Nei dialoghi socratici, virtù particolari vengono ... · contraddittorio (elenchus) costringe...

11
Nei dialoghi socratici, virtù particolari vengono sottoposte a un esame approfondito: la pietà nell'Eutifrone, la temperanza nel Carmide, il coraggio nel Lachete, e la giustizia nel I libro della Repubblica. Tutti questi dialoghi procedono seguendo un andamento simile. Socrate va in cerca di una definizione della virtù di volta in volta indagata, e gli altri personaggi del dialogo offrono in risposta delle definizioni. Il contraddittorio (elenchus) costringe ciascuno dei protagonisti ad ammettere l'inadeguatezza delle proprie definizioni. Socrate tuttavia non offre una definizione ultima, per cui ciascuno di questi dialoghi si conclude in modo aporetico. Tale schema generale può illustrarsi a partire dal I libro della Repubblica, dove la virtù che dev'essere definita è la giustizia. La proposta di Polemarco è che la giustizia consista nel fare del bene ai propri amici e recare danno ai propri nemici. Questa definizione però è respinta da Socrate sulla base del fatto che non è giusto danneggiare alcuno; la giustizia è una virtù, e non può essere l'esercizio di una virtù a rendere peggiore piuttosto che migliore qualcuno, amico o avversario che sia.

Transcript of Nei dialoghi socratici, virtù particolari vengono ... · contraddittorio (elenchus) costringe...

Nei dialoghi socratici, virtù particolari vengono sottoposte a un esameapprofondito: la pietà nell'Eutifrone, la temperanza nel Carmide, ilcoraggio nel Lachete, e la giustizia nel I libro della Repubblica. Tutti questi dialoghi procedono seguendo un andamento simile. Socrateva in cerca di una definizione della virtù di volta in volta indagata, e glialtri personaggi del dialogo offrono in risposta delle definizioni. Ilcontraddittorio (elenchus) costringe ciascuno dei protagonisti adammettere l'inadeguatezza delle proprie definizioni. Socrate tuttavia nonoffre una definizione ultima, per cui ciascuno di questi dialoghi siconclude in modo aporetico. Tale schema generale può illustrarsi a partire dal I libro della Repubblica,dove la virtù che dev'essere definita è la giustizia. La proposta diPolemarco è che la giustizia consista nel fare del bene ai propri amici erecare danno ai propri nemici. Questa definizione però è respinta daSocrate sulla base del fatto che non è giusto danneggiare alcuno; lagiustizia è una virtù, e non può essere l'esercizio di una virtù a renderepeggiore piuttosto che migliore qualcuno, amico o avversario che sia.

Un altro personaggio del dialogo, Trasimaco, domanda a questo punto sela giustizia sia davvero una virtù. Non può trattarsi di una virtù, egliargomenta, perchè possederla non è nell'interesse di alcuno.

Trasimaco viene infine condotto ad ammettere che l'uomo giusto avrà una vita migliore dell'uomo ingiusto, per cui la giustizia è nell'interesse della persona che la possiede. Eppure il dialogo si conclude con una posizione agnostica. La professionedi ignoranza non significa però sia privo di convinzioni circa la virtùmorale. In questi dialoghi Socrate e i suoi interlocutori spesso possonoconcordare sul fatto che azioni particolari valgano o non valgano comeesempi della virtù indagata. Inoltre Socrate, nel corso della discussione,difende un certo numero di tesi di fondo tanto su virtù particolari (peresempio, che non è mai giusto recar danno ad alcuno), quanto sulla virtùin generale (per esempio, che la virtù deve sempre essere un beneficio perchi la possiede).

Nel condurre l'indagine circa la natura di una certa virtù, la prassi normalmente esercitata da Socrate consiste nel paragonarla a un aperizia tecnica o aun mestiere, come la carpenteria, la navigazione o la medicina; oppure a una scienza, come l'aritmetica o la geometria. Tale paragone può sembrarebizzarro. Ma di fatto ci sono importanti somiglianze fra certe virtù e certe forme di competenza pratica. Tanto le une quanto le altre, a differenza dialtre proprietà o caratteristiche del genere umano, sono acquisite anziché innate. Le une come le altre sono considerate tratti peculiari degli esseriumani: ammiriamo le persone sia per le loro abilità tecniche, sia per le loro virtù. Entrambe poi, afferma Socrate, sono benefiche per coloro che lepossiedono: la nostra condizione è tanto migliore quante più sono le abilità che possediamo, e quanto più siamo virtuosi. Vi sono tuttavia degli aspetti importanti per cui abilità tecniche e virtù sono tra loro dissimili. Socrate ne è ben consapevole, e una delle ragioni del suocostante ricorso all'analogia in questione è l'intento di mettere in contrapposizione quei due ambiti, oltre che paragonarli. Una differenza consiste nelfatto che arti e scienze sono trasmesse mediante l'insegnamento impartito da esperti; mentre non sembra che ci siano esperti in grado di insegnare lavirtù (a ogni buon conto, almeno, non vi sono esperti autentici di ciò, sebbene alcuni sofisti si facciano falsamente passare per tali.Un'altra differenza consiste poi in questo. Supponiamo che qualcuno sbagli: possiamo domandare se lo ha fatto di proposito oppure no, e, nel caso larisposta sia affermativa, se ciò migliori o peggiori le cose. Se lo sbagliare è consistito nel commettere un errore nell'esercizio di un'arte – per esempiosuonare una nota stonata al flauto o mancare il bersagio nel tiro con l'arco – allora è meglio se ciò è stato fatto di proposito: vale a dire, qui un erroredeliberato non è un riflesso della perizia di chi lo abbia commesso. Ma le cose sembrano andare diversamente se lo sbaglio consiste in un difetto divirtù: sarebbe improbabile affermare che qualcuno che viola di proprosito i miei diritti è meno ingiusto di chi li viola involontariamente.Socrate nega recisamente che ci siano persone che peccano contro la virtù di proposito. Se un uomo sbaglia in questo senso, lo fa per ignoranza, perchènon conosce ciò che è meglio per lui. Tutti desideriamo fare bene ed essere felici: ed è per questa ragione che la gente desidera cose come la salute, ilbenessere, il potere e l'onore. Ma queste cose sono buone solamente se sappiamo come usarle bene: in mancanza di tale conoscenza, esse possonorecarci più danno che vantaggio. Questa conoscenza di come usare al meglio quel che uno possiede è la saggezza (phronesis), e questa è l'unica cosaveramente buona. La saggezza è il sapere di ciò che è buono e di ciò che è cattivo, ed è identica alla virtù – a tutte le virtù. La ragione per cui non ci sono insegnanti di virtù non è che la virtù non sia una conoscenza, bensì che essa è una conoscenza incredibilmente difficileda padroneggiare. Ciò dipende dal modo in cui le diverse virtù si intrecciano fra loro formando un'unità. Le azioni che rivelano coraggio sonoovviamente diverse dalle azioni che fanno mostra di temperanza; ma ciò che tutte quante esprimono è uno stato della'nima unico e indivisibile. Le virtù

sono parte di un sapere complessivo del bene e del male, il quale però può essere posseduto solamente come un che di intero. Nessuno, nemmenoSocrate, può vantare un simile sapere, ma solo sperimentarlo su di sè e nel confronto con gli altri in una continua ricerca.