Natura umana, persona, libertà - sabetta.it · 63 venzionalistica ed utilitaristica della società...

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Natura umana, persona, libertà Prospettive di antropologia filosofica ed orientamenti etico-politici A cura di TOMMASO VALENTINI ANDREA VELARDI LIBRERIA EDITRICE VATICANA

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Natura umana,persona, libert

Prospettive di antropologiafilosofica ed orientamenti

etico-politici

A cura diTOMMASO VALENTINI

ANDREA VELARDI

LIBRERIA EDITRICE VATICANA

Copyright 2015 Libreria Editrice Vaticana 00120 Citt del VaticanoTel. 06.698.81032 Fax 06.698.84716

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CI CHE RENDE LUOMO PERSONA.DALLERRAMENTO FERINO

ALLA RICOSTITUZIONE DELLHUMANITASNELLA SCIENZA NUOVA DI G. VICO

Antonio Sabetta

1. La scienza della storia (scienza nuova) nellorizzontedel principio del verum-factum

Se c un aspetto del pensiero di Vico che raccoglie unconsenso pressoch unanime nel ginepraio del conflitto delleinterpretazioni che ha accompagnato (nel passato come nelpresente) la lettura della sua prospettiva filosofica, questo ilfatto che il filosofo napoletano per primo nella modernit haindagato il senso della storia umana dando proprio alla storiala forma conoscitiva della scienza (la scienza nuova) che tuttinegavano non potendo darsi scienza de singularibus. E invecein Vico le uniche cose che luomo pu conoscere scientifi-camente (non certo le sole che pu conoscere) sono quelleche egli fa, conformemente al principio basilare dellepiste-mologia vichiana secondo cui verum et factum convertuntur,

ANTONIO SABETTA, Docente di Metodologia e Teologia Fondamentale pressola Pontificia Universit Lateranense e presso la LUMSA; docente di In-troduzione alla Teologia presso lISSR Ecclesia Mater di Roma di cui anche Preside.

verum est ipsum factum. Poich il verum allo stesso tempoil contenuto della conoscenza, si d autentica e completa co-noscenza solo nella misura in cui il vero conosciuto con-temporaneamente il fatto; detto altrimenti: si d conoscenzachiara e perfetta solo di ci nei confronti di cui il soggettoconoscente ha un rapporto poietico; egli, infatti, in tanto co-nosce in quanto fa.

Nel percorso vichiano, per, il carattere di scienza per ec-cellenza si estende alla storia che certamente fatta (anche)dagli uomini ed proprio questa origine umana della storiache la rende perfettamente conoscibile. Allo stesso tempo ladifesa del carattere pienamente umano della storia, rappre-senta il guadagno di quei principi universali ed eterni su cuicostruire un sapere autentico. Inoltre, in quanto la conoscenzadella storia realmente scientifica in forza del principio delverum-factum, allora pu avere pretesa di validit il discorso suDio, cio una teologia non pi naturale (ovvero basata sullanatura) ma civile (cio basata sulla storia), a cui solo si pudare propriamente il nome di metafisica.

Il criterio della scienza il senso comune (insegnato dalladivina provvidenza) e cos essa scopre e descrive il disegnodi una storia ideale eterna (formula quasi ossimorica) soprala quale (cio avendo essa come fondamento e riferimentonormativo) scorrono nel tempo le storie di tutte le nazioni(cf 7 e 3931) in tutte le loro fasi inizi, progressi, stati, de-cadenze e fine (cf 349) , quasi a riecheggiare da un lato ilmotivo platonico del Timeo per cui il tempo unimmaginemobile delleternit, dallaltro la metafisica della partecipa-

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1 Per le citazioni della Scienza nuova ci riferiamo alledizione curata da Bat-tistini A. per Mondadori (VICO G., Opere, Mondadori, Milano 1990).

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zione in chiave di creazionismo, che scorge nella realt inquanto creata lesistenza di un ordine proprio, ordine al qualetanto i singoli quanto i popoli sono chiamati a conformarsiper preservare lhumanitas, ovvero la propria identit. Inoltrela scienza nuova una metafisica che meditando la comunenatura delle nazioni alla luce della provvidenza divina stabili-sce un sistema del diritto naturale delle genti che procede se-condo lo schema di tre et; infine essa espone i principi dellastoria universale ( 399).

2. Luomo come essere naturalmente sociabile

Se ci soffermiamo un attimo sulle Degnit che sono comedefinizioni-assiomi nella Scienza Nuova, una sorta di precipitatodelle analisi che seguiranno nellopera, tra le altre cose emergeil dato antropologico di un uomo non ingiusto per natura as-solutamente ( CIV) ma debole per la sua natura decaduta. Inquanto il peccato non ha distrutto la capacit di fare del bene cio il libero arbitrio la natura umana non stata ontologi-camente cancellata e perci luomo non ha perso quella pro-priet essenziale che lessere socievole, il che gli ha permessopassare da una condizione di erramento ferino, determinata dalpeccato, ad una sorta di ritorno allhumanitas e allincivilimento.

Sulluomo come essere naturalmente socialis, non il luogodi una solitudine radicale ma di una costitutiva apertura allal-tro, Vico aveva insistito nel De uno. In particolare nelluomola corporeit, che negli altri esseri, in quanto principio di fini-tezza, divide e separa, diventa, attraverso il linguaggio (sermo),lo strumento della comunicazione, il cui contenuto rappre-sentato dalle communes veri aeterni notiones, le verit eterne uni-

versali che conoscitivamente esprimono lordo rerum aeternus.Luniversalit del vero, cui gli uomini pervengono mediantela ragione, costituisce il fondamento ultimo della natura so-cievole, perch comunicativa, dellessere umano; socievolezzamediata dalla corporeit che cos si rivela distinta in s dallacorporeit ferina, la quale incapace di condivisione; infatti,dice Vico con una bella espressione, luomo ha il volto mentrele bestie hanno la faccia2; e cos, mediante il volto, egli pupervenire alla condivisione con il suo simile, poich nel mo-mento in cui comunica in grado di palesare nellespressionedel volto una sorta di umana commiserazione (misereri).

Come la giustizia procede dalla ragione, in quanto lesitodi una ragione che utilitates dirigit et exaequat3, cos la comuni-cazione, in quanto concerne tutto ci che riguarda la ragione,diventa il luogo ad communicandas utilitates ex vero et ratione4, etende quindi alla realizzazione dellequit come utile pareg-giato. Il procedere vichiano diventa quasi sillogistico: Dun-que (igitur) luomo destinato dalla natura a comunicare coglialtri uomini le utilit, seguitando le regole determinate dal-lequit; la societ la comunanza delle utilit; lequit il di-ritto della natura; dunque luomo naturalmente sociabile5.

Mi sembra sia da sottolineare con particolare attenzioneil modo in cui Vico fonda il carattere sociale dellessereumano, perch da esso scaturisce tutta la sua riflessione giu-ridica e si comprende la sua opposizione ad una visione con-

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2 Atqui homo non solum ratione et sermone, sed vultu quoque a brutisanimantibus differt (bestiae enim facient habent, vultum non habent) (De unoXLV, 2).

3 De uno XLIII.4 De uno XLV, 2.5 De uno XLV, 2.

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venzionalistica ed utilitaristica della societ esemplificata daHobbes. La fondazione della natura socialis delluomo (ricon-dotta essenzialmente allevento comunicativo della verit) metafisica; perch vi sia societ, gli uomini devono poter co-municare al di l delle loro particolarit differenzianti.

Emerge qui la centralit della categoria di ordine comequellidea che posta da Dio nelluomo lorigine tanto dellaconoscenza di ogni realt quanto dei principi delle scienze; epoich lordine naturale lanima di qualsiasi governo civile(ordo naturalis est mens reipublicae, leges sunt lingua6), ul-timamente la societ umana ha il suo fondamento nella rela-zione metafisica con Dio da cui, in definitiva, transitivamente,derivano tutti i governi7, tanto che alla decadenza o al venirmeno del rispetto dellordine naturale (ubi deficit ordo naturalis)corrisponde sempre la corruzione della respublica8.

A partire da questa chiara fondazione metafisica della socialitumana (che determina quindi anche il concreto strutturarsi delleforme di organizzazione sociale), si comprende la polemica diVico e il rifiuto della concezione giusnaturalistica dello stato dinatura, giudicata falsa perch, in definitiva, utilitarista. In unaprospettiva hobbesiana (e giusnaturalistica) la societ rimaneuno sbocco non naturale ma una necessit a cui luomo siadegua soltanto per le garanzie di tutela che essa pu offrire nelcalcolo delle utilit, senza quindi nessun riferimento al suoessere naturalmente la modalit del vivere umano che si costituiscein forza e come luogo della comunicazione nella verit.

6 De uno CLIII, 203.7 Cf. De uno, CLII, 1 (199). 8 Cf. De uno CLIII, 2 (205).

3. I princpi costitutivi dello stato civile secondoil senso comune: religione, matrimoni, sepolture

Ora, tornando alla Scienza nuova, Vico con realismo ci ri-corda che lumano arbitrio di sua natura incertissimo neces-sita di essere sostenuto, ma non potendo contare sulla filosofia,poich essa non pu fruttare cha pochissimi, che voglionovivere nella repubblica di Platone, non rovesciarsi nella fecciadi Romolo9, la provvidenza si serve del senso comune. NellaDegnit XII, Vico definisce il senso comune il giudizio sen-zalcuna riflessione, comunemente sentito da tutto un ordine,da tutto un popolo, da tutta una nazione o da tutto il generumano ( 142). Nella degnit immediatamente prima il sensocomune viene presentato come il criterio con cui il libero ar-bitrio oltrepassa la sua naturale e profonda incertezza, giun-gendo cos allaccertamento e alla determinazione circa lenecessit e le utilit, una sorta di mediazione tra la indeter-minata disposizione della libert al giusto e la articolata rego-lazione giuridica dellutile10. Questa nozione, cos centrale inVico, non pu essere confusa n con il piatto buon senso, ncon una sorta di senso volgare privo di valore conoscitivo, ma,evidentemente, ha un valore peculiare e una dignit centrale.

Quali sono, allora, i contenuti dettati da un comun sensoumano11, i princpi universali ed eterni sopra i quali tutte vis-sero e tutte vi si conservano le nazioni perch essi sono al-lorigine dello stato civile (non pi ferino)?

Il dato che emerge, condiviso da tutte le nazioni, barbare

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9 Degnit VI, 131.10 BATTISTINI A., in VICO G., Opere, op. cit., p. 392.11 Cf. SNII, 123, espressione soppressa in SN, 333.

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o umane, ovunque e sempre, qualunque sia la loro origine efondazione (in forza del principio stabilito nella degnit 13secondo il quale il principio delluniformit criterio di verit), lesistenza di tre costumi umani, come principi eterni ed uni-versali: religioni, matrimoni (solenni), sepolture. Leggiamo nel 333: Osserviamo tutte le nazioni cos barbare come umane,quantunque, per immensi spazi di luoghi e tempi tra loro lon-tane, divisamente fondate, custodire questi tre umani costumi:che tutte hanno qualche religione, tutte contraggono matri-moni solenni, tutte seppelliscono i loro morti; n tra nazioni,quantunque selvagge e crude, si celebrano azioni umane conpi ricercate cerimonie e pi consagrate solennit che reli-gioni, matrimoni e sepolture. Non solo da queste tre istitu-zioni nacque lumanit ma esse si devono santissimamentecustodire perch il mondo non sinfierisca (cio non torniad essere popolato di fiere) e si rinselvi di nuovo.

Anzitutto la religione alla base della nascita della societ, il fattore che permette il passaggio dalla condizione ferinaa quella umana, come stabilito dalla degnit 31: Ove i popolison infieriti con le armi, talch non vi abbiano pi luogolumane leggi, lunico potente mezzo di ridurgli la religione( 177). Questo dato essenziale rivela lerrore di Hobbes, chenega la provvidenza e riduce la nascita della societ a un con-tratto sociale e volontario per arginare la violenza, come purelinfondatezza della posizione di Polibio per il quale se ci fos-sero i filosofi non ci sarebbero religioni dal momento che, es-sendo la religione sostanzialmente superstizione, uno stato disapienti la renderebbe inutile. Poich, invece, non ci sarebberostate al mondo nazioni se non ci fossero state religioni, hatorto anche Bayle, secondo il quale i popoli possono viverecon giustizia senza Dio (lidea di una societ degli atei).

Il secondo principio umanizzatore rappresentato daimatrimoni celebrati solennemente; dove non esistono matri-moni ma concubiti vi peccato di bestia e tutte le nazioninaturalmente li aborriscono perch essi appartengono allin-fame del mondo eslege ( 336)12.

Infine le sepolture; proprio dello stato ferino lasciare i ca-daveri insepolti come cibo di corvi e cani: Finalmente, quantogran principio dellumanit sieno le seppolture, simmagini unostato ferino nel quale restino inseppolti i cadaveri umani soprala terra ad esser sca de corvi e cani; ch certamente con que-sto bestiale costume dee andar di concerto quello desser in-colti i campi nonch disabitate le citt, e che gli uomini a guisadi porci anderebbono a mangiar le ghiande, clte dentro il mar-ciume de loro morti congionti ( 337). Viceversa le nazionigentili, come le antiche barbare, hanno creduto che le animeerrassero inquiete vagando attorno ai corpi non sepolti, affer-mando cos anche limmortalit dellanima. Nella sezione IVdel libro I (Iconomica poetica) Vico ricorda come i gigantipii, dislocati sui monti pi alti, a differenza dei giganti empidispersi per le pianure, che lasciavano che i cadaveri si decom-ponessero senza ricevere sepoltura, dovettero risentirsi delputore che davano i cadaveri de lor trapassati, che marcivanoloro da presso sopra la terra; onde si diedero a seppellirgli [], e sparsero i sepolcri di tanta religione, o sia divino spavento,che religiosa loca per eccellenza restaron detti a latini i luoghi

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12 Loppenione poi chi concubiti, certi di fatto, duomini liberi con fem-mine libere senza solennit di matrimoni non contengano niuna naturale ma-lizia, ella da tutte le nazioni del mondo ripresa di falso con essi costumi umani,co quali tutte religiosamente celebrano i matrimoni e con essi diffiniscono che,n grado bench rimesso, sia tal peccato di bestia ( 336).

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ove fussero de sepolcri ( 529); e da qui inizi la credenzauniversale nellimmortalit delle anime chiamate dii manes.

4. Tra erramento ferino e ricostituzione dellhumanitas:la nozione di Dio e il passaggio dalla libertsfrenata alla libert ordinata

Se dunque la Scienza nuova la storia ideale eterna sopra laquale si svolge, come su un ordito, la storia di tutte le nazioni(cf 393), quali sono allora i momenti di questa storia idealecos come la desumiamo dalla testimonianza della storia con-creta dei popoli?

La distinzione fondamentale adottata da Vico tra un pe-riodo in cui gli uomini hanno conosciuto lerramento ferino, inquanto hanno vissuto eslege, e il periodo dellhumanitas, del-lincivilimento; lo spartiacque, come si visto, rappresentatoda quelle tre istituzioni costitutive del sorgere e del permaneredi ogni societ: religioni, matrimoni solenni e sepolture. Se-guendo la suggestiva e geniale etimologia vichiana, essa umanitebbe incominciamento dallhumare, seppellire []; onde gliateniesi, che furono gli umanissimi di tutte le nazioni, al riferiredi Cicerone, furono i primi a seppellire i morti ( 537)13.

13 Cf. anche un passaggio della spiegazione della dipintura: La seconda dellecose umane, per la quale a latini, da humando, seppellire, prima e propia-mente vien detta humanitas, sono le seppolture, le quali sono rappresentateda unurna ceneraria, riposta in disparte dentro le selve, la qual addita le sep-polture essersi ritruovate fin dal tempo che lumana generazione mangiavapoma lestate, ghiande linverno. Ed nellurna iscritto D. M., che vuol dire:Allanime buone de seppelliti; il qual motto divisa il comun consentimentodi tutto il gener umano in quel placito, dimostrato vero poi da Platone, che leanime umane non muoiano co loro corpi, ma che sieno immortali ( 12).

Ora, secondo lordine delle cose, si distinguono tre et:precisamente let degli dei (o tempo oscuro secondo la clas-sificazione di Varrone) nella quale gli uomini gentili credet-tero vivere sotto divini governi, e ogni cosa esser lorcomandata con gli auspici e con gli oracoli, la cui lingua fuquella geroglifica, cio sacra e muta; quindi let degli eroi (otempo favoloso) nella quale dappertutto essi regnarono inrepubbliche aristocratiche, per una certa da essi riputata dif-ferenza di superior natura a quella de lor plebei, la cui linguafu quella eroica, cio simbolica, fatta di metafore e similitu-dini; infine let degli uomini (o tempo storico), nella qualetutti si riconobbero esser uguali in natura umana, e perci visi celebrarono prima le repubbliche popolari e finalmente lemonarchie, la cui lingua fu quella pistolare o volgare fattadi segni convenzionali per comunicare i comuni bisogni dellavita14.

Quanto ai luoghi di queste et, selve e tuguri furono propridella prima, villaggi e citt della seconda e laccademia dellaterza. E poich gli uomini prima sentono il necessario, dipoibadano allutile, appresso avvertiscono il comodo, di pi in-nanzi si dilettano del piacere, quindi si dissolvono nel lusso,e finalmente impazzano in istrapazzar le sostanze15, la naturadei popoli (e il corso delle nazioni che ne deriva) primacruda (sorgimenti), poi severa (progressi), quindi benigna(stati) e delicata (monarchie), infine dissoluta (fine)16.

Da dove derivano e quando nascono, dunque, le nazioni?Gli autori dellumanit gentilesca sono discendenti delle

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14 Cf. Degnit 28 ( 173).15 Degnit 66-67, 241-242.16 Cf. Degnit 68, 243.

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razze di Cam (prima), Giafet (dopo) e Sem (infine), i quali ri-nunciarono alla vera religione, quella del loro padre No, e,smarrendo listituzione del matrimonio e della societ, pro-strarono lumanit nellerramento ferino, durante il quale gliuomini vagavano senza stabile dimora per la terra, dove si nu-trivano di fiere, e inseguivano le donne selvagge, ritrose eschive. Il nomadismo (a cui si era costretti dalla continua ri-cerca di pascolo ed acqua) fece s che le madri abbandonas-sero i figli dopo lo svezzamento e questi dovettero cresceresenza udire voci, senza apprendere alcuna abitudine umana,costretti ad una condizione bestiale e ferina17.

Movimento, solitudine, disordine, caratterizzano il re-gresso animalesco delle nazioni dopo il diluvio. Anzitutto ildivagare senza direzione con nefario ferino errore ( 336),il campare fuggendo ( 1098), da empi vagabondi ( 56);poi la solitudine e lisolamento: raminghi e soli ( 62), las-senza di relazione che genera buio e oblio perch tali uomininon lasciavano niun nome di s nelle loro prosperit (717)18.

Dunque il dato da cui bisogna partire per ricostruire ecomprendere la storia umana, labbandono della religionevera, professata dal padre di tutte le genti, la quale sola pu,come ripete Vico, tenere uniti gli uomini in umana societ (cf 369). Smarrito Dio, luomo viene prostrato nello stato ferinoe cos la prima natura dei popoli fatta da crudi fierissimiuomini, immani e goffi quali Polifemi, menti singolaris-sime poco meno che di bestie (cf 191 e 703). Questa con-dizione, linfame nefas del mondo eslege (cf 80 e 336),

17 Cf. 369.18 Cf. CAPORALI R., La tenerezza e la barbarie, Liguori, Napoli 2006, pp. 99-101.

caratterizzata dalla sfrenata libert bestiale (cf 338) e dallacomunione delle donne e delle cose che distruggono il sin-golo, e quindi la societ, poich generano lanarchia sul pianosociale (cf 1102).

C dunque una libert da usare correttamente e c unalibert sfrenata, senza regole, che anzich aiutare luomo a co-struire se stesso lo allontana dalla sua autentica condizioneumana e civile. Vico definisce la vera libert il tener in frenoi moti della concupiscenza e dar loro altra direzione che, nonvenendo dal corpo, da cui vien la concupiscenza, devesseredella mente, e quindi proprio delluomo ( 1098); in altre pa-role la libert data alluomo perch sia rispettato il giustoordine delle cose in base al quale linferiore si sottomette alsuperiore e, nel caso delluomo, il rispetto dellordo rerum (ciodella verit cos come Dio lha posta nella realt creata) signi-fica porre la ragione quale principio direttore della vita acui subordinare le altre facolt.

Questo dato era emerso con chiarezza nel De Uno doveVico, dopo aver ribadito, direi agostinianamente, che la ra-gione era il motivo per cui luomo praestat ceteris animantibus(XII) osservava come, secondo lordine della natura dispostoda Dio, la ragione, elemento che eccellente nelluomo, co-mandasse la volont; tuttavia ci che vale nelluomo incor-rotto, non vale pi per luomo corrotto dal peccato, presso ilquale si rovescia lordine della verit (e non potrebbe esserealtrimenti poich dal fas si passa al nefas, dal giusto allerrore19),

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19 Nel De Uno Vico sottolineando che leterna verit lessenza del dirittonaturale, ricorda anche che dai Latini stato chiamato sapientemente fas, voca-bolo derivato da fatum, che significa lordine eterno elle cose, definito da S. Ago-stino decreto e quasi voce della mente divina (De civ. Dei V,9) (XLVIII, 1 [62]).

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e di conseguenza la ragione viene sopraffatta dalla volont ed ad essa asservita.

Dove per non viene pi rispettato lordo rerum, e la libertnon pi al servizio ma asserve la ragione, luomo diventapreda degli appetiti sensibili, viene tiranneggiato dallamor pro-prio e si disgrega ogni forma di ordine sociale poich la soddi-sfazione dei bisogni istintivi, quale unico fine delluomo, generauna conflittualit permanente, un caos che opposto allordine(cio a Dio) senza il quale la societ umana non pu reggerenemmeno un momento ( 1100). Lalternativa tra una libertrispettosa dellordine delle cose, e pertanto assoggettata in tuttoe per tutto alla ragione, che cos permette alluomo di edificarese stesso e la societ, e una libert derivante dalla trasgressione,cio ferina, e dunque disumana, che si risolve e introduce laschiavit delle pulsioni disordinate, in bala delle quali luomosmarrisce lintegrit della sua natura e identit20.

Il dissolvimento dellhumanitas, provocato dalla rinunziaalla vera religione, si esprime sul piano individuale nella im-mane fierezza della libert bestiale e sul piano sociale nellasolitudine degli stessi uomini i quali, di fatto, si incontranosolo in vista di un soddisfacimento delle proprie esigenze fi-siche, per poi di nuovo tornare a vivere da soli; ora, come ab-biamo visto, per Vico la solitudine quanto di pi disumanopossa esserci, perch la natura degli uomini, come viene ri-badito sin dallinizio della SN, ha questa principale propriet:dessere socievoli ( 2).

Laddove non c relazione stabile non c pi comunione,

20 proprio infatti della bestia essere schiavo delle passioni mentreluomo, posto in mezzo, combatte con le passioni, leroe con piacere comandaalle passioni ( 515).

contraddetta la vera civil natura delluomo; cos il divenirecomune delle donne esprime limpossibilit di una discen-denza, di figli legittimi e dunque di una famiglia da cui e sucui solo pu sorgere la societ (e il diritto). Tanto innaturalela solitudine rispetto alla condizione umana, quanto radicalenella condizione decaduta e ferina, fino al punto che non solosi smarrisce listituzione del matrimonio, sostituita dai con-cubiti incerti ( 369), ma anche la forma pi forte delle rela-zioni, quella della comunione tra madre e figlio, si perde tantoche le madri, come bestie, dovettero lattare solamente i bam-bini e lasciargli nudi rotolare dentro le fecce loro proprie eappena spoppati abbandonargli per sempre ( 369). Pos-siamo dire che qui la decadenza dellhumanitas tocca il suopunto pi acuto, il suo abisso pi profondo21 e inarrestabil-mente conduce verso lultima aberrazione, cio lasciare i ca-daveri insepolti, che esprime il definitivo smarrimento delladignit dei simili e la sovversione radicale del senso comune.

Con crudo realismo, Vico descrive a tinte forti la nega-zione dellumano che si produce quando si perde la relazionecon Dio e si pensa alla realizzazione di s non pi nella con-formazione e corrispondenza-obbedienza allordine che Diomanifesta nel reale. Luomo abbrutitosi e perso in una con-dizione che non pi la sua, smarrisce anche i suoi pi propriconnotati somatici e corporei. Infatti quei figli, abbandonatial loro destino dallegoismo delle madri, abituatisi a rotolarsinudi nei propri escrementi, si nutrirono dei nitriti di cui lariaera piena a causa degli escrementi, e dovendo inoltre svilup-pare tanta forza muscolare per penetrare la robusta e foltis-

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21 GALEAZZI U., Ermeneutica e storia in Vico. Morale, diritto e societ nella ScienzaNuova, Japadre, LAquila 1993, p. 107.

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sima selva, senza timore di dei, di padri e di maestri, crebberovigorosamente e robusti fino a diventare giganti22.

La terra, pertanto, fu sparsa di siffatti giganti dopo il dilu-vio, che resta per Vico il momento di inizio delle epoche e dacui prende avvio la tavola cronologica. Uomini di giusta sta-tura rimasero soltanto gli Ebrei perch avevano conservatola pulita educazione e il timore degli Dei e dei padri.

Ad ogni modo bisogna proprio partire da questi gigantistupidi, orribili bestioni, che conoscevano solo mediante isensi, per comprendere la sapienza degli antichi gentili; talesapienza fu sapienza poetica, una metafisica non ragionata nastratta, provenendo da uomini senza raziocinio, con sensirobusti e vigorosissime fantasie. Nella condizione delligno-ranza gli uomini, non conoscendo le ragioni naturali che pro-ducono le cose, finiscono con il non considerare le causeseconde e col dare alle cose la loro natura di uomini, secondoquel principio in base al quale la mente umana, per la sua in-diffinita natura, ove si rovesci nellignoranza, essa fa s regoladelluniverso dintorno a tutto quello che ignora23.

Dallignoranza derivano le due figlie che sono la meravi-glia, per cui pi grande leffetto ammirato pi cresce il sensodi meraviglia, e la curiosit, quella propriet connaturale al-luomo che genera la scienza e che spinge luomo a cercare ilsenso di ogni cosa straordinaria che accade nella natura24.

22 Cf. 369. Sui giganti cf. MAZZOLA R., I giganti in Vico, in BCSV 24-25(1994-1995), pp. 49-78 (ora anche in IDEM, Metafisica Storia Erudizione. Saggi suGiambattista Vico, Le Criti, Firenze 2007, pp. 53-89); PAPINI M., Uomini di stercoe di nitro, in BCSV 20 (1990), pp. 9-76; PERULLO N., Bestie e bestioni. Il problemadellanimale in Vico, Guida, Napoli 2002.

23 Degnit 32, 181.24 Cf. Degnit 39, 189.

Ignoranti delle cause, gli uomini si meravigliavano di tutto econsideravano causa di ogni fenomeno una divinit a cui ve-niva data una sorta di natura creatrice, secondo il modo diagire tipico dei fanciulli che attribuiscono una natura viva aoggetti inanimati, e perci potevano essere considerati crea-tori nel senso di poiesi (e di qui poesia): come Dio che, per,nel suo purissimo intendimento, conosce e, conoscendole,cria le cose; essi, per la loro robusta ignoranza, il facevano inforza duna corpolentissima fantasia, e, perchera corpolen-tissima, il facevano con una meravigliosa sublimit, tal e tantache perturbava alleccesso essi medesimi che fingendo le sicriavano, onde furon detti poeti ( 376). Dunque i primiuomini, non essendo capaci di formare i generi intellegibilidelle cose, si inventarono i caratteri poetici, ovvero i generi ouniversali fantastici25; come nei fanciulli debole il raziociniomentre sono robuste la memoria, la fantasia (essendo que-stultima non altro che la memoria dilatata) e limitazione, cosi primi uomini, quali fanciulli del genere umano, furono su-blimi poeti e non metafisici, essendo impossibile essere con-temporaneamente entrambi, perch la metafisica astrae lamente da sensi, la facult poetica devimmergere tutta lamente ne sensi; la metafisica sinnalza sopra agli universali,la facult poetica deve profondarsi dentro i particolari (821).

In simile stato di cose, in cui si era toccato il fondo delladisumanizzazione, qualcosa di straordinario accadde che de-termin linizio del corso delle nazioni. Duecento anni dopoil diluvio, quando la terra aveva ricominciato a mandare esa-lazioni secche, nel cielo finalmente ricomparvero tuoni e ful-

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25 Cf. Degnit 49, 209.

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mini spaventosi che introdussero nellaria unimpressionemolto violenta26. Cos quei pochi giganti pi robusti, che sierano spinti fino alle alture dei monti, costretti a ci dalla ri-cerca delle fiere che l avevano le loro tane, spaventati ed at-toniti dal grandeffetto di che non sapevano la cagione,alzarono gli occhi ed avvertirono il cielo ( 377)27. Ed es-sendo robusti solo nel senso, perch privi di raziocinio, sifinsero il cielo esser un gran corpo animato, che per talaspetto chiamarono Giove, un corpo che sentisse passionied affetti, incapaci come erano di astrarre o spiritualizzare.Cos Giove diventa il nome di tutto e Iovis omnis plena28: i tuonisono i cenni di Giove, la natura la lingua di Giove e la scienzadella natura infine la divinazione. Perci ogni nazione haavuto il suo Giove (cf 193) che nacque come universalefantastico e gi in questa metafisica poetica i poeti teologiparlarono di Dio come provvidenza. Ci che pi conta chela provvidenza divina si serv dellinganno di temere la falsadivinit di Giove affinch quegli uomini crudi, selvaggi efieri, riconoscessero che la provvidenza divina sovrintendealla salvezza di tutto il genere umano (cf 385). Non a casoletimo di jus, parola centrale della SN, viene fatto derivare daIous (Giove); infatti con la provvidenza divina che nacquelidea del diritto (cf 398). Ben prima dunque della sapienzariposta dei filosofi, Dio viene contemplato sotto lattributo

26 Cf. De constantia, II, IX, 39-40 (442).27 Lumanit prese le mosse dal fulmine (De constantia, II, IX, 41 [442]).

I giganti, infatti, furono eccitati al timore degli dei dal fulmine. Da ci il fattoche presso i Greci significava timore: donde poi cio temo. Lastessa origine ha il famoso verso: fu il timore la prima causa della divinit(IBIDEM).

28 La citazione proviene da VIRGILIO, Ecloghe III, 60 che la riprende da Arato.

della provvidenza nellepoca della sapienza volgare. In SNIVico, riferendosi ai primi cominciamenti della greca uma-nit, e al loro valore esemplare, conclude che per tutto iltempo in cui furono dello ntutto fondate le nazioni, gliuomini naturalmente son portati a riverire la provvedenza, ein seguito di ci, che la provvedenza unicamente abbia fon-date ed ordinate le nazioni ( 256).

Dallidea della provvidenza nasce anche la filosofia del-lautorit, poich lautorit divina, manifestatasi nellidea spa-ventosa di Giove fulminante, capace di atterrire le menti comei corpi (cf 502), costrinse i giganti nei nascondigli dellegrotte e orient il libero uso della volont (essendo lintellettopassivamente soggetto alla verit) per cui cessarono di vagaree divennero sedentari. Il terrore della forza, bene sottoli-nearlo, non produce la nozione di Dio ma semplicemente larisveglia, poich se bisogna partire da una qualche cogni-zione di Dio, comunque vero che essa in un certo sensoinnata29 e di essa non sono privi gli uomini quantunque sel-vaggi, fieri ed immani ( 339).

Ad ogni modo, la provvidenza, operante e rivelantesi nellaforma della paura verso Giove, costitu presso i giganti loc-casione che fece nascere lautorit del diritto naturale, poichstabilitisi nelle terre ne divennero i proprietari (in forza deldiritto di lunga possessio); e tale fermarsi, cio lacquisire unaresidenza stanziale, diventa il principio, linizio delle gentidette maggiori. Come scriver Vico allinizio della Moralepoetica, le menti, per far buon uso della cognizione di Dio,bisogna chatterrino se medesime, siccome al contrario la su-

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29 Cf. 27, dove Vico scrive che il concetto della provvidenza divina in-nato nelluomo.

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perbia delle menti le porta allateismo, per cui gli atei diven-gono giganti di spirito ( 502).

Dunque la nozione di Dio formatasi presso gli uominiattraverso la mediazione del fenomeno naturale del fulmine,che rappresenta in un certo senso lo spartiacque della storia,il passaggio verso lumanit, labbandono dello stato ferino eil ritornare ad essere realmente uomo delluomo30. Sul pianodella natura Dio interviene per porre un freno al disordineintrodotto dal peccato delluomo risvegliando dentro di lui ilsenso, la percezione di Dio, sebbene in un modo adeguatoalla condizione dei giganti incapaci di raziocinio; leggiamonella Degnit XXI: nello stato eslege la provvedenza divinadiede principio a fieri e violenti di condursi allumanit edordinarvi le nazioni, con risvegliar in essi unidea confusa delladivinit, chessi per la loro ignoranza attribuirono a cui ellanon conveniva; e cos, con lo spavento di tal immaginata di-vinit, si cominciarono a rimettere in qualche ordine ( 178).Con la nozione di Dio la provvidenza risveglia la coscienzadi un ordine che costringe quegli uomini a fermarsi e ad ini-ziare la ricostruzione del mondo e dei primi legami umani,conformemente allautentica natura delluomo che quellasocievole. Cos a partire dalla ricostituita nozione di Dio,smarrita nel tempo della decadenza dello stato eslege, prendeil via la storia regolata dal diritto naturale delle genti che al-lorigine di tutte le nazioni.

Per Vico, quindi, allorigine del mondo umano vi fu

30 Vico propone subito, in avvio, quel vincolo strettissimo, tra linsorgeredella religiosit e luscita dallimbestialimento, sul quale sinnalza un muro por-tante del suo intero edificio concettuale (CAPORALI R., La tenerezza e la barbarie,op. cit., p. 36).

lopera della provvidenza, come una ritrovata coscienza delrapporto con Dio e della dipendenza creaturale nella formadel riconoscimento di un ordine, che trasform la superbiadei giganti in piet, madre di tutte le virt (morali, familiari ecivili), sulla quale sono fondate tutte le nazioni. Cos la virtmorale ebbe inizio con il conato, per cui spaventati dalla reli-gione dei fulmini, i giganti divennero sedentari, rinunciaronoallabitudine bestiale di vagare come fiere per la terra e si sta-bilizzarono sulle terre. Ma con il conato nasce anche la virtdellanimo, quella in forza della quale viene contenuta la libi-dine bestiale e di conseguenza ognuno si diede a strascinareper s una donna [monogamicit] dentro le loro grotte e te-nerlavi in perpetua compagnia di lor vita [indissolubilit] (504); inizi cos il pudore, laltro vincolo che conserva unitele nazioni31, e si introdussero i matrimoni (la prima umanasociet conciliata dalla religione32) che sono carnali con-giungimenti pudichi fatti col timore di qualche divinit (505). Matrimoni celebrati con tre solennit: gli auspici diGiove (ovvero lidea di una sola donna come moglie e qualeperpetua compagna di vita), il velo (in segno della vergognache fece i primi matrimoni nel mondo), il prender la sposacon una certa finta forza, a ricordare il gesto dei giganti chetrascinavano le prime donne dentro le loro grotte33. Il matri-

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31 Nel De constantia leggiamo che gli uomini, ammoniti dal pudore, si ri-trassero con orrore dallamore ferino e non senza un qualche segno celeste dal momento che davano ascolto agli auspici destinarono a s spose certeper tutta la vita. E non erravano pi come ignavi vagabondi dovunque vi fossealimento, ma si stabilirono, ricevutine gli auspici, in sedi certe e presero a col-tivare la terra di cui per primi avevano preso possesso (II, III, 10 [406]).

32 SNI, 58.33 Cf. 506-510.

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monio per Vico la prima amicizia che nacque al mondo,la vera amicizia naturale, lelemento primo e costitutivo nelquale, scolasticamente parlando, si comunicano tutti e tre ifini dei beni, cio lonesto, lutile e l dilettevole ( 554).

La conclusione di Vico priva di ambiguit; la piet e la re-ligione crearono le virt e resero i primi uomini prudenti (poichsi consigliavano con gli auspici di Giove), giusti (non ficcandoil naso nelle cose altrui), temperati (contenti di una sola donnaper tutta la loro vita), ma anche forti, magnanimi e industriosi(le virt dellet delloro). Si trattava di virt per sensi, me-scolate di religione ed immanit che condussero non di radoal fanatismo della superstizione, quella per cui la fiera gentilitarriv finanche a consacrare vittime umane sacrificali agli Dei,tanto che Plutarco si chiedeva se fosse pi empio credere aglidei o non credervi affatto; ma, per quanto a volte crudele, la re-ligione dei primitivi, adeguata alla loro natura rozza, permise ilfreno degli istinti bestiali e linizio dellincivilimento, a cui luomonon sarebbe mai giunto se fosse rimasto ateo (cf 518).

5. La provvidenza nella storia

In tutto il percorso delle nazioni emerge la storia idealeeterna che nullaltro se non il disegno della provvidenza, laquale rappresenta come la grande regista della storia, i cui at-tori, gli uomini, costruiscono le loro parti su un canovacciogi scritto, tale da un lato da rendere opera propriamenteumana la storia, e dallaltro da impedire che il corso delle na-zioni e i destini della storia stessa siano abbandonati ad unacausalit irrazionale.

Il riconoscimento della realt come creata da Dio, implica

laffermazione sul piano naturale della provvidenza come con-creta forma della cura di Dio della creazione, in particolaredelluomo e dei popoli. La riflessione sulla provvidenza ri-chiede il riconoscimento della creaturalit delluomo che co-noscitivamente, come nel DA, si esprime in una ultimagnoseologia dellumilt, lesatto opposto di un atteggiamentoprometeico, e, sul piano sociale, nellaffermazione della dipen-denza creaturale come fondamento dellumanizzazione. Inquanto lorigine delle cose, e quindi anche delle vicende umane,resta altra dalluomo, il vero senso degli eventi non dipendedalluomo ma lo trascende, e come sul piano epistemologicola conoscenza si configura come ri-conoscenza, cos sul pianostorico la conoscenza del senso degli eventi si definisce comericonoscimento della presenza e dellopera della provvidenza.

Questa dinamica della conoscenza come dipendenza siesprime nella metafora della luce che apre la SN, cio dellametafisica, che, in quanto illumina, permette alluomo di co-noscere. Per quanto egli sia lautore del mondo delle nazioni,la storia rimane costitutivamente segno, illustrazione concretaed empirica di un significato che non si d senza il segno mache irriducibile al segno: la storia ideale eterna, ovvero il di-segno della provvidenza che filosofia e filologia, unite nellanuova arte critica la SN appunto , conoscono34.

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34 La storia ideale eterna non un ordine puramente ideale che non regga pernulla il corso della storia; non neppure la storia stessa; il significato totale dellastoria, al quale essa tende continuamente, ma che non arriva mai a realizzare com-piutamente. La storia ideale eterna la sostanza che sorregge la storia temporaledelluomo, la norma che garantisce lordine. [] La trascendenza della storia idealeeterna significa solo che il significato della storia continuamente al di l degli eventiparticolari, di cui gli uomini sono gli autori (ABBAGNANO N., Introduzione del1952, in VICO G., La scienza nuova e altri scritti, Utet, Torino 1976, p. 38).

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Riconoscere che la conoscenza lilluminazione e che ilsenso della storia gi dato e il compito delluomo di cor-rispondervi con la sua libert ma non di costituirlo, tuttaltracosa da un titanismo in cui la ragione costitutiva del sensopiuttosto che ri-conoscente. C una insuperabile ricettivitrispetto al vero metafisico, per conoscere il quale occorrelumilt di quellignoranza buona che, lungi dal generareboria, conduce alla vera conoscenza. Unumilt in cui Vicosintetizza il suo progetto concludendo la SN: se non siesipio, non si pu daddovero esser saggio (1112), richiamandoil Sal 110: initium sapientiae timor Domini.

Proprio questa radicale apertura allascolto della Sapienzaoperante nella storia permette alluomo di affermare il dise-gno che definisce il senso degli eventi e di comprenderlocome bene, poich la storia rivela la benignit della provvi-denza, pur nella imperturbabilit dei suoi disegni, dal mo-mento che il darsi di un disegno vince simmetricamentelarbitrariet drammatica e in-sensata della necessit e del caso.

Dunque non solo vi un disegno provvidenziale, ma que-sto disegno buono: la Provvidenza, infatti, la manifesta-zione sul piano creaturale (cosmico e antropologico)dellidentit di Dio quale bont premurosa che, in modo in-telligente (egli tutta mente), cio dentro un disegno (lastoria ideale eterna), si relaziona alla creazione e la fa perma-nere e tendere verso il suo significato che a rischio, perchla finalit destinale del reale, in quanto implica la libert del-luomo, si espone al rischio concreto della sua negazione,come la storia attesta e documenta, mostrando le conse-guenze del peccato delluomo, da intendere come interrottacorrispondenza al senso, nella conformit al quale luomotrova e realizza se stesso. E anche quando le circostanze im-

pediscono di vivere secondo la rettitudine dellintenzionebuona, non per questo luomo abbandonato a se stesso;anche nel caso estremo in cui la storia sinvolvesse radical-mente (la barbarie della riflessione, ben pi drammaticadella barbarie del senso), tale decadenza non rappresente-rebbe mai lultimo stadio della storia, e perci una sorta ditradimento e sconfitta della provvidenza, ma il fondo dacui luomo pu ripartire e ritrovare lordine eterno di Dio me-diante la piet, la fede e la verit.

Qui trova pieno senso, a mio parere, la dialettica di corsoe ricorso. Essendo il mondo civile delle nazioni fatto dagli uo-mini, quali veri autori della storia e non marionette guidatedalla Ragione universale (qualunque sia il senso che a que-stultima si voglia attribuire), esso sempre esposto, minac-ciato, dalla possibilit che luomo, poich libero, si distolgadallordine e anzich corrispondervi persegua strade diverseche lo conducono verso la menzogna e la distruzione; tutta-via, poich la realt creata anche insuperabilmente dentroun disegno di bene, Dio stesso, in quanto provvidenza, chegarantisce il bene delluomo non tanto in forma straordinariae puntuale, attraverso miracolosi interventi dallesterno, maordinariamente, facendo s che persino dalla negazione radi-cale del fine (erramento ferino e solitudine bestiale), risorganoquelle virt che riconducono al riconoscimento e alla sequeladel disegno provvidenziale.

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