisce molto perché la mia mamma è mancata quasi cinque anni fa, il giorno della viglia di Natale, proprio per un tumore. Il mio messaggio è di continuare a credere nella vita. La mia mamma mi ha insegnato in quei sei mesi di grande dolore (da lì ho scritto il mio secondo libro “Dopo di te”, perché volevo raccontare che a volte è attraverso un dolore , il più devastante, che si può scoprire cosa c’è dopo) che “voleva arrivare alla morte viva”. Questa frase mi è entrata dentro e mi permette oggi di vivere anche per lei. Quando danzo, quando dipingo, quando parlo e mi racconto e anche quando faccio fatica a fare tutto questo, lei è con me. Lei vive dentro di me. Vive in un altro modo, speciale, pieno di un amore che ha scoperto attraverso questa sofferenza. Questo è il mio mes-saggio, di una persona che ci è passata.

Progetti per il tuo brillante futuro?

Sempre tantissimi! L’anno prossimo uscirà il mio terzo libro, sempre dalla mia esperienza ma con un intento motivazionale, per raccontare attraverso ciò che la vita mi dona un percorso da fare insieme ad altre persone. Voglio mettermi in cammino, in modo molto concreto, attraverso questo libro, anche con un nuovo spettacolo, nuovi corsi motivazionali... Insomma, tanta voglia e tanta energia per continuare a fare ciò per cui sento di essere nata!

Caterina Ammassari.Redattore Rivista Attive.

Simona Atzori

COSA TI MANCA PER ESSERE FELICE?di Simona AtzoriOscar Mondadori

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Il calendario di Attive 2018

Il regalo perfetto per aiutarci e per sentire il profumo dei fiori del nostro giardino

per tutto l’anno.

Disponibile in Associazione con una offerta di almeno 8 euro

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Sta arrivando un nuovo anno e, come per tutti gli inizi d’anno, siamo pronti per fare i nostri buoni propositi. Il mio consiglio è di farne pochi ma cercare di mantenerli, perciò vorrei suggerirne qualcuno!

1) Facciamo un’attività fisica regolare. Da sempre l’uomo ha svolto un’attività fisica moderata con regolarità ma a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo, con la progressiva urbanizzazione e industrializzazione, il livello generale di attività fisica si è ridotto. Le automobili e i mezzi di trasporto pubblico hanno largamente sostituito le passeggiate a piedi o in bicicletta. Il risultato di tutto questo è che siamo diventati sedentari e trascorriamo la maggior parte del tempo a guardare la televisione o davanti a un computer, a scapito del proprio

stato di salute e del peso (che, se ci muoviamo poco, aumenta!). Gli studi scientifici, condotti a partire dagli anni 90’, hanno continuamente mostrato che l’attività fisica è protettiva nei confronti di varie patologie, dai tumori alle malattie cardiovascolari e al diabete, tanto per citarne alcune. Inoltre, il movimento fa bene anche a chi una patologia l’avesse già avuta. Quindi, proposito numero uno: muoviamoci di più, mezz’oretta di passeggiata tutti i giorni, anche se piove, tanto un ombrello ce l’abbiamo tutti!

2) Cerchiamo di correggere qualche errore alimentare... Durante le feste natalizie mangeremo sicuramente troppo, riconosciamolo! Anche se i numeri possono spaventarci, è bene sapere che i cenoni, il

Nutrire il benessere

Buoni propositi per l’Anno Nuovo

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pranzo natalizio e lo sbocconcellare a casa di amici, ci faranno ingerire circa 7.000 calorie in eccesso che, tradotte in grasso corporeo, significano un aumento di circa un chilo di grasso! Ma ricordiamoci che: “Non s’ingrassa tanto da Natale a Capodanno, ma da Capodanno a Natale...”. Ovvero: oggi l’alimentazione è diventata troppo ricca di cibi raffinati, di grassi per lo più saturi, di zuccheri e di proteine e si è impoverita di fibre, vitamine, antiossidanti, minerali e tante altre utilissime sostanze così come ce le da la natura! Ci siamo allontanati dalle nostre tradizioni tanto che la dieta mediterranea è solo un lontano ricordo. Infatti, mangiamo pochi cereali integrali, pochi legumi, poca verdura (e quasi mai di stagione). Questi alimenti, per la loro ricchezza in fibre, permettono di mantenere l’apparto digerente in ottimo stato, di nutrire la flora batterica intestinale e di proteggere le nostre cellule dai famosi “radicali liberi”.

3) Per i dolci che prepariamo in casa, utilizziamo farine tipo 1 o tipo 2 e riduciamo al massimo lo zucchero che di solito utilizziamo. Anzi, meglio... proviamo a rifare le ricette di Angela che sono buonissime e che trovate nelle prossime pagine della rivista.

4) Mangiamo solo verdura e frutta di stagione.5) Riscopriamo piatti a base di legumi: humus di

ceci, polpette di lenticchie, focaccia di farina di ceci, ecc...

6) Mangiamo più pesce. Lo so che alcuni di voi mi dicono che “non piace l’odore” ma fa tanto bene. Proviamo a consumarlo due volte a settimana.

7) Togliamo le bevande zuccherate o dolcificate e le carni conservate. Se ce lo dice la ricerca di tutto il mondo, sarà importante ricordarci anche questa raccomandazione quando andiamo a fare spesa!

8) Variamo la nostra alimentazione a partire dalla colazione. Perché sempre cappuccino o bevanda a base di soia (come fa chi vuole essere un po’ più salutista)? Meglio alternare il latte alle bevande vegetali non zuccherate, al tè, all’orzo, alla spremuta di arance e, ovviamente, (anche tutti i giorni) a una tazzina di caffè... ma amaro!

Potrei andare avanti a lungo... ma intanto ognuno di noi scelga anche un solo proposito ma da rispettare almeno per un anno!

Buon 2018 a tutti!

Anna Villarini.Biologa specializzata in scienze dell’alimentazione.

Buoni propositi per l’Anno Nuovo

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BesciamellaIngredienti:100 g farina tipo 21 litro latte di soia1/2 cucchiaio sale marino1/2 cucchiaio noce moscata grattugiataq.b. olio extravergine di oliva

Preparazione:Mettete la farina in una pentola e fatela leggermente tostare, aggiungete l’olio fino ad ottenere una crema morbida. Aggiungete il latte di soia mescolando bene con una frusta per non formare grumi.Aggiungete il sale, la noce moscata e cuocete a fuoco moderato per 10 minuti.Preriscaldate il forno a 180° e infornate per 30 minuti.

LasagneFoto1) Ingredienti:1/2 kg lasagne di grano duro1 zucca delica piccola3 zucchine3 carote3 gambi di sedano2 finocchi1/2 cavolo cappuccio bianco1/2 kg di funghi porcini, cardoncelli o champignon2 porri1 cipollaq.b. olio extra vergine di oliva

Preparazione:Foto2) Bollite le strisce di lasagne per qualche minuto in acqua salata e raffreddatele in acqua fredda.Soffriggete la cipolla e i porri in una casseruola e poi aggiungete tutte le altre verdure tagliate a dadini.Sfumate con un po’ di brodo vegetale e aggiustate di sale, lasciate cuocere per 20 minuti.Preparate una teglia da forno, ungetela con un po’ d’olio e mettete uno strato di strisce di lasagne a copertura della teglia, coprite con il sugo vegetale e un mestolo di besciamella ben spalmato.Ripetete gli strati fino al colmo della teglia.Foto3) Preriscaldate il forno a 180° e cuocete per 30 minuti.Foto4) Impiattate le lasagne ben calde.

LasagneFoto GiòArt

Foto 3

Foto 2

Foto 1

Foto 4

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Pasta per lo strudel Ingredienti:250 g di farina semintegrale 0T2250 g semola di grano duro7 cucchiai di olio extravergine300 ml di succo di mela1 cucchiaio di aceto di riso o di mela1 pizzico di sale marino

RipienoFoto1) Ingredienti:1 kg di mele200 g di uvetta1 bustina di pinoli o noci (circa 100 g)La buccia di un limone1 pizzico di saleMezzo bicchiere di succo di mela1 pizzico di vaniglia in polvere1 cucchiaino di cannella

Preparazione:Sbucciate le mele, tagliatele a triangolini sottili, mettetele a cuocere con tutti gli ingredienti per circa 20 minuti e lasciate raffreddare.Impastate tutti gli ingredienti, lavorando la pasta per una decina di minuti. Quando è ben liscia, mettetela in un recipiente a riposare per almeno 1/2 ora coperta o avvolta in pellicola.Stendete con il mattarello la pasta e fate dei ministrudel o uno strudel (Foto2).Riempite l’impasto e cuocete in forno preriscaldato per 20 minuti a 180° (Foto3/4).

StrüdelFoto GiòArt

Angela Angarano. Cuoca nella ricerca Diana.

Foto 3

Foto 2

Foto 1

Foto 4

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STAVO SOFFRENDO MA MI HAI INTERROTTOdi Maurizio SbordoniSan Paolo Edizioni11,90 euro

Maurizio vive una vita tranquilla tra macchine di lusso,

vacanze in barca e casolari in campagna. Accanto a lui

la sua famiglia: un padre autoritario, una madre dolce

e comprensiva, due sorelle che non mancano di fargli

sapere che lo considerano un fallito, la nonna convinta

di curare i suoi mali con uno spruzzo di detergente per

superfici, la zia che parla solo per frasi fatte. La sua è

un’esistenza privilegiata, fino al giorno in cui viene a

sapere che la madre è affetta da un tumore maligno.

“Stavo soffrendo ma mi hai interrotto” è il romanzo

autobiografico di un dolore irripetibile e indicibile,

raccontato con un’ironia che sfiora l’umorismo. Dietro a

ogni riga, ogni parola, sussurrata o gridata, c’è il dolore

vero, un retrogusto acre e malinconico. E, dietro il sorriso

che l’autore prova a offrire al lettore, si trova l’animo di un

figlio, di ogni figlio.

Letti e piaciutia cura di Serena Ali

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A TU PER TU CON LA PAURAdi Krishnananda e AmanaFeltrinelli Edizioni9,50 euro

Questo libro descrive un viaggio: dalla co-dipendenza

verso l’amore e la meditazione. È un viaggio per uscire

dal dominio della paura, basato sulla personale esperienza

interiore degli autori e su quella acquisita durante i

loro seminari. La paura è onnipresente e, per quanto

cerchiamo di ignorarla, superarla, rimuoverla o negarla,

essa esercita un effetto potente e rimane una forza

nascosta che può causare ansia cronica, sabotare la nostra

creatività, renderci rigidi, sospettosi, ossessionati dalle

sicurezze, e può annullare i nostri sforzi di trovare l’amore.

Se invece facciamo amicizia con la paura, portandola

allo scoperto ed esplorandola, essa può diventare una

forza di trasformazione, aprendo in noi un abisso di

vulnerabilità e autoaccettazione. Partendo dalla teoria della

co-dipendenza e del bambino interiore, Krishnananda e

Amana suggeriscono dunque un metodo per uscire dalla

paura, guarendo da sensi di vergogna e colpa, con esercizi

di consapevolezza combinati al lavoro sull’energia e a

meditazioni guidate.

Letti e piaciutia cura di Serena Ali

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Letti e piaciutia cura di Serena Ali

L’ARTE DI ESSERE FRAGILICome Leopardi può salvarti la vitadi Alessandro D’AveniaMondadori16,15 euro

Esiste un metodo per la felicità duratura? Si può

imparare il faticoso mestiere di vivere giorno per

giorno in modo da farne addirittura un’arte della gioia

quotidiana? Sono domande comuni, ognuno se le sarà

poste decine di volte, senza trovare risposte. Eppure

la soluzione può raggiungerci, improvvisa, grazie a

qualcosa che ci accade, grazie a qualcuno. In queste

pagine Alessandro D’Avenia racconta il suo metodo per

la felicità e l’incontro decisivo che glielo ha rivelato:

quello con Giacomo Leopardi. Leopardi è spesso

frettolosamente liquidato come pessimista e sfortunato.

Fu invece un giovane uomo affamato di vita e di infinito,

capace di restare fedele alla propria vocazione poetica

e di lottare per affermarla, nonostante l’indifferenza e

perfino la derisione dei contemporanei. Nella sua vita e

nei suoi versi, D’Avenia trova lo spunto per rispondere

ai tanti e cruciali interrogativi che da molti anni si

sente rivolgere da ragazzi di ogni parte d’Italia, tutti

alla ricerca di se stessi e di un senso profondo del

vivere. Domande che sono poi le stesse dei personaggi

leopardiani: Saffo e il pastore errante, Nerina e Silvia,

Cristoforo Colombo e l’Islandese... Domande che non

hanno risposte semplici, ma che, come una bussola, se

non le tacitiamo possono orientare la nostra esistenza.

La sfida è lanciata, e ci riguarda tutti: Leopardi ha

trovato nella poesia la sua ragione di vita, e noi?

Qual è la passione in grado di farci sentire vivi in ogni

fase della nostra esistenza? Quale bellezza vogliamo

manifestare nel mondo, per poter dire alla fine: nulla è

andato sprecato?

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Grazie per il sostegno nel 2017

A T T I V E C O M E P R I M A O N L U S . D A L 1 9 7 3 A S O S T E G N O G L O B A L E D E L L E P E R S O N E C O L P I T E D A L C A N C R O E D E I L O R O F A M I G L I A R I

Acimit Associazione Italiana Endometriosi Banca Intesa Sanpaolo Banca Popolare di Milano Comune di Milano Farmindustria Fondazione Cariplo Generali Investments Europe Ipsen Roche UniCredit Group Per il contributo alla realizzazione dei progetti di Attivecomeprima a sostegno dei malati di cancro.

Gli organizzatori della “Prova di Gigante XI Trofeo Christian Valentini”, gli sponsor: Generali Investments Europe, Podranska Banka, Sideuro, Mab.Q, Dgpa&Co e tutte le persone che continuano, ancora una volta, in ricordo di Christian, ad aiutarci con la loro generosità a “far vincere la vita”.

Marco Schiavoni e la Compagnia teatrale “I Cesarioni” per averci dedicato lo spettacolo “Suore alla Riscossa”.

Musicamorfosi per averci regalato tre serate di concerti (11, 12 e 13 luglio scorso) nella magica atmosfera del Castello Sforzesco di Milano.

Mediafriends per averci aiutato a realizzare la raccolta fondi tramite sms soldiale sulle reti Mediaset.

Grazie a tutti coloro che, con

le loro offerte, ci consentono

di continuare a svolgere il

nostro lavoro gratuitamente.

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