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A Valentina,l’Elemento che mancava

per riempire di magiail Cuore di questo libro.

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NAUROSEdizione stampabile A4

PARTE PRIMA

Proprietà letteraria riservata© Alessio De Matteo

Edizione speciale gratuita e stampabile per Internet© 2012 Alessio De Matteo

Introduzione di Alessio De Matteo

Impaginazione e grafica cura di Alessio De Matteo

Introduzionedell’autore

Il testo che segue tra poche pagine e che vi accingete a leggere è il mio primo romanzo, ma è il secondo che scrivo. È strano, dopo tanto tempo, riprendere in mano tutto il materiale accumulato in anni di lavoro, rileggere, correggere, riflettere e rendersi conto che, alla fin fine, l’idea originale – prima quella di fare una storia lunga ma autoconclusiva, e poi quella di la-sciare fuori il materiale, per così dire, extra, meno influente sulla trama principale, in vista di un possibile seguito – andrà a farsi benedire entro i prossimi dieci secondi. Le storie, insegna Leo Ortolani, autore di fumetti che personalmente ritengo perfetta sintesi di commedia e dramma insieme, hanno in fondo una vita propria: indipendente e allo stesso tempo dipendente dalla vita dell’autore, che è a volte creatore e, altre volte, semplice esecu-tore, scribacchino costretto dall’idea che lui stesso ha avuto a non fare altro che mettere nero su bianco tutto ciò che gli passa per la mente. Si dice che, nella vita, certe cose accadano e basta: che si tratti di rassegnazione, fatalismo, o mera accettazione del fatto compiuto, si può dire che qualcosa di molto simile accada anche nella vita degli autori, di chi inventa qualcosa. E così, quando l’insoddisfazione verso ciò che si è fatto in precedenza diventa sufficiente, si può persino avere l’esigenza di ritornare sui propri passi e ricominciare tutto da zero. O, ma-gari, da tre, supponendo che almeno tre cose nella vita – e nella storia scritta precedentemente – siano state fatte bene, come in-segnava la pellicola d’esordio di Massimo Troisi.

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Ed effettivamente almeno tre buone idee, anche a distan-za di anni, le ho ritrovate ancora, in Nauros. Così, dopo la giusta e doverosa lunga pausa di “distacco” dall’opera – che diventa un po’ come un figlio, e che è quasi necessario lasciar andare qualche tempo per conto proprio, dopo tanti mesi, o anni, pas-sati assieme -, e dopo quasi altrettante settimane trascorse a riflettere sulla trama di un ipotetico sequel, alla fine la rilettura del romanzo originale ha prodotto l’ovvia conclusione: rifare tutto. Venendo ad una terza, necessaria, citazione: ‘Per scrivere bisogna vivere’, come ha dichiarato in diverse interviste il can-tautore Samuele Bersani – autore di decine di brani di relativa ispirazione per il romanzo, ma di grande conforto per le gior-nate dello scrittore -, il quale, peraltro, stupisce ancora oggi, a vent’anni di distanza dall’inizio della sua carriera, per l’origina-lità dei testi ed il costante arricchimento del suo repertorio mu-sicale, forte del principio che, anche se potrebbe permettersi di non farlo, ha ancora bisogno di sentirsi ispirato per poter creare qualcosa di nuovo. Un “metodo di lavoro”(anche se probabil-mente per lui non si tratta né di un metodo, né di un lavoro, ma di un bisogno primario, quasi elementare, il primo e di una passione il secondo) da encomiare ed un esempio da imitare, oltre che una chiara spiegazione, a parere di chi scrive, di quello che a volte accade, come dicevamo in apertura, nella mente del creatore: che si tratti di quadri, di canzoni o di romanzi, il risul-tato è lo stesso: si ha bisogno di trovare la maniera migliore per esprimersi, e senza ispirazione non ci si può riuscire. Ho fatto tutti questi esempi per cercare di rendere più chiaro possibile che cosa mi abbia spinto a riscrivere Nauros, ripartendo dalle fondamenta: i personaggi. La differenza principale che chi ha letto il romanzo del 2008 noterà sta proprio in loro: ho cercato di approfondirne il carattere, le debolezze, i punti di forza, e di renderli percepibili, palpabili, attraverso i dialoghi oltre che gli avvenimenti che capiteranno loro. Molto di questo lavoro non è ancora pienamente visibile purtroppo,

poiché solo a storia conclusa si potrà dire quanto effettivamente ho compiuto ciò che mi sono prefissato tornando a lavorare su Nauros, e questa Parte Prima, nonostante sia in qualche modo autoconclusiva, non riesce sicuramente – datemi fiducia – a trasmettere davvero, a tutto tondo, nessuno dei personaggi, forse neanche Kyvenge, il protagonista. Il romanzo è composto infatti di tre parti, e per il momento questa è l’unica terminata nella versione 2011: ho deciso di pubblicarla subito, gratuitamente e liberamente stampabile attraverso Internet, l’ultimo mezzo di comunicazione democratico, per tentare una nuova strada. Come autore, ricevere commenti, critiche, insulti o complimenti è sempre ugualmente importante, perché permette di capire se davvero il proprio mondo sia meritevole di venire condiviso con gli altri, o se, magari, è meglio tenerselo per sé, e la trasmissione istantanea in ogni parte del mondo senza spese ad eccezione della bolletta telefonica non fa altro che accelerare e facilitare la diffusione potenziale del proprio lavoro e la conseguente ricezione dei sopracitati feedback. D’altro canto, oggi chiunque possieda una tastiera ed un monitor si sente un po’ scrittore, ed è piacevole anche solo aver tentato, indipendentemente dalla qualità del risultato finale. La mia speranza è che questo sia solo l’inizio. La trama, è chiaro fin da ora, non potrà fare altro che ingrandirsi, l’intreccio infittirsi, dalla Parte Seconda in avanti, e, anche se è difficile dire quando potrò scrivere l’introduzione al nuovo “episodio” della storia di Nauros, sarebbe bello sapere di non essere il solo ad attenderlo.

Contatti

Illustrazioni e blog nauros.deviantart.comPagina Facebook ufficiale www.facebook.com/Nauros2011

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PARTE PRIMA

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Capitolo ILa città delle rose

“Che cosa sta succedendo? Di chi era quel grido?” esclamò Nya, terrorizzata. Tremava, e sembrava faticasse a mantenersi in piedi. Kyvenge la afferrò con un braccio sui fianchi, stringendola a se mentre con l’arto libero proiettava intorno a loro due e Vylisour lo scudo magico fatto di fulmini, ordinandogli di seguirlo. Noko si accodò a loro, la naginata stretta in pugno, mentre una nuova selva di frecce li attaccava dall’alto, invisibili portatrici di morte.

Il suono di una voce bassa e calda riempì le sue orecchie. Una voce familiare. Suo padre.

“KYVENGE! Svegliati! Stiamo per arrivare al porto e ci serve una mano!”

Il ragazzo si mosse lentamente, mugugnando, lamentandosi fra sé e sé dell’improvvisa interruzione. Stava facendo un così bel sogno. C’era una collina ricoperta di soffice erba verde, e lui passeggiava tranquillamente, diretto verso un boschetto di alberi giovani, slanciati e ricoperti di foglie chiare. L’aria era leggera e profumata, e con lui c’era qualcuno, ma proprio mentre stava per mettere a fuoco la figura, il richiamo di suo padre era giunto alle sue orecchie e facendogli aprire gli occhi di scatto. Imprecando ancora, si voltò lentamente sul fianco, per poi ricadere rapidamente sulla schiena, godendosi il contatto con una parte di letto più fresca. Respirando profondamente per cercare di svegliarsi per bene, prima che arrivasse un altro urlo di suo padre a infastidirlo - stava ancora assaporando la dolce sensazione di pace e benessere del sogno che aveva appena fatto -, Kyvenge si passò con lentezza una mano nei capelli, lo sguardo perso davanti a sé, nella semi oscurità data dalla luce del tramonto, che illuminava pigramente l’interno della sua cabina. Adesso che era sveglio, gli veniva da chiedersi come avesse fatto, sino a quel momento, a non accorgersi del fastidioso oscillare della barca: il letto era inchiodato al pavimento e non poteva essere sbattuto avanti e

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indietro dalle onde, ma il continuo oscillare dava comunque una certa sensazione di nausea.

La porta si aprì bruscamente di un paio di spanne, e la testa di un altro ragazzo all’incirca della stessa età di Kyvenge fece capolino dall’apertura.

“Ehi! Ti vuoi sbrigare? Ho capito che non hai intenzione di darci una mano, principino, ma dovresti davvero salire su a goderti il panorama! La vista è davvero eccezionale!”

“Sto arrivando, Vyl, piantala!” brontolò Kyvenge, strofinandosi gli occhi. Una volta tanto che gli capitava di riuscire a riposare durante un viaggio in pieno giorno, dovevano dargli tutto quel fastidio. Il ragazzo di nome Vylisour alzò gli occhi al cielo nell’attimo in cui Kyvenge si era girato per cercare la sua maglietta, e poi si allontanò, sbattendo la porta.

Kyvenge si alzò faticosamente in piedi, dopo aver raggiunto il bordo del letto da seduto, spingendosi in avanti con le mani schiacciate dietro di sé, sul materasso. L’aria era cambiata, pensò, odorando forte col naso. Non c’era più solo quel puzzo di salmastro e di acqua fin dove occhio può vedere. Erano quasi arrivati.

Si alzò in piedi in cerca dei propri vestiti. Doveva essere proprio esausto, dopo pranzo: aveva raggiunto la cabina mentre Zaref e Jork ancora chiacchieravano seduti a tavola, intanto che Vylisour manovrava, e lui era andato lì con l’intento di stendersi un po’ a riposare le membra, quando a un certo punto era crollato nel sonno senza nemmeno accorgersene. Deglutendo per cercare di mandare via quel brutto senso di ristagno e di cattivo sapore in bocca, quasi rimpiangeva quella sua debolezza: non gli era mai piaciuto granché dormire di giorno. Gli sembrava di sprecare tempo prezioso, come se avesse un appuntamento con qualcuno e rischiasse di arrivare tardi. Kyvenge detestava arrivare tardi. Non per un motivo particolare... solo, non gli piaceva. Non lo faceva sentire a posto.La sua maglietta era appoggiata sullo schienale della sedia accanto al piccolo tavolino da scrittura, come suo solito. Era blu

scuro, e odorava un po’ di stantio, cosa normale per i vestiti di un gruppo di quattro uomini che stava per finire un viaggio da una costa all’altra del Mare di Nauros, una traversata durata ben quattro giorni. Ce ne avrebbero potuto mettere di meno, ma al secondo giorno erano sfortunatamente incappati in una zona con poco vento e questo li aveva fatti rallentare molto. Le righe azzurro chiaro che striavano la maglia blu con motivi stilizzati lineari e ricurvi lungo il fianco sinistro si piegavano e si avvol-gevano come serpenti attorno alla vita sottile ma muscolosa del ragazzo mentre si lisciava le pieghe con le mani. Solo dopo aver fatto un altro paio di passi sul legno ruvido dell’imbarcazione, si rese conto di non aver ancora indossato gli stivali. Un rapido sguardo intorno a sé, diretto vagamente dalle parti dell’angolo accanto al letto, gli bastò per individuarli. Si rimise a sedere sul materasso, li avvicinò a sé e se li infilò. Amava il contatto di quel cuoio liscio e marrone sulle mani. Poi si alzò, dandosi una rapida occhiata allo specchio appeso al muro della stanzetta pri-ma di uscire: una volta fuori, non avrebbe più avuto occasione di tornare dentro, conoscendo il leggendario appetito di Jork, il padre di Vylisour, ma era importante controllare di avere un aspetto quantomeno decente: quella sera avrebbero mangiato, per la prima volta da giorni, in una locanda. Una locanda in una grande città. E questo avrebbe potuto significare ragazze.

Si guardò nel proprio riflesso, e un paio di occhi sottili, dal taglio vagamente orientale, vispi e color nocciola, risposero al suo sguardo. Le sopracciglia folte e scure erano lievemente inarcate mentre si osservava il viso per controllare di non avere macchie di sporco dell’olio o della vernice della barca che ancora gocciolava, a volte, dagli angoli più impensati per via dei maldestri ritocchini apportati ogni tanto da Zaref. Il lungo naso dritto, la bocca sottile ma carnosa e le orecchie leggermente a punta erano pulite. Notò che aveva un po’ di barba non fatta: naturale, erano giorni che non aveva tempo di tagliarla, ma l’effetto non era male, abbinato agli scuri capelli lisci un po’ lunghi tirati all’indietro, verso le spalle. Si tirò ancora una volta

Capitolo I - La città delle rose

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lunghi tirati all’indietro, verso le spalle. Si tirò ancora una volta la maglietta per raddrizzare una piega tra il petto e il braccio sinistro, prese congedo dal proprio riflesso e uscì dalla cabina, per sbucare rapidamente sul ponte.

L’aria leggermente più fresca della sera lo riempì fin nelle pieghe degli abiti, come una doccia ristoratrice. Kyvenge si avvicinò al parapetto di tribordo, ammirando con uno sguardo serio in volto lo spettacolo del sole che tramontava dietro le colline, gettando gli ultimi raggi sul mare: le pieghe sempre più piccole delle onde che si infrangevano tra loro e contro la costa brillavano come centinaia di piccole gemme. Attorno alla piccola imbarcazione, decine e decine di gabbiani volavano avanti e indietro, ma due o tre si erano posizionati nella scia della barca, attratti dall’odore del pesce pescato dai quattro uomini per affrontare quei pochi giorni di viaggio. Il porto si avvicinava velocemente mentre Zaref, che stava a prua per controllare di non avere niente davanti a loro, latrava ordini a Vylisour e leggere correzioni di rotta a Jork. Altre barche si avvicinarono alla loro mentre la velocità diminuiva, e una vecchia guardia sbraitava di non andare a sbattere mentre manovravano per sostare al loro molo di legno rinsecchito dal sole. Vylisour si avvicinò di nuovo a Kyvenge, mentre Zaref e Jork si davano da fare con l’ancora e le corde per tenere ferma la barca, pronta a godersi finalmente il suo meritato riposo.“Siamo arrivati, finalmente. Ti senti pronto?” chiese il ragazzo con un sorrisetto stampato sul volto.

“Non credo che sarà peggio di quel branco di Torn che abbiamo fatto scappare dal villaggio sulla costa est prima di partire, no?” rispose Kyvenge, assorto nei propri pensieri. Vylisour lo guardò mentre l’amico fissava il vuoto in basso, tra le placide onde verde scuro del porticciolo. Il sorrisetto si addolcì leggermente in uno sguardo più serio e comprensivo.

“No, non credo nemmeno io. Peggio di quelle bestie dev’essere difficile.”

Kyvenge annuì, diede un colpetto affettuoso al parapetto

di tribordo e si allontanò, verso il ponticello di legno mobile che portava a terra. Sentiva ancora lo sguardo indagatore di Vylisour sul collo, ma fece finta di niente e scese verso il terreno duro e ricoperto di sabbia sottile di Losille, la città delle rose, seguito dalle chiacchiere di Zaref e Jork.

***

La luce sulla strada era già scarsa nonostante fossero all’incirca le nove della sera, e i quattro uomini procedevano a gran passi verso il paese - leggermente distaccato dalla zona del porto, ma situato comunque all’interno delle mura -, spinti dalla fame e dalla curiosità di visitare la città. La strada di ghiaia bianca risuonava scricchiolando sotto le suole degli stivali, sbuffando nuvole di polvere ai lati del loro percorso, mentre il gruppo si faceva avanti chiacchierando.

“Allora ragazzi? Che ve n’è parso del viaggio?” stava chiedendo Zaref, di umore ciarliero e leggero come al solito. “E’ stato bello, vero?”

“Molto più bello questo della scorciatoia che ci avevi fatto prendere attraversando i boschi per arrivare al porto ad est del Mare” rispose Jork. Il migliore amico del padre di Kyvenge era bassotto e scuro di carnagione, con una incipiente pelata contrastata solo da un paio di ciuffi neri sulle tempie, occhi neri luminosi come scarabei e la bocca che si apriva in un sorriso molto simile a quello del figlio Vylisour. I pantaloni grigi privi di decorazioni e la camicia portata disinvoltamente con i bottoni più alti aperti per il caldo completavano l’idea di un ometto affabile e dai modi semplici, ma anche cortese e generoso.“Ah, smettila di rinfacciarmelo. E’ stato un deprecabile errore di percorso, ma è uno dei pochi della mia carriera di viaggiatore.” rispose Zaref agitando distrattamente una mano in direzione dell’amico, con cui condivideva da alcuni anni la polvere nelle case e sulle scarpe. A differenza di Jork e Vylisour, che fisicamente non sembravano parenti, tantomeno

Capitolo I - La città delle rose

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padre e figlio, Zaref poteva venire scambiato per la versione invecchiata di Kyvenge: tranne per gli occhi, grandi e azzurri, e incessantemente curiosi. Aveva lunghi, lisci capelli brizzolati raccolti in una coda dietro la testa, lunga fino alla base del collo, e alcune rughe tra gli occhi e attorno alla bocca disegnavano l’età sul volto morbido trapuntato da una barbetta bianca incolta. Era alto all’incirca come Kyvenge, ma leggermente meno in forma: un velo di pancetta lo appesantiva un po’, rallentandone il passo rispetto alle gambe lunghe e tenaci del figlio.

“La volete finire di battibeccare? Sembrate un’anziana coppia di sposi!” li rimbeccò Vylisour, girandosi verso di loro mentre a Kyvenge, che camminava al suo fianco, sfuggiva una grossa risata. Zaref e Jork reagirono prontamente facendo finta di schiaffeggiarsi con le mani vicine tra loro, all’altezza del petto, come due galletti. “Ah, non crescerete mai.” commentò il ragazzo, divertito. “Piuttosto, avete idea di cosa ci aspetta a Losille?”Kyvenge fissò l’amico di sottecchi. Per la prima volta da quando erano partiti, gli era sembrato che Vylisour fosse, dopotutto, un po’ pensieroso. Eppure, era stato solo un leggero tremito nella voce a tradire quel suo attimo di incertezza misto ad impazienza, e solo perché Kyvenge ormai conosceva Vylisour come un fratello: nulla, nel viso corto e sbarbato, negli occhi dal taglio simile al profilo di un falco, nelle sopracciglia decise o nei capelli corti un po’ mossi, poteva far pensare che il giovane soldato semplice avesse qualche dubbio sul proprio immediato futuro. Ma la nomina era fresca, e le voci su ciò che incombeva pesanti come nuvole nere, pensò Kyvenge. Forse, persino il determinato e svelto Vylisour aveva, in fondo, qualche timore, qualche incertezza sul percorso che aveva scelto di seguire. I Cavalieri di Nauros ora erano lontani, nei boschi ad est dove li avevano incontrati, e il pericolo sempre più vicino. Sembrava strano camminargli incontro con un certa indifferenza, assaporando il profumo della sera, circondati dalle voci della gente lungo le strade illuminate dalle torce, verso l’ingresso

verso l’ingresso luminoso e caldo di una locanda chiamata “L’onda saporita”. I quattro entrarono, rinviando a dopo cena i discorsi più pesanti: “Le grandi decisioni si prendono a stomaco pieno”, sentenziò Zaref.

***

Effettivamente, dopo un’abbondante porzione di spaghetti alla chitarra, pareva molto più facile e semplice pensare al futuro. A stomaco pieno, tutti i problemi parevano più semplici da affrontare, non ultimo un minaccioso esercito di uomini proveniente da Numar, il Regno di là dal Grande Mare. Livio, il proprietario del locale, si era scoperto chiacchierando essere un vecchio compaesano di Zaref e Jork, anche se più anziano di loro di qualche anno, e così, data l’ora tarda e la scarsità di gente ancora seduta ai tavolini della locanda, aveva promesso loro di raggiungerli non appena avesse finito il lavoro nelle cucine.

A tavola, Kyvenge stava chiedendo informazioni ai due genitori del gruppo a proposito del giorno seguente.

“Cosa dovremmo fare esattamente? Io speravo che avremmo avuto un po’ di tempo per riposare, ma tutto dipende dalla situazione militare... a quale distanza si trovano esattamente questi... nemici, ecco, e se Vylisour ha una data precisa in cui lo attendono...”“Kyv, non sappiamo nulla, quei Cavalieri ad est ci hanno solo detto di presentarci a Losille entro sette giorni” rispose Jork, portandosi alle labbra un bicchiere di vino rosso del luogo e bevendone un sorso alla volta, evidentemente assorto ad assaporare il gusto intenso delle vigne che circondavano la città lungo le numerose colline.“Credo che dovremo vedere il Generale Atkinson, dovrebbe essere ancora lui il comandante regionale, o come diavolo si chiama adesso” intervenne Zaref, con un accenno all’amico. “In questi anni sono cambiati un sacco di nomi, e ormai faccio

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confusione anch’io nel ricordarmi se mi chiamo ancora come prima!” aggiunse, con una risata gioiosa; Jork fece un ghigno e ripose nuovamente il calice sul tavolino.

“Si, dovremmo andare proprio da Atkinson, anche i soldati che abbiamo incontrato in quel bosco ad est ne parlavano” disse Vylisour, masticando a bocca semi-aperta una polpetta e una generosa forchettata di spaghetti, l’ultima del suo piatto ormai vuoto. “Dicevano che Lucas Atkinson è il responsabile militare della zona di Losille, e che anche se finora si era tenuto un po’ in disparte, non so per quale motivo, adesso sarebbe stato quasi costretto ad intervenire di persona, visto che Gaunor sarebbe al comando delle forze nemiche”.

Nell’udire quel nome, alcune voci intorno a loro si abbassarono, o si spensero del tutto. Kyvenge si guardò lentamente attorno, incuriosito, e notò molte teste avvicinarsi fra loro, e a volte lanciare un’occhiata sospettosa diretta al loro tavolo. Zaref si schiarì la voce.

“Non siamo più ad est del Mare di Nauros, eh?” disse a mezza voce, con un sorriso mezzo infastidito e mezzo divertito. “Qui perfino i villici sanno di cosa parli, nell’udire certi nomi.”

“Come mai hanno subito drizzato le orecchie, papà?” chiese Kyvenge, incuriosito. “Insomma, mica c’è qualcosa di male a parlarne, no?”

Jork lanciò a sua volta uno sguardo di sottecchi rivolto al tavolino alla sua destra, dove un’anziana coppia di coniugi e un loro amico si era appena alzata, lasciando a metà i dessert nel loro piatto. Zaref seguì lo sguardo dell’amico e li vide a loro volta, per poi tornare a scrutare il figlio seduto di fronte a sé, scuotendo leggermente la testa.

“Gaunor non è solo il cattivo di molte storie di Nauros, Kyvenge” disse, fissando il proprio bicchiere sporco di un’ombra rossa di vino sul fondo con occhi vuoti.

“Cattivo? Avevo sempre pensato che lui fosse l’eroe!” ribatté Kyvenge, un po’ sorpreso.“Non da questa parte del Mare” intervenne Jork. “Io qui ci

vivevo, anni fa” aggiunse, in risposta alla domanda inespressa sorta negli occhi di Kyvenge. “Un periodo di grandi cambiamenti, in cui uomini come Gaunor potevano ritagliarsi facilmente il proprio spazio nelle terre degli Elfi”. Sospirò.

“Vedete, non è facile parlarne. Non saprei neanche bene da dove cominciare. La storia del mondo non è affatto semplice da raccontare, specialmente a chi, come voi che siete giovani, non l’avete vissuta, o meglio, non avete vissuto certe cose che hanno reso possibile quella storia.”

“Perché non ci provi? A me piacciono le storie” lo incoraggiò Kyvenge, afferrando una fetta di pane dal cestello di vimini di fronte a lui. Un ragazzino bassotto e magro stava girando fra i tavolini per raccogliere i piatti vuoti.

“Il punto é che i dettagli non li so nemmeno io. Dubito che qualcuno, tranne i diretti interessati, conoscano la cosa nella sua interezza. Gaunor è saltato fuori quasi dal nulla, ha fatto un gran casino e poi è scomparso di nuovo. E adesso... adesso sta tornando. L’Uno solo sa cosa sarà capace di fare questa volta, o per quali motivi abbia scelto di infrangere il suo esilio a Numar.” sbottò Jork, le punte delle lunghe dita che si toccavano, simili alla struttura di un ponte molto fragile.

“Ragazzi, detta in due parole, la storia è che Gaunor è diventato Cavaliere e ha conosciuto la principessa Nima, l’ha sposata, e poi l’ha uccisa. E’ stato dichiarato colpevole e costretto all’esilio.” riassunse Zaref con evidente fretta. “Non mi sembra il caso di parlarne qui, a cena...”

“Ma detta così non ha alcun senso!”“Perché avrebbe dovuto farlo? Proprio quando aveva

ottenuto tutto quel che avrebbe potuto desiderare!”“Siamo davvero sicuri che sia stato lui?” protestarono i

ragazzi.Zaref fece un cenno con entrambe le mani per chiedere il

silenzio.“E va bene, va bene, forse ho tagliato un po’ troppo.”

ammise Zaref. “Allora, il fatto è questo: per quanto é... come

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dire... risaputo dal popolo, Gaunor è stato reclutato all’epoca dei saccheggi Torn. Una ventina di anni fa e anche più, il pericolo maggiore che minacciasse questo paese erano essenzialmente loro, il crudele e disumano popolo dei Torn, ed i Cavalieri viaggiavano molto più spesso di oggi in lungo e in largo per invogliare i giovani dei vari villaggi e cittadine a diventare soldati... un po’ quello che è successo al nostro Vylisour” il ragazzo fece un cenno di vittoria con le mani al cielo “e quello che potrebbe succedere a te, Kyvenge, se decidessi che una vita troppo tranquilla non fa per te.”

Risate generali.“Comunque,” riprese Jork, prendendo la parola, “le storie

forse ingigantiscono un po’ i fatti reali, ma è certo che Gaunor sia stato sempre un grande condottiero. Aveva una dote naturale per il comando: ispirava i suoi seguaci, e spaventava i suoi nemici. Fece una rapidissima carriera all’interno dei Cavalieri di Nauros, e grazie a non so quali amicizie e conoscenze, ebbe modo fin da giovane di conoscere la principessa Nima, e, dopo pochi anni, i due si sposarono.”

“E fin qui il discorso fila” interloquì Vylisour, rispondendo ad un cenno del padre versandogli l’ultimo goccio di vino rosso nel bicchiere. “Ma poi? Perché mezza Nauros lo ritiene un eroe e l’altra mezza un pazzo assassino?”

“Qui viene il bello!” esclamò Zaref. “Non lo sa nessuno!”

Kyvenge e Vylisour lo fissarono stupefatti.“Scusa... in che senso? Cosa non si sa?”“Cosa pensare! Insomma, questo tizio salta fuori da un

villaggio sperduto su nel nord-est, o comunque da quelle parti, si mette subito in buona luce coi suoi superiori e fa carriera. Benissimo, è più che comprensibile. Poi ha la discreta botta di culo - concedetemi il termine - di conoscere e sposare la principessa, che detto tra noi e con buona pace di tua mamma, Kyvenge, era una bellissima donna, e poi... impazzisce.”

Kyvenge non smetteva di fissare suo padre, e tantomeno

Jork.“Va bene, ritira quello che hai detto.”“Ritirare cosa?”Kyvenge continuava a fissarlo in silenzio.“Ok, ok, tua madre era comunque più bella. Comunque”

concesse Zaref annuendo e sorridendo al figlio, “successe un casino, su alla capitale. Un bel gruppo di Torn, a quanto si dice, attaccò la città nel bel mezzo di una festa, con gente dappertutto, luci, soldati, eccetera. Un bel coraggio, da parte di quei miserabili. Riuscirono ad arrivare fino al Re, pensate!”

“Fino al Re?! E cosa accadde?” chiese Kyvenge, sempre più curioso di saperne ancora.

“E poi... lo uccisero. Così, alla gola. Zac!” fece Jork, mimando l’orribile gesto con uno dei coltelli della locanda. Zaref annuì cupamente.

“E così perdemmo il nostro sovrano. Ma non solo. I Torn rapirono la Regina e la principessa, usandole come ostaggi per salvarsi la pelle durante la fuga. Minacciarono di uccidere anche loro se fossero stati inseguiti. Molto coraggioso, da parte loro: solitamente sono abbastanza codardi. Gaunor, che ormai aveva la stessa importanza di un principe - se non proprio del Re -, li lasciò andare. Morto il Re, sparite la Regina e la principessa, era lui, ovviamente, a comandare, e così i soldati, anche se a malincuore, obbedirono.”

“E voi credete che sia stato tutto un complotto? Forse.. per prendere il potere il più presto possibile?” la buttò lì Kyvenge. Jork scoppiò a ridere.

“Lavori troppo di fantasia, Kyv!” esclamò l’uomo, sorridendo. “La tua teoria non è male, ma non tiene conto del fatto che Gaunor non ha mai fatto mistero del suo odio violentissimo verso i Torn. Ma, probabilmente, sei troppo giovane per ricordartene.”

“Davvero?”“Oh, sì. Si deve a lui il più lungo periodo di pace dalle

aggressioni Torn ai danni dei villaggi di tutta Nauros. Viaggiò

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in lungo e in largo, decimandoli, pur di garantirci la pace.”“Ma allora, la Regina e la principessa..?”“Le salvò. O meglio, riuscì a salvare solo la principessa.

Pare che l’amasse teneramente, almeno a quei tempi. Diede un leggero vantaggio a quei mostri, facendoli illudere di essere in salvo, poi prese i suoi fidatissimi, e partì. Non so cosa accadde esattamente, ma da allora, probabilmente, tutto cambiò. Gaunor, l’eroe di Nauros, lentamente cadde verso il male.” raccontò Zaref, fissando di nuovo il vuoto. “Credo che fosse sempre stato un po’ instabile, magari paranoico, chi può dirlo. Avrà perso il controllo con il passare degli anni. Qualcosa va nel verso sbagliato, lui perde le staffe, la moglie che cerca di calmarlo ma lo prende nel verso sbagliato... e Gaunor la pugnala. Qualcosa così.”

“Una semplice lite familiare?” interloquì Vylisour, che fino a quel momento era rimasto tranquillo. Tutti gli altri si voltarono a guardarlo.

“Io non credo che sia andata così. E’ troppo semplice, troppo... ordinario.” aggiunse, in risposta agli sguardi curiosi degli altri.

“Cosa pensi sia accaduto?” chiese Kyvenge, curioso.“Non lo so, è tutto così... misterioso. Ma penso che ci

fosse qualcos’altro sotto. Qualcosa che è rimasto in sospeso, magari. Altrimenti, perché prendersi il disturbo di tornare a Nauros dopo dieci anni?”

Aveva appena finito di parlare, quando Livio, il proprietario del locale, si avvicinò al loro tavolo con un vassoio carico di carne alla brace: agnello, maiale e pollo dall’aria ben cotta e decisamente succulenta.

“Ecco qua signori, il secondo!” disse Livio con fare gioviale. “Allora, posso unirmi a voi oppure preferite continuare a chiacchierare per fatti vostri?”

“No no, siediti, siediti!” rispose subito Zaref, facendogli posto accanto a sé. “Ci farebbe proprio piacere includere anche qualcuno del luogo nel discorso... stavamo parlando di una

faccenda molto misteriosa, e un cervello ed una memoria in più potrebbero farci comodo.”

Livio lo squadrò con cipiglio serio: evidentemente qualcosa aveva sentito del loro discorso.

“Sentite, non c’è una storia sul nostro penultimo Re che non sia stata ingigantita dalle comari nel raccontarle ai bambini durante gli ultimi dieci anni, quindi non vedo perché stare a fantasticare su cosa possa essere vero o non vero riguardo a quell’uomo...”

“Io lo trovo molto interessante invece” ribatté Jork, a cui l’oste non sembrava essere, a quel punto, troppo simpatico. “Si sa che ogni storia nasce da un fatto reale, per quanto possa venire poi montata e ingrandita. Gaunor potrebbe essere più vero di quanto non si creda nel commentare le leggende sorte attorno a lui.”

Livio sbuffò, continuando a tagliare la propria fetta di carne in silenzio, guardandosi attorno: i due ragazzi parevano ancora educatamente curiosi, mentre i due adulti più decisi a scoprire quanti più dettagli possibile. L’uomo si portò alla bocca un generoso pezzo di carne di maiale prima di riprendere a parlare, masticando a bocca aperta.

“E va bene, parliamone pure, ma io ne so davvero poco, premettiamo questo” concesse loro Livio, gesticolando con la forchetta a mezz’aria. “Gaunor non visse molto qui a Losille, in effetti, e comunque era raro vederlo passeggiare per la città, o avere altre occasioni per incontrarlo. Mi è sempre sembrato un uomo impegnato, e questo bastò a stuzzicare la fantasia dei menestrelli e delle donne del paese, sempre lì a rimuginare su dove portassero i passi di Gaunor quando si allontanava da qui, lasciando sola la moglie.”

“Ti ricordi esattamente quanto tempo fa venne a vivere qui?” domandò Kyvenge, ansioso di poter piantare dei paletti temporali in tutti quei racconti così confusi. “Anzi, quanti anni avrebbe adesso Gaunor? Cinquanta?”

“Sì, una cinquantina, più o meno” rispose Jork, mentre

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Livio si serviva un bicchiere di vino e lo ingurgitava. “Non so esattamente quando sia nato, ma cinquant’anni ce li ha tutti, anche se a vederlo da vicino gliene daresti comunque di meno. É un guerriero, si è sempre tenuto in forma. Io lo vidi una volta, e pensai che potesse venire facilmente scambiato per un giovanotto, se non fosse stato per le rughe attorno agli occhi, che in parte tradivano la sua vera età.”

“Venne a vivere a Losille una quindicina di anni fa” riprese Livio, come se non fosse mai stato interrotto. “Me lo ricordo bene, perché mia figlia Kyma era nata da poco, avrà avuto quattro o cinque anni quando il Re e sua moglie vennero qui. Di punto in bianco Losille divenne la città più importante di Nauros! C’erano continuamente messi reali, Cavalieri e politici dappertutto, specialmente attorno alla villa sulla collina più alta.”

“La villa che ora appartiene ad Atkinson?” chiese Jork.“Si, si, proprio quella” rispose Livio con un cenno di

assenso. “Beh, tecnicamente la villa appartiene al Reame, quindi è una specie di casa di rappresentanza, non è esattamente sua... del Generale Atkinson, intendo. La usa perché da queste parti il capo è lui, è anche più importante del Sovrintendente della città, per capirci. Specialmente di questi tempi, poi...”

“E quindi Gaunor e la principessa Nima vennero a vivere qui dopo il loro matrimonio?” chiese di nuovo Vylisour.

“Si, beh, parecchio tempo dopo” gli rispose Livio. “Si erano sposati... fammi pensare... un po’ di anni prima... qualcosa tipo cinque anni prima, toh. Vennero a vivere qui dopo aver passato qualche anno nella Capitale. Non so bene perché, però: e questo è indicativo delle stranezze che devono aver passato, visto che di solito tutti i re e le regine di Nauros hanno sempre vissuto su ad Arkon. Doveva avere proprio qualcosa di storto, quello lì.”

Per un po’ ci fu silenzio, mentre tutti erano intenti a masticare e svuotare i propri piatti. Poi il ragazzino magro tornò a portare via i piatti e a prendere le ordinazioni per il

il caffè, e Kyvenge approfittò di questa nuova attesa per chiedere ulteriori dettagli.

“Ma... stavo pensando... Gaunor non si vedeva spesso, a quanto stava dicendo prima...”

“Ti prego, ragazzo, dammi del tu” lo corresse Livio.“Ok, scusa. Dicevi che Gaunor non si vedeva spesso... e

Nima? La principessa?”“Lei si. Lei veniva spesso in città... tutti la ricordano con

grande affetto, e ne avrai la prova se farai qualche domanda in giro. Veniva qui a fare colazione, a volte, per questo me la ricordo bene. Ebbi più volte l’onore di parlarle, in realtà.”

“Com’era di persona?” chiese Zaref. “Oh, una persona squisita, almeno per quel poco che

ci avevo a che fare io. Ma anche gli altri abitanti dicevano che aveva sempre dei modi educati e gentili, salutava tutti, si fermava ad ascoltarli se volevano parlarle... intendiamoci, era sempre circondata da almeno quattro o più Cavalieri che la scortavano personalmente ovunque andasse, ma lei si fermava volentieri a parlare con tutti, si vedeva che lo faceva con piacere. Sorrideva sempre, se doveva confortare qualcuno lo faceva, e trovava anche il modo di aiutare chi le chiedesse aiuto, sapete, finanziariamente eccetera. Veniva incontro ai bisogni del popolo, e infatti arrivavano tanti anche da fuori Losille, a quel tempo, per chiedere udienza alla principessa. C’erano file lunghissime a volte fuori della villa, ma lei accettava chiunque, donava un po’ di tempo ad ognuno.” raccontò Livio con una dolcezza negli occhi che fino a quel momento non gli avevano ancora visto. I quattro lo ascoltavano in silenzio, facendo spazio al cameriere che gli aveva appena portato i loro caffè.

“Da parte mia, Gaunor avrebbe avuto una condanna a morte, altro che esilio. La principessa Nima era l’ultima persona al mondo a meritare la fine che fece. Eppure, lo processarono, e si limitarono a condannarlo all’esilio forzato. La gente che lo vide mentre lo scortavano in tribunale gli urlò addosso di tutto, ma lui restò impassibile, e così anche i giudici, e lo stesso

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Atkinson.”“Cosa c’entra Atkinson?” chiese Zaref.“Fu Atkinson a trovare il corpo della povera principessa.

Fu lui a trovare il pugnale di Gaunor” rispose Livio, bevendo il proprio caffè bollente. Zaref lo guardò con tanto d’occhi.

“La trovò lui...? E nonostante tutto...?”“Non chiese mai la pena di morte. Forse fu proprio

Atkinson a spingere per l’esilio come unica pena. Venne detto che era un eroe, che non potevamo ucciderlo, che sarebbe stato sbagliato. Capiamoci, è da tempo che non viene emessa la pena di morte nei nostri tribunali, se non per i criminali più efferati. Ormai è raro che un uomo patisca le stesse pene di un Torn, quando viene arrestato” spiegò Livio. “Gli uomini hanno sempre qualcuno che li aiuta e li difende, no? Un amico, un parente. Almeno uno. I Torn sono creature orrende, odiati da tutti, appena c’è la possibilità di farne fuori uno, non si perde tempo.”

“Fatto sta che Gaunor uccise la principessa Nima, e tutto quello che ottenne come punizione fu di dover lasciare il continente il prima possibile. Venne scortato da Atkinson in persona, accompagnato da un centinaio di Cavalieri, fino ai porti ad occidente, e da lì salpò su una nave in direzione di Numar, il Regno di là dal mare, e... beh, vorrei dire che di lui non si seppe più niente, ma invece le voci e le storie non fecero che aumentare, da quando tutto questo accadde, una decina di anni fa.”

Vylisour si lasciò scappare un fischio basso e prolungato.

“Che storia... e ora, ‘sto pazzo ci bussa alla porta e ci chiede di rientrare.”

“Già. E la cosa assurda è che non sappiamo cosa stia accadendo ad occidente.” commentò Livio.

“Cosa intendi?” chiese Jork.“Quello che ho appena detto. Buio pesto. Si sono interrotte

le comunicazioni con i porti, con l’Arcipelago Occidentale, i

i porti ad ovest, tutto. Non sappiamo nulla di come sia arrivato Gaunor, se e con quante forze, se si stia facendo largo a colpi di spada o di bastone. Le comunicazioni ufficiali si sono interrotte e così ci stiamo preparando ad accoglierlo con le forze militari che Atkinson in qualche modo sta riuscendo a radunare chiamandole a raccolta dalle altre città vicine, e poco altro” rispose l’oste, il volto ora rabbuiato e serio. “Io chiuderò il locale nei prossimi giorni, anche se non so ancora bene quando. Non più tardi del giorno di Mezzagosto, comunque. Partirò per il nord con mia moglie e mia figlia, come hanno già fatto in molti. Non ho intenzione di trovarmi in mezzo ad una battaglia.”

L’ultima frase fece scendere il silenzio assoluto sugli occupanti dell’unico tavolo ancora occupato all’interno della locanda. Nessuno sapeva cosa dire. Kyvenge stava giocando con la propria forchetta, osservando le pieghe che i dentini disegnavano sulla tovaglia bianca disegnata a foglie, riflettendo su quanto aveva appena ascoltato. “Non ho intenzione di trovarmi in mezzo ad una battaglia... partirò per il nord con mia moglie e mia figlia...”

“Noi resteremo, invece” disse Zaref, battendo il pugno destro sul tavolo. “Combatteremo.”

Kyvenge alzò lo sguardo, presto imitato anche dagli altri.

“Figurati se non lo avevo già capito!” sbuffò Jork. Vylisour sorrise, mentre Kyvenge continuava a guardarlo seriamente, e così anche Livio.

“Sei assolutamente serio?” gli chiese l’oste. “E’ nobile e coraggioso da parte vostra unirvi ai difensori della città, ma...”

“Non dire nulla, Livio. É una scelta che avevo fatto da giorni, e anche Jork era di questo avviso. Siamo venuti qui apposta. Kyvenge, tu... se tu invece stessi ancora pensando di proseguire verso Arkon...”

“No, papà, non vi potrei lasciare qui da soli.” rispose il ragazzo, sorridendo leggermente. “Credo di averlo deciso mentre venivamo qui stasera.” Jork e Zaref sorrisero, Vylisour

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gli batté una mano sulla spalla in un modo che voleva di sicuro suonare incoraggiante.

Livio li guardò tutti, uno per uno, prima di riempire di nuovo i bicchieri di vino, alzare il proprio e dire:

“Alla vostra!”I quattro uomini alzarono a loro volta i bicchieri colmi di

liquido rosso scuro.“Alla sconfitta di Gaunor!”

***

Zaref e Jork avevano intenzione di restare alla locanda ancora un po’, per festeggiare il loro approdo a Losille con una lunga chiacchierata in compagnia dell’oste e di sua moglie, una bella signora di mezza età pienotta e dai modi cordiali, così Kyvenge e Vylisour si allontanarono per fare un giro in paese con la scusa di voler fare due passi. Da lontano, si potevano ancora vedere le figure dei quattro adulti seduti attorno ad un tavolo della locanda portato all’esterno, in mezzo alla strada polverosa, illuminati dalla luce calda delle lampade da esterno che brillavano intensamente nel buio della notte.

L’aria torrida del pomeriggio aveva finalmente ceduto il passo ad una piacevole frescura da brezza estiva proveniente dal mare, e così i due ragazzi si avviarono per le vie del centro camminando con tutta calma, guardandosi attorno. Losille era una città di mare, costruita lungo la costa, e per un lungo tratto pareva una località turistica più che la sede - anche se temporanea - del governo di un intero Regno, quale era stata in passato. Anticamente conosciuta come forte di avvistamento, quando il nucleo originario della città si trovava sulle colline più lontane dal mare, la città si era poi lentamente spostata verso la costa vera e propria, diventando prima un piccolo paese di allevatori e pescatori - i prodotti del bestiame e del mare erano una vera specialità dalle loro parti -, fino a crescere sempre di più con l’intensificarsi dei rapporti commerciali tra una costa

e l’altra del Mare di Nauros, un tratto di acque ristretto tra la Penisola di Nauros e il resto del continente. Con l’espandersi della città erano state via via abbandonate le vecchie, basse case di mattoni sulle colline - i cui resti erano ancora visibili e, a volte, abitabili - e la popolazione si era spostata nello stretto tratto pianeggiante tra i colli ed il mare, costruendo una cinta di mura che chiudeva la città rispetto al resto del mondo terrestre: mura semplici ma alte e robuste, di pietra grigio chiaro ricavata dalle montagne vicine, intervallate solo da un grande cancello in ferro battuto - la Porta Ovest, ingresso principale della città - e da due cancelli più piccoli - le Porte Nord e Sud. Ad est, la porta più grande: il mare stesso. Lo spettacolare finale delle mura di pietra si chiudeva infatti nel Mare di Nauros con un tratto in salita, tanto che, viste dall’acqua, le pietre parevano due enormi mani che, protendendosi dalle colline stesse, finissero per abbracciare il mare.

Ma la vera caratteristica di Losille erano le rose, di tutti i colori e le dimensioni, che crescevano così rigogliosamente da essere state piantate persino in enormi strisce di terra che percorrevano l’intera cinta muraria nella sua lunghezza, dando l’idea di un filo spinato floreale e multicolore che proteggeva la città dalle invasioni esterne.Kyvenge sapeva tutte queste cose. Era già stato in passato a Losille, da bambino, assieme al padre e alla madre, prima di conoscere Vylisour. Passeggiando, gli capitava di rivedere un volto familiare, con cui magari aveva parlato, o che gli era stato presentato, ma la fragilità del ricordo lo rendeva tanto insicuro che preferiva non salutare per evitare di scoprire di essersi sbagliato e di rendersi conto di credere di ricordare, piuttosto che di ricordare effettivamente. Le pietre delle case, dei negozi attorno a lui sembravano parlargli sottovoce, bisbigliare, come a volte sembrano fare le pietre tombali, parole incomprensibili, eppure rassicuranti e calde, provenienti da persone, da situazioni lontane, irraggiungibili, eppure ancora vive. Era come camminare in un sogno ad occhi aperti, ricordare di essere

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essere stato lì anni prima e allo stesso tempo in quel momento: passato e presente, in quella città, erano una sola cosa.

“Ehi, ci sei o stai dormendo?” gli fece brusco Vylisour schioccandogli le dita davanti al naso, svegliandolo dalle sue fantasticherie.

“Ci sono, scemo, ci sono!” protestò Kyvenge, allontanando con un gesto brusco la mano dell’amico. “Stavo solo pensando all’ultima volta che sono stato qui...”

“Ma eri un bambino, no? Mica ti ricordi qualcosa?”“No, cioè, qualcosa mi ricordo, anche se non tutto e non

con precisione... ho delle immagini, delle sensazioni... a volte ricordo persino degli odori...” spiegò Kyvenge.

Vylisour fischiò di nuovo, in segno di ammirazione.“Io non ricordo quasi niente di quando ero piccolo...

dev’essere bello...”“Non sempre” disse Kyvenge, con un sorriso mesto. “Ehi,

guarda lì: quella discesa della strada porta al lungomare... di qua invece c’è la via principale, quella con i negozi... andiamo?” chiese, accennando alla costa con un movimento del capo. Vylisour mormorò il suo assenso e i due ragazzi si avviarono verso la spiaggia.

“Allora, ti senti pronto?” chiese Kyvenge all’amico, più per rompere il silenzio che per sincera curiosità: troppi pensieri avevano cominciato a vorticargli nella mente, e troppo ovvia era la risposta di Vylisour.

“Chiaro che sono pronto” rispose infatti quest’ultimo, proprio come Kyvenge si aspettava. “Ormai la mia strada è tracciata: sono un Soldato di Nauros, e domani mi presenterò ufficialmente al Generale Atkinson per venire assegnato dove c’è bisogno. Se è vero quel che si dice in giro, Kyv, siamo in guerra.”

Kyvenge non rispose.“Ascolta, so che questo genere di cose è esattamente

contro il tuo modo di fare, il tuo credo. Ma se fosse per una buona causa...” disse ancora Vylisour, fermandosi e guardando

direttamente in volto l’amico. Erano arrivati sul lungomare, e attorno a loro era pieno di gente: la folla sembrava in attesa di qualcosa. I ragazzi, comunque, non sembravano farci caso.

“Non vedo quale buona causa possa esserci nell’uccidere qualcun altro... nella guerra. Vyl, tu hai scelto così, hai deciso così. Io rispetto la tua decisione, ma non la vedo di buon occhio. Non puoi chiedermi di augurarti di ammazzare un Numariano al giorno, questo no.” rispose Kyvenge con un mezzo sorriso che avrebbe voluto essere un modo per appianare le divergenze sorte tra loro in quegli ultimi giorni, a proposito dell’incontro che avevano fatto di là dal mare. Sembrava passato già un sacco di tempo.

Era accaduto che il quartetto, durante il viaggio verso il Mare di Nauros, era incappato in un villaggio preso d’assalto da un gruppo di Torn piuttosto feroci, ed era intervenuto per salvare le persone intrappolate tra il cerchio di fiamme adoperato di solito da quei mostri per impedire la fuga alle proprie vittime, ed i mostri stessi; di lì a poco erano passati per caso alcuni Cavalieri di Nauros che, dopo essere intervenuti ed aver sgominato ogni resistenza nemica, avevano proposto ai due ragazzi, entrambi molto bravi nell’arte della scherma e del combattimento a mani nude, di entrare a far parte dell’Esercito di Nauros, perché il Re aveva avuto sentore di problemi in arrivo e tutti i drappelli sparsi per il Regno avevano ricevuto l’ordine di reclutare quante più giovani braccia possibile. Kyvenge non era mai stato un tipo violento, ma si era allenato fin da giovane per motivi di sopravvivenza, oltre che per gioco e passione trasmessagli dall’amico; Vylisour, invece, aveva sempre sognato di indossare l’armatura bianca e azzurra dei Cavalieri ed aiutare il prossimo con la forza del suo braccio e della sua spada. Così, Vylisour aveva subito accettato, e, con la benedizione di suo padre Jork, i Cavalieri lo avevano subito nominato Soldato di Nauros, il grado più basso di appartenenza all’Esercito, con l’invito, una volta giunti in una città, di presentarsi al capo militare della zona per venire segnato ufficialmente tra gli

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segnato ufficialmente tra gli uomini del Re. Da allora, Kyvenge era divenuto sempre più meditabondo e riflessivo. Non che di solito non lo fosse, ma l’approssimarsi di un bivio, di un allontanamento dall’amico che era stato suo compagno fedele per anni, lo spaventava e impensieriva più di quanto avrebbe voluto ammettere.

Gli sembrava che un destino incancellabile gli fosse stato scritto davanti, a lui e a Vylisour, e che non ci fosse modo di impedire ciò che stava per accadere. Da un lato, si diceva egli stesso, era la natura delle cose; dall’altro, non riusciva ad accettarlo.

Un rumore improvviso fece voltare entrambi di scatto: che lo volesse o no, Kyvenge stesso era quasi un militare, e difatti lui e Vylisour finirono immediatamente schiena contro schiena, i pugni alzati, pronti allo scontro. Ma nessun altro pareva aver notato qualcosa di pericoloso in avvicinamento: la folla sulla spiaggia era tranquilla, eppure loro due avevano appena udito un fortissimo fischio, acuto e penetrante, provenire dal tratto di spiaggia più immediatamente adiacente al mare.

“Guarda...”“Cosa?”“Stanno tutti a testa in su, verso il cielo” notò Kyvenge,

indicando un punto a casaccio in mezzo al nero pece sopra di loro, all’incirca nella direzione dove sembrava guardare la folla.

Un’esplosione violentissima squarciò la notte, come se un tuono fosse appena scoppiato dentro le loro stesse orecchie, e la forza di centinaia di piccoli lampi illuminò il buio notturno di tante, piccole luci multicolori. I due ragazzi osservavano lo spettacolo ammutoliti, la bocca semi aperta per lo spavento e lo stupore, i pugni ancora quasi in posizione di guardia, gli occhi spalancati che riflettevano quella distruzione senza vittime in mezzo all’aria. La notte si rifletté di verde, e rosso, e blu, e ad ogni cambio di colore la gente accompagnava la cosa con un nuovo verso di stupore, in molti “Ooooh!” e “Aaaaah!”.

con un nuovo verso di stupore, in molti “Ooooh!” e “Aaaaah!”. Una bambina in mezzo alla folla saltellava su e giù e gridava forte alla mamma: “Belli! Belli! Belli fuochi!”, ma nessuno poteva sentirla, con tutto quel frastuono. Kyvenge e Vylisour si guardarono e risero. Nessuno di loro due aveva mai visto di persona i fuochi d’artificio, ma ne avevano sentito parlare dai loro genitori, che li avevano visti, anni prima, in qualche festa. Dalle loro parti, all’est, non si usava festeggiare in quel modo Mezzagosto. Il bello è che non era ancora arrivato il giorno di Mezzagosto, e i due ragazzi non capivano come mai a Losille stessero già festeggiando, o cosa altro potessero avere da festeggiare, ma ben presto tornarono a godersi i fuochi in silenziosa ammirazione. Ora avevano cominciato ad assumere forme: un cigno, una rosa, un lupo...

All’improvviso un urlo ruppe il silenzio, sovrastando persino il rumore causato dai fuochi d’artificio.

“UN DRAGO!”La folla iniziò istantaneamente a guardarsi attorno,

alcuni presero a scappare, impazziti, spingendo a terra gli altri e calpestandoli. Kyvenge e Vylisour guardarono istintivamente in direzione del mare, increduli e confusi, pensando ad un altro errore, ad un fuoco d’artificio troppo realistico....

E poi lo videro.Enorme, le mascelle leggermente dilatate, gli occhi piccoli

e luminosi nell’oscurità, il corpo lungo e sottile...Non era un drago, ma un gigantesco serpente marino: la

brutta testa trapezoidale si muoveva a scatti avanti e indietro a mezz’aria, sostenuta da un altissimo collo liscio e squamato. I colori degli ultimi fuochi d’artificio esplosi si riflettevano sul suo corpo, torreggiante nella semioscurità; poi anche le ultime luci si spensero, e il blu scuro delle sue squame era appena percettibile, sovrastato dalla notte. Le forti luci sembravano averlo attirato verso la costa come una falena contro una lampada, ma nessuno se ne era accorto, tranne i pochi che si erano spinti in mare su piccole barche a remi o a pedali per

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ammirare lo spettacolo estivo dall’acqua. Ora quegli sfortunati stavano disperatamente dandosi da fare per tornare verso la costa il più velocemente possibile, mentre le urla e il panico si diffondevano a macchia d’olio sulla folla in spiaggia…

“Che facciamo?” chiese Kyvenge, senza riuscire a nascondere completamente l’ovvio timore reverenziale verso un gigantesco serpente marino nel pieno del suo elemento.

“E me lo chiedi? Ci avviciniamo!” rispose Vylisour, il tono più determinato di quanto non sembrasse a vederlo in faccia. Iniziarono a correre. Attorno a loro, quasi tutti scappavano, e la spiaggia di svuotò in molto meno tempo di quanto non avrebbero pensato. Solo alcuni soldati e Cavalieri corazzati, che erano lì per prestare servizio di sicurezza sulla spiaggia, si erano avvicinati al bagnasciuga; gli altri erano corsi via, chi per la paura, chi per andare a Villa Atkinson e avvisare il Generale di quanto stava accadendo. Appena i piedi dei ragazzi ebbero toccato e schizzato acqua di mare attorno a loro, i Cavalieri gli sbarrarono il passo con le proprie lance, intimando loro l’altolà.

“Chi siete voi? Che fate qui? Non vedete cosa sta succedendo?” sbraitò un Cavaliere con due motivi ricurvi e lineari colorati di rosso sulle spalline d’acciaio: il Comandante.

“Appunto perché lo vediamo siamo qui! Io sono un soldato!” rispose Vylisour, punto nell’orgoglio. “Sono qui per aiutare!”

Il Comandante lo guardò con tanto d’occhi.“Aiutami a levarti di torno allora! Che cosa pensi di

fare conciato così e disarmato?!” abbaiò il militare squadrando Vylisour da capo a piedi, vestito più come un turista che come un soldato di Nauros.

Per tutta risposta, il mostro marino urlò con quanta forza aveva in corpo: aveva appena notato le barchette sotto di se, che si agitavano come tanti bei pesciolini sul pelo dell’acqua...

“Noooooooo!”I ragazzi ed i militari assistettero inermi alla rapidissima

I ragazzi ed i militari assistettero inermi alla rapidissima discesa della testa del serpente marino sulla barca più vicina al suo corpo liscio e immobile nel buio: con un sonoro crack, il legno della barca andò in pezzi, i remi giacquero inerti tra le onde, e schizzi di sangue saettarono ovunque. Non erano sicuri di quante persone fossero state a bordo di quella barca, ma di sicuro dovevano essercene state almeno un paio. Altre urla di terrore si alzarono dalle barche rimaste, e alcune persone si tuffarono addirittura in acqua, rese folli dalla paura e dalla scena raccapricciante a cui avevano appena assistito. Il mostro marino, eccitato dal sangue e dal rumore, fece scattare nuovamente la brutta testa su una barca più lontana che aveva quasi raggiunto la riva, mandandola in frantumi: con un tonfo sordo e un altissimo schizzo d’acqua, il serpente rimase lì per un momento, realizzando appena che aveva da poco spiaccicato la faccia contro il fondo del mare. I soldati lo fissarono con un misto di orrore e sorpresa, e Vylisour fu il primo a riprendersi.

“Ora che è intontio! Dobbiamo sapere se sono sopravvissuti! C’erano tre persone su quella barca! VELOCI!”

Con un balzo, il ragazzo si divincolò dal muro di lance che gli era stato messo davanti e corse sul lungomare fino a raggiungere la perpendicolare dei resti della barca, dove almeno una figura umana giaceva, tremante, e quasi sicuramente ancora viva, aggrappata ad un pezzo di legno. Il Comandante urlò di inseguirlo, mentre il serpente marino alzava ancora una volta la testa, pronto a colpire un’altra imbarcazione, dove un gruppo ancor più terrorizzato di persone stava urlando a pieni polmoni, attirandolo...

“Non c’è tempo da perdere! ARCO E FRECCE! Riempite quel suo brutto muso di frecce! Mirate agli occhi, se potete, ma non sprecate un singolo dardo!” gridò Kyvenge, rianimando i Cavalieri, che sembravano essere stati congelati sul posto. Il Comandante si voltò di nuovo a guardare Kyvenge, fece un verso indistinto d’assenso con la gola e urlò a sua volta di fare come aveva detto il moccioso. I soldati obbedirono, incoccarono

Capitolo I - La città delle rose

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incoccarono le frecce e lasciarono andare proprio mentre il mostro alzava la brutta testa e la teneva per un momento sospesa, immobile, nell’aria, come per prendere la mira... la barca era vicina ora... si vedevano forse quattro persone a bordo... le altre barche erano ancora più lontane...

Le frecce partirono, attraversando l’aria con un sibilo appena udibile, mentre una luce accecante si rifletteva negli occhi del serpente marino. Poi un rombo di tuono li assordò, costringendo persino il mostro ad alzare la testa per il timore di un qualche attacco. Stava forse per piovere?

Le frecce vennero attraversate da sottili strisce di luce, linee spezzate che saettavano attraverso l’aria come fulmini provenienti dalla terra, e presero immediatamente fuoco, spargendo cenere e luce color rubino nel cielo notturno, disegnando traiettorie luminose irregolari sul capo della bestia, prima di toccarlo, di affondare nelle sue carni, facendogli emettere versi di dolore...

Kyvenge colse l’attimo scattando rapidissimo verso il mare, dritto in direzione della barca più vicina, senza dare ascolto alle grida dei soldati: un urlo terribile, stavolta più vicino, gli fece capire che la testa dell’essere stava calando rapidamente verso di lui... prese un respiro profondo, e iniziò a nuotare con la testa sotto l’acqua, immergendosi, nella speranza infantile che l’acqua potesse nasconderlo e proteggerlo. Sott’acqua, non poté sentire che un vago rimbombo, mentre le fauci spalancate del mostro marino calavano davanti a lui, ancora impegnate a gemere di dolore. E poi, gridò anche lui.

Una scarica di energia sembrava averlo attraversato dalle punte dei piedi alla cima della testa, spaccandogli in due la fronte, lacerandone le carni. Una scosse elettrica potentissima lo aveva attraversato da parte a parte, come se avesse emesso fulmini lui stesso. Ingoiò qualcosa come un litro d’acqua salmastra, si fece forza con le mani e spinse il viso fuori dall’acqua. Le orecchie si erano otturate, impedendogli di sentire il debole vociare delle persone intorno a lui, e il possente lamento di

di sentire il debole vociare delle persone intorno a lui, e il possente lamento di dolore del serpente. Tutto era sofferenza e disperazione, si sentiva sanguinare, faceva fatica a respirare, e gli sembrava di non riuscire a vedere nulla. Aprì gli occhi e sbatté più volte le palpebre, prima di vedere qualcosa di diverso da una intensa luce bianca che sembrava avergli offuscato la vista in seguito a quella misteriosa scarica elettrica. Poi, improvvisamente, tornò a vedere. E davanti a lui c’era la gigantesca testa del mostro, grande quanto un palazzo di due o tre piani, che apriva e chiudeva l’orrenda bocca in preda agli spasmi, i denti coperti di sangue e la lingua saettante avanti e indietro come quella di una lucertola lunga centinaia di metri. Doveva essersi arenato sul basso fondale sabbioso, avvicinandosi alla costa per via delle curiose luci colorate nel cielo, che forse a lui erano sembrate pesciolini lucenti visti dal basso del fondale profondo migliaia di metri dove nuotava di solito, pensò Kyvenge.

E poi, all’improvviso, le mostruose mascelle trovarono qualcosa di duro, e strinsero forte: il legno della barca, che si era avvicinata al serpente a causa del risucchio dell’enorme bocca, scricchiolò minacciosamente, e nel giro di un attimo era già schegge e frammenti, mentre dei ragazzi urlavano disperati e un altro veniva stretto nella morsa di denti affilati e sangue. Due sagome caddero in acqua, mentre Kyvenge riprendeva lentamente a nuotare verso di loro, sfiancato e indebolito, ma determinato a sopravvivere. Voleva cercare di farsi notare da loro, di salvarli, ma erano ancora lontani. Il mostro rialzò la testa, e altre scariche elettriche attraversarono l’aria, traffigendogli la gola attraverso le fauci aperte: una sagoma scura e fradicia che somigliava molto ad un corpo riluceva fra i suoi denti. Altre urla si alzarono dal lungomare; forse parte della folla si era avvicinata di nuovo. Non capivano il pericolo che correvano?

In quel momento ci fu un rombo più assordante di tutti i rumori che Kyvenge aveva sentito quella sera, e una strana aria stagnante si era creata sopra di lui, fermando la brezza di

Capitolo I - La città delle rose

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aria stagnante si era creata sopra di lui, fermando la brezza di mare: la sensazione che qualcosa di grosso stesse per cadere dal cielo...

Le sue mani toccarono un pezzo di legno, lo afferrarono e ci si arrampicò sopra: un’altra barca si era avvicinata ai resti di quella che Kyvenge stava tentando di raggiungere, e lui si era aggrappato ad uno dei loro remi. Lo tirarono su, e lui cadde di peso sul fondo dell’imbarcazione, la schiena che doleva come se stesse per spezzarsi da un momento all’altro premuta sul duro legno mentre percepiva altre sagome, gambe e un corpo poggiato accanto al suo; una pozza di liquido toccava il suo ginocchio sinistro, ma in quella confusione avrebbe potuto essere qualsiasi cosa, non necessariamente sangue...

Un suono acutissimo e lacerante squarciò in due il cielo: una saetta gigantesca piombò dritta sulla testa del mostro marino, aprendola in due. Parte della scarica elettrica lambì l’acqua del mare, che rigettò onde, sabbia e scosse più piccole, linee rarefatte di energia luminosa che arrivarono fino alla barca dove si trovava Kyvenge, spezzando il legno mentre venivano scaraventati in aria per l’onda d’urto, e già una seconda onda, ancor più grossa per via della caduta del corpo del mostro marino in acqua, si preparava a sommergerli. Aggrovigliati insieme nell’oscurità, certo di stare per morire da un momento all’altro, Kyvenge si strinse forte al corpo che gli era finito addosso, e aprendo gli occhi scoprì di essere finito abbracciato ad una meravigliosa ragazza mora coperta di sangue e lacrime sul viso dolce ed il corpo sottile. Per un attimo, provò il folle impulso di baciarla; poi, dopo un’altra fitta alla schiena, tutto fu di nuovo dolore e disperazione, ed il ragazzo perse i sensi senza lasciare la presa.

Capitolo IIIl dono degli Elementi

“Che cosa sta succedendo? Di chi era quel grido?” esclamò Nya, terrorizzata. Tremava, e sembrava faticasse a mantenersi in piedi. Kyvenge la afferrò con un braccio sui fianchi, stringendola a se mentre con l’arto libero proiettava intorno a loro due e Vylisour lo scudo magico fatto di fulmini, ordinandogli di seguirlo. Noko si accodò a loro, la naginata stretta in pugno, mentre una nuova selva di frecce li attaccava dall’alto, invisibili portatrici di morte.

“Venite, presto! Qui ci sono dei sopravvissuti!”“Forza, forza! Serve una barella!”Volava sabbia dappertutto. I passi pesanti dei Cavalieri

affondavano nel terreno intorno a Kyvenge, il quale giaceva a terra con gli occhi ancora chiusi, la consapevolezza di essere vivo a malapena raggiunta nella testa dolorante. Aveva graffi lungo tutto il corpo, una ferita dolorosamente pulsante da qualche parte sulla testa e un enorme livido dietro la schiena, a giudicare dalla carne tirata e sofferente che sentiva urlare dietro di sé. Aprendo gli occhi, si rese conto anche del motivo per cui si sentiva meno oppresso sullo stomaco: i soldati avevano già spostato il corpo svenuto della ragazza su una barella, e ora due uomini la stavano portando via dalla spiaggia. Persino in un momento del genere, per un attimo, Kyvenge provò il rimorso di non averle potuto parlare. Poi altri due uomini si chinarono su di lui, tastandogli con gentilezza la testa e il petto.

“Come stai? Puoi parlare?” chiese uno dei due, probabilmente il più anziano: aveva delle rughe sottili attorno agli occhi, lo sguardo rude, ma la mano soffice mentre tastava le costole del ragazzo.

“A me sembra a posto, Pokon” disse l’altro, guardando Kyvenge negli occhi. “Ne ha viste di cotte e di crude, ma non mi sembra ferito gravemente.”

Il ragazzo fece per parlare, ma dalla sua bocca uscì a malapena un po’ d’aria. Gli facevano male tutti i muscoli.

Capitolo II . Il dono degli elementi

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“Non sforzarti” lo redarguì all’istante Pokon, fissandolo dritto negli occhi. Poi si voltò per parlare con il più giovane. “Non è in pericolo, ma ha una gran brutta cera. Caricate anche lui su una barella e portatelo alla Casa di Guarigione.” L’altro annuì e si alzò.

“Kyvenge! Come stai? Tutto a posto?” urlò Vylisour, avvicinandosi di corsa all’amico ed inginocchiandosigli accanto. “Pezzo di idiota, non immagini nemmeno quale rischio hai corso!”

“Vuoi stare zitto?!” lo sgridò Pokon, con un cipiglio severo sul volto. “E’ vivo per miracolo e gronda sangue! Evita di affaticarlo, per favore!”

Vylisour pareva sorpreso e contrariato assieme, ma, notando i gradi da Comandante sulle spalline dell’uomo, rimase in silenzio e tornò a guardare Kyvenge, che gli rivolse un flebile sorriso.

“Ho... ho guardato la morte negli occhi” riuscì a dire, faticando non poco. Ogni costola del suo corpo vibrava di dolore al minimo movimento.

“Puoi ben dirlo, amico!” commentò a bassa voce Vylisour non appena la sagoma di Pokon fu abbastanza lontana; evidentemente aveva altri feriti da esaminare. Un piccolo gruppo di soldati lo seguiva da vicino portando un paio di barelle vuote. “Non so cosa ti sia saltato in testa...”

“A me? E tu allora? Sei stato il primo a correre via!” esalò Kyvenge, come se fosse stato il suo ultimo respiro.

“Ma io sono corso lungo la costa, verso una barca ormai quasi a terra... tu invece ti sei buttato direttamente in mare aperto, dove eri alla mercé del mostro! Sei stato più che fortunato questa notte, amico mio!” ribatté Vylisour, evidentemente molto ammirato dal coraggio del ragazzo. Kyvenge distolse lo sguardo, fissandosi il braccio destro abbandonato lungo il proprio fianco, la mano inerte con le dita nella sabbia grigia e fredda. Era buio pesto, eccetto per le luci portare dai soldati su lunghe torce di legno infiammate, ed era un bene, perché così Vylisour non

avrebbe potuto vedere il rossore che aveva animato le guance di Kyvenge, vergognoso di se stesso e della propria stupidità. Avrebbe potuto farsi ammazzare con una facilità mostruosa, e per cosa? Aveva solo fatto da cuscino al corpo esanime di una ragazza, che magari non era nemmeno viva... E comunque, cosa avrebbe mai potuto fare di meglio?

“E’ stato un atto nobile, e di grande coraggio” disse Vylisour stringendo gentilmente con una mano la spalla dell’amico, come se ne avesse letto i pensieri. Kyvenge annuì.

“Stupido, nobile e di grande coraggio.” lo corresse.“Uno di voi è ferito?” chiese un soldato avvicinandosi

ai due ragazzi. Vylisour si alzò e gli diede una mano a caricare Kyvenge sulla barella, poi si allontanarono tutti e tre, camminando piano nell’oscurità.

***

Le Case di Guarigione erano una serie di caseggiati bassi e lunghi, raggruppati all’interno di un muro di cinta color grano che forniva riparo e protezione ai malati. Non esistevano piani superiori: ogni casermone era suddiviso in varie stanze e stanzini, ognuno dotato di un paio di letti, dove i Guaritori entravano e uscivano, tutti vestiti di bianco e spesso forniti di guanti soffici e mascherine leggere per ogni evenienza. Kyvenge venne fatto accomodare in un letto alto e soffice, dove Vylisour, dopo aver tirato una tendina per nasconderlo alla vista dei passanti nel corridoio, lo aiutò a spogliarsi di stivali e vestiti bagnati, vestendolo del pigiama leggero passatogli da un Guaritore.

“Che schifo, sembra la tappezzeria di un divano” commentò Kyvenge, per niente soddisfatto della fantasia floreale sulla sua maglia.

“Almeno non è rosa” notò Vylisour, schivando prontamente il flebile pugno dell’amico.“Che diavolo mi trattengono a fare qui? Sto benissimo” si

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lamentò ancora Kyvenge, facendo per mettersi a sedere sul letto e lasciandosi poi andare in una serie di colorite imprecazioni a causa del dolore proveniente dal suo ventre e dalla sua schiena.

“Avranno i loro buoni motivi” suggerì Vylisour, sorridendo e aiutando l’altro ragazzo a sdraiarsi nuovamente e coprendolo fino all’altezza della pancia con il lenzuolo. “Prova a star fermo un attimo, va bene?”

“Un attimo quanto lungo?”“Direi... almeno fino a domattina” rispose Vylisour,

fingendo di soppesare seriamente la frase. Kyvenge sbuffò.“Secondo te Zaref e Jork avranno saputo quello che è

successo?” chiese, dopo essersi reso conto per la prima volta che potevano essere passate ore da quando si erano allontanati dalla locanda.

“Credo che debbano essere sordi e ciechi per non sapere che c’è stato un gran casino!” esclamò Vylisour, ridacchiando. “Ma i dettagli magari non li sanno, e certo non potranno sapere che ci troviamo qui, sai... nessuno ci conosce, da queste parti. Beh, nessuno... tranne la tua ragazza” aggiunse, strizzando l’occhio. Kyvenge arrossì lievemente e passò sulla difensiva.

“Quale ragazza?”Vylisour rise così forte da correre il rischio di cadere

dallo sgabello dove si era seduto.“Come sarebbe a dire, ‘quale ragazza’?! Quella tipa che

stringevi tra le braccia quando ti abbiamo trovato sulla spiaggia, no?”

Kyvenge borbottò in tutta fretta una serie di spiegazioni, senza riuscire a dirne nemmeno una in forma udibile.

“Spero almeno che ti abbia adeguatamente ringraziato...” rincarò la dose Vylisour, facendo arrossire furiosamente l’amico. “E dai, stavo solo scherzando!” si alzò e gli diede una pacca giocosa sulla spalla, poi si allontanò, dicendo: “Su, vado a cercare i nostri vecchi. Cerca di riposarti un po’, eroe”.

“Va bene, a dopo. E non fate troppo baccano quando

tornate!”Dopo che Vylisour fu uscito dalla stanza con un ultimo

cenno di assenso, Kyvenge si buttò sul cuscino con la testa all’indietro, fissando l’incavo tra il muro e il soffitto, espirando più aria che poteva, come per dimenticarsi tutto quello che era successo. Un mostro marino, una spiaggia intera in preda all’orrore, lui che aveva rischiato la vita come uno sciocco... ed erano sbarcati appena da qualche ora. Chissà cosa avrebbe detto suo padre, quando l’avrebbe trovato lì, in quella stanza d’ospedale.

A quel pensiero, non riuscì a trattenere un lieve moto di speranza nei riguardi della misteriosa ragazza che aveva salvato dalle fauci del serpente: non era riuscito a capire se fosse stata incosciente o meno, e del resto, anche se si fosse accorta di quanto era successo, era molto difficile che lo avesse visto in faccia, che si ricordasse di lui, o che provasse qualche interesse nel venire a cercarlo. Cercando di scacciare via questi pensieri, Kyvenge si disse che, dopotutto, non era da lui perdersi in tali divagazioni su un viso tra la folla.

“Ah!”Una contrazione muscolare, simile ad una lieve scossa

elettrica, lo fece gemere lievemente per il dolore. Si guardò il braccio destro, lo mise lentamente in grembo, e cominciò a tastarlo dolcemente con le dita della mano sinistra. Era stata una sensazione molto, molto dolorosa, per essere durata così poco. Forse erano gli ultimi effetti della scarica di energia che lo aveva attraversato lungo tutto il corpo mentre nuotava verso la barca, niente per cui preoccuparsi... il braccio pareva a posto, a parte i graffi ed i lividi che si era procurato nelle ultime ore. Robetta...

L’ultima volta che era finito in una Casa di Guarigione sì, che c’era stato da preoccuparsi.Era accaduto qualche anno prima, ma non gli sarebbe mai stato possibile dimenticarsene, ci fosse voluta tutta la vita. Una notte, i Torn attaccarono il villaggio in cui vivevano lui e la sua famiglia, e anche Vylisour e Jork. Misero a ferro e fuoco le case,

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uccidendo tutti coloro che tentavano di sbarrargli la strada. Quella notte, la vita precedente che aveva avuto Kyvenge, venne distrutta come il suo villaggio, come la sua casa, e anche come la sua famiglia.

Rapirono sua madre.I Torn erano creature ripugnanti, che vivevano

apparentemente con il solo scopo di seminare panico e disperazione. Fisicamente non erano molto diversi dagli uomini, a parte il fatto che la loro pelle e la loro carne sembrava magra e pallida come quella di chi ha preso poca luce, o, in certi casi, persino cadaverica. E a differenza di quasi tutti gli uomini erano praticamente senza peli, senza barba, senza capelli, e a volte non sembravano avere nemmeno gli occhi, o le orecchie. Tutto ciò che avrebbe potuto collegarli direttamente agli uomini, diventava poco visibile, o spariva del tutto. Sembravano, in effetti, la parodia di un uomo realizzata da uno scultore poco capace, che li aveva lavorati in maniera grezza e approssimativa. Anche mentalmente. Molti Torn erano evidentemente stupidi; molti altri, purtroppo, no. Anzi, taluni erano dotati di una sottile intelligenza malvagia che li rendeva terribilmente pericolosi, specialmente quando questa acuta attività mentale si accompagnava alla scarsa capacità di reprimere gli istinti.

Da quando Gaunor aveva iniziato la sua opera di bonifica contro le comunità Torn, estirpandole alla radice dai loro nascondigli disseminati lungo il Regno di Nauros, erano diventati sempre di meno. Si era lentamente scoperto che i Torn non avevano sesso: erano tutti uomini, e non potevano riprodursi. Così, rimaneva il dubbio di cosa facessero delle loro prede, solitamente donne, portate via dai villaggi razziati, dove quelle orrende creature prendevano anche metalli, oggetti e cibo. La notte terribile in cui il suo villaggio venne attaccato, sordo ai richiami paterni, Kyvenge si fiondò dietro ai Torn in fuga, seguito di lì a poco dal fedele amico Vylisour. Kyvenge era stato così svelto e sconsiderato da partire alla carica senza

portarsi dietro nemmeno un’arma, ma, fortunatamente per lui, a questo aveva pensato Vylisour. Accompagnati dalle rispettive lame, i due riuscirono a tenere il passo dei mostri, e, senza farsi scoprire, a trovare il loro nascondiglio, in una grotta buia e umida, sulle montagne vicine. Vylisour riuscì a fatica a trattenere Kyvenge dall’entrare a spada sfoderata nella grotta: durante la notte, non avrebbero avuto speranza, in quanto i Torn erano molto più capaci degli umani nel vedere al buio, e forse anche nel sentire gli odori. I due ragazzi attesero l’alba, e poi si infilarono di soppiatto nella grotta, strisciando un metro alla volta con la paura di venire scoperti. Kyvenge, in realtà, sperò di venire scoperto fino all’ultimo. Quando trovarono l’alcova dove era stato depositato il bottino preso al villaggio appena depredato, rischiò di vomitare. C’erano sacche piene di armi buttate di qua e di là a casaccio, pane, formaggio e latte per terra, secchi di acqua sporca e maleodorante, e, appese al soffitto a testa in giù come prosciutti, sua madre e qualche altra donna rapita. Tutte sporche, sfigurate e trafitte da varie lame, come bersagli di un’orribile gioco. Forse, non conoscendo donne, i Torn ne erano incuriositi, ma, come i bambini, dopo averci giocato per un po’... se ne sbarazzavano e dimenticavano, in modo definitivo.

Incapace di andare avanti a ricordare l’orrore che aveva provato quella notte, Kyvenge strinse con rabbia gli occhi, tentando inutilmente di fermare le lacrime, ricordando le parole che disse loro Zaref, distrutto dal dolore, nel sentire il loro racconto una volta tornati a casa: “E’ stato un atto nobile e di grande coraggio.”

Proprio come aveva fatto ancora poche ore prima, nuotando verso morte certa per salvare delle persone.

Zaref non era corso dietro ai Torn perché aveva dei doveri verso di lui, verso Kyvenge, suo figlio ancora giovane. Aveva dovuto lasciarli andare. Kyvenge non aveva potuto vendicarsi perché aveva un dovere verso Vylisour, che lo aveva seguito per riportarlo indietro sano e salvo. Attaccarli tutti sarebbe stato

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un suicidio, loro erano appena in due, ed i Torn si muovevano sempre in gruppi numerosi.

Ma, anche se avesse avuto modo di farlo, come avrebbe potuto vendicarsi? Non esisteva punizione adeguata per creature del genere.

Avrebbe quasi desiderato incontrare Gaunor, dopotutto, per potergli chiedere come andare a caccia di quei mostri, per poter diventare forte e capace come lui, e vendicare tutti quelli che erano stati colpiti dai Torn in modo così atroce. In quel momento, accoccolato nel letto della Casa di Guarigione, desiderò davvero di diventare Cavaliere. Mancavano due giorni a Mezzagosto, e in quei giorni, si dice, è bene esprimere i propri desideri alle stelle cadenti.

***

“Ma questo qui dorme sempre?”“Solo quando è particolarmente emozionato.”“Vylisour... la pianti di dire stronzate...?” sbottò Kyvenge

girandosi lentamente a pancia sopra, tormentandosi gli occhi cisposi di sonno con i pugni. Odiava venire svegliato mentre si trovava nel momento migliore di quando si dorme, quando sembri non esistere, immemore e insensibile. Specialmente, odiava venire svegliato da Vylisour.

Aprendo gli occhi, però, si rese conto di avere di fronte una piccola folla: c’erano Vylisour, Zaref, Jork e i due tizi che la notte prima stavano coordinando le operazioni di soccorso, l’uomo dall’aria rude e il piccoletto dai modi più allegri che però somigliava fisicamente al primo uomo. Pokon chiese a Vylisour: “Ma è sempre così di buonumore, al mattino?”, ma Kyvenge non riuscì ad udire la risposta.

“Sorpreso?” chiese Jork, senza riuscire a nascondere un sorrisetto beffardo.

“Ci hai fatto prendere un grosso spavento, disgraziato!” esclamò Zaref, dandogli una giocosa manata su una gamba

che fece raggomitolare Kyvenge per il dolore: suo padre aveva colpito senza saperlo proprio uno dei tagli più profondi. Kyvenge si tirò a sedere con la schiena contro il cuscino appallottolato dietro di lui e li squadrò uno per uno: Vylisour si era ripulito e non sembrava avesse passato niente di peggio di una nottata in bianco, mentre Zaref e Jork sembravano aver dormito anche di meno, ma erano sicuramente privi di ferite. Pokon invece sembrava molto stanco e decisamente stufo di trovarsi lì, come se non avesse dormito del tutto. Il ragazzo accanto a lui invece sprizzava energia da vendere.

“Oh, non ci siamo ancora presentati!” esclamò quest’ultimo, evidentemente deliziato all’idea. “Il mio nome è Noko, sono uno dei Soldati al servizio diretto del Generale Atkinson, su alla Villa” disse velocemente, tendendo la mano a Kyvenge; questi la prese meccanicamente, ancora stordito dalla nottataccia e dal poco sonno. “E tu sei il famoso Kyvenge, non è vero?”

“Famoso?” ripeté Kyvenge, sorpreso. Vylisour e Jork si scambiarono un’occhiata di sottecchi e una risatina.

“Sì, certo! E’ grazie a te se non è successo niente di male a...”

“Basta così, Noko, grazie” lo interruppe Pokon, mettendogli con decisione una mano sulla bocca e impedendogli di muovere ulteriormente la mascella, che si agitò comicamente. “Saprà ogni cosa a tempo debito. Io invece sono Pokon, Comandante di stanza a Losille, e sono anch’io agli ordini diretti del Generale Atkinson. Siamo venuti qui per assicurarci che tu stessi bene e per scortarti il prima possibile alla Villa.”

“Alla Villa? Da Atkinson?” ripeté Kyvenge, sempre più stupefatto. Cosa mai poteva volere da lui?

“Il Generale Atkinson, ragazzo” lo corresse Pokon, studiandolo attentamente. “E’ l’accortezza nell’usare le buone maniere al momento opportuno a distinguerci dagli animali, quindi ti suggerisco di fare attenzione, quando parli di o con un tuo superiore.”

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Kyvenge rimase qualche momento senza parole, poi si corresse:

“Il Generale Atkinson, certo... scusi...”“Non importa, non importa. Ma non vorrei che tu

iniziassi col piede sbagliato.” lo perdonò Pokon.“Iniziare cosa?”“Iniziare cosa, signore?” lo corresse di nuovo Pokon senza

muovere altri muscoli al di fuori di quelli della bocca.“Sì, beh.. iniziare cosa, signore?” chiese di nuovo

Kyvenge, sentendosi uno scolaretto al primo giorno di scuola, e detestandosi profondamente per questo.

“Ti spiegherà tutto il Generale. Ora vestiti, per cortesia, e seguici.” rispose Pokon, accennando con un movimento della testa alle colline fuori della finestra.

Kyvenge, dubbioso, guardò il padre, che annuì impercettibilmente. Il ragazzo si alzò dal letto, i muscoli ancora doloranti ma decisamente meno rispetto alla sera prima, e andò in bagno per rinfrescarsi.

“Se volete attenderci fuori o anticiparci direttamente alla Villa, signori...?” chiese dubbioso Jork, evidentemente nella speranza di ottenere un po’ di privacy. Pokon annuì e uscì dalla stanza portandosi dietro Noko, il quale salutò il gruppo con la mano e seguì il Comandante trotterellando.

Jork chiuse la porta, e udendo il rumore Kyvenge urlò da dietro la porta chiusa del bagno: “Ma chi diavolo erano quei due?”

“Dei tizi che lavorano direttamente per Atkinson, a quanto pare” rispose Zaref. “Te l’hanno detto, no? Quello serio è evidentemente molto preso dal suo ruolo, si sente appena apre bocca, mentre l’altro sembra un giullare, più che un soldato. Non so cosa facciano esattamente, ma è evidente che li hanno proprio cercati col lanternino, due personaggi del genere non li avevo ancora mai visti.”

“Saranno anche dei personaggi, ma ‘quello serio’ ieri notte sembrava dirigere le operazioni, e non mi è sembrato affatto

male” intervenne Vylisour. “Comunque sia, cosa credete che possa volere Atkinson da noi?”

“Non so se voglia qualcosa da noi” lo corresse Jork, “ma sicuramente vuole qualcosa da Kyvenge, e se sia accaduto qualcosa di particolare la scorsa notte, Vylisour, dovresti essere proprio tu a saperlo ed a raccontarlo a noi”.

“Qualcosa di più particolare dell’essere sopravvissuti all’attacco di un mostro marino alto come una piccola montagna intendi?” rispose Vylisour al padre, sorridendo. “Oppure nuotare verso una barca a pezzi con sprezzo del pericolo ed ardimentoso animo eroico?” aggiunse, indicando la porta del bagno.

“Guarda che ti ho sentito, idiota!” urlò di nuovo Kyvenge da dentro al bagno, ridendo. “Magari mi daranno una medaglia e tu me la invidierai!”

“Può essere! Comunque sbrigati, Kyv, quelli là fuori stanno cominciando a spazientirsi, credo.” rispose Vylisour sbirciando fuori dalla porta della stanza.

“Quello più anziano per me è nato senza pazienza” commentò Zaref.

***

Lavato e rivestito, Kyvenge si avviò assieme a Vylisour ed ai rispettivi padri lungo il sentiero che portava dalle Case di Guarigione alla strada maestra, dove li aspettava un carro tirato da due cavalli. Pokon e Noko si sedettero davanti, mentre gli ospiti salirono dietro, nella cabina scoperta. Con uno schiocco, Noko partì, diretto di buona lena verso l’incrocio con la strada che saliva verso le colline, affiancata ad ogni lato da un piccolo canale di scolo dell’acqua e da molte canne e altre piante basse e cespugliose di diverse, rigogliose sfumature di verde. Attorno a loro, un costante viavai di persone mostrava la città viva e attiva già dalle prime ore del mattino, ma fu la ricca presenza di uomini in armatura a colpirli ed anche, in parte, a spaventarli.

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“Mi sembra di vedere già meno civili rispetto a ieri sera” stava dicendo Jork rivolto a Zaref, che osservava pensieroso l’andirivieni di persone di fianco al loro carro. Molti parevano vestiti da viaggio, ed alcuni si trascinavano dietro asini, cavalli o bagagli a mano.

“Già, sembra lo stesso anche a me” rispose Vylisour, guardandosi attorno. “Forse molti sono già partiti, dopo quello che è successo ieri…”

“La gente ha paura che stia per succedere qualcos’altro” osservò Kyvenge, che se ne stava con l’orecchio teso, ascoltando stralci di conversazioni mentre passavano. L’uggiolio e gli scricchiolii del carro non riuscivano a coprire le voci per le sue orecchie leggermente a punta. “Parlano del ritorno di Gaunor, e di un arcipelago caduto.”

“Un arcipelago? Vuoi dire che avrebbero davvero attaccato l’Arcipelago Occidentale?” esclamò Vylisour.

“A questo punto mi sembra più che probabile” rispose Zaref. “Se la gente ne parla, molto probabilmente è perché le voci hanno superato le montagne e sono giunte fin qui”.

“Qualche sopravvissuto, intendi?” chiese Jork.“Può darsi” rispose Zaref. “Non possiamo che fare

congetture per ora. Piuttosto, voi due” disse fissando Kyvenge e Vylisour “siete ancora della stessa idea? Vi sentite pronti? Sembra proprio che presto Losille si troverà un esercito alle porte, e se vi arruolate adesso finirete molto probabilmente in prima linea. L’allenamento e l’esperienza non vi mancano, ma mi chiedo ancora se...”

“Non abbiamo cambiato idea” rispose prontamente Vylisour.

“No, affatto” si accodò Kyvenge. “Avevamo già deciso così. E visto quello che sta succedendo, tanto vale metterci subito in gioco. Se dobbiamo combattere, meglio prima che poi.”Zaref lo studiò attentamente per qualche secondo, in silenzio. Poi si voltò a guardare la campagna che ora sfilava davanti e intorno a loro, le curve dolci delle colline coperte di girasoli che

sembravano brillare nel sole mattutino. Fece un verso indistinto con la gola, e tornò a guardare i due ragazzi.

“Resteremo anche io e Jork. Se dovrete combattere, noi saremo con voi.”

“Ne siete sicuri?” chiese Vylisour. Zaref e Jork annuirono.

“Grazie di tutto, papà” disse Kyvenge. Zaref annuì. In quel momento, un cancello in ferro battuto si aprì, e il vecchio carretto entrò a Villa Atkinson. Lungo il sentiero alberato da ulivi, disposti ad intervalli regolari, stazionavano dei soldati armati di arco e frecce, ed altri, muniti di lance e spade, giravano periodicamente lungo il perimetro del muro di cinta. La Villa si trovava sulla cima della collina più alta di Losille, ad una certa distanza dalla Porta Ovest - il confine più lontano tra la città e le terre ad occidente -, e quindi faceva anche da ottimo punto di osservazione e vedetta oltre che da roccaforte per il generale. La Villa era certamente antica, costruita secondo uno stile ormai dismesso, ricca di portici all’esterno, e di finestre via via più piccole con l’aumentare dei piani. L’intonaco bianco all’esterno la faceva sembrare una grossa conchiglia lucente, in aperto contrasto con il tetto rosso, che la rendeva visibile da grande distanza. Tutto attorno alla Villa crescevano molte piante, sia coltivate che non; c’erano fiori di diverse specie e colori, un piccolo campo di girasoli e persino un orticello dove si alzavano alcune viti e piante di pomodori, oltre a zucche, zucchine e cavoli.

Ad un fischio delle guardie davanti alla porta d’ingresso del pianterreno, Noko fermò il carretto, e mentre Kyvenge e gli altri scendevano, la porta si aprì e ne uscì un uomo in camicia e pantaloni militari. I soldati fecero il saluto, ed i ragazzi seppero che quell’uomo con i capelli corti che li stava guardando con molta attenzione, le mani sui fianchi e il petto in fuori, era il Generale Atkinson.

“Benvenuti, signori, a V-” stava dicendo Pokon, ma Atkinson lo interruppe.

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“Lascia, mio buon Pokon, faccio io” disse, toccando gentilmente il braccio del Comandante con la mano. Poi rivolse un sorriso abbozzato ai ragazzi e riprese: “Benvenuti, signori, a Villa Atkinson. Io sono il Generale Atkinson, ma potete anche chiamarmi Lucas, se preferite.” fece un piccolo inchino portando un braccio davanti al petto, poi si ricompose e tornò a guardarli tutti dritto negli occhi, uno per uno.

“Entrate pure. Immagino che avremo molto di cui parlare” si scostò sul lato e lasciò che Pokon facesse loro strada verso il salone del pianterreno, grande e poco ammobiliato, dove un lungo tavolo di legno chiaro dominava la scena. Si sedettero e attesero l’arrivo del Generale prima di parlare.

“La ringraziamo dell’invito, Generale. Noi-” iniziò Zaref, ma anche lui non riuscì a terminare la frase: Atkinson lo interruppe con un gesto della mano.

“Permettetemi di puntualizzare subito un paio di cose. Primo: datemi del tu. Mi fa sentire molto vecchio, questo ‘lei’, come se fossi il Re o che so io. Secondo: vi ringrazio molto per aver prontamente acconsentito a venire trasferiti qui, anche se magari avevate affari più piacevoli e leggeri da svolgere giù in paese.”

“Purtroppo non mi era possibile rimandare oltre il nostro incontro. Sarei venuto di persona anche stanotte stessa a cercarvi nelle Case di Guarigione, se non fossi stato occupato con il coordinamento delle operazioni di soccorso e lo stesso combattimento contro la bestia che ha causato tutto questo.”

“E’ stato lei!” esclamò Kyvenge, sporgendosi sulla sedia di legno. Tutti si voltarono a fissarlo, e lui arrossì lievemente, tornando a sedersi normalmente.

“Dammi del tu, per favore, ragazzo. Comunque... sono stato io a fare cosa?” chiese il generale, mostrandosi educatamente perplesso.

“Io... io volevo dire che... i fulmini... il mostro...” balbettò Kyvenge. Vylisour sorrise, e così fecero anche Zaref e Jork.

“Si butta a capofitto contro un serpente marino, e trema

di paura quando si tratta di parlare!” ridacchiò Atkinson. “Non ti preoccupare, ragazzo, è tutto a posto. Non so cosa te lo abbia fatto pensare, ma, se è questo quello che volevi dire, sono stato io ad uccidere il serpente marino. Ho scatenato io quei fulmini che lo hanno paralizzato ed ucciso”. Un silenzio stupefatto seguì quest’ultima dichiarazione, e anche Vylisour smise per qualche momento di ridere.

“Lei...?”“Tu.” lo corresse Atkinson, sogghignando.“Lei, volevo dire tu... un Mago Elementale?”“Dunque sapete cosa significavano quei fulmini?”“Certo che lo sappiamo, tutte le favole ne parlano”

rispose Zaref. “Almeno, chi di noi genitori ancora racconta le favole ai propri figli. In ogni storia c’è un qualche accenno alla Magia Elementale, la magia degli Elfi, le creature che vivevano su questa terra prima di noi.”

“Ottimo” esclamò Atkinson, visibilmente contento. “Ottimo, davvero. Questo mi semplificherà notevolmente le cose. Vedete, ci tenevo tanto ad incontrarvi proprio perché fra di voi c’è un Mago Elementale enormemente più potente di me.”

Ancora una volta, nessun’altra bocca si mosse. Ci fu solo qualche colpetto di tosse nervoso.

“Il ragazzo timido... è lui il mago, se ve lo steste chiedendo.” specificò Atkinson, indicando Kyvenge con un lungo dito affusolato. “E’ grazie a lui se ho potuto sconfiggere così facilmente il mostro marino, la scorsa notte.”

Vylisour si voltò a fissare Kyvenge in volto, e quest’ultimo ebbe, per un istante, il ricordo della dolorosa sensazione dei fulmini che lo attraversavano, e il verso di dolore del mostro marino che veniva colpito dopo di se. Che cosa poteva significare?

“Qui non c’è nessun mago, Kyvenge non ha mai mostrato di avere poteri del genere” stava dicendo Zaref, le dita unite a ponte poggiate sopra il tavolo. “Per quale motivo stai dicendo

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queste cose, Lucas?”“Per lo stesso motivo che potreste intuire voi” rispose

il generale. “Come hanno visto i miei soldati sulla spiaggia, la scorsa notte, ho raggiunto il luogo dell’attacco il più velocemente possibile, appena sono venuto a conoscenza di quanto stava accadendo. Non sapevo che qualcuno - il nostro Kyvenge, qui - si fosse tuffato in acqua per tentare di salvare qualcuno degli sfortunati rimasti in mare, perché non avevo incontrato nessuno degli uomini che avevano tentato inutilmente di fermare i due ragazzi. Così, ho fatto l’unica cosa sensata che potessi fare: ho attaccato il mostro marino con la Magia Elementale del Tuono, la più potente che io conosca, indebolendolo progressivamente fino ad ucciderlo.”

“Fin qui tutto chiaro e comprensibile, non è vero? Beh, una volta accettato il fatto che la magia esista davvero, voglio dire…” aggiunse il Generale, sorridendo.

Tutti annuirono. Vylisour ridacchiò.“Una cosa, però, non sapevo: Kyvenge era in acqua”

continuò Atkinson. “Vedete, normalmente la Magia Elementale può venire appresa solo da un insegnante: non esiste altro modo, nessun altro. Questa notte, dev’essere accaduto qualcosa di straordinario. L’acqua è un vettore eccezionale per le scariche elettriche, e naturalmente parte di quella elettricità che ho scagliato magicamente contro il mostro è stata catturata e trasmessa dalle onde del mare, colpendo il povero Kyvenge, che era proprio in mezzo. Questo avvenimento, più che fargli del male - e, me ne dolgo, probabilmente te ne ha fatto” aggiunse con un’occhiata comprensiva rivolta al ragazzo “gli ha donato un potere assolutamente unico. O forse, come ritengo io, ha solo risvegliato qualcosa che era latente in lui. Un potere magico da sempre presente, che necessitava solo del giusto richiamo per svegliarsi”.

Per la terza volta, Atkinson fece una pausa, ed ancora nessuno parlò.

“So che è difficile da credere. Permettetemi di darvi una

piccola dimostrazione.”Tese la mano destra, il gomito poggiato sul tavolo, e con

fare noncurante la scosse in direzione del ragazzo: ne uscì una leggera scarica elettrica leggera ma intensamente luminosa, che crepitò nell’aria facendo rizzare appena appena i capelli ai presenti, e si precipitò rapidissima addosso a Kyvenge, che sedeva contro lo schienale della sedia, sorpreso... ma, chissà come, capace di rispondere: in una frazione di secondo, senza neanche rendersene conto, aveva alzato la mano sinistra, le dita stese, il palmo bene aperto. La scarica lanciata da Atkinson si appallottolò nella mano di Kyvenge, dove rimase per qualche secondo, ferma anche se ancora crepitante, e poi Kyvenge mosse la mano come per cacciarla via: quella partì velocissima diretta verso la porta-finestra alle spalle di Atkinson, mandò uno dei vetri in frantumi e scomparve. Quest’ultimo, per niente impensierito dalla distruzione di una finestra, batté le mani e sorrise ai presenti, commentando estatico:

“Come vi dicevo! Conto su di te per la difesa dei bastioni, Kyvenge. Mi dispiace informarvi che non abbiamo molto tempo per prepararci, però: le nostre vedette dicono che Gaunor non avrà bisogno di più di una decina di giorni per arrivare qui.”

“Generale, effettivamente noi... siamo venuti a Losille proprio per questo motivo, per unirci a voi” disse Vylisour, prendendo per la prima volta la parola. “Inizialmente eravamo in dubbio se dirigerci verso Arkon o restare qui, ma gli eventi sembrano aver deciso per noi.”

“Già. Non avevamo sentito che voci, prima di sbarcare, mentre ora lei ci conferma che sta per cominciare una guerra, o che forse è già iniziata... e Gaunor è al comando delle forze nemiche.” si inserì Jork.

Atkinson annuì gravemente.“Mi dispiace confermare queste tristi verità, ma ormai è innegabile. Delle mie spie che vivono più ad occidente, sulle altre pendici del Monte, il gran sasso che divide in due la penisola di Nauros, nessuna è tornata indietro viva, mentre alcune di

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quelle inviate da me con l’ordine tassativo di rientrare il prima possibile mi hanno confermato la presenza di un grosso esercito nemico nelle terre tra il Grande Mare e il Monte. La mia stima di prima era, forse, anche troppo ottimistica: sono convinto che Gaunor non concederà loro riposo finché non saranno giunti ad un tiro di schioppo dalla Porta Ovest.”

“Cosa significa?” chiese Kyvenge.“Significa che potrebbero essere qui all’incirca in sette giorni, invece che dieci.” rispose Atkinson, che sembrava avere abbandonato del tutto i suoi modi ilari e rilassati di qualche minuto prima. “E che avremo bisogno di tutto l’aiuto possibile. Ho richiesto rinforzi che sono arrivati in forma ridotta rispetto alle nostre reali necessità, dunque saremo molto probabilmente in inferiorità numerica - non è ancora chiaro di quanto, tuttavia. Ma la caduta delle comunicazioni tra l’Arcipelago Occidentale e l’entroterra è un chiaro segnale che qualcosa di grave sta accadendo in quelle terre.”

“Lucas...” cominciò Zaref. Sembrava non sapere da dove cominciare. “Se tu--- e Kyvenge... possedete questo dono... mi viene da pensare che... forse anche Gaunor...”

Atkinson annuì lentamente.“Gaunor è giustamente ritenuto, dai suoi sostenitori come

dai suoi detrattori, il più grande guerriero umano mai esistito. Io sono più giovane di lui e non ho avuto molte occasioni di vederlo in azione, ma so per certo che è in grado di dominare aspetti della Magia Elementale sconosciuti persino a me, che la pratico da quando ero bambino. Anche mio padre, Marcus, era un Elementale: imparai la magia poco dopo aver iniziato a camminare. Ma Gaunor... è senz’altro l’uomo più pericoloso che potrete mai incontrare. Ciò che fece dieci anni fa dovrebbe bastare come spiegazione...”

Solo allora Kyvenge notò che, appeso al muro dietro il generale, c’era un dipinto che ritraeva una donna dai capelli lunghissimi, lisci e fluenti, il viso dolce e pacifico. Sembrava osservarli con delicato interesse. Era solo un ritratto, eppure,

per quanto era ben fatto, sembrava che un’estranea li stesse ascoltando da una finestra.

“E’ la principessa Nima, non è vero?” chiese Kyvenge, incapace di staccare gli occhi dal ritratto. Quel viso aveva qualcosa di familiare, anche se non ricordava di aver mai visto un’immagine della principessa.

“Si, è proprio lei. Ritratta da Caravas, uno dei più talentuosi pittori dello scorso secolo, se mi permettete una valutazione da profano” rispose Atkinson. “Caravas è morto qualche anno fa, purtroppo.”

“Come mai, anche se per breve tempo lo fu, nessuno chiama Nima ‘regina’”? chiese ancora Kyvenge, pensandoci in quel momento per la prima volta. Sembrava quasi che a suggerirglielo fosse stato il quadro.

“Probabilmente, per rispetto nei riguardi della prematura morte di sua madre, la regina Farlen” spiegò Atkinson. “Le due donne vennero rapite dai Torn durante un vero e proprio assalto alla Capitale. Io c’ero.”

“Oh” disse Kyvenge. “Quindi, la regina...”Il Generale annuì, poi tirò un lungo sospiro, battendosi la

mano destra sul ginocchio. Kyvenge notò solo allora che aveva due cicatrici sull’occhio sinistro, lunghe e sottili: partivano dalla fronte e finivano sullo zigomo, e le ferite dovevano essere state molto profonde, perché il sopracciglio in quel punto veniva interrotto, rendendo leggermente asimmetrico il volto del Generale, che rimaneva comunque un bell’uomo dai tratti decisi e definiti. Kyvenge si chiese per un attimo come avesse fatto il generale a procurarsi due ferite simili, rimanendo peraltro miracolosamente illeso sull’occhio, quando Zaref si schiarì la voce.

“Non vogliamo rubarti altro tempo, Lucas, quindi... potresti dirci... adesso cosa ci aspetta?” chiese, leggermente imbarazzato. “Voglio dire, verremo assegnati ad una guarnigione, saremo indipendenti... o cos’altro?”

“Tu e Jork potrete regolarvi come riterrete più opportuno”

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rispose Atkinson, allungandosi leggermente all’indietro sulla sedia. “Ovviamente, mi aspetto il vostro aiuto, ma in qualunque forma esso provenga, sarà bene accetto. In altre parole, non vi obbligherò a combattere, e tantomeno vi sto chiedendo di farlo. Spero solo nel vostro aiuto, che sia cucinare o evacuare le donne e i bambini, non mi interessa”. Zaref e Jork annuirono, sorpresi, in cuor loro, del modo leggero del Generale di trattare i problemi militari.

“E per quanto riguarda me e Kyvenge?” chiese Vylisour, indicando se stesso e l’amico.

“Voi due invece sarete richiesti qui alla Villa ogni giorno fino all’arrivo del nemico” rispose Atkinson, scrutandoli. “Sempre che abbiate il coraggio e la forza di volontà necessarie. Non obbligherò nemmeno voi, in pratica, ma, date le circostanze, mi aspetto molto di più da voi: non solo che combattiate, ma che conduciate le truppe, possibilmente alla vittoria.”

Vylisour sorrise. Kyvenge, invece, pareva teso, forse anche preoccupato. Non lo sapeva bene nemmeno lui, in effetti.

“In che senso ‘saremo richiesti tutti i giorni alla Villa’? Saremo la tua scorta personale?”

“No no, il contrario. La mia idea è che, nel caso di un assedio, voi dovrete essere lasciati assolutamente indipendenti. Vi assegnerò ad una zona, certo, ma poi, nella confusione della battaglia, vi potrete comportare come meglio crederete. Certo, per essere sicuro di non farvi sbagliare, devo prima insegnarvi due o tre cosette, e per questo vi chiedo di venire qui ogni giorno. Inizierei anche oggi, se possibile. Mi sembra appropriato dire che ‘il tempo è tiranno,’ siete d’accordo?”

Il gruppo annuì. Vylisour si agitò un po’ sulla sedia, poi chiese timidamente:

“Ho... ho qualche speranza di imparare anch’io la Magia Elementale?”

Atkinson lo guardò con un mezzo sorriso sul volto.“Non te lo so dire al momento. Lo scopriremo in

allenamento.”“Allenamento?”“Credevi che vi avrei insegnato solo teoria? La prima

cosa che devo assicurarmi voi sappiate fare, è combattere. Il resto verrà di conseguenza. Siete ufficialmente arruolati, ragazzi. Direi che quello che ci serve ora, prima di passare alle cose noiose, è un po’ di sano cibo. Sapete, Noko è molto bravo in cucina”.

***

Kyvenge e gli altri erano usciti a fare due passi nell’ampio giardino della villa, mentre Noko preparava il pranzo. Pokon era rimasto all’interno con Atkinson, il quale aveva detto di aver bisogno del comandante per organizzare i prossimi giorni, dando così al quartetto la possibilità di parlare senza timore di venire uditi da orecchie indiscrete per la prima volta da quando quella strana storia era iniziata.

“Dunque... ce l’avete fatta, ragazzi. Ora siete soldati di Nauros” esordì Zaref con un sorriso paterno rivolto ai due giovani. Kyvenge si passò una mano dietro la testa, imbarazzato, mentre Vylisour saltellava allegro a piedi vicini.

“Sì, finalmente siamo qui!” rispose il ragazzo. “E verremo addestrati dal generale in persona!”

“Una bella fortuna, eh? Kyvenge, tu non sei contento?” chiese Jork, vedendo l’altro ancora serio e taciturno. “Hai persino scoperto di possedere un dono eccezionale...”

Kyvenge si guardò le palme delle mani, incerto. Era incredibile anche solo pensarlo... lui, un mago? Si concentrò per un momento, tentando di ripetere quello che aveva fatto nella sala di Atkinson. La sua mano sembrava aver agito da sola, poco prima, ma ora non era così facile come aveva pensato inizialmente. Stringendo leggermente le dita, come se avesse voluto chiudere di pochissimo il pugno, alcune piccole scariche scattarono tutte intorno, crepitando leggermente. Si guardò

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sorpreso la mano per qualche secondo: non credeva che ci sarebbe riuscito di nuovo. Poi stese di nuovo il braccio lungo il fianco e guardò gli altri.

“Sapete, io ancora non me ne rendo conto” spiegò. “E’ straordinario... non avevo mai sentito una cosa del genere...”

“Nemmeno Atkinson, se ho capito bene” aggiunse Jork. “Sei unico, a quanto pare.”

“E Lucas pareva deliziato” commentò Zaref, “anche se non riesco proprio a capire come mai...”

Kyvenge tacque per un momento. Possibile che Atkinson sapesse, o intuisse, qualcosa su di lui che nessun altro aveva capito? Per quale motivo da un momento all’altro la magia degli Elfi si era manifestata in lui? Per quale motivo per vent’anni non aveva mai dato segni di essere diverso dal padre, da Vylisour o da Jork, ed all’improvviso questa si era scatenata, tanto che Atkinson attribuiva a lui, Kyvenge, il merito della sconfitta del mostro marino? E se davvero avesse riconosciuto in lui un tipo di magia diverso, più potente persino della sua, uomo fatto e finito e probabilmente più che esperto in quel campo?

“Ehi, bello, scendi dall’aquila” disse Vylisour, sventolandogli la mano davanti agli occhi. “Se ti stai arrovellando su qualche pensiero strano dei tuoi, sarebbe meglio che ce ne parlassi”.

“No, nessun pensiero strano. Sto bene, davvero”“Hm. Sarà meglio” disse Zaref, sorridendo. “Ora, ditemi:

vi sentite assolutamente pronti per combattere?”“Stai ancora a chiederlo?” disse per tutta risposta

Vylisour, battendo una mano sulla spalla dell’uomo. “Siamo più che pronti!”

“Anche se questo dovrebbe essere il nostro maestro a dirlo” replicò Kyvenge, sorridendo a sua volta. Il bello di Vylisour era che aveva un entusiasmo tale da coinvolgere chi gli stava vicino, senza sforzo. “Magari contro Atkinson non dureremo due secondi e ci dirà di tornare di là dal mare a nasconderci in una grotta”.

“Il solito ottimista!” esclamò Jork, ridendo di cuore.“O magari batteremo il generale dopo due secondi e

sarà lui a nascondersi” ribatté Vylisour, facendo finta di voler combattere con Kyvenge.

“Ora sei tu l’ottimista!” rispose Kyvenge, reagendo al finto combattimento e colpendo l’amico con un pugnale invisibile. Vylisour si gettò a terra, fingendo di morire tra atroci sofferenze, mentre Zaref e Jork, con le mani in tasca, si incamminavano tra i cespugli di viole del pensiero e zafferanetto delle spiagge che crescevano lungo il muro laterale della Villa, chiacchierando.

***

Dopo pranzo, Atkinson aveva concesso ai suoi ospiti un paio d’ore di riposo nella stanza che aveva fatto attrezzare al piano terra della villa, dove, anche se un po’ stretti, avevano trovato posto due brande - oltre al comodo e spazioso letto matrimoniale che avrebbero condiviso Zaref e Jork. Una volta sistematisi, questi ultimi si erano addormentati della grossa, mentre i due ragazzi stavano a pancia in su sulle loro brande, chiacchierando a bassa voce. Verso metà pomeriggio, finalmente, Pokon bussò alla porta, invitandoli a raggiungere il cortile posteriore.

“Ci siamo” disse Vylisour a Kyvenge con una strizzata d’occhio. Kyvenge annuì, si alzò controllò il proprio equipaggiamento: non era andato alla villa con l’intenzione di combattere, ma visti gli eventi della sera prima e le brutte voci sull’esercito di Numar, si era portato dietro, per buona misura, la sua spada leggermente ricurva in stile orientale ed un piccolo pugnale, legato alla coscia destra da una sottile imbragatura in pelle. Vylisour invece contava più sulla possanza dei propri pugni e il peso dello spadone a due mani che aveva sempre brandito con grande abilità.

Attraversarono i freschi corridoi di Villa Atkinson,

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pavimentati di legno lucido e verniciati di bianco lungo i muri, ed uscirono dalla porta a vetri sul cortile posteriore, dove c’erano tre uomini ad attenderli: i soldati che normalmente pattugliavano ogni tanto il cortile erano stati fatti allontanare e disporre lungo i lati ed il fronte dell’edificio, per tenere segreto quell’incontro. Evidentemente, Atkinson non voleva che trapelassero già le prime voci sulla presenza di un nuovo Mago Elementale a Losille.

“Ben rivisti” disse Atkinson, accogliendoli. Era attrezzato per combattere seriamente, o almeno, non avrebbe potuto dare altra impressione che quella: portava con disinvoltura una pesante armatura ricca di decorazioni e dalle larghe ali protettive al di sopra delle spalle, che tuttavia gli lasciavano una discreta possibilità di movimento. Ai suoi fianchi stavano Pokon e Noko, anch’essi armati e decisamente più seri rispetto al pranzo. Kyvenge represse a fatica un rapido moto di tensione e paura che per un attimo sembrava stesse per prendere prepotentemente corpo nella sua testa: respirò a fondo, cercando di non pensare a nulla, si rilassò e fece un passo verso Atkinson, fermo in piedi al centro di una piccola arena di pietra dalla forma rettangolare. I suoi due sottoposti stavano fermi agli angoli alle spalle del generale, in attesa.“Questo sarà il nostro piccolo campo giochi per i prossimi giorni” spiegò Atkinson, accennando con le mani aperte al terreno intorno a sé. “Le regole sono molto semplici: chi mette l’avversario in condizioni di non nuocere, oppure riesce a lanciarlo fuori dall’arena, vince. É possibile combattere in tutti i modi, dalle mani nude alle armi, fino, ovviamente, alla Magia Elementale. Voglio assicurarmi che siate in grado di farlo.”

“E se perdiamo?” chiese Vylisour, evidentemente terrorizzato all’idea.

“Vi appendiamo a testa in giù con le catene che teniamo in cantina” scherzò prontamente Noko; Pokon gli scoccò un’occhiataccia, poi, vedendo che Atkinson non vi aveva dato peso, tornò composto come se non fosse successo niente.

“Se perderete, vi costringerò ad allenarvi ancora più duramente” disse Atkinson, sorridendo.

“Per quale motivo ci tieni tanto, Lucas?” chiese Zaref. Atkinson lo guardò intensamente, come se stesse soppesando la risposta.

“Ho le mie buone ragioni, Zaref, altrimenti non sarei qui a dedicare a voi quelle che potrebbero essere le ultime, preziose ore di pace prima della battaglia. Se ti fidi di me, ti prego di non farmi altre domande”.

Zaref annuì e si sedette accanto a Jork su una panchina di pietra poco distante dall’arena. Atkinson parve soddisfatto, si mise in posizione di guardia e disse:

“Vylisour, vieni tu per primo”.Vylisour ebbe un fremito, ma entrò nell’arena a petto in

fuori e con la determinazione negli occhi. Sfoderò la propria spada, stringendola con fermezza tra le mani, e si preparò al combattimento. Kyvenge notò che sembrava non stare più nella pelle. Con tutto quello che i due ragazzi avevano sentito dire dai popolani su Atkinson, erano curiosi di misurare le loro forze contro di lui quasi quanto lo sarebbero stati contro il leggendario Gaunor.

“Coraggio, ragazzo. Attaccami” disse ancora Atkinson, vedendo che Vylisour ancora esitava. Per un attimo, nessuno dei due si mosse. Poi...

Vylisour si lanciò alla carica, l’elsa della spada all’altezza della sua spalla, senza una parola di preavviso, senza un urlo: era concentrato e vigile. Ma lo era anche Atkinson. Il generale era ancora disarmato...

Vylisour calò un fendente micidiale all’altezza della spalla di Atkinson, intenzionato a tagliarlo in due: il generale schivò il colpo spostandosi all’ultimo momento, con una agilità che un uomo normale non avrebbe avuto indossando quell’armatura e che Kyvenge sospettò essere dovuta all’abilità di Atkinson con la magia. Tuttavia, Vylisour non si fece prendere di sorpresa e, nonostante Atkinson avesse tentato di andargli alle spalle,

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il ragazzo riuscì a cambiare la direzione del proprio colpo in corsa, tenendo a distanza il nemico e, contemporaneamente, calmandosi prima di preparare un nuovo attacco. Atkinson sorrise, Noko fischiò, ammirato, mentre Jork e Zaref urlavano: “Bravo!!”. Kyvenge, tuttavia, rimase silenzioso e concentrato: Atkinson aveva appena cominciato. In quel momento, il generale stava estraendo dal fodero la propria spada, una lunga lama leggermente ricurva ma dallo spessore molto maggiore rispetto a quella di Kyvenge, pur essendo anch’essa temibile ed elegante; Vylisour tentò un nuovo fendente dal basso per disarmare Atkinson, ed all’inizio pareva esservi riuscito, in quanto la spada del generale si era alzata in aria, lasciandolo momentaneamente scoperto... ma in realtà stava preparando il suo contrattacco...

“Questo, Vylisour, è il genere di nemico più pericoloso che ti capiterà mai di incontrare” disse Atkinson, prima di stendere rapidamente il braccio sinistro in direzione del ragazzo: Vylisour fece un verso di stupore, e poi venne scagliato all’indietro, come se fosse stato intrappolato in una tromba d’aria orizzontale, vorticando su sé stesso un paio di volte prima di cadere schiena a terra, la spada lontana dalle sue mani. Pokon e Noko applaudirono, mentre gli altri strabuzzavano gli occhi: a quanto pare, Atkinson era in grado di controllare più di un Elemento.

“Non solo lame e pugni, ma anche gli elementi della natura” spiegò tranquillamente Atkinson avvicinandosi a Vylisour, la spada stretta nella mano destra con la lama verso il basso. “Devi essere pronto ad affrontare cose più terribili del sangue sulle ferite, dei tagli sulla carne. Credi di poterlo fare?”

Vylisour si rialzò, afferrò la spada e tornò in posizione di guardia.

“Sono più che pronto!” rispose, fissando il proprio avversario con determinazione nonostante il forte dolore proveniente dalla sua schiena. Questa volta fu Atkinson ad attaccare, scattandogli contro frontalmente, per poi spostarsi e

tentare un colpo di gomito alla schiena del ragazzo: Vylisour si abbassò appena in tempo, colpendo Atkinson al ginocchio col proprio gomito. Il Generale fece qualche passo indietro, e Vylisour ne approfittò per eseguire un paio di affondi, tutti parati con grande rapidità da Atkinson.

“Difenditi!” gridò Kyvenge, e Vylisour lo fece appena in tempo: Atkinson stava per colpire lo sfidante con un calcio in pieno petto, ma invece il suo stivale si scontrò sul piatto della spada di Vylisour, che venne appena respinto indietro di un passo; nell’attimo di esitazione in cui il ragazzo stava cercando di capire cosa fare, però, Atkinson gli si avvicinò e lo colpì forte nello stomaco con il manico della spada, per poi mollargli un pugno sul torace ed un ultimo calcio sulle gambe, facendolo cadere a terra.

Vylisour sputò sangue sulla pietra dell’arena, e poi rimase lì fermo, ad occhi chiusi. Il Generale gli si avvicinò, lo guardò per un attimo, poi si voltò verso i suoi sottoposti e ordinò:“Pokon! Noko! Venite qui con una barella e portatelo nella stanza degli ospiti. Ci penserà Nya a curarlo, se può. Altrimenti ci penserò io fra poco”. I due uomini obbedirono e portarono via Vylisour; Jork fece per alzarsi, ma Zaref lo fermò con un gesto del braccio.

“Stai tranquillo, non è niente” disse all’amico. “Si è ripreso da azzuffate peggiori, ed il Generale non ha certo colpito per ucciderlo. Vediamo che cosa succederà adesso”.

Jork si risedette.“Curioso di vedere un combattimento tra stregoni?”

commentò Jork facendo l’occhiolino.“Decisamente sì” rispose Zaref, sorridendo mentre

Vylisour veniva portato via da Pokon e Noko.“Avanti, Kyvenge” chiamò Atkinson, tornando al centro

dell’arena e sistemandosi; ma non rinfoderò la spada. Kyvenge si fece avanti ed estrasse la propria arma.

“Spero non me ne voglia, ma chiunque si pari davanti ad un Mago Elementale senza essere in grado di contrastarne la

Capitolo II . Il dono degli elementi

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magia non ha speranze di vittoria” disse Atkinson, in modo che solo Kyvenge potesse sentirlo. “Se vi sto allenando è proprio per questo. Per lui, poi, è tutto più difficile. Tu hai un dono, ragazzo, e devi sapere come usarlo. Presto ne avremo bisogno”.

“Vylisour non può farlo?” chiese Kyvenge; era da ore che aveva solo quella domanda in testa, e poteva scommettere che anche Vylisour ce l’avesse.

“Non lo so ancora. Ma, se anche potesse, dubito che ci riuscirebbe come te”.

“Che cosa aspettano?” chiese Jork all’amico, osservando il generale ed il ragazzo fermi uno di fronte all’altro.

“Forse si stanno concentrando...” ipotizzò Zaref.“Perché? Che cosa ho di diverso, io?” chiese ancora Kyvenge.“Hai ottenuto il risveglio della tua magia in un modo

che non ho mai visto prima, e di cui tantomeno avevo sentito parlare. Ma non ti dirò altro, se non riuscirai a battermi” rispose Atkinson e, dicendo questo, scattò addosso al ragazzo, spingendolo a terra e puntandogli la spada alla gola.

“Pessimo inizio, ragazzo. Il tuo amico ha riflessi migliori, almeno”.

Kyvenge strinse i pugni, concentrandosi. Atkinson sbarrò gli occhi, prima di guardare le mani del suo avversario: aveva sentito, ancor prima che accadesse, l’elettricità crepitare e sfrigolare selvaggiamente dentro e attorno alle dita chiuse del ragazzo?

“Oh!” esclamarono Zaref e Jork, alzandosi in piedi per vedere meglio. Con un bagliore bianco accecante, Atkinson venne respinto all’indietro, volando in aria per un paio di metri prima di atterrare sulla schiena con un gemito di dolore. La sua spada giaceva accanto a Kyvenge, che si era appena rimesso in piedi, pronto a difendersi, ma a quanto pare non ce n’era ancora bisogno: il Generale giaceva a terra, dolorante, imprecando.

“Come... com’è possibile... questa intensità...?”Kyvenge si guardò la mano che non stringeva la spada,

sorpreso. Non si era reso conto di potergli fare tanto male.Atkinson si rialzò, respirando a fondo e, apparentemente,

un po’ a fatica. Sembrava aver subito pesantemente il colpo.“Devi... devi imparare... a controllarti, ragazzo! E se.. se

mi avessi ucciso?”“E’ possibile uccidere usando la magia degli Elfi?”“Certo... come credi che... abbiano combattuto... le

creature di Kornoma?” disse Atkinson. Kyvenge fece per prendere la spada del generale e passargliela, ma l’uomo fu più veloce: tese la mano, e la lama volò nella sua stretta.

“Come...?” esclamò Kyvenge, sorpreso.“Aria” rispose Atkinson. “Comodo, vero? Padroneggiare

diversi Elementi, e saperli usare con fantasia, è la migliore dote di un Mago Elementale. Ricordatelo... potrebbe salvarti la vita. Ora... in guardia. Facciamo sul serio”.

Kyvenge si ricompose, leggermente preoccupato dal tono sbrigativo e determinato del generale. I due si misero in posizione di guardia, uno di fronte all’altro.

“Non esistono regole in questo genere di combattimenti, ragazzo. Tieni a mente che il tuo avversario non mira a disarmarti, ma ad ucciderti” disse Atkinson, fissando intensamente Kyvenge negli occhi. “Nessun nemico osserverà i buoni comportamenti prima di tagliarti la gola, nessuno ti chiederà l’ultimo desiderio. Per affrontarli, dovrai essere più malvagio di loro”.

Più malvagio? Ma a cosa si riferisce? pensò Kyvenge, confuso.

E poi Atkinson attaccò, senza preavviso: si lanciò in una sequenza di affondi contro Kyvenge, ognuno dei quali avrebbe potuto essere letale se il ragazzo non fosse stato abbastanza svelto a schivarli e pararli tutti. Poi, una mano aperta uscì dal nulla, e Kyvenge si trovò scagliato all’indietro, attraversato da una scarica di quelli che sembravano essere piccoli fulmini che lo immobilizzarono per un attimo, lasciandolo alla mercé dell’avversario. Atkinson gli si avvicinò, l’arma abbassata,

Capitolo II . Il dono degli elementi

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mentre Zaref e Jork osservavano la scena sbalorditi.“Determinazione e fantasia sono tutto, in un duello.

Devi essere certo di sconfiggere l’avversario, e devi sapere come, ancora prima di farlo. Così vincerai.” disse Atkinson, prima di colpire Kyvenge nello stomaco con un pugno. Il ragazzo cadde a quattro zampe, guardandosi le mani tremanti, determinato a non accasciarsi, a non svenire. Si sentiva completamente sottosopra, rivoltato come un calzino. All’improvviso, si sentì, se possibile, ancora peggio: come se un’infinità di piccoli aghi lo stesse pungendo lungo tutto il suo corpo... Atkinson lo stava colpendo di nuovo, con una serie di fulmini ancora più potenti. Il ragazzo cadde a terra, ad occhi chiusi, incapace di muoversi.

“Basta, Lucas!” stava urlando Zaref. “Non vedi che è a terra?! Smettila!”

Dei passi affrettati, una voce. I fulmini si fermarono. Ma i passi non erano quelli pesanti e decisi di Zaref...

“Basta, papà. Il combattimento è finito” stava dicendo una ragazza.

Una ragazza?Le mani di Zaref lo presero e lo girarono a pancia in su,

mentre Jork sbraitava contro Atkinson.“Che cosa ti è saltato in mente?!”“E’ per il suo bene... deve capire...” stava dicendo il

generale. Kyvenge aprì gli occhi, senza riuscire a vedere niente più di qualche figura sfocata. Poi, un paio di mani diverse si posarono sul suo petto, e un piacevole tepore si diffuse nel suo corpo, mentre la luce attorno alle figure si faceva più intensa: sembrava di stare dentro ad una nuvola. Lentamente, le figure smisero di apparire sfocate, e Kyvenge vide un volto, dolce e delicato, ricambiare il suo sguardo con una certa apprensione: aveva morbidi capelli scuri e grandi occhi castani. Era la ragazza che aveva salvato dal mostro marino.

Capitolo IIIL’addestramento dei dubbi

“Che cosa sta succedendo? Di chi era quel grido?” esclamò Nya, terrorizzata. Tremava, e sembrava faticasse a mantenersi in piedi. Kyvenge la afferrò con un braccio sui fianchi, stringendola a se mentre con l’arto libero proiettava intorno a loro due e Vylisour lo scudo magico fatto di fulmini, ordinandogli di seguirlo. Noko si accodò a loro, la naginata stretta in pugno, mentre una nuova selva di frecce li attaccava dall’alto, invisibili portatrici di morte.

“Stai fermo, adesso.”“Io sono fermo...”“No, non lo sei, stai continuando ad agitare quelle

braccia.”Kyvenge inspirò profondamente, e tentò di tenere ferme

le mani mettendosele sotto il corpo. La ragazza accanto a lui lo guardò in modo molto strano.

“Cosa sei, un bambino? Non ti riesce proprio di restare immobile per qualche minuto?” chiese in tono esasperato, anche se stava sorridendo.

“Certo che ci riesco, è solo che...” rispose Kyvenge incespicando nelle proprie parole. “Mi fai solletico, ecco!”

“Ma piantala.”La ragazza poggiò molto delicatamente le proprie mani

sul petto di Kyvenge: solo le punte delle dita lo toccavano, mentre il palmo era leggermente rialzato. Un benefico senso di rilassatezza si diffuse nel corpo del ragazzo, mentre la luce bianca lo avvolgeva ancora una volta.

“Ecco fatto, ora dovrei aver davvero finito” commentò la ragazza, guardandolo. “Come ti senti?” si sedette su una sedia di legno accanto al letto, e si sfregò le mani.

“Bene, grazie... benissimo” rispose Kyvenge. “Hai freddo?”

“Uhm? Ah, mi sto sfregando le mani” notò lei. “No no, è per via... perché ti ho curato. Subito dopo mi si raffreddano le

Capitolo III - L’addestramento dei dubbi

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mani, come se ti cedessi un po’ del mio calore per curarti.”“Wow... davvero? Che sensazione è?” chiese Kyvenge,

attonito.“Strana. E’ come se... dovessi perdere qualcosa per

trovarne un’altra” rispose la ragazza. Si zittì un momento, come riflettendo sulla propria affermazione, poi ridacchiò piano. “Ah, lascia stare, ho detto una sciocchezza. Tieni solo a mente che è strano usare una magia curativa e che ti fa venire le mani fredde”, concluse la ragazza in tono didattico.

“D’accordo, ho capito l’antifona: ti regalerò dei guanti belli caldi” ribatté Kyvenge, prima di ridere a sua volta.

Erano nella sala degli ospiti; Pokon e Noko avevano portato lì Kyvenge con la stessa barella che avevano usato poco prima per trasportare Vylisour, steso sul letto a due piazze, mentre Kyvenge stava su uno dei letti singoli. Vylisour era già stato curato e ora guardava il soffitto con occhi vuoti, le mani incrociate dietro la testa.

“Come hai detto che ti chiami?” chiese Vylisour, senza guardare la ragazza.

“Oh, non l’ho detto... Nya. Mi chiamo Nya” rispose la ragazza, alzandosi per stringergli la mano; ma Vylisour non si mosse né si voltò a guardarla.

“Chi sei?” chiese ancora.Nya guardò perplessa il ragazzo, ma senza scomporsi

rispose:“Sono la figlia del Generale Atkinson. Vivo qui con lui alla villa. Non lo sapevate? Di cosa avete parlato tutto questo tempo?”

“Beh, più o meno si è trattato di una specie di consiglio di guerra” tagliò corto Kyvenge, il quale conosceva troppo bene l’amico per non notarne l’atteggiamento insolitamente astioso. “Che hai, Vyl?”

“Niente...”“Ci sei rimasto male per la sconfitta?”Nessuna risposta. Nya si voltò a guardare Kyvenge,

perplessa, poi si rivolse a Vylisour:

“Pensavi di sconfiggere Atkinson al primo tentativo?”Di nuovo, Vylisour non rispose.“Se davvero l’hai pensato, sei proprio un gran sbruffone,

oltre che un pessimo spadaccino”.Ora la ragazza aveva toccato un nervo scoperto.

“Come potrei sconfiggere uno che non mi permette neanche di avvicinarmi?! E’ assurdo!” sbottò, girandosi per la prima volta verso Nya e Kyvenge. Entrambi lo guardavano come se fosse impazzito. Vylisour tornò a sdraiarsi girato dall’altra parte.

“Vyl, guarda che ha ragione lei...” disse Kyvenge. “Oggi abbiamo scoperto cose che non avremmo mai neanche immaginato, fino a... beh, anche solo fino a ieri. Chi avrebbe mai pensato...?”

“Che tu avessi dei poteri magici? Nessuno, mai.” terminò la frase acidamente Vylisour. “Tantomeno mi sarei immaginato che tu potessi durare più a lungo di me contro il generale.”

“Ce l’hai con me?” esclamò Kyvenge, sorpreso.“Sì... cioè, no. É che… è stata una gran brutta rivelazione

per me.” rispose Vylisour. Nya continuava a guardare da uno all’altro, indecisa se prendere la parola o meno. Kyvenge rimase in silenzio, a sua volta incapace di parlare. Poi, finalmente, si decise a dire:

“Non ho chiesto io che succedesse tutto questo, Vylisour. Tu c’eri, sai cos’è successo.”

Vylisour tacque. Ci fu un altro, lungo silenzio imbarazzante. Kyvenge si alzò, si sedette sul lettone accanto a Nya, e toccò la spalla dell’amico, che ancora gli dava la schiena, e disse:

“Se ci fosse il modo, dividerei questa cosa con te. Sbagli se pensi il contrario.”

Vylisour continuava a tacere. Kyvenge scambiò un’occhiata silenziosa con Nya, ed entrambi si alzarono.

“Meglio uscire a prendere un po’ d’aria fresca. Ti lasciamo riposare, Vyl. Quando vuoi, ci trovi qui nel giardino.”

Capitolo III - L’addestramento dei dubbi

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Il ragazzo grugnì il suo assenso, e gli altri due uscirono chiudendo la porta.

***

All’esterno, brillava il sole caldo dell’estate, e così Kyvenge e Nya si avviarono all’unisono verso uno degli ulivi più grandi, in cerca di rifugio dalla calura. Pensandoci, una domanda sorse spontanea nella mente di Kyvenge:

“Ieri... non era Mezzagosto, eppure stavano sparando i fuochi d’artificio. Come mai?”

Nya fece un sorriso triste e continuò a guardare per terra, smuovendo l’erba con un rametto.

“Atkinson crede che la pace durerà poco. Ha ordinato lui di festeggiare appena possibile.”

Kyvenge la osservò in silenzio. Osservata da vicino, sembrava ancora più carina. Ripensò alla notte precedente, quando l’aveva tenuta stretta, quando, forse, le aveva salvato la vita. Per la prima volta, si rese conto che non ne avevano ancora mai parlato, che si erano incontrati nel più inaspettato dei modi. Si chiese, per un attimo, se non fosse stato il destino, in qualche modo, a farli incontrare.

“Cosa pensi? Hai lo sguardo perso nel vuoto... qualcosa non va?” chiese la ragazza.

“Oh... scusami, a volte mi succede” rispose Kyvenge, riscuotendosi dalle sue fantasie. “Penso ad una cosa, e poi me ne viene un’altra, e poi un’altra ancora e parto per la tangente!” Nya rise. Era bella quando rideva, le si illuminavano gli occhi.

“Un sognatore, eh?”“No.. cioè, non proprio. Non sempre. Forse è una

reazione... non lo so. Evado dalla realtà rifugiandomi nella mia testa.”

“Ah si? E come si sta?”“Beh.. è comodo” disse Kyvenge, fingendo di soppesare

la risposta. “Sai, la mia testa è per lo più vuota, quindi c’è tanto

spazio.” Nya rise di nuovo.“Ottimo, non avrai problemi quando si tratterà di metter

su casa!”“Già, infatti!”I due rimasero in silenzio per un po’, ognuno seduto per

terra con la schiena appoggiata contro il tronco dell’albero; Nya ondeggiava leggermente le gambe a destra e sinistra.

“Come stai?” chiese all’improvviso Kyvenge, semplicemente, come se fosse stata la prima cosa che gli fosse venuta in mente.

“Io... bene, bene” rispose Nya, colta alla sprovvista. “Come mai me lo chiedi?”

“Beh... stavo ripensando... a stanotte” disse Kyvenge, incespicando nelle parole. “Sai... non riesco a levarmelo dalla testa. Il mostro marino, intendo”.

“Già... anch’io.”Silenzio. Kyvenge si rese conto che, forse, quella notte

erano morte delle altre persone. Magari qualcuno che la ragazza conosceva.

“Io... mi... mi sono buttato in acqua convinto di poter fare qualcosa... salvare qualcuno” disse ancora Kyvenge, cercando in qualche modo di scusarsi per tutto quello che avrebbe voluto fare, ma che purtroppo non gli era riuscito. C’era un leggero tono di supplica nella sua voce, e se ne vergognò un po’ quando Nya si voltò verso di lui e gli prese la mano.

“Tu sei stato coraggiosissimo. Non hai nulla da recriminarti.”

Kyvenge deglutì.“Avrei voluto fare di più.”“Non potevi. Non avevi mai visto una cosa del genere,

nemmeno io l’avevo vista. Forse solo Atkinson e alcuni dei suoi avevano combattuto contro creature del genere finora” lo consolò Nya, accarezzandogli la mano. “Io ti sono molto grata per quello che hai fatto, forse è solo grazie a te se sono viva. E, sicuramente, il tuo gesto è da ammirare.”

Capitolo III - L’addestramento dei dubbi

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Allora lei sapeva! pensò Kyvenge.“Hai detto... hai detto che tuo padre... aveva già visto

qualcosa del genere?” chiese Kyvenge, stupito.“Certo. Per quale motivo credi che lo abbia ucciso con

così tanta facilità? Lui li aveva già affrontati.”Kyvenge si voltò a guardarla, incredulo.“Dove?”“Ad est. Nelle regioni più selvagge di Nauros. Pare che lì

vivano le creature più strane. Atkinson è stato lì in passato... me lo ha raccontato spesso, da bambina.” spiegò Nya.

Kyvenge emise un lungo, basso fischio di ammirazione.“Incredibile...”“Davvero. Beh... parliamo di cose più allegre... vuoi?”

chiese lei, senza guardarlo. Ma Kyvenge non riusciva a trattenersi.

“Posso farti solo un’ultima domanda?”Nya sbuffò.“Va bene, chiedi...”“Ieri notte, sulla barca... chi altri c’era con te?”La ragazza smise di giocare con il rametto, e si strinse le

mani una contro l’altra, annodando le dita tra loro.“Eravamo... beh... in quattro. Io, la mia amica Kyma, e...

due nostri amici.”Kyvenge tacque. Se l’aspettava. Tuttavia, non sapeva se

avrebbe avuto il coraggio di chiedere chi non fosse più tornato da quelle acque. Per sua fortuna, però, non ebbe bisogno di essere lui a porre l’ultima domanda.

“Kyma è stata trovata e portata alle Case di Guarigione” continuò Nya. “Ho aiutato io stessa a rimetterla in buone condizioni, come ho fatto con te prima... e con Vylisour... usando la magia curativa. Credo... credo che si rimetterà presto. Gli altri...”

Non riuscì a finire la frase, e questa volta fu Kyvenge e stringere la sua mano nella sua. Era più piccola, e decisamente più fredda. Tremava.

“S-scusami, io... sono una stupida...” disse Nya, passandosi velocemente una mano sugli occhi. Senza dire nulla, Kyvenge le passò un braccio dietro le spalle e la strinse a sé. Nya singhiozzò un paio di volte, ma si riprese abbastanza presto, allontanandosi leggermente dal ragazzo e passandosi un fazzoletto sugli occhi, prima di soffiarsi il naso.“Grazie... è passato, è passato...”

“Scusami tu se ti ho fatto certe domande... non avrei dovuto... non volevo farti piangere.” disse Kyvenge, imbarazzato, e di nuovo vergognoso di sé stesso.

“Lascia stare... non è colpa tua...” disse Nya, facendo un gesto con la mano come per fargli capire che non era importante.

“Ma... tu non eri svenuta? Come facevi a sapere...?” chiese tutto a un tratto Kyvenge.“Non sono rimasta incosciente tutto il tempo” spiegò lei. “Ricordavo di essere stata portata via da qualcuno, anche se non ti avevo visto in faccia. E poi, quando mi sono risvegliata nelle Case di Guarigione, ho sentito Pokon e Noko raccontare ad Atkinson cos’era successo. Credo sia anche per questo che il generale voleva conoscervi così presto... soprattutto te.”

Kyvenge non riuscì a sostenere il suo sguardo, e girò la testa verso il terreno su cui stava seduto. In appena un giorno, il suo mondo era stato già parecchio sconvolto.

“Tu... conosci Atkinson meglio di chiunque altro, credo. Cosa credi che stia cercando... da noi? Da me?”

Nya soppesò un attimo la risposta, prima di parlare. Poi disse:

“Non te lo so dire con certezza. Ma... credo che l’improvviso risveglio dei tuoi poteri magici... sia stato una specie di segnale, per lui. I Maghi Elementali possono imparare ad usare la loro magia solo da un maestro. Di regola, non si manifestano autonomamente, questi poteri. Fanno parte del contatto residuo con la natura rimasto negli uomini... sono abilità sempre più rare.”

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“Perché?” chiese Kyvenge. Voleva saperne quanto più possibile sugli Elementali, e sugli Elfi, e su tutto il resto. Ne aveva sempre sentito parlare solo nelle storie, e ora, all’improvviso, tutte le sue fantasie sembravano essere uscite dalle favole per incarnarsi in realtà.

“Per via del costante allontanamento degli Uomini dalla natura. La tecnologia aiuta all’apparenza, ma in realtà non fa che togliere abilità all’uomo. Senza le macchine, non si sa più costruire...”

“E questo ci allontana dalla natura?”“Sì... si perde la capacità di vedere con i propri occhi, di

sentire con le proprie orecchie. E, soprattutto, di capire ciò che si sente, di pensare con la propria testa. Siamo sempre più inibiti, inabili a nuocere... non perché minacciati da qualcun altro, ma perché rinchiusi nella nostra stessa testa. Gli Elfi invece riuscirono a dominare l’essenza stessa della natura, a fondersi con essa ed a piegarla alla propria volontà.” spiegò Nya. “Non con la forza, ma con la gentilezza e l’umiltà.”

“Come sai tutte queste cose?” chiese Kyvenge, sempre più curioso.

“Me le ha spiegate Atkinson. Conosce un sacco di cose sugli Antichi. Ma non chiedermi dove le abbia imparate lui, perché non ti saprei rispondere.”

Sollevato dall’umore decisamente meno triste della ragazza, Kyvenge continuò a fare domande.

“E... cosa credi che significhi... questo ‘risveglio’ dei miei poteri magici?”

“Non so... forse sei di discendenza elfica. Magari qualche tuo antenato...?” ipotizzò la ragazza.

“E’ il mio turno di dirti che non so cosa risponderti...” disse Kyvenge, sorridendo. “Posso arrivare a stento a parlarti dei miei nonni, e so per certo che fossero uomini dell’est.”

Nya non sembrò perdersi d’animo.“Non escluderei ancora nulla. A sud-est si trova Garas

Dolon, la più grande fonte di notizie che abbiamo sugli Elfi. E’

l’ultima città sopravvissuta alla Guerra del Male.”Kyvenge conosceva quei nomi. La Guerra del Male, anche

chiamata la Grande Guerra, apparteneva ad un’epoca molto lontana, calcolabile probabilmente in centinaia, se non migliaia di anni, ma il suo ricordo ancora terrorizzava gli uomini per via dei terribili partecipanti a quello scontro leggendario: da una parte, gli Elfi e gli uomini, e dall’altra, Kornoma, il Male stesso, incarnato sotto forma visibile e mortale. Con il suo esercito di Torn e altre creature malvagie, aveva messo a ferro e fuoco il continente di Nauros, fino all’estremo risultato di distruggere interamente la civiltà elfica, per poi sparire egli stesso nel nulla...

“Ma le rovine di Garas Dolon sono... beh, vuote. Che cosa c’è lì di tanto utile per noi?” chiese Kyvenge.

“Adesso sono vuote” rispose Nya. “Ma non lo sono state sempre. Gli uomini hanno scavato per anni tra quelle pietre, trovando tesori e antichi manufatti... e scoperto quanto più possibile sul conto dei Primi. Conoscevano molte cose che noi, oggigiorno, ignoriamo.”

“Ehi, voi due! Avete finito di cincischiare?” chiamò la voce di Zaref dall’altro cortile. “Tra un po’ si cena! Chiamate anche Vylisour e raggiungeteci, dai!”

Nya si avvicinò a Kyvenge e bisbigliò:“Ascolta, ne parleremo meglio in un altro momento.

Per ora ti basti sapere che padroneggiare la Magia Elementale potrebbe essere basilare, non solo per te, ma anche per molti altri. Hai scoperto di avere un dono. Ora devi assolutamente coltivarlo, quanto più possibile.”Si alzò e si incamminò a passi veloci verso la villa, lasciando Kyvenge coi propri pensieri, mentre la luce mutava rapidamente verso il rosso del tramonto.

***

“Che cosa sta succedendo, Lucas?” chiese Zaref, una

Capitolo III - L’addestramento dei dubbi

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volta che Pokon e Noko ebbero portato via Kyvenge sulla barella. Erano rimasti solo loro due e Jork nell’arena.

“Niente, niente, non preoccupatevi...” rispose Atkinson, scrollandosi e spazzolandosi l’armatura con la mano. “E’ tutto sotto controllo...”

“Sotto controllo? Quello sarebbe sotto controllo?” esclamò Jork, sprezzante. “Generale, con tutto il rispetto...”

Atkinson fece segno all’uomo di tacere. Jork obbedì, in attesa.

“Ho dovuto farlo” spiegò il generale. “Dovevo capire... dovevo provare...”

“Provare cosa?” insisté Jork. L’altro non rispose.“Sentite... è complicato...”“Abbiamo tempo. Ora che i suoi uomini avranno portato

di nuovo Kyvenge alle Case di Guarigione...” stava dicendo Zaref, ma Atkinson lo interruppe.

“I ragazzi non andranno alle Case di Guarigione. Ci penserà Nya a curarli.”

“Nya?”“Mia figlia.” disse Atkinson, rispondendo alla richiesta

di spiegazioni dei due uomini. “La ragazza che la scorsa notte Kyvenge ha salvato dalle fauci del serpente marino. E’ stato un segno del fato che loro due si siano incontrati proprio ieri notte, in quel modo, e che il ragazzo abbia scoperto di possedere un potere magico di cui io stesso non ho mai visto l’eguale.”Zaref e Jork lo fissarono a bocca aperta. Poi, Jork chiese:

“Come fai a sapere che Kyvenge possiede un dono del genere? Come puoi dire quanto grande sia il suo potere, se finora non ne hai avuta che una misera dimostrazione?”

“Lo so e basta.”“Lucas, tu ci devi dire la verità...” reagì Zaref. “Altrimenti

come potremmo avere fiducia...?”“Non ve ne posso parlare... non ancora... non adesso”

disse Atkinson, recuperando il suo solito tono leggero ma risoluto. “Kyvenge ora deve seguire la strada che ha imboccato

di sua spontanea volontà la scorsa notte.”“Ma che cosa è successo la scorsa notte di così

importante?!” sbraitò Jork. “Sono stufo di sentirvene parlare in questo modo senza poterci capire qualcosa!”

Atkinson puntò i propri occhi intelligenti e penetranti in quelli solitamente pacati di Jork, che però, in quel momento, ardevano di dubbi.

“Ho combattuto queste creature per anni, in gioventù” disse finalmente il Generale, senza allontanare il proprio sguardo da quello di Jork. “Li conosco. So bene cosa significano.”

Il silenzio di Zaref e Jork, invece, sembrava parlare per loro, che non sapevano bene di cosa si stesse discutendo.

“Mostri del genere sono emanazioni del Male. Rappresentano la volontà di Kornoma, manifestatasi tra gli uomini. Significa che lui si sta rafforzando, e sta diventando potente proprio qui, a Nauros.” spiegò il Generale.

“Che cosa significa tutto questo?” chiese Zaref. “Ci stai dicendo che... che il male... può prendere forma? Diventare... solido?”

“Carne. Forme. Qualsiasi cosa vivente, credo. Esistono persino luoghi... ricolmi di male. Gli uomini possono sentirlo... a volte. Non tutti gli uomini, non sempre. Il male è diventato così potente da poter intervenire nel mondo come una creatura a sé stante, dotata di vita e pensieri propri...”

Zaref ascoltava attonito; Jork, invece, sembrava scettico.“Ora stai esagerando, Lucas. Ci hai mostrato la magia,

e hai detto che deriva dagli Elfi... ma gli Elfi sono estinti... non esistono più da millenni. Le leggende sulla Guerra del Male che diventano storia... mi sembra davvero troppo.” disse in tono pratico. Zaref lo guardò, come sperando che le sue parole fossero vere, ma senza crederci troppo.

“Avrai modo di scoprire, temo, se le leggende siano effettivamente solo fantasia o no.” commentò Atkinson.

“Come mai ne sei tanto sicuro?” chiese Zaref, intenzionato evidentemente a trovare la verità nel mezzo.

Capitolo III - L’addestramento dei dubbi

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“Perché io sono capace di vedere le cose. Non tutte, certo... solo alcune.”

“Cosa stai dicendo?” chiese Jork.“Prevedo il futuro. A volte. Beh, in effetti, non faccio

altro che sognarlo. Ma, troppo spesso, questi miei sogni... si avverano.” spiegò Atkinson. I due uomini rimasero di nuovo a bocca aperta.

“Davvero?” chiese Jork, ancora troppo incredulo.“Davvero. Hai la facoltà di credermi oppure no, Jork,

ma presto potresti ricrederti, se tu non volessi proprio darmi fiducia.”

L’uomo tacque, meditabondo. Zaref invece chiese:“Hai visto qualcosa... su Kyvenge, non è vero?”Atkinson si voltò verso il padre del ragazzo.“Non dovrete mai dire niente a loro. Mai. Per nessuna

ragione.” disse il generale, in un tono che non ammetteva discussioni: non era una richiesta.

“Perché...?”“Perché nessuno sapeva di questa mia capacità. Nessuno

lo ha mai saputo. Ma... a voi due... dovevo dire la verità.” lo sguardo di Atkinson era più che determinato, ma il tono sembrava, in qualche modo, più dolce. “Voi siete i padri dei ragazzi. Era giusto che sapeste.”

“Sapere... cosa?” chiese ancora Jork.“Sapere che la responsabilità che pesa sulle loro spalle

è enorme. Hanno bisogno della vostra fiducia, tutta la vostra fiducia, e il vostro coraggio. Quando loro saranno dubbiosi, starà a voi spingerli nella giusta direzione, anche se voi stessi avrete da temere nel far loro seguire quella via.” spiegò Atkinson.

“Quale via?” chiese Zaref.“La via degli Elfi. L’antica strada che riunisce gli

Elementi.”

***

A cena, tutti facevano finta di non avere nulla di strano, mostrandosi persino eccessivamente cortesi gli uni verso gli altri. Atkinson, Zaref e Jork si mostrarono imperturbabili, mentre Kyvenge e Nya si scambiavano più occhiate del solito: Vylisour non li aveva raggiunti per tutto il pomeriggio e anche a tavola non era molto loquace. Tuttavia, gustarono con piacere le costolette di agnello cucinate dall’ottimo Noko, accompagnate da generose porzioni di patate al forno.

“Da domani faremo sul serio” annunciò Atkinson, che in seguito alla chiacchierata con Zaref e Jork si era spogliato della sua armatura ed era tornato in abiti civili: portava una lunga camicia a collo alto color cielo che faceva risaltare ancora di più la sua pelle abbronzata di chi passa molto tempo all’aria aperta. “Vi allenerete con Pokon, la mia guardia del corpo oltre che ottimo Comandante.” continuò il Generale, indicando l’uomo con un rapido gesto della mano: Pokon stava in piedi accanto alla porta, senza dire niente. Noko invece mangiava in cucina.

“In cosa consisterà l’allenamento?” chiese Zaref prima che Kyvenge potesse aprire bocca.

“Scherma, corsa, piegamenti e tutto quanto serve a tenere pronto il fisico” rispose Atkinson. “Non vi serve a niente essere bravi a lanciare fulmini e quant’altro, se non sapete battere un Torn a braccio di ferro.”

Kyvenge sorrise fra sé e sé, ma la cosa non sfuggì a Nya, che lo guardò di sottecchi. Tuttavia, nessuno dei due disse niente.

“Ogni due giorni faremo un nuovo incontro nell’arena” stava dicendo Atkinson. “Se tutto va bene, riusciremo a combattere tra di noi almeno tre o quattro volte prima dell’arrivo dell’esercito di Numar. Non possiamo rilassarci neanche un giorno, purtroppo... il tempo stringe, e dovete essere preparati.”

Vylisour sbuffò fissando proprio piatto mezzo pieno, ma nessuno vi fece caso.

“Vi consiglio di tenere la mente sgombra e pensare meno

Capitolo III - L’addestramento dei dubbi

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possibile a quello che ci aspetta. Sarà dura, sarà pericolosa... sarà la vostra impresa. E solo voi potrete decretarne la vittoria o la sconfitta. Ma, anche nella sconfitta, nessuno potrà biasimarvi, se vi sarete battuti al massimo delle vostre capacità. E’ tutto qui, il segreto” disse Atkinson riempiendo il proprio calice di vino rosso. Il generale alzò lo sguardo, facendolo scorrere su ognuno dei suoi ospiti. Alzò il calice.

“Zaref” disse, muovendo il braccio teso verso l’uomo. “Alla salute.”

Zaref alzò a sua volta il proprio calice, ed i due uomini brindarono. Atkinson ripeté il gesto con Jork, e poi disse:

“A voi, che conosco da così poco, ho chiesto il vostro bene più grande. Il destino ci ha fatti incontrare nel momento del reciproco bisogno, e forse ci farà anche gioire di questo, un giorno. Avete i miei più sinceri ringraziamenti.”

Zaref e Jork annuirono ed i tre uomini bevvero; poi Atkinson riempì di nuovo il proprio calice, lo alzò in direzione dei tre ragazzi e disse:

“Kyvenge, Vylisour... Nya.” si interruppe un momento, incerto. Ed infine disse: “A voi, che conosco da ancor meno, chiedo ancora di più. Perdonate, ripeto, le brusche maniere ed i modi frettolosi. Non ho potuto agire diversamente, e tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto a malincuore. Devo chiedervi di fidarvi di me senza potervi dare niente in cambio, ma vi assicuro che se lo faccio è per una buona ragione.”

“Non vi dirò che il destino di Nauros pesi esclusivamente su di voi o altre baggianate del genere. Nessuno può sapere una cosa del genere finché non c’è dentro, innanzitutto. Secondariamente, non si tratta di una cosa grande, ma di un’altra, più grande ancora: si tratta di voi.”

Vylisour alzò gli occhi, giochicchiando con il cibo nel suo piatto. Difficile dire cosa stesse pensando.

“Se voi volete, potrete realizzare ogni cosa vi venga in mente. Io ho fiducia in voi. Vi prego di averne altrettanta in me. Da oggi, non siete soltanto Soldati di Nauros... siete miei uomini.

Questa è un’investitura ufficiale, e dovrete rispettare ogni mio ordine. Ma, se vi ho fatto questo lungo e noioso discorso prima di dirvelo, è perché voglio che teniate sempre a mente qual è il vostro obiettivo: lottare per ciò che ritenete giusto.”

Atkinson abbassò il calice, senza bere. Nessuno parlò.“Siete liberi di tornare nelle vostre stanze per la notte, se

desiderate. Ci vediamo fra due giorni nell’arena.”

***

Quella notte, Kyvenge fece molta fatica ad addormentarsi. Lui e Vylisour si ritirarono nella stanza degli ospiti quasi nello stesso momento, senza tuttavia essersi messi d’accordo, e, soprattutto, senza che la tensione tra loro si fosse sciolta. Andarono a letto senza una parola, e Kyvenge si sentì stranamente vuoto e colpevole nel coricarsi, nonostante fosse sicuro di non aver fatto nulla di male.

Gli passerà, si disse. E’ solo di malumore per le delusioni che ha subito oggi.

Vylisour non era mai stato secondo a Kyvenge in niente, sul piano fisico. Era sempre stato più forte e veloce di lui. Essersi visto superato, per la prima volta, nel campo in cui aveva sempre eccelso lo aveva distrutto. Kyvenge non poté fare a meno di sentirsi responsabile per la delusione dell’amico, nonostante tutto ciò che continuava a ripetersi fosse proprio “non è assolutamente colpa mia”. Nel buio che circondava il suo letto, il ragazzo finì per distrarsi ascoltando le voci di Atkinson, Zaref e Jork che venivano dal piano di sotto, per non sentire i pensieri che vorticavano nella sua testa, e tornavano sempre sullo stesso dubbio: ho sbagliato qualcosa?

***

Gli allenamenti con Pokon si rivelarono decisamente più duri di quanto i ragazzi avrebbero mai immaginato.

Capitolo III - L’addestramento dei dubbi

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La mattina seguente, a colazione, Atkinson non si vide; Noko spiegò loro che, in condizioni normali, il Generale avrebbe mangiato a casa, ma che in quei giorni usciva spesso prima dell’alba e rimaneva fuori anche fino a dopo pranzo. A fare cosa, non lo sapeva.

Il malumore di Vylisour non sembrava ancora passato, e tuttavia Zaref e Jork, che alla fine dovevano aver notato qualcosa, non ne parlarono: probabilmente capivano da soli da cosa fosse causato. Kyvenge mangiò di malavoglia i biscotti freschi comprati da Noko alla bottega del panettiere, che ogni mattina preparava anche dolci, pensando a come avrebbe fatto a rimettere a posto le cose con l’amico. Era arrivato al quinto buonissimo biscotto quando Pokon, armato di tutto punto, si affacciò nella stanza dalla porta-finestra e sbraitò:

“Vi date una mossa? Sto aspettando voi!”I ragazzi si alzarono, uscirono nel cortile posteriore e

presero posto uno a due metri dall’altro sull’arena di pietra, dove Pokon li obbligò ad eseguire vari esercizi di riscaldamento prima di passare alle cose serie. Dopo decine di flessioni e piegamenti, varie centinaia di passi di corsa sul posto e in tondo, il Comandante li fece combattere un paio di volte uno contro l’altro. Kyvenge trattenne il proprio istinto di abbrustolire Vylisour come una cotoletta usando la Magia Elementale, e finì per essere sconfitto due volte di seguito, al che Pokon ordinò a Vylisour di andare a riposarsi un po’, ricordandogli di liberare la mente, come aveva detto la sera prima Atkinson a tavola. Poi l’uomo si avvicinò a Kyvenge.

“A che gioco stai giocando, ragazzino?” chiese, guardandolo torvo.

“Eh?”“Immagino che tu volessi dire ‘eh, signore?’”Kyvenge trattenne a stento una risata.“Si, volevo dire... volevo dire ‘cosa intende, signore?’”“Molto meglio. Comunque, ti ho chiesto come mai ti stai

comportando così. Quel ragazzo è più forte di te fisicamente,

d’accordo, ma tu sei più veloce, più potente e, se non mi sono illuso, più intelligente. Che-cosa-stai-facendo? Perché ti sei fatto battere?”

“Io... io non mi sono fatto battere!” esclamò Kyvenge, sulla difensiva.

“Raccontalo ad un Akemi” sbuffò Pokon. “Non mi dire balle e spiegami perché ti sei comportato come un idiota!”

Kyvenge cominciò a sentirsi un po’ offeso, avendo agito in buona fede, ma rispose:

“Per... per il suo bene, signore.”Pokon alzò gli occhi al cielo.“Ragazzini!” sbuffò ancora, imprecando. “Per il suo

bene? L’unica cosa che devi fare ‘per il suo bene’ è riempirlo di batoste finché non si sveglia, altrimenti non capirà mai di dover mostrare molta più umiltà per imparare! Nessuno si lascerà sconfiggere volontariamente da lui sul campo di battaglia! Se tu sei più forte di lui, devi dimostrarlo, e se lui vuole diventare più forte di te, deve dimostrarlo a sua volta! Ora torna nell’arena e macellalo, o fatti macellare, se devi - ma che sia una cosa vera!”

Kyvenge tornò sulla pietra dell’arena a testa bassa. Aveva sbagliato di nuovo. Per un momento, si chiese dove fosse Nya, e che cosa avrebbe detto di quello che aveva fatto, se lo avrebbe consolato, incoraggiato, o se lo avrebbe sgridato come aveva appena finito di fare il Comandante. Si chiese anche cosa fosse un Akemi, ma in quel momento non aveva troppo tempo per arrovellarsi su dubbi di quel genere: Vylisour era appena tornato, passandosi un asciugamano sulla fronte, e aveva raggiunto l’arena, pronto a combattere di nuovo.

“Cominciate il nuovo duello” disse Pokon. “Se dovete ferirvi a sangue, fatelo, ma non sporcate in giro, per favore.”

***

“Allora? A che gioco stai giocando?” chiese Kyvenge, ponendosi nuovamente di fronte a Vylisour, i suoi sentimenti

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divisi tra la volontà di umiliarlo e quella di fare pace.“Non sto affatto giocando,” rispose Vylisour, assumendo

la posizione di guardia. Kyvenge strinse più forte l’elsa della spada, fissando negli occhi il suo migliore amico.

“Tu non sei davvero arrabbiato con me. Ce l’hai soprattutto con te stesso!”

“Pensala come ti pare..” rispose Vylisour con aria noncurante, ma Kyvenge notò che il suo sguardo si era abbassato.

“Piantala di fare l’idiota!” sbottò Kyvenge, scattando in avanti e tentando un affondo diretto allo stomaco dell’altro ragazzo. Vylisour si scansò agilmente e, con una piccola piroetta su sé stesso, rispose al colpo con identica violenza e precisione, ma anche questo venne deviato con facilità dalla lama di Kyvenge. Quest’ultimo in particolare sembrava aver preso fuoco: le sue gambe non cessavano un istante di muoversi, la sua spada danzava pericolosamente nell’aria, sempre più vicina alle braccia di Vylisour, mentre a lui non restava altro che schivare e parare, camminando all’indietro senza neanche accorgersene...

“Finalmente si sono decisi a fare sul serio” borbottò Pokon tra sé e sé.

Più che sul serio. Kyvenge, con un calcio poderoso al ginocchio di Vylisour, riuscì a far cadere il proprio nemico a terra ed a puntargli la spada alla gola, ansimando per lo sforzo. Vylisour alzò istintivamente il capo verso l’alto, ritraendosi per paura di venire colpito: la punta della lama tremava leggermente, e così la mano di Kyvenge.

“Ti... ho... sconfitto... senza usare la magia!” esalò il ragazzo.

“Bravo... vuoi un applauso?” rispose Vylisour. “Io l’ho sempre fatto, negli ultimi dieci anni” aggiunse amaramente.

“Basta così, ragazzi, per oggi siamo a posto...” stava dicendo Pokon, avvicinandosi.

Ma in quel momento, con un grido di rabbia repressa, Kyvenge scagliò una folata di fulmini che, partendo dal

suo braccio, percorsero la lama della spada per tutta la sua lunghezza e trafissero Vylisour in pieno petto. Stupefatto, il ragazzo sbarrò gli occhi e sputò sangue, prima di cadere a terra, steso sulla schiena. Pokon lanciò un urlo e si avvicinò di corsa ai due, allontanando Kyvenge con un braccio.

“Che diavolo credevi di fare?! Nya! NYA!” urlò Pokon, inginocchiandosi accanto al corpo esanime di Vylisour e strappandogli la maglietta dal colletto in giù per esaminare la ferita: un sottile taglio orizzontale largo quanto la lama della spada di Kyvenge da cui usciva copiosamente sangue. Il Comandante lo tamponò provvisoriamente premendogli forte il proprio fazzoletto sulla ferita, girandosi a guardare indietro: Nya stava uscendo di corsa dalla villa mentre Kyvenge se ne stava ancora lì in piedi a guardare quello che aveva fatto, tremando da capo a piedi.

In un attimo, Nya fu vicina a loro, e Pokon si scansò il più possibile per permetterle di avvicinarsi, senza però mollare la presa dalla ferita: usciva così tanto sangue che la mano del Comandante ne era già quasi interamente coperta. Senza una parola, Nya impose le proprie mani su Vylisour tenendole leggermente ricurve, come se stesse cercando di prendere un pallone molto grande. Dai palmi delle sue mani, una luce bianca intensissima si diffuse tutta attorno al ragazzo ferito, e lentamente, molto lentamente, il sangue iniziò ad uscire con meno forza, fino a fermarsi del tutto, ed anzi a tornare dentro la ferita. Tuttavia le mani di Pokon rimasero rosse, ed i loro vestiti sporchi: evidentemente, non era possibile recuperarlo tutto, non quello già “sprecato”, almeno. Con un ultimo, intenso bagliore di luce accecante, Nya spezzò il pallone invisibile che stava reggendo, appoggiando stavolta i palmi delle mani sul petto nudo di Vylisour e mormorando parole sotto voce, ad occhi chiusi, mentre quelli aperti e sbarrati di Vylisour riprendevano a muoversi ed a mettere a fuoco gli oggetti attorno a lui. Dopo alcuni respiri molto profondi, in cui il suo petto aveva preso ad alzarsi ed abbassarsi velocemente, Vylisour riprese a respirare

Capitolo III - L’addestramento dei dubbi

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normalmente, e poté alzarsi a sedere con la stessa facilità con cui avrebbe fatto se si fosse appena svegliato-- solo che aveva la bocca mezza aperta e gli occhi sgranati per lo stupore.Kyvenge, una volta visto che il suo amico stava bene, si lasciò cadere al suolo: prima in ginocchio, e poi finalmente seduto, stringendo febbrilmente l’elsa della spada nella mano. Stava ancora tremando.

“Stai bene, ragazzo? Ricordi come ti chiami? Cos’è successo?” chiese subito Pokon, il tono leggermente più ansioso e con molto meno contegno del solito.

“Sì... sì, sto bene...” mormorò Vylisour, accarezzandosi incredulo le cosce con le mani. “Nya... grazie...”

“Non devi dirlo neanche...” mormorò di rimando la ragazza, accarezzando Vylisour sulla guancia.

“Oh grazie all’Uno...” disse Pokon, portandosi una mano sul petto. Poi si rivolse di scatto a Kyvenge, trattenendosi a stento dal gridare: “Che diavolo avevi intenzione di fare tu, eh?!”Kyvenge alzò a fatica lo sguardo verso il comandante, che stava in piedi e quindi aveva la testa molto più in alto di lui. Si sentiva come se stesse per vomitare.

“Non lo so...” riuscì a scandire Kyvenge, prima di tornare a guardare il prato tra le sue gambe incrociate. “Non riesco a capire...”

Vylisour lo stava fissando, e anche Nya. Sentiva addosso i loro sguardi, e, forse, le loro accuse silenziose; ma, più di ogni altra cosa, il loro orripilato stupore. Ed era quello, più di ogni altra cosa, a farlo vergognare da morire.

“Farò rapporto al Generale Atkinson” esclamò Pokon, vedendo che Kyvenge continuava a restare muto. “Non credo sia il caso di proseguire gli allenamenti in questo modo, se ancora non sei abbastanza maturo da controllarti. Ora andate a rinfrescarvi, e tu, Nya, tieni d’occhio Vylisour. Deve assolutamente riposare.”

Nya annuì e aiutò Vylisour ad alzarsi, poi i due si

avviarono verso casa, lasciando Kyvenge da solo.

***

“L’ha attaccato a sangue freddo?”“Altro che sangue freddo, era furioso per qualche motivo.

Hanno combattuto, poi ha steso Vylisour, tenendolo sotto tiro con la punta della sua lama, e poi ha lanciato un grido e l’ha colpito con la Magia Elementale.” rispose Pokon. Il generale Atkinson unì le punte delle dita, allungando la schiena sulla sua alta poltrona, immerso nella riflessione.

“Chi c’era ad assistere all’allenamento?”“Solo io, mio signore. E Noko, che però andava e veniva. All’ultimo evento ho presenziato io solo.”

“Per quale motivo credi che abbiano litigato?” chiese argutamente Atkinson.

“Litigato, mio Signore?”“Deve esserci di mezzo una discussione di qualche

genere, per essere arrivati a farsi così tanto male l’uno con l’altro. Due ragazzi che sono sempre stati così affiatati non tentano di uccidersi a vicenda senza un buon motivo.” spiegò Atkinson, con lo stesso tono sciolto di chi spiega che uno più uno fa due. Pokon rifletté per un momento, prima di rispondere:

“Non so cosa possa essere accaduto...”“Io temo di saperlo invece. E’ un classico. Vylisour è

invidioso di Kyvenge” disse Atkinson, posando le mani sui braccioli della sua poltrona e stringendoli con fare assente. “Vorrebbe avere lo stesso potere di Kyvenge... e, per chi è sempre stato il re della collina, è difficile sentirsi sostituiti. Tra i due, Vylisour dev’essere sempre stato il più forte, il vincitore di tutti i duelli. Ma ora le cose sono cambiate... Kyvenge, anche se non è più forte fisicamente, è in grado di ribaltare gli equilibri grazie alla magia, e questa cosa rischia seriamente di incrinare la loro amicizia.”

Pokon restò in silenzio per un minuto.

Capitolo III - L’addestramento dei dubbi

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“Mio signore...”“Dimmi, amico mio.”“Lei crede che... sia saggio... riporre tante speranze in

due ragazzi?”“Potrebbe esserlo, come potrebbe non esserlo, Pokon. Ho

maturato questa scelta la scorsa notte e non vi ritornerò sopra,” rispose Atkinson, in un tono che non ammetteva repliche. “Credi che abbiano fatto bene i nostri predecessori a riporre tanta fiducia in Gaunor?”

Pokon scosse la testa.“Adesso rispondi così. Adesso che sai com’è andata, alla

fine,” commentò Atkinson, molto serio in volto. “Ma... quando sei nel pieno, nel vivo delle cose, e tutto ciò che ti circonda ha la stessa stabilità della lava fusa... sei solo tu a poter dare stabilità e significato alle cose. Non costruiamo la nostra storia che a posteriori, Pokon. E io, ora, mi trovo in pieno dilemma, ma ho scelto. Solo in futuro potrò dire se ho fatto bene, oppure no. Adesso... io scelgo di fidarmi di loro.”

“Spero... spero che lei abbia ragione, signore.” disse Pokon, guardando il generale: ma Atkinson non ricambiò il suo sguardo. Stava fissando il vuoto, il volto girato in direzione della finestra che dava sul cortile illuminato dalla luce del tramonto.

“Lo spero anch’io,” rispose Atkinson, perso nei propri pensieri.

***

Kyvenge si era ritirato nella stanza dove dormivano lui e Vylisour, non del tutto cosciente di cosa stesse facendo: era come in trance. Si gettò sul letto senza nemmeno prendersi la briga di togliersi gli stivali sporchi di terra o slacciarsi la cintura dove era legato il fodero della spada. Poi rimase lì, per una quantità indefinita di tempo, lo sguardo fermo ma non rivolto in nessun luogo in particolare, la testa ancor più vuota, conscio soltanto dell’arancione del tramonto che saturava i colori del

prato all’esterno della stanza e dei muri all’interno, neri come la notte dove non erano illuminati dal sole morente.

“Che cosa ti è successo?” chiese una voce dolce. Con un leggero rumore di legno, la porta dietro di lui si chiuse, e Nya si avvicinò al suo letto, senza tuttavia sedervicisi. Kyvenge non rispose. Non sapeva neanche come avrebbe dovuto rispondere.

“Ti ha fatto arrabbiare? Avete litigato?” chiese ancora Nya, con un tono di voce leggermente più acuto del solito. “Mi vuoi rispondere, Kyvenge?”

Le sue labbra si mossero senza che se ne rendesse neppure conto. Non riusciva a tacere, a starsene zitto; non con lei.

“Ho... ho perso le staffe,” articolò a fatica. “Non ce l’ho fatta più a sopportarlo. Continua a fare così, come se fosse colpa mia, ma... ma io non mi sono mai lamentato, per tutta la vita. Lui è sempre stato più forte di me, lui mi ha sempre battuto in tutto, e...”.

Tacque, incapace di dire altro, di spiegarsi ulteriormente. Le parole si affollavano rapide nella sua mente: erano tante, troppe, e non riuscivano a passare per l’imbuto che portava dalla mente alla voce.

“Ti... ti ha fatto male?”Kyvenge si voltò a guardarla. La sorpresa, invece di

tramortirlo ulteriormente, sembrava averlo risvegliato.“No... certo che no... ci siamo sempre picchiati a vicenda

durante i nostri allenamenti, oggi non mi ha fatto proprio niente... beh, niente di più del solito, certo,” rispose Kyvenge, fissandola. La luce del tramonto illuminava gli occhi di Nya, facendo risplendere il castano in mille tonalità di marrone e di rosso; le sopracciglia rivestivano elegantemente quelle due gemme di occhi, nonostante fossero curve verso l’alto per la preoccupazione. “Non è successo niente di male a me, Nya, stai tranquilla...”

La ragazza si stava tormentando le mani.“Ho... ho avuto tanta paura” disse, guardandosi le dita o,

forse, il pavimento. “Ero terrorizzata al pensiero di non riuscire

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a curare Vylisour.”Kyvenge chiuse la bocca, sospirò e disse:“Abbiamo paura proprio tutti, se persino tu, che puoi

salvare qualcuno da morte certa, non ti fidi di te stessa.”Nya singhiozzò.“Vieni qui...” disse Kyvenge, sedendosi sul bordo del

letto e facendole posto accanto a sé. “Siediti...”Nya rimase in piedi a singhiozzare.“Credevo che tu fossi venuta qui a biasimarmi, non a

piangere...” disse ancora il ragazzo, vedendo che lei non si decideva a schiodarsi.

“Non... p-prendermi i-in giro...” reclamò lei, ma l’ombra di un sorriso ne illuminò il volto. Kyvenge però non sorrise.

“Ho quasi ucciso il mio migliore amico. Dovresti odiarmi. Tutti dovrebbero, credo.” disse, esprimendo per la prima volta la preoccupazione senza nome che lo attanagliava da quando si era reso conto di cosa aveva fatto nell’arena.

Nya finalmente si passò una mano sugli occhi, poi si sedette accanto al ragazzo, guardandolo negli occhi.

“Forse hai ragione. Però... io quando ti guardo... sento che non potrei mai odiarti.”I due rimasero lì, in silenzio, a fissarsi. Poi Kyvenge distolse lo sguardo, incrociando le gambe e facendo finta di grattare via un po’ di sporco dal suo stivale per non guardare quegli occhi castani.

“L’ho quasi ucciso. E’ pazzesco. Lo conosco da prima di sapere cosa fosse un amico.”

“La Magia Elementale è difficile da controllare. E nel tuo caso forse lo è ancora di più.” disse Nya, in un tono che avrebbe voluto essere di conforto, ma che non lo fu poi molto.

“Che vuol dire?” chiese Kyvenge, sempre senza guardarla.

“Vuol dire che tu sei il primo ad avere tanta magia dentro di te da farla scaturire con le tue emozioni. E’ successo col mostro marino, ed è accaduto di nuovo, oggi. E’ più forte di

te, vero?”“Più forte... di me?”“Sì... voglio dire... se sei arrabbiato... o in pericolo... o non

so cos’altro... scatta la magia. Quando Atkinson ti ha colpito, quella notte, si è risvegliata… come per difenderti. Purtroppo però non è solo difensiva... non sai ancora controllarla bene, e rischi di fare del male anche a... chi non dovresti.”

Kyvenge cedette. Si voltò a guardarla. Il sole era quasi del tutto sparito dietro le colline, rimanevano solo pochi raggi rossi sul soffitto. Gli occhi di Nya erano in penombra, ma il suo profumo riempiva la stanza.

“Vuol dire che se perdo il controllo rischio di ferire anche chi amo?” chiese Kyvenge, guardandola negli occhi nella semi-oscurità. Nya annuì, poi si alzò.

“Credo... credo che dovremmo andare in sala. Sai, per la cena. Ormai Noko avrà finito di cucinare.” si voltò e aprì la porta, lasciando di nuovo Kyvenge da solo.

***

Quella notte, ancora una volta, Vylisour tornò in stanza senza parlare, e sempre in silenzio si mise a letto e si addormentò. Kyvenge, invece, passò ore a girarsi e rigirarsi nel letto, in preda ai dubbi ed ai sensi di colpa per quello che era successo. Era davvero come aveva detto Nya? Avrebbe potuto fare del male a chiunque, in preda all’ira? Avrebbe potuto davvero uccidere Vylisour, o qualcun altro, anche se per sbaglio?Kyvenge non riusciva a darsi pace, e fu solo a tarda notte, quando ormai anche tutti gli altri abitanti della villa erano andati a letto da un bel pezzo, che finalmente cadde nel sonno.

Capitolo III - L’addestramento dei dubbi

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Nauros. Parte Prima Capitolo

Capitolo IVSette giorni di pace

“Che cosa sta succedendo? Di chi era quel grido?” esclamò Nya, terrorizzata. Tremava, e sembrava faticasse a mantenersi in piedi. Kyvenge la afferrò con un braccio sui fianchi, stringendola a se mentre con l’arto libero proiettava intorno a loro due e Vylisour lo scudo magico fatto di fulmini, ordinandogli di seguirlo. Noko si accodò a loro, la naginata stretta in pugno, mentre una nuova selva di frecce li attaccava dall’alto, invisibili portatrici di morte.

Il mattino successivo, Kyvenge impiegò qualche istante per capire come mai si sentisse tanto triste e frustrato: quando ebbe ricordato gli eventi del giorno prima, e vide che il letto di Vylisour era vuoto - segno che si era alzato senza salutarlo, perché altrimenti l’avrebbe svegliato con la solita poca cortesia -, desiderò per un attimo di essere rimasto senza memoria. Poi si alzò e si vestì, ma di malavoglia, tanto da indossare senza accorgersene la maglietta al contrario e tentare di uscire dalla stanza spingendo la porta invece di tirarla.

Una volta arrivato in cucina, trovò ad accoglierlo un buon profumo di caffè, seguito dalla vista di Atkinson, Zaref e Jork che facevano colazione, mentre Nya si dava da fare ai fornelli, preparando altro latte caldo per tutti. Vylisour non c’era.

Kyvenge si sedette accanto a Zaref, scambiandosi il buongiorno con tutti. Atkinson lo squadrò attentamente, poi tornò a concentrarsi sulla sua fetta di pane e marmellata.

“Dormito bene?” chiese Zaref, mandando giù l’ultimo sorso di caffè.

“Neanche un po’,” grugnì Kyvenge in risposta, allungando le braccia dritto davanti a sé per scrocchiarsi le dia delle mani. “Non sono sicuro di essere in grado di fare questa cosa. Quello che è successo ieri rischiava di essere una tragedia...” sbottò, tutto d’un fiato.

Jork fece un verso strano con la gola, probabilmente un assenso, ma nessuno vi badò.

“Hai solo commesso una leggerezza,” lo consolò

Atkinson. “Un errore comprensibile, dopo così poco tempo dalla rivelazione dei tuoi poteri. Ora conosci nel dettaglio quali possono essere le conseguenze delle tue azioni, se agisci senza riflettere.”

Tutti si voltarono a guardare il generale. Nya si avvicinò al tavolo portando una tazza di latte caldo per sé e una per Kyvenge, porgendogliela.

“Grazie, Nya.. Che significa, generale?” chiese Kyvenge.“Significa solo che non puoi permetterti di esagerare

nell’adoperare la Magia Elementale. Oggi ti batterai con me, desidero metterti alla prova personalmente, specie dopo quanto è accaduto ieri. Imparerai il controllo, oppure te ne andrai di qui stasera stessa. Non posso permettermi errori in battaglia.” rispose Atkinson.

“Ci sono novità dalle colonie occidentali?” chiese Zaref.“Non una sola voce,” disse Atkinson, un velo di tristezza

sugli occhi. “Se prima temevo il peggio, ormai ne ho quasi la certezza.”

Tutti tacquero, finché Nya non ebbe trovato la forza di dire:

“Allora è vero... Gaunor sta arrivando.”Zaref, Jork e Kyvenge si voltarono a guardarla: Nya

fissava il padre senza badare a loro. Atkinson annuì.In quel momento entrò Vylisour dalla porta-finestra,

evidentemente di ritorno da una passeggiata nei prati lì attorno: era accaldato, nonostante l’aria frizzante del mattino, e aveva gli stivali sporchi di fango. “Sono caduto nel fosso qui vicino!” spiegò ai loro sguardi interrogativi. “Ho dovuto correre per risalire la china!”

Jork e Zaref ridacchiarono. Atkinson disse:“Bene, ora che ci siete tutti, vorrei dirvi qualche parola

prima di andare nell’arena. Siediti, Vylisour, mangia qualcosa.” e fece segno al ragazzo con la mano di servirsi liberamente tra biscotti, marmellate e dolci.

“L’accaduto di ieri vi ha sconvolti, ma non dev’essere

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motivo di screzio tra di voi. La Magia Elementale viene normalmente insegnata ad una persona alla volta, ed implica uno stretto rapporto, quasi filiale, tra maestro ed apprendista. Si tratta di un legame che ha inizio solitamente in età molto giovane. Le condizioni del tutto particolari in cui i poteri di Kyvenge si sono risvegliati dovrebbero bastare a farci capire quanto eccezionale sia l’accaduto, e quanto difficile sia tenerli a freno. Non giudicatelo male per aver perso il controllo: non era sua intenzione ferire così gravemente Vylisour, di questo ne sono certo. Non dovrà accadere mai più una cosa del genere. Oggi duelleremo come si fa tra Maghi Elementali, e Kyvenge sarà costretto ad esercitare uno stretto controllo sulle proprie emozioni per uscirne vincitore, o almeno per poter pareggiare.” aggiunse, ridacchiando. Tutti gli altri lo guardavano però con sguardi seri, quasi tesi.

“Vedete, la Magia Elementale differisce da ogni altro tipo di magia finora scoperta. E’ un dono raro, oggigiorno. Non sappiamo se tutti gli Elfi lo possedessero, ma di sicuro pochi Uomini lo hanno avuto...”

“Lucas, scusami...” lo interruppe Jork.“Hai una domanda? Perché se non riguarda l’argomento,

ti pregherei di rinviare tutto il resto a più tardi. E’ urgente per me dire queste cose a voi ed ai ragazzi...” disse Atkinson, un po’ stizzito.

“Si, volevo chiederti... tu continui a parlare degli Elfi, ma... sono davvero esistiti? Come facciamo a saperlo? E che fine hanno fatto?” chiese Jork col suo solito scetticismo.

“Abbiamo numerose prove non solo della loro esistenza, Jork, ma soprattutto del loro incredibile legame col mondo.” rispose Atkinson, ora evidentemente infastidito.

Jork batté velocemente le palpebre, come per assicurarsi di essere ancora sveglio. Kyvenge non credeva alle proprie orecchie: non gli sembrava vero di stare ascoltando una simile conversazione, specialmente dopo anni di fantasie sulle favole per bambini a proposito di Elfi e magie e relative

prese in giro da parte di Jork e Vylisour. Ed ora, tutte la parole delle storie si stavano incarnando accanto a lui. Tentò una imbarazzata occhiata a Vylisour, ma l’amico stava guardando con determinazione il generale e nessun altro, come se pendesse dalle sue labbra.

“Se stai cercando di dirmi qualcosa, Lucas, credo di non aver bene afferrato.” disse Jork.

Zaref soffocò a stento una risata e anche Vylisour parve faticare a restare serio. Nya guardò Kyvenge: erano entrambi indecisi se mandarlo a quel paese o sbuffare impazientemente.

“Non è il momento di discutere degli Elfi, ora, Jork: ti basti sapere che le rovine di Garas Dolon, di cui mi sembra di averti già parlato, sono ricche di manufatti elfici, affreschi, statue. E vennero trovati anche libri antichi, probabilmente scritti dagli Uomini che ebbero a che fare con loro, prima che venissero tutti sterminati durante la Grande Guerra,” si dilungò Atkinson, con il tono di chi vuole farla finita, ma Jork non sembrava ancora del tutto convinto.

“Gli Elfi sono esistiti, Jork. E’ un dato di fatto. Ora, per favore, lasciami proseguire.” aggiunse Atkinson, e poi si rivolse di nuovo ai ragazzi:

“La Magia Elementale, così come tutta la cultura elfica, veniva trasmessa oralmente. Non esistono libri scritti dagli Elfi, anche se a volte sono state scoperte rovine molto antiche con incisi dei segni che, si dice, apparterrebbero a loro. Se sia mai esistita o meno la scrittura elfica dunque non ne siamo certi, ma, per quello che ci è stato raccontato dai nostri antenati Uomini, la conoscenza del Popolo Primonato veniva tramandata di padre in figlio per via orale.”

“Ora,” disse Atkinson in tono pratico, “questo ci mette di fronte un ostacolo. I pochi Uomini in grado di accedere al Dono degli Elfi, la Magia Elementale, la magia legata quindi agli elementi della Natura - non sanno altro che quello che gli è stato insegnato. Si tratta di un problema, perché questo fa sì che la nostra conoscenza di questi poteri sia chiusa entro un limite

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ben definito. Ma non è sempre stato così. La mia personale idea è che la Magia Elementale di per sé non abbia limiti. Certo, non so - e non posso dimostrare - fino a che punto questo sia vero, perché nessuno finora è riuscito a spingersi oltre i confini della nostra conoscenza di essa.”

“Tranne una persona.” disse Pokon, che era entrato da poco nella stanza e stava ascoltando il discorso del Generale.

“Esatto, Pokon. Tranne una persona. Gaunor, il Re di Nauros esiliato, che probabilmente sta tornando qui. Se doveste trovarvelo davanti in battaglia - e temo che sia un’ipotesi più che probabile, se ti vedrai costretto ad usare la Magia, Kyvenge -, non dovrete mai sottovalutarlo. Mai. Sappiamo per certo che Gaunor abbia avuto accesso a poteri che noi non ci sogniamo nemmeno... poteri che, forse, non possiamo nemmeno immaginare.”

“Come fate a saperlo?” chiese Zaref, fissando Atkinson dritto negli occhi. Il Generale inspirò profondamente prima di rispondere.

“Pokon è uno dei tre uomini che aiutò Gaunor a salvare la Principessa Nima quando i Torn attaccarono la capitale, molti anni fa.” spiegò Atkinson. Pokon annuì gravemente.

“Rapirono anche sua madre, la regina. Farlen. Una donna forte e saggia, ma... purtroppo non sopravvisse. La trovammo già morta, quando attaccammo il campo Torn.”

Kyvenge, Vylisour, Zaref e Jork guardarono i due uomini, specialmente Pokon, con immenso stupore e un nuovo rispetto. Pokon, l’uomo tutto d’un pezzo di Atkinson, il suo vice, era stato uno degli eroi che avevano salvato la Principessa, eppure non ne aveva parlato usando quel racconto per vantarsi: al contrario, pareva essere il suo più grande rimpianto.

“La mia teoria,” riprese Atkinson, “è che la Magia Elementale sia come la costruzione di un edificio: i singoli pezzi hanno un valore, ma il palazzo intero ne ha uno anche più grande. In altre parole, con un minimo di creatività, potrebbe essere possibile utilizzare ogni singola magia in vari modi,

oppure addirittura combinarne diversi tipi.”“Ma.. bisognerebbe avere una grande concentrazione,

e un immenso potere magico, per fare una cosa del genere..!” esclamò Kyvenge, sorpreso.

Atkinson sorrise beffardo.“Temi di non essere all’altezza?”Kyvenge si sentì avvampare e abbassò lo sguardo.

Vylisour sembrò ridacchiare.“Staremo a vedere.” sentenziò il generale. “Se avete finito di mangiare... l’arena ci aspetta.”

***

L’aria fresca del primo mattino stava cedendo il passo al primo caldo del sole che si alzava: erano circa le dieci, il vento del mare si era calmato, e Kyvenge era in piedi in mezzo alla pietra del cortile posteriore di Villa Atkinson, pronto ad un nuovo duello. Zaref e Jork stavano seduti su una delle panchine di pietra lì accanto, mentre Vylisour e Nya, a poca distanza da loro, parlottavano in piedi, Vylisour con la schiena poggiata contro il muro di cinta. Kyvenge non poteva sentire cosa si stessero dicendo, ma sembravano entrambi molto seri.

Atkinson arrivò un minuto dopo, stavolta privo di armatura e vestito semplicemente con pantaloni marroni morbidi e flosci che lo facevano sembrare più grosso di quanto non fosse in realtà, e una maglia verde scuro dalle maniche larghe. Al fianco pendevano le sue due spade gemelle. Non sembrava avere altre armi addosso.

“Pokon mi ha detto che combatti bene con e senza armi, Kyvenge. Ora mi dovrai mostrare come combatti senza mai toccarmi.” disse Atkinson, facendogli un breve inchino. Kyvenge lo imitò, incuriosito e sorpreso. Poi Atkinson si sgranchì le braccia e le mani, tirando il petto in fuori e poi scrollando le gambe. Fatto questo, tornò fermo, in attesa. Kyvenge fece altrettanto, e poi Atkinson parlò ancora:

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“Ora dovresti sentirti un po’ più sciolto. Al contrario di quello che potresti aspettarti dalle favole, Kyvenge, i Maghi Elementali hanno bisogno di una certa.. agilità.”

In una frazione di secondo, il generale tese il braccio destro di fronte a sé, il pugno chiuso tranne l’indice, che invece era dritto in avanti: un sibilo sinistro fece capire a Kyvenge di doversi assolutamente spostare, e fece appena in tempo a rendersene conto per scansarsi di lato, sentendo un intenso calore passargli davanti, mentre una sottile bruciatura orizzontale si disegnava sulla sua maglietta all’altezza del petto.

“Molto bravo!” esclamò Atkinson. Noko, da un angolo dell’arena, applaudì. Nya e Vylisour lo guardavano sbigottiti.

“Che.. che cos’era quello?!” chiese Kyvenge, mentre osservava la sua maglia con gli occhi sgranati per lo stupore.

“Fuoco,” rispose Atkinson, tornato in posizione di guardia. Temendo un nuovo attacco a sorpresa, Kyvenge fece lo stesso, ma l’adrenalina che pompava forte nelle sue vene era tanta che sentiva di stare per mettersi a correre. “Una sottile linea infuocata che parte dal dito e incendia tutto ciò che incontra sul suo cammino... molto intensa, molto precisa. Molto calda, aggiungerei.”

“Lei.. lei sa usare anche il fuoco? Non solo i fulmini?!” esclamò Kyvenge.

“Si, un po’ di questo, un po’ di quello. Questa, per esempio, ho imparato a maneggiarla da poco,” rispose Atkinson, alzando entrambe le mani verso il cielo: la posizione ricordava quella usata da Nya per curare Vylisour il giorno prima, solo che il pallone invisibile ora sembrava molto più grande. Un basso, cupo rombo riempì le orecchie di Kyvenge, mentre le vesti di Atkinson venivano agitate sempre più forte in tutte le direzioni...

“E’... è vento quello?!”“Si, vento, Kyvenge. Anzi, Magia Elementale dell’Aria,

per essere precisi. Molto utile per tenere alla larga i nemici. Potresti tirarmi contro la tua spada, in questo momento, e

quella non solo non mi colpirebbe, ma girerebbe senza meta nel vortice d’aria che mi sono creato attorno, per poi rimbalzare addosso al mio nemico. Immagina cosa succederebbe se io fossi oggetto di una selva di frecce.” aggiunse Atkinson, ghignando malignamente. Kyvenge era senza parole: lui avrebbe dovuto competere contro un uomo del genere...?

“Avanti, attaccami. Vediamo cosa sai fare.” lo incitò Atkinson, come se gli avesse letto nel pensiero.

“Ma.. ma come?!”“Usa la tua immaginazione!”Kyvenge strinse i pugni, sconvolto. Non sapeva cosa

avrebbe potuto fare. Atkinson sembrava irraggiungibile... lui, Kyvenge, sapeva a malapena usare un solo Elemento, mentre Atkinson ne maneggiava tranquillamente almeno tre, Elettricità, Fuoco, e Aria...

“Non ho idea di come fare!” disse Kyvenge, vergognandosi di starsene lì impalato a guardare senza uno straccio di idea su come muoversi, mentre Atkinson stava davanti a lui, avvolto dal vento.

“Devi essere determinato, ragazzo, altrimenti non potrai mai battere nessuno!” abbaiò Pokon, che se ne stava a braccia incrociate ad un angolo dell’arena di pietra, lo sguardo corrucciato. “Osa! Se sei bloccato, inventati qualcosa e vedi cosa succede!”

Kyvenge roteò la mano destra, scrocchiando le dita, tanto per fare qualcosa, e ne scaturirono delle minuscole saette elettriche. Finalmente, gli venne un’idea.Sfoderò la spada.

“Che fai?! Non hai sentito cosa succede se provi ad attaccarlo con le armi?!” urlò Zaref.

Ma Kyvenge non aveva intenzione di usare la spada per attaccare Atkinson: tese il braccio davanti a sé, la lama stretta nel pugno, e scagliò un fulmine che dal suo braccio, attirato dal metallo, percorse la lama nella sua intera lunghezza, sganciandosi poi come un proiettile, diretto verso Atkinson. Lo

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stesso attacco che aveva usato istintivamente contro Vylisour. Per un attimo, la preoccupazione di cosa sarebbe successo se la sua magia avesse effettivamente colpito Atkinson, o se fosse rimbalzata indietro, gli fece quasi rimpiangere di averla usata... poi...

“Ottimo!” approvò il generale, facendo cessare immediatamente il vortice attorno a sé e gettandosi a terra su di un fianco, rotolando poi in avanti, verso Kyvenge, a spada sguainata. Impreparato, il ragazzo schivò il colpo, tentando poi un fievole attacco con la sua lama, che venne facilmente parato da Atkinson. Il generale poi strinse il pugno sinistro, caricando il colpo: una piccola sfera ricoperta di fulmini ricoprì le sue dita chiuse, in un accecante misto di luce gialla e bianca, ma Kyvenge questa volta era pronto: tese la mano priva di spada davanti al pugno del suo maestro, assorbendo il colpo prima ancora che venisse lanciato, sentendo un’incredibile energia riempire il suo corpo. Gli sembrava quasi di essersi ricaricato come dopo una notte di buon sonno. Atkinson lo guardò, sorpreso: evidentemente non gli era mai capitato prima. Soddisfatto, Kyvenge allontanò il nemico con un attacco di spada, parato da Atkinson ma sufficiente a farlo arretrare di un paio di passi... il che diede il tempo sufficiente a Kyvenge di tendere la mano con le dita aperte di fronte a sé e lanciare una rete di fulmini che stavolta andò a segno, facendo urlare di dolore Atkinson. Kyvenge stavolta smise subito, timoroso di ferirlo gravemente, ma il generale non si perse d’animo: le vesti annerite e bruciacchiate ripresero a svolazzare attorno a lui, mentre una potente folata di vento si alzava dal suo corpo e faceva fare una capriola in aria a Kyvenge, che finì faccia a terra, la guancia premuta contro la pietra dell’arena. Un gemito di preoccupazione venne dagli spettatori, ma Atkinson li mise a tacere con un gesto della mano.

“Tutto bene, ragazzo?” chiese il generale, respirando rumorosamente. Kyvenge annuì e si rialzò, dolorante.

“Non esagerare, Kyvenge!” gridò Zaref dalla panchina.

“Stai cominciando ad usare la fantasia.” approvò Atkinson, sorridendo.

“Cos’è successo... prima, quando... ho parato il tuo colpo?” chiese Kyvenge, respirando pesantemente a sua volta.

“Hai assorbito la mia magia. Finalmente abbiamo trovato la spiegazione alla comparsa dei tuoi poteri.” rispose Atkinson.

“Cioè?” chiese Kyvenge, non del tutto certo di aver capito.

“Il tuo vero potere non è la magia in sé stessa... ma la tua capacità di assorbire e fare tuo quello che viene usato contro di te.” spiegò il generale. “Quando eri in mare e la mia Magia Tuono ti ha colpito, tu l’hai assorbita e fatta tua. Non hai scoperto di averla... l’hai presa. Se nessun Mago Elementale ti avesse colpito… probabilmente non l’avresti mai avuta.”

Kyvenge tacque. Era assurdo… ma spiegava cosa fosse successo quella notte...

“Mai abbassare la guardia, ragazzo!” esclamò Atkinson, facendo un movimento particolare: aveva fatto un passo in avanti, ruotando il braccio attorno a sé dal fianco al piede più lontano dal suo corpo, le dita unite e tese, facendo fuoriuscire delle fiamme. Fiamme che, nel giro di pochi secondi, si unirono a formare una specie di serpente, il quale si aggrovigliò su se stesso, e poi balzò contro Kyvenge...

“AAAAAAARGH!” urlò il ragazzo per il dolore: la sua maglietta si era aperta dove era stata bruciata dalle fiamme di Atkinson, lasciando una curva di pelle rossa e lucida sul suo torace. Nya gridò e si avvicinò di corsa all’arena, ma Pokon la trattenne, mentre anche Zaref e Jork si alzavano in piedi.

“Un nemico che intende ucciderti non ti darà il tempo di riprenderti!” minacciò ancora Atkinson, avvicinandosi a Kyvenge e fendendo l’aria dall’alto con la sua spada: con la forza della disperazione, Kyvenge parò il colpo, ma al successivo affondo di spada sentì la lama affondare nella sua pancia. Altre urla, poi un dolore intenso sulle ginocchia e sul viso, segno che era caduto a terra, e poi più nulla.

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***

“Sicura che stia bene?” chiese Zaref, ansioso.

“Si, stai tranquillo, ho fatto del mio meglio,” rispose Nya, la voce un po’ meno preoccupata di quella di Zaref, ma altrettanto stranamente acuta. “Deve solo riposare adesso. Temo però che gli resterà la cicatrice del serpente di fuoco sul corpo.”

“Forse hai esagerato nella verosimiglianza, Lucas.” disse Jork.

“Sono morto?” chiese Kyvenge, senza la forza di aprire gli occhi. Non c’era parte del suo corpo che non stesse urlando di dolore.

“Naaa, direi più che sei diversamente vivo. Ma è una questione di punti di vista” rispose Vylisour. E fu questo, più di ogni altra cosa, a spingerlo a guardarsi attorno.

“Ragazzi, ditemi la verità...” mormorò Kyvenge, mentre tutti lo fissavano in silenzio sorridendo. “Non ho perso il mio sorriso rubacuori, vero?”

Vylisour lo mandò a quel paese, mentre gli altri ridevano della grossa. Anche Kyvenge si unì al coro di risate, felice di rivedere Vylisour del suo solito umore sprezzante e divertente. Atkinson lo guardò sorridendo, mentre poggiava un braccio dietro le spalle di Nya e la stringeva a sé, senza che questa smettesse di ricambiare lo sguardo felice di Kyvenge.

***

Passarono un paio di giorni, durante i quali Kyvenge e Vylisour, anche se con un certo imbarazzo, sperimentarono finalmente una rinnovata serenità nello stare insieme. La loro amicizia, turbata per la prima volta in tanti anni dagli strani eventi di quell’agosto, pareva essersi finalmente rinsaldata: Vylisour era tornato il ragazzo spensierato e giocherellone di

sempre, e Kyvenge poteva ora concentrarsi su pensieri ben più foschi... come l’apprendere quanto più possibile dal generale Atkinson.

Non gli era ancora chiaro quale fosse esattamente il suo ruolo, ma, una volta placato il risentimento verso Vylisour, Kyvenge aveva preso ad interrogarsi sempre più spesso sui motivi che avevano spinto Atkinson ad interessarsi tanto a lui. Dopotutto, era solo un ragazzetto sconosciuto arrivato da pochi giorni, senza fama e senza gloria. Eppure, quei “pochi” eventi che lo riguardavano, avevano fatto sì che, non appena avesse messo piede a Losille, il suo nome avesse cominciato a circolare. Il secondo giorno di allenamento con Pokon, infatti, lui e Vylisour erano andato in paese per sgranchirsi le gambe e sgombrare un po’ la mente, e avevano sentito più persone discutere animatamente dell’attacco del mostro marino e del ragazzo misterioso che, arrivato dal nulla, aveva aiutato Atkinson ad uccidere la creatura. I due ragazzi avevano poi fatto visita ai resti bruciacchiati e puzzolenti dell’animale, arenati sulla spiaggia, circondati da bambini urlanti che giocavano a chi si avvicinava di più al corpo orrendo prima di scappare via.

“Che te ne pare?” aveva chiesto Kyvenge.“Fa schifo, e puzza da vomitare” aveva risposto Vylisour.

“Non vedo proprio cos’abbia di tanto speciale.”“Beh, per cominciare, è enorme” ribatté Kyvenge. “E

mangiava le imbarcazioni come se fossero state biscottini.”Vylisour sbuffò.“E allora? Zaref mangia abbastanza biscottini da riempire

una barchetta.”I due ragazzi andarono via ridendo, mentre i bambini

li guardavano incuriositi. Ma persino nei momenti di ilarità, Kyvenge continuava a chiedersi a quale destino misterioso lo stessero conducendo i propri passi, cosa si aspettasse esattamente Atkinson da lui, e se avesse fatto bene ad accettare di rimanere a Losille. Sperava con tutto il cuore di non essersi sbagliato, di non avere involontariamente condannato nessuno

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dei suoi compagni - Vylisour, Zaref e Jork - ad affrontare una battaglia che si preannunciava senza nessuna speranza.

Neanche a farlo apposta, quella sera saltò fuori l’argomento mentre il gruppo stava cenando, riunito attorno al tavolo del piano terra di Villa Atkinson. Con grande sollievo di Kyvenge, Pokon accennò alla sua esperienza con Gaunor, al loro inseguimento disperato per salvare la principessa Nima e la regina Farlen, tanti anni prima.

“Tutto sembrava contro di noi, non c’era ragione di credere che saremmo riusciti a trovarle ancora vive, od a sopravvivere noi stessi dopo essere piombati nel campo Torn” stava spiegando Pokon, mentre gli altri ascoltavano rapiti, avidi di ulteriori dettagli sul passato dell’intrigante e misterioso Re esiliato. “Ed effettivamente due di noi ci lasciarono per sempre. Tra questi, vi era Marcus,” Pokon lanciò un’occhiata di sbieco al generale, che non diede segno di averlo visto, “un caro amico, ed una grandissima perdita, per tutto il Regno. Eppure, in quattro, riuscimmo a salvare la principessa, a sconfiggere Ruuna ed a fuggire da quell’inferno.”

“Runa? Chi è Runa?” chiese Vylisour.“Non ‘Runa’, ignorante, ‘Ruuna’, con due ‘u’” lo corresse

Pokon. Vylisour tacque, stizzito. “In pochi lo conoscono davvero, comunque, non mi stupisce che tu non sappia nulla di lui. Io conosco il suo vero nome perché lui stesso ce lo ha detto... ha la curiosa abitudine di presentarsi alle sue vittime prima di ucciderle, ed è solo per il favore del fato che io sono ancora vivo per raccontarvelo.”

“Un favore del fato?”“Sì... vedete, nemmeno Gaunor riuscì ad ucciderlo. Io a

quell’epoca non avrei avuto paura di nulla, finché avessi avuto al mio fianco il principe. Ma... quella mattina, scoprii che, tra i forti, esiste sempre qualcuno ancora più forte. E fu per pura fortuna se riuscimmo a sfuggirgli...”

“No, aspetta... stai dicendo che questo... Ruuna... sarebbe più potente persino di Gaunor?!” esclamò Vylisour, esterrefatto.

Atkinson, stavolta, alzò lo sguardo verso Pokon, che ricambiò.“Non lo sto affermando,” rispose Pokon. “Non lo so con

certezza. La nostra priorità era quella di mettere in salvo la principessa... fuggimmo, evitando lo scontro diretto, quindi non saprei dirti chi dei due avrebbe trionfato in un vero duello.”

“Beh, a letto, adesso,” disse Atkinson, guardando i due ragazzi. “Domani vi voglio in forma.”

***

Il giorno dopo, il quarto dall’inizio del loro strano allenamento a Villa Atkinson, Kyvenge e Vylisour furono visti mettere piede nell’arena di pietra fianco a fianco: il loro obiettivo, in quella occasione, era di mettere k.o. il generale Atkinson, che invece li avrebbe affrontati da solo.

“Dovete imparare a coordinare i vostri attacchi. Si tratta di una caratteristica comune a molti combattimenti, e a quanto mi avete fatto vedere con Pokon siete già piuttosto affiatati in questo, ma... non avete ancora mai affrontato un nemico assieme, da quando Kyvenge è diventato un Mago Elementale,” spiegò Atkinson. Vylisour guardò Kyvenge, leggermente preoccupato: cosa avrebbe potuto fare senza essere di intralcio?

“Attaccatemi. Non abbiate timore di ferirmi, Nya è pronta a correre in nostro soccorso,” aggiunse il generale, facendo segno con una mano alla ragazza, seduta su una delle panchine di pietra a bordo pista in compagnia di Zaref e Jork, che osservavano la scena in silenzio. Non sembravano tranquilli e distaccati quanto Atkinson, e nemmeno Nya lo sembrava.

“Kyvenge, hai qualche idea?” bisbigliò Vylisour.“Neanche una” sussurrò in risposta Kyvenge. La sua

mano tastò nervosamente l’elsa della spada, come a chiederle aiuto. Atkinson, intanto, si mise davanti a loro e sfoderò entrambe le sue lame, assumendo la guardia.

“Coraggio... cominciate.”Vylisour strinse l’arma in mano, pronto ad attaccare.

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“Al tuo ordine, Kyvenge,” disse, cercando di non farsi sentire dal generale. “Lo prendiamo insieme. Dammi solo l’opportunità di arrivargli alle spalle...”

Kyvenge scattò improvvisamente alla sua sinistra, correndo verso il fianco destro del generale e scagliando una selva di piccoli attacchi elettrici contro di lui, come tante noci esplosive che rilasciavano staticità di un bianco accecante nell’aria. Atkinson si parò con la spada nella mano destra, tenendo l’altra pronta a colpire, ancora senza perdere di vista Vylisour, forse intuendo la trappola in cui volevano metterlo i due ragazzi. Kyvenge a quel punto si fermò, ormai alle spalle di Atkinson, costringendolo a voltarsi: il pericolo maggiore in quel momento era sicuramente il Mago...

Il Generale avanzò, minacciando Kyvenge con le sue due spade. Kyvenge sguainò la sua, rispondendo all’attacco con un paio di rapide parate; in quel momento, Vylisour prese alle spalle Atkinson, che riuscì a voltarsi in tempo e deviare i due ragazzi, riportandosi di fronte a loro.

“Ma... come... ha fatto?!” esclamò Vylisour, stupefatto.“Idea non male, ma credo che vi servirà qualcosa di più

efficace, ragazzi,” commentò Aktinson, fingendo un nuovo attacco con le spade: ma, non appena Kyvenge e Vylisour si mossero per parare, lui roteò su sé stesso, dando loro la schiena, poi abbassò le spade verso il terreno, e dalle punte di indice e medio uniti su entrambe le mani scaturirono due strisce di fuoco, che colpirono la pietra dell’arena, liquefacendola.

“Non dimenticate mai che il vostro avversario potrebbe... sorprendervi!” gridò Atkinson, girando nuovamente su sé stesso e indirizzando le lingue di fuoco contro di loro, all’altezza dello stomaco: Vylisour si gettò a terra con una capriola, rialzandosi immediatamente, mentre Kyvenge si protesse protendendo istintivamente la mano destra davanti a sé: ne scaturì una specie di scudo, evocato proiettando i fulmini attorno a lui, a forma di cupola, contro cui le fiamme di Atkinson rimbalzarono e scomparvero.

“Ottimo! Ottimo davvero!” approvò il Generale, vibrando un secondo colpo contro lo scudo magico, questa volta con la spada: i ragazzi urlarono per lo spavento, Kyvenge non avrebbe fatto in tempo a parare il colpo...

Ma la spada di Atkinson, toccando lo scudo magico, rimbalzò all’indietro senza ferire il ragazzo, come se avesse colpito uno scudo di ferro. Vylisour, che fu più veloce a riprendersi dallo spavento, fece un paio di passi in avanti, attaccando nuovamente Atkinson: il generale parò e indietreggiò, mentre Kyvenge alzava le braccia al cielo.

“Vediamo com’è questo invece, Lucas!” gridò Kyvenge, evocando un potente turbine d’aria che prima lo circondò, e poi venne scagliato da un gesto del ragazzo contro il suo bersaglio: Atkinson, il quale, distratto da Vylisour, non fece in tempo a controbattere, venne investito in pieno dal vortice e piroettò in aria per qualche secondo, prima di ricadere, disarmato, fuori dell’arena di pietra.

“Siete stati grandi!” urlò Zaref, mentre Jork fischiava e applaudiva e Nya saltava e danzava sul posto per festeggiare.

Pokon corse ad aiutare Atkinson a rialzarsi: il generale si reggeva a malapena in piedi, tanto gli tremavano le gambe.

“Non sapevo che tu avessi imparato a controllare un nuovo Elemento...” disse, non appena ebbe ritrovato abbastanza fiato per poter parlare, rivolto a Kyvenge.

“Non lo sapevo nemmeno io. L’ho scoperto pochi minuti fa, come lei” rispose Kyvenge, imbarazzato e stupito.

“E’ un bene che tu l’abbia scoperto prima di venire sconfitto, no?” scherzò Vylisour, dando una pacca sulla spalla all’amico. “Fa’ sempre così, e siamo in una botte di ferro, Kyvenge!”

***

Quella sera, un’ora dopo cena, Vylisour uscì dal cortile di Villa Atkinson con l’intenzione di fare un giro di corsa fino

Capitolo IV - Sette giorni di pace

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alla periferia portuale di Losille e ritorno; “Per tenermi in allenamento,” spiegò. Kyvenge e Nya lo accompagnarono fino al cancello, poi decisero di seguirlo fino alla fine del sentiero curvilineo che dalla Villa portava alla strada diretta verso la città. Infine, Vylisour si allontanò, dapprima camminando velocemente, e poi di corsa, lasciando Kyvenge e Nya da soli. Era una bella serata d’estate, calda ma in modo piacevole, senza afa, e così i due decisero di tornare senza troppa convinzione verso casa, allontanandosi sempre di più dal sentiero, camminando sulla terra asciutta e tra la bassa vegetazione ingiallita di agosto – ma a discreta distanza dal fosso fangoso in cui era caduto Vylisour.

“Oggi siete stati... fenomenali,” stava dicendo Nya, che osservò Kyvenge radiosa. “Ancora non riesco a crederci che l’abbiate fatto!”

Kyvenge ridacchiò.“Nemmeno io ci credo, se è per questo!” esclamò il

ragazzo. “Secondo te... non ci ha lasciati vincere, vero?” chiese, con un filo di preoccupazione nella voce.

“No no, Atkinson non è proprio il tipo!” rispose subito Nya. “Anzi, avrebbe fatto di tutto per battervi, e probabilmente gli rode pure che non ci sia riuscito...”

“Uhm, vero.” annuì Kyvenge, massaggiandosi sulla pancia nel punto in cui Atkinson, due giorni prima, lo aveva trafitto. “Vero, avrebbe fatto di tutto..” mormorò senza pensarci, ancora un po’ incredulo della straordinaria capacità di Nya di curare ferite quasi mortali in pochi istanti.

“Ehi... tutto a posto?” chiese Nya, sfiorandogli il dorso della mano che il ragazzo si stava passando sulla pancia. Kyvenge si riscosse dai suoi pensieri, si fermò e la guardò.

“Sì, certo, tutto a posto...”“Sicuro?” insistette lei.“Sicurissimo.”

Nya sorrise leggermente, lasciando la sua mano, e ripresero a camminare.

“Non farmi preoccupare...” disse ancora lei, voltandosi un attimo a guardarlo.

“Ma no, tranquilla... sono ben altre le cose preoccupanti...” rispose Kyvenge.“Ti riferisci a quello.. quel tipo.. di cui parlavano mio padre e gli altri a tavola? Ruuna?”“Veramente stavo pensando ad altri... più vicini. Come

Gaunor, per esempio.” rispose Kyvenge.“Ah... già...”“Ma anche Ruuna è un pensiero abbastanza inquietante,

se è per questo.” aggiunse il ragazzo, ripensandoci.Nya ridacchiò.

“Mi piace come definizione ‘abbastanza inquietante’ per un Torn con la fedina penale di Ruuna... lo rende quasi simpatico.”

“Occhio a non fartelo diventare troppo simpatico... potrebbe pugnalarti nel sonno facendoti morire dalle risate.” scherzò Kyvenge.

“Smettila, scemo!”“Non sono stato mica io a cominciare!”“Invece sì!”

...

***

“Lucas dice che non posso mancare più di tre giorni. Forse due.”

“Ti senti pronto, Zaref?”“Nessuno si sente mai pronto ad una guerra, credo.”Zaref e Jork si erano già ritirati da un po’ nella loro stanza

al pianterreno, avevano chiuso le imposte e si erano messi a letto, discutendo nel buio. Zaref si sentiva stanco e assonnato, ma evidentemente il suo compare non era dello stesso avviso: erano già venti minuti buoni che lo teneva sveglio, e Zaref cominciava a sentire le forze venirgli meno.

Capitolo IV - Sette giorni di pace

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“Nessuno di umano, almeno.” aggiunse il padre di Kyvenge, dopo averci riflettuto un attimo, sperando che la questione fosse chiusa. Invece, Jork ribatté:

“Appunto. Per quanto ne so io, Gaunor di sicuro non è ‘umano’. Pensa a quello che ha fatto. Pensa a cosa potrebbe essergli capitato, tutti questi anni a Numar...”

“Cosa dovrebbe essergli capitato di tanto strano a Numar, secondo te?”

“Oh-- già, scusami. Dimenticavo che Dima era di Numar... scusami, non volevo dire niente contro tua moglie. Ma sai che fama hanno... beh, che fama ha il suo popolo, qui da noi. Ci sono state diverse guerre tra i nostri regni... è difficile non pensare...”

“Ti stai allontanando di parecchi passi dal seminato, Jork.” tagliò corto Zaref, ora perfettamente sveglio. Anche solo sfiorare la sua condizione di vedovo risvegliava un dolore troppo forte da ignorare. “Il punto della questione è se tu ti senti pronto ad accompagnarci in quello che stiamo aspettando. La situazione è molto seria.”

“Lo so... Atkinson sta tenendo bloccati qui i ragazzi anche per non fargli notare l’evacuazione della città, ma è assurdo, se li considera abbastanza grandi da restare a combattere dovrebbero anche sapere...”

“Ci sono tante cose che sembra assurdo nascondere ai giovani, Jork. Abbiamo avuto la loro età molto prima di loro, dovremmo saperlo bene.” ribatté Zaref.

“Sicuramente, ma...”“E se ti ricordi com’è stato essere giovane, converrai con

me che certe cose è meglio scoprirle da soli, mentre altre cose è meglio che ti vengano spiegate.”

“Dove vuoi arrivare, Zaref?”“Voglio dire che, forse, dopo questa battaglia... se saremo

ancora vivi... potranno, anzi, dovranno sapere. Ma è troppo presto, è un carico troppo forte per le loro schiene. Non voglio che affrontino quello che sta per succedere con un tale peso

sulle spalle.”“Ti riferisci a quello che ci ha raccontato Atkinson

l’altro giorno? Pensi davvero che ci sia... qualcosa? Che loro due abbiano... qualcosa in comune?”

“Il semplice fatto che mia moglie fosse di Numar, che Gaunor stia tornando da lì con un esercito, e che entrambi i due uomini abbiano, a quanto pare, discendenza elfica nelle loro vene... compone un mix di coincidenze difficile da ignorare. Almeno questo me lo concederai...” spiegò Zaref, leggermente irritato.

“L’elenco è maledettamente convincente, ma... alla sua età...” tentò ancora Jork, con la voce leggermente più flebile... meno convinta.

“Gaunor era altrettanto giovane, quando iniziò a sbalordire i Cavalieri di Nauros con le sue prodezze come cacciatore di taglie.” rispose Zaref, segnando evidentemente un punto per sé.

“Tu sei proprio convinto che il ragazzo ce la possa fare, vero?” chiese Jork.

“Non penso. Lo spero.” ammise Zaref.“Lo spero anch’io...” concesse Jork. “Ma... Kyvenge... e

Vylisour... non si sono mai trovati in mezzo ad una cosa del genere.”

“Kyvenge è sopravvissuto ad un campo Torn, te lo ricordo.” replicò Zaref in tono ammonitore. “Non è come raccogliere gli asparagi, sai.”

Jork ridacchiò.“Non volevo certo sminuire il suo valore. Solo... beh,

stavolta è diverso. Quella volta... avreste potuto scappare quando meglio credevate... voglio dire... questo sarà un assedio. Saremo circondati, non potremo fuggire da nessuna parte. Potremo solo stare qui, combattere, e, se saremo abbastanza fortunati...” Jork indugiò un momento. Avrebbe voluto dire ‘vincere’, ma le probabilità gli sembravano così scarse che preferì non dirlo nemmeno, per scaramanzia. “...sopravvivere,

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in qualche modo.”“O magari sopravvivere e vincere.” aggiunse Zaref.

L’amico sbuffò.“Sei sempre troppo ottimista.”“E tu sei sempre troppo pessimista.” lo rimbeccò Zaref.“E’ per questo che ti sopporto. Penso sempre che avrei potuto avere un amico peggiore di te.” concluse Jork.“Stronzo.”Jork rise forte, e poi, finalmente, augurò la buonanotte

a Zaref e si addormentò. Per Zaref, invece, non fu così facile addormentarsi, nonostante tutto. Il sonno gli era passato completamente, e le preoccupazioni di Jork per il futuro adesso assillavano anche lui. Ce l’avrebbero fatta? E, ammesso di riuscirci... quando, e come, avrebbe mai potuto spiegare a Kyvenge quello che Atkinson pensava davvero sul suo conto, quello che davvero si aspettava da lui?

***

Passarono altri due giorni, altri due allenamenti con Pokon e con il Generale Atkinson, e dopo una nuova, spettacolare batosta inflitta da Vylisour e Kyvenge al loro maestro, persino il pessimismo di Jork iniziò a trasformarsi in cauto ottimismo. Nya era estatica: non aveva mai visto nessuno superare, in così breve tempo, il Generale sul campo di battaglia, e le abilità di Kyvenge nel controllare i suoi poteri magici erano cresciute a dismisura, rendendolo capace di generare e controllare elementi in continuazione, senza fermarsi e senza stancarsi troppo, anche se l’uso smodato della Magia Elementale lo rendeva più facilmente preda della distrazione e, alla lunga, fisicamente e mentalmente esausto. Mentre rientravano nella villa, Zaref strinse con orgoglio la mano al proprio figlio, dandogli un’affettuosa pacca sulla spalla: molto spesso, tra loro, sembravano più ricchi i fatti che le parole.

“Sono davvero felice che mi abbiate distrutto il campo

giochi, credetemi” disse loro Atkinson, quella sera, mentre aspettavano che Noko servisse loro la cena. I ragazzi risero di cuore.

“Prenditela con Kyvenge, è stato lui a tirare fuori le armi pesanti!” ribatté Vylisour, fingendosi offeso.

“Come se non sapessimo che sei stato tu ad aizzarlo, Vylisour.” la buttò lì Zaref.

“Comunque sia” disse Atkinson riprendendo la parola, “ottimo lavoro, davvero. E’ stata… una settimana intensa, ed è trascorsa molto più velocemente di quello che mi sarei aspettato – forse anche più di quanto vi sareste aspettati voi, che avete dovuto sudare sette camicie per arrivare alla fine di questo… particolare… allenamento.” Kyvenge e Vylisour si scambiarono un’occhiata ironica mentre il Generale si riempiva il calice di vino rosso e ne beveva rapidamente un sorso.

“Siamo pronti, dunque?” chiese Vylisour, agitando la gamba sotto al tavolo in preda al nervosismo.

“Quasi pronti.” rispose Atkinson, restando appositamente in silenzio per qualche minuto, giusto il tempo di lasciare che la serpe del dubbio si insinuasse nelle menti dei presenti, prima di specificare: “E’ bene sentirsi sempre quasi pronti, prima di una prova importante. Adagiarsi sugli allori farebbe solo male, a chiunque.”

Nya sbuffò.“Sempre queste trovate drammatiche…!”“Sai che non posso farne a meno, tesoro.” ridacchiò

Atkinson.“Anche in un momento come questo…?” chiese Kyvenge,

sorridendo.“Soprattutto in un momento come questo. Il nemico è

alle porte. Dovremmo cercare di tenere la mente il più possibile sgombra e riposata, per affrontare al meglio quello che attende tutti noi. Entro poche ore, Gaunor busserà alla nostra porta, e chiederà una testa.”

Gli occhi di Pokon saettarono rapidamente verso il

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Generale: il tono ironico, persino divertito della sua voce non lasciava trasparire la minima preoccupazione verso ciò che aveva appena detto, e che tutti ipotizzavano stesse per succedere. Atkinson era il responsabile militare della zona, ed era scontato che, nel caso Gaunor avesse voluto sbrigare la cosa in fretta, avrebbe chiesto di incontrarlo, e risolvere la cosa tra loro. Pacificamente o meno, questo era tutto da vedere. Eppure, l’uomo più importante di Losille in quel momento pareva preoccupato unicamente dal consumare ogni centimetro di coscia di pollo e patate cotte servitegli da Noko, e che nessun altro pensiero avrebbe potuto distrarlo, in quel momento.

A cena conclusa, il generale chiese loro un ultimo sforzo: salire sul carretto che li aveva condotti, durante il loro primo giorno, alla Villa.

“Voglio mostrarvi Losille un’ultima volta prima della battaglia. Non sappiamo tra quanto tempo esattamente i Numariani ci piomberanno addosso, anche se ormai si tratta di una manciata di ore, ed è bene che voi vi sappiate orizzontare con sicurezza lungo le vie della città.” spiegò loro Atkinson. “Prendete posto, prego!”

Kyvenge, Vylisour, Zaref e Jork salirono sul carretto, presto seguiti, con sorpresa di tutti, da Nya.

“Perché vieni anche tu? Credevo conoscessi a menadito la città!” esclamò Vylisour.

“Meglio dare una rinfrescata alla memoria” rispose la ragazza, evasiva. Il carretto partì, ed in pochi minuti il gruppo si lasciò alle spalle il grande cancello della Villa, per entrare sulla strada che portava a Losille ed alla Via Maestra.

“Come vedete, ormai Losille è vuota. Tutti i civili sono stati evacuati, organizzati in lunghe carovane dirette verso le città lungo la costa e, alcuni, verso Arkon, la Capitale. Abbiamo disposto il grosso delle nostre truppe alle tre Porte, specialmente alla Porta Ovest ovviamente, poiché è la più grande e la più importante da difendere. Lungo tutte le strade girano coppie di soldati di pattuglia per impedire l’accesso di spie e sabotatori

nemici… riposo, Colin” fece Atkinson, rivolto ad un soldato di ronda che si era appunto fermato per salutare il Generale. “Siamo pronti ormai…”Kyvenge smise di ascoltare, perdendosi nei propri pensieri, mentre Losille scorreva sotto al carro e davanti ai suoi occhi come l’immagine sfocata di un sogno appena terminato. Aveva fatto appena in tempo a conoscerla, e già gliela stavano portando via.

E nel modo più violento che potesse immaginare.

***

Circa un’ora dopo, di ritorno alla Villa, Kyvenge e Vylisour rimasero qualche minuto fuori dal cancello, a scrutare l’orizzonte, quasi sperando di vedere un fuoco di segnalazione, il bagliore di una lancia, o di un’armatura. Quella maledetta calma prima della tempesta – una tempesta per di più quasi sconosciuta, e dall’intensità impossibile da prevedere – li stava snervando. Quanto mancava ancora? I soldati di Numar erano già acquattati attorno a loro, in attesa dell’ora più buia prima dell’alba per colpirli? E se avessero tentato di prenderli nel sonno? Valeva la pena dormire?

“Dobbiamo restare calmi e concentrati…” mormorò Kyvenge.

“Già…” sbuffò Vylisour, per tutta risposta. “Sai, ora che ho avuto tempo per assimilare la cosa, voglio dirti che… sono molto contento. Per te.”

Kyvenge guardò l’amico con le sopracciglia aggrottate.“Di cosa parli?”“Del… del fatto che tu sappia usare la Magia. Sai… sono

felice per te, è una cosa fantastica, e poi… è bello che sia successo proprio a te… il grande fan degli Elfi.” aggiunse il ragazzo in tono amichevolmente canzonatorio.

“Smettila, idiota!” esclamò Kyvenge, ridendo.“Sono serio..” rispose Vylisour con un ampio sorriso.

Capitolo IV - Sette giorni di pace

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“E poi, è un bene per tutti noi… altrimenti, sarei morto subito, se mi fossi trovato davanti un Elementale come te, o come Atkinson. Gli sarei corso incontro con la spada e sarei schiattato senza sapere neanche perché.”

“Vero. Adesso sai di quale morte morirai.” disse Kyvenge.

“Esatto, vedo che hai capito!” ribatté Vylisour, ridendo forte.

“Che cavolo avete da ridere tanto, voi due?” chiese Nya, uscendo dalla porta della Villa con una tazza fumante in mano.

“Oh, noi…” balbettò Kyvenge.“Ci stavamo solo chiedendo se andrai alla carica vestita

da amazzone, Nya, tutto qui.” rispose prontamente Vylisour, scatenando un eccesso di risatine nervose e imbarazzate in Kyvenge. “Sai… corpetto aderente e cosce a vista, o qualcosa del genere.” spiegò Vylisour, prima di urlare forte per il dolore: Nya gli aveva tirato addosso il tè caldo con tutta la tazza, mentre Kyvenge rideva ancora più forte.

Capitolo VI due amici

“Che cosa sta succedendo? Di chi era quel grido?” esclamò Nya, terrorizzata. Tremava, e sembrava faticasse a mantenersi in piedi. Kyvenge la afferrò con un braccio sui fianchi, stringendola a se mentre con l’arto libero proiettava intorno a loro due e Vylisour lo scudo magico fatto di fulmini, ordinandogli di seguirlo. Noko si accodò a loro, la naginata stretta in pugno, mentre una nuova selva di frecce li attaccava dall’alto, invisibili portatrici di morte.

Furono le grida a svegliarlo, quel mattino.Kyvenge aprì gli occhi in preda ad un inaspettato

sentimento di urgenza, e mentre ancora si stropicciava le palpebre e non vedeva altro che forme vaghe e sfocate nell’oscurità, la voce di Vylisour raggiunse le sue orecchie.

“…venge! Sbrigati, presto! Ci attaccano!”Kyvenge corse accanto allo stipite della porta, accendendo

la lampada ad olio: in quell’istante, due o tre frecce fischiarono nell’aria, rompendo il vetro della finestra e conficcandosi con precisione nel muro, a poca distanza dal braccio del ragazzo, il quale, respirando a fatica per lo spavento, spense subito la luce e si gettò a terra, in attesa. Dopo qualche minuto, si rese conto che i cecchini non avrebbero potuto mirarlo ancora: non si era nemmeno ancora alzato il sole, quindi doveva essere piena notte, forse quasi l’alba. Avanzò carponi lungo il suo letto, raggiungendo stivali e armi, li afferrò e li portò con se nel corridoio fuori dalla stanza dove, fino a pochi minuti fa, stava dormendo, da solo: gli altri dovevano essersi alzati molto presto, ancora prima di lui. Chissà da quanto tempo era iniziato tutto?

Dei passi affrettati percorsero il corridoio, e la figura di Vylisour, sudato, ansimante ma vestito di tutto punto, si parò davanti a Kyvenge, seduto per terra, intento ad infilarsi nell’oscurità gli stivali ai piedi.

“Muoviti, cazzo! Quei bastardi hanno attaccato poco fa… ho sentito le catapulte! Devono aver sfondato una parte delle

Capitolo V - I due amici

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mura!” sibilò Vylisour.L’urgenza e l’agitazione nella voce del suo migliore

amico aveva finito di mandare via il poco sonno rimasto nella mente di Kyvenge, facendolo sentire più arzillo che mai.

“Dove sono Zaref e Jork?” chiese Kyvenge, alzandosi e mettendosi a correre per stare dietro alle agili gambe di Vylisour, che lo stava guidando nell’oscurità tenendolo per mano.

“Con Atkinson.. sono usciti molto presto, mentre stavo ancora dormendo. Li ho sentiti parlottare fra di loro… avevo il sonno molto leggero, stanotte… e meno male…”

“E Nya dov’è?” chiese ancora Kyvenge.“Che ne so, sarà in camera sua, no? Stai tranquillo, ci sono

Noko e Pokon qui, e le guardie…” rispose Vylisour, infastidito. “Dobbiamo trovare i nostri genitori adesso, se sono andati con quel pazzo di Atk…”

Ma la frase rimase a metà per lo stupore: il giardino di Villa Atkinson era in fiamme, e le guardie del Generale stavano combattendo contro uomini vestiti di scuro, con sottili linee rosse saettanti lungo le loro uniformi. Per quello che i due ragazzi potevano distinguere alla luce delle fiamme appiccate da poco, avevano la pelle leggermente più scura degli abitanti di Losille, sguardi feroci e lunghe lance in grado di tenere a distanza gli spadaccini di Atkinson. Con un grido, uno di loro spiccò un balzo coraggioso ma troppo ardito, finendo per venire intercettato dalla punta della lancia di un Numariano, che lo infilzò da parte a parte, schizzando sangue dalle vesti dello sfortunato soldato. Kyvenge tirò indietro Vylisour, rientrando rapidamente nella Villa, ma nella fretta l’amico sbatté forte la porta finestra del salone, ed uno dei vetri andò in frantumi, attirando l’attenzione degli uomini che stavano combattendo in giardino. Una voce imperiosa urlò degli ordini in una lingua sconosciuta, e dei passi pesanti si fecero largo verso la casa, ma i soldati della guardia di sicurezza si pararono davanti a quelli dei Numariani: in breve, iniziò un altro combattimento.

“Dobbiamo immediatamente correre di sopra!” bisbigliò

Kyvenge, alzandosi e avviandosi per il corridoio buio come una grotta, diretto verso le scale di legno scricchiolante che conducevano di sopra. “Tu resta qui di guardia!”

Vylisour si accostò allo stipite della porta-finestra, sbirciando fuori: riconobbe Noko, il piccolo cuoco, mentre sembrava in preda ad una spaventosa euforia nel saettare da un punto all’altro del prato, schivare i colpi di lancia dei Numariani ed agitare la propria arma attorno a se: una naginata, un lungo bastone simile ad una lancia ma con in cima una vera e propria lama di spada. Un urlo soffocato fece capire a Vylisour che Noko doveva aver appena ferito gravemente un nemico, mentre altri tre gli si paravano attorno. Avrebbe dovuto correre fuori ed aiutarlo… ma Kyvenge? Non poteva abbandonarlo… e Nya?

“Chi diavolo sei?! Allontanati da me!” strillò la ragazza.“Nya! Nya, sono io, sono Kyvenge, Nya!”“Kyvenge?! Oh, l’Uno sia ringraziato! Dove sono Zaref?

E Jork? E…”“Non è il momento per le spiegazioni, vieni subito giù…”

disse Kyvenge afferrandola per il polso e tirandosela dietro.“Sbrigatevi, piccioncini… la casa sta per andare a fuoco!”

li incitò Vylisour, sbirciando ancora il cortile con sempre maggiore agitazione.

“Pokon è andato con Atkinson?” chiese Nya, quando i due ragazzi ebbero raggiunto l’amico.

“Non lo so…” rispose Vylisour, sempre più preoccupato. “Qui non l’ho ancora visto… e se ci fosse sarebbe sicuramente in cortile con Noko, a dare battaglia…”

“Che cosa facciamo adesso?” chiese ancora Nya. “E’ pieno di soldati lì fuori…”

“Già… e Noko è da solo… dobbiamo aiutarlo!” bisbigliò Kyvenge agli altri due.

“Quanti saranno i Numariani?” disse Nya.“Credo che ce ne siano almeno una ventina attorno

alla Villa, forse di più… non riesco a vedere bene, è ancora tutto buio…” rispose Vylisour. “Gli uomini di tuo padre

Capitolo V - I due amici

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stanno limitando l’incendio con la pompa dell’acqua che c’è in giardino, ma…”

Una violenta esplosione fece vibrare la casa dalle fondamenta; alcuni vetri delle finestre si ruppero. Nya urlò mentre tutti e tre si coprivano la testa con le braccia; doveva esserci qualcosa di grosso all’opera.

“Cosa diavolo hanno portato dall’altro mare?! I giganti?!” imprecò Vylisour. “Qualunque cosa scegliamo di fare, dobbiamo uscire in fretta da qui dentro, questa maledetta villa è fin troppo esposta! Kyvenge, al mio tre usciamo di qui, stendiamo quei pezzi di…”

“Per prima cosa dobbiamo salvare Noko, fate uscire prima me!” esclamò Kyvenge. “Mi difenderò usando lo scudo elettrico, come l’altro giorno… dimentichi i cecchini, Vyl! Hanno appiccato il fuoco per avere luce più che per distruggere la Villa… potrebbero ucciderci senza darci nemmeno la possibilità di difenderci…”

“E va bene, maledizione, fai quello che vuoi, ma sbrigati! Dobbiamo raggiungere immediatamente la Porta Ovest e scoprire cosa sta accadendo!” imprecò Vylisour.

“E va bene… vado! Copritemi le spalle come potete!” disse Kyvenge, prima di alzarsi e spiccare una corsa fuori dalla porta del salone al pianterreno. Le voci dei Numariani avevano un tono sorpreso ma feroce: alcune frecce sibilarono attorno a Kyvenge, il quale istintivamente aveva subito richiamato lo scudo di fulmini attorno al proprio braccio, ingrandendolo ed espandendolo con la forza di volontà e la concentrazione, come gli aveva insegnato Atkinson. Pochi passi lo dividevano ormai da Noko, intento a difendersi da un coriaceo Numariano grosso il doppio di lui, il quale, coadiuvato da altri due soldati, lo stava lentamente spingendo spalle al muro…

Con un urlo selvaggio, Kyvenge estrasse la spada dal fodero e, senza perdere la concentrazione necessaria per mantenersi coperto con lo scudo magico che lo difendevano dalle frecce dei cecchini, colpì uno dei Numariani alla testa con

l’elsa dell’arma, per poi voltarsi di scatto verso l’altro e colpirlo con un calcio dietro al ginocchio. L’uomo cadde a terra, e il tonfo attirò l’attenzione del terzo, quello più grosso degli altri, il quale si voltò con un’espressione stupita e malvagia dipinta sul volto, prima di gridare qualcosa nella sua lingua e lanciare un pugnale contro Kyvenge, per poi gettarsi alla carica contro di lui…

La lama colpì Kyvenge sulla spalla sinistra: no si aspettava una mossa del genere… fortunatamente, aveva indossato una cotta di maglia che impedì al pugnale di trafiggerne le carni, ma il dolore stava probabilmente a significare un grosso livido in via di formazione. Non vi badò… era molto più importante evitare i colpi dell’enorme scimitarra del suo nemico… Kyvenge fece uno scatto di lato, alla sua destra, evitando il colpo micidiale dell’enorme Numariano, per poi stuzzicarlo al fianco con la punta della sua spada, più piccola ma non meno affilata e pericolosa. Un fiotto di sangue schizzò fuori dal fianco dell’omone, presto seguito da un altro proveniente dalla sua schiena: Noko si era liberato degli altri Numariani e stava dando man forte a Kyvenge, il quale alzò il braccio sinistro davanti a se, la dita semichiuse, il volto teso nel doppio sforzo di concentrazione richiesto per mantenere lo scudo di fulmini sul braccio destro e richiamare un attacco elettrico sull’altro braccio…

In un istante, un lampo di luce accecante partì dal braccio del ragazzo, trafisse la testa del gigante, e poi tutto tornò nell’oscurità, sotto agli occhi stupefatti dei Numariani. Kyvenge si avvicinò al gigante, scoprendo, con sua grande sorpresa – e, in parte sollievo -, di non averlo ucciso ma solo paralizzato. Possibile che la sua magia non fosse sufficientemente potente?

“E’ il momento! Andiamo!” esclamò Vylisour, alzandosi in piedi e tirandosi dietro Nya, stringendola per un braccio. “Seguimi! Puoi fare qualcosa per difenderci?!”

“Posso... posso tentare!” rispose Nya, allargando le braccia tese intorno a se ed all’amico: in pochi istanti, i due ragazzi vennero circondati da una sfera bianca

Capitolo V - I due amici

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semi-trasparente, che permetteva loro di muoversi senza il rischio di venire colpiti da frecce vaganti –come scoprirono ben presto, spostandosi terrorizzati tra ticchettii e fischi sinistri prodotti dai dardi dei Numariani che si scontravano con la protezione magica di Nya. Vylisour fischiò la sua approvazione dicendo:

“Nya, ritiro tutto quello che ho detto ieri sera... meno male che ci sei tu a coprirci!” La ragazza si trattenne a stento dal rifilargli un ceffone, e continuò a correre.

“Nya! Vylisour! State bene?” chiese agitato Noko, quando i due ragazzi ebbero raggiunto lui e Kyvenge.

“Noi stiamo bene Noko, sta’ tranquillo...!” rispose in fretta Nya. “Dov’è Atkinson? E Zaref? E Jork?” “Sono andati via tutti questa mattina prestissimo... anzi, questa notte! Li ho accompagnati io stesso, per un tratto di strada...” “Puoi raccontarci mentre accompagni anche noi? La battaglia è iniziata e restare qui non farà che attirare altri Numariani come api sul miele!” chiese Kyvenge, mentre afferrava Noko e lo trascinava lungo il sentiero, fuori dalla portata di tiro dei cecchini. Una volta che il gruppo ebbe raggiunto gli alberi lungo la stradina che portava in paese, Nya smise di produrre il suo scudo magico, ed anche Kyvenge. “Ma che fate..? Potrebbe servirci ancora!” protestò Vylisour. “Se hai intenzione di vederci agonizzanti per la stanchezza ancor prima di arrivare a metà battaglia, mi sembra una brillante idea, Vyl!” ribatté Kyvenge, stizzito. “Ma io credevo...” “Non siamo in grado di tenere attivo uno scudo così potente per tutto il tempo che questa battaglia potrebbe richiedere, Vylisour... dobbiamo recuperare le forze, ogni tanto!” lo rimbeccò a sua volta Nya. “Non siamo onnipotenti!” “Questo sì che è un peccato!” disse Noko, mentre Vylisour ammutoliva di fronte al cipiglio irato della

ragazza. “Oh, maledizione… Guardate un po’ laggiù...” Davanti a loro, si stendeva il panorama di Losille come non l’avrebbero mai voluto vedere: lampi di fuoco brillavano qua e là, segni di incendio e di lotta, mentre urla terribili risuonavano per le strade. Alla loro destra, in direzione della Porta Ovest, luci abbaglianti rischiaravano quasi a giorno la scena... “Credete che sia...?” chiese Nya, ma non riuscì a finire la domanda. “Andiamo, presto!” esclamò Kyvenge, mettendosi a correre in direzione della Via Maestra: dovevano raggiungere la Porta il prima possibile... aveva l’orribile sensazione di aver visto i lampi lontani di una battaglia tra Elementali… “Noko, dov’è tuo fratello?” chiese Vylisour, ansimando mentre correvano. “Non lo so.. ci siamo tutti persi di vista! All’inizio credevo che fosse nella sua stanza, alla Villa, ma non c’era quando è scoppiato l’incendio... forse ha raggiunto il Generale mentre io ero a letto...” rispose Noko. “Si, è probabile... quasi sicuramente sarà al comando delle truppe che difendono la Porta Ovest!” precisò Nya. “Ma... se eravamo tanto importanti per la strategia di Atkinson... per quale motivo non ci ha portati con sé?” chiese Vylisour, esprimendo ad alta voce il dubbio che per la prima volta in quel momento sfiorava anche la mente di Kyvenge. “Hai ragione, Vyl... non lo so... non saprei proprio...” balbettò Nya, senza smettere di correre. “Non ha senso...” “Forse non ha avuto tempo... per tornare indietro... forse è andato in paese sperando che non fossero ancora arrivati, che ci fosse ancora modo di fare qualcos’altro...” ipotizzò Kyvenge. “Dici che... Gaunor potrebbe averlo intercettato?” si unì Noko. “Potrebbe... oppure...” “ATTENTI!” gridò Nya. Con un boato assordante, un gigantesco masso proveniente a quanto sembrava dalla costa – forse uno degli scogli che circondavano le mura di Losille, pensò Kyvenge

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quando una serpe infuocata volò nel cielo sopra le loro teste. “Quella è una magia di Atkinson!” esclamò Vylisour, indicando il rettile fatto di fiamme che ardeva tra le stelle, poco prima di sparire. “Dev’essere qui! Dev’essere...” “Sta combattendo... fuori, oltre la porta.” disse Nya, lentamente. Kyvenge, Vylisour e Noko fissarono i battenti di metallo, in ascolto: e, tra le grida dei gendarmi, sentirono per la prima volta, quella notte, un urlo di dolore, terribile...

***

“Zaref, Jork. Venite con me.” I due uomini alzarono lo sguardo dalle loro tazze di tè caldo, fissando gli occhi di Atkinson. Era vestito di tutto punto, indossava la stessa, imponente corazza militare che aveva usato in un allenamento contro Kyvenge e gli altri, e pareva risoluto ma rilassato. “Anche tu sveglio a quest’ora, Lucas?” chiese Zaref, in un timido tentativo di fare conversazione. “Parleremo camminando. Ora sbrigatevi.” tagliò corto Atkinson, uscendo dalla porta-finestra del salone. Jork guardò Zaref, e, con un cenno di intesa, i due uomini si alzarono ed uscirono a loro volta dalla Villa. All’esterno, c’era il solito carretto, lo stesso sul quale poche ore prima avevano fatto il giro esplorativo della città ad uso e consumo dei ragazzi. Atkinson era già a bordo, mentre Noko era alla guida. “Pokon dorme ancora?” chiese Jork. “Macché. Non so se abbia dormito anche un solo minuto, questa notte.” rispose Atkinson, con un vago sorriso. “Sapete, Pokon è un uomo d’azione. Non rinuncerebbe mai ad una sana scazzottata, anche se dissimula bene la sua attitudine alle botte con quell’aria algida e composta. In questo momento sarà già in strada a disporre le truppe.”Zaref ridacchiò tra sé e sé.

– cadde fra di loro, dividendoli e gettando terra e detriti dappertutto. Erano appena entrati in paese, e le prime avvisaglie della battaglia in corso li circondavano: in lontananza, ad un incrocio della strada, giacevano i cadaveri di alcuni soldati della guardia di Atkinson, trafitti da frecce dalle piume rosse. Il bagliore delle fiamme usate dai Numariani rischiarava la notte in lontananza, mentre le grida dei soldati e il fragore delle spade si faceva più intenso e più vicino ad ogni passo. “State bene? State tutti bene?” chiese Kyvenge, rialzandosi da dove era caduto e tastandosi il fianco dolorante. Nya e Noko risposero subito, mentre Vylisour, che era il più vicino al luogo dell’impatto del masso, ci mise un po’ di più a tornare in se e ad alzarsi, ma erailleso, tranne che per qualche graffio. “Da che parte dobbiamo andare?” chiese il ragazzo. “Di là, verso le case più vecchie!” rispose prontamente Noko, anticipandoli. “Aspettaci, Noko! Non andare troppo in fretta, potrebbero esserci dei nemici!” urlò Nya, seguendolo. Kyvenge e Vylisour si gettarono a loro volta all’inseguimento dei due amici, ansimando. Finalmente, il gruppetto fu in vista della Porta Ovest, un grande arco di pietrabianca che divideva le mura di difesa di Losille. Le grandi ceste di ferro che percorrevano il lato più alto delle mura, solitamente coperte di rose ed altri fiori, ardevano in un terribile rogo, mentre le selve di frecce dei Numariani fischiavano intorno a loro, e gli ordini dei comandanti li facevano sentire in continuo pericolo, nonostante fossero ancora a distanza di sicurezza: la Porta infattiera ancora intatta e ben chiusa, ma evidentemente i nemici avevano sfondato una parte della muraglia più avanti, perché i difensori stavano dando battaglia e, ogni tanto, qualche piccolo nucleo di Numariani riusciva a farsi largo ed entrare nella città, per venire poi rapidamente ricacciato indietro dai soldati di Nauros. Del Generale o degli altri, tuttavia, nessuna traccia. “Dove possono essere finiti...?” stava dicendo Kyvenge,

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“Dove siamo diretti?” “Alla Porta Ovest. So che l’attacco partirà da lì.” spiegò il generale. Poi, i tre uomini rimasero in silenzio, mentre il carretto avanzava rapidamente lungo la Via Maestra, verso i bastioni. Sei già lì, probabilmente. Mi starai aspettando, come immagino? si chiese Atkinson, osservando pensoso la città delle rose scorrere placidamente sotto le ruote di legno. “Lasciaci pure qui, Noko. Torna indietro, alla Villa. Resta sveglio e vigile, potrebbero attaccare in qualunque momento, da adesso in avanti.” disse Atkinson imponendo l’alt e scendendo dal carro ancora in movimento. Zaref e Jork lo seguirono con un balzo, atterrando accanto a lui e seguendolo velocemente, dopo aver augurato la buona fortuna al piccolo Noko, il quale girò su se stesso e si avviò verso la Villa. “Hai ricevuto notizie dalle tue spie?” chiese Jork. “No, è solo… un presentimento, diciamo. Conosco l’uomo che guida l’esercito di Numar, e mi aspetto una cosa del genere da parte sua.” “Cioè? Cosa ti aspetti?” “Attaccare un’ora prima dell’alba. Mi sembra nel suo elemento, diciamo.” I tre uomini raggiunsero la Porta: una grande massa di ferro battuto, all’apparenza inespugnabile, che separava gli uomini di Nauros da quelli di Numar, nascosti all’esterno, nella boscaglia e nell’oscurità. Il terzetto si arrampicò su di una scala a pioli che portava in cima ad uno dei bastioni, ed entrarono nella guardiola. “Avvistamenti?” chiese Atkinson ad un comandante di vedetta, dopo aver fatto il saluto militare. “Solo uno, signore.” rispose quello, tremando leggermente. Non faceva freddo. Atkinson lo guardò dritto negli occhi. “Di chi si tratta?” chiese, certo, in cuor suo, di conoscere già la risposta. “Non… non si è presentato, signore. E’ lì fuori, da solo,

in piedi davanti alla Porta. Nessuna bandiera, nessun araldo. Se ne sta lì’ e basta.” Zaref e Jork si scambiarono un’occhiata tesa. Poi, Atkinson parlò: “Amici miei, dobbiamo separarci. Credo che per voi invece sia meglio restare uniti, e non separarvi ai due lati dei bastioni, come avevamo programmato inizialmente. Ho questa sensazione.” “Hai visto qualcosa del futuro?” chiese Jork, squadrando sospettosamente l’uomo corazzato di spalle in piedi davanti a lui. “Non esattamente. Credo sia meglio agire in questo modo, tutto qui. Vi consiglio di appostarvi in una delle case sulla strada che conduce alla Porta Ovest… da lì avrete un’ottima panoramica della situazione, e potrete intervenire quando lo riterrete più opportuno. Potete anche scegliere di aspettare l’arrivo dei ragazzi, se preferite: non vi chiedo certo di farvi avanti ad armi spianate.” “A proposito, Lucas… per quale motivo li hai lasciati alla Villa a dormire? Se sono così essenziali per la battaglia come ci hai spiegato…” chiese Zaref, ma il Generale lo interruppe con un gesto affrettato della mano, come per tagliar corto. “Fa tutto parte del piano. Devono fare da soli, con le loro forze. Ora, è tempo di andare.” Atkinson tese la mano ad entrambi, prese congedo ed uscì dalla guardiola della vedetta. Zaref e Jork rimasero lì, sporgendosi ansiosamente leggermente a guardare in fuori. “E’ pericoloso qui fuori? Avete notato qualche arciere?” chiese Jork, teso. “Ancora nessuno, signore. Probabilmente si nascondono tra gli alberi.” rispose la vedetta. “Quel tizio lì in piedi… è lui?” mormorò Jork. Zaref fece cenno di sì con la testa.“Temo proprio di sì. E quel pazzo gli sta andando proprio incontro.”

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*** La Porta Ovest si aprì quel tanto che bastava per far passare un singolo individuo, ed una figura corazzata si fece avanti sulla strada che portava, in ultimo, alle Colonie Occidentali. Ritto in piedi, di fronte a lui, si stagliava l’alto profilo scuro di un uomo imponente e vigile, come un faro spento che tuttavia non perde di vista nulla intorno a se. Il suono della terra e la ghiaia sotto agli stivali del Generale era l’unico udibile, mentre persino il vento sembrava essersi fermato, come se tutta Losille stesse trattenendo il respiro. “Così, avevo ragione.” mormorò Atkinson, più rivolto a se stesso che all’altro uomo. Il generale si fermò a non più di un paio di metri dallo straniero, e poté finalmente distinguerne i lineamenti nell’oscurità: lunghi capelli scuri dai riflessi rossi nella tenue luce lunare, sopracciglia cespugliose come fiamme, il lungo naso aquilino e gli zigomi prominenti dove erano incavati due grandi occhi scuri picchiettati di rosso, penetranti e vivi come tizzoni ardenti, cerchiati dalle borse di chi dorme sempre poco e dalle prime, tenui rughe dell’età. Portava un foulard macchiato di tanti colori al collo, appena visibile sotto il lungo cappotto nero di pelle lucida, intarsiato da disegni lineari ricurvi di un intenso rosso rubino. Si vedevano appena le dita sotto le maniche, ma era chiaro che non stringeva armi in mano; tuttavia, una lunga spada leggermente ricurva pendeva dal suo fianco sinistro in un fodero nero, privo di decorazioni. “Lucas” disse l’uomo vestito di scuro. La sua voce profonda aveva uno strano tono minaccioso, quasi intimidatorio, anche se non sembrava affatto voluto… piuttosto, pareva che gli venisse naturale. “Che… piacere… rivederti.” “Gaunor” rispose Atkinson. “Non sono certo di poter dire lo stesso.” Il Generale lo fissava dritto negli occhi, come a volergli dimostrare di non temerlo, di essere alla pari con lui. “Non sei mai stato molto cortese, Lucas. E’ un peccato,

per un uomo del tuo livello…” “Sono sempre cortese, con chi se lo merita.” rispose Atkinson, con freddezza. “Il tuo vecchio amico non merita forse un benvenuto più caldo?” lo redarguì Gaunor.Atkinson fece un gesto di impazienza con la testa e la mano. “Non fare l’indifferente. Non credere di poter tornare qui e fare come se non fosse successo nulla… come se nessuno sapesse nulla. Le voci e le storie che hai seminato sono arrivate fin qui, ma nessuno, a Losille, ti crederà mai. Nessuno ti perdonerà.” “Eppure, tu non hai mai chiesto la mia testa.” ribatté Gaunor, con un impercettibile movimento degli occhi, come uno scatto nervoso. “I fantasmi nella mia mente l’hanno chiesta più volte, invece.” disse Atkinson, stavolta con tono leggermente più iroso. “Rivedo ogni notte la Principessa… il tuo pugnale ancora conficcato nel suo ventre…” Gaunor rimase in silenzio, impassibile, senza tuttavia smettere di fissare l’altro uomo. Atkinson rimase a sua volta in silenzio per qualche secondo, in attesa che il Re esiliato parlasse, ma quest’ultimo non disse nulla. Allora, Atkinson continuò: “Sono passati dieci anni. Perché sei qui, questa notte? Perché sei tornato?” Questa volta, Gaunor parlò. “Ho lasciato qualcosa.” “Hai lasciato qualcosa? Che significa?” chiese Atkinson, sorpreso. “Qualcosa. Mi attende. In sospeso.” fu l’enigmatica spiegazione. Atkinson lo guardò inebetito, come chi riceve una risposta inattesa e sconnesso da qualcuno che, fino a prima che aprisse bocca, si credeva sano di mente. “Ma… come parli? Sei forse impazzito nella tua permanenza a Numar?” “Oh no, al contrario. Mi si sono schiarite le idee.” rispose

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l’uomo. “E allora perché non mi dici cosa vuoi e la facciamo finita?” chiese ancora Atkinson, spazientito. Gaunor tacque. Poi, fece un profondo respiro, come se avesse appena preso una grossa decisione. “Voglio riprendermi Losille. Togliti di mezzo, oppure sarai distrutto.” Atkinson aprì la bocca, ma il tono definitivo con cui aveva appena parlato il suo avversario gli aveva fatto capire che non ci sarebbe stato modo di ragionare con lui, che ormai la strada da percorrere era stata tracciata, e che lo scontro sarebbe stato inevitabile. Ma, forse, c’era ancora qualcosa che poteva fare. Scostò il mantello di lato, e sfoderò le due spade, preparandosi al combattimento.Gaunor rise, divertito. “Quei giocattoli sono anche troppo per te. Gettali, dalli a me.” disse, accennando col capo alle lame del generale. “Ricordi questa spada, non è vero? Era di Marcus, mio padre. E questa è la sua gemella” spiegò Atkinson, mostrando le due armi. “Sono le Lame Sorelle di Enea, il Mentore del Fuoco che insegnò la Magia Elementale alla mia famiglia. Spero che ti ricorderai almeno di lui…” “Marcus si è lasciato uccidere come uno stolto.” sentenziò Gaunor. “Mio padre è morto per venire a salvarti il culo!” urlò Atkinson. “Tu e la tua sete di sangue Torn lo hanno portato alla rovina!” “E’ morto per essersi lasciato sopraffare da un demone. Ha scelto il nemico sbagliato contro cui battersi.” ribatté l’altro. “Avresti dovuto metterti tra lui e Ruuna, allora!” sbottò ancora il Generale. “Non mi interessava Ruuna. Dovevo salvare Nima.” rispose Gaunor, sempre nel suo tono distaccato e glaciale, come se si stesse annoiando a spiegare una verità evidente ad un

bambino capriccioso che si rifiutava di capire. “E’ questa la ragione per cui ti ho risparmiato.” si sfogò improvvisamente Atkinson. “Sapevo che non avresti mai ammesso le cose come stanno. Non chiedevo che una valida ragione per essere io stesso a giustiziarti, dopo aver chiarito con te.” Gaunor alzò un sopracciglio, per la prima volta forse davvero sorpreso. “Allora, le tue mani sono sporche di sangue tanto quanto lo sono le mie.” sentenziò. “Può darsi.” ammise il generale.“Eppure, nonostante tu possa credermi in torto, le mie mani sono sporche per una giusta causa.”Stavolta, fu il turno di Atkinson a tacere. Nessuno dei due si mosse, per qualche minuto: rimasero in silenzio a fissarsi nell’oscurità. Non si muoveva una foglia, né si udiva una voce. Era come se fossero stati soli, nonostante due eserciti schierati l’uno contro l’altro fossero sicuramente lì a guardarli, senza che gli uomini di nessuno dei due potessero udire cosa si stavano dicendo. “A questo punto, le tue ragioni non mi importano più. Se tu ci attacchi, non potrò fare altro che ordinare la difesa, e schiacciarti con le mie stesse mani.” disse finalmente Atkinson, accennando col capo alla città alle sue spalle. Gaunor sorrise malvagiamente. “Non vi sto attaccando. Vi ho già presi.” In un istante, un lampo di luce rossa accecante partì dal suo braccio teso, senza che lui avesse fatto un singolo movimento: saettò verso il cielo, esplose in mille frantumi scagliati in tutte le direzioni, e, per un secondo, illuminò a giorno l’area intorno a loro: il segnale era stato dato, ed i Numariani attaccarono.

***

“Che cosa sta succedendo? Di chi era quel grido?” esclamò Nya,

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terrorizzata. Tremava, e sembrava faticasse a mantenersi in piedi. Kyvenge la afferrò con un braccio sui fianchi, stringendola a sé, mentre con l’arto libero proiettava intorno a loro due ed a Vylisour lo scudo magico fatto di fulmini, ordinandogli di seguirlo. Noko si accodò a loro, la naginata stretta in pugno, mentre una nuova selva difrecce li attaccava dall’alto, invisibili portatrici di morte. “Kyvenge! Dobbiamo salire sui bastioni! Non possiamo restare qui ad aspettare che entrino!” urlò Vylisour, abbandonando la sicurezza dello scudo magico e gettandosi contro una porta di legno spesso, solitamente protetta dalle guardie di Atkinson ma, in quel momento, priva di difensori. Era ben chiusa dall’interno, e sembrava difficile da sfondare a mani nude. “Che cosa vuoi fare?!” chiese Kyvenge, avvicinandosi; Nya si appoggiò con la schiena al muro, guardandosi attorno come se fossero inseguiti, piena di nervosismo, mentre Noko, ad un passo di distanza da loro, controllava la strada: le uniche persone visibili all’orizzonte erano i soldati della città, in attesa di ordini, pronti a difendere le mura. Dall’esterno, provenivano urla in lingua straniera, tonfi, rumore di stivali sulla terra dura, ed inquietanti movimenti di pesanti macchine di legno: catapulte in fase di ricarica... Con uno sguardo d’intesa, Vylisour si allontanò di un paio di passi dalla porta, mentre Kyvenge le puntava contro il palmo della mano, le dita ben tese ed aperte. Un intenso bagliore bianco-azzurro si sprigionò dal ragazzo, scattò in avanti come un fiume in piena, e distrusse il legno come se fosse stato di sabbia. Nya cacciò un urlo di sorpresa, Vylisour entrò di slancio, mentre Kyvenge afferrava la mano della ragazza e se la tirava dietro. “Io resto qui a difendere l’entrata! Temo che fra non molto dovremo dare battaglia!” urlò Noko, nascondendosi nella penombra dietro la porta distrutta. Kyvenge gli urlò il suo assenso, e si accinse a salire le scale, dietro a Vylisour e Nya, che portavano all’esterno. Un altro terribile grido di dolore spezzò

l’aria della notte, e Kyvenge seppe di chi si trattava. “Oh... mio...” mormorò Nya, in ginocchio e riparata appena dal parapetto più esterno del bastione, mentre Vylisour, di fianco a lei, stava quasi in piedi ad osservare la scena. Attorno a loro, gli arcieri di Nauros non facevano altro che incoccare frecce, tirare e nascondersi, mentre i Numariani li tempestavano a loro volta di dardi. Kyvenge si gettò a terra, quasi scivolando, per raggiungere il più presto possibile i due amici e proteggerli nuovamente con lo scudo di fulmini. “E’.. è lui, vero?” Vylisour si accovacciò accanto all’amico, e rispose con un cenno del capo, senza emettere un suono. Era la prima volta da quando si conoscevano, e Kyvenge lo prese come un brutto segno. Nya si acquattò, mentre Kyvenge, lentamente, sporgeva la testa per sbirciare fuori. E li vide. Una figura imponente, alta forse due metri, vestita di nero da capo a piedi, stava ritta accanto ad un’altra figura sdraiata a terra, ansimante... i pezzi della corazza in frantumi, il mantello sfilacciato e forato, ed una delle due spade abbandonata lontano, sul terreno. La figura vestita di scuro si avvicinò all’altra, tese il braccio, e persino i soldati Numariani si fermarono a guardare. Con uno schiocco terrificante, la figura sdraiata venne scagliata in aria per una decina di metri, dove si immobilizzò, perse uno degli spallacci dell’armatura, ed infine ricadde a terra, contro la Porta Ovest, come una marionetta senza fili. Ma ancora non era sufficiente. Costretto dalla terribile magia, il Generale venne fatto piroettare ancora in aria… “Cos’è successo?” esalò Nya, cercando di alzarsi e guardare fuori, ma Vylisour glielo impedì, abbracciandola e nascondendole il volto premendolo sul proprio petto. Stava piangendo, ma nessuno lo vide, nemmeno Kyvenge: era troppo occupato a fissare l’orrenda scena che si stava consumando sotto ai suoi occhi... Poi ci fu un boato, un urlo, ed i soldati di Numar tornarono

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nuovamente all’attacco, concentrandosi stavolta nell’eliminare il maggior numero possibile di tiratori presenti sui bastioni di Losille: Vylisour gridò, Nya urlò per lo spavento, ed insieme si gettarono verso la scala che conduceva al pianterreno, tirandosi dietro Kyvenge, che ancora non riusciva a togliersi dalla mente la figura ammantata di nero che lanciava per aria il generale Atkinson... vivo o morto, non avrebbe saputo dirlo. “Sbrigati, Kyvenge! Dobbiamo andare giù! Dobbiamo andare giù.....!” L’ultima frase di Vylisour venne sovrastata da un frastuono immane: un masso gigantesco, lanciato da una delle catapulte di Numar, aveva trapassato il muro esterno, sfasciando la scala e trascinando con sé Vylisour e Nya in una nube di calcinacci, legno e detriti. Kyvenge, che li seguiva con leggero ritardo, fece appena in tempo ad aggrapparsi al pezzo di corrimano ancora integro per non perdere l’equilibrio, e li vide cadere per una altezza di almeno un paio di metri sotto di sé. “Nya! Vyl! State bene?! Rispondetemi, vi prego!” urlò disperato il ragazzo, arrampicandosi subito giù dal bordo dell’ultimo scalino ancora intero, prima che questo cedesse e si spezzasse esattamente nel mezzo, togliendogli l’appiglio e facendo precipitare anche Kyvenge nel mucchio di resti del bastione nord. “coff, coff! Kyvenge! Pezzo di cretino!” tossì Vylisour, mettendosi a sedere e togliendosi di dosso l’amico. “Con tutto il posto che c’era...” “Scusa, la prossima volta mirerò meglio e cadrò addosso a Nya!” si scusò con poca convinzione Kyvenge, alzandosi in piedi. “Nya! Dove sei?” “Qui... un attimo...” mormorò la ragazza, sdraiata sotto ad un cumulo di legna e mattoni. “Non ho... neanche... fatto in tempo... a difenderci con la magia...” “Non ti preoccupare, ero tutto intero prima che Kyvenge mi cadesse addosso...” la consolò Vylisour, avvicinandosi a lei ed aiutandola ad uscire dal cumulo di detriti, mentre anche Kyvenge, mandando a quel paese l’amico, si avvicinava per dar loro una mano. “Come stai? Niente di rotto, vero?”

“Non credo... non peggio di te...” disse lei, accennando col capo ai numerosi graffi sanguinanti sul viso del ragazzo. Vylisour ridacchiò. “Cicatrici di guerra... le ragazze impazziranno!” si vantò Vylisour. Nya sorrise, divertita. Le urla li riportarono improvvisamente alla realtà. “Numariani! Stanno venendo qui! Stanno per circondarci!” li avvisò Kyvenge, senza alzare troppo la voce. “Cercate di nascondervi dietro quelle assi, io li distrarrò!” “Cosa vuoi fare?!” esclamò Vylisour, stupito. “Non lo so, mi inventerò qualcosa!” rispose Kyvenge, ansioso. “Ora copritevi, nascondetevi, presto!” “Non ti lasceremo...” iniziò Nya, ma l’amico la interruppe. “Non saremmo dovuti finire qui, non adesso! E se devo morire, tanto meglio se servirà a darvi modo di mettervi in salvo! ORA NASCONDETEVI!” Il tono di Kyvenge non ammetteva discussioni. Vylisour lo salutò con un rispettoso cenno del capo, nonostante la sua solita aria beffarda, e Nya lo fissò senza riuscire a nascondere la preoccupazione: un piccolo drappello di uomini di Numar si stava avvicinando, le spade in pugno, le frecce incoccate... “Sbrigatevi!” sussurrò un’ultima volta Kyvenge, prima di voltarsi e lanciarsi verso il nemico. Il ragazzo corse inizialmente dritto davanti a sé, poi, una volta che le voci degli stranieri si furono fatte abbastanza forti ed agitate da significare che dovevano averlo notato, fece dietro-front, scagliò alcuni piccoli fulmini magici nel terreno e, approfittando del polverone che si era creato, si avvicinò ad un paio di loro, afferrandogli le teste e facendole cozzare elmo contro elmo: i due uomini caddero a terra, privi di sensi, senza neanche sapere cosa fosse accaduto. Erano due arcieri. Molto bene, non avrebbe dovuto temere più di tanto gli attacchi dalla media distanza adesso...La polvere nel frattempo era ricaduta a terra, sgombrando leggermente la visuale. L’oscurità avrebbe potuto aiutarlo a spostarsi non visto lungo il campo di battaglia, ma a che pro

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girare a vuoto per mettere fuori combattimento i soldati di Numar? Usare a lungo quella strategia non gli avrebbe procurato alcun giovamento. Non era entusiasta all’idea di dover uccidere i suoi avversari, e, potendo, lo avrebbe evitato volentieri, ma... era pur sempre una battaglia. Era la sua vita contro quella degli altri. Se vi fosse stato costretto, avrebbe dovuto farlo… Altre urla in Numariano: gli altri soldati avevano appena trovato i due compagni svenuti. Kyvenge si avvicinò ad un lanciere rimasto solo, sguainò silenziosamente la spada, tagliò la punta dell’arma nemica, ed approfittò del gesto sorpreso con cui l’uomo stava guardando la propria lama cadere pesantemente nell’erba per colpirlo in faccia con l’elsa della spada, torcergli un braccio dietro la schiena e porselo di fronte, come uno scudo umano. Le urla del soldato catturato attirarono immediatamente attenzioni sgradite ma, in qualche modo, desiderate: ora avrebbe potuto facilmente avvicinarsi alla Porta Ovest e, magari, barattare la vita del lanciere sprovveduto con quella del Generale Atkinson.

***

Zaref e Jork si erano appostati al bastione sud della Porta – il gemello di quello da cui, di lì a poco, sarebbero entrati Kyvenge, Vylisour e Nya per osservare il duello tra Gaunor ed Atkinson dall’alto, ma questo, ovviamente, non potevano saperlo – e si erano acquattati, non notati da nessuno, nella stanza di quarantena dove normalmente venivano fatti sostare animali e viaggiatori prima dell’ingresso ufficiale in città. Da lì, attraverso due piccole feritoie protette da maglie d’acciaio, potevano sbirciare gli avvenimenti sul campo di battaglia, ormai sempre più vicino. “Eccolo...” mormorò Zaref. “E’ lui...” “L’uomo alto, vestito di nero?” chiese Jork. “Sì... è Gaunor...” “Abbassa la voce...!” “Non avrai paura che possa sentirti da laggiù!”

“Laggiù un cazzo, con tutte le storie che girano su quell’uomo...” “E’ solo un uomo, Jork, è solo un uomo...! Dobbiamo basarci su questo fatto se vogliamo anche solo sperare di vincere... scommetto quello che ti pare che anche Atkinson la pensa così... è solo un uomo, anzi, è un uomo solo. Nessuno è veramente dalla sua parte, fidati... i Numariani gli stanno dietro solo perché hanno paura, sono terrorizzati da lui come lo siamo noi, ma appena avranno qualche dubbio sulla sua forza, appena lo vedranno titubare, vedrai... saranno loro stessi a togliergli il potere, come succede a tutti i dittatori!” “Ciò non toglie che in questo momento... ma cosa fanno?” chiese Jork, sorpreso. “Si sono avvicinati... sono lì fermi da un po’ ormai... ma cosa stanno facendo? Stanno... stanno parlando?” “Succede, tra esseri umani, sai...” ribatté sarcastico Zaref. “Ma... ti sembra normale? In un momento così...” “Atkinson probabilmente sta tentando il tutto per tutto per fermare questa follia...” ipotizzò Zaref. “Forse spera ancora di poter convincere Gaunor a non attaccare Losille... dopotutto, è la città della moglie...” “Peccato che Gaunor abbia assassinato sua moglie...” controbatté Jork. “Dettagli...” ironizzò Zaref. “Forse ha ragione tuo figlio, a dire che sembriamo un’anziana coppia di sposi.” “Hai forse deciso di uscire allo scoperto e ammetterlo, caro Jork?” chiese Zaref, voltandosi sorridendo a guardare l’amico con un ghigno scherzoso. Jork si voltò a sua volta. “Non mi sembra il momento adatto per fare tutte queste battute...” “Sei sempre troppo serio, amico mio. La vita è troppo breve per non concedersi un sorriso, specialmente nei momenti più cupi.” disse Zaref. In quel momento, un lampo di luce illuminò a giorno persino la cupa saletta di quarantena, ed i due uomini, voltandosi rapidamente a guardare la scena per via dell’urlo di dolore più che per il bagliore luminoso, contrassero i propri volti in una smorfia di stupore e paura.

Capitolo V - I due amici

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“Per l’Uno...” “Hanno... hanno smesso di parlare, Jork... eccoti accontentato.” Uno spettacolo grande e terribile si parò di fronte agli occhi spalancati dei due uomini: Atkinson, nonostante la pesante e grossa armatura che indossava, si era lanciato contro il suo avversario con la stessa velocità ed agilità che avrebbe avuto se non stesse portando nulla di più pesante di un mantello, le due spade sguainate e desiderose di vendetta. Gaunor, avvolto nel lungo cappotto nero, aveva dato inizio, assieme al temibile Generale di Losille, ad un rapidissimo balletto fatto di schivate ed affondi, in cui, incredibilmente... lui non aveva nessun’arma in mano, mentre l’avversario ne possedeva addirittura un paio, e tuttavia, nessuno dei due era ancora riuscito a ferire l’altro. “E’ pazzesco... come fa Gaunor a schivare i colpi di spada di Lucas?! Nemmeno Kyvenge ci riusciva, doveva per forza difendersi con le armi, e quello... quell’uomo... anzi, non sembra nemmeno un essere umano!” esclamò Jork, aggrappandosi alle inferriate della feritoia con le mani per assicurarsi di essere davvero ancora alla realtà. “Stupefacente...” mormorò sottovoce Zaref. “Davvero stupefacente... è proprio come raccontano le storie... Gaunor è... il più abile combattente tra gli Uomini...” “Tutto ciò sarebbe molto bello, se lui non fosse contro di noi...” “Hai ragione...” ammise Zaref, senza smettere un attimo di ammirare il mortale scambio di colpi tra Atkinson e Gaunor. “Sarebbe bellissimo, se Gaunor non fosse nostro nemico...”

***

“Sei un codardo. Non c’è niente di vero dietro le storie sulla tua grandezza.” disse amaramente il generale Atkinson, fissando Gaunor con una smorfia mista di delusione e disprezzo. Questi lo fissò di rimando, senza smettere di sorridere: una smorfia beffarda sul suo volto austero e potente, che non trasmetteva né gioia né spensieratezza.

“I codardi sopravvivono per parlare degli eroi morti. Solo alla fine della tua vita saprai se sei stato l’uno... oppure l’altro.” “Smettila di cianciare.” lo interruppe Atkinson, agitando le mani che stringevano le due spade con un gesto di impazienza. “Hai lanciato a tradimento il tuo esercito contro la mia città. La città di Nima.” Atkinson tacque, cercando di trovare la determinazione di fare quello che si riprometteva di fare da quando tutta quella maledetta storia era iniziata. Non per mancanza di coraggio, quello no. “Ora... affrontami.” riuscì finalmente a dire, puntando una delle due lame contro la gola del suo avversario, cercando di sembrare più determinato di quanto non fosse in realtà. Non per codardia, ovviamente. “Non ne saresti all’altezza.” disse seccamente Gaunor, senza muoversi di un millimetro, senza indietreggiare, senza timore della punta affilata di una spada, retta da una persona che lo odiava, dritta contro la grotta che teneva la sua testa attaccata alla vita. “Mettimi alla prova.” lo incalzò Atkinson, sperando, in cuor suo, che fosse l’altro a dare inizio alla cosa. Non per indecisione, si ripeté ancora una volta il Generale. “Non vedo il bisogno di duellare se so già chi vincerebbe.” rispose ancora una volta il cupo comandante di Numar. “Smettila di prendermi per il culo e dimostrami se almeno qualcosa sul tuo conto è vera!” sbraitò Atkinson, prostrato dalla tensione e dall’interminabile dialogo che stavano intrattenendo già da troppo tempo, mentre i soldati di quel terribile uomo stavano attaccando la sua bella città. “Fammi vedere se davvero sei così furbo e abile come dicono, e se davvero tutta questa bravura non ti è bastata a salvare Marcus, la Regina, e tutti gli altri che ti sono morti davanti agli occhi senza che tu battessi ciglio!” Gaunor, impassibile, rimase dritto come un palo,

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senza smettere di guardare negli occhi il Generale. Fu Atkinson a distogliere lo sguardo per primo, carico di rancore, di un’inspiegabile avversione per l’uomo che era stato, prima che un nemico, prima che un sovrano, prima che un superiore, un amico e un fratello maggiore. L’uomo di punta di suo padre, Marcus Atkinson, morto durante la disperata missione di salvataggio della Regina Farlen e della Principessa Nima, senza mai una parola di affetto per il figlio. Eppure, Atkinson non aveva mai odiato il suo rivale: ne conosceva il valore, ne apprezzava il coraggio e la determinazione, ed in cuor suo capiva come potesse il padre sentire più vicino un commilitone che un figlio, di fronte a tanti e tali pregi squisitamente militari. Con il carattere che aveva Marcus, poi… sembrava normale…Tanto da rischiare la vita con e per lui. Tanto da morire per lui. “Incrocia la spada con me. Sono io che te lo chiedo.” disse Atkinson, mentre le prime grida di morte provenienti dalle mura di Losille facevano avvampare di vergogna e di rabbia verso se stesso il militare più alto in grado della città, certo di essere in qualche modo responsabile per quelle vite che si erano già spente, e per tutte le altre che sarebbero state spazzate via quel giorno. Non per scelta, pensò ancora Atkinson: per destino, forse... La reazione di Gaunor fu improvvisa ed imprevedibile: con un fulmineo passo laterale si allontanò dalla lama che ancora Atkinson gli teneva all’altezza della gola, afferrò il braccio armato del generale con le due mani e lo torse, costringendolo in una terribile morsa d’acciaio, tanto da fargli mollare la presa e far cadere con un tonfo la spada nell’erba. Il Generale reagì, sorpreso e disperato, con un colpo alla cieca dell’altra spada, diretta verso l’uomo alle sue spalle, ma lo mancò; Gaunor si vendicò prontamente con una possente gomitata nella schiena di Atkinson, a cui si spezzò il respiro per la violenza del gesto, nonostante la spessa corazza di piastre che indossava e che anzi si piegarono tremendamente verso l’interno, schiacciandone le

carni. Ansimando per la fatica a respirare ed il dolore, Atkinson richiamò a se tutte le proprie forze, generando un improvviso fascio di scariche elettriche che dal proprio corpo si scagliò verso l’esterno con una forza immensa, tanto da allontanare di qualche metro Gaunor, il quale però non venne per nulla danneggiato dall’estrema difesa del Generale: una bolla magica, nata e cresciuta più rapidamente di un battito di ciglia, lo aveva salvato dal diventare il perfetto sosia di un pollo alla diavola. Atkinson fede una mezza piroetta su se stesso, si voltò a fronteggiare il comandante di Numar con ancor meno determinazione di prima, e facendosi forza dalle gambe si alzò in posizione eretta, dopo essere rimasto piegato in avanti per tutto il tempo in cui Gaunor gli aveva piegato il braccio: la schiena ed il braccio già dolevano come se fossero state spezzate, ed invece non erano che appena ricoperte di lividi e graffi. L’uomo vestito di scuro fece qualche passo verso di lui, come un fantasma ricoperto di teli neri e rossi, incombente e tangibile come una tigre pronta a balzare... Atkinson strinse forte la spada nella mano sinistra, sperando di essere tanto bravo con quella quanto con la destra, troppo mal messa al momento per resistere ad uno scontro diretto. Si lanciò verso il proprio nemico con un balzo, tenacemente sostenuto dalla disperazione, dalla necessità di quello scontro che avrebbe volentieri evitato: Gaunor schivò il fendente, e poi l’affondo, ed ogni altro colpo vibrato contro di lui dal generale. Iroso e stufo di quel balletto, Atkinson si gettò a recuperare l’altra spada, ed una volta recuperata questa, inseguì sul terreno ricoperto dei loro passi il rivale, minacciandolo continuamente da ogni lato con le spade gemelle, ma senza successo: Gaunor era tanto veloce e tanto abile da schivare e quasi anticipare i colpi del generale senza aver nemmeno bisogno di pararsi - non aveva ancora nemmeno sfoderato la sua arma. Atkinson, avvilito e infuriato, perse momentaneamente il controllo: si fermò, ansante, guardando il proprio avversario per un attimo, e poi stese il braccio sinistro davanti a se,

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liberando lo stesso devastante colpo che aveva ucciso il mostro marino una settimana prima: una vera tempesta di fulmini concentrata in un unico, abbagliante raggio di energia elettrica, crepitante e devastante. Questa volta, Gaunor fu costretto a difendersi: schivare avrebbe voluto dire mettere in pericolo il proprio esercito, e le proprie risorse. Piantò i piedi foderati dagli stivali di pelle nel terreno, stese entrambe le braccia di fronte a se, concentrandosi finché una sfera d’aria nera e viola, roteante e crepitante a sua volta, non gli apparve tra le mani: Atkinson fece appena in tempo a vederla, la sua bocca ad aprirsi per lo stupore, prima che la tempesta di fulmini la colpisse, ne venisse assorbita, ed infine fosse rispedita al mittente. In una frazione di secondo, ricorrendo ancora una volta quella notte alla forza della disperazione, Atkinson si difese generando una versione più potente della stessa bolla magica adoperata da Nya per proteggere se stessa ed i suoi amici dal pericolo delle frecce, ma il fascio di energia magica Nera ed Elettrica che l’avrebbe colpito avrebbe avuto un potere molto più devastante di qualunque freccia sul suo corpo, e lui, Lucas, non avrebbe avuto scampo. Si preparò a parare in qualche modo l’attacco, rivolgendo i suoi ultimi pensieri al padre a cui tanto aveva pensato quella notte, ed ai ragazzi che aveva allenato con tante speranze nel cuore, e poi non penso più.

Capitolo VIStranieri nel santuario

“Che cosa sta succedendo? Di chi era quel grido?” esclamò Nya, terrorizzata. Tremava, e sembrava faticasse a mantenersi in piedi. Kyvenge la afferrò con un braccio sui fianchi, stringendola a se mentre con l’arto libero proiettava intorno a loro due e Vylisour lo scudo magico fatto di fulmini, ordinandogli di seguirlo. Noko si accodò a loro, la naginata stretta in pugno, mentre una nuova selva di frecce li attaccava dall’alto, invisibili portatrici di morte.

Kyvenge si avvicinò lentamente al luogo del duello, costringendo ogni fibra del proprio corpo a non tremare: tale era il timore reverenziale, impossibile da non provare al cospetto di Gaunor, sovrano ripudiato, capitano d’uomini, assassino. Il corpo di Atkinson giaceva a terra, supino, le spade abbandonate sul terreno, la corazza infranta, le vesti lacere. Il ragazzo si impose di non guardarlo, di mantenere la fermezza e la freddezza necessaria. Gaunor voltò lentamente la testa, posando gli ardenti occhi castani sul giovane e sul lanciere catturato ed usato come scudo umano.

“Chi sei? Cosa ci fai qui?” chiese il comandante di Numar con voce fredda rimbombante, come di tuono tra le valli di montagna. “Non dovresti essere sulle mura, a proteggere la tua città? A morire per essa?”

Kyvenge ricambiò lo sguardo con curiosità e timore, come un gattino di fronte alla vastità dell’oceano: non avrebbe certo gradito farsi il bagno in uno specchio d’acqua tanto vasto e potente, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di avvertire un certo rispetto per esso. La leggenda era un uomo, dopotutto: era fatto di carne ed ossa, come lui, e nelle sue vene scorreva lo stesso, identico sangue che scorreva all’interno del suo corpo. Ma gli occhi lasciavano intuire che oltre il simulacro giacesse qualcosa di più, che in quel sarcofago di materia vivente vi fosse un’anima più grande e più possente di molti uomini messi insieme, e la consapevolezza del potere latente di Gaunor faceva tremare le gambe di Kyvenge e gelare per la

Capitolo VI - Stranieri nel santuario

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tensione le sue dita. Il lanciere, disarmato e impotente, si agitava nella morsa

delle sue braccia, tentando invano di liberarsi, chiamando aiuto nella lingua di Numar, rivolto al suo più potente capitano, ma l’alto uomo vestito di scuro non diede segno di aver compreso, o di provare alcunché nei confronti del commilitone in pericolo.

“La sua vita per quella del generale!” declamò Kyvenge, accennando col capo al suo prigioniero, una volta che ebbe finalmente racimolato il coraggio necessario per parlare alla presenza del più abile combattente tra gli uomini. L’antico Re di Nauros studiò il ragazzo con una curiosità che fino a quel momento non aveva mai manifestato.

“Ho sentito bene?” chiese la voce glaciale. Kyvenge annuì e rincarò la dose:

“Consegnami il generale Atkinson, o questo qui farà una brutta fine!”minacciandolo con la spada.

Per qualche momento, nessuno parlò, e l’unico suono udibile fu ancora quello dell’esercito di Numar che caricava con sempre maggior vigore le mura ed i bastioni, ormai quasi caduti, di Losille. I dardi fischiavano attorno a loro, e si alzavano nubi di polvere e di fumo dal terreno e dalle case in fiamme, mentre le prime, tenui luci dell’alba balenavano nell’aria. Finalmente, Gaunor fece un passo verso il ragazzo, ridacchiando, ma Kyvenge era pronto: reagì, fulmineo, puntando ancor più fermamente la spada contro la gola del lanciere, tanto da graffiarlo. Una goccia di sangue colò lungo il collo del soldato, il quale ormai si agitava e fremeva, sempre più disperato.

“Faccio sul serio! Lasciami portare via il corpo del Generale, o ti assicuro che lo sgozzo come un maiale qui davanti a te!” gridò Kyvenge, sempre più determinato. Era come tuffarsi da una rupe altissima: una volta superato il contatto con l’acqua gelida, si sentiva in confidenza con essa, e avrebbe continuato a nuotare anche quando non avrebbe più avuto alcun sentore del fondale sotto di sé. Era lanciato, era senza possibilità di tornare indietro, ma ora non aveva più paura per se stesso: solo per

Atkinson.Gaunor rise ancora, sempre più forte.“Fa’ come vuoi. Portalo via. A me non interessa più.”

disse l’uomo, osservando divertito il ragazzo. Kyvenge aprì leggermente la bocca per lo stupore, senza volerlo, e l’altro lo notò. “Davvero, fai pure. Portalo via.” ripeté Gaunor, allargando le labbra in un sorriso vuoto, privo di gioia. Kyvenge continuava a ripetere a se stesso che era di sicuro un trucco, che non avrebbe dovuto voltargli le spalle nemmeno per un secondo.

“Non mi credi? D’accordo, ti darà una mano.” gli concesse Gaunor, stendendo il palmo destro verso l’alto, in direzione del corpo esanime di Atkinson: immediatamente, quello cominciò a veleggiare a mezz’aria, diretto verso la Porta Ovest di Losille. Kyvenge lo seguì con lo sguardo, preoccupato e sorpreso, senza tuttavia smettere di stringere la presa sul Numariano catturato.

“Ora è al sicuro. Raggiungilo. E’ nella sala di quarantena, nel bastione sud della Porta Ovest. Sai, io governavo qui. Questa era la mia città, una volta.” spiegò Gaunor, senza smettere di fissare Kyvenge e, cosa ancor peggiore, di sorridere. Quel sorriso malvagio non lasciava presagire nulla di buono. Ma Kyvenge era onesto, e mantenne il patto. Lasciò andare il Numariano che, incredulo ed ebbro di felicità, si voltò a guardare il ragazzo, sorridendo di vera gioia, prima di tornare sui suoi passi e mettersi a correre in direzione del suo comandante. Gaunor lo sentì arrivare, più che vederlo realmente, e farsi sempre più vicino, senza smettere di ricambiare lo sguardo del ragazzo. Inspirò forte, mormorando qualche parola in tono deluso nella lingua di Numar mentre espirava. Il lanciere appena liberato si fermò di scatto, sorpreso e spaventato, mentre, sotto gli occhi stupefatti di Kyvenge, la lama di Gaunor usciva dal fodero privo di decorazioni senza che nessuno la stesse maneggiando e, con un movimento fulmineo, colpì il soldato alla gola, lasciando un profondo, orribile taglio grondante sangue nel collo del

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disgraziato. Il corpo già morto cadde malamente sul terreno,

macchiando di rosso l’erba verde, mentre la bocca di Kyvenge si apriva in una attonita ‘O’ priva di voce, e Gaunor ancora lo guardava sorridendo.

“Un uomo che si lascia sorprendere alle spalle da un ragazzino alla sua prima battaglia non mi serve a nulla.” spiegò, mentre Kyvenge, senza parole, si allontanava da lui camminando all’indietro. Non avrebbe mai potuto rivaleggiare contro quell’uomo, incrociare la spada con lui non sarebbe servito a nulla. Quale tipo di magia permetteva ad un’arma di muoversi da sola? E quale razza di mente malvagia poteva uccidere così brutalmente un compagno appena liberato?

“Corri pure dalla parte giusta, ragazzo. Non ho alcun interesse a seguirti.” lo canzonò Gaunor, seguendone il percorso con occhio calcolatore. Kyvenge corse verso la Porta Ovest, chiedendosi ad ogni passo quanto tempo avrebbe avuto ancora prima di venire colpito senza preavviso da quell’uomo spietato.

***

“Kyvenge! Sei proprio tu?!” esclamò Zaref, stupito di vedere il proprio figlio entrare di gran carriera nella stanza di quarantena - la stessa dove, pochi minuti prima, era arrivato veleggiando a mezz’aria il corpo del Generale Atkinson. Il ragazzo li guardò uno ad uno, e poi, per niente stupito di vederli lì – aveva l’assurda sensazione che Gaunor lo avesse mandato in quella stanza apposta -, corse verso il padre e lo strinse forte in un abbraccio. “Ouch! Ehi... cosa c’è, figlio? E’ tutto a posto, noi stiamo bene...”

“Lucas... come sta? E’... è m-morto..?” chiese Kyvenge, sciogliendosi dall’abbraccio con il padre e tremando leggermente. Ancora non riusciva a credere di essere sopravvissuto al suo incontro con Gaunor - non dopo quello che gli aveva visto fare.

“Atkinson è vivo” rispose Jork, alzando lo sguardo dal corpo del Generale: era stato spogliato dell’armatura, parzialmente rovinata, ed era stato deposto su un tavolo di legno. Sulla panca lì accanto sedevano Jork, che aveva qualche cognizione medica e teneva il polso dell’uomo per assicurarsi che battesse ancora, Vylisour, che esibiva diversi tagli (qualcuno ancora sanguinante) lungo il corpo e un vistoso occhio nero, e Nya, lacerata e contusa ma, nel complesso, più sana dell’amico. Kyvenge li vide ed immediatamente gli corse incontro, accolto da un secondo abbraccio spezzacostole del suo migliore amico, e dal sorriso raggiante della ragazza.

“Kyvenge! Stai bene? Ci hai salvato la vita, attirando l’attenzione di quel gruppo di soldati... il tuo diversivo ci ha lasciato il tempo di arrampicarci lungo i resti del bastione, e da lì siamo tornati all’interno delle mura di Losille. Noko ci ha dato una mano a ridiscendere... e poi è passato Pokon, che comandava le truppe!” spiegò Nya, senza fermarsi un secondo a respirare, ma Kyvenge la interruppe:

“Pokon guida i soldati di Nauros?”“Sì, ci ha detto che lui ed Atkinson avevano concordato

tutto la scorsa notte. Lucas voleva incontrare Gaunor, perché era sicuro che anche lui lo avrebbe voluto vedere prima di attaccare la città... eppure alla fine ha lanciato ugualmente i suoi uomini all’attacco, forse pensando di lasciare Losille debole, una volta privata del suo comandante, ed è per questo che Pokon non si è visto tutta la notte, era già alla Porta! Ha allestito il suo quartier generale in una casa anonima lungo la Via Maestra, di modo che nessuno vi facesse caso. All’inizio, i soldati pensavano addirittura che volesse prendere il potere!” proseguì Nya, spiegando tutto. “A noi lo ha detto solo pochi minuti fa, quando lo abbiamo incontrato mentre guidava un gruppo di arcieri verso la Porta Sud…”

“Ma cosa sta succedendo adesso? Come procede la battaglia? I Numariani hanno superato le nostre difese?” chiese Kyvenge, avido di informazioni.

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“No, per ora siamo riusciti a respingerli... abbiamo dovuto dare battaglia anche noi, come vedi!” interloquì Vylisour, indicando con il dito il rigonfiamento nero che gli metteva in ombra l’occhio sinistro. “Alcuni Numariani si sono arrampicati dallo stesso mucchio di calcinacci e travi di legno spezzate da dove siamo risaliti noi, e io ho dovuto respingerli in basso a calcioni, per dare il tempo a Nya di ridiscendere al sicuro!”

Kyvenge sorrise all’amico, grato. Lui restituì il sorriso con un’occhiata che significava “non è niente, non è niente” che non sfuggì a Nya, la quale, però, non disse nulla.

“Ma ho visto molti meno uomini attaccare la Porta Ovest mentre tornavo qui... dove sono finiti allora?” chiese Kyvenge, ripensando alla scarsissima resistenza che aveva incontrato lungo il suo cammino lontano da Gaunor.

“Per forza, si sono diretti quasi tutti verso la Porta Sud! Non siamo riusciti ancora a capirne il motivo, perché è molto più piccola e meglio difesa, ci sono molti bravi arcieri... e poi, anche se riuscissero a sfondarla, i loro uomini entrerebbero con maggiore fatica nella città. Eppure, ad un certo punto, si sono diretti quasi tutti lì. Solo qualche drappello ha deviato verso la Porta Nord, ed alcuni sono rimasti attorno alla Ovest, ma, a quanto pare, senza troppa convinzione.”

“Noi crediamo che stiano cercando qualcosa, e che abbiano avuto sentore che si trovi nella zona meridionale di Losille. Per questo starebbero concentrando le proprie forze sulla Porta Sud. Tieni conto che questo, per quanto abbiamo visto, non è un grande esercito... ma non possono essere tutti qui gli uomini che Gaunor si è portato dietro da Numar. Deve esserci qualcosa sotto. Come se questa fosse una missione di esplorazione, e non di conquista nuda e cruda.” disse a quel punto Zaref, inserendosi nella conversazione. I ragazzi si voltarono a guardarlo.

“Cosa te lo fa pensare?” chiese Vylisour.“Beh, non ci avevamo mai pensato finora, ma… se io

fossi un nemico, e volessi conquistare Nauros... per quale motivo dovrei prendermi la briga di approdare all’Arcipelago Occidentale, scarpinare lungo la strada montagnosa che divide le due coste della Penisola di Nauros, arrivare a Losille, e poi da lì ripartire per una ipotetica marcia verso nord, in direzione della Capitale?” snocciolò Zaref. “Farei piuttosto rotta verso Nord fin da subito, e da lì marcerei dritto su Arkon, senza perdere tanto tempo. Mi sembra molto più logico ed economico, da un punto di vista militare.” I presenti annuirono, compreso Jork.

“Sono d’accordo” mormorò Kyvenge, la mano che reggeva il mento, riflettendo. “Il problema a questo punto è... che cosa potrebbero volere da Losille, tanto da fare tutti questi sforzi per cercarla?”

“No, ragazzi, state sbagliando di grosso” disse all’improvviso Jork, spezzando il silenzio ed il flusso di pensieri che stava passando rapido nella mente di Kyvenge. “Il problema, adesso, è che cosa faremo noi. Atkinson è qui, vivo, ma privo di sensi, e non sappiamo quando si riprenderà; Losille è circondata dai nemici, e voi siete stati addestrati proprio per dare una mano ai nostri soldati, ed impedire che i Numariani sfondino le mura - cosa che, detesto ammetterlo, sono già quasi riusciti a fare, e la battaglia non è iniziata che da un’oretta circa. Fra poco sorgerà il sole, ma, in questo momento, con Gaunor lì fuori ancora fresco come una rosa, mentre il nostro Atkinson è qui tra la vita e la morte, mi sembra che questa sia la nostra ora più buia.”

Kyvenge, Nya e Vylisour si scambiarono uno sguardo colpevole. A cosa erano serviti tutti quegli allenamenti, allora? Jork aveva ragione. Non avevano ancora combinato nulla. Ma... cos’avrebbero potuto mai ottenere? Kyvenge aveva visto cos’era capace di fare quell’uomo, e sapeva di non essere alla sua altezza, nessuno di loro lo era. Persino Atkinson non aveva potuto fare nulla contro di lui.

“Dovete affrontarlo ugualmente” disse con un sospiro Zaref, indovinando i pensieri del figlio. “Abbiamo visto tutto

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da qui, dalle feritoie della stanza di quarantena, io e Jork. Quell’uomo è incredibile, riesce a fare cose che credevo possibili solo nelle storie. Ora capisco come sia potuto sopravvivere a tanto. Ai mostri del continente, ai Torn, a Ruuna. Ma... voi potreste fare la differenza, ragazzi. Se restiamo qui a proteggere Atkinson, saremo inutili. Se invece... facciamo qualcosa... sul campo di battaglia, potremmo far pendere l’ago della bilancia dalla nostra parte.”

Zaref incrociò gli occhi di Kyvenge, trasmettendogli il peso che gli opprimeva il cuore. Kyvenge comprese, ed annuì.

“Io torno là fuori.” disse il ragazzo, alzandosi in piedi e stringendosi la cintura di una tacca. “Farò quello che posso. Voi restate qui a proteggere il Generale.”

“Dove credi di andare?” chiese Vylisour con uno sguardo eloquente, alzandosi a sua volta dalla panca di legno e afferrando l’amico per il polso.

“Non volevo trascinare anche te” gli disse Kyvenge a mezza voce, perché gli altri non sentissero,. anche se tutti li stavano fissando.

“Mi ci trascino dentro da solo, non preoccuparti.” rispose Vylisour con una strizzatina d’occhio, sussurrando a sua volta.

“Senza protezione, non durereste un secondo” disse Nya, alzandosi a sua volta ed allacciandosi i bottoni del giubbotto. “Vengo con voi.”

Zaref e Jork sorrisero.“Verremmo con voi, anche se non sappiamo usare la

Magia Elementale, ma...”“Avete un amico da difendere. Abbiate cura di lui.” tagliò corto Kyvenge, facendo segno con la mano al padre di lasciar perdere. “Ora tocca a noi.”

Per qualche momento, rimasero lì a guardarsi, in silenzio. Poi, Vylisour disse:

“Allora, torniamo per pranzo, va bene?”Tutti risero, e finalmente Kyvenge si mosse verso la porta

della stanza di quarantena, la aprì di uno spiraglio, sbirciò

fuori, e, accertatosi che ci fosse via libera, si voltò per scambiare un’ultima occhiata con il padre; poi i tre uscirono, chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle.

***

“Mio signore, la ricerca ha finalmente dato i suoi frutti. Ho individuato il luogo.” disse una voce rauca e lenta, ma, in qualche modo, stranamente melodiosa. Gaunor, ancora fermo nello stesso punto sulla strada insanguinata dove aveva sconfitto Atkinson ed ucciso lo sfortunato lanciere, ascoltò l’uomo a cui apparteneva la voce misteriosa senza voltarsi a guardarlo, restando invece con gli occhi puntati sul profilo di Losille, dal cui interno si alzavano numerose spirali di polvere, fumo e, in qualche caso, fuoco.

“Dov’è?” chiese la voce fredda e profonda di Gaunor.“Nel cimitero a sud della città, su una delle colline

protette dalle mura. Un alto pilastro di semplice pietra identifica l’ingresso della cripta sotterranea.” rispose l’uomo, osservando a sua volta la città ferita da sotto il mantello con cappuccio verde scuro che rendeva impossibile distinguerne il volto, se non per le labbra sottili ed il lungo mento, reso ancor più affilato dal pizzetto appuntito.

“Bene. Ho una nuova missione per te, mio fedele Rakanarth. Di caccia, questa volta.”

L’uomo chiamato Rakanarth sorrise, rivolgendo il capo incappucciato verso il proprio comandante.

“Il cuore di chi vuole che le porti quest’oggi, mio signore?”

***

Le urla che fin dal brusco risveglio perseguitavano Kyvenge e gli altri non accennavano a fermarsi: che fossero di incoraggiamento, disperazione, strozzate o furiose, non facevano

Capitolo VI - Stranieri nel santuario

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altro che seguire le orecchie tese dei ragazzi ad ogni angolo dove si appostavano prima di muovere i prossimi, incerti passi diretti verso la Porta Sud. Le strade che percorrevano ora erano piene di soldati di Nauros, guidati dai Capitani verso le destinazioni che, con tutta probabilità, aveva stabilito Pokon, momentaneamente a capo delle operazioni militari. Quasi nessuno sembrava ancora aver saputo del disastroso duello tra Gaunor e il generale Atkinson, altrimenti la notizia sarebbe dilagata come un virus letale, distruggendo il morale dei gendarmi, che invece sembravano dirigersi coraggiosamente incontro al nemico senza troppa preoccupazione.

“Che cosa facciamo? Ci mescoliamo ai soldati?” chiese Vylisour, incerto, mentre Kyvenge si sporgeva oltre l’angolo di una vecchia casa in mattoni a vista priva di piani superiori: la zona intorno al cimitero era la più antica, il nucleo da cui si era estesa la Losille moderna, ed era composta principalmente di abitazioni costruite almeno cinquant’anni prima, se non di più.

“Non credo sia la cosa migliore da fare” rispose Kyvenge, voltandosi a guardare gli amici. Si era fatta l’ora incerta in cui le tenebre della notte divenivano lentamente grigiore senza ombra; l’alba sarebbe arrivata entro mezz’ora al massimo, e i nascondigli diventavano perciò sempre di meno. “Stare in mezzo agli uomini di Pokon potrebbe essere un problema per tutti. Rischieremmo di colpire qualcuno dei nostri senza volerlo, o di gettare il panico: ricordate che, eoricamente, i soldati di Atkinson non sanno nulla della nostra presenza.”

“E allora, dove andiamo? Non sappiamo neanche se Gaunor sta venendo da questa parte, o se tenterà di entrare dalla stessa Porta dove l’hai lasciato prima...” rincarò la dose Vylisour.

“Non credo... se davvero stanno cercando qualcosa da queste parti, entrerà anche lui qui...” rispose Kyvenge, ragionando ad alta voce.

“ATTENTI!” urlò Nya, afferrando entrambi i ragazzi per le braccia e tirandoli pancia a terra: una grossa palla di fuoco

stava volando nel cielo sopra di loro, illuminando tutta l’area di luce arancione, ed atterrò dritta dritta sull’edificio di fronte a loro con un fischio sinistro; l’urto rimbombò tutt’attorno, e in capo ad un paio di minuti, anche le case vicine si erano incendiate. Grati per non essere stati colpiti, i ragazzi scattarono in piedi come grilli, tirando su Nya e dandosi ad una corsa cieca lontano dal rogo, solo per vedere, poco dopo, la parte di muro della città vicina alla collina del cimitero venire sfondata da un possente colpo d’ariete, con la polvere delle pietre che si alzava tutt’attorno.

“Stanno per entrare! Rifugiamoci in quel santuario, poi vedremo il da farsi! PRESTO!” gridò Kyvenge agli altri due, dopo aver notato un piccolo edificio di mattoni a vista sormontato da una cupoletta giallo chiaro ai piedi della collina. Afferrò Nya per la mano, tenendosela vicino, senza smettere di voltarsi verso la breccia nel muro, contando mentalmente quanti soldati aveva visto penetrare all’interno.

Erano appena arrivati alla fragile porta di legno vecchio e logoro del santuario, sfondata di netto da Vylisour con un calcio ben piazzato, quando già una cinquantina di Numariani avevano fatto irruzione dal tratto di muro poco protetto. Gli arcieri stavano accorrendo dall’alto dei bastioni, ma ormai era impossibile riuscire a respingerli tutti.

“Sono dentro! Quei bastardi sono entrati!” esalò Kyvenge, gettandosi a sedere per terra, la schiena contro il muro freddo dell’edificio, mentre Vylisour stava di guardia, appostato accanto allo stipite della porta di legno che, invece, giaceva malinconicamente a terra. Nya si sedette su una delle panche dove solitamente sostavano i fedeli in preghiera, ansimando e tenendosi una mano sul petto per lo spavento e la lunga corsa.

“Alcuni sono stati uccisi dai difensori, ma ne conto già un centinaio che dilagano lungo le strade, e vedo persino la punta dell’ariete, ora che il polverone si sta diradando” disse Vylisour, che ancora non aveva abbandonato la posizione di vedetta. “Non ho ancora notato nessuno venire da questa parte,

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comunque. Sono entrati da sud, ma stanno andando dalla parte opposta, verso la collina dove si trova la Villa. Forse il loro era soltanto un diversivo...”

“Se così fosse, non sarebbe servito a niente essere arrivati fin qua...” mormorò Kyvenge, più a se stesso che all’amico. “Non riesco a pensare ad altra soluzione, dobbiamo ritrovare Gaunor. Ma come facciamo, senza venire circondati?”

In quel momento, Nya li chiamò. Non era più seduta sulla panca.

“Ehi, ragazzi, venite qui...” “Cosa c’è, Nya?” chiesero all’unisono Kyvenge e

Vylisour, raggiungendo la ragazza: stava in piedi sotto la piccola cupola, guardando in alto, verso l’antico affresco che decorava l’interno dell’edificio.

“Guardate lassù...” mormorò lei, in risposta. In quel luogo le risultava istintivamente difficile parlare normalmente, e non le usciva che un flebile sussurro.

“Dove?”“Lì, Vylisour, guarda...”Dalle mani dell’indimenticato Imolcem, pittore di Losille,

lo spettacolo della creazione, della gloria e della decadenza era raccontato in pochi, cruciali episodi: Onod, l’Uno, che dalla sua mente plasmava il mondo conosciuto, gli Elfi dalle orecchie a punta che lo popolavano e lo abbellivano di splendidi canti e costruzioni, e poi la Scissione, quando Kornoma, la parte malvagia dell’Uno, diveniva un essere a sé stante e scendeva nel mondo per guidare il proprio esercito di creature mostruose contro i figli Onod. Nello spazio circolare che indicava il punto più alto della cupola, un Uomo (distinguibile dagli Elfi per via delle orecchie normali e non a punta di quest’ultimo) raccoglieva un oggetto dall’ultimo Elfo morente, mentre la luce che da esso si diramava squarciava le tenebre di cui era composto il malvagio Kornoma.

“E’ bellissimo... e terribile...” disse Nya.“Cos’è quel... coso... che prende l’uomo?” chiese Vylisour,

indicandolo con il dito.“Guarda... c’è una scritta...” rispose Kyvenge. “E’ in

lingua antica, ma si capisce... dice ‘Non più luce nei suoi occhi chiari, ma un grande calore nel Cuore che lasciò a tutti noi.’ Cuore è scritto maiuscolo... per quale motivo? Il Cuore sarebbe un oggetto? Quell’oggetto?”

“Non lo so...” rispose Vylisour.“Sì che lo è!” esclamò Nya. “Non ne avete mai sentito

parlare? Il Cuore degli Elementi...” disse, mentre i ragazzi la guardavano con tanto d’occhi. “Oooh, andiamo, quella leggenda è famosa qui da noi! La reliquia lasciata dagli Elfi quando sconfissero Kornoma alla fine della Grande Guerra...”

“No, mai sentito parlare.” disse Kyvenge.“Nemmeno mezza parola.” aggiunse Vylisour.Nya sbuffò.“Ve ne racconterò in un altro momento, va bene? Non

avevamo un comandante nemico da trovare, adesso?” sbottò, spazientita.

“Ma se sei stata tu a chiamarci qui a guardare il disegno sul muro!” si lamentò Vylisour.

“L’affresco, Vylisour...”“Quello che è...”“SSSSSSHH! Zitti!” intimò loro Kyvenge, tappandogli le

bocche con le mani.Dall’esterno provenivano delle voci dal tono piuttosto aggressivo. Voci in Numariano.

***

“Cos’è stato?”“Cosa?”“Quel rumore.”Un nuovo rombo seguì il primo, e questa volta non furono

solo le orecchie tese di Jork a captarlo. Zaref, dall’altro lato del tavolo sul quale giaceva privo di sensi il generale Atkinson,

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scambiò un’occhiata con l’amico, e contemporaneamente i due uomini si alzarono in piedi, allontanandosi svelti dalle panche di legno, le spade in pugno, mentre ai rumori lontani delle catapulte e delle fiamme si sommavano quelli delle voci concitate di soldati fuori dalla porta. Che fossero lì per loro o no, li avrebbero trovati pronti a dare battaglia.

Jork si gettò silenziosamente contro lo stipite della porta, in attesa, mentre Zaref faceva lo stesso sull’altro battente. I due rimasero qualche minuto in silenzio, pronti a captare ogni minimo segnale proveniente dall’esterno. Voci di soldati. Voci nella loro lingua.

“E’ Pokon!” esalò Zaref, sentendosi finalmente sollevato per qualcosa... era forse la prima occasione che aveva avuto quella notte di sentirsi bene per qualche motivo. Era quasi tentato di aprire la porta e salutare il Comandante, quando Jork gli fece segno di tacere ancora. Il Comandante stava imprecando e distribuendo ordini, e non sembrava affatto contento.

“Che sta dicendo...?” mormorò Zaref, che non aveva sentito bene ed era ansioso di capire cosa stesse succedendo lì fuori.

“E’ arrabbiato... dice che le vedette si sono lasciate ingannare... ci dev’essere stato un attacco a sorpresa, o qualcosa del genere...” rispose Jork.

“Stiamo... stiamo perdendo...?” chiese Zaref, senza fiato. L’altro gli fece un verso con la bocca per intimargli di rimanere in silenzio.

“Si allontanano... velocemente. Forse a cavallo... ho sentito degli zoccoli.” descrisse Jork.

“La battaglia!” esclamò Zaref. “Come sta procedendo la battaglia?! Sono stufo di restare qui inattivo... avrei preferito andare con Kyvenge... Quest’incertezza mi sta uccidendo più di una spada!”

Il viso di Jork si incupì.“Ho sentito Pokon sbraitare ai suoi uomini di muovere

verso la Porta Sud, parlava di costruire delle barricate. Credo

che siano dentro. L’assedio è a favore loro, se sono già riusciti ad entrare nella cerchia delle mura...” raccontò Jork.

“La Porta Sud...? Ma è dove stavano andando i ragazzi...!” esclamò Zaref, ora visibilmente preoccupato.

“Lo so... sono ancora più in pericolo di quello che temevamo. Ora ho davvero paura, amico mio.”

Un gemito distrasse immediatamente i due uomini dai loro cupi pensieri: il Generale si stava muovendo sul tavolo. Zaref fu più veloce nell’accorrere al suo capezzale, seguito a breve distanza da Jork.

“Lucas... Generale...” mormorò incerto Zaref, stringendo la mano del soldato tra le sue. “Sei vivo...”

Atkinson dovette sbattere più volte le palpebre prima di riuscire ad aprirle e tenerle aperte; persino la tenue luce della lampada cieca che aveva portato Jork sembrava infastidirlo - avevano tenuto la sala di quarantena nell’oscurità per prudenza -.

“Zaref...” mormorò Atkinson, toccandosi il viso con le mani, come se fosse incredulo di avere ancora una faccia, un corpo, una vita. “Jork...”

“Non ti sforzare, Lucas, resta fermo...” disse Zaref, cercando di impedire al generale di muoversi.

“Sono perfettamente in grado...” si lamentò Atkinson, cercando inutilmente di mettersi a sedere e ricadendo pesantemente sulla schiena.

“Ne sei ancora così convinto?” domandò Jork, lo stesso sguardo beffardo del figlio dipinto sul volto.

“Fai poco lo spiritoso, tu” ribatté Atkinson, sorridendo ad occhi chiusi. “Se quello che hai sentito è vero, dobbiamo darci una mossa. Dobbiamo arrivare al cimitero prima di Gaunor.”

Zaref e Jork si guardarono in tralice, non del tutto certi di aver capito bene.

“Cimitero? Lucas, di cosa stai parlando?” chiese delicatamente Zaref.

“Della collina a sud-ovest di Losille dove sono seppelliti

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i morti, Zaref, non trattarmi come un malato di mente” rispose Atkinson, dimostrando grande cognizione di causa. “Ho rischiato di finire in mezzo a loro orizzontale e freddo come il marmo a mia volta, ma per fortuna non è ancora giunto il momento. Il che mi rende responsabile, ancora una volta, dei vivi per cui lavoro. Aiutatemi ad alzarmi, per favore, è molto importante che noi tre arriviamo al cimitero prima di Gaunor, come vi ho detto prima.”

Zaref non se lo fece ripetere due volte, ed anche Jork, a malincuore, aiutò il malmesso generale a mettersi a sedere.

“Che ne è stato della mia armatura?” chiese Atkinson, cercando di guardarsi attorno senza che il collo gli facesse troppo male.

“E’ stata... è stata parecchio rovinata, Lucas” rispose Jork. “Abbiamo dovuto rimuovere alcune parti per permetterti di giacere più comodamente.”

“Stai usando un tono troppo scherzoso, Jork, l’ho notato.” lo minacciò velatamente Atkinson. “Piantala, prima che decida di usarti come scudo umano.”

“Ai vostri ordini, Generale.” rispose Jork, inchinandosi davanti a lui mentre Zaref aiutava il Atkinson ad alzarsi in piedi. Il Generale ridacchiò.

“Grazie, ragazzi. Potrei considerarmi onorato di avere accanto voi e le vostre battutine da vecchie zitelle sempre pronte, specialmente in un momento del genere, in cui da ridere ci dovrebbe essere veramente poco.”

“Di nulla, Lucas, il piacere è reciproco.” rispose Zaref, mentre il terzetto avanzava (il Generale zoppicando) verso la porta.

***

Le grida dei Numariani provenivano da tutto attorno al piccolo santuario: le loro voci si alzavano, si muovevano, sparivano in sussurri, suoni minacciosi agili come gatti nella

notte. Kyvenge e Vylisour, con uno sguardo d’intesa, si disposero ai due lati della porta sfondata, impossibile da richiudere senza che i soldati all’esterno se ne accorgessero: l’apertura avrebbe potuto tradirli, ma, vista la scarsità di luce, forse i Numariani non ci avrebbero fatto caso, e sarebbero semplicemente passati oltre. Nya, nel frattempo, aveva silenziosamente abbassato una panca di legno sul pavimento, di modo da potercisi riparare dietro, e ogni tanto alzava cautamente la testa per sbirciare cosa stesse accadendo oltre il suo fragile riparo. In uno di quei frangenti, Kyvenge le fece segno con la mano di restare al riparo, mentre un paio di voci particolarmente insistenti si avvicinavano all’ingresso dell’edificio: per qualche minuto, si udirono solo i passi dei soldati sul sentiero poco lontano e lo sferragliare di armi e armature, ma, dall’immobilità nell’espressione di Vylisour, Kyvenge capì che anche lui sentiva la presenza di qualcuno all’esterno. I due ragazzi si sedettero sulle ginocchia, pronti a scattare, mentre, con passo felpato, due Numariani facevano il loro ingresso nella semi-oscurità del santuario, guardandosi attorno, bardati nei loro abiti scuri e con il volto ricoperto da un foulard rosso sangue.

Uno dei due uomini rimase fermo, ma rivolse una domanda sottovoce al compagno, il quale non rispose, continuando ad avanzare cautamente, la lunga lancia saldamente stretta tra le mani.

Ancora qualche passo... avanti, raggiungilo, fa’ qualche passo avanti anche tu... pensò Kyvenge, attendendo il momento buono per saltargli alle spalle e metterli fuori combattimento. Ma, proprio in quel momento, il soldato che era avanzato maggiormente tra le panche di legno aveva notato quella rovesciata, e aveva detto qualcosa al suo amico, preparandosi a pescare un pesciolino acquattato proprio lì dietro. Vylisour fu il primo a capirlo, e balzò addosso al Numariano rimasto indietro, afferrandolo vigorosamente per il collo con un braccio mentre lo minacciava con la spada ben stretta nell’altra mano: nel frattempo però il compagno aveva raggiunto Nya, e l’avrebbe

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catturata se Kyvenge, non visto, non avesse teso il braccio e scagliato un piccolo, preciso dardo elettrico alla schiena del nemico, paralizzandolo. La ragazza si allontanò rapidamente dall’aggressore, rifugiandosi in un angolo dell’edificio, alle spalle di Vylisour, mentre Kyvenge si avvicinava al Numariano stordito per controllare che fosse effettivamente privo di sensi.

“Adesso non vi credete più tanto furbi, eh?” disse Vylisour, canzonando l’uomo stretto nella sua morsa, mentre quello cercava di divincolarsi. Subito dopo, qualcosa di appuntito e affilato si piantò a brevissima distanza dalla schiena del ragazzo, mentre una voce alle sue spalle rispondeva:“Anche tu ora d’accordo io crede, no?”

Vylisour si irrigidì, senza tuttavia perdere la presa sul prigioniero, mentre Kyvenge e Nya si voltavano di scatto a guardare l’ingresso del santuario, dove un manipolo di soldati di Numar era appena entrato, impedendo ogni possibilità di fuga e tenendo Vylisour sotto tiro di spade, lance e frecce. Li avevano presi alle spalle ed intrappolati. Quello che sembrava il capo rise, mentre gli altri uomini rimasero seri e silenziosi, puntando i ragazzi con le proprie armi.

“Allora...! Cosa voi fa in questo posto, pulcini? Qui fuori guerra, voi sapere?” chiese con tono malvagio il capitano. “Io ti consilia di mollare lui, piccolo, o tu morto prima di dire ‘Akemi’.” aggiunse, rivolto a Vylisour. Kyvenge lo guardò, e il ragazzo lasciò andare il prigioniero, che si allontanò rapidamente, riunendosi ai commilitoni. Kyvenge si avvicinò, scrutando fisso il Numariano.

“Lascialo andare” disse, imponendosi di tenere la voce il più ferma possibile, nonostante temesse un colpo a tradimento ai danni di Vylisour da un momento all’altro. Al terzo passo, tutti gli arcieri alzarono la mira, ogni freccia diretta verso di lui e non più verso Vylisour: era già qualcosa, ma rimanevano almeno tre o quattro spade pronte a colpire, e sei o sette lance. Erano decisamente in inferiorità numerica.

“Tu non fa troppo scherzi, pulcino, o tuo amico

spezzatino” minacciò il capitano con parole scollegate ma evocative, agitando l’indice guantato della mano sinistra verso Kyvenge. “Tu ora dice me cosa fare voi qui!”.

“Cosa vuoi che facciamo? E’ un santuario. Stavamo pregando.” spiegò Kyvenge, fingendo nonchalance e avanzando di un altro passo. La corda di qualche arco vibrò mentre il rispettivo arciere si preparava a tirare. Stava esagerando?

“Non dire me cacate, pulcino, o io...”“Non ti sto prendendo in giro. Lascialo andare, su. E’ solo

un povero pastore di pecore.” insistette Kyvenge, fermandosi un attimo. Il capitano lo guardava come se non potesse credere ad una sola delle sue parole, inclusi spazi e virgole. Gli arcieri parevano sul punto di mollare le frecce, e allora non avrebbe potuto difendersi altrimenti che con la Magia Elementale, col rischio di diventare in breve tempo fin troppo famoso tra i Numariani, e attirare attenzioni indesiderate, proprio come aveva fatto poco prima davanti alla Porta Ovest.

“Tu conta troppe balle per mio gusto. Uccidete amico di pastorello.” disse il capitano sorridendo malvagiamente, voltandosi per una breve occhiata ai suoi arcieri. Vylisour colse la diminuzione di pressione dell’arma sulla sua colonna vertebrale, ovvia conseguenza della distrazione di chi sottovaluta l’avversario considerandosi in una così palese superiorità di forza da non temere nulla: non sarà stato portato in matematica, ma nel corpo a corpo aveva un certo talento. Si voltò con la rapidità di un serpente, afferrò il braccio destro del capitano e lo torse dietro la sua schiena, costringendolo a mollare la spada, che il ragazzo agguantò rapidamente, usandola per tenere alla larga i lancieri mentre si riparava dietro al robusto e antipatico Numariano. Kyvenge approfittò del fatto che i soldati nemici fossero concentrati sullo stato di salute del proprio capitano per scattare in avanti, nell’angolo dove si era rifugiata Nya, le mormorò qualcosa e poi, con uno scatto, si gettò di gomito alle spalle di uno dei lancieri, spingendolo in avanti: nello spazio ristretto dell’ingresso del santuario, fu come giocare a bowling,

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facendone cadere a terra la maggior parte dopo averne colpito solo uno. Vylisour, divertito, ridacchiò mentre il capitano strepitava ordini in Numariano, ma il resto del drappello al di fuori dell’edificio non ebbe il coraggio di entrare: non dopo che, su consiglio di Kyvenge, Nya illuminò a giorno ad intermittenza l’interno dell’edificio, mentre il ragazzo, inginocchiato a terra tra i soldati doloranti, urlava con voce bassa che rimbombò sotto la cupola: “Chi osa entrare armato in questo luogo sacro pagherà con la vita!”. I Numariani si rialzarono, tremanti di paura, e corsero fuori, mentre Vylisour, con un sacrosanto pugno in faccia, spediva il capitano nel mondo dei sogni - con un occhio pesto.

“Idea geniale, Nya!” fischiò la sua approvazione Vylisour mollando malamente a terra la sua vittima e ricongiungendosi agli amici nell’angolo buio dove si erano nascosti.

“Veramente il merito è di Kyvenge, è lui che mi ha suggerito di dare un po’ di... suggestione!” rispose la ragazza, sorridendo. “Ce la siamo cavata per un soffio!”

“Beh, avremmo potuto uscirne molto prima, se voi due aveste messo tutti k.o. con la Magia... perché non l’avete fatto subito? Avevate paura di farmi troppo male?” chiese Vylisour.“No, Vyl, avevo molta più paura di farci notare” spiegò Kyvenge. “Sai, con tutti questi Maghi Elementali che ci sono in giro...”

“Avevi paura che queste canaglie avvisassero Gaunor...?”

“Ne avevo quasi la certezza, Vyl. Ho preferito non rischiare. Dovremmo essere noi a prendere di sorpresa lui, non il contrario.”

“Ma se lui ti ha visto...”“Lui sa che a Losille ci sono due Maghi Elementali: io

ed Atkinson. Ma non sa fino a che punto io possa spingermi, e non sa ancora nulla di Nya: il che, se permetti, è un discreto vantaggio. E visto che lui è senz’altro più forte di tutti noi messi assieme, non avendo la forza bruta preferisco puntare sulla tattica.”

Vylisour lo guardò per qualche secondo senza parlare, poi disse, suscitando risatine dagli altri due:

“Oh, bene. E il Kyvenge sognatore e senza un minimo di capacità pratiche quando torna?”“Non lo so, Vyl, forse mai. Spero che non sia un gran problema.”

“Ragazzi, sembra che ci sia via libera... direi di approfittarne!” mormorò Nya, sbirciando fuori dall’ingresso. “Dobbiamo averli terrorizzati un bel po’, visto quanta strada hanno messo fra noi e loro!”

“Ottimo, sono pienamente d’accordo!” rispose Vylisour, raccogliendo la sua spada da terra, dove aveva dovuto buttarla quando era stato preso alle spalle: la ripulì scrollandola vigorosamente con de colpi a vuoto, la rinfoderò e seguì rapidamente gli altri due fuori dal santuario.

All’esterno, era ormai giunta l’alba: il sole si era finalmente levato, illuminando di viva luce arancione i bastioni e le torrette di avvistamento di Losille. I ragazzi si affrettarono a percorrere la distanza tra il piccolo edificio ed il muro di confine della città, correndo veloci sul prato verde, mentre le volute di fumo grigio che si alzavano dai palazzi incendiati si stavano lentamente disperdendo. A quanto pare, i Numariani avevano smesso di bombardare la città con le palle infuocate lanciate dalle catapulte, probabilmente per non correre il rischio di colpire i loro stessi uomini. Finalmente con le spalle al muro, Kyvenge, Vylisour e Nya si fermarono a riprendere fiato, quando videro un altro curioso terzetto entrare da una porticina laterale in ferro battuto nel vicino cimitero: Zaref, Jork e, di mezzo, sorretto da entrambi, ma sicuramente in grado di camminare... il generale Atkinson. Tutti e tre con un grande sorriso di sollievo sul volto, ripresero subito a correre, diretti verso il cancelletto di ferro, grati di avere finalmente una meta chiara e, se non altro, una buona notizia in quella mattinata infernale.

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La bocca di Kyvenge si spalancò per la sorpresa.“Se stessero cercando... quello che sta cercando lui?!”

esclamò, accennando col capo in direzione di un uomo molto alto e vestito di scuro che stava avanzando a passi pesanti verso lo stesso cancelletto da cui erano appena entrati Zaref, Jork, Atkinson ed i loro inseguitori. Non appena Gaunor fu entrato nel cimitero, Kyvenge non riuscì più a trattenersi, e si gettò all’inseguimento, tallonato da Nya e, a malincuore, da Vylisour. Kyvenge rallentò di colpo una volta giunto in prossimità del cancello, si gettò con le spalle contro il muro, ansimando, attese che i due amici lo avessero raggiunto, e poi piegò attentamente il capo in modo da poter sbirciare all’interno: i primi raggi di sole non arrivavano lì dentro, e la luce grigia dell’alba illuminava tristemente i sentieri di ghiaietto ed i tristi tumuli di marmo dove gli antenati degli abitanti di Losille abitavano, consumando l’eterno riposo. Ma, in lontananza, poteva distinguere una colonna, una semplice colonna alta più di un uomo - tre metri, all’incirca -, e le figure di prima che si avviavano svelte in quella direzione. I ragazzi aprirono silenziosamente il cancelletto, lo richiusero ed entrarono finalmente nel cimitero, avanzando lentamente e nascondendosi dietro alle fredde lapidi per non farsi vedere da Gaunor. Vylisour si odiò in quel momento: avesse avuto contro anche venti soldati, gli sarebbe corso incontro a viso aperto; ma il loro capo era tutt’altra cosa... incutevano un timore reverenziale la sua imponente figura, la sua maligna decisione, il suo evidente potere - a malapena sfruttato nel duello contro il generale Atkinson, e sicuramente maggiore di quello che i ragazzi avevano visto davanti alla Porta Ovest. Kyvenge, invece, avanzava senza pensare, freddo e con la mente sgombra nella tensione, preoccupato solo che potesse accadere qualcosa a suo padre, Zaref, ed ai suoi amici. Malauguratamente, come se avesse sentito i pensieri del figlio, proprio in quel momento Zaref si voltò per guardarsi le spalle, ma ormai era troppo tardi: due uomini gli furono subito addosso, allontanandolo da Atkinson, mentre altri tre prendevano Jork

Capitolo VIIIl cuore del cimitero

“Che cosa sta succedendo? Di chi era quel grido?” esclamò Nya, terrorizzata. Tremava, e sembrava faticasse a mantenersi in piedi. Kyvenge la afferrò con un braccio sui fianchi, stringendola a se mentre con l’arto libero proiettava intorno a loro due e Vylisour lo scudo magico fatto di fulmini, ordinandogli di seguirlo. Noko si accodò a loro, la naginata stretta in pugno, mentre una nuova selva di frecce li attaccava dall’alto, invisibili portatrici di morte.

“Un momento... quella roccia si muove!” esclamò Vylisour, fermando improvvisamente i due amici ponendo il braccio davanti a loro. Kyvenge e Nya si bloccarono sul posto, sorpresi, mentre uno dei massi che costeggiava il sentiero verso il cimitero si scuoteva e si alzava.

“Non è un sasso...” mormorò Nya.“E’ una trappola! Dobbiamo avvertirli!” esalò Kyvenge,

tornando a correre, ma Vylisour si tuffò in avanti per intercettarlo, legandosi con le braccia attorno alle sue gambe, dicendo: “E’ una trappola per noi, idiota!”. Anche Nya si era gettata carponi sul terreno, avanzando sui gomiti fino ai due amici, senza staccare gli occhi dalla scena che si stava svolgendo poco più avanti: altri sassi si erano alzati e stavano seguendo Zaref, Jork ed Atkinson. Quelli che un attimo prima era sembrata a tutti loro solidi massi ammuffiti, erano in realtà mantelli... ma il tessuto particolare di cui erano fatti, unitamente alla luce incerta del primo mattino, li avevano ingannati, ed ora ben sei uomini stavano seguendo il terzetto che aveva appena varcato il cancelletto di ingresso del cimitero.

“Sono Numariani?” chiese Kyvenge agli altri due.“Non ne sono sicuro, non riuscivo a vedere le divise,

ma suppongo di si... chi caspita vuoi che vada al cimitero stamattina?!” rispose Vylisour.

“A parte i nostri amici...” aggiunse Nya.“Si, beh, a parte loro. Appunto...” concordò Vylisour,

colto da un’improvvisa ispirazione. “Che cosa ci fanno i nostri genitori al cimitero durante una battaglia?!”

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e lo scagliavano contro i tumuli sulla destra, tetri armadi di pietra ed incisioni. Il Generale si voltò, sorpreso e spaventato: i ragazzi si stupirono di vedere un’espressione del genere sul suo duro volto, un’espressione che non avrebbero mai pensato di vedergli addosso, come se quanto stesse accadendo andasse contro ogni suo piano od aspettativa - mai una volta infatti Nya lo aveva visto aprire a quel modo la bocca, spalancare tanto gli occhi. Un istante dopo, con la velocità disumana che lo contraddistingueva, Gaunor lo aveva afferrato per il collo e lo stava sollevando in aria, interrogandolo a voce così alta che persino Kyvenge, Nya e Vylisour, nascosti un gruppo di lapidi ad una decina di metri di distanza, potevano sentirlo.

“Dov’è?”“D-di cosa... stai... parlando?” ansimò Atkinson,

scalciando i piedi nell’aria e cercando di liberarsi dalla presa di Gaunor con entrambe le mani, e pure due delle sue non riuscivano a contrastarne una sola del comandante di Numar.

“Sai benissimo cosa sto cercando, altrimenti non saresti venuto qui stamattina, Lucas.” ribatté Gaunor, la voce velata da un tono leggermente più minaccioso, come un serpente pronto a scattare.

“Io... sono qui... per pregare... gli antenati...” scandì a fatica Atkinson, rinunciando a scalciare poiché non poteva colpire il nemico, e cercando con maggiore forza di liberarsi dalla presa metallica che lo teneva a mezz’aria.

“Non osare mentirmi!” esclamò Gaunor, questa volta alzando ancor di più la voce, piegando il braccio per portarsi il generale più vicino al viso. Atkinson, quasi senza fiato, aprì la bocca ma, invece di rispondere, in un impeto d’orgoglio, sputò in faccia al nemico. Con un verso di rabbia che fece tremare i suoi stessi commilitoni, Gaunor scagliò il Generale contro i tumuli alla sua destra, in una grottesca rivisitazione del lancio del peso: caduto in terra, la faccia sulla ghiaia ed il lato della testa ricoperto di sangue, Atkinson si voltò faticosamente supino, senza più muoversi ma ansimando forte. Zaref e

Jork si divincolarono tra le braccia dei Numariani senza riuscire a liberarsi, gridando, mentre Nya si mangiava le mani, nascosta con Kyvenge e Vylisour, attoniti e furiosi, dietro le lapidi.

“Non mettere alla prova il mio buon cuore, Lucas.” disse Gaunor, tornando al suo consueto tono di voce profondo e velatamente minaccioso. “Ora, rispondimi... dov’è?” chiese di nuovo, ma non era una domanda: era un ordine.

“Non... si sporcano... i cimiteri... Gaunor...” mormorò Atkinson, puntellandosi faticosamente su di un gomito per riuscire a tirarsi su quanto bastava per poter guardare il suo nemico negli occhi. “E’.. molto... maleducato... da parte tua...”

Per tutta risposta, Gaunor gli si avvicinò, tirandogli un calcio nello stomaco e scrutandolo con un’espressione colma di rabbia.

“Vuoi giocare? Bene, giochiamo. Ma le regole le decido io.” e, così dicendo, mostrò il pugno sinistro agli uomini alle sue spalle, che torsero immediatamente un braccio dietro la schiena a Jork e Zaref, facendoli urlare per il dolore.

“NO!” gemette Atkinson. Gaunor sorrise, serafico.“Adesso ti è venuta voglia di rispondere alle mie

domande?”Atkinson ricambiò lo sguardo, spaventato, ma senza

rispondere. Gaunor sorrise ancora di più, e con un altro gesto della mano, le urla dei due uomini raddoppiarono d’intensità.

“Lucas... non rispondergli!” gemette Zaref, tra i lamenti, ma il Numariano che lo stava torturando per tutta risposta strinse ancora di più la presa, rompendogli il polso. Zaref urlò senza posa per almeno un minuto, accasciandosi a terra, mentre lacrime di dolore e di rabbia sgorgavano dai suoi occhi. Jork cercò di divincolarsi per raggiungerlo, ma i Numariani glielo impedirono, ed altrettanto dovettero fare Vylisour e Nya per impedire a Kyvenge di gettarsi a capofitto contro ai nemici, acciecato dal furore che sentiva crescergli in corpo.

“ZAREF!” esclamò Atkinson, alzando istintivamente una mano senza poter fare niente per fermarli. Gli pulsava la fronte

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e aveva un occhio e metà del viso coperto di sangue, ma si alzò eroicamente in piedi, sotto lo sguardo soddisfatto di Gaunor.

“Bravo, Lucas, adesso si che ti riconosco. Sempre pronto ad accorrere in difesa dei più deboli...”

“Taci, maledettissimo... stronzo... taci!” imprecò Atkinson, ed un selvaggio fascio di fulmini partì dal suo braccio teso, diretto a colpire Gaunor, a fargli più male possibile... ma uno scudo nero semitrasparente lampeggiò per un attimo attorno all’uomo vestito di scuro, e la magia di Atkinson, deviata, rimbalzò all’indietro, infrangendo i tumuli accanto a lui ed il muro alle loro spalle, in una pioggia di detriti e ghiaia che alzò un polverone grigio accanto a loro. Il sorriso sul volto di Gaunor si spense.

“Non dovresti sprecare energia in questo modo...” stava dicendo, avvicinandosi nuovamente ad Atkinson. Lo afferrò ancora per il collo, ma, questa volta, senza tirarlo su a mezz’aria. “Ora, ti chiedo... per l’ultima volta...” disse, sottolineando particolarmente le ultime parole. “...dov’è?”

Atkinson non rispose, ma i suoi occhi saettarono, per un istante, verso il pilastro alla sua destra. Gaunor sorrise e poggiò l’uomo delicatamente con i piedi per terra.

“Voi restate qui. Non fateli scappare.” disse ai Numariani, avvicinandosi alla colonna di pietra e studiandola. Scoperto un pannello di pietra sul lato posteriore, lo premette, ed entrò rapido nella cripta che si era aperta nel terreno, accendendo le torce di metallo ai lati del tetro corridoio con la Magia Elementale. Entrò, sparendo nella grotta oltre la scaletta. Una volta che Gaunor fu sparito alla vista, i soldati presero a parlottare fra di loro in Numariano, senza tuttavia mollare la presa sui prigionieri o smettere di tenerli d’occhio. Kyvenge si voltò a guardare i due amici.

“Non provate a trattenermi oltre.” disse, poi si alzò e, correndo come una furia, percorse in pochi balzi i dieci metri che li separavano dai nemici, i quali si voltarono stupefatti verso di lui: i tre che tenevano stretto Jork provarono ad usarlo

come spauracchio, ma Kyvenge, con il sangue che gli pompava forte nelle vene per la furia, saltò, scagliando tre diversi colpi di Magia del Fulmine che stordirono immediatamente i Numariani. Jork corse accanto al suo amico Zaref, ancora dolorante e steso a terra immobile, mentre il ragazzo, circondato da altri tre nemici, aveva sfoderato la spada e la stava roteando intorno a sè per non farsi circondare, tenendoli a distanza. Vylisour accorse, trafiggendo uno dei Numariani con la sua lama ed ingaggiando subito un nuovo duello con un altro nemico, mentre Kyvenge metteva spalle al muro l’ultimo soldatto del terzetto, lo disarmava e lo lasciava a terra privo di sensi. Una volta che anche Vylisour ebbe vinto il suo secondo scontro, i due ragazzi stavano per rinfoderare la spada, ma Nya urlò, sporgendosi dal nascondiglio dietro la lapide che stava per abbandonare:

“Attenti!”Un’ombra scura cadde su di loro, saltando dal mausoleo

di marmo e vetro alla loro sinistra, mancandoli per un soffio con i due pugnali che stringeva nelle mani. Kyvenge e Vylisour schivarono l’assalto, sorpresi, ma, senza perdersi d’animo, attaccarono immediatamente il loro aggressore, il quale rispose ad ogni loro tentativo di affondo deviando le spade dei due ragazzi con i proteggi - avambracci foderati di metallo che indossava: all’improvviso, un piccolo dardo nero, con uno schiocco ed un sibilo, partì da sotto al polso destro dell’uomo incappucciato, diretto verso la gola di Vylisour, il quale sarebbe certo stato colpito se Nya non lo avesse protetto da lontano avvolgendolo nello stesso scudo di magia bianca che li aveva difesi dalle frecce dei Numariani.

“Per un soffio... non credevo di farcela, a quella distanza...” mormorò Nya, avvicinandosi di corsa ai duellanti.

In quel momento Kyvenge, cogliendo un’istante di distrazione nell’aggressore, tentò di stordirlo con la Magia Elementale, ma quello per tutta risposta la schivò tuffandosi in avanti sul terreno, fece una capriola, tornò a voltarsi verso di loro, rise e corse via, arrampicandosi rapido ed agile come gatto sul

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tumulo distrutto dal colpo di Atkinson. Kyvenge, ansimando, cercò di seguirlo con lo sguardo, ma era già sparito.

“KYVENGE!” urlò Vylisour, in ginocchio a poca distanza da lui. Nya si stava affaccendando a curarlo. No, non stava curando lui, Vylisour stava bene...

Jork, seduto sulle ginocchia, stava tenendo la mano di Zaref, sdraiato sulla schiena, mentre Vylisour gli stava accanto e Nya, anch’ella in ginocchio, teneva le palme delle mani schiacciate sul petto dell’uomo, mormorando parole sottovoce, gli occhi chiusi e l’espressione concentrata, mentre bagliori di luce bianca splendente inondavano a più riprese il cimitero semidistrutto. Come in un sogno, Kyvenge comprese che era successo qualcosa, e si avvicinò meccanicamente al gruppo, mentre tutto intorno a lui sembrava rallentare, e la sua mente fino ad un momento prima sveglissima e reattiva non riusciva ora a realizzare cosa stesse davvero accadendo, chi fossero quelle persone, per quale motivo provava quel devastante senso d’ansia che gli faceva battere il cuore nel petto come un martello su un’incudine.

“Zaref... resisti, amico mio, resisti...” stava dicendo Jork, tenendogli la mano ferita tra le sue, mentre Vylisour si rigirava, orripilato, una piccola cosa nera tra le mani. Il dardo che l’uomo col cappuccio di poco prima aveva scagliato dal braccio sinistro. Lo sguardo del ragazzo incontrò quello di Kyvenge, e se il viso del secondo era attonito e privo di emozioni, la faccia del primo era carica di sensi di colpa e di tristezza inespressi. Kyvenge cadde letteralmente sulle proprie gambe a fianco del padre, guardandolo senza voler accettare lo svolgersi degli eventi che si stavano realizzando davanti ai suoi occhi, mentre suo padre, con le pupille dilatate e vuote come due corridoi che davano su una stanza buia,si voltavano su di lui, guardandolo senza riuscire a metterlo a fuoco.

“Papà...”Zaref ansimò, cercò a tentoni la mano del figlio

con quella sana, e Kyvenge la strinse forte, piangendo.

“Jork--- diglielo...” scandì a fatica l’uomo, l’attimo prima che un nuovo, disperato bagliore di magia bianca di Nya illuminasse le sue iridi per l’ultima volta. Kyvenge si accasciò completamente sul terreno, stringendo il braccio ancora caldo di suo padre tra le sue mani, avvicinando la fronte sudata a quella dell’uomo finché non si toccarono, respirando il suo odore, profumo di una famiglia che non avrebbe mai più avuto. Nya tentò ancora tre volte, senza successo, di rianimare l’uomo, poi si nascose il viso fra le mani e, per qualche minuto, non si udirono che i suoi singhiozzi. Vylisour si alzò in piedi, voltandosi a guardare le fila di lapidi attorno a loro, cercando di non pensare, di non farsi schiantare a sua volta dal dolore, conscio di dover restare, almeno lui, vigile ed in guardia, perchè il pericolo era orribilmente vicino, la battaglia non era finita, avrebbero potuto sopraggiungere altri soldati, ed un uomo ancora più terribile e pericoloso camminava in quel momento nella cripta buia sotto i loro piedi.

Atkinson, che fino a quel momento era rimasto orripilato con le spalle appoggiate al muro del cimitero, si avvicinò al corpo senza vita di Zaref, tenendosi una mano sulla ferita che gli pulsava nella testa, scioccato e addolorato. Rese silenziosamente i suoi omaggi al compagno caduto per qualche minuto, e poi disse:

“Kyvenge... mi strazia il cuore dovertelo dire... ma ora non abbiamo tempo per piangere tuo padre. Gaunor è...”

“Non me ne frega un cazzo di Gaunor! Hai capito?” esclamò Kyvenge, tirandosi a sedere senza lasciare la mano di suo padre, e guardando dritto negli occhi il generale Atkinson. “Non mi importa niente di te, di questa città, di questa guerra di merda...!”

“Kyvenge...” mormorò Nya, gli occhi rossi per le lacrime, mentre tutti si voltavano a guardare il ragazzo.

“Tutti noi eravamo consci del pericolo che correvamo, e lo era anche tuo padre...” disse Atkinson, ma Kyvenge lo interruppe.

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“Tu avresti dovuto proteggerlo!”“Io l’ho protetto in ogni modo. Lui ha voluto

accompagnarmi fino in fondo, come ha scelto di fare Jork, come hai scelto di fare tu. Io ho affrontato da solo Gaunor questa notte, senza chiedere a nessuno di venire con me.” ma, nel dire queste cose, il Generale non poté fare a meno di ripensare al suo scomparso padre.

Kyvenge si rimangiò tutti gli insulti che aveva pronti per Atkinson, a cominciare da ‘codardo’. Si rendeva conto di non poterglieli dire, di non avere dentro che rabbia irrazionale e disperata, senza una sola ragione dalla sua parte. Non gli rimaneva che una cosa da fare per sfogare il dolore: vendicarsi. Si alzò in piedi così in fretta che gli altri non ebbero il tempo di muoversi, e, senza una parola di più, corse verso l’ingresso della cripta.

“Devi impedirgli di prendere qualsiasi cosa da lì dentro!” urlò Atkinson, allungando istintivamente un braccio per cercare di fermarlo, ma il ragazzo era troppo veloce. Kyvenge si bloccò con il piede sul primo scalino che portava al sotterraneo, guardando in tralice il generale.

“Non morirò per te se non mi dimostri la tua fiducia! Dimmi che cosa non deve toccare quel bastardo!”

Atkinson ricambiò lo sguardo iroso del ragazzo, decidendosi finalmente a parlare.

“Il Cuore. Potrà aver preso quello di tuo padre, ma non dovrà mai portare via il Cuore nascosto nella tomba di Nima.”

Kyvenge annuì e scese di corsa gli scalini, sparendo alla vista nel giro di un secondo, mentre Vylisour faceva segno a Nya di alzarsi e seguirlo.

“Vylisour... Nya...” disse Atkinson, fermandoli un momento con la mano. “Voi due assicuratevi che quell’uomo non porti via nemmeno il cuore di Kyvenge. Guardategli le spalle, ve ne prego.”

Vylisour annuì a sua volta, scuro in volto ma determinato. Diede una pacca sulla spalla al padre prima di andare, e

Jork si aggrappò per un attimo con la sua mano rugosa e sfibrata a quella giovane e forte del figlio. La presa di Vylisour sulla spalla del padre si fece più intensa per un momento, dicendogli senza usare parole ‘coraggio, sii forte anche per lui e per noi’, poi Jork lo lasciò andare. Nya, soffiandosi il naso, seguì l’amico giù per le scale della cripta, scendendo nel sotterraneo segreto sotto al cimitero di Losille che custodiva la tomba della principessa Nima. Atkinson li guardò sparire sottoterra, poi abbassò il capo verso Jork che ancora non riusciva a staccarsi dal corpo dell’amico defunto.

“Dobbiamo portarlo via, Jork. Metterlo al sicuro. Qui è troppo esposto.”

Jork annuì.“Dispiace tantissimo anche a me, credimi. Non vi avrei

mai voluti coinvolgere, nessuno di voi.”Jork finalmente si alzò in piedi, prese un profondo respiro

e guardò negli occhi il generale. Atkinson era evidentemente addolorato ma calmo, mentre gli occhi di Jork non smettevano di lacrimare.

“Hai sentito cosa ha detto Zaref. Dobbiamo dir loro tutto, adesso.”

***

Kyvenge scese gli scalini di pietra il più velocemente possibile, ansimando per lo strano miscuglio di rabbia e disperazione che si sentiva in corpo, come un serpente che lo stesse divorando dall’interno. All’improvviso, le scale finirono, e lui inciampò e cadde schiena a terra per l’eccessivo impeto. Gridò, furioso. Si rialzò, stringendo i pugni, imponendo a sé stesso di non distrarsi. Per un attimo, la vecchia prudenza gli fece rimpiangere di aver urlato... ma, subito dopo, gli venne da urlare ancora, anche più forte: forse, in questo modo, avrebbe trovato ancor più velocemente il suo obiettivo. Davanti a lui si stendeva un lungo tunnel dove gli scalini di mattoni si

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perdevano nella nuda roccia, come l’ingresso di una galleria naturale, illuminata ai lati da torce di metallo appese a circa due metri dal suolo. Il soffitto era molto alto e la struttura molto meglio illuminata di quello che si sarebbe aspettato Kyvenge nello scendere sottoterra. Si incamminò a passi rapidi, cercando di tenere conto del tempo che impiegava nel percorrere il tunnel contando mentalmente i secondi. Dopo tre o quattro minuti, si distrasse, ripensando con odio alla scena vissuta poco fa - e pure pareva passata già una vita, da quando Zaref aveva esalato l’ultimo respiro. L’uomo col mantello e il cappuccio verde che balzava su di loro dal tetto di un mausoleo... Nya che proteggeva Vylisour... e...

Si era distratta. Non aveva visto l’uomo alzare l’altro braccio? Non si era resa conto che gli obiettivi del suo attacco erano due?

Due?Allora anche Vylisour, in un futuro prossimo, sarebbe

stato ucciso? Era in pericolo?Non gli importava, in quel momento. Tutto ciò che aveva

ragione d’essere, in quel corridoio buio, era la vendetta. Gaunor era il responsabile, il capo di quel maledetto soldato acrobata, ne era certo. La guerra era sua, l’armata era sua. Era tutto accaduto per volontà di Gaunor.

Un nuovo odore colpì i sensi di Kyvenge, il quale smise di correre, ed iniziò ad avanzare a passo svelto, annusando con attenzione. Salsedine. Si stava avvicinando ad una pozza interna, o cos’altro? Non lo sapeva ancora, ma aveva notato che le lampade si stavano facendo più distanti l’una dall’altra e la luce, di conseguenza, più rarefatta.

Un lampo di luce blu. Kyvenge si ritrasse istintivamente, assumendo la posizione di guardia che gli aveva insegnato Atkinson, preparandosi all’arrivo di un attacco magico... ma non era niente di tutto questo. Si trattava solo di un riflesso: un bagliore d’acqua sulla pietra della caverna. Era arrivato. Davanti a lui, la caverna si apriva in una sala grande come lo

spazio di una piccola locanda.La figura scura di un uomo molto alto si stagliava davanti

a lui, lo fissava come se non avesse fatto altro che aspettarlo, con alle spalle uno specchio d’acqua marina illuminata dalla luce dell’alba: un incendio bianco e rosso di liquido freddo. L’uomo stava a braccia incrociate, come se avesse passato gli ultimi minuti immerso in una profonda riflessione, ma si riscosse subito appena vide arrivare il ragazzo.

“Buongiorno. Qual buon vento ha condotto quaggiù i tuoi passi?” disse la voce profonda e glaciale del comandante di Numar.

“La vendetta!” gridò per tutta risposta Kyvenge, scagliandosi contro Gaunor a mani nude: aveva visto che gli attacchi magici del Generale Atkinson non erano serviti a nulla, ed aveva sperato che, forse, i suoi pugni avrebbero rimediato dove gli Elfi avevano fallito. Ed il colpo andò a segno.

Kyvenge si fermò, attonito. Ci era riuscito. Aveva colpito Gaunor in pieno volto, proprio sul naso. L’uomo rimase immobile per un istante, prima di afferrare con entrambe le mani il braccio del ragazzo, torcerlo in una morsa di ferro e scagliarlo a terra. Kyvenge gridò per il dolore, timoroso di muovere il proprio braccio, ma non era rotto, per fortuna... faceva solo male da morire...

Poi, Gaunor rise debolmente. Si avvicinò al ragazzo, sovrastandolo dall’alto dei suoi due metri d’altezza, mentre lui se ne stava raggomitolato a terra.

“Alzati.” disse Gaunor. Kyvenge cercò lentamente di mettersi perlomeno seduto, ma il braccio gli faceva tremendamente male e gli rendeva difficoltoso muoversi. E quell’uomo malvagio rideva ancora...

“Hai già perso la foga di vendicare tuo padre?” lo canzonò Gaunor.

“Sei stato davvero tu allora... avevo ragione.” disse Kyvenge, tenendosi il braccio dolorante con l’altro mentre si alzava lentamente in piedi. Gaunor non rispose, si limitò a fare

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cenno di sì con la testa.“Per quale motivo?” chiese ancora Kyvenge. “Non

sai nemmeno chi sono. Perché ci hai spedito addosso un tuo sicario? Che cosa ho fatto per attirare la tua attenzione in questo modo?”Gaunor non rispose subito. Si voltò leggermente, tenendo d’occhio l’alta marea alle sue spalle: il livello dell’acqua stava calando, e nella sua discesa aveva scoperto una testa umana. Anche Kyvenge la notò. Era la parte più alta di una statua di pietra porosa, di quelle che si trovano sul fondo del mare. Non era stata dimenticata lì... era stata fatta apposta. Doveva essere lì che si trovava... la tomba della principessa Nima.

“Non hai fatto niente.” rispose finalmente Gaunor. Kyvenge sbuffò per lo stupore.

“Hai ordinato di uccidere mio padre... perché non ho fatto niente?”

Gaunor si voltò nuovamente a guardarlo, asciugandosi un rivolo di sangue che gli colava dal naso sul dorso del pugno.

“Hai salvato Atkinson tentando di non uccidere nessuno. L’ho notato. E non mi hai attaccato. Tutti, qui a Losille, avrebbero tentato di ferirmi, di uccidermi. Mentre tu avevi in mente solo la salvezza di quello che... suppongo... sia diventato il tuo mentore.”

La bocca di Kyvenge si spalancò.“Come... come sa...”“E’ facile. Basta notare i dettagli chiave, e poi unirli in un

filo logico. Ho girato il mondo, ragazzo; visto tanti di quei posti e di quelle persone che non basterebbe una vita per raccontarlo. Ascoltato leggende e cronache da ogni parte, imparato a cavarmela in ogni luogo, con ogni mezzo, e ad avere a che fare con tutti i tipi di persone. Quindi ne so sicuramente quanto basta per dedurre dal comportamento di uno sbarbatello come te da dove vieni e cosa sai.” spiegò il comandante di Numar.

“Non so ancora per quale motivo mio padre sia stato

ucciso. Perché lui? Perché non io?” chiese Kyvenge, ormai troppo curioso per smettere di domandare. Si trovava di fronte alla leggenda vivente, il Re Esiliato, il combattente migliore tra gli uomini... nonché l’uomo più malvagio che avesse mai conosciuto. Gli faceva paura, si sentiva incredibilmente teso alla presenza di Gaunor, ma non poteva fare a meno di provare anche una grande curiosità di fronte alla montagna di storie che quell’individuo sicuramente aveva da raccontare.

Gaunor si voltò verso lo specchio d’acqua, dando le spalle a Kyvenge. La marea era ulteriormente scesa, liberando quasi interamente la statua: una donna di pietra dai capelli lunghi fino a metà della schiena stava lì, in piedi sul mare rosso illuminato dal sole nascente che rischiarava l’interno della grotta.

“Per mostrarti la tua strada.”Solo in quel momento, Kyvenge si ricordò delle parole di

Atkinson. Doveva difendere un oggetto, il ‘Cuore’. Non aveva idea di cosa fosse, e se ne era appena resto conto. Per un istante, gli tornò in mente il racconto frettoloso che aveva fatto loro Nya poco fa, nel santuario. Stando all’affresco sulla cupola, l’oggetto non poteva essere più grande del pugno di un uomo adulto, e probabilmente brillava... forse si trattava di un gioiello. Ma per quale motivo fare tanta fatica per una gemma preziosa? Gaunor non aveva certo fama di essere un ladro. E allora, di cosa avrebbe potuto trattarsi? Del Cuore leggendario appartenuto agli Elfi che aveva sconfitto Kornoma, il Dio del Male? E, anche in questo caso, a cosa sarebbe mai servito a Gaunor?

La marea scese ancora, ed il mausoleo della principessa apparve ai loro occhi. Di notte, l’acqua del mare la difendeva anche da chi avesse fortunosamente trovato l’ingresso della caverna dal mare, mentre di giorno sarebbe stato scambiato per un tempietto come molti altri sparsi per il continente. Come mai tanto bisogno di sicurezza per una semplice tomba?

Le domande si ammucchiavano impietosamente nella testa di Kyvenge, ostacolandolo, impedendogli di muoversi per attaccare ancora. E Gaunor stava lì davanti a lui, senza

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nemmeno guardarlo, ignorandolo, come se la sua presenza lì non volesse dire niente. Finalmente, il ragazzo si riscosse.

“Non mi interessa nient’altro che vendicare mio padre, adesso. Voltati, affrontami!” esclamò, seppellendo la curiosità sotto la rabbia che ritornava ad occupare ogni parte di sé fino a farlo sentire sul punto di scoppiare. Sfoderò la spada, e, vedendo che Gaunor non si decideva a voltarsi, fece un balzo in avanti, puntando alla testa del suo nemico, ma, con un bagliore di luce rossa, la lama rimbalzò all’indietro. L’uomo si voltò lentamente verso il ragazzo, scrutandolo con fare calcolatore.

“E sia. Battiamoci. Per il tuo onore?” chiese Gaunor, sfilando a sua volta la lama dal fodero privo di ornamenti che gli pendeva alla cintura.

“No. Per mio padre.”“Non farmi ridere, ragazzo. Tuo padre è morto.” ribatté

Gaunor.“Ma non è sparito. Io sono ancora qui. Sono vivo per

vendicarlo!” esclamò Kyvenge, affondando la spada con impeto contro il petto di Gaunor, ma questi, grazie ai riflessi allenati in anni di battaglie, schivò e colpì con un calcio il ginocchio del ragazzo, ridacchiando.

“Nessun desiderio di vendetta ti farà mai vincere un duello, moccioso!”

Kyvenge incespicò all’indietro, il ginocchio dolorante: sommato al braccio appena torto, il fastidio si faceva considerevole. Gaunor attaccò, cercando più volte il cuore del ragazzo con la punta della spada, che tuttavia mancò il bersaglio più e più volte, mentre Kyvenge, saltellando in tondo attorno all’uomo, cercava invano di prenderlo alle spalle. Stremato, scagliò una selva di fulmini magici ai piedi del comandante, il quale saltò per non venire colpito e, nell’attimo in cui non era libero di muoversi, Kyvenge ne approfittò per colpirlo allungando in avanti la spada ed usandolo come un parafulmini al contrario, catalizzando la propria energia magica nella lama per lanciarla tutta assieme verso lo stomaco

del nemico. Gaunor venne investito in pieno, a mezz’aria, dal colpo, atterrò malamente sui piedi e fece qualche passo all’indietro per riprendersi, stupito, guardando Kyvenge con gli occhi spalancati mentre si massaggiava l’addome con la mano sinistra. Il ragazzino era riuscito a colpirlo in combattimento, come pochissimi altri erano riusciti a fare in precedenza. Kyvenge, anch’egli senza parole, rimase immobile, ricambiando lo sguardo di Gaunor. Il comandante di Numar si erse in tutta la sua altezza, senza più tenersi la mano sull’addome ferito, dal quale tuttavia era colato del sangue, lucido segno di battaglia sul cappotto nero.

“Dopotutto è vero. Sei solo un uomo.” disse Kyvenge, tornando in guardia, pronto ad un attacco furioso da parte del suo aggressore; il quale, tuttavia, rimase fermo in piedi a guardarlo, come se non lo vedesse che ora per la prima volta.

“Basta. Ci siamo lasciati trasportare, prima. Non possiamo versare sangue in questo luogo.” disse Gaunor, rinfoderando la spada.

Kyvenge rimase immobile, ancora una volta sorpreso, ma sospettoso e timoroso di un attacco a tradimento. Gaunor sembrò aver intuito i suoi pensieri, perché aggiunse, accennando con la mano alla spada del ragazzo:

“Davvero. Non ti colpirò alle spalle. Mettila via.”Kyvenge, come ubbidendo ad un ordine, ripose la spada

nel fodero, chiedendosi tuttavia cosa stesse per accadere. Gaunor mosse qualche passo verso di lui, senza guardarlo. Lo superò, e scese lungo la roccia, avvicinandosi lentamente al mausoleo. Kyvenge si voltò, senza perdere di vista ogni minimo movimento, ma la paura di un colpo basso scemava man mano che vedeva l’uomo accostarsi alla tomba.

“L’hai uccisa tu?” chiese, spezzando il rumoroso silenzio d’onda di quel luogo. Gaunor si fermò, la mano sulla maniglia della porta di vetro che custodiva i resti mortali della principessa, rispondendo senza voltarsi.

“Che importanza ha? Sono passati dieci anni.”

Capitolo VIII - Il cuore del cimitero

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“Importa a me.” disse semplicemente Kyvenge.“A te? Chi sei tu, per dare importanza alla morte di

questa persona? Uomini e donne muoiono ogni giorno.” ribatté Gaunor.

“Alcune persone cambiano il destino di molte. Io, mio padre ed i nostri amici viaggiavamo lungo il continente. Non saremmo tornati qui a Losille, se non avessimo saputo che il Re esiliato minacciava di conquistarla con la forza. Così, ci dirigemmo verso la costa, incontrammo dei Cavalieri di Nauros che fecero Soldato del Re il mio amico, e poi affittammo una barca e venimmo qui. Mio padre intendeva proteggere la città delle rose - Losille, dove viva la principessa Nima, amata da tutto il popolo. E così, guarda quante vite si sono già intrecciate.” spiegò Kyvenge, pensando nel frattempo non solo alle loro, ma anche a quelle delle vittime del mostro marino, a Livio, a sua figlia, a Nya.

Gaunor fece un verso indistinto con la gola, che avrebbe potuto significare un assenso, o chissà cos’altro. Teneva ancora la mano sulla maniglia, ma non accennava ad aprire la porta del mausoleo. Oltre il vetro sporco, si intravedeva appena il feretro nell’oscurità. Il comandante di Numar si ritrasse, si voltò, e ricambiò finalmente lo sguardo del ragazzo, che non si era staccato per un attimo dalla sua chioma castana con i riflessi rossi. Lo sguardo dell’uomo era serio e pensieroso. Forse, l’ombra del rimpianto passò sulle sue labbra strette.

“Sei venuto qui in cerca di vendetta. Perché ancora non hai cercato seriamente di uccidermi?”

Kyvenge impiegò un po’ di tempo a rispondere. A dire il vero, non lo sapeva neanche lui. Poi, trovò le parole, e quasi gli sembrava assurdo che suonassero così puerili nella sua bocca.

“Volevo parlarti. Volevo... sapere la verità. Perché hai fatto tutto questo. Perché l’hai uccisa, perché sei tornato.”

Gaunor si voltò di nuovo a guardare l’ingresso del mausoleo.

“L’ho uccisa io. Con queste mani. E sono tornato per

portare la pace.”Con queste parole, come se avesse appena preso una

grossa decisione, tornò a girarsi verso la porta, strinse la maniglia, e finalmente la aprì. L’odore pesante di chiuso, di mare e di morte intasò le sue narici. Il profumo della donna che una volta lui respirava a pieni polmoni era sparito nel sapore salmastro del Mare di Nauros. Kyvenge si avvicinò, urlando “Fermo!”, ma Gaunor aveva già afferrato con le mani il coperchio del sarcofago di pietra, spalancandolo. I suoi occhi individuarono subito ciò che stava cercando: era vero, era stato sepolto con lei. Non aveva capito cos’era, fin quando non gliene avevano parlato. Quando lei era in vita, quando loro due dividevano insieme le loro giornate, non aveva mai notato niente di speciale in quell’anello sottile con una pietra luminosa a forma di trapezio incastonata nel mezzo. Lo sfilò dal dito di lei, mentre Kyvenge, inorridito, lo fissava dall’ingresso, senza osare entrare. Aveva una specie di visione.

Era arrivato troppo tardi, Gaunor aveva preso il Cuore. Non sapeva che cosa fosse, ma si rendeva conto di non poter strappare niente di mano a quell’uomo potentissimo senza rischiare la vita. E, anche se ce l’avesse fatta, che cosa avrebbe ottenuto? A cosa era servito tutto quello che avevano fatto fino a quel momento? Suo padre era morto, proprio come Nima. Erano lì, a combattersi per chi aveva ragione, su di un’arena scricchiolante fatta di polvere di quelli che li avevano preceduti.

Poi, la visione sparì, e Kyvenge vide che Gaunor aveva rimesso al suo posto il coperchio del sarcofago e si era voltato verso di lui. Un anello sottile era poggiato sulla triste pietra.

“Ti attenderò tra un’ora alla Porta Ovest. Lì, forse, potrai consumare la tua vendetta, oppure io annienterò l’allievo di Atkinson. Se non verrai, ti cercherò.” disse la voce glaciale, e, senza più una parola, uscì dal mausoleo, si avviò lungo la caverna ed uscì dalla tomba della principessa.

Capitolo VIII - Il cuore del cimitero

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***

“Kyvenge...!” chiamò Nya, correndo incontro al ragazzo, il quale stava appena uscendo dal mausoleo, muto e con lo sguardo fisso davanti a se, come in trance.

“Tutto bene, amico?” chiese Vylisour, avvicinandoglisi e guardandolo per bene da capo a piedi. “Stai bene? Non sei ferito, vero?”

“No.. no, sto bene...” rispose Kyvenge, scrutando la galleria di buia pietra dove era appena scomparso Gaunor. “E’ tutto a posto...”

“Davvero stai bene? Abbiamo appena superato Gaunor, nella galleria... ci ha oltrepassati senza degnarci di uno sguardo... per un attimo, avevamo temuto di essere spacciati...” disse Vylisour, ma Kyvenge non rispose. Nya e Vylisour si scambiarono uno sguardo d’intesa, misto di ansia e preoccupazione. Il ragazzo lo notò e disse ancora:

“Va tutto bene, ragazzi, non preoccupatevi.”“Come sarebbe a dire ‘tutto bene’?!” sbottò Vylisour. “Sei

corso qui sotto come una furia, hai incontrato Gaunor e... e ora... come mai sei così tranquillo e rilassato?!”

“Io... non lo so. Diciamo forse che... ora... più che furioso... sono pensieroso e... e spaventato. Abbiamo parlato...”

“Avete parlato?” chiese Nya.“Sì, abbiamo parlato... io e Gaunor. Gli ho chiesto di

dirmi la verità. Lui...non mi ha detto quasi nulla, in realtà. RIspondeva a monosillabi... non so come mai...” spiegò Kyvenge. “Ha detto... ha detto di aver davvero ucciso lui la principessa Nima. Ma ha anche detto... una cosa strana...”

“Che cosa ha detto?” chiese ancora Vylisour. Kyvenge lo guardò.

“Ha detto... di essere tornato... per riportare la pace.”Vylisour sbuffò. Nya poggiò una mano sulla spalla

di Kyvenge, scuotendo leggermente la testa e sorridendo

comprensiva.“Non hai mai avuto a che fare con i politici, non è vero,

Kyvenge?” disse la ragazza. “Ogni politico - e, paradossalmente, ogni dittatore - dirà sempre di aver agito per il bene superiore. Non devi dar peso alle parole di quell’uomo...”

“Ma ha lasciato qui il Cuore!” ribatté Kyvenge, senza tuttavia scrollarsi di dosso la mano di Nya, la quale smise istantaneamente di parlare.

“Il Cuore?” chiese Vylisour. “L’oggetto di cui parlava Atkinson? Dov’è? Che cos’è esattamente?”

Kyvenge non rispose. Si voltò verso il sarcofago alle sue spalle, all’interno del mausoleo, e lo indicò con il dito. Vylisour cercò di farsi largo per entrare, ma Nya fu più veloce di lui: scattò all’interno e osservò da vicino il piccolo anello d’argento senza osare toccarlo.

“L’ha... l’ha preso... lui?” chiese la ragazza.“Si. L’ha preso lui. Io... io non ne avrei avuto il cuore.”

rispose Kyvenge. Nya lo guardò con fare interrogativo, e lui spiegò: “Ha... ha aperto il sarcofago, per prenderlo. L’ha tolto da lì dentro... l’anello era stato sepolto con la principessa.”

Nya rabbrividì, tornando a fissare il minuscolo oggetto come se fosse qualcosa di sporco, di pericoloso.

“Non capisco” stava dicendo Vylisour. “Ha fatto tutta questa fatica per venire sin qui e poi... ti ha parlato... non ti ha praticamente fatto nulla... dopo aver...”

“Dopo aver fatto uccidere tranquillamente mio padre.” completò la frase Kyvenge. Vylisour annuì e continuò:

“Già... e ora... ora che ha trovato quello che stava cercando... perché è a questo che mirava, no? Ora che l’ha trovato... l’ha lasciato qui. Alla tua mercé. Potresti distruggerlo, o...”

“Distruggerlo? Non so nemmeno cosa sia. Perché dovrei distruggerlo, o tenerlo? Per me potrebbe anche restare lì dov’è, ma non sarebbe giusto, appartiene alla principessa. Inoltre, ogni notte qui dentro si alza la marea: l’anello sparirebbe inghiottito

Capitolo VIII - Il cuore del cimitero

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dalle acque.” spiegò Kyvenge.“Non ha per niente senso tutto questo...!” esclamò

Vylisour.“Ha senso, invece. Per chi sa interpretare i segni, per lo

meno.” interloquì improvvisamente Nya. “Kyvenge... Gaunor ha toccato questo anello,non è vero? Lo ha preso lui, quindi di questo possiamo esser certi...”

Kyvenge annuì.“Ma non sappiamo se abbia tentato di... manometterlo...

maledirlo... o cos’altro. E... se lo ha lasciato qui... dev’essere per un motivo. Ragazzi... neanche a farlo apposta, giusto poco fa avete visto l’affresco della Creazione e la Caduta del mondo nel santuario qui vicino... e vi ho parlato del Cuore degli Elementi. Ora... abbiamo scoperto che le leggende su quell’oggetto sono vere.” andò avanti Nya, incerta e timorosa, ma sicura di quel che diceva. Kyvenge la scrutò serio in volto, Vylisour fischiò la sua incredulità.

“Andiamo, Nya! E’ solo un anello, per giunta piccolo e, immagino, anche di poco valore. Che cosa c’entra quel coso con l’oggetto di cui parli tu? E poi, non ci hai ancora detto niente su cosa farebbe esattamente questo ‘Cuore degli Elementi’. E’ una leggenda di questo lato del mare di Nauros, e noi non la conosciamo.”

Nya non rispose. Prese la mano di Kyvenge, lo guardò negli occhi e disse:“Kyvenge, fammi un favore. Tocca l’anello. Infilalo al dito. Solo così capiremo la verità.”Kyvenge restituì lo sguardo a Nya, mentre Vylisour fissava entrambi, stupito dalla loro improvvisa serietà.

“Ragazzi, come potete credere che...”“Gaunor mi ha detto che mi avrebbe aspettato entro

un’ora alla Porta Ovest. Ha detto che avremmo combattuto... all’ultimo sangue.” disse Kyvenge, ricambiando la stretta della mano di Nya, come una disperata ancora di salvezza dal pozzo di dubbi in cui gli sembrava di affondare. “Prima... è stato

incredibilmente... strano. Il contrario di tutto quello che mi sarei aspettato nell’incontrarlo, e nel trovarlo qui. Non ha fatto una sola cosa che avrei previsto. Sembra pazzo da legare. Eppure, non mi ha ucciso subito, anche se immagino che avrebbe potuto farlo. Io l’ho ferito, ma lui non mi ha fatto niente, perchè ha detto che avevamo esagerato, che non avremmo potuto spargere sangue qui, nella tomba di lei. Io non riesco a capire...”

“Infila l’anello. E’ l’unica strada certa per comprendere quello che sta accadendo.” insistette Nya, stavolta quasi supplicando.

“Perchè io? Non puoi farlo tu?” chiese Kyvenge, incerto.“No... perchè se Gaunor l’ha toccato, se gli ha lasciato

qualcosa... è a te che è stato destinato quell’oggetto. Lo ha tirato fuori dalla tomba di Nima, e poi l’ha lasciato qui in bella vista, senza nasconderlo, come se avesse voluto che tu lo prendessi. Non so quale senso abbia tutto questo, ma è evidente che devi essere tu a prenderlo.” spiegò Nya. “Nessun’altro dovrebbe toccarlo. Almeno, non prima di te. Coraggio, Kyvenge... fallo.”

Vylisour scosse la testa, incredulo.“Beh, Kyv, se proprio devi fare questa cosa... sbrigati.

Se Gaunor ha detto che ti aspetta tra un’ora alla Porta Ovest, meglio sbrigarci, saranno già almeno dieci minuti che siamo qui fermi a parlare di aria fritta. Infila il cavolo di anello e preparati ad una vita di prese in giro.”Kyvenge soffocò una risatina. Solo Vylisour avrebbe potuto farlo ridere in una circostanza simile.

“D’accordo. Adesso lo faccio. E... Vyl... se muoio avvelenato o vai a sapere cos’altro, ti lascio la mia roba.”

“Quale roba? Tu hai praticamente solo i vestiti che indossi!” ribatté Vylisour, sorridendogli. “Coraggio, prendilo. Io e Nya resteremo qui, pronti ad aiutarti.”Kyvenge li guardò.“Grazie di essermi così vicini, ragazzi.”“Sbrigati!” lo incitò Vylisour.Kyvenge fece un respiro profondo, si avvicinò al

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sarcofago della principessa, e toccò timidamente l’anellino con la punta di indice e pollice, poi, vedendo che non succedeva nulla, lo prese in mano, rigirandoselo nel palmo. Ancora non succedeva niente. Lo portò all’altezza degli occhi, sotto lo sguardo teso ed impaurito di Nya, e quello curioso e divertito di Vylisour. Non c’erano scritte, segni, o altro. L’unica traccia particolare che avesse il sottile anello d’argento era la piccola pietra luminosa a forma trapezoidale che vi era incastonata all’interno, quasi invisibile a meno di non andare a cercarla con lo sguardo.

Determinato a scoprire qualcosa di stupefacente, il ragazzo infilò l’anello al dito medio: gli stava alla perfezione, nè troppo largo, nè troppo stretto. Per un attimo, alzò lo sguardo sugli amici, deluso. Poi, l’oscurità cadde davanti a lui, avvolgendolo tutto come in un improvviso sogno ad occhi aperti: sentì le sue ginocchia toccare il freddo pavimento di pietra, ed il suo viso cadere tra le calde, piccole mani di Nya, prima di perdere completamente i sensi. Tutto era buio, impalpabile assenza di forme, ma non freddo, come si sarebbe aspettato. Solo, non c’era niente; nulla di nulla. Non riusciva nemmeno a rendersi conto se avesse ancora un corpo, una mente; sapeva a malapena di esistere, circondato dal nulla.

Poi, una voce incomprensibile si alzò dal niente che lo sovrastava. Una voce sovrumana, bellissima ma terrificante, che parlava una lingua diversa dal Naurosiano o dal Numariano. Una lingua bellissima, musicale, che lo colpiva direttamente al cuore, tanto che lacrime traditrici sgorgarono dai suoi occhi, giaceva - o pensava di giacere - al suolo, incapace di muoversi, di fare alcunchè. Poi, la voce iniziò a parlare la sua lingua, e questa volta sembrava provenire direttamente da dentro di lui, ed usare la sua lingua per parlare.

“Il segreto verrà rivelato. Quando ciò che è stato spezzato tornerà unito, il segreto verrà rivelato. Un cuore spezzato batte ancora, ma un cuore riunito batte ancora più forte. Il cuore spezzato della principessa avrà l’amore che le è stato negato. Lei

ora appartiene alla terra, e tu non sei altro che terra vivente.”La voce disincarnata diceva cose senza senso, ma era

bellissimo stare ad ascoltare, sembrava musica, evanescente ed ammaliante.

“Apri il tuo cuore, e ricevi la memoria di chi non c’è più. Accogli il passato, e dai forma al futuro.”

Sì, io... sono pronto, voglio sapere. Che cosa state cercando di dirmi? Chi è che parla?

Immagini confuse apparvero improvvisamente nella testa di Kyvenge. Paesaggi meravigliosi occuparono tutto il suo essere, fin quando credette di non poterne più. Alte torri splendenti di città bellissime, foreste sconfinate di piante giovani e forti, uomini e donne bellissimi con le orecchie a punta.

Sono gli Elfi...“I figli di Onod hanno sacrificato sè stessi per il bene di

chi sarebbe venuto dopo di loro. I vostri padri accettarono il loro destino con gioia, per amore vostro. Tutto ciò che esiste, viene dopo qualcosa che lo ha preceduto, e spiana la strada a ciò che arriverà in futuro. Ostacolare questo processo significa ribellarsi alla vita stessa.”

Perchè gli Elfi sono scomparsi? Che cosa è successo? Cosa c’entrano loro con noi?

“Kornoma era geloso dell’amore di Onod per i suoi figli. Kornoma è la parte negativa di Onod. Quando il dio era uno solo, poteva tutto. Scindendosi, potrà solo fare del bene, o fare del male.”

Kornoma mosse guerra agli Elfi...“Kornoma corruppe il cuore di chi era fedele ad Onod,

spingendolo a tradire i propri compagni. Da allora, le Guerre Fratricide dilagarono per tutti i regni. La Storia del mondo non è altro che un succedersi di civiltà più forti con le mani bagnate dal sangue delle civiltà più deboli.”

Allora, neanche gli Elfi erano perfetti?“Niente di ciò che esiste sotto il Sole è perfetto. Tutte le

creature viventi sono soggette alla corruzione del tempo e della

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malvagità. Ma, come tutti i genitori, Onod soffre del dolore dei suoi figli. Per questo lasciò le Reliquie.”

I Cuori?“La Fonte degli Elementi. L’unità essenziale alla base di

tutte le cose. Senza l’equilibrio, la vita soffrirebbe. Ma Kornoma spezzò l’equilibrio, corruppe i Templi eretti dai Priminati fece sì che la memoria perdesse traccia della possibilità di rimettere a posto le cose.”

Come?“Riunendo i Cuori, il segreto verrà rivelato. Quando

ciò che è stato spezzato tornerà unito, il segreto verrà rivelato. Nelle grida di dolore del passato, giace la verità per salvare il futuro.”Ed in un istante, Kyvenge sentì la preoccupazione della principessa Nima, le sue angosce più profonde, i suoi sforzi disperati per salvare il marito, e l’orrenda fine del loro ultimo litigio. E tuttavia, il suo amore per l’uomo che aveva rischiato tutto per lei.

Kyvenge si risvegliò, ansimando come se avesse fatto una lunghissima corsa. Lo sforzo per vedere e sentire quelle cose era costato caro al suo corpo. Aveva persino sudato, come in seguito ad una grande fatica. Si guardò la mano, e l’anello, sotto i suoi occhi stupefatti, sparì nelle sue carni.

“Kyvenge... ma che cosa è successo?!” esclamò Vylisour. “Parlavi da solo, dicevi cose senza senso... come se ti stessi chiedendo delle cose, e poi ti rispondevi!”

“E’ il Cuore degli Elementi, non è vero, Kyvenge?” chiese Nya, fissandolo preoccupata. “Cosa hai visto?”

“Io... io, ora... so cos’è accaduto. So cosa devo fare. La principessa aveva un dubbio, un sospetto terrificante. Qualcosa di più grande, e di più antico di Gaunor, opera attraverso di lui. Questo... questo spiegherebbe la sua apparente follia.” spiegò il ragazzo.

“Tu... credi di essere ancora sano di mente, vero?” chiese Vylisour, aiutando l’amico ad alzarsi da terra.

“Mai stato meglio, Vyl. Non capisci? Questo spiegherebbe tutto...” aggiunse, rivolto più a sè stesso che agli altri.

“Kyvenge... quell’anello, era davvero il Cuore degli Elementi?” chiese Nya. Kyvenge annuì.“Ho sentito... ho sentio una voce. Mi ha raccontato tutto. Gli Elfi perirono nella Grande Guerra combattuta contro Kornoma, il dio del Male. Onod... il dio buono... aveva lasciato una cosa sulla terra... la Fonte degli Elementi. Ma Kornoma la distrusse, nascondendone i frammenti, e da allora il male serpeggiò nel mondo. Gli Elfi li ritrovarono, ed usarono di nuovo quell’oggetto contro Kornoma, e poi scomparvero tutti. Ma, evidentemente, Kornoma no... e ora... la storia rischia di ripetersi. Questo anello ora... è mio, fa parte di me. Forse devo..”

“Devi trovare tutti gli altri. Gli altri Cuori, intendo. E’ l’unico modo per fermare tutto questo.” disse Nya.

Gli occhi di Vylisour schizzavano dall’uno all’altra.“Ragazzi, voi... mi state spaventando.”Nya e Kyvenge lo guardarono.

“Non sai quanto siamo spaventati noi.” disse Kyvenge, mentre Nya annuiva, scura in volto.

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nutrito per le vecchie saghe, l’intima convinzione che queste nascondessero in fondo qualcosa di vero, il tuo buon cuore... tutti questi piccoli dettagli mi portarono quasi subito ad una conclusione inevitabile: il gioiello che la principessa Nima aveva custodito segretamente per tutta la vita - tanto segretamente che, ne sono certo, lo stesso Gaunor non ne aveva mai sentito parlare finché lei era in vita - spettava a te. Solo tu avresti dovuto trovarlo e possederlo, ed infatti così è stato. Il vostro arrivo quella sera apparentemente così lontana era voluto da Onod, ormai non ne dubito più.”

Le guance di Kyvenge avvamparono nel sentirsi ricoprire di complimenti e belle parole, ma la sua curiosità non si spense.

“Per quale motivo io sarei così importante? Cosa mai dovrei fare che qualcun altro non potrebbe?”

“Gaunor questa notte ha trovato l’oggetto che ha tanto cercato - il Cuore degli Elementi - ma lo ha... in qualche modo... consegnato a te. Non è ancora chiaro cosa possa significare questo suo gesto, ma è certo che voglia mettersi alla prova con te, e che avertelo lasciato forse potrebbe aumentare le tue possibilità. Se Gaunor avesse temuto la tua forza con il Cuore, non te lo avrebbe lasciato. Il fatto che ora il Cuore l’abbia tu, vuol dire che forse potresti sconfiggerlo, ma non con facilità.” spiegò il Generale.

“Ma non ha senso!” ribatté Vylisour. “Perché rafforzare il suo nemico? Perché non ucciderlo nella tomba di Nima e farla finita subito?”

“Vyl, quanto sei lento certe volte” commentò Nya, scuotendo la testa e battendosi la mano sulla fronte. “E’ chiaro che, per quanto malvagio, Gaunor ami ancora la principessa. E’ vero, neanche questo ha troppo senso, ma altrimenti non si spiegherebbero le sue parole quando, dopo essere stato ferito, ha fermato il duello con Kyvenge ed ha detto che si sarebbero dovuti affrontare fuori di lì, per non sporcare il luogo del riposo eterno di sua moglie. Significa che non ha ancora perso il

Capitolo VIIILa prova della Porta Ovest

“Che cosa sta succedendo? Di chi era quel grido?” esclamò Nya, terrorizzata. Tremava, e sembrava faticasse a mantenersi in piedi. Kyvenge la afferrò con un braccio sui fianchi, stringendola a se mentre con l’arto libero proiettava intorno a loro due e Vylisour lo scudo magico fatto di fulmini, ordinandogli di seguirlo. Noko si accodò a loro, la naginata stretta in pugno, mentre una nuova selva di frecce li attaccava dall’alto, invisibili portatrici di morte.

Mezz’ora dopo, Kyvenge, Nya e Vylisour avevano raggiunto i loro compagni. Atkinson, aiutato da Jork, aveva portato il corpo di Zaref nel mausoleo della sua famiglia, dove nessuno, sperava, lo avrebbe disturbato fino alla fine della battaglia; dopodiché, se fossero stati ancora vivi, gli avrebbero reso la giusta sepoltura. Dopo un ultimo, triste sguardo al cadavere di suo padre, Kyvenge era poi uscito all’esterno della camera di pietra, si era seduto su un muretto e aveva preso a spiegare agli altri il suo incontro con Gaunor nella tomba della principessa e lo strano dialogo che i due avevano avuto, arrivando poi alla descrizione fedele della visione sugli Elfi e l’assorbimento del Cuore degli Elementi nel suo corpo. Atkinson e Jork parvero accogliere questo bel mucchio di notizie con paura e preoccupazione, ma ben poco stupore, e all’ovvia richiesta di spiegazioni, il Generale rispose rivelando loro che non solo si era aspettato che accadesse esattamente tutto questo, ma che addirittura non aveva sperato altro fin dal loro primo incontro.

“Tutto quel che è successo stanotte, e forse quel che ancora deve accadere, non è che il frutto dell’incontro di fortuna e fato.” spiegò Atkinson, posando lo sguardo su Kyvenge. La sua voce tremò per un istante, ed il suo viso maturo e temprato dalle battaglie parve, per un momento, incredibilmente rattristato. “Tu, Kyvenge, anche se non conosci nei dettagli la provenienza della tua famiglia, sei indiscutibilmente di discendenza elfica, e non sono solo le tue orecchie leggermente a punta a tradire questa verità, ma il tuo intero essere. L’amore che hai sempre

Capitolo VIII - La prova della Porta Ovest

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contatto con la realtà. Quell’uomo è dannatamente pericoloso e apparentemente privo di molto rispetto per la vita umana, ma non mi sembra tanto pazzo da non ragionare del tutto.”

“Non hai comunque risposto alla mia domanda, sapientona” esclamò ancora Vylisour, piccato.

“Perché Gaunor vuole una sfida alla sua altezza.” disse Jork, lasciando ammutoliti gli altri.

“Sono d’accordo.” asserì Atkinson. “Un uomo così non vuole vincere e basta. Vuole essere certo di aver sconfitto il suo nemico più forte, prima di poter dire ‘ho vinto’. E, ora come ora, è Kyvenge il suo nemico più forte.”

“E mi avrebbe lasciato... un’arma?” chiese Kyvenge, dubbioso.

“No, non un’arma. Un potere. Qualcosa che ti permetterà di fare la differenza.” rispose Atkinson, sorridendo al ragazzo. “Io so solo quel poco di cui racconta la leggenda, però. Immagino che presto ne saprai molto di più tu, ragazzo.”

“E... che cosa dice... la leggenda?” chiese Vylisour, curioso.

Fu Nya a rispondere.“La leggenda parla delle quattro parti in cui venne

spezzata la Fonte degli Elementi da Kornoma, il dio del male. La parte negativa di Onod.”

“Cioè... dio sarebbe cattivo?” chiese Vylisour. “Questa è una cosa che non ho mai capito...”

“Dovresti partire dal principio secondo cui dio non è giudicabile in termini umani, Vyl.” rispose Nya. “Ma, a parte questo, allora posso dirti che, se dio è onnipotente, allora può essere sia buono che cattivo. Dio creò il mondo, gli Elfi furono i suoi primi figli, e poi vennero gli Uomini, quando già gli Elfi erano diventati grandi in potere e saggezza. Ma Kornoma, cioè tutto quello che è male presente in dio, geloso della bellezza del mondo e dei Priminati, si scisse da dio, e le due divinità, Onod e Kornoma, lottarono fra loro. Kornoma scese sulla terra, assunse forma mortale, e distrusse la Fonte degli Elementi, la reliquia

mistica lasciata da dio sulla terra ai tempi della Creazione perché regolasse l’equilibrio di tutte le cose. Con la perdita della Fonte, l’equilibrio si ruppe, e Kornoma poté creare le sue creature: i Torn, i soldati del suo esercito, e tutti gli altri mostri che hanno popolato i racconti degli uomini nei tempi bui prima del Regno di Nauros.”

“Che cos’era la Fonte degli Elementi? Un luogo? Un oggetto?” chiese Kyvenge.

“Non si sa esattamente. Quello che ti sto raccontando è solo quello che dice la leggenda... che poi, è quasi tutto quello che sappiamo.” rispose Nya.

“Comunque sia, la Fonte venne spezzata in quattro parti, ed i frammenti, diversi fra loro, presero il nome di Cuori degli Elementi. Si narra che siano quattro, e che ognuno di loro sia legato ad uno dei quattro elementi fondamentali: aria, terra, acqua e fuoco. Kyvenge... l’anello... aveva qualche simbolo particolare? Non so, un segno inciso... una pietra...”

“Aveva una minuscola pietra luminosa a forma di trapezio. Un minerale, forse.” rispose Kyvenge istantaneamente. “L’ho osservato bene, ne sono certo.”

“La terra.” disse Atkinson. “Quello che appartiene a Kyvenge dev’essere per forza il Cuore della Terra.”

Nya annuì.“E che genere di potere...?” stava per chiedere Vylisour,

ma la ragazza lo interruppe di nuovo.“Dopo, Vylisour. Dicevo, i Frammenti scomparvero,

nascosti da Kornoma nel mondo, probabilmente all’interno di Santuari dedicati dagli Elfi ai quattro elementi. I Santuari vennero maledetti, e protetti da mostri e difese magiche erette da Kornoma in persona, dopodiché questi fu pronto alla lotta, ed iniziò la Grande Guerra: Elfi e Uomini combatterono aspramente le schiere di Kornoma, finché, sui campi di fronte a Galas Dolon, l’ultima città elfica, qualcuno riuscì a riunire i Cuori, ricreando la Fonte degli Elementi e sconfiggendo persino il dio del Male. Ma il prezzo pagato fu altissimo, perché tutti gli Elfi perirono

Capitolo VIII - La prova della Porta Ovest

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nello scontro, e tuttavia i figli di Kornoma restarono nel mondo, a lottare con gli uomini per la supremazia.” Nya terminò il suo racconto.

“Quindi... anche la Fonte degli Elementi è scomparsa?” chiese Kyvenge.

“Esatto. Stando ai racconti, il ritorno della Fonte nel mondo significherebbe il ritorno dell’equilibrio. Sparirebbero i mostri, i Torn... torneremmo al giardino beato che era il mondo prima dell’arrivo di Kornoma.” rispose Atkinson, guardando negli occhi il ragazzo.

“E... mai nessuno è riuscito a riunire i Cuori degli Elementi per ricreare la Fonte?” chiese Vylisour.

“No, nessuno. E’ probabile che pochissime persone nel corso degli anni abbiano ritenuto possibile, o anche solo probabile, queste leggende. Ancora meno sono le persone che hanno avuto prove dell’esistenza di questi oggetti.” disse Jork, scuro in volto. “Forse noi siamo addirittura i primi a saperlo, dopo la morte della principessa Nima.”

Kyvenge si toccò il dito dove era scomparso l’anello misterioso.

“Il... il Cuore è scomparso, quando l’ho infilato al dito. Che cosa vorrà dire?” chiese, più a se stesso che agli altri.

“Scomparso?” chiese Atkinson, stupito.“Nessuno lo ha mai usato. Nessuno sa cosa accada,

quando uno dei Cuori viene ritrovato. Forse... forse è normale che sia accaduto. Forse ti ha scelto, o qualcosa del genere.” ipotizzò Nya, scrutando Kyvenge con curiosità. “Temo che... l’unico modo per scoprire se hai appreso qualche conoscenza, o potere, o cos’altro... dal Cuore della Terra... sia affrontare Gaunor.”

“Già, lo temo anch’io.” convenne Kyvenge, guardando nel vuoto. “Devo andare, infatti. E’ quasi scaduto l’ultimatum. Mi aspetta davanti alla Porta Ovest.”

Tutti tacquero, per qualche secondo. Poi, Atkinson si alzò in piedi, scuotendo gli altri.

“Veniamo con te. Ti accompagneremo, e, se lo vorrai, ti aiuteremo. Non ti lasceremo solo contro il nemico.”

Kyvenge si alzò e strinse la mano al generale.“Scusami per lo sfogo di prima, Lucas. So che avevi

ragione. Era solo la rabbia per la scomparsa di mio padre a parlare.”

“Non ti preoccupare, ragazzo. Lo so. Ora pensiamo al problema più imminente...”

“Sì... andiamo. Poi... forse... avremo ancora tempo per parlare.” disse Kyvenge, avviandosi lungo la strada verso la Porta. Atkinson e Jork lo seguirono più da vicino, mentre Vylisour e Nya chiudevano il piccolo corteo.

“Credi che ce la farà?” chiese Vylisour alla ragazza.“Parla per voi. Io sono già pronta a combattere.” rispose

Nya in un bisbiglio.Vylisour sorrise.

“Ottimo, siamo già in due.”

***

“E così, sei arrivato. Temevo che questa attesa significasse che tu te la fossi data a gambe.” disse Gaunor, osservando divertito il gruppetto che gli si era parato davanti, ad una decina di metri di distanza. Nya, Vylisour, Jork e Atkinson si fermarono, ma Kyvenge andò avanti.“Richiama i tuoi uomini. Ferma la battaglia. Dì loro che saremo noi due a decidere la sorti di questo scontro.” disse Kyvenge, stranamente conscio della propria furia verso l’uomo che aveva causato la morte di suo padre, eppure capace di controllare la furia e di incanalarla dove voleva, in attesa di sferrare il colpo migliore. Gaunor ridacchiò.

“Ragazzino, dove hai trovato il fegato per rivolgerti a me in questo modo? E’ stato Lucas ad imbeccarti?” chiese, indicando il generale alle spalle del ragazzo agitando la punta della spada nella sua direzione. Kyvenge non rispose; si limitò a

Capitolo VIII - La prova della Porta Ovest

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restituire lo sguardo, con fermezza, all’oscuro comandante.“Molto bene. Vedo che sei determinato. Se il Generale

è d’accordo su questa... inusuale strategia militare, non vedo perché non accontentare una giovane promessa del Regno... e risolvere la faccenda in fretta.” convenne Gaunor con calma, malvagia lentezza.

“Faresti bene a pensarci due volte, prima di affrontare un Portatore, Gaunor!” urlò Atkinson, esprimendo così il suo vigoroso assenso in merito alla scelta di Kyvenge di puntare tutto su se stesso pur di porre finire alla battaglia. Il sole era ormai alto, ed in sole due ore erano già morti inutilmente molti valorosi soldati. Non ne poteva più, specie sapendo che, forse, avrebbe potuto davvero fare la differenza, almeno... sempre che le teorie del Generale fossero giuste. Mentre si avvicinavano alla Porta Ovest, ancora miracolosamente in piedi nonostante i colpi delle catapulte di Numar, Atkinson gli si era avvicinato, tirandosi appresso Kyvenge mentre Nya, Vylisour e Jork camminavano davanti a loro, per confidargli qualcosa a proposito dei possibili poteri del Cuore della Terra. Kyvenge sperava di sapere cosa fare, ma non ne aveva la certezza: non avrebbe potuto provarlo, prima di affrontare Gaunor. E il momento della verità era ormai non più lontano di qualche minuto, qualche istante. Il suo cuore batteva all’impazzata, terrorizzato all’idea di dover consumare tutti i colpi che aveva in pochi secondi invece che in una vita intera.

Gaunor stava distribuendo ordini ad alcuni uomini alle sue spalle, parlando in Numariano, poi i soldati vestiti di nero si allontanarono, e Gaunor fece alcuni passi verso il ragazzo, guardandolo dall’alto in basso, la spada sguainata al suo fianco, ben stretta nel pugno destro.“Contavo molto sul tuo senso dell’onore.” bisbigliò l’uomo, muovendo a malapena le labbra. Subito dopo, senza un’ulteriore parola, o un singolo avvertimento, vibrò un potente colpo dal basso verso l’alto, ferendo Kyvenge sull’addome: aveva avuto a malapena la prontezza di riflessi per scansare il colpo.

Rotolando sul fianco, guadagnò qualche passo come distanza di sicurezza, si rialzò e sguainò la lama.

“Hai giocato sporco!” esclamò Kyvenge.“Sei tu l’eroe cavalleresco, ragazzo!” rispose Gaunor

con una risata malvagia, vibrando una nuova serie di colpi in punta di spada contro il giovane. “Non io!” aggiunse, quando dalla sua mano sinistra partirono, crepitando in maniera sinistra, minuscole saette di luce nera e viola, che schizzarono rapidissime verso Kyvenge - e l’avrebbero colpito dritto in pancia, se lui non fosse stato abbastanza pronto da difendersi con uno scudo di fulmini, per poi rispedire la magia al mittente. Gaunor scansò agilmente il colpo e tornò a schioccare la sua spada, a tocchi, come una frusta, alternando questi movimenti piccoli e veloci ad affondi lenti e potenti, tenendo costantemente sulle spine Kyvenge, dalla cui pancia sgorgava sangue che colava sul terreno già sporco delle ferite di altri uomini.

Jork, Vylisour, Nya ed Atkinson, alle sue spalle, seguivano lo scontro con gli occhi sbarrati: i duellanti erano velocissimi, e gli occasionali scambi di attacchi magici, intervallati alle furiose sessioni di spada, li lasciavano senza parole. I progressi compiuti da Kyvenge in quei pochi giorni parevano straordinari persino per Vylisour, che conosceva il ragazzo da tutta una vita.

“L’abilità di Kyvenge non è tutta opera sua, è ovvio” disse Jork, commentando una parata del ragazzo così rapida da permettergli di evitare un nuovo colpo magico lanciato da Gaunor e tornare all’attacco senza nemmeno fermarsi. “E’ il Cuore che lo ha fatto diventare improvvisamente tanto bravo, non è vero?”

“Non ne sarei così sicuro, Jork. Tu lo guardi con gli occhi di un padre - il padre del suo migliore amico e rivale.” rispose Atkinson, sorridendo ma tenendo gli occhi ben fissi sui duellanti, pronto ad intervenire in caso di evidente bisogno.

“Il Cuore degli Elementi... anzi... il Cuore della Terra... cosa può fare esattamente?” chiese Vylisour, divorato dalla curiosità. “Kyvenge finora non ha dato segno di possedere un

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potere superiore a quello di Gaunor, ha usato il repertorio di attacchi magici che gli abbiamo già visto maneggiare contro Lucas... la Magia Elementale...”

“Il Cuore si rivelerà al momento opportuno. Kyvenge deve prima trovare il modo di connettersi con esso. Non è un processo facile...” rispose Nya.

“Che cosa vuoi dire?” chiese Jork.“Ecco... mio padre... io e Lucas... abbiamo pensato che,

se i Cuori sono stati lasciati sulla terra da Onod, probabilmente hanno una specie di legame con lui. E il fatto che Kyvenge abbia avuto delle visioni... forse è una specie di segno, è come se Onod, o gli spiriti degli Elfi, gli abbiano parlato, capite?”

“Il Cuore è una specie di mezzo per comunicare con i morti?” chiese Vylisour, non molto lieto dell’idea. Qualcosa di nuovo era apparso nel suo sguardo, apparentemente terrorizzato.

“No... non proprio... Kyvenge ha visto dei ricordi, e una voce gli ha spiegato cos’era accaduto... è solo una nostra ipotesi, ovviamente, però...” stava dicendo Nya, ma in quel momento Atkinson esclamò:

“ALLE SPALLE!”Gaunor era appena scivolato dietro alla schiena di

Kyvenge, dopo aver lanciato una serie di fulmini neri a terra, che avevano sollevato polvere dappertutto ostacolando la visuale del campo di battaglia e infilandosi su per la narici del ragazzo, facendolo tossire. In un secondo, Kyvenge si voltò, parando il micidiale colpo di spada del comandante di Numar, ma la potenza dell’affondo fu tale da farlo indietreggiare, e Gaunor approfittò di quel momento di incertezza per avanzare di un altro passo e colpire Kyvenge sul collo con il dorso della mano: inebetito, il ragazzo barcollò di un passo sul lato, agitando la spada da qualche parte sulla sua destra per cercare di tenere a distanza il nemico, che tuttavia evitò ancora con un balzo il braccio armato e calò un terribile pugno sul retro della testa di Kyvenge.

“Sporco bastardo sleale!” urlò Vylisour.“L’ha colpito alle spalle dopo averlo accecato!” si accodò

Nya.“Zitti, ragazzi, zitti... Kyvenge è già nervoso di suo... non

mettevici anche voi...” disse Atkinson, tentando di contenere lo sdegno dei due giovani.

“Ma come puoi restare impassibile?! E’ un duello impari...!” esclamò Nya.

“Cos’avete da blaterare tanto, voi due? Volete unirvi alla festa? Magari riesco a divertirmi un po’, contro tre avversarsi contemporaneamente...” li canzonò Gaunor, mentre Kyvenge tentava di riprendersi, massaggiandosi le parti del corpo più doloranti.

“Ma senti questo... adesso te lo dò io il divertimento, grandissimo figlio di....” rispose Vylisour, le cui ultime parole mentre andava alla carica furono coperte dalle esclamazioni di stupore e paura di Jork, che cercò invano di fermare il figlio mentre anche Nya lo seguiva, e Atkinson afferrava il vecchio per le braccia e lo riportava indietro.

“No, Jork, lasciali andare... vedrai... sarà la loro impresa.” sussurrò il generale. Jork si voltò a guardarlo, mentre Atkinson, malfidente, ancora non lo lasciava andare.

“Se succede qualcosa a mio figlio... anzi, ad ognuno di quei tre... io ti...”

Ma Atkinson non seppe mai per intero quale terribile minaccia gli stesse facendo Jork, perché in quel momento nuove grida si erano aggiunte al duello: Vylisour stava tenendo seriamente impegnato Gaunor, costretto a retrocedere sotto i potenti affondi del ragazzo, mentre Nya stava curando Kyvenge in piedi con la magia.

“Ecco... adesso starai meglio... non è proprio come se fossimo entrambi a riposo, visto che la tensione e lo stress rallentano questo tipo di cure, ma...”

“Nya, non ti scusare. Sei fin troppo brava...” tagliò corto Kyvenge, sorridendo alla ragazza. Lei gli restituì lo sguardo,

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poi lui si voltò e corse a dare man forte all’amico. Vylisour stava lottando tenacemente: il viso deformato

dalla concentrazione, avanzava senza sbagliare un colpo, deviando le parate di Gaunor e affondando sempre più pericolosamente la sua lama verso il collo del comandante Numariano. Finalmente, notando l’approssimarsi di Kyvenge, Gaunor si liberò del suo pericoloso sfidante roteando la spada intorno a sé come una mazza, per poi alzare il braccio sinistro con la palma aperta verso il cielo: saette nere e viola sibilarono attorno ai tre contendenti, tagliando fuori anche Nya, che non poté fare altro che stare a guardare, impotente, mentre i tre uomini lottavano lama contro lama.

“Atkinson... vi ha insegnato bene!” esclamò Gaunor, resistendo agli attacchi dei due ragazzi armato di una sola spada e schivando con l’agilità di un uomo molto più giovane e forte dei suoi cinquant’anni.

“Scoprirai quanto ci ha insegnato!” ribatté Vylisour, affondando ancora, e andando finalmente a segno, anche se di striscio: uno squarcio si aprì tra il petto e la spalla sinistra del cappotto di Gaunor, facendo fuoriuscire del sangue dal taglio che gli aveva inflitto la lama di Vylisour. Kyvenge gridò i suoi complimenti all’amico, attaccando a sua volta, ma Gaunor non gli permise di avvicinarsi: parando la mano davanti a sé, senza toccare il ragazzo, lo fermò con uno scudo invisibile, lo fece alzare a mezz’aria come una marionetta, ed infine lo scagliò a terra, tra le fiamme ed i lampi di magia nera che aveva evocato come barriera attorno alla loro arena. Kyvenge urlò di dolore, scottato, e poi anche Nya urlò, spaventata, ma non le era possibile avvicinarsi, o curarlo con la magia senza toccarlo. Vylisour, imprecando, fece per andare verso l’amico, ma Gaunor, furioso, lo afferrò per un braccio e, con una forza sovraumana, lo lanciò in aria, a tre metri dal suolo, ed evocando fiamme dal nulla le scagliò contro il ragazzo, che urlò e si contorse orribilmente mentre ricadeva a terra.

“E’... è incredibile...! Come può fare quelle cose...?!

Come può mantenere il controllo su così tante magie evocate contemporaneamente?!” esclamò Jork, avvicinandosi a Nya assieme al generale Atkinson.

“Non lo so... oddio, è orribile... cosa possiamo fare, Lucas?!” gridò Nya, in lacrime, guardando il generale.

“KYVENGE! Torna in piedi, dannato moccioso, non avrai davvero già esaurito le idee...?” urlò Gaunor, riprendendo lentamente il controllo, il cui tono di voce stava lentamente tornando al suo solito stile profondo e glaciale. L’uomo si avvicinò al ragazzo, e le fiamme magiche si dissolsero, liberando anche Vylisour. Nya, istintivamente, fece un passo in avanti per curare Kyvenge, ma con la coda dell’occhio vide Gaunor farsi più vicino, ed il passo che aveva appena iniziato rimase a metà.

“Che c’è, mocciosa, hai paura? Fai bene, devi avere paura...” disse Gaunor, guardandola con sorriso ferino. “Fate tutti bene ad avere paura...”

Nya fece un altro passo verso Kyvenge, steso a terra, dolorante e con i vestiti bruciati, gli occhi semichiusi.

“NYA! NO!” urlò Atkinson, gettandosi verso la ragazza nell’istante prima dell’attacco a sorpresa di Gaunor... il braccio del Numariano che si alzava e si tendeva verso di lei poteva significare una cosa soltanto...

Kyvenge aprì gli occhi al sentire Atkinson urlare il nome dell’amica, e proprio in quel momento vide il corpo del generale venire colpito da un sottile fascio di luce nera, e poi cadere con un tonfo oscuro sul terreno, accasciarsi e giacere immobile. Senza capire cosa stesse facendo, Kyvenge si rialzò in piedi, ferito, ed iniziò a correre verso Gaunor, urlando con quanto fiato aveva in corpo, mentre la terra intorno a loro ribolliva e si muoveva, scoppiava in bolle, seminava polvere di terriccio ed erba tutto intorno a loro, fino a seppellirli in un vortice che si contorceva attorno a loro, mentre l’uomo ed il ragazzo lottavano a mani nude, l’uno con le mani strette attorno al collo dell’altro... la presa di Gaunor era una morsa d’acciaio,

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ma Kyvenge sentì anche la potenza dell’altro affievolirsi, la vita divincolarsi tra le carni del suo nemico. Ed infine la bolla di terreno in cui Kyvenge e Gaunor si erano trovati a lottare esplose, svanendo nel nulla, ed i due rivali caddero di nuovo a terra, rotolando senza smettere di lottare, per poi lasciarsi andare all’improvviso e tornare ad affrontarsi in piedi, spada contro spada, come se pensassero all’unisono. Jork assisteva ammutolito a quel terribile scontro, mentre Nya, rapidissima nella disperazione, correva da Vylisour e Atkinson per curarli con la sua magia. Un bagliore, e Vylisour tornò subito in piedi, scottato da ma nel complesso ancora pronto a combattere, mentre Atkinson, colpito dalla maledizione di Gaunor, ci mise un po’ di più per riprendere conoscenza: tuttavia, con somma gioia da parte di tutto il gruppo, dopo pochi minuti il generale riaprì gli occhi.

Nel frattempo, il duello era arrivato ad un punto morto. Kyvenge e Gaunor sembravano equipararsi, e nessuno riusciva a mettere definitivamente in scacco il nemico; Vylisour aveva tentato di rigettarsi nella mischia, ma i movimenti ed i colpi dei due contendenti rendevano difficile per lui tornare all’attacco senza rischiare di ferire o venire ferito, visto il numero ed il potere del costante alternarsi di colpi magici e di spada. Gaunor era davvero un combattente eccezionale, dotata di una tempra ineguagliabile e di un’abilità strategica fuori dal comune, ma Kyvenge riusciva a portarsi al suo livello, rispondendo ed anzi persino anticipando le sue mosse, facendolo soffrire in varie occasioni e mantenendo sempre alto il livello di pericolo per entrambi.

“Cosa diavolo è successo prima? Quando la terra li ha avvolti?” chiese Jork a Nya.

“La terra li ha avvolti?” ripeté Atkinson, stordito.“Si... hanno lottato dentro una specie di palla fatta dal

terreno... si è alzata su di loro... poi come è venuta, se ne è andata...” rispose Nya.

“E’ il Cuore... il Cuore della Terra... Kyvenge sa come

usarlo...” disse Atkinson.E alla fine, in un ultimo, disperato assalto, Kyvenge corse

contro il proprio nemico, mentre Gaunor faceva altrettanto, caricandosi l’un l’altro come due cavalieri armati di lancia, e le loro spade colpirono il bersaglio.

“KYVENGE!” Nya corse verso il ragazzo, sfilando delicatamente la lama

che lo aveva ferito nella spalla: i duellanti erano caduti entrambi a terra, sfiniti e distrutti dal dolore, ma senza un grido.

“Levati di mezzo, ragazzina...” mormorò Gaunor, rialzandosi lentamente in piedi.

“E’ finita, comandante, avete perso.” disse Nya, voltandosi a guardarlo mentre curava di nuovo Kyvenge con la magia bianca. “Noi siamo ancora qui, pronti a combatterti, e tu sei da solo.”

“L’unico che aveva il diritto di combattermi... era questo moccioso... ed è a terra...” ribatté Gaunor.

“Sono pronto a rialzarmi, se non ne hai ancora avuto abbastanza...” disse Kyvenge, allontanando le morbide mani della ragazza e mettendosi a sedere. Gaunor lo fissò in cagnesco, con un fiotto di odio che sembrava inondargli le guance dure.

“Anche noi sappiamo giocare sporco.” disse Nya, scrutando con odio il Numariano. “Vattene ora. Non sei più invincibile. Sei stato sconfitto.”

Gaunor tacque per qualche momento, restituendo lo sguardo alla ragazza. Uno sguardo difficile da dimenticare. Poi, l’uomo sorrise.

“Così sia. Avete vinto.... per oggi.”E senza aggiungere altro, voltò le spalle a Losille, e si

allontanò da loro per tornare dai capitani del suo esercito. Kyvenge e Nya si scambiarono uno sguardo carico di meraviglia.

“Se ne è andato... se ne è andato per davvero...!” mormorò Nya al ragazzo, sperando che nessun altro la sentisse.

“Non ha perso, Nya... hai detto una bugia.” rifletté

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amaramente ad alta voce Kyvenge, alzandosi con l’aiuto della ragazza. “Lui... mi ha fatto vincere, è ovvio. Senza il Cuore, mi avrebbe schiacciato. Mi ha lasciato vincere. Quello che non mi so proprio spiegare è... per quale motivo lo abbia fatto.”

***

Passò qualche giorno, durante i quali vennero curati i numerosi feriti, ed i morti seppelliti. Non ci fu troppo tempo per piangerli tuttavia, poiché il Generale Atkinson non credeva alla resa - seppur temporanea - di Gaunor, e pareva temere un nuovo attacco da un momento all’altro. Tutti gli uomini abbastanza sani vennero costretti a riparare i danni subiti dalle mura della città in massacranti turni di lavoro consecutivi, con pochissime ore di riposo e nessuna di svago, mentre troppi feriti, ricoverati nella Casa di Guarigione, venivano aiutati a tornare in forma dalla magia di Nya: Atkinson aveva ormai deciso di rinunciare al segreto sui poteri elfici dei ragazzi, lasciando che Kyvenge aiutasse i muratori a spostare i pesanti massi con la Magia Elementale dell’Aria, e che Nya risanasse le ossa rotte in poche ore con i suoi poteri. In breve, i sussurri sulla sconfitta di Gaunor divennero voci, e le voci grida, finché tutta Losille non applaudì e ringraziò pubblicamente Kyvenge, l’eroe che aveva sconfitto l’imbattibile capitano di Numar, il Generale Atkinson, suo maestro, ed i loro compagni d’arme - Nya, Vylisour, Jork e l’ormai scomparso Zaref, al quale venne dedicato un funerale sfarzoso al pari d’un principe, almeno per quello che si potevano permettere gli stanchi soldati di Losille.

A cerimonia conclusa, Kyvenge tornò nel sotterraneo all’interno del cimitero dove era nascosta la tomba della principessa Nima. Sperava che il Cuore gli parlasse ancora, che potesse dargli delle risposte, ma niente di tutto questo avvenne. Le risposte, gli aveva detto Atkinson, c’erano già, nascoste dentro di lui, ma non sarebbero state loro a venire da lui: solo Kyvenge stesso avrebbe potuto trovarle, e stava

quindi solo a lui capire quale fosse il modo migliore - l’unico modo, forse - di entrare veramente in contatto con la reliquia. L’anello misterioso sparito nel suo corpo lo aveva in qualche modo scelto, eppure non si sarebbe concesso direttamente a lui, ma avrebbero dovuto imparare a conoscersi, a capirsi, prima di poter veramente collaborare. Atkinson non era stato in grado di dirgli quanto tempo gli sarebbe occorso, o come avrebbe capito quando fosse giunto il momento.

“Succederà qualcosa, immagino. Deve succedere.” aveva detto il generale, in piedi accanto ad una finestra della Casa di Guarigione, in risposta alla domanda del ragazzo. “Gli Elfi usarono i Cuori - e la stessa Fonte degli Elementi - già molto tempo dopo che questa era stata lasciata sulla terra da dio, quindi, evidentemente, i Cuori comunicano il loro volere ai Portatori. Tu ora sei un Portatore, Kyvenge, e verrà il momento in cui sentirai chiamare, e dovrai necessariamente rispondere.”

“Sono l’unico Portatore? O ce ne sono degli altri?” chiese Kyvenge.

“A questa domanda, purtroppo, non ti so rispondere.” disse mestamente Atkinson. “Se già l’uso di uno solo dei quattro Cuori degli Elementi è di difficile comprensione, ragazzo mio, immagina cosa sia discutere degli altri! Non ho davvero idea di come sia possibile scoprire se anche le altre Reliquie siano state trovate, ad esempio, se non visitando i Templi dove si narra che siano stati nascosti.”

“I Templi?”“Si, i Santuari Elfici della leggenda. Vennero maledetti

da Kornoma, e probabilmente sono ancora lì, sepolti dagli anni e dalla terra, popolati dai mostri lasciati a guardia delle reliquie divine dal dio del Male. Se mai tu dovessi avventurarti in simili luoghi, Kyvenge, tieni bene a mente: la più evidente caratteristica della presenza del Male è la sua apparente assenza. Il più astuto trucco di Kornoma è sempre stato, anche in passato, quello di far credere agli uomini di non esistere. Sta’ bene attento quando ti avventuri nelle tenebre.. potresti rischiare di non vedere più

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la luce nei tuoi occhi.”Quel pensiero scatenò un brivido di terrore lungo la

colonna vertebrale del ragazzo, ma Atkinson fortunatamente non sembrò averlo notato.

“Che cosa faremo adesso, Generale? Pokon e Noko sono occupati con la ricostruzione della Villa, bruciata durante l’incendio, e la stessa Losille è mezza distrutta. Io... forse avrei dovuto inseguire Gaunor, e... farla finita.” disse Kyvenge, riuscendo faticosamente ad esprimere il più terribile dubbio che covava nel profondo della sua anima. Era riuscito a sopravvivere ad un’intera battaglia senza essere costretto ad uccidere i suoi nemici, ma uno di loro pareva imbattibile a meno di non togliergli la vita.

A questa domanda, Atkinson seppe rispondere, ma solo dopo aver ponderato bene le parole, guardando seriamente il ragazzo per qualche secondo.

“Appare chiaro che dovrai partire, Kyvenge. Hai duellato un paio di volte di seguito contro Gaunor, privo della reliquia prima e armato di essa poi, e dovresti aver ormai scoperto quali siano i punti di forza e di debolezza del tuo avversario. Qual è la tua valutazione? Come militare, dovresti essere in grado di stabilire se tu sia o meno in grado di sconfiggerlo.”

Kyvenge rifletté un momento, prima di dire:“Non vedo quali siano le debolezze del mio avversario,

signore. Io... temo che lui abbia scelto di farmi vincere, così come poco prima aveva scelto di lasciare a me il Cuore della Terra. Non so dire il perché, ma lo sento. E’ un’idea della quale non riesco proprio a sbarazzarmi.”

“E’ un’idea pericolosa, Kyvenge! Infida e pericolosa. L’idea che lui possa averti lasciato vincere non sta in piedi, innanzitutto perché questo minerebbe il morale dei suoi uomini, sorretto fino a poco tempo fa dalla fama di invincibilità che Gaunor era riuscito a crearsi ed a mantenere per molti anni. Quel che è accaduto qui, a Losille, non ha nessuna vaga somiglianza con nient’altro finora nella Storia di Nauros, te ne

rendi conto? Hai affrontato un nemico impareggiabile e sei vivo per raccontarlo. A me pare evidente che sia successo solo perché tu fossi più forte di lui, e che Gaunor abbia deciso di lasciarti cavallerescamente la vittoria per evitare il peggio - la cattura, la prigionia e forse anche la morte, per mano dello stesso popolo che dieci anni fa lo aveva lasciato andare via illeso dopo aver compiuto un crimine orrendo!”

Kyvenge rimase in silenzio per tutto il tempo ma, non appena Atkinson ebbe terminato di parlare, ribatté:

“E allora, perché lasciarmi prendere il Cuore? Aveva aperto lui la tomba della principessa. Perché non l’ha preso lui e non mi ha ucciso subito?”

“Forse è solo diventato ancora più pazzo, come aveva supposto Nya. Forse voleva solo un duello alla pari.” ricordò il generale, ma Kyvenge scosse la testa. “No? E cosa credi, allora?”

“Io... non lo so. Ma non è il momento ora di perderci in congetture. Dobbiamo decidere che cosa fare dell’immediato futuro.”

Atkinson annuì.“Vero. Sarà meglio sbrigarsi, allora. Manderò delle spie

a scoprire cosa sta accadendo nel campo base di Numar, e farò interrogare i pochi che abbiamo fatto prigionieri, sperando che ci sia qualche alto papavero tra di loro. Magari troveremo degli indizi. Bene, Kyvenge, con questo sei congedato, per il momento. Ma non abbassare la guardia. e aspettati di venire chiamato da un momento all’altro: la guerra è sospesa, ma non terminata, temo. Gaunor è ancora a Nauros e, finché sarà così, non ci sarà pace per nessuno, te lo garantisco.”

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disappunto.“Si, ovvio… era una battuta…” mormorò Kyvenge, poco

convinto.“Dai, smettila di fare la vittima, scemo!” lo redarguì

Vylisour, dandogli una gomitata. “Piuttosto… è tanto che volevo dirtelo… Mi dispiace ancora di essere stato così… così cretino, insomma.”

Kyvenge lo fissò con sguardo interrogativo: non capiva di cosa l’amico stesse parlando, di nuovo.

“Sai… quando tu avevi appena scoperto di essere un Mago Elementale, e io… beh, ero invidioso. Mi dispiace di essermi comportato così…”

Kyvenge finalmente comprese, e diede una pacca sulla spalla all’amico.

“Non preoccuparti, Vyl. Ci conosciamo da quando eravamo dei poppanti… non c’era neanche bisogno che tu mi dicessi queste cose, per me erano già storia passata. Tranquillo. Ti sei fatto abbondantemente perdonare nello scontro con Gaunor…” aggiunse con un mezzo sorriso.Vylisour ridacchiò.

“Già, Gaunor… dì un po’… tu pensi di potercela fare, contro di lui? Credi che questo viaggio ci permetterà di sconfiggerlo?”

“Non ne ho la più pallida idea!” esclamò Kyvenge, per tutta risposta. “Spero solo che non sia inutile…”

“Vedi sempre il bicchiere mezzo vuoto.”“E’ un modo per non restare deluso.” spiegò Kyvenge.“Hai ragione anche tu.” ammise Vylisour, ridacchiando.Per un momento, i due ragazzi tacquero, fissando

l’azzurro intenso del mare di fine estate davanti a loro. La collina scendeva rapida verso la città, dove mura e case mezze distrutte venivano riparate giorno dopo giorno dai soldati di Atkinson, e il profumo dell’erba scaldata dal sole e dell’acqua salata creava quell’alchimia unica dei posti di mare, capaci di passare come il deserto dal caldo torrido al freddo a seconda

Capitolo IXLa ricerca comincia

“Che cosa sta succedendo? Di chi era quel grido?” esclamò Nya, terrorizzata. Tremava, e sembrava faticasse a mantenersi in piedi. Kyvenge la afferrò con un braccio sui fianchi, stringendola a se mentre con l’arto libero proiettava intorno a loro due e Vylisour lo scudo magico fatto di fulmini, ordinandogli di seguirlo. Noko si accodò a loro, la naginata stretta in pugno, mentre una nuova selva di frecce li attaccava dall’alto, invisibili portatrici di morte.

Passò ancora qualche giorno, e venne infine l’ultimo pomeriggio da trascorrere a Losille. I giorni passati ad attraversare il Mare di Nauros in una sgangheratissima barca governata da Jork e Zaref parevano lontanissimi, così come, stranamente, l’ultimo periodo di tempo pareva passato in un lampo. Fu così che Kyvenge e Vylisour, accompagnati dalla soave voce di Jork che li minacciava di brutali percosse poiché colpevoli di non aver ancora ultimato i loro bagagli, si diressero sulle colline alle spalle della città per un’ultima passeggiata prima del giorno della partenza. Imboccato un familiare sentiero acciottolato che si insinuava sempre più ripidamente su per una delle colline più alte, i due ragazzi raggiunsero presto, ansimando e chiacchierando, la cima, dove una panchina di pietra li invitava a sedersi ed a godersi il panorama.

“Eccoci qui… finalmente ce l’abbiamo fatta!” esclamò Vylisour, sedendosi pesantemente accanto all’amico.

“Eh, sì… non avrei mai creduto di riuscire ad arrivare qui sopra!” rispose Kyvenge.

“Ma di che parli?” chiese Vylisour, girandosi a guardare l’altro. “Io parlavo del fatto che siamo diventati entrambi Soldati di Nauros, e che siamo sopravvissuti alla Battaglia di Losille, sconfiggendo persino Gaunor! Mi sembra un obiettivo ben più importante che non arrampicarsi sopra un bel mucchio di terra!” aggiunse, sghignazzando. Kyvenge, sentendosi preso in contropiede, arrossì leggermente, vergognandosi di non aver capito quello a cui si riferiva il compagno. Persino un gabbiano, volando in lontananza, apparve gracchiare il proprio

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dell’ora del giorno.“Dì la verità, hai fatto tutto questo per colpire Nya, non è

vero?” disse all’improvviso Vylisour.“Che cosa? Non è vero… io…” balbettò Kyvenge.“Andiamo, ti conosco. So cosa significa, quando pendi in

quel modo dalle labbra di una femmina.” la buttò lì Vylisour, voltandosi a guardare l’amico. “Sei prevedibile, Kyv. E’ da quando hai salvato la morettina dal brutto serpente marino che ti piace, o sbaglio?”

Kyvenge sbuffò.“Che palle, non ti si può nascondere niente.”Vylisour fece un gesto di vittoria col braccio, poi tornò

serio – o quasi – e disse:“No, o almeno, tu di sicuro non ne sei capace. Sei troppo

limpido, Kyv, troppo sincero. Smettila di essere così, o finirai per farti del male.”

“Smettila tu di essere tanto stronzo, altrimenti prima o poi qualcuno ti picchierà a sangue dopo aver ascoltato una delle tue pessime battute.”

“Mi diverte sempre molto, quando tenti di fare il duro, Kyv.”

“E a me quando cerchi con scarsa convinzione di fare il sentimentale, Vyl.” disse Kyvenge, alzandosi dalla panchina. “Dai, torniamo giù. Il sole sta per tramontare, e dobbiamo ancora preparare la nostra roba, se tuo padre non ci uccide prima.”

“Non lo farà. Gli serviamo come forza lavoro, sarebbe sciocco da parte sua.” ribatté Vylisour.

“Spassoso! Chi te li scrive i testi? Dovresti licenziarlo.”“Non posso, gli voglio troppo bene. Comunque…

tornando al discorso di prima…”“Non lo so, Vyl, non lo so. Ti ho già raccontato tutto

quello che ci siamo detti io e Atkinson… sono convinto che Gaunor mi abbia lasciato vincere, che avrebbe potuto uccidermi e non lo ha fatto, ma non so proprio per quale motivo possa

aver deciso di comportarsi in questo modo… Il Generale dice che non è possibile, che è assurdo anche solo pensare che possa essere andata come credo io, ma…”

“Se tu dici che è andata così, io ti credo, Kyvenge. Non sei certo uno stupido, e al momento nessuno conosce Gaunor meglio di te, fra tutti noi a Losille, quindi… per me la faccenda finisce qui. Quello che mi preoccupa ora è solo… capire come sconfiggerlo.”

“Dobbiamo trovare i Cuori degli Elementi che ci mancano, ecco come. Quegli oggetti ci daranno il potere magico necessario per sconfiggerlo… non c’è altro modo. Dovremo percorrere parecchi chilometri per trovare i Templi degli Elfi e… a questo proposito… io non obbligo nessuno a seguirmi, Vyl, e se tu vuoi andare diretto ad Arkon per diventare Cavaliere, io non…”

“Nessuno mi sta costringendo, Kyv. Tantomeno mio padre, che viene con noi per guidarci e proteggerci… sta’ tranquillo, non hai costretto nessuno. A proposito… la tua fidanzata che fa? Si unisce a noi? Ops, scusa, volevo dire a te.”

Kyvenge, per tutta risposta, rifilò all’amico un calcio negli stinchi.

***

Nel frattempo, nella piazza più grande di Losille, Jork passeggiava da solo, a ridosso dei palazzi, le mani in tasca, perso nei suoi pensieri. Gli mancava tremendamente il suo amico, ucciso ingiustamente per motivi poco chiari e in una guerra che non gli apparteneva ma in cui aveva voluto a tutti i costi infilarsi, costringendo per dovere morale i ragazzi e lui stesso a seguirlo. Ora però Zaref era morto, Vylisour era prossimo a diventare Cavaliere, e Kyvenge era diventato suo malgrado una delle pedine più importanti sulla mortale scacchiera del fato. A lui, Jork, non restava altro da fare che accompagnare entrambi i ragazzi per dovere filiale e per rispetto nei confronti dell’amico

Capitolo IX - La ricerca comincia

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scomparso, anche se non riusciva a capire a cosa sarebbe potuto servire lui, più vecchio che giovane, se si fossero trovati in mezzo ad un’altra battaglia: era Zaref la sua forza, quello che meglio lo conosceva e sapeva come spronarlo persino a gettarsi incoscientemente nell’azione…

“Jork! Vecchio mio, che ci fai qui?” disse una voce familiare. Jork alzò gli occhi da terra e vide che stava camminando proprio in direzione del Generale Atkinson, occupato a dirigere i lavori di ricostruzione, il quale allontanò con un elegante gesto della mano i soldati raggruppati attorno a lui e si avvicinò all’uomo.

“Tutto bene? Avete terminato i preparativi per la partenza? Ho già fatto approntare il mio carro dal giovane Noko, e quando vorrete caricarvi i bagagli non avete che da chiedere…” stava dicendo Atkinson, ma Jork lo interruppe.

“Giusto a questo stavo pensando, Lucas. Volevo farti qualche domanda… se permetti…”Atkinson non sembrava aspettarsi un dialogo del genere in quel momento, tuttavia non si perse d’animo e fece strada verso l’unica locanda sulla piazza rimasta aperta. I due uomini si sedettero ad un tavolino all’esterno del locale, dove la luce del tramonto li sfiorava appena, mentre la sera già li avvolgeva nel suo fresco manto puntato delle prime stelle.

“Dimmi pure, Jork. Qualcosa ti turba?” chiese Atkinson.Jork sbuffò.“Non vedo cosa non dovrebbe turbarmi, Lucas. Sto per

buttarmi in un’avventura dalla quale difficilmente potremo uscire vivi, tutti noi, e ancora non capisco perché mai dovrei farlo, e su quali basi dovrei lasciare che mio figlio, o Kyvenge, possano…”

“Alt, alt, alt” disse Atkinson, facendo segno con le mani all’altro uomo di fermarsi. “Mi sembra di aver già sostenuto una simile conversazione, nella mia Villa, proprio poco prima della battaglia…”

“Lo so, Lucas, ma evidentemente non mi hai convinto

appieno, se i dubbi sono tornati a tormentarmi. Io non capisco come tu possa avere tanta fiducia…”

“Ho i miei motivi, che mi pare di averti già spiegato…”“Nonostante i tuoi motivi, Zaref è morto, Lucas!” sbottò iroso Jork. “Ed è un vero miracolo il fatto che nessun altro lo abbia seguito, visto che i ragazzi hanno dovuto affrontare…”Un uomo basso e tarchiato venne a prendere le

ordinazioni. I due chiesero un caffè ciascuno, e l’ometto si ritirò a preparare le bevande. Jork abbassò leggermente il tono della voce, ma continuò:

“…è un miracolo che quel pazzo scatenato di Gaunor non li abbia uccisi tutti… che non abbia fatto a pezzi ognuno di noi! Se non sei riuscito tu a sconfiggerlo, come puoi pensare che ci riusciranno dei… dei ragazzini?”

“Io sono un vecchio ormai, Jork. Ho quarant’anni. E’ proprio questo il punto. ‘Se non ci sono riuscito io…’ Beh, è evidente che ci dovrà riuscire qualcun altro. Sta ai giovani prendere il controllo, quando è giunto il momento, altrimenti, se il mondo continuerà ad essere controllato dagli anziani, non potrà fare altro che avvizzire fino a crollare su sé stesso.”

“Non lisciarmi la pillola con le tue perle di saggezza, ti prego…”

“Ma è così, Jork, e non si tratta affatto di saggezza, ma di pragmatismo vero e proprio. I rami secchi degli alberi si tagliano, e si lasciano crescere i teneri, indifesi virgulti, perché tutta la pianta abbia la possibilità di diventare ancora più grande e forte. Io ora ho gettato… un seme al vento. Anzi, tre. E spero che almeno uno di loro possa, un giorno, dare frutto.”

“Tre… parli di Nya?” chiese Jork.“Sì, esattamente. Infatti… volevo chiederti… di stare

particolarmente attento a lei, Jork. Forse ti sei sentito inutile durante la battaglia… tu sei il più grande tra tutti noi…”

“Dì pure il più vecchio.” lo corresse amaramente Jork.“Mi suona meglio ‘il più grande’.” disse Atkinson,

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sorridendo cortesemente. “Beh, vorrei che lei venisse con voi, e, in questo caso, dovresti tenerla particolarmente d’occhio. Sai com’è… l’unica ragazza del gruppo… e poi… temo molto per quello che potrebbe accaderle.”

“Perché non la tieni qui con te, allora?” chiese Jork.“Non posso. Io dovrò restare a Losille, almeno per un

altro po’ di tempo, ed anche Pokon e Noko resteranno con me – sono i migliori, sai, la mia scorta personale. Ma Losille non è più un luogo sicuro per Nya, e anche se non avrebbe molto senso, temo la vendetta di Gaunor. Ho paura che possa cambiare idea e tornare qui per uccidermi. Per questo… penso che Nya sarebbe molto più al sicuro con voi.”

Jork tacque, mentre l’ometto portava loro i caffè che avevano ordinato; Atkinson pagò, poi, una volta che il locandiere si fu allontanato, avvicinò la testa a quella del Generale, sopra al tavolino ed alle bevande fumanti.

“Mi stai prendendo per una sorta di bambinaia?”“Assolutamente no, la cosa è molto, molto più seria…”

rispose Atkinson.“Lucas, devi cominciare a fidarti di qualcuno, non puoi

tenerti tutti quei segreti per te e sperare che noi si agisca alla cieca.” Disse Jork, sogghignando.

Atkinson si scrutò le mani per un momento, prima di parlare.

“Devi promettermi di non dirlo a nessuno, finché non sarà giunto il momento. Devi promettermelo, Jork. Molte cose dipendono dai segreti che io mi tengo dentro, come dici tu… forse non tutti sono veri, ma di sicuro molti di essi sono pericolosi.”

“Hai la mia parola, Lucas. Se non potrò aiutare i ragazzi in combattimento… almeno… sarò utile come messaggero a tempo debito.”

“E’ di cruciale importanza. Ti ringrazio molto, Jork.”“Non ti preoccupare. Piuttosto… pensi che ci rivedremo?

E cosa accadrà, una volta che avremo riunito le Reliquie?”

“Credo di non poter rispondere a queste domande… nessuno può dirlo. Almeno… nessun Uomo.”

***

Infine giunse la sera. Kyvenge e Vylisour erano tornati a Villa Atkinson con le ultime luci del giorno, avevano preparato le sacche con i loro vestiti, lucidato le armi, salutato Pokon e Noko (la partenza era prevista per l’indomani mattina presto, per perdere meno tempo possibile, e non volevano svegliarli per nulla) e si erano poi trovati nel cortile della Villa attorno ad una grande tavola di legno imbandita per l’occasione di ogni genere di vino e vivande procurabili in una città appena sfuggita all’invasione per cenare assieme a Jork, Nya e il Generale Atkinson. Come a dire, quindi, che non sembrava proprio di trovarsi ad una festa, e c’era peraltro un’atmosfera più pesante del solito, specialmente sui due padri del gruppo, Jork e Atkinson, i quali tuttavia non diedero a vedere alcunché di strano. Al termine della cena, i ragazzi si alzarono da tavola, salutarono e si avviarono verso le stanze da letto, ma Nya uscì all’esterno, nel cortile posteriore, e, lasciato solo con una strizzata d’occhio da Vylisour, Kyvenge decise di seguirla.

Era vero, Nya gli piaceva, gli era sempre piaciuta, fin dal loro primo, assurdo incontro, e, anche se il modo in cui ne aveva parlato con Vylisour non era proprio come avrebbe voluto discuterne con un amico, doveva ammettere che il ragazzo aveva ragione: gli restava poco tempo da passare da solo con lei, e non sapevano se e quante possibilità avrebbero avuto in seguito di stare insieme. Non aveva nemmeno la più pallida idea se fosse ricambiato o meno, ma a quello non osava pensarci…

Appoggiò la mano sulla maniglia della porta a vetri che dava sul cortile posteriore, dove si trovava l’arena di pietra che tante volte lo aveva visto sanguinare, cadere e rialzarsi. Magari non sempre in quest’ordine. Tuttavia, la ragazza non era lì.

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Kyvenge, deluso ma non per questo meno nervoso, fece il giro della casa, finché non vide la magra figura di Nya camminare sul sentiero che portava in città. La seguì, curioso di vedere dove stesse andando, tenendosi ad una certa distanza per non farsi notare, finché non furono arrivati alla strada che costeggiava la spiaggia. Nya si tolse le scarpe, che abbandonò lungo il muretto di pietra che divideva la sabbia dalla strada, e si incamminò tra le piccole dune grigie nella luce lunare, fermandosi solo quando fu arrivata sul bagnasciuga: qui si fermò, fece un profondo sospiro, e si sedette. Kyvenge si avvicinò silenziosamente a lei, ed era ormai a pochi passi dalla ragazza, soppesando quali parole usare per farle notare la propria presenza, cercando l’approccio migliore, quando, all’improvviso, la udì singhiozzare sommessamente. Kyvenge si fermò, terrorizzato all’idea di cosa avrebbe pensato Nya vedendosi scoperta a piangere lungo la riva del mare da uno che l’aveva seguita di soppiatto fin lì, mentre i singhiozzi di lei diventavano un pianto smorzato dalle braccia e dalle mani sul viso ma sempre più disperato. Era una scena davvero pietosa, e Kyvenge non ebbe la forza di voltare le spalle alla ragazza senza manifestare la propria presenza e tentare di rincuorarla, solo di rincuorarla, anche semplicemente con un braccio attorno alle spalle. Addio secondi fini… quella notte era destino che non accadesse nulla.

Kyvenge si avvicinò a Nya e le si sedette a fianco, mentre lei sobbalzava, sorpresa.

“Ciao, Nya…” disse Kyvenge, guardandola distrattamente come se si fosse appena accorto di essere lì, nel tono di voce più dolce che gli riuscì di trovare. “Scusami, non volevo spaventarti…”

“K-Kyvenge…! C-che cosa ci fai qui…?! D-da dove… da dove sei uscito?” chiese lei, coprendosi vergognosamente il volto.

Kyvenge tirò fuori un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e glielo porse.

“Tieni… credo che tu ne abbia bisogno.”

“Si… Grazie…” rispose Nya, accettando l’offerta e soffiandosi vigorosamente il naso, rosso come gli occhi per il pianto. Per qualche momento i due ragazzi rimasero in silenzio, seduti l’uno a fianco all’altra a guardare il mare sciabordare incessantemente ai loro piedi, senza prendersi la briga di sprecare scontate parole di conforto: Kyvenge capiva cosa turbasse lei, e lei capiva che tutto ciò che voleva offrirle lui era una spalla su cui piangere.

“Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere ad una scena così… scusami…” mormorò dopo qualche minuto Nya, senza avere il coraggio di guardarlo. Kyvenge le passò un braccio sulle spalle e la strinse a sé, carezzandole dolcemente il braccio.

“Non ti preoccupare, amica mia. Non bisogna vergognarsi delle giuste lacrime.”

“Sei… proprio un ragazzo strano, lo sai, Kyvenge?” disse Nya.

“Un ragazzo strano? Che vuoi dire?” chiese lui, sorpreso.

“Sì, strano… strano in senso buono, voglio dire” si corresse Nya. “Non capire male…” sospirò profondamente, calmandosi. Ora non piangeva più, ma aveva gli occhi rossi e gonfi. Tuttavia, splendevano, come se emettessero luce propria, ed erano ugualmente meravigliosi a vedersi, anche in quello stato.

“Tranquilla, so cosa vuoi dire… me l’hanno già detto in tanti che sono uno svitato.” ridacchiò Kyvenge.

“No, no… vedi che hai capito male? Non volevo dire quello. Intendevo che sei… incredibile. In senso buono. Da quando ci siamo incontrati, tu… non hai fatto che stupirmi. Sei corso incontro al mostro marino come un incosciente, consapevole del fatto che non avresti saputo cosa fare, ma… non sei stato capace di trattenerti, sentivi di dover fare qualcosa. E così è stato anche dopo, quando Atkinson ti ha rivelato dei tuoi poteri magici, e quando hai scelto di allenarti per restare qui a proteggere Losille, fino a lottare direttamente contro

Capitolo IX - La ricerca comincia

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Gaunor…”“Mi stai facendo troppi complimenti, non me li merito…

non sono veri…”“No, no, Kyvenge, è tutto vero, e te li meriti tutti, uno per

uno. A volte non capisco se tu sia troppo modesto o se davvero tu non ti renda conto delle tue qualità…” ribatté Nya. Kyvenge la guardò in silenzio, e lei, finalmente, sorrise. “Che tu ci creda o no, Kyv, io sono molto felice di averti incontrato. Credo anzi che tu abbia avuto maggiore influenza di quanto non sembri, su di me… non sarei la stessa persona, se non ci fossimo mai incontrati. Però… questa sera… la sera prima della nostra partenza da Losille… sentivo di dover venire qui… a rendere omaggio al mio passato.”

Kyvenge temeva di aver capito cosa lei stesse per dire, ma rimase comunque lì seduto accanto a lei, ad ascoltare.

“Quella notte… sulla barca… non ero sola, come forse ricorderai. C’eravamo io, la mia migliore amica Kyma… la figlia del locandiere, Livio… quello dove vi eravate fermati a mangiare la prima sera in cui siete arrivati qui tu e gli altri. Dicevo… c’eravamo io, Kyma… ed i nostri ragazzi. Entrambi sono morti, uccisi da quel mostro. Si erano gettati su di noi, per proteggerci, ed ora… non ci sono più.”

“Dov’è Kyma? E’ partita assieme a Livio?” chiese Kyvenge.

“Sì, è per questo che non l’avete ancora conosciuta. Loro si sono diretti alla Capitale prima che la Battaglia di Losille avesse luogo, per sicurezza. Forse la incontreremo di nuovo, quando anche noi ci dirigeremo verso Arkon…” rispose Nya, pensierosa.

“Mi… mi dispiace, per quello che hai sofferto, Nya… mi vergogno di non averti chiesto prima cosa fosse successo quella notte, ma… la battaglia… Gaunor…” si scusò Kyvenge.

“Non devi dirlo nemmeno, io mi ero chiusa nel mio dolore, all’inizio… non volevo parlarne con nessuno. Stamattina, quando l’ho raccontato ad Atkinson, ho capito che era ora di

lasciarmi tutto questo alle spalle… che la partenza da Losille significherà per me… e per tutti noi… l’inizio di qualcosa… e, ovviamente, la fine di qualcos’altro. Così, stasera… sono venuta a salutarlo.”Kyvenge tacque, senza ancora smettere di accarezzarle il braccio. Fissò le onde del mare, ma nemmeno loro gli suggerirono cosa dire, o fare. Era solo con la sua peggiore paura: deluderla.

“Forse.. è meglio che io vada allora…” disse Kyvenge, sciogliendosi dal mezzo abbraccio che li aveva legati negli ultimi minuti e facendo per alzarsi, ma lei lo fermò afferrandogli il polso.

“No… non andare via. Sono contenta che tu mi abbia seguita. Resta con me, se non ti dispiace.”

Kyvenge si risedette, sorpreso ma felice che lei gli avesse chiesto di rimanere.

“Domani… cambierà tutto, non è vero?” disse Nya.“No” rispose Kyvenge. “No, non proprio tutto.” aggiunse, abbracciandola.

***

A qualche decina di chilometri di distanza, nella tenda più grande di un imponente accampamento militare, sedeva Gaunor, il Re esiliato. Aveva da poco finito di cenare, era stanco e stressato dopo aver passato l’intera giornata a dare ordini ed a studiare i dintorni assieme ai suoi sottoposti, e ora non desiderava fare altro che dormire, ma, in realtà, sapeva che per lui non era ancora arrivata l’ora del riposo. Al contrario, il lavoro vero sarebbe iniziato di lì a poco.

Tornare tanto frettolosamente a Losille era stato molto pericoloso: da un lato, era stato fortunato a scoprire così presto di avere una parziale resistenza, dei rivali in grado di tenergli testa. D’altro canto, però, una sconfitta è sempre una sconfitta, e non è certo facile da digerire per nessuno… tantomeno per lui.

Aveva perso la sua fama di invincibilità. Non lo aveva

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certo ammesso di fronte al suo esercito, ma le voci avevano iniziato rapidamente a circolare come serpi invisibili, e solo la paura che i suoi uomini provavano anche solo nel vederlo passare lo avrebbero tenuto al sicuro da una difficile ma non del tutto improbabile rivolta.

Gaunor, all’improvviso, vide formarsi nella sua mente l’immagine del Generale Atkinson, suo amico d’un tempo ed ora suo più temibile avversario. Vibrò pesantemente un pugno sul tavolino di legno davanti a sé, fremendo di rabbia nel ricordare come il suo piano originale fosse andato miseramente a rotoli. Tuttavia, rifletté, questo gli aveva consentito di fare una scoperta stupefacente… anzi, diverse scoperte… ma, per essere davvero certo di ciò che aveva in mente, avrebbe dovuto prima ascoltare il rapporto del suo servo più fidato.

“Caporale!” chiamò forte Gaunor, rivolgendosi all’uomo di guardia all’esterno della sua tenda.

“Ai vostri ordini, maestà.” rispose prontamente una voce lenta ma decisa.

“Mandate a chiamare Rakanarth. Dovrebbe trovarsi nella sua tenda, in questo momento. Ditegli che ho immediatamente bisogno di lui, e di raggiungermi qui.” ordinò imperiosamente Gaunor.

“Sarà presto fatto, maestà.” disse ossequiosamente il caporale, allontanandosi a passi svelti sul terriccio di montagna.

Nell’attesa, però, un’altra immagine si formò nella mente del tenebroso comandante delle truppe di Numar… il querulo ragazzino che aveva osato due volte affrontarlo, ed al quale era stato costretto a lasciare il Cuore degli Elementi. Il Cuore della Terra, come aveva scoperto poco dopo, quando, affrontandosi, il giovane aveva stretto il proprio legame con la Reliquia, e l’aveva sfruttato, forse inconsciamente, contro di lui… non era stato capace di approfondire più di tanto il contatto con il Cuore, questo era vero, ma lui, Gaunor, non poteva sottovalutare la pericolosità di quel ragazzo armato anche di uno solo dei

Cuori.Kyvenge, da solo, avrebbe potuto rivelarsi un’autentica

spina del fianco: un solo individuo più pericoloso di un intero esercito. Anche Gaunor lo era, in effetti, ma per ragioni diverse da quelle di Kyvenge. Lui era cresciuto da solo, facendosi forza senza mai avere bisogno di nessuno, fino a diventare giovanissimo Generale dei Cavalieri di Nauros, abilissimo combattente ed infallibile stratega.

La debolezza del ragazzo, invece, erano i suoi numerosi affetti.

Un angolo dell’ingresso della tenda si incurvò verso l’interno, illuminato tenuemente dalla luce della lampada ad olio.

“Rakanarth, servo vostro, maestà.” disse la voce rauca e lenta dell’assassino.

“Entra, mio fido, ti stavo aspettando. Ho delle domande da porti.” rispose Gaunor.

L’uomo si fece strada all’interno della tenda, raggiungendo con un paio di passi delle sue lunghe gambe il tavolino imbandito con i resti della cena del suo comandante. Evidentemente conosceva bene l’ambiente. Indossava ancora lo stesso mantello verde scuro con cappuccio che portava durante la Battaglia di Losille, avvenuta giorni prima: faceva probabilmente parte del suo abitudinario modo di vestirsi.

“Chiedete, maestà, e vi dirò ogni cosa.”“Ne sono certo. Ma siediti, Rakanarth.” lo invitò

gentilmente Gaunor, senza tuttavia abbandonare il proprio glaciale tono di voce, indicandogli una sedia di legno logora e scheggiata di fronte a sé.

Rakanarth accolse silenziosamente l’invito, e si sedette. Tuttavia, non scoprì il proprio volto.

“Che ti succede? Temi che ci siano spie tra i Numariani?” chiese Gaunor.

“Perdonate, maestà, ma non sono sopravvissuto tanto a lungo senza mantenere costantemente un basso profilo ed una

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mente ben sveglia. Mi aspetto costantemente che ci sia qualcuno in grado di minacciarmi, e, così facendo, molto raramente vengo preso alla sprovvista.” spiegò l’uomo incappucciato.

“Esattamente quello che mi aspettavo da te. Ma ora, veniamo al motivo per cui ti ho fatto chiamare a quest’ora della sera… vorrei che tu mi raccontassi nel dettaglio cos’è accaduto quando hai attaccato il gruppo di Atkinson, al cimitero.” chiese lentamente Gaunor. Rakanarth non rispose subito.

“Non per essere irrispettoso, ma credevo di aver già raccontato ogni dettaglio, maestà.”

“Ho bisogno di riascoltare il tuo racconto. Sempre che per te non sia un problema…” disse Gaunor, la cui voce diventò sempre meno velatamente minacciosa ad ogni parola. Il suo viso era in ombra, a malapena illuminato dal tenue fuoco della lampada posta al di sopra del suo capo, ma Rakanarth poteva scorgerne gli occhi intensi e penetranti, come braci nere ancora attraversate da lingue di fuoco, pronte a riaccendere la fiamma.

L’uomo incappucciato parlò, senza omettere alcun dettaglio.

“Seguendo le indicazioni di vostra maestà, mi diressi velocemente al cimitero di Losille, al luogo dell’eterno riposo della Principessa. Voi mi avevate detto che lì avrei trovato una strana combriccola… il Generale Atkinson di Losille ed altri individui non appartenenti a nessun esercito, ma al seguito ed agli ordini diretti del Generale. Tra questi, ci sarebbe sicuramente stato un ragazzo, statura media, capelli lunghi castani, maglia verde e pantaloni beige, armato di spada ricurva in stile orientale. Il mio compito era individuare il membro del gruppo a cui il ragazzo potesse tenere maggiormente, ed eliminarlo. Probabilmente, il padre. Ricordo infatti le vostre parole: ‘Il misterioso salvatore di Atkinson non parlava con l’accento di Losille, e doveva quindi essere arrivato qui da poco. Un ragazzo così giovane e col viso così scarsamente segnato dalle intemperie e dalla durezza della vita avrà sicuramente un padre che lo ha aiutato ad arrivare sin qui. Uccidilo.’ Così ho

fatto come mi avete ordinato, e poi sono sparito senza lasciare traccia, tornando al luogo di raduno delle truppe, fuori dalle mura di Losille.”

Gaunor annuì con un cupo suono gutturale.“Ho bisogno di qualche altro dettaglio. Come si è svolto,

esattamente, il vostro incontro? Come hai scoperto il tuo bersaglio?” chiese ancora il tenebroso comandante.

“Mi arrampicai sul tetto di un mausoleo lungo il fianco del gruppo, in modo da poterli osservare, non visto, durante il dialogo che ha avuto vostra maestà con il Generale Atkinson. In questo modo, anche senza aver mai visto gli uomini che lo accompagnavano, ho potuto desumerne l’identità ed i legami. Mi calai come un’ombra sui due ragazzi, Kyvenge e Vylisour, nel momento in cui questi ultimi avevano abbassato la guardia, per spaventarli e impedir loro di muoversi: lo spazio era ridotto ed i loro amici troppo vicini per tentare qualcosa di pericoloso come usare la Magia Elementale. Lanciai il primo dardo velenoso custodito nei miei proteggi - avambracci contro il ragazzo più prestante, amico di quello con i capelli lunghi, per distrarre il gruppo dal mio vero obiettivo… probabilmente avranno pensato di avermi trovato distratto, quando mi hanno attaccato subito dopo, mentre fissavo l’uomo sdraiato a terra dopo averlo infettato con il mio secondo dardo velenoso.” concluse Rakanarth. “Il terribile veleno dei Linika non lascia speranze, ed uccide in pochi minuti…

Gaunor unì le punte delle dita, dopo aver appoggiato i gomiti sul tavolo, e sembrò chiudersi in meditazione per qualche secondo.

“Dunque ora il ragazzo ha perso quello che probabilmente era il suo unico genitore rimasto in vita. Quali sono i legami con gli altri membri del gruppo?” chiese il comandante.

Rakanarth parve interdetto dalla domanda, ma rispose:“Da quel poco che ho potuto ascoltare, non so quanto

possano essere corrette le mie…”“Le tue percezioni ci hanno sempre guidato bene finora,

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Rakanarth. Dimmi pure ciò che senti, sarò poi io a valutare le tue parole.” lo interruppe Gaunor.

“Come ordinate, maestà. Ho avvertito un certo rapporto di sudditanza nei confronti del Generale Atkinson, che era evidentemente il loro capo nella misteriosa spedizione alla cimitero. L’uomo che ho ucciso era ovviamente il padre del ragazzo con i capelli lunghi, mentre l’altro individuo di mezza età era, se non erro, il genitore dell’altro ragazzo, quello con i capelli corti. Tra i due ragazzi credo esista un forte rapporto d’amicizia. Infine… la ragazza…”

Gaunor non si mosse, ma intrecciò le dita tra loro, tranne i pollici, uniti contro la sua alta fronte.

“’…C’era uno strano rapporto di sudditanza anche tra lei ed Atkinson, quindi dubito ne fosse la figlia.” continuò Rakanarth. “Allo stesso tempo, però, non ho ben compreso a chi potesse essere maggiormente legata. Certo non agli altri due uomini. Forse si trattava dell’amica o della compagna di uno dei ragazzi, ma, anche in questo caso, non ne ho la certezza. Sono solo le mie percezioni, come diceva poc’anzi vostra maestà.”

Gaunor si risedette con la schiena premuta contro la sedia di legno, tornando con il volto in luce. Pareva molto serio, risoluto, come se avesse preso coscienza di qualcosa, o se avesse improvvisamente deciso un’azione importante.

“Rakanarth, ho una nuova missione per te. Questa volta dovrai allontanarti di molto dal campo di Numar, e viaggiare in profondità nel territorio nemico.”

“Non sarà un problema.” disse l’uomo incappucciato, sorridendo leggermente. La sua voce poteva anche essere vagamente melodiosa, ma il suo scoprire i denti pareva più minaccioso che rassicurante, e per nulla gioioso.

“Noi abbiamo conquistato l’Arcipelago Occidentale ed i territori meridionali della Penisola di Nauros. A breve inizieremo la risalita verso la Capitale, situata nell’entroterra, molto più a nord della Penisola, nella regione dei grandi laghi. La tua strada, invece, ti condurrà a Nor, il Grande Porto sul

Mare di Nauros, dove si vocifera che sia conservato un oggetto leggendario.” Gaunor tacque, e fissò l’uomo di fronte a sé come se avesse potuto vederne gli occhi attraverso il cappuccio verde scuro. “Dovrai trovarlo, prenderlo e riportarlo a me, senza mai toccarlo a mani nude. Non ti è concesso fallire. Sono stato chiaro?”

Rakanarth annuì.“Cristallino, maestà.”“Non dovrai fallire.” ripeté Gaunor. “Ora puoi andare.”“Come desiderate. Vi auguro una buonanotte, maestà.”

disse Rakanarth, alzandosi in piedi e facendo un piccolo inchino, prima di girare sui tacchi ed uscire dalla tenda.

“Avete altri ordini, mio signore?” chiese la voce lenta del caporale, in piedi all’esterno, dopo che l’uomo incappucciato fu uscito.

“No, Ostrohm, riposo. Mantenete la guardia per la notte, io ho bisogno di riposo, adesso.” rispose freddamente Gaunor. Si alzò, spense la luce della lampada, e si preparò per la notte, riflettendo sulle parole di Rakanarth. A quanto pare, la pensavano allo stesso modo.

Avrebbe avuto ancora molto su cui riflettere, quella notte…

***

“Kyvenge! Sveglia! Stiamo per partire e tu stai ancora poltrendo!” gridò una voce bassa e vagamente gracchiante. Il suo fastidioso migliore amico.

“Vyl, quando smetterai di riportare bruscamente alla realtà gli amici che stanno facendo bei sogni?” biascicò Kyvenge, stiracchiandosi nel letto di Villa Atkinson, fortunatamente sfuggito all’incendio scoppiato durante la battaglia.

“Quando i miei amici impareranno a svegliarsi presto se c’è qualcosa da fare la mattina. Avanti, tirati su! Sul carretto avrai tutto il tempo che vorrai per poltrire, il primo turno alle redini lo

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faccio io…” lo rincuorò Vylisour, tirandogli via violentemente il lenzuolo di dosso, lasciando Kyvenge in mutande a stiracchiarsi sul materasso.

“E va bene, va bene, sto arrivando…”“Non ti ho ancora visto scattare come un grillo.”“Il grillo potrebbe friggerti con la Magia Elementale, lo

sai, vero?” lo minacciò Kyvenge, sorridendo.“Il grillo rischierebbe di vedersi staccata la testa dal

collo ancora prima di stendere il braccio per fulminarmi.” lo rimbeccò Vylisour, gettando un mucchio di vestiti addosso all’amico. Kyvenge si infilò rapidamente maglietta e pantaloni, e si stava infilando gli stivali quando una terza persona entrò nella stanza.

“Non abbiamo ancora avuto il tempo di salutarci per bene. Buongiorno, ragazzi.” Era il Generale Atkinson, già vestito di tutto punto, il quale tese la mano a Vylisour, facendo un paio di passi nella sua direzione: il ragazzo rispose facendo prima il saluto militare, e poi tendendo la mano all’uomo che gli aveva insegnato così tanto.

“E’ stato un grande onore per noi, Generale.” disse Vylisour.

“Ti ho già detto di darmi del tu, ragazzo…” lo ammonì Atkinson.

“Le abitudini sono dure a morire.” replicò Vylisour.“Spero di rivederti presto, Lucas.” disse Kyvenge, il

quale aveva finito di vestirsi e si era alzato tendendo a sua volta la mano al Generale per salutarlo.

“Ecco, vedi?” disse Atkinson a Vylisour. “Dovresti essere un po’ più sciolto, di tanto in tanto.” L’uomo strinse calorosamente la mano al ragazzo, e, guardandolo intensamente, aggiunse:

“Credo di averti insegnato tutto quel che ho potuto, Kyvenge. Ora sta a te. Padroneggia la Magia Elementale, fa che essa diventi la tua maggiore protezione contro le creature di Kornoma, e tutto andrà bene. Non dimenticarti del Cuore,

però. Anch’esso fa parte della natura, e perciò dovrebbe essere possibile integrare i suoi poteri a quelli della Magia degli Elfi. D’ora in avanti sarai tu ad avere da insegnare agli altri, vista la posizione unica in cui sei venuto a trovarti.”

“Non credo di essere la persona migliore per fare tutto questo, Lucas, ma ci proverò. Devo innanzitutto imparare molto…” rispose Kyvenge, pensieroso.

“Ci riuscirai. Abbi fiducia nelle tue capacità.”“Creature di Kornoma?” interloquì Vylisour. “Credevo

che il nostro nemico più pericoloso fosse Gaunor…” Atkinson si voltò a guardare l’altro ragazzo, con un

sorriso mesto dipinto sul volto.“Temo che sulla vostra strada incontrerete molti altri

pericoli, Vylisour. Nauros è piena dei resti dell’esercito di Kornoma, che ha combattuto la Grande Guerra e ancora prospera nell’oscurità di grotte e foreste. Rifuggite l’oscurità! I servi di Kornoma temono la luce e la purezza, perché loro non ne sono fatti. Proteggete sempre il cuore, il vostro cuore, ancor prima che la Reliquia. Mi dispiace molto non potermi unire a voi in questo viaggio, ma purtroppo i miei doveri verso la città mi obbligano a restare a Losille…”

“Niente paura, Generale. Ci sono io a difendere tutti quanti!” esclamò Vylisour, dando una pacca sul braccio ad Atkinson. “Torneremo sani e salvi per festeggiare.”

Atkinson sorrise, ricambiando lo sguardo sincero e ottimista dei ragazzi.

“Lo spero tanto, Vylisour. Buon viaggio.”Girò sui tacchi ed uscì dalla stanza. Senza dire nulla,

Kyvenge e Vylisour raccolsero le borse con le proprie cose ed uscirono in cortile, dove trovarono ad aspettarli Pokon, Noko e Jork. I ragazzi salutarono il terzetto, lasciarono le sacche nel carro e si scambiarono strette di mani e saluti con il Comandante ed il lanciere.

“Dov’è Nya? Non è ancora pronta?” chiese Jork.“Non lo so, non l’abbiamo ancora vista…” rispose

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Kyvenge.“Và a chiamarla, Kyv. Se non si è ancora svegliata, puoi

sempre riempire una bacinella d’acqua gelata, e tirargliela addosso. Dopotutto, è estate…” propose maliziosamente Vylisour. Kyvenge gli fece un gestaccio, si allontanò ed entrò in casa, mentre Vylisour ridacchiava e gli altri tre lo fissavano incuriositi.

Passare dall’aria già calda del cortile a quella fresca e ombrosa dell’interno della Villa era un piacere che gli sarebbe mancato molto, in viaggio. Kyvenge fece rapidamente la strada che lo conduceva verso la cucina, ma Nya non c’era; tornò allora indietro, nel salone, e salì le scale che conducevano al piano superiore. La trovò in camera sua, in piedi vicino alla piccola finestra telata per non far passare gli insetti che dava sul cortile, dove il carro ed i suoi compagni di viaggio li stavano aspettando.

“Nya! Eccoti, finalmente… sei pronta? Dobbiamo partire, sono tutti giù…” disse Kyvenge, entrando.

“Ciao, Kyvenge… buongiorno…” disse lei, voltandosi a salutarlo. Aveva ancora gli occhi un po’ rossi e umidi. Proprio l’ultima cosa che Kyvenge avrebbe voluto, ma la prima che si sarebbe aspettato.

“Ehi, sei ancora di malumore? Coraggio… vedrai che non sarà così male come sembra… e faremo il culo quanto prima a Gaunor, quel grandissimo pezzo di…”

“Abbracciami, ti prego.” disse Nya, tendendo le braccia tremanti verso di lui. Kyvenge smise di insultare il suo nemico, interdetto e imbarazzato, ma l’amica sembrava avere ancora un gran bisogno di essere consolata. Si avvicinò a lei, e la strinse fra le braccia, accarezzandole la schiena, confortandola.

“Che cos’hai, Nya? Ti dispiace partire? Non sei costretta, lo sai… è solo che… crediamo tutti che sia più sicuro così…” disse Kyvenge a bassa voce.

“No, no, non è questo… lascia stare… scusami…” rispose Nya, sciogliendosi improvvisamente dall’abbraccio del ragazzo

e allontanandosi da lui. “Mi aiuti a portare giù le borse…?” Kyvenge sorrise, impacciato e imbarazzato.“Sì, certo… vieni… scendiamo.”Pochi minuti dopo, tutto fu pronto. I bagagli di tutti

erano stati sistemati sul retro del carro, coperto da un telo beige che li avrebbe riparati anche dalla pioggia. Non sapevano quanto sarebbe potuto durare il loro viaggio, e avrebbero dovuto aspettarsi ogni genere di condizioni atmosferiche, così avevano deciso di partire forniti di un po’ di tutto, per evitare troppe sorprese lungo la strada. Il sentiero più immediato era quasi ovvio: prima tappa, Jule Bay, la città più grande tra quelle vicine, dove poter fare rifornimento di cibo e, forse, incontrare alcuni dei profughi per dire loro che Losille era sopravvissuta all’attacco dei Numariani. Poi, il Grande Porto di Nor, la più grande città che si affacciava sul Mare di Nauros, a nord-est, nel golfo tra la Penisola e il continente. Lì, secondo le fonti di Atkinson, si trovava anticamente il Tempio dell’Acqua costruito dagli Elfi, dove avrebbero potuto trovare un altro Cuore degli Elementi.

“Pokon, Noko… è stato un piacere. Speriamo di rivederci presto… in condizioni più piacevoli.” disse Jork, dal retro del carro, salutando i due amici. Entrambi risposero con il saluto militare, a cui Noko aggiunse anche un gran sorriso incoraggiante.

“Stateci bene! E, mi raccomando… scrivete quando arrivate!”

“Noko, sei proprio scemo.” disse Pokon, dando una manata al compare. I viaggiatori risero.

“Aprite il cancello!” ordinò Atkinson ai soldati nel cortile. Questi obbedirono, e Vylisour, che teneva le redini, fece partire piano i due cavalli che tiravano il carro. Kyvenge, che gli sedeva a fianco, si voltò per salutare un’ultima volta con la mano Pokon, Noko e il Generale Atkinson.

“Buon viaggio, e possa la luce di Onod risplendere sempre nei vostri occhi!” augurò loro Atkinson. Nya, dall’interno del

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carro, si sporse per salutare e disse:“Addio, e grazie di tutto!”Atkinson alzò lentamente la mano per salutare, mentre il

carretto si allontanava lentamente giù per il sentiero terroso che portava alla strada maestra.

“Addio… proteggete sempre il cuore.”

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Nota biografica

“Che cosa sta succedendo? Di chi era quel grido?” esclamò Nya, terrorizzata. Tremava, e sembrava faticasse a mantenersi in piedi. Kyvenge la afferrò con un braccio sui fianchi, stringendola a se mentre con l’arto libero proiettava intorno a loro due e Vylisour lo scudo magico fatto di fulmini, ordinandogli di seguirlo. Noko si accodò a loro, la naginata stretta in pugno, mentre una nuova selva di frecce li attaccava dall’alto, invisibili portatrici di morte.

Alessio De Matteo nasce il 2 agosto 1988 a Monza, da genitori napoletani trasferiti lì per lavoro ma conosciutisi a Roseto degli Abruzzi, dove di lì a poco la neonata famigliola si trasferirà per sopravvivere all’afa assassina della pianura padana. Avendo trascorso ogni estate della propria vita in Abruzzo fin da quando aveva appena sette giorni di vita, era quasi inevitabile che gli rimanesse qualcosa impresso nel cervello (o qualunque sia la materia X che riempie completamente la scatola cranica del ragazzo, dato che, al tocco, non rimbomba: piena è piena, solo che ancora non si capisce bene di cosa). Inoltre il fritto misto di regioni, città e dialetti che incontrerà fin dai primi anni della sua vita lo predisporrà ad un discreto talento imitativo, qualità inutile ma da segnalare. Già ai tempi dell’asilo il Nostro manifesta un’indomita volontà di riempire fogli bianchi con pastelli a cera, penne, pezzetti di cartoncino e ditate di Nutella: attitutini, queste, che non si spengono nonostante l’età adulta. Tranne l’ultima. Non si spreca MAI la Nutella. Nello stesso periodo, la serie animata di metà anni ‘90 Batman introduce il piccolo Alessio al meraviglioso mondo dei supereroi, attratto particolarmente dalle qualità con toni di nero molto pesanti e dalle indagini lente e riflessive di un eroe privo di poteri magici ma dotato di grande inventiva e gadget in quantità. Infine, all’incirca quell’estate, il primo incontro con flipper, coin’op di Metal Slug e Puzzle Bobble, ed infine la prima partita a Super Mario Bros. sul NES dei cuginetti: l’imprinting ormai era compiuto, formando la base di ogni successiva passione del disgraziato. Ma all’epoca delle scuole elementari il desiderio di disegnare era ancora fortissimo, ed il percorso supereroistico appena cominciato: passando per la serie animata Darkwing Duck, e già accanito lettore di fumetti Disney (tra i quali apprezza soprattutto le storie disegnate da Giovan Battista Carpi, Romano Scarpa e Giorgio Cavazzano), accade l’irreparabile quando, una sera, la madre gli compra, oltre al Topolino settimanale, il numero due di una giovane serie che stava sconvolgendo il panorama fumettistico nazionale: PKNA - Paperinik New Adventures. É l’inizio della fine. Non solo per i poveri alberi che continueranno a diventare quaderni su quaderni da riempire di scarabocchi infantili a forma di fumetti - contorno delle avventure mensili del papero mascherato -, ma anche per la già labile psiche del bambino, il quale, affascinato a colpito dai disegni (dominati dal tratto raffinato e sinuoso del giovane Claudio Sciarrone) e dalle trame, paurose e complicate per la sua età, dominate da alieni succhiaemozioni, paradossi temporali e complotti criminali in chiave Disney. Nel frattempo, gli anni passano, ed alle scuole medie inizia finalmente il cammino interiore: l’assidua produzione di brevi strip quotidiane con protagonisti i “personaggi” della classe portano ad un primo progetto personale, un fumetto basato su quegli stessi personaggi, prima realistico ma pervaso di umorismo demenziale ispirato ad Aldo, Giovanni e Giacomo ed Elio e le storie tese, e poi fantascientifico. Man mano che il progetto si ingrandisce diventando una complicata avventura spaziale però (complice il ritorno al cinema di Star Wars nel 1999), il piccolo autore si rende conto di stare solo diluendo un brodo di base fin troppo ristretto, apprezzabile solo da lui e dai suoi amici dell’epoca. In piena crisi creativa, l’estate del 2004 pone le basi di quello che sarebbe poi diventato, il 30 ottobre dello stesso anno, il primo mucchio di bozzetti e appunti destinati a forgiare Nauros. Nel frattempo, la scuola superiore non fa altro che ampliarne gli interessi, portandolo dal fumetto Disney al manga (stile che influenzerà molto tutta la sua produzione successiva, mentre il disegno occidentale ed italiano non lo appassionerà mai più di tanto), dalla fotografia al video, permettendogli di sperimentare notevolmente diverse tecniche e strumenti. Nel 2006 incontra il gruppo di appassionati di GamesCollection, il più grande sito web italiano dedicato alla raccolta e archiviazione di videogiochi, e nel 2007 si diploma all’Istituto Statale d’Arte (ISA) di Monza con una tesi proprio sui videogiochi, nuovo, eccitante medium capace per la prima volta di raccontare storie interattive - da sempre grande passione di Alessio. Nel 2008 pubblica in autoproduzione Nauros facendoselo stampare negli USA e tenta, senza successo, di ottenere un riscontro da tutti gli editori italiani. Tuttavia, la promozione del libro su internet dà i suoi frutti permettendo ad Alessio di incontrare - prima virtualmente, e poi fisicamente - una ragazza speciale, che di lì a poco diventerà la sua compagna di avventure e di vita nelle tante passioni che li

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accomunano. Accantonato il romanzo, si dedica ad una fiorente scrittura di recensioni e articoli di vario genere per Gamescollection, e dal 2010 lavora stabilmente come commesso e grafico presso Games Bond, catena italiana di distribuzione e vendita al dettaglio di videogiochi e giocattoli. Nel 2011 riprende seriamente il lavoro su Nauros, e nel 2012 pubblica questa Prima Parte, ripromettendosi di concludere l’intero remake quanto prima. Edizioni italiane

“Che cosa sta succedendo? Di chi era quel grido?” esclamò Nya, terrorizzata. Tremava, e sembrava faticasse a mantenersi in piedi. Kyvenge la afferrò con un braccio sui fianchi, stringendola a se mentre con l’arto libero proiettava intorno a loro due e Vylisour lo scudo magico fatto di fulmini, ordinandogli di seguirlo. Noko si accodò a loro, la naginata stretta in pugno, mentre una nuova selva di frecce li attaccava dall’alto, invisibili portatrici di morte.

Nauros (versione 2008), volume unico - pubblicato in autoproduzione tramite Lulu.com Nauros (versione 2011) Parte Prima - pubblicato gratuitamente su internet Nauros (versione 2011) Parte Seconda - in lavorazione Nauros (versione 2011) Parte Terza - in lavorazione

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Indice

“Che cosa sta succedendo? Di chi era quel grido?” esclamò Nya, terrorizzata. Tremava, e sembrava faticasse a mantenersi in piedi. Kyvenge la afferrò con un braccio sui fianchi, stringendola a se mentre con l’arto libero proiettava intorno a loro due e Vylisour lo scudo magico fatto di fulmini, ordinandogli di seguirlo. Noko si accodò a loro, la naginata stretta in pugno, mentre una nuova selva di frecce li attaccava dall’alto, invisibili portatrici di morte.

Introduzione ................................................................................. pag. 5 Capitolo I ................................................................................ pag. 8 Capitolo II ..................................................................................... pag. 22 Capitolo III ................................................................................... pag. 37 Capitolo IV ................................................................................... pag. 50 Capitolo V ..................................................................................... pag. 62 Capitolo VI .................................................................................... pag. 75 Capitolo VII ................................................................................. pag. 86 Capitolo VIII ................................................................................ pag. 99 Capitolo IX .................................................................................. pag. 108 Nota biografica ............................................................................ pag. 120 Edizioni italiane .......................................................................... pag. 121

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Editing finale nel mese di marzo 2012A cura di Alessio De Matteo

Made in Italy