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GREGOR VON REZZORI L a terra vista dal finestri- no dell’aereo che sta scendendo verso l’aero- porto di Bucarest è piatta, gri- gia e giallastra, disseminata di pozzanghere luccicanti come i frammenti di specchio nei pre- sepi. È questa la mia terra ma- dre? È per lei che porto nel cuo- re da quarant’anni la nostalgia che mi fa esclamare «Stupen- do, ma non è quello!» anche da- vanti al panorama più spettaco- lare? In realtà sono nato in Bu- covina, cinquanta chilometri più a nord, in un paesaggio ben diverso da questo, ancora più splendido di come appare sui dépliants turistici. Ma anche qui, a Bucarest e nelle pianure che la circonda- no, ho passato un periodo della mia vita importante quanto l’in- fanzia: gli anni, per così dire, della seconda nascita; quelli in cui ti liberi dalla sofferenza che ti fa prendere le parole alla let- tera. Proprio qui, a ventidue, ventitré anni, ho sperimentato che un amore finito non ti spez- za il cuore per sempre. Che puoi essere apprezzato come essere umano anche se non sei in grado di vincere il campiona- to dei pesi massimi o di guada- gnare gli allori del poeta preco- ce. Che sei capace di guada- gnarti la tua indipendenza con qualsiasi mestiere. Ho sempre pensato che la mia nostalgia si proiettasse non solo su quel pa- esaggio ma, in gran parte, an- che su quegli anni lontani. Ma ciò che scatenava quella sensa- zione quasi fisica di «fame» era ben altra perdita. Oggi la Romania mi accoglie con dei soldati infreddoliti che imbracciano il mitra mentre scendiamo la scaletta dell’ae- reo. La loro divisa ricorda solo lontanamente quella dei miei tempi. Ha l’aria più sovietica. Ma le facce dei ragazzi sono sempre quelle di bravi contadi- ni valachi. Se mi sparassero ad- dosso, lo farebbero solo perché prendono le parole alla lettera. L’edificio dell’aeroporto è una di quelle costruzioni che sem- brano decrepite anche se sono giovanissime. Prima di arriva- re allo sportello dove un poli- ziotto in divisa controlla i nostri documenti, mi si avvicina un donnone pesante e rotondo co- me una palla di cannone, tratte- nuta a malapena da un cinturo- ne sul suo cappotto militare. Sembra un’orchessa dall’aria arcigna. Mi chiede il passapor- to. Con un po’ di preoccupazio- ne le do il mio documento da apolide dicendole in rumeno: «Sono nato in questo paese. Ci ritorno per la prima volta dopo quarant’anni». L’orchessa spa- lanca le braccia: «Bine ai venit, feciorule!». «Benvenuto figlio- lo!». Sì, mi chiama «figliolo», anche se potrei essere suo pa- dre. È la terra madre in perso- na che ride, e mi stringe contro le curve generose, saldissime dentro il cappotto militare. Di colpo sento che in questa spe- cie di mappamondo si cela quel- lo che mi è mancato per tutti questi anni. Subito dopo, da buon cristia- no, provo un senso di colpa. Ec- co la città di Bucarest, evidente- mente non così deturpata dalla guerra, dal terremoto, dagli or- rori edilizi da non consentirmi di riconoscere i viali dove vaga- bondavo nelle mie ore vuote, le case degli amici, l’angolo della stradina dove abitavo, i teatri, i grandi ristoranti. Come mai non ricordavo che era una città cosparsa di villette liberty e art déco, stupefacenti per la varie- tà e la fantasia decorativa, una rassegna completa degli stili dei primi decenni del secolo? Come mai non mi ero reso con- to di quanto fossero monumen- tali e celebrativi quegli edifici pubblici, perfette espressioni della prima ondata di megalo- mania dei burocrati che aveva- no sostituito i regnanti? A quel- l’epoca disegnavo molto. Vole- vo studiare architettura. Avrei dovuto vedere tutto questo, avrebbe dovuto restare impres- so nella mia memoria. La mia attenzione era rivolta ad altre cose. Sì, lo ammetto: in quei giorni la mia aspirazione a diventare il successore di Adolf ALESSANDRA IADICICCO C erte perle, quando non restano sui fondali, cadono nel sottobosco. O nei sottintesi d’un romanzo. Gregor von Rezzori (1914-1998) lasciava cadere que- sta tra due parentesi: «(La castagna, sì, il frutto dell’albero che prosperava così rigo- glioso nella nostra provincia e che per me è rimasto da allora il più caro di tutti: forse perché i suoi ricci racchiudono quella che alla nostra fantasia infantile è sempre ap- parsa l’immagine più compiuta e più com- patta dell’autunno e quasi la sua perla; for- se perché la loro caduta tambureggiante annuncia ogni anno un commiato da qual- cosa che è più importante della stessa esta- te; e forse anche perché in questa prodiga pioggia di frutti, in questa effusione di for- me perfette abbandonate all’arbitrio di un mondo gelido e vuoto si nasconde qualcosa di terribilmente umano - non so dire, non posso; né è detto che si possa sempre espri- mere a parole la ragione per cui si ama»). Il romanzo - fitto di smaglianti sottintesi, malcelati in una selva di personaggi storie e storielle, «effusione di forme perfette» - è Un ermellino a Cernopol: estratto finalmen- te dall’abisso dell’oblio sprovveduto, scova- to nel sottobosco dell’editoria perduta do- v’era sprofondato da un quindicennio (scrit- to nel ’58, tradotto per Mondadori nel ’62, fu ristampato da Studio Tesi nell’89), risco- perto ora come un tesoro nascosto e riporta- to alla luce da Guanda nella preziosa tradu- zione di Gilberto Forti (pagg. 422, euro 22). Il narratore - è lo stesso autore? Chi lo sa. Lui sapeva che «tutti quelli che avevano qualcosa da dire non hanno mai parlato d’altro, in realtà, che di se stessi» - vi rac- conta la storia di un amore. Uno di quegli inesplicabili amori dell’infanzia che, nutriti di fantasticherie e di promesse, di adorazio- ne indiscussa e di castagne, restano «quan- to di più puro l’animo umano possa produr- re». È l’amore per un eroe, naturalmente. Un cavaliere d’altri tempi e d’un altro mon- do che, provenendo dal passato o da una fiaba, un giorno passò in sella da Cernopol e stregò al primo sguardo una squadra di bambini incantati. «Un giorno vedemmo un ussaro a cavallo, lo riconoscemmo e ce ne innamorammo», scrive il narratore de- clinando il suo racconto al «noi» che coin- volge nell’avventura infantile tutti i suoi fra- tellini. Veniva dal passato delle fiabe, il maggio- re Tildy. E ne riportava il contegno, gli indu- menti e gli ornamenti rapiti a un regno fata- to. Signorile indolenza. Eleganza sprezzan- te. Compostezza impassibile. E quell’unifor- me fiorita di alamari come «spighe di gra- no», quel destriero avvolto nel manto, la coda, la criniera come «in una cornice di pathos» che davano alla sua entrata in sce- na l’aureola di «una teatrale civetteria». Po- vero Tildy. Passava dritto così, attraversan- do Cernopol come un ermellino (del quale basti dire che - leggenda vuole - se si sporca l’immacolato mantello ci rimette, con la pel- liccia, anche la pelle), dentro il più sorpren- dente capolavoro di «Memoria e disincan- to»: per citare la formula magica con cui Andrea Landolfi, l’ultimo dei suoi tradutto- ri, coglie al volo la cifra di tutta l’opera di von Rezzori. Dentro il più voluttuoso, inso- lente, sorridente romanzo dei sogni sfatati e dei desideri inesauditi. Evocati senza trac- cia di rimpianto da uno scrittore estraneo al cattivo gusto dei patetismi, i sentimentali- smi, le amare nostalgie quanto - ricorda la vedova, Beatrice Monti della Corte - alla cat- tiva educazione dei malumori. Un ermelli- no a Cernopol è un incanto ma non è una favola. E il suo campione equestre è tra i personaggi più ridicoli che mai abbiano at- traversato - anchesì in groppa a un patetico destriero - la grande letteratura del Nove- cento. È vero che è un ex ufficiale dell’eser- cito austriaco: ma, suddito della monarchia giuseppina, soggiacque «al più sclerotico ordinamento burocratico di tutta la storia universale». È vero che indossa un’unifor- me uguale a quella che von Rezzori indossò prestando servizio nella cavalleria rume- na: ma presto Gregor, spogliatosi, con le armi, di ogni cittadinanza, si lanciò apolide nelle corse dei cavalli con lo smalto del gent- leman rider. È vero che incarna l’ideale viri- le di «un mondo tramontato appena ieri - Ma in maniera tanto più irrevocabile». Ed è, nelle steppe orientali di Cernopol, nella Teskovina dei mercenari e dei lanzichenec- chi, dei levantini e dei veri burloni, «l’unico giusto tra centomila reprobi», «il più irre- prensibile - e il più urtante - degli uomini»: il soldato armato d’onor cavalleresco che riscuote, per difenderlo, il più donchiosciot- tesco buonumore. «Lei sarà tentato di definire cinico questo atteggiamento, e io mi guarderò bene dal Venerdì 25 agosto 2006 NUOVA EDIZIONE ALBUM Cultura & Spettacoli Televisione Fiona May: «Non vedo l’ora di fare ballando con le stelle» A l vostro servizio, al soldo di Indro Montanelli, Gre- gor von Rezzori scrisse per quasi dieci anni sulle pagine di questo giornale. Quando avviò la collaborazione - con l’articolo che pubblichiamo in questa pagi- na, uscito esattamente alla vigilia del suo 65º compleanno - era or- mai lietamente approdato nelle lande del Chianti, nella magnifica villa di Donnini dove, accanto alla terza amatissima moglie, Beatri- ce Monti della Corte, visse per un trentennio la sua vivace terza età. La Toscana offrì così l’ultima di- mora allo spirito irrequieto che ancora oggi la discendenza dei ni- poti, lo stuolo degli amici, la schie- ra degli ammiratori ricorda affet- tuosamente come «Grisha». E lui fino alla fine non seppe darsi re- quie: interrompendo continua- mente il suo felice soggiorno ita- liano con lunghi viaggi all’estero: «In Grecia e a New York, a Vien- na, Monaco, Parigi», ricorda An- drea Landolfi, curatore del bel vo- lume monografico, biografico e corale Memoria e disincanto. At- traverso la vita e l’opera di Gre- gor von Rezzori (Quodlibet, pagg. 243, euro 18. Tra le voci, i germa- nisti Giorgio Cusatelli e Jacques Lajarrige, l’amico Claudio Magris e la signora Monti della Corte, i lettori letterati Zadie Smith, Ma- rio Specchio e Volker Schlö ndorff, l’editore Luigi Brioschi, che prima di Un ermellino a Cer- nopol ne ha pubblicato Tracce nel- la neve e Memorie di un antisemi- ta). Tutti posti bellissimi insomma, fino alla fine. «Stupendo, ma non è quello!», scriveva però sul Gior- nale. Il posto «suo», di fiero apoli- de, mai e poi mai sradicato, confi- na con il paesaggio descritto in questa pagina. Facendo centro su Bucarest, si poteva chiamare Ro- mania: come il regno cui la sua famiglia, austriaca, scelse di ap- partenere dopo la Grande guerra e il crollo dell’impero absburgico. Puntando su Czernowitz (la città di Paul Celan e di Erwin Chargaff, poi Cer- nauti ro- mena) è in- vece la Bukovina che, ricom- parsa oggi sulla map- pa dell’Eu- ropa, con la forza della sua nuova real- tà nulla ag- giunge né toglie alla forza magne- tica irraggiante dai libri di von Rezzori. Ma allora, che avesse il nome esotico di Metropolsk, capitale di Maghrebinia e centro gravitazio- nale delle sue Storie (le Maghrebi- nische Geschichten che nel ’53 diedero la fama al nostro autore), che fosse la sovietica Cernovcy, li- berata con l’indipendenza di Ucraina, oppure la fantastica Cer- nopol, dislocata nella romanze- sca Toskovina, comunque avreb- be conservato la sua solidità di «stabile colonia di nomadi». Con- fermato l’evanescente storicità di dominio fondato e affondato. Ex territorio dell’impero ottomano, ex ducato dell’impero austroun- garico, ex Regno di Romania e re- pubblica dell’ex Unione Sovieti- ca, terra via via di «daci, romani, gepidi, avari, pecenighi, cumani, ruteni, ungheresi, turchi, greci, polacchi, russi austriaci e tede- schi», è un posto troppo mutevole perché si possa ritrovarlo sulle cartine geografiche, troppo incan- tevole perché si potesse smettere di cercarlo. Eppure von Rezzori vi affonda- va radici che, salde come quelle di un apolide, tese tra memoria e disincanto, gli portavano «nel san- gue l’eredità intellettuale di tutto il mondo» e alimentavano la sua vena, la sua penna e la sua fertile fabulante fantasia. Estirparlo da lì non si sarebbe potuto. Si poteva tirare, tirare e tirare, strappare tutti i suoi fiori. Fino all’ultimo ne sarebbero spuntati di nuovi, a co- sto di fiorire per un giorno sulla carta del Giornale. [AIad] Il maggiore Tildy, un cavaliere di sogni e di desideri inesauditi Cinema Nelle sale «Thank you for smoking» sulla libertà d’arbitrio Fallimenti Vittorio Cecchi Gori dovrà risarcire anche l’ex fidanzata Valeria Marini IL PERSONAGGIO Memoria e disincanto di «Grisha» Un volume monografico sull’apolide che si sentiva un po’ italiano L’orchessa rumena mi accolse così: «Benvenuto figliolo» Un reportage nella Bucarest del 1979. Le villette liberty e la megalomania dei burocrati che ha cancellato i colori NUOVO CORSO Il colossale «Palazzo della Stampa» a Bucarest, esempio di puro stile staliniano. Una visione poco gradita a von Rezzori, di ritorno a Bucarest dopo tanti anni L’articolo di Gregor von Rezzori, che qui pubblichia- mo, uscì sul Giornale del 12 maggio 1979 con il titolo «Elegia per le occasioni perdute - Un’orchessa affet- tuosa». Con questo pezzo lo scrittore iniziava la colla- borazione al nostro quotidiano, collaborazione che sotto la direzione di Indro Montanelli durò per quasi dieci anni. Allora von Rezzori era già un po’ italiano, essendo residente in Toscana, nella bellissima villa di Donnini, con la terza moglie Beatrice Monti della Cor- te. Lì visse la sua serena e intensa terza età. Ritorna «Un ermellino a Cernopol», il romanzo del 1958 e il cui filo conduttore è la devozione di alcuni bambini per un eroe puro e senza macchia

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GREGOR VON REZZORI

L a terra vista dal finestri-no dell’aereo che stascendendo verso l’aero-

porto di Bucarest è piatta, gri-gia e giallastra, disseminata dipozzanghere luccicanti come iframmenti di specchio nei pre-sepi. È questa la mia terra ma-dre? È per lei che porto nel cuo-re da quarant’anni la nostalgiache mi fa esclamare «Stupen-do, ma non è quello!» anche da-vanti al panorama più spettaco-lare? In realtà sono nato in Bu-covina, cinquanta chilometripiù a nord, in un paesaggio bendiverso da questo, ancora piùsplendido di come appare suidépliants turistici.Ma anche qui, a Bucarest e

nelle pianure che la circonda-no, ho passato un periodo dellamia vita importante quanto l’in-fanzia: gli anni, per così dire,della seconda nascita; quelli incui ti liberi dalla sofferenza cheti fa prendere le parole alla let-tera. Proprio qui, a ventidue,ventitré anni, ho sperimentatoche un amore finito non ti spez-za il cuore per sempre. Chepuoi essere apprezzato comeessere umano anche se non seiin grado di vincere il campiona-to dei pesi massimi o di guada-gnare gli allori del poeta preco-ce. Che sei capace di guada-gnarti la tua indipendenza conqualsiasi mestiere. Ho semprepensato che la mia nostalgia siproiettasse non solo su quel pa-esaggio ma, in gran parte, an-che su quegli anni lontani. Maciò che scatenava quella sensa-zione quasi fisica di «fame» eraben altra perdita.Oggi la Romania mi accoglie

con dei soldati infreddoliti cheimbracciano il mitra mentrescendiamo la scaletta dell’ae-reo. La loro divisa ricorda sololontanamente quella dei mieitempi. Ha l’aria più sovietica.Ma le facce dei ragazzi sonosempre quelle di bravi contadi-ni valachi. Se mi sparassero ad-dosso, lo farebbero solo perchéprendono le parole alla lettera.L’edificio dell’aeroporto è unadi quelle costruzioni che sem-brano decrepite anche se sonogiovanissime. Prima di arriva-re allo sportello dove un poli-ziotto in divisa controlla i nostridocumenti, mi si avvicina undonnone pesante e rotondo co-me una palla di cannone, tratte-nuta a malapena da un cinturo-ne sul suo cappotto militare.Sembra un’orchessa dall’ariaarcigna. Mi chiede il passapor-to. Con un po’ di preoccupazio-

ne le do il mio documento daapolide dicendole in rumeno:«Sono nato in questo paese. Ciritorno per la prima volta dopoquarant’anni». L’orchessa spa-lanca le braccia: «Bine ai venit,feciorule!». «Benvenuto figlio-lo!». Sì, mi chiama «figliolo»,anche se potrei essere suo pa-dre. È la terra madre in perso-na che ride, e mi stringe controle curve generose, saldissimedentro il cappotto militare. Dicolpo sento che in questa spe-

cie di mappamondo si cela quel-lo che mi è mancato per tuttiquesti anni.Subito dopo, da buon cristia-

no, provo un senso di colpa. Ec-co la città di Bucarest, evidente-mente non così deturpata dallaguerra, dal terremoto, dagli or-rori edilizi da non consentirmidi riconoscere i viali dove vaga-bondavo nelle mie ore vuote, lecase degli amici, l’angolo dellastradina dove abitavo, i teatri, igrandi ristoranti. Come mai

non ricordavo che era una cittàcosparsa di villette liberty e artdéco, stupefacenti per la varie-tà e la fantasia decorativa, unarassegna completa degli stilidei primi decenni del secolo?Come mai non mi ero reso con-to di quanto fossero monumen-tali e celebrativi quegli edificipubblici, perfette espressionidella prima ondata di megalo-mania dei burocrati che aveva-no sostituito i regnanti? A quel-l’epoca disegnavo molto. Vole-vo studiare architettura. Avreidovuto vedere tutto questo,avrebbe dovuto restare impres-so nella mia memoria.La mia attenzione era rivolta

ad altre cose. Sì, lo ammetto: inquei giorni la mia aspirazione adiventare il successore di Adolf

ALESSANDRA IADICICCO

C erte perle, quando non restano suifondali, cadono nel sottobosco. O neisottintesi d’un romanzo. Gregor von

Rezzori (1914-1998) lasciava cadere que-sta tra due parentesi: «(La castagna, sì, ilfrutto dell’albero che prosperava così rigo-glioso nella nostra provincia e che perme èrimasto da allora il più caro di tutti: forseperché i suoi ricci racchiudono quella chealla nostra fantasia infantile è sempre ap-parsa l’immagine più compiuta e più com-patta dell’autunno e quasi la sua perla; for-se perché la loro caduta tambureggianteannuncia ogni anno un commiato da qual-cosa che è più importante della stessa esta-te; e forse anche perché in questa prodigapioggia di frutti, in questa effusione di for-me perfette abbandonate all’arbitrio di unmondo gelido e vuoto si nasconde qualcosadi terribilmente umano - non so dire, nonposso; né è detto che si possa sempre espri-mere a parole la ragione per cui si ama»).Il romanzo - fitto di smaglianti sottintesi,

malcelati in una selva di personaggi storiee storielle, «effusione di forme perfette» - èUnermellinoaCernopol: estratto finalmen-tedall’abisso dell’oblio sprovveduto, scova-to nel sottobosco dell’editoria perduta do-v’era sprofondatodaunquindicennio (scrit-to nel ’58, tradotto per Mondadori nel ’62,fu ristampato da Studio Tesi nell’89), risco-pertoora comeun tesoronascosto e riporta-to alla lucedaGuandanella preziosa tradu-zione di Gilberto Forti (pagg. 422, euro 22).Il narratore - è lo stesso autore? Chi lo sa.

Lui sapeva che «tutti quelli che avevanoqualcosa da dire non hanno mai parlatod’altro, in realtà, che di se stessi» - vi rac-conta la storia di un amore. Uno di quegliinesplicabili amori dell’infanzia che, nutritidi fantasticherie edi promesse, di adorazio-ne indiscussa edi castagne, restano«quan-todi più puro l’animoumanopossaprodur-re». È l’amore per un eroe, naturalmente.Un cavaliere d’altri tempi e d’un altromon-do che, provenendo dal passato o da unafiaba, un giorno passò in sella da Cernopole stregò al primo sguardo una squadra dibambini incantati. «Un giorno vedemmoun ussaro a cavallo, lo riconoscemmo e cene innamorammo», scrive il narratore de-clinando il suo racconto al «noi» che coin-volgenell’avventura infantile tutti i suoi fra-tellini.Veniva dal passato delle fiabe, il maggio-

reTildy.Ene riportava il contegno, gli indu-menti e gli ornamenti rapiti aun regno fata-to. Signorile indolenza. Eleganza sprezzan-te. Compostezza impassibile. Equell’unifor-me fiorita di alamari come «spighe di gra-no», quel destriero avvolto nel manto, lacoda, la criniera come «in una cornice dipathos» che davano alla sua entrata in sce-na l’aureola di «una teatrale civetteria». Po-veroTildy. Passavadritto così, attraversan-

do Cernopol come un ermellino (del qualebasti dire che - leggendavuole - se si sporcal’immacolatomantello ci rimette, con la pel-liccia, anche la pelle), dentro il più sorpren-dente capolavoro di «Memoria e disincan-to»: per citare la formula magica con cuiAndrea Landolfi, l’ultimo dei suoi tradutto-ri, coglie al volo la cifra di tutta l’opera divon Rezzori. Dentro il più voluttuoso, inso-lente, sorridente romanzo dei sogni sfatatie dei desideri inesauditi. Evocati senza trac-cia di rimpianto da uno scrittore estraneoal cattivogustodei patetismi, i sentimentali-smi, le amare nostalgie quanto - ricorda lavedova,BeatriceMonti dellaCorte -alla cat-tiva educazione dei malumori. Un ermelli-no a Cernopol è un incanto ma non è unafavola. E il suo campione equestre è tra ipersonaggi più ridicoli che mai abbiano at-traversato - anchesì in groppaa unpateticodestriero - la grande letteratura del Nove-cento. È vero che è un ex ufficiale dell’eser-

cito austriaco:ma, suddito dellamonarchiagiuseppina, soggiacque «al più scleroticoordinamento burocratico di tutta la storiauniversale». È vero che indossa un’unifor-meuguale a quella che vonRezzori indossòprestando servizio nella cavalleria rume-na: ma presto Gregor, spogliatosi, con learmi, di ogni cittadinanza, si lanciò apolidenelle corsedei cavalli con lo smalto delgent-lemanrider. È vero che incarna l’ideale viri-le di «un mondo tramontato appena ieri -Ma in maniera tanto più irrevocabile». Edè, nelle steppe orientali di Cernopol, nellaTeskovinadeimercenari edei lanzichenec-chi, dei levantini e dei veri burloni, «l’unicogiusto tra centomila reprobi», «il più irre-prensibile - e il più urtante - degli uomini»:il soldato armato d’onor cavalleresco cheriscuote, perdifenderlo, il più donchiosciot-tesco buonumore.«Lei sarà tentato di definire cinico questo

atteggiamento, e io mi guarderò bene dal

Venerdì25 agosto 2006

NUOVA EDIZIONE

ALBUMCultura&Spettacoli

TelevisioneFionaMay: «Nonvedo l’oradi fare ballando con le stelle»

A l vostro servizio, al soldodi Indro Montanelli, Gre-gor von Rezzori scrisse

per quasi dieci anni sulle paginedi questo giornale. Quando avviòla collaborazione - con l’articoloche pubblichiamo in questa pagi-na, uscito esattamente alla vigiliadel suo 65º compleanno - era or-mai lietamente approdato nellelande del Chianti, nella magnificavilla di Donnini dove, accanto allaterza amatissima moglie, Beatri-ce Monti della Corte, visse per untrentennio la sua vivace terza età.La Toscana offrì così l’ultima di-

mora allo spirito irrequieto cheancora oggi la discendenza dei ni-poti, lo stuolo degli amici, la schie-ra degli ammiratori ricorda affet-tuosamente come «Grisha». E luifino alla fine non seppe darsi re-quie: interrompendo continua-mente il suo felice soggiorno ita-liano con lunghi viaggi all’estero:«In Grecia e a New York, a Vien-na, Monaco, Parigi», ricorda An-drea Landolfi, curatore del bel vo-lume monografico, biografico ecorale Memoria e disincanto. At-traverso la vita e l’opera di Gre-gor von Rezzori (Quodlibet, pagg.243, euro 18. Tra le voci, i germa-nisti Giorgio Cusatelli e JacquesLajarrige, l’amico Claudio Magrise la signora Monti della Corte, ilettori letterati Zadie Smith, Ma-rio Specchio e Volker Schlöndorff, l’editore Luigi Brioschi,che prima di Un ermellino a Cer-nopol ne ha pubblicato Tracce nel-la neve eMemorie di un antisemi-ta).Tutti posti bellissimi insomma,

fino alla fine. «Stupendo, ma nonè quello!», scriveva però sul Gior-nale. Il posto «suo», di fiero apoli-de, mai e poi mai sradicato, confi-na con il paesaggio descritto inquesta pagina. Facendo centro suBucarest, si poteva chiamare Ro-mania: come il regno cui la suafamiglia, austriaca, scelse di ap-partenere dopo la Grande guerrae il crollo dell’impero absburgico.Puntando su Czernowitz (la cittàdi Paul Celan e di Erwin Chargaff,poi Cer-nauti ro-mena) è in-vece laBukovinache, ricom-parsa oggisulla map-pa dell’Eu-ropa, conla forzadella suanuova real-tà nulla ag-giunge né toglie alla forzamagne-tica irraggiante dai libri di vonRezzori.Ma allora, che avesse il nome

esotico di Metropolsk, capitale diMaghrebinia e centro gravitazio-nale delle sue Storie (leMaghrebi-nische Geschichten che nel ’53diedero la fama al nostro autore),che fosse la sovietica Cernovcy, li-berata con l’indipendenza diUcraina, oppure la fantastica Cer-nopol, dislocata nella romanze-sca Toskovina, comunque avreb-be conservato la sua solidità di«stabile colonia di nomadi». Con-fermato l’evanescente storicità didominio fondato e affondato. Exterritorio dell’impero ottomano,ex ducato dell’impero austroun-garico, ex Regno di Romania e re-pubblica dell’ex Unione Sovieti-ca, terra via via di «daci, romani,gepidi, avari, pecenighi, cumani,ruteni, ungheresi, turchi, greci,polacchi, russi austriaci e tede-schi», è un posto troppo mutevoleperché si possa ritrovarlo sullecartine geografiche, troppo incan-tevole perché si potesse smetteredi cercarlo.Eppure von Rezzori vi affonda-

va radici che, salde come quelledi un apolide, tese tra memoria edisincanto, gli portavano «nel san-gue l’eredità intellettuale di tuttoil mondo» e alimentavano la suavena, la sua penna e la sua fertilefabulante fantasia. Estirparlo dalì non si sarebbe potuto. Si potevatirare, tirare e tirare, strapparetutti i suoi fiori. Fino all’ultimo nesarebbero spuntati di nuovi, a co-sto di fiorire per un giorno sullacarta del Giornale.

[AIad]

IlmaggioreTildy, un cavalieredi sogni edi desideri inesauditi

CinemaNellesale«Thankyouforsmoking»sulla libertàd’arbitrio

FallimentiVittorioCecchiGori dovrà risarcireanchel’ex fidanzataValeriaMarini

IL PERSONAGGIO

Memoriae disincantodi «Grisha»

Un volumemonograficosull’apolideche si sentivaun po’ italiano

L’orchessarumenamiaccolsecosì:«Benvenuto figliolo»

UnreportagenellaBucarest del 1979.Le villette liberty e lamegalomaniadei burocrati chehacancellato i colori

NUOVO CORSOIl colossale

«Palazzodella Stampa»

a Bucarest,esempio di purostile staliniano.

Una visionepoco gradita

a von Rezzori,di ritorno

a Bucarestdopo tanti anni

L’articolo di Gregor von Rezzori, che qui pubblichia-mo, uscì sul Giornale del 12 maggio 1979 con il titolo«Elegia per le occasioni perdute - Un’orchessa affet-tuosa». Con questo pezzo lo scrittore iniziava la colla-borazione al nostro quotidiano, collaborazione che

sotto la direzione di Indro Montanelli durò per quasidieci anni. Allora von Rezzori era già un po’ italiano,essendo residente in Toscana, nella bellissima villa diDonnini, con la terzamoglie BeatriceMonti della Cor-te. Lì visse la sua serena e intensa terza età.

Ritorna «Un ermellino a Cernopol», il romanzodel 1958 e il cui filo conduttore è la devozione

di alcuni bambini per un eroe puro e senzamacchia