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F. TESSARO, Processi e metodologie dell’insegnamento PMI 05 – Progettare l’insegnamento PMI 05-1 SSIS Veneto – Area Comune – Sede di Venezia Esame di Teorie dell’istruzione e programmazione didattica Insegnamento: Processi e metodologie dell’insegnamento (prof. Fiorino Tessaro) Unità Formative: PMI 01 ip – Insegnare tra ricerca e azione PMI 06 ip – Modulare procedure e processi PMI 02 ol – Tracciare curricoli per competenze PMI 07 ol – Analizzare la complessità PMI 03 ol – Formare con metodo PMI 08 ip – Costruire la conoscenza insieme PMI 04 ol – Imparare provando, facendo, simulando PMI 09 ol – Governare la formazione in classe PMI 05 ip – Progettare l’insegnamento PMI 10 ol – Comunicare per formare data lez. Titolo lezione tipologia ore attività 1 17-dic-07 PMI 05 ip – Progettare l’insegnamento in presenza 2 studio individuale 5 PROGETTARE L’INSEGNAMENTO 5.1 INSEGNARE: DALL'INTENZIONE AL PROGETTO Un ragazzo può capitare con bravi insegnanti, o con meno bravi, in scuole innovative o tradizionali, sia nei metodi che nei contenuti: che cosa garantisce agli studenti una comune base formativa? Come si possono ridurre le "sperequazioni d'apprendimento" indipendentemente da dove e con chi capita lo studente, e come si possono promuovere le potenzialità culturali e professionali di ciascuno? Gli insegnanti spesso non seguono l’intero percorso formativo di una classe; precariato, trasferimenti, assenze interrompono il rapporto didattico: che cosa garantisce la continuità formativa del curricolo? E ancora: la scuola è ora meno che mai l'unica agenzia formativa; la formazione è un processo che accompagna l'individuo per tutta la durata della sua esistenza e non soltanto per gli anni di quella che viene comunemente definita l'età evolutiva. L'affermazione può sembrare scontata: in realtà è il punto chiave di tutto il discorso formativo. L'individuo apprende continuamente, prima di iniziare la scuola, durante e dopo. Quale è allora la peculiarità dell'apprendimento scolastico? La risposta sta nel fatto che tale apprendimento è organizzato, voluto e perseguito, che non è improvvisato o casuale. La complessità dei compiti affidati al docente si presenta già dalle finalità educative generali: garantire a tutti e a ciascuno il massimo dell'apprendimento sviluppandone le potenzialità e nel rispetto delle caratteristiche personali. Data l'enorme varietà tra gli studenti com'e possibile determinare percorsi formativi validi per tutti? Nella scuola non esistono costanti ma soltanto variabili spesso molto difficili da tenere sotto controllo: conoscenze, atteggiamenti, comportamenti, relazioni, risorse, ecc. sono elementi di un processo che si presenta sempre diverso ma che l'insegnante deve condurre ad un “apprendimento” minimo garantito 1 Il suffisso ip = unità formativa in presenza; ol = unità formativa on line. Per le lezioni in presenza, il test e le tracce di riflessione (alla fine del testo) servono per esercitazione personale. Le risposte non vanno inviate al tutor on line, il quale, in ogni caso, è a disposizione del gruppo, con le modalità indicate (e-mail e/o forum di discussione). FT

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F. TESSARO, Processi e metodologie dell’insegnamento PMI 05 – Progettare l’insegnamento

PMI 05-1

SSIS Veneto – Area Comune – Sede di Venezia

Esame di Teorie dell’istruzione e programmazione didattica

Insegnamento: Processi e metodologie dell’insegnamento (prof. Fiorino Tessaro)

Unità Formative: PMI 01 ip – Insegnare tra ricerca e azione PMI 06 ip – Modulare procedure e processi PMI 02 ol – Tracciare curricoli per competenze PMI 07 ol – Analizzare la complessità PMI 03 ol – Formare con metodo PMI 08 ip – Costruire la conoscenza insieme PMI 04 ol – Imparare provando, facendo, simulando PMI 09 ol – Governare la formazione in classe PMI 05 ip – Progettare l’insegnamento PMI 10 ol – Comunicare per formare

data lez. Titolo lezione tipologia ore attività1

17-dic-07 PMI 05 ip – Progettare l’insegnamento in presenza 2 studio individuale

5 PROGETTARE L’INSEGNAMENTO

5.1 INSEGNARE: DALL'INTENZIONE AL PROGETTO

Un ragazzo può capitare con bravi insegnanti, o con meno bravi, in scuole innovative o tradizionali, sia nei metodi che nei contenuti: che cosa garantisce agli studenti una comune base formativa? Come si possono ridurre le "sperequazioni d'apprendimento" indipendentemente da dove e con chi capita lo studente, e come si possono promuovere le potenzialità culturali e professionali di ciascuno?

Gli insegnanti spesso non seguono l’intero percorso formativo di una classe; precariato, trasferimenti, assenze interrompono il rapporto didattico: che cosa garantisce la continuità formativa del curricolo?

E ancora: la scuola è ora meno che mai l'unica agenzia formativa; la formazione è un processo che accompagna l'individuo per tutta la durata della sua esistenza e non soltanto per gli anni di quella che viene comunemente definita l'età evolutiva. L'affermazione può sembrare scontata: in realtà è il punto chiave di tutto il discorso formativo. L'individuo apprende continuamente, prima di iniziare la scuola, durante e dopo. Quale è allora la peculiarità dell'apprendimento scolastico? La risposta sta nel fatto che tale apprendimento è organizzato, voluto e perseguito, che non è improvvisato o casuale.

La complessità dei compiti affidati al docente si presenta già dalle finalità educative generali: garantire a tutti e a ciascuno il massimo dell'apprendimento sviluppandone le potenzialità e nel rispetto delle caratteristiche personali. Data l'enorme varietà tra gli studenti com'e possibile determinare percorsi formativi validi per tutti?

Nella scuola non esistono costanti ma soltanto variabili spesso molto difficili da tenere sotto controllo: conoscenze, atteggiamenti, comportamenti, relazioni, risorse, ecc. sono elementi di un processo che si presenta sempre diverso ma che l'insegnante deve condurre ad un “apprendimento” minimo garantito

1 Il suffisso ip = unità formativa in presenza; ol = unità formativa on line. Per le lezioni in

presenza, il test e le tracce di riflessione (alla fine del testo) servono per esercitazione personale. Le risposte non vanno inviate al tutor on line, il quale, in ogni caso, è a disposizione del gruppo, con le modalità indicate (e-mail e/o forum di discussione). FT

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per tutti (conoscenze, abilità e competenze di base) e contemporaneamente ottimale per ogni allievo, differenziato e personalizzato.

In questo quadro il docente riveste una molteplicità di ruoli, poiché è colui che predispone, che governa e che valuta i processi formativi. L'insegnante non è un artista che plasma le menti, ma un professionista che interviene in modo sistemico e sistematico mediante itinerari didattici specifici finalizzati alla padronanza, da parte dell'allievo, di abilità di base (conoscenze, comportamenti, atteggiamenti) e di competenze complesse (processi, metodi, percorsi).

5.1.1 Non basta la buona volontà

L'insegnamento non può essere lasciato all'intuizione, al caso e neppure alla buona volontà del singolo docente ma deve essere progettato in interventi formativi di cui si possa valutarne l'efficacia. Progettare significa, quindi, reagire "al diffuso individualismo, all'ideologia di un compito missione che si risolve tutto nella coscienza del singolo docente, ... per far uscire il lavoratore della scuola da una situazione che non esiteremmo a definire medioevale, per l'artigianalità e l'individualismo dei compiti che gli sono richiesti"2.

5.1.2 Bisogna pensare e agire strategicamente

La progettazione degli interventi formativi si fonda sulla capacità di pensare strategicamente per organizzare le attività, per correlarle e calibrarle, per scegliere e produrre i materiali più opportuni, per valutarne l'impatto ed i risultati effettivamente raggiunti. Ma questo non può essere svolto da soli: si progetta lavorando/comunicando con i colleghi. Il lavoro in team con i colleghi presuppone il dialogo tra gli operatori, ed il dialogo è vincolato dalla condivisione del linguaggio professionale.

Qual è il linguaggio professionale del docente? Esso presenta due aspetti:

per un verso, è specifico alla disciplina che insegna, e che lo qualifica come esperto della materia, e,

per l'altro, è specifico alla professione che svolge, nell'uso, e che lo qualifica come "insegnante".

5.1.3 Parliamoci chiaro!

Raramente i membri di un'organizzazione ristretta comunicano così poco e così male come i docenti di un Istituto. Le cause sono molteplici: il diverso retroterra culturale e formativo, lo scarso spirito di appartenenza al gruppo, la scarsa formazione alla professione, il continuo operare in modo individuale, e così via. I momenti collettivi istituzionali, come il Collegio dei docenti, il Consiglio di classe, le diverse Commissioni o Comitati, si concludono talvolta con ampi margini di ambiguità operativa e di incomprensione comunicativa.

Eppure ogni ambiente professionale tutela il proprio lessico. Due esempi quotidiani: il linguaggio usato dai medici o quello usato dalle TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Linguaggi altamente specializzati, compresi solo dagli addetti ai lavori che spesso trasferiscono nella comunicazione quotidiana (ed è per questo che i non addetti parlano di gergo corporativo). Le parole del mestiere non posseggono quindi soltanto motivazioni di tipo

2 In Maragliano - Vertecchi, 1984, p. 8.

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specialistico ma anche di tipo relazionale. Da un lato facilitano e rendono più efficiente, più veloce la comunicazione all'interno dell'organizzazione e, dall'altro, preservano la loro identità professionale.

Ma qual è il lessico professionale del docente? Non si può certamente indagare con poche note una problematica così vasta e controversa. Ci limiteremo ad un'analisi delle parole-chiave del patrimonio linguistico di un docente. Possiamo distinguere due tipologie di linguaggi: una disciplinare e l'altra pedagogico-didattica.

5.1.3.1 Le parole della propria materia

Ogni area disciplinare sviluppa e utilizza una propria terminologia che deriva dalla ricerca teorica e sperimentale specifica di ogni ambito scientifico. Quando parla della sua materia il docente si identifica con l'esperto della disciplina ed è ovvio che esperti di più discipline usino linguaggi diversi. È meno ovvio, invece, che un docente non riesca a far partecipare i colleghi quando parla riferendosi ad un obiettivo comune, a far capire loro quello che fa e perché lo fa. Nel linguaggio disciplinare sta il "potere" del docente, ma tale linguaggio può anche trasformarsi in una nicchia che lo isola dagli altri. Le nicchie linguistiche manifestano rigidità culturale e chiusura comunicativa.

Un esempio. Consiglio di classe della I C, IPSC. Un docente di lettere si avventura in una dotta trattazione sulle strutture sintattiche di Noam Avran Chomsky e sulla teoria dei codici sociolinguistici di Basil Bernstein per dimostrare che i suoi allievi "presentano spiccate carenze lessicali perché utilizzano un codice ristretto". Riflettiamoci: Quanti tra i suoi colleghi presenti saranno in grado di seguire il discorso? Non era forse più comunicativo, più formativo, più semplice presentare un quadro esemplificativo sulla povertà linguistica degli studenti, interpellare in merito gli altri docenti per riscontrare eventuali settori disciplinari linguisticamente meno carenti (perché più motivanti) e successivamente tracciare un progetto di intervento comune (transdisciplinare)?

Se le competenze disciplinari sono specifiche (ciascuno è esperto nella propria materia), le competenze metodologiche sono comuni e trasversali. Se il linguaggio disciplinare "divide" - distingue, quello pedagogico-didattico dovrebbe unire e accomunare la professionalità degli insegnanti. Eppure è proprio su questo terreno che si riscontrano le maggiori incomprensioni, nel pressappochismo e nell'ingenuità di alcuni, nel dogmatismo e nello sperimentalismo di altri.

5.1.3.2 Le parole dell'insegnante: educare, istruire e formare

L’insegnante educa in modo esplicito e implicito, lo voglia o meno! Ma… poiché il fatto educativo presenta complesse connotazioni legate ai valori della persona e alle finalità sociali, al termine educazione si sono affiancati altri due più pragmatici, più legati al quotidiano nella scuola e più governabili dai docenti: sono istruzione e formazione.

Istruire è un termine antico che proviene da "instruere", originariamente “mettere dentro”, mentre formare, più recente, significa "dare forma", modellare. Istruzione e formazione sono pertanto due processi complementari: il primo attento alla qualità e alla quantità dei contenuti che il docente fornisce agli allievi, il secondo maggiormente indirizzato al raggiungimento di una "forma", di un profilo di competenze, di un sistema di padronanze. L'istruzione riguarda il che cosa insegnare, la formazione abbraccia il come insegnare ad apprendere dalle e nelle situazioni.

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Parliamo di progettazione formativa perché formare significa insegnare e apprendere in situazione facendo leva sulle motivazioni dell'allievo ed immergendolo in situazioni, ambienti e contesti progettati appositamente per lui.

Se vogliamo istruire uno studente sull'uso corretto della sintassi è sufficiente, benché l'operazione sia tutt'altro che banale, fornirgli l'insieme delle regole sintattiche; ma se vogliamo formarlo alla proprietà linguistica dobbiamo fargli "vivere" situazioni reali e diversificate, iniziando da quelle più congeniali al suo stile per poi procedere a successivi affinamenti, arricchimenti e simbolizzazioni.

O ancora, possiamo istruire un allievo sui concetti e sulle norme che riguardano l'IVA, se lo interroghiamo possiamo constatare se ha imparato o meno; ma saranno le situazioni reali o simulate di fatturazione che dimostreranno la capacità di applicare correttamente quelle regole.

Riflettiamoci: è più motivante, per l'allievo, l'apprendimento dalle situazioni o lo studio di concetti teorici? Imparare dalle situazioni può richiedere molto tempo, mentre lo studio di concetti lo riduce enormemente. Come si può integrare e dosare l'apprendimento in situazione con l'apprendimento di concetti?

In breve, educare, istruire e formare rappresentano tre dimensioni di un processo che punta alla trasformazione dell'allievo: ciò che li collega è che quel cambiamento è intenzionale, è voluto dall'allievo in vista del raggiungimento di competenze professionali ed è perseguito dal docente in modo didatticamente organizzato.

C'è un ultimo termine che è opportuno riconsiderare in connessione con le tre parole-chiave appena esaminate: didattica. La didattica è l'organizzazione dell’insegnamento, ovvero delle tecniche e degli strumenti che il docente adotta in classe per rendere più efficiente l'insegnamento e più efficace l'apprendimento. La didattica riguarda, quindi, il modo di insegnare. In queste pagine parliamo di processi formativi e di itinerari didattici, di progettazione formativa e di progetti didattici. In che cosa si distinguono? Gli itinerari didattici sono i percorsi metodologici, tecnici e strumentali che il docente dapprima progetta e successivamente implementa in aula o in laboratorio. La progettazione formativa, invece, non riguarda soltanto ciò che fa l'insegnante in classe, ma investe tutta l'organizzazione delle strategie di intervento allo scopo di raggiungere un profilo formativo vicino al profilo professionale. La didattica è centrata sull'insegnante, la formazione è centrata sull'allievo: i due processi sono distinti ma complementari.

5.2 DALL'IDEA AL RISULTATO

E chi dice che un docente non progetta? Nessuno va in classe senza aver per lo meno pensato a quello che voleva fare quel giorno! Lo avrà fatto la sera prima, oppure all’alba in treno ancora assonnato, o in un'ora libera in sala insegnanti. Ad ogni idea intenzionale corrisponde un progetto di attuazione: potrà essere affrettato, sommario, privo di rigore metodologico ma sarà pur sempre un modo di prefigurarsi le azioni da compiere.

Il problema non è dove e quando un insegnante progetta, ma perché, come e che cosa progetta.

Proviamo ad immaginare di dover produrre un oggetto di cui avvertiamo il bisogno. Può essere anche semplice e banale. Eppure dall'idea al risultato intercorrono diverse fasi che, in sintesi, possono essere così illustrate:

1. individuare le caratteristiche generali esterne ed interne desiderate: quelle esterne dove l'oggetto da produrre va a collocarsi (spaziali, sociali,

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economiche, culturali, di status, ecc.) e quelle interne all'oggetto (tipologie qualitative e quantitative);

2. determinare le risorse a disposizione (o accessibili) e verificarne l'idoneità al raggiungimento del prodotto desiderato;

3. tracciare a grandi linee un modello ideale che tenga conto sia delle risorse disponibili che delle aspirazioni e dei bisogni che l'oggetto deve soddisfare;

4. tradurre operativamente il modello ideale in un uno o più modelli eseguibili e, per ciascuno di essi valutarne il grado di fattibilità rispetto alla situazione reale e di coerenza rispetto al modello ideale;

5. scegliere il modello migliore o più opportuno;

6. tempificare le fasi di sviluppo e di controllo periodico dei risultati parziali;

7. adeguare le metodologie di attuazione al modello operativo prescelto;

8. procedere alla costruzione dell'oggetto adattando metodi e tempi, di sviluppo e di controllo, alle contingenze operative;

9. verificare, a prodotto ultimato, il grado di corrispondenza tra il risultato e il modello operativo;

10. valutare il grado di coesione tra il risultato ed il modello ideale;

11. se il risultato non è confacente, impostare strategie operative alternative per adeguare il prodotto al modello operativo, e quest'ultimo al modello ideale.

Naturalmente un intervento formativo per apprendere una competenza non è un semplice oggetto di consumo, ma un insieme organizzato di azioni che si innesta in un sistema "sociale" di processi e tale sistema è complesso, mutevole e variegato. Ciò nonostante il progettare, da un punto di vista metodologico, è un processo universale, solo parzialmente vincolato dal suo oggetto, un modo di pensare e di affrontare la realtà per trasformarla. È, in ultima analisi, una forma mentis per la ricerca applicata poiché è fondata:

- sull'individuazione – ricerca - posizionamento dei problemi,

- sulla formulazione di ipotesi e di modelli risolutori,

- sul controllo applicativo degli esiti dell’azione.

La progettazione abbraccia e comprende un insieme di attività che va dall'analisi della domanda formativa all'ideazione degli interventi che la possono soddisfare, dall'analisi del contesto individuando le risorse ed i vincoli al disegno di un modello operativo coerente con gli obiettivi prefissati, per giungere alla applicazione in classe dell'intervento progettato ed, infine, alla sua valutazione.

La progettazione è la rappresentazione anticipata (prefigurata) dell’azione e, in quanto tale, fa parte a pieno titolo dei processi della professionalità docente.

5.2.1 Programm/azione vs progett/azione

Prima di analizzare i diversi approcci alla progettazione, si rendono opportune alcune precisazioni terminologiche relativamente ai concetti di programma e progetto, programmazione e progettazione.

Il programma è una raccolta di intenti che esprime la volontà di portare a termine delle attività per ottenere uno specifico risultato: ecco quindi che la maggior parte dei programmi si presenta come un elenco di obiettivi da raggiungere e/o azioni da svolgere. I programmi scolastici, chiamati anche indicazioni nazionali o orientamenti, sono liste di intenzioni formative, di

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contenuti culturali e scientifici, di modalità di intervento. Il programma è universale e uniforme: viene stabilito dai responsabili delle politiche formative ed è prescrittivo per tutti coloro che frequentano un determinato indirizzo di studi.

La programmazione, a sua volta, riguarda le azioni volte a determinare gli standard generali dell’istruzione, ad analizzare le realtà socio economiche e culturali entro cui si collocheranno gli interventi scolastici, a commisurare la pertinenza tra gli standard formativi generali e le caratteristiche specifiche dell'utenza a cui è diretto il programma di formazione.

Sono molteplici i luoghi di responsabilità della programmazione; essi sono concentrici, a progressivi livelli di decisione: un livello unitario, su base europea, dove si fissano le finalità universali

della scuola, si stabiliscono i protocolli di comunicazione tra le diverse politiche e pratiche scolastiche nazionali, si determinano gli standard che tutti gli stati dell'Unione si impegnano a raggiungere;

un livello nazionale, dove ogni stato, attraverso i programmi (o indicazioni), indica gli scopi, gli obiettivi e le competenze per ogni indirizzo di studi, presenta un'articolazione di massima dei contenuti ed alcune indicazioni metodologiche e valutative comuni;

un livello locale, su base territoriale regionale o sub-regionale, dove si mediano le indicazioni generali con le realtà sociali, culturali, economiche, ecc. del territorio di riferimento; per questa programmazione sono fondamentali attente analisi delle specifiche situazioni che caratterizzano realtà anche vicine, ma con bisogni formativi profondamente diversi;

un livello scolastico, del singolo istituto, dove la collegialità dei docenti adegua e adatta le indicazioni generali e locali alle caratteristiche specifiche dell'utenza del proprio istituto, riferendosi esplicitamente all'ambiente culturale e sociale da cui provengono gli studenti;

un livello di classe, dove tutti i docenti che insegnano in una classe (o ad uno specifico gruppo di allievi) fissano le competenze comuni e trasversali che impegnano l'intero consiglio di classe o parte di esso;

un livello disciplinare del singolo docente, o un livello di ambito dei docenti che afferiscono ad un'area disciplinare, che stabilisce le priorità nello sviluppo delle competenze, le sequenze concettuali e gli standard di accettabilità relativamente alle produzioni degli studenti.

Programmi e programmazioni veleggiano spesso nella normatività astratta delle intenzioni: devono necessariamente sostanziarsi ancorandosi al reale dei progetti e delle progettazioni.

Il progetto didattico è il disegno di ricerca e di azione che, coerentemente con il programma di riferimento, determina le strategie operative, le conoscenze e i saperi, i metodi e le tecniche, i sistemi di valutazione e di verifica, a partire da situazioni effettivamente analizzate e ottimizzando le risorse a disposizione. Un progetto deve essere pertinente rispondendo ai bisogni reali dell'utenza, fattibile rispetto alle risorse e praticabile in attività didattiche concrete.

La progettazione è, conseguentemente, l’insieme delle attività volte ad organizzare in modo sistematico le risorse umane e materiali, intellettuali e tecnologiche, disponibili o accessibili, finalizzate alla produzione di modelli operativi (o progetti esecutivi) di interventi didattici.

In generale, ogni attività di progettazione implica: 1. analisi della situazione (globale e specifica); 2. la definizione degli esiti formativi e la calibratura degli obiettivi; 3. l'articolazione degli interventi in fasi, moduli o unità; 4. l'individuazione delle strategie di insegnamento, dei metodi e

delle tecniche didattiche;

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5. la scelta dei media, delle modalità e delle tecnologie di comunicazione;

6. la definizione dei criteri di verifica, degli standard valutazione e degli indicatori di monitoraggio;

7. la distribuzione dei compiti e la ripartizione delle attività.

La progettazione degli interventi formativi si fonda sulla capacità di pensare strategicamente, correlando i fattori complessi dell’apprendimento e dell’insegnamento, nell'organizzazione degli ambienti e delle attività, nella scelta delle priorità, nella produzione dei materiali, nella verifica dei risultati, nella valutazione dell'impatto dell’offerta formativa e nell'analisi degli effetti a medio e lungo termine.

I principi della progettazione

Anche nella scuola si opera per progetti: dai progetti trasversali, condivisi da più docenti, che puntano allo sviluppo di competenze “esistenziali”(per esempio, educazione ambientale, educazione alla salute, progetto comunicazione, ecc.) ai progetti disciplinari che approfondiscono argomenti e competenze marcatamente connessi alle singole materie. Ma come vanno individuati e scelti i progetti didattici?

Sulla scorta delle formulazioni relative all’ingegneria della progettazione di Morris Asimow (1986) ripercorriamo i principi della progettazione contestualizzandoli in ambito scolastico. a) Bisogno. La progettazione deve essere una risposta a bisogni individuali o sociali

che possono essere soddisfatti dall'offerta formativa della scuola. Non si possono attivare progetti non suffragati da attente analisi dei bisogni.

b) Realizzabilità materiale. L'obiettivo di un progetto è un bene o un servizio che deve essere materialmente realizzabile. Il “bene” dei progetti didattici è rappresentato dallo sviluppo delle competenze negli allievi: se il miglioramento nella competenza non è materialmente realizzabile il progetto va scartato.

c) Validità economica. I risultati raggiunti con il progetto devono essere superiori a quelli ottenuti in precedenza a parità di costi. Il nuovo progetto deve garantire un valore aggiunto nell’apprendimento degli studenti e un’economia di sforzi nell’insegnamento.

d) Fattibilità. Le operazioni di progettazione e di attuazione dell'intervento formativo devono essere sostenibili dall’organizzazione scolastica in termini economici e logistici, nelle risorse professionali, interne ed esterne alla scuola.

e) Ottimalità. La scelta di un'idea (da sviluppare in progetto) dev'essere ottimale fra le alternative possibili; così la scelta di realizzare un progetto dev'essere ottimale fra tutti i progetti realizzabili. Questo principio implica la collegialità nell’ideazione, nella scelta e nell’implementazione dei progetti.

f) Criterio di progettazione. Rappresenta il compromesso tra gli eventuali giudizi di valore contrastanti espressi da coloro che partecipano sia alla produzione che alla fruizione del progetto. In una scuola il criterio di adozione e di calibratura di un progetto è dato dall’equilibrio tra i giudizi di valore tra docenti e studenti. Se gli studenti non sono semplici fruitori ma anche produttori del progetto, si riduce la conflittualità.

g) Morfologia. Progettare significa passare da un’idea alla sua realizzazione tangibile. La morfologia rappresenta la dimensione verticale della struttura progettuale, nella progressione dall'astratto al concreto. Sono molte le idee dei docenti: almeno una va materializzata, contestualizzata, resa operativa.

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h) Procedura di progettazione. Rappresenta la dimensione orizzontale della struttura progettuale: la progettazione procede per fasi in modo iterativo, ed è orientato verso la soluzione del problema. Una volta apprese e consolidate le procedure di progettazione diventano meccanismi mentali che facilitano il transfer nell’analisi e nella soluzione dei problemi.

i) Sottoproblemi. Ogni problema nasconde un substrato di sottoproblemi: la soluzione del problema originale dipende dalla soluzione dei sottoproblemi che lo compongono. Non si tratta di semplificare la realtà, ma di sezionarla. Un progetto trasversale, ad esempio, potrà richiedere soluzioni disciplinari e solo dopo gli interventi nelle specifiche materie si potrà ricostruire una competenza comune.

j) Riduzione dell'incertezza. L’idea progettuale comporta un certo grado di incertezza (il progetto può avere successo o può fallire). L’incertezza progressivamente si riduce nelle trame risolutive del progetto. Paradossalmente anche il fallimento del progetto conduce ad una riduzione dell’incertezza iniziale: quell’errore non sarà più ripetuto.

k) Decisione. Un progetto ha un ciclo di vita, con un inizio ed una fine. Non solo alla conclusione, ma ad ogni fase intermedia della procedura si rende necessaria la decisione: continuare o interrompere? La procedura va interrotta quando c’è la sicurezza del fallimento del progetto.

l) Comunicazione. Il progetto esiste nella misura in cui è conosciuto, e ciò dipende dai modi di comunicazione disponibili. Un progetto esposto in modo narrativo, proposto dall’insegnante di lettere, può apparire prolisso e inconcludente ad uno di matematica, così come un progetto proposto con un diagramma di flusso dall’insegnante di tecnica può risultare schematico e freddo da uno di lingua straniera.

Nella scuola è necessario progettare i percorsi, gli interventi, l’offerta formativa perché è l’unico modo per individuare e per condividere le sequenze più adatte agli obiettivi, agli allievi, alle situazioni. Poiché l'organizzazione delle esperienze di apprendimento è strettamente integrata con l'organizzazione didattica, esistono accostamenti progettuali ormai largamente condivisi, ad esempio: per costruire conoscenze è meglio partire dall'esperienza per poi giungere alla

rappresentazione e alla formalizzazione; per trasmettere conoscenze può bastare anche la lezione, più o meno

interattiva, con l'uso o meno di attrezzature audiovisive o tecnologiche; per costruire abilità è funzionale la sequenza spiegazione – dimostrazione -

esercitazione; per sviluppare competenze sono preferibili procedure di problem solving

collegate all’esperienza degli allievi; per potenziare i sistemi di padronanza vanno moltiplicati i contesti d’uso delle

competenze.

La progettazione implica sempre il riferimento ad una meta, ad un fine. Progettare nella formazione significa, innanzitutto, tradurre in azione formativa intenzionale la volontà di porre in essere una visione del futuro dell’uomo. La progettazione non è quindi riducibile ad una tecnica, benché faccia riferimento ad un complesso di tecniche anche complesse. Essa costituisce il dispositivo attraverso cui si procede all’implementazione di un progetto di società, di uomo, di educazione.

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Esistono molteplici forme di progettazione didattica; prendiamo in considerazione le tipologie più frequentate:

PROGETTAZIONE …

per obiettivi,

per contenuti per concetti

per situazioni, per padronanze

per soggetti in difficoltà.

Le prime tre tipologie (per obiettivi, per contenuti e per concetti), sono progettazioni che si svolgono “a tavolino” e che in genere anticipano le attività in aula3. Le successive tre tipologie di progettazione (per situazioni, per padronanze e soggetti in difficoltà), a differenza delle prime, si caratterizzano per la centratura sull’allievo e sui suoi processi di apprendimento, nonché sulla contemporaneità tra azione progettuale e azione formativa. In questi casi la progettazione si svolge secondo le modalità della ricerca-azione.

Ora le illustriamo sinteticamente.

Validi approfondimenti su web:

Il sito HTTP://WWW.EDULAB.IT/METODI/PERCORSO/ del prof. P. Rossi (Università di Udine) è interessante per

Modelli di programmazione

Programmazione educativa e didattica

Mappe - Programmare per mappe

Programmare per obiettivi

Programmare per concetti

Per la progettazione per contenuti (modello della didattica breve) si veda l’analisi del prof. R.Crosio in http://www.valsesiascuole.it/crosior/db/DB.htm

Per la didattica per padronanze si veda l’articolo della prof.ssa I. Dante in:

http://www.univirtual.it/feuerstein/download/processi2.doc

Per la progettazione individualizzata a soggetti con disabilità si veda:

http://www.csa.tv.it/handicap/pep.asp

3 La progettazione per concetti, in realtà, si effettua sia prima (definizione della mappa

concettuale) che durante l’azione con gli studenti.

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PMI 05-10

5.3 PROGETTARE PER OBIETTIVI: LA TECNOLOGIA DELL’INSEGNAMENTO4

Progettazione per … Obiettivi – risultati, osservabili e misurabili Focus Unità didattica, progetto didattico Azioni dell'allievo Rispondere agli stimoli proposti con comportamenti

conformi, prestazioni Azioni dell'insegnante

Predisporre procedure e routine di insegnamento. Condurre, guidare, somministrare, verificare

Processo formativo Insegnamento trasmissivo. Apprendimento riproduttivo

Obiettivi In scansione gerarchica. Predeterminati. Misurabili. Classificati in tassonomie

Parametri valutativi Normativi (con elaborazioni statistiche) Elementi critici Rigidità dell'offerta didattica. Prevalenza

dell'obiettivo e del risultato, inconsistenza dei processi. Anticipazionismo: il risultato dell'azione didattica è definito a priori, e va comunque raggiunto

Elementi di interesse Efficienza e rapidità dell'acquisire conoscenze e abilità, comportamenti “obbligati” (nell'addestramento), meccanismi necessari all'autonomia della persona (con soggetti in situazione di handicap)

4 Per lo studio è sufficiente questo testo. Per l’approfondimento delle tipologie di

progettazione si può fare riferimento ai riferimenti web su indicati o ai libri: F. Tessaro, Metodologia e didattica dell’insegnamento secondario, Armando Editore, Roma 2002 (cap. 3). M. Baldacci (a cura di), I modelli della didattica, Carocci, Roma 2004.

Modello curricolare : Lineare - Tecnologico

5. VERIFICA

1. OBIETTIVI

2. REQUISITI

4. METODI 3. CONTENUTI

UNITA’DIDATTICA

(UD)

UD 1 UD 2 UD 3 UD 4 UD n

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PMI 05-11

5.4 PROGETTARE PER CONTENUTI: L’ESSENZIALITÀ DELLA CONOSCENZA

Progettazione per … Contenuti di insegnamento (es. didattica breve) Focus Materia – disciplina Azioni dell'allievo Imparare le conoscenze fondamentali della materia Azioni dell'insegnante

Selezionare i contenuti (distillazione) mediante analisi disciplinare

Processo formativo Insegnamento sintetico, specialistico. Apprendimento delle conoscenze basilari

Obiettivi Conoscere i contenuti Parametri valutativi Verifica dell’acquisizione dei contenuti Elementi critici Banalizzazione e staticità dei saperi. Riferimenti alle

sole conoscenze specialistiche. Mancanza di transfer. Assenza del soggetto che apprende, delle situazioni esistenziali, di metodi diversi da quelli disciplinari.

Elementi di interesse Ricerca dell’essenzialità. Esplicitazione degli oggetti culturali fondamentali. Elencazione chiara dei contenuti.

Modello curricolare: Contenutistico - Sequenziale

Arg. 1 Arg. 1.2

Arg. 2

Arg. 1.3

Arg. 2.1

Arg. 1.4 Arg. 1.5 Arg. 1.6

Arg. 2.3 Arg. 2.4 Arg. 2.5 Arg. 2.6

Arg. 3Arg. 3.1 Arg. 3.4 Arg. 3.5 Arg. 3.6

Arg. 4Arg. 4.3 Arg. 4.5 Arg. 4.6Arg. 4.2

Arg. 3.1

Arg. 4.1

Arg. 5Arg. 5.4 Arg. 5.6Arg. 5.1 Arg. 5.3Arg. 5.2

Arg. 6Arg. 6.5Arg. 6.1 Arg. 6.2 Arg. 6.4Arg. 6.3

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PMI 05-12

5.5 PROGETTARE PER CONCETTI: L’EPISTEMOLOGIA CLINICA

Progettazione per … Reti di concetti e strutture cognitive Focus Mappe concettuali – Matrici cognitive Azioni dell'allievo Partecipare con i propri saperi, individuare le

connessioni, produrre concetti Azioni dell'insegnante

Predisporre le mappe concettuali, coordinare la conversazione clinica, predisporre protocolli di osservazione e registrazione, costruire archivi di esperienze didattiche

Processo formativo Procede per implementazioni regolate dei saperi Obiettivi Sono filtrati dalle conoscenze degli allievi e

dall'analisi disciplinare Parametri valutativi Centrati su criteri docimologici Elementi critici Scarsa attenzione agli aspetti non cognitivi del

soggetto. Può mascherare metodi tradizionali di tipo trasmissiva

Elementi di interesse Mediazione tra epistemologia disciplinare e sistema cognitivo dell’allievo. La progettazione continua nell’azione didattica

5 -

5 Si veda: Mappe, complessità, strutture di comprensione di Mario Gineprini e Marco

Guastavigna su http://www.noiosito.it/mcsc.htm

Modello curricolare: Strutturalista - Concettuale

NODO 1

NODO 4

NODO 5 NODO 3

NODO 2X

XX

X

X

X

X

X

X

X

X

X

X

X

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PMI 05-13

Per approfondire:

da ELIO DAMIANO (a cura di) Insegnare con i concetti (Un modello didattico tra

scienza e insegnamento), SEI, Torino, 1994.6

Dalla parte prima 1. Insegnare con i concetti. Sviluppo di un modello didattico (di ELIO

DAMIANO) (pp. 5-42)

§ 5. Progettare l'unità didattica

5.1 La "mappa concettuale" e la "rete concettuale" (pp. 24-25)

La mappa concettuale rappresenta l'ordine delle relazioni proprie dell'argomento da affrontare, il concetto/i concetti, i loro attributi, le funzioni che li legano fra di loro.

L’insegnante ha presente la struttura delle relazioni da costruire con l'unità didattica (UD), non vede solo gli elementi e le relazioni singole, bensì; la figura logica nella sua totalità. Una volta stabilito quale capitolo della disciplina intende svolgere - ricavando tale scelta dalle fonti ufficiali dell'insegnamento, i programmi, oppure dalla sua conoscenza della materia o ancora dalla sua esperienza professionale (solitamente da tutt'e tre queste fonti)- è opportuno che si familiarizzi con l'argomento, documentandosi quanto la diligenza professionale gli consiglia; e lo organizzi spazialmente secondo la struttura che gli è propria. Si presume che più tale struttura sia chiara e trasparente nel suo ordine all'insegnante, meglio egli sarà in grado di percorrere, insieme agli alunni, secondo itinerari necessariamente lineari, la complessità reticolare del concetto, mantenendo l’orientamento, fissando opportunamente punti di riferimento nelle svolte principali, in modo da riannodare i legami, una volta costruiti. tutti gli elementi che compongono la struttura.

Di qui la denominazione di mappa: schema operativo, organizzato in modo tale da tenere presenti le tappe principali, i punti del territorio mirato da presidiare con attenzione, nel quadro di una strategia didattica che non vuole trascurare gli aspetti essenziali, senza dei quali l'alunno non può giungere a padroneggiare l'argomento.

La rete concettuale rappresenta, invece, l'ordine delle operazioni da seguire per cogliere, uno dopo l'altro, da parte degli alunni, gli elementi del concetto e le loro relazioni.

Rispetto alla "mappa", la "rete" dipende dalle decisioni prese circa l'effettivo percorso da seguire: i raccordi fra gli elementi discendono dalla logica dell'insegnamento/apprendimento, il prima ed il dopo non si basano sulle gerarchie intrinseche al concetto (cui pure al termine dovranno poter arrivare), bensì fondano sui processi di concettualizzazione propri dell'età degli alunni, tenendo conto dei loro pre-concetti e mis-concetti, delle attrezzature e dei materiali didattici, dei tempi a disposizione, del numero degli alunni e dei raggruppamenti praticabili. In sintesi, di tutte quelle contingenze che definiscono l'azione specifica dell'insegnare, la professionalità propria dell'insegnante.

Per questo motivo la "rete" è più dettagliata, si chiama così proprio perché - a differenza della"mappa" - tutti gli elementi sono connessi fra loro, si tengono puntualmente senza eccezione. E la "rete" può avere questa configurazione di itinerario di insegnamento/apprendimento, la specificità didattica di cui abbiamo appena detto, perché - rispetto alla "mappa" - l'insegnante può disporre dei dati ricavati dalla ricognizione effettuata presso gli alunni: la conversazione clinica.

Questa, che è l'ultima delle tre operazioni della progettazione dell'UD, si dispone a metà, come mediazione, tra "mappa" e "rete"; è evidente sin da ora la sua funzione: prendere atto degli schemi d'assimilazione già costruiti dal soggetto in apprendimento – quella che si chiama la sua matrice cognitiva - perché è da quelli che si potranno generare, per accomodamento e sviluppo, gli schemi attesi dall'insegnante, quelli predisposti nella "mappa" concettuale.

5.2 La conversazione clinica (pp. 25-31)

L'attività cognitiva è connaturata al fatto stesso di vivere, impegno necessario per far fronte ai problemi quotidiani, e conoscere è in ogni caso raccogliere informazioni selezionate, finalizzate a controllare l'esperienza e a scambiarla con altri, per incrementarla.

Come abbiamo già visto in precedenza, la concettualizzazione è da considerare un essenziale compito di sviluppo, proprio di tutte le età: la scuola è tenuta ad innestarsi su questo processo "naturale" e a promuoverlo secondo modalità tipiche, che recano le tracce inconfondibili dell'istituzione

6 Per approfondire la didattica per concetti: J.D. Novak e D.B. Gowing, Imparando a

imparare, SEI, Torino 1993. J.D. Novak, L’apprendimento significativo. Le mappe concettuali per creare e usare la conoscenza, Erickson, 2001

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PMI 05-14

in cui si compiono, luogo separato dall'esperienza immediata e luogo analitico, dove predomina la lingua scritta, codice che sostituisce la globalità del vissuto con unità simboliche astratte, segmentarie, variamente combinabili fra loro. L'alfabeto, e i processi di alfabetizzazione, spiegano un secondo tipo di conoscenza, quella "scolastica", appunto, che consiste nella produzione di concetti certamente imparentati con quelli "spontanei", ma che - a certi livelli di elaborazione, quelli che chiamiamo solitamente come "scienza" ovvero "sapere per eccellenza" - appaiono ben lontani e quasi incommensurabili con gli altri, dai quali pur discendono.

Quali sono le differenze che corrono fra questi due tipi di concetti? Perché arrivano finanche ad opporsi fra di loro, se non a costituire mondi separati, al limite non-comunicanti ?

Le caratteristiche che contraddistinguono i concetti spontanei possono essere riconosciute fra le seguenti:

- i concetti spontanei sono locali, cioè legati alla situazione particolare in cui sono stati costruiti e da questa strettamente dipendenti; per questa caratteristica sono chiusi nel tempo e nel luogo, così come sono limitati al soggetto che ha realizzato l'esperienza, e pertanto restano difficilmente comprensibili fuori della cerchia di chi ha vissuto esperienze analoghe;

- i concetti spontanei sono pragmatici, finalizzati cioè alla soluzione del problema immediato e concreto; ma si tratta di una soluzione valida a condizione che si attuino le medesime contingenze in cui ha originariamente funzionato;

- i concetti spontanei sono aggregati, cioè sono debolmente legati fra di loro, costituendosi, giustapposti fra loro, come bagaglio di esperienze disparate, utili ad uno ad uno, come una casistica;

- infine i concetti spontanei sono metaforici, possono essere anche estesi ad un contesto di senso, quello da cui provengono, ad altri, ma soltanto mediante allusioni e suggestioni, magari anche illuminanti.

Non è difficile riconoscere in queste schematiche definizioni i connotati della cultura orale, o più semplicemente quelle forme di sapere non-esperto, asistematico, che ci siamo costruiti per tentativi ed errori nelle aree di vita in cui - per qualche motivo occasionale - non abbiamo potuto o voluto documentarci o effettuare degli studi. Un sapere utile, se non indispensabile, ma del quale non conosciamo le ragioni. Viceversa, il sapere scolastico, o scientifico, è costituito di concetti sistematici, cioè a tendenza generale e universalistica, validi a prescindere dal contesto in cui sono sorti; è esplicativo, perché si produce attraverso la ricerca dei riscontri di fatto che lo rendono "vero" rispetto alla realtà di riferimento; è coerente perché ha la propensione a strutturarsi gerarchicamente ed organicamente, oltre che a differenziarsi in settori specialistici; è formalizzato, perché aspira a render conto di se stesso e delle relazioni attraverso le quali si costruisce e si regola.

L. J. Wittgenstein, noto filosofo del linguaggio, che a lungo aveva coltivato il disegno di un linguaggio universale e compiuto, capace di rappresentare senza sbavature i prodotti del pensiero, ha finito con il riconoscere la natura composita dell'attività cognitiva che nel linguaggio si manifesta, che giunge a raffigurare come una vecchia città: un dedalo di stradine e di piazze, di case vecchie e nuove addossate le une alle altre, di case con parti aggiunte in tempi diversi, adattate alla morfologia del terreno; da cui spesso riprende i materiali di costruzione, arrivando a confondersi con le forme del paesaggio. Il tutto però circondato da una rete di nuovi sobborghi con case diritte e regolari, uniformi, che per la loro posizione, struttura, materiali di costruzione sembrano non solo sfidare l'ambiente, ma in varia misura dominarlo incontrastate.

Data la natura così distante, in apparenza, dei due modi di strutturazione, l'insegnante si comporta non di rado come l'urbanista che erige nuovi quartieri a netta distanza da quelli antichi, lasciati in abbandono, oppure - indifferente alle vestigia del tempo remoto - eleva grattacieli sulle macerie che ritiene inutilizzabili. Ma la concettualizzazione spontanea del soggetto in età evolutiva non è materia inerte, né è un processo immediatamente controllabile da parte delle conoscenze pur rigorose imposte dall'insegnamento; si vengono a creare così scomparti cognitivi separati, conviventi fianco a fianco, con varie interferenze, per le quali - se la scolarizzazione non prosegue con successo oltre una certa età - la conoscenza originaria rivela tutta la sua tenacia finendo addirittura con il prevalere sulle strutture nuove e surrettizie.

Sono fenomeni regolarmente accertati, presso soggetti adulti, finanche a lungo corso di scolarizzazione secondaria e post-secondaria: il permanere di concezioni naif in fatto di teorie fisiche, chimiche, cosmologiche e, perché no, religiose, con tracce estrinseche di magismo e antropomorfismo... Di qui la necessità di accertare, scavando, le forme del pensiero originario.

L'idea di esplorare il mondo ingenuo, ma autentico, del pensiero infantile, è nata insieme alla psicologia, ma a lungo si è realizzata attraverso l'interrogatorio degli adulti, l'analisi delle loro memorie ed introspezioni, materiale non propriamente affidabile, come si può capire. (p. 27) Un altro metodo per penetrare il mondo infantile era – ed è – quello dei reattivi o test, che consiste grosso modo nel porre le stesse domande nello stesso modo a tutti i soggetti del campione prescelto.

…………………………………………..

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PMI 05-15

p. 31

5.3 I "blocchi" dell'UD

Come già anticipavo, la "rete concettuale" rappresenta la soglia che connette da una parte i risultati attesi dall'UD - i concetti che ci aspettiamo gli alunni padroneggino al termine dell'UD - e dall'altra le azioni che siamo determinati a compiere, in rapporto con la scolaresca, per giungere progressivamente al traguardo mirato. Nel caso di UD ordinate "per concetti", è opportuno progettare le operazioni di insegnamento secondo delle tappe di avvicinamento, che convenzionalmente denominiamo blocchi (vedi fig. 3).

Un primo blocco riguarda l'esplorazione dell'argomento affrontato dal punto di vista del senso comune, cioè dell'esperienza di vita, diretta e indiretta, e dell'ambiente degli alunni; è propriamente la sistemazione dei dati raccolti mediante la conversazione clinica, cioè la loro catalogazione riferita alle argomentazioni addotte ed alle condizioni per la loro verifica o le ragioni della loro plausibilità

insieme alle contraddizioni che comportano ed ai problemi che sembrano lasciare insoluti.

L'ordine di presentazione dei tre blocchi non è necessariamente un ordine "didattico"·

Certamente un approccio lineare e progressivo all'insegnamento potrebbe seguire l'itinerario indicato.

Un secondo blocco tocca la raccolta mirata di esperienze utili a mettere in crisi le credenze del senso comune; possono essere raccolte direttamente nell'esperienza, prodotte attraverso letture e documentazioni da varie fonti. Il loro numero ed il tipo dipendono dalla diagnosi originaria, dal contenuto affrontato, dalle aspettative della progettazione, da quel sistema di variabili che abbiamo già denominato condizioni d'esercizio e condizioni rilevanti dell'azione formativa. Quello che conta è che siano "critiche", cioè tali da entrare in conflitto oppure estendere ragionevolmente l'orizzonte a quelle esperienze capaci di destabilizzare le credenze spontanee o di raffinarle in ordine al concetto da costruire; ma anche il numero, la massa di informazioni dev'essere “critica”, cioè sufficiente a sbilanciare la base informativa sulla quale si era costituita la credenza diagnosticata. Non è quindi la quantità, per sé, bensì la sua potenzialità di "prova cruciale", (p. 32) essenziale ma chiaramente finalizzata, rispetto al problema da risolvere ed alle attese da soddisfare.

Infine un terzo blocco riguarda la definizione sistematica del concetto in questione e dei concetti correlati. I criteri di conduzione segnalano l'importanza di sostenere la concettualizzazione degli alunni nel modo seguente:

- la differenziazione progressiva delle informazioni, che prevede il passaggio dall'insieme alle parti, da un nucleo funzionale globale alle sue articolazioni interne;

- la conciliazione integrativa fra i nuovi schemi concettuali e quelli precedenti, in un raccordo continuo attento a segnalare i nessi ed i collegamenti;

- la discriminazione specificante fra i nuovi schemi e quelli precedenti, per evidenziarne le differenze e gli aspetti che li distinguono.

Integrazione e discriminazione sono due operazioni opposte e complementari, i due ''pedali" della differenziazione che stanno ad indicare il ritmo dell'organizzazione cognitiva, continuo / discontinuo, finalizzato a distinguere e ad unire le conoscenze per espandere la matrice cognitiva originaria.

La distribuzione puntuale dei contenuti dev'essere accompagnata dall'uso ricorrente di organizzatori: si tratta di rappresentazioni semplificate dei concetti in elaborazione, di tipo percettivo - come schizzi o illustrazioni mirate - o di tipo logico - come schemi, diagrammi, matrici con l'uso di vettori ed altri connettivi - o di tipo sistematico, come tavole, sinossi, che servano a ricapitolare sinteticamente il percorso, magari complesso, della concettualizzazione in atto lungo le diverse fasi di lavoro. Lo scopo di questi "organizzatori" è palese, essi servono a strutturare i vincoli spazio-temporali e via via simbolici fra gli attributi definienti dei concetti in costruzione.

La transizione dall'organizzazione fisico-percettiva delle conoscenze a quella logico-simbolica comporta, nella prospettiva della didattica per concetti, un approccio pluralistico ai metodi d'insegnamento: non si dà un metodo privilegiato, pur riconoscendo una supremazia di diritto al

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PMI 05-16

linguaggio come canale di trasmissione delle conoscenze; piuttosto si punta sull'integrazione di metodi diversi, tutti ordinati a perseguire il raggiungimento della comunicazione mediante simboli astratti.7

(p. 33)

La scala progressiva, che distribuisce i codici di rappresentazione della realtà ai fini dell'insegnamento, vede al primo posto i mediatori attivi, i più vicini ai copioni della rappresentazione fisico-percettiva; seguono i mediatori iconici, che sostituiscono agli oggetti le loro immagini, relativamente dipendenti dagli oggetti reali ma già interne ad un codice arbitrario (vedi le leggi di prospettiva, le riduzioni e le proporzioni, ecc.) che li fanno già prossimi al linguaggio verbale; vengono quindi i mediatori analogici, fondati sulla "simulazione" e sul gioco (dalla drammatizzazione fino al role-playing ed ai giochi di simulazione di varia complessità); infine i mediatori simbolici, dove l'uso della parola e di simboli astratti è dominante.

Lungo questa progressione si compie lo sviluppo dagli attributi fisico-percettivi a quelli logico-simbolici; l'integrazione di questi metodi vede sia il loro uso distinto e successivo, come anche l'uso integrato e simultaneo dei diversi metodi (azioni con immagini, simulazioni con azioni e immagini e così via, nelle possibili combinazioni).

In questo senso, la "didattica per concetti" si caratterizza nettamente rispetto alla "didattica della scoperta", che tende a privilegiare i metodi attivi (pur non potendo escludere il ricorso agli altri metodi, ovviamente). L'adozione sistematica dell'intero spettro dei metodi rappresentativi e la loro subordinazione dichiarata rispetto al metodo simbolico costituiscono dunque una qualificazione caratterizzante della didattica per concetti.

La sequenza dei tre blocchi non è necessariamente lineare, nell'ordine in cui sono stati indicati; né è detto che i tre blocchi corrispondano a segmenti del percorso nettamente distinti fra loro, anzi si dà il caso frequente di contaminazioni - sempre feconde – fra i tre ambiti di esperienza didattica, soprattutto si distribuisce lungo l'itinerario il blocco numero tre, quello relativo alla costruzione della definizione.

Punto di partenza e successione dei blocchi non sono determinabili a priori, data la circolarità del processo suggerito: quello che sarebbe scorretto è l'esclusione di uno dei tre; d'altra parte, il blocco caratterizzante, ed irrinunciabile, è sempre il terzo, quello della definizione degli attributi del concetto mirato. Più che della sequenza dei blocchi, da decidere in sede di predisposizione della "rete concettuale", l'insegnamento e la sua qualità dipendono strettamente dalla varietà e dalla combinazione dei mediatori adottati, in riferimento al potenziale di ciascuno di questi di porsi a supporto della conoscenza della realtà, nella prospettiva di sostenere adeguatamente la padronanza concettuale dell'esperienza. Più ampia è la gamma dei mediatori, più vario l'uso incrociato dei vari tipi, più agli alunni sono consentite operazioni diversificate di apprendimento, più efficace risulta l'organizzazione cognitiva che denominiamo concettualizzazione. Ovviamente ciascun mediatore ha anche i suoi costi cognitivi, da scegliere per renderli compatibili con le condizioni, i vincoli, i tempi di lavoro, i ritmi e gli stili cognitivi degli alunni: ma è indubbio che la composizione differenziata dei mediatori è raccomandata per i risultati d'ordine concettuale. Sotto questo profilo, la "didattica per concetti" è da considerare metodologicamente eclettica, non esprime privilegi per l'una o per l'altra tecnica operativa, ma tutte le adotta e, soprattutto, le gerarchizza in funzione della competenza simbolica, vista come il traguardo - quale che sia il tragitto - da raggiungere. Così, vedremo, il verbalismo può essere temuto come il rischio immanente della "didattica per concetti", se non fosse adeguatamente sostenuta da una chiara consapevolezza dell'integrazione opportuna delle operazioni d'insegnamento/apprendimento.

5.4 Una tassonomia per la valutazione dei concetti

Prima di accedere al tema della valutazione nella didattica per concetti è utile fare il punto sul problema della valutazione in generale, a proposito della specificità di questa operazione nel campo della didattica di scuola. E’ un tema quanto altri mai controverso, che tocca - al di là del lavoro in aula - le funzioni della scuola nella società e il ruolo organizzativo, oltre che professionale in senso stretto, dell'insegnante. (p. 34)

Le concezioni della valutazione sono, per di più, in stretta correlazione con i modelli didattici adottati; si danno delle teorie dell'insegnamento “razionale”, come la “pedagogia per obiettivi”, presso la quale la valutazione assume una portata eminente, più che per altre; ma anche presso la didattica della “ricerca” la valutazione gioca una parte rilevante, nel quadro della centralità riconosciuta al soggetto in formazione. È opportuno quindi tener conto della ricerca didattica nel campo della

7 Cfr. E. DAMIANO (a cura di), I mediatori didattici. Un sistema d'analisi dell'insegnamento,

Milano, IRRSAE-Lombardia, 1989; E. DAMIANO, L'azione didattica, o.c.

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valutazione, in modo da completare l'indagine sui modelli anche da questo punto di vista.8

Mentre rinviamo ad analisi svolte altrove l'indagine sulla corrispondenza tra modelli didattici e concezioni della valutazione, segnalando gli equivoci di una valutazione che prescinda da una teoria dell'insegnamento, così come l'ambiguità delle funzioni della valutazione, sempre a cavallo tra scuola e società esterna alla scuola, qui ci concentriamo sui modi procedurali della verifica didattica.

Questi si possono classificare fondamentalmente in due tipi, identificabili come approccio oggettivo e approccio idiografico (essi stessi, comunque, in stretta relazione con riconoscibili teorie dell'insegnamento).

Si tratta di due modalità nettamente caratterizzate di affrontare il problema della valutazione: da una parte l'impostazione docimologica classica, ad orientamento generalizzante. Siamo di fronte alla ricerca del rigore e dell'oggettività, portata avanti secondo una forma di razionalità che tende ad uniformare le procedure, fondando sulla persuasione che, come la valutazione, anche l'azione didattica - quale che sia la disciplina d'insegnamento ed il contesto sociale in cui si compie - possa essere definita secondo regole comuni, ed efficacia, appunto, generale; né fa differenza la scala cui si applica, se micro - a livello di aula e di scuola - o macro - a livello di sistema scolastico o addirittura di comparazione internazionale.

Dall'altra parte quella che esprime il punto di vista in qualche senso opposto, ad orientamento idiografico. È l'impostazione secondo la quale la didattica è una disciplina clinica, legata al contesto particolare in cui si compie ed ai soggetti che entrano in interazione fra loro, quell'insegnante e quegli alunni, per altro considerati in quello specifico momento della loro relazione.

Qui la valutazione assume una conformazione storica e narrativa, diventa insieme l'intelligenza tattica del docente e l'appello al confronto con quanti sono impegnati, altrove, nello stesso compito educativo, consapevoli delle differenze e delle varianti cui sono tenuti dalle diverse situazioni operative, ma anche convinti della possibilità - a certe condizioni - di rendere trasferibili le loro esperienze.

Un indicatore evidente delle differenze fra i due approcci riguarda l'uso dei numeri nella valutazione: presso l'orientamento universalizzante, il numero non solo ricorre regolarmente e comunque rappresenta l'aspirazione massima consentita dall'attività didattica; per l'orientamento idiografico il numero risulta pressoché assente, sostituito espressamente da griglie analitiche, di tipo qualitativo, perché ritenuto non necessario, se non riduttivo della peculiarità dei fatti indagati dalla valutazione.

Perché la valutazione possa essere una dimensione effettivamente integrata nell'azione e nella teoria educativa, è indispensabile procedere ad alcune precisazioni, dopo l'indagine svolta fin qui.

Cominciamo con lo stabilire che cosa valutare: a differenza di quanto solitamente si pensa, non è l'alunno l'oggetto della valutazione, bensì l’insegnamento. Se tale distorsione ha potuto compiersi, ciò è dovuto al fatto che alla scuola sono state assegnate altre funzioni - come la selezione, la certificazione degli studi conseguiti ed altre ancora - che sono da considerare accessorie, comunque non intrinseche dell'attività valutativa, che di per sé costituisce essenzialmente l'intelligenza didattica. E si sa che è intelligente non chi riesce a non commettere errori oppure chi - come le macchine - non può commetterne, (p. 35) bensì chi - avendone commessi - riesce a capire perché e magari ad evitarne di analoghi in seguito, appunto, alla valutazione.

La valutazione va effettuata non “in qualsiasi modo”, oppure secondo le stesse modalità, quale che sia l'impianto dell'insegnamento; al contrario, va eseguita:

- in riferimento al modello didattico adottato; e se si tratta della “didattica per concetti”, è su questo schema operativo che va declinata la valutazione;

- in ordine alle operazioni didattiche effettivamente compiute, e non soltanto in base agli obiettivi previsti (a meno che si ritenga, credo erroneamente, che l'insegnamento sia la "causa" necessaria e sufficiente dell'apprendimento, ovvero che questo - una volta progettato l'insegnamento - rappresenti l'esito scontato delle azioni preventivate);

- accompagnando tutto il percorso nelle sue svolte principali, esplicitando le decisioni assunte e argomentandole nella loro discrezionalità riferita al contesto ed alle opzioni dell'insegnante.

Se la valutazione si limitasse ad accertare semplicemente i “'prodotti”, cioè i risultati dell'apprendimento, senza identificare le operazioni intercorse fra insegnante e alunni, non si riuscirebbe a spiegare l'accaduto, successo o insuccesso che sia, tanto meno a stabilire come agire di conseguenza. Il che equivale a vanificare il senso dell'attività valutativa.

8 Cfr. E. DAMIANO, L'azione didattica. Per una teoria dell’insegnamento, Roma, Armando,

1993

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Il secondo aspetto della questione da stabilire è come valutare. Va da sé che la valutazione - per le risonanze di colpevolezza che riesce regolarmente a provocare – deve sottomettersi obbligatoriamente alle esigenze di rigore ed oggettività; e tuttavia va chiarito che questo non comporta necessariamente l'uso dei numeri e della statistica. Queste tecniche di misurazione sono da considerare forzose, perché i fenomeni cui si applicano ben di rado consentono di essere rappresentati con i numeri; quello che è irrinunciabile, invece, è che la misurazione sia affidabile e sensibile, ovvero che sia in grado di rendere conto degli aspetti valutati per quello che sono. In altre parole, sono le misure che devono adeguarsi ai fenomeni cui si applicano, e non viceversa.

Ciò detto, possiamo venire fino ai criteri di valutazione: come sappiamo, questi sono di tre tipi.

a) Il primo è riferito alla norma, ovvero ad un gruppo di riferimento determinato come “campione” esterno; senza scendere nei dettagli, che ci porterebbero lontano (com'è possibile che un gruppo diverso funzioni da termine di paragone? potrebbe essere, a condizione che sia perfettamente uguale a quello da valutare, oppure che si tratti di un modello obbligante...).

Evidentemente, questo criterio rimanda alla funzione di selezione, che sappiamo non intrinseca alla valutazione in sé, né necessaria come finalità della scuola; di fatto è derivato, come criterio, dalla formazione professionale, dove serve per il reclutamento del personale (ma anche in questo contesto si possono sollevare non poche perplessità.

b) Il secondo criterio è quello dello standard, ovvero ordinato rispetto ad un punteggio prestabilito come necessario traguardo da conseguire. Come si può intuire a prima vista, anche in questo caso si tratta della funzione di selezione, più in particolare della competizione che si ritiene di instaurare all'interno della scuola. Si tratta di una funzione accessoria, comunque discutibile, non intrinseca alla funzione di valutazione; anche a questo proposito la discussione sarebbe oltremodo interessante, ma dobbiamo rinviarla ad altra occasione.

c) Rimane la terza possibilità, il criterio riferito alla padronanza della materia da apprendere. Questo criterio è indubbiamente quello specifico della valutazione in senso educativo-scolastico; negli ultimi tempi coincide con l'adozione di strumenti come le tassonomie, le quali tuttavia non sono generalizzabili - come si è preteso da parte di non pochi (p. 36) valutatori - ma rimandano alla peculiare struttura della disciplina ed al modello didattico adottato.

Per definire la valutazione in riferimento alla “didattica per concetti”, è necessario richiamare la natura dei processi cognitivi che identifichiamo come “concetti”; questi organizzatori cognitivi possono essere considerati:

- prodotti di un processo d'apprendimento specifico, che può essere identificato come tale e attivato nell'interazione scolastica;

- capacità operative riferite ad uno specifico campo d'applicazione, quello relativo alle esperienze, ovvero ai "copioni" a partire dai quali si costruisce;

- elementi costitutivi delle discipline che vengono legittimate a far parte del curricolo scolastico e, in quanto tali, distintivi proprio di ciascuna materia d'insegnamento; che si differenzia dalle altre proprio a ragione dei concetti di cui si costituisce;

- strumento mentale trasferibile da un ambito contenutistico ad un altro e, a certe condizioni, anche da un contesto disciplinare ad un altro.

I concetti hanno un'ulteriore caratteristica che consente loro di prestarsi per la valutazione, vista come classificazione dei risultati d'apprendimento: sono strutture gerarchiche, ordinate cioè secondo un criterio di composizione “ad albero” che procede dal diverso al simile (come quando si ricostruiscono dalla varietà dei copioni i nuclei funzionali comuni) e dal semplice al complesso (come quando i concetti si associano fra loro per costruire “reti” e “mappe” concettuali).

In definitiva, se i concetti si definiscono secondo una scala progressiva e comprensiva - quello che precede si struttura e fa crescere la competenza concettuale susseguente - essi possono valere come demarcazione di livelli d'apprendimento successivi.

Ed è quello che ci si aspetta di fare per controllare i progressi degli alunni nella padronanza di una materia d'insegnamento.

Il concetto è una categoria comprendente un insieme di proprietà similari che giustificano l'appartenenza ed il raggruppamento di elementi in una stessa classe; esso si forma attraverso un seguito di classificazioni successive ed una identificazione finale di una categoria, la più adeguata per raggruppare tutti gli oggetti precedenti in un insieme comune. In questo modo, l'acquisizione di un concetto è il risultato di due processi complementari: la generalizzazione, ovvero il raggruppamento di elementi sulla base delle loro somiglianze; la discriminazione, ovvero la distinzione tra gli elementi di un concetto e i non-elementi, quelli cioè che non posseggono gli attributi

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definienti comuni.

Pertanto, al momento dell'accertamento consuntivo dei risultati di una UD, le prestazioni che possiamo attenderci da un alunno sono individuabili fra le seguenti:

I - egli può riconoscere i casi particolari riferibili ad un concetto (generalizzazione);

II - può enumerare le proprietà o gli attributi definienti di un concetto (definizione);

III - può distinguere tra gli elementi pertinenti e quelli non-pertinenti di un concetto (discriminazione);

IV - può applicare un concetto per risolvere un problema che comporta per la sua soluzione l'uso corretto di quel concetto (applicazione);

V - può applicare il concetto in un altro contesto di contenuti o altra materia scolastica (transfer scolastico);

VI - può applicare i concetti appresi a scuola in contesti extrascolastici, nella vita quotidiana (transfer extrascolastico);

VII - può trasferire i concetti appresi in un contesto analogico, cioè in senso metaforico o figurato, mantenendo la consapevolezza della demarcazione rispetto al campo logico di applicazione (transfer analogico); (p.37)

VIII - può formulare giudizi sulla corretta applicazione di un concetto ad un contesto ed argomentare le ragioni della sua valutazione (competenza meta-concettuale).9

Per quanto concerne l'opzione tra approccio generalizzante e approccio clinico, pertanto, bisogna tener presenti queste considerazioni:

a) Innanzitutto va osservato che la valutazione accompagna tutto il percorso dell'UD e si qualifica, a seconda dei passaggi dell'azione didattica, come diagnosi - per gli esiti della conversazione clinica circa i problemi di apprendimento identificati attraverso il confronto con le attese della "mappa" concettuale -, come regolazione delle interazioni fra insegnante e alunni - in particolare al momento di chiudere un blocco ed aprire il successivo, mediante l'uso frequente di tabelle ed altri "organizzatori" percettivi -, come controllo della padronanza concettuale acquisita, eseguito in modo tale - mediante la tassonomia ordinata per otto gradi, la seconda metà dei quali centrata sui processi di "trasferimento" dei concetti ad altri contesti - da favorire la riprogettazione dell'attività didattica successiva.

b) Conseguentemente, la valutazione ha la funzione di rappresentare le articolazioni determinanti dell'azione didattica - potremmo dire la sua "drammatica" - nel senso degli episodi cruciali che ne costituiscono le svolte principali e consentono di cogliere il filo connettivo della storia che si compie a scuola, fra insegnante e alunni.

c) Lungo questa narrazione, ricostruita nella sua "punteggiatura" essenziale, l'insegnante esplicita le sue decisioni e argomenta le sue "tattiche" didattiche, in modo da consentire di far cogliere - innanzitutto a se stesso, quindi all'eventuale collega interessato - il senso dei suoi interventi, le ragioni delle sue "mosse" successive, in definitiva la discrezionalità intelligente del suo comportamento professionale.

d) Il prodotto complessivo della valutazione è il protocollo dell'UD, la pubblicizzazione dell'azione didattica, che si giustifica per la possibilità di costituire un capitale di esperienze ragionate, puntualmente descritte, finalizzato ad incrementare la propria competenza didattica ed a promuovere lo scambio professionale con i colleghi e gli "addetti ai lavori", cioè quanti sono interessati a sapere che cosa succede a scuola, nel lavoro di aula. In questa prospettiva, la valutazione è al servizio della ricerca didattica, per migliorare la conoscenza della pratica educativa e qualificare la produzione di modelli d'insegnamento più efficienti ed efficaci sul piano operativo, più validi in ordine alle attese del pubblico e della categoria.

9 Per una esemplificazione delle prove di valutazione “secondo la didattica per

concetti”, vedi la seconda parte di questo volume; per una sistematica degli strumenti di rappresentazione e controllo delle conoscenze derivati dall'intelligenza artificiale, vedi M. COMOGLIO. «Rappresentazione delle conoscenze concettuali. in Orientamenti Pedagogici, 37, 1990, pp. 1179-1201 e «Modelli di rappresentazione semantica per conoscenze più complesse» in Orientamenti Pedagogici, 38, 1991, pp. 23-62 (con ricca bibliografia).

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PMI 05-20

Esempio di mappa concettuale di intergruppo costruita nell’ambito di un progetto didattico trasversale10.

Mappa strutturale di rappresentazione del testo

5.6

10 ) La mappa è stata costruita da e per gli studenti della II E dell’ITC “V. Bachelet”

(prof.ssa Norma Casilio) nell’ambito del progetto PALMIRA dell’IRRE Lazio.

porta a

Sud delmondo

caus

ata da

curate da

sorgono

positive su

incide

sulla

miglioratada

soddisfattada

ALIMENTAZIONEALIMENTAZIONE

Necessitàbiologica

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AlimentiPrincipinutritivi

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Salute Attivitàsportive

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Malattie

Nord delmondo

nel

per Modelliculturali

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Mass Medianella

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AnoressiaBulimia

Adolescenza

nella

Educazione alimentare

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perTerzo mondoc’èlaFame

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Aiutiumanitari

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si risolvecon

Autoconsapevolezzadei popoli

Colonialismo

provoca

Malattie

nel

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Carenzealimentari

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provoca o o

favoriscespinge a

favorisce

conduce a

richiede

accelera

Fine dell'ultima

glaciazione

Mitezza del clima

migrazione dei grandi animali commestibili

Diminuzione fertilità del

terrenoSeparazione gruppi umani

Riduzione delle piante spontanee

Stanziamenti nelle zone

calde

Migrazioni al Nord

Selezione e protezione

delle piante commestibili

Sviluppo dell'agricoltur

Adattamento ad animali di piccola taglia

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PMI 05-21

PROGETTARE PER SITUAZIONI: L’APPRENDIMENTO INTEGRATO

Progettazione per … Situazioni, contesti, ambienti, sfondi Focus Esperienza del soggetto Azioni dell'allievo Saper analizzare le situazioni, individuare gli

elementi problematici, interpretare la complessità Azioni dell'insegnante

Facilitare e mediare le esperienze, provocare situazioni problematiche, sviluppare la motivazione

Processo formativo È ricerca insieme: senza distinzione di ruoli tra chi insegna e chi apprende

Obiettivi Sono traguardi possibili; dipendono dalle esperienze; possono cambiare se la situazione lo richiede

Parametri valutativi La valutazione è raccolta di giudizi personali Elementi critici Perdita della direzione del curricolo; soggettivismo

esasperato; mancanza di verifica e di controllo; costi elevati; scarsa efficienza

Elementi di interesse Attenzione al soggetto; efficacia dell'apprendimento per esplorazione; importanza della motivazione

Modello curricolare: Sistemico - Relazionale

ALLIEVO

AMBIENTIORGANIZZATIVI

SFONDINARRATIVI

SFONDIISTITUZIONALI

CONTESTIRELAZIONALI

SITUAZIONISCOLASTICHE

SITUAZIONIESISTENZIALI

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PMI 05-22

Approfondimento:

DIDATTICA PER SITUAZIONI / PER COMPITI DI REALTA'

La didattica del compito di realtà è per molti aspetti affine alla metodologia della didattica per progetti, con la quale condivide la problematizzazione del compito, la raccolta di dati e strumenti, l'utilizzo di conoscenze pregresse, l'interdisciplinarità.

Se ne discosta però per un aspetto sostanziale: la progettazione e lo sviluppo del lavoro sono finalizzati alla realizzazione di un prodotto concreto. Il compito di realtà consiste infatti nella commessa di un prodotto che la scuola riceve da parte di un ente esterno, istituzionale o privato, e che deve essere consegnato entro tempi stabiliti.

Compiti di realtà possono essere:

• l'apertura all'esterno della biblioteca scolastica,

• la costruzione di una mappa dei punti a rischio del quartiere,

• l'allestimento di una mostra,

• la produzione di un video o di un depliant per la presentazione della scuola,

• l'adozione di un monumento,

• la costruzione di un ipertesto sulla storia del proprio Comune.

Lavori di questo tipo consentono agli studenti di cimentarsi con problemi reali, per i quali occorre escogitare soluzioni concrete, che rappresentino risposte funzionali a necessità pratiche all'interno o, meglio, all'esterno della scuola. Il compito di realtà costituisce perciò una situazione formativa che soddisfa il bisogno, tipico degli adolescenti, di interagire con la realtà e di modificarla, utilizzando le proprie conoscenze e competenze.

Alcuni particolari compiti di realtà possono essere individuati in base ai diversi indirizzi di studio e tipologia di istituto, così da rispondere alle esigenze proprie di una determinata categoria di studenti valorizzandone competenze professionali specifiche. Ne citiamo qui alcuni a titolo di esempio:

Indirizzo amministrativo

• Rilevazione sul mercato del lavoro a livello territoriale

• Indagine microeconomica per l'avvio di un'attività commerciale

Indirizzo turistico/ Liceo linguistico

• Organizzazione dell'accoglienza in un convegno

Indirizzo chimico • Analisi delle acque di un fiume del territorio

Indirizzo grafico/ Liceo artistico

• Produzione del logo e dei manifesti per una mostra o per un Servizio del Comune

Indirizzo biologico • Controllo qualità nei Servizi della mensa scolastica

Indirizzo informatico • Progetto per la gestione informatizzata della comunicazione fra la scuola e le famiglie degli studenti

DIDATTICA PER PROBLEMI

L'apprendimento per problemi è un metodo pedagogico strutturato, che utilizza come stimolo all'apprendimento un problema, cioè una serie di fenomeni correlati tra loro che necessitano di una spiegazione.

Fasi. La strategia si articola in 4 fasi:

1. individuazione del problema da risolvere, su proposta del docente o dello studente;

2. formulazione del problema e articolazione in sotto-problemi nei termini esatti, tramite la rilevazione dei dati pertinenti;

3. formulazione di ipotesi per la soluzione del problema e dei sotto-problemi tramite l'utilizzo dei dati acquisiti. Le ipotesi vengono schematizzate e rimangono valide finché qualcosa (esperimento, confronto ecc.) non le disconfermi;

4. verifica e validazione delle ipotesi: verrà considerata valida come soluzione del problema l'ipotesi che resiste ai tentativi di falsificazione.

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In particolare la seconda fase assegna un ruolo determinante al docente, perché è il momento in cui occorre definire con rigore scientifico e con proprietà linguistica i dati

Efficacia della didattica per problemi. Lo studente che apprende per problemi:

• utilizza conoscenze già acquisite per individuare possibili soluzioni a problemi concreti;

• modifica e rende più flessibili le proprie capacità;

• scopre conoscenze nuove;

• consolida in modo permanente le conoscenze che già possiede.disponibili ed utilizzabili.

La valenza formativa e orientativa di questa metodologia deriva dal fatto che stimola un insieme di operazioni e comportamenti :

• abitua a mettere a fuoco i problemi più importanti;

• educa alla problematizzazione, alla ricerca, all'approfondimento;

• motiva all'apprendimento;

• fa convergere varie discipline nella soluzione di un problema;

• consente di superare la parcellizzazione dei saperi, il nozionismo e il dogmatismo, in quanto presuppone un lavoro interdisciplinare;

• sviluppa la capacità di costruire modelli;

• abitua al lavoro di gruppo.

DIDATTICA PER PROGETTI 11

All'interno di una didattica orientativa, il lavoro per progetti ha un ruolo di primaria importanza, per lo sviluppo delle capacita' progettuali, decisionali e relazionali.

La didattica per progetti pone lo studente di fronte a situazioni reali, nelle quali la soluzione si trova solo attivando una serie di capacità non necessariamente legate alle discipline.

Il lavoro per progetti:

• esige l'esercizio di più abilità e capacità, sia di tipo cognitivo che relazionale;

• è comprensibile e verificabile nelle sue fasi da parte di chi lo compie;

• fornisce esiti di formazione applicabili anche ad altri contesti.

Caratteristiche di un progetto didattico

• Deve coinvolgere gli studenti fin dall'inizio in tutte le sue fasi, in modo da renderli consapevoli del percorso che stanno effettuando;

• deve svilupparsi attraverso una serie di attività che mettano in gioco in modo creativo le abilità degli studenti, così da evitare una semplice applicazione di procedure già note;

• richiede un lavoro di gruppo;

• deve indurre gli studenti a modificare il proprio comportamento in funzione delle esigenze del progetto, stimolando allo stesso tempo autonomia e collaborazione tra studenti e con l'insegnante;

• deve prevedere dei tempi per la comunicazione sullo stato dei lavori;

• deve indurre gli studenti a considerare il tempo come una risorsa "scarsa" che va ben gestita (nell'esperienza scolastica è una variabile eccessivamente estensibile e difficilmente governata dagli studenti).

Efficacia della didattica per progetti

Lo studente che apprende per progetti:

• assume il ruolo di protagonista valorizzando la sua creatività, le capacità trasversali, gli interessi extrascolastici;

• attiva la sua motivazione, potendo finalizzare i suoi sforzi ad un lavoro concreto che lo coinvolge come persona;

11 Cfr. Franca Quartapelle, Definire il progetto, in AA.VV., Didattica per progetti (IRRSAE Lombardia) Franco

Angeli, 1999.

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• accresce la propria autostima;

• si sente responsabile del lavoro suo e di altri, del prodotto finale, che dovrà essere fra l'altro valutato alla luce della definizione iniziale;

• impara a valutare le risorse che ha a disposizione;

• impara a pianificare un lavoro, a fissare e rispettare le scadenze, a giungere ad un risultato.

La valenza orientativa di questa metodologia sta quindi nel fatto che abitua a:

• finalizzare le risorse;

• valorizzare le competenze operative;

• riflettere sui percorsi di scelta e legarli alle proprie conoscenze, competenze, attitudini e interessi

• motivare a se stessi e agli altri le scelte effettuate;

• lavorare in gruppo;

• cercare informazioni;

• negoziare;

• comunicare efficacemente.

Approfondimenti: IL COINVOLGIMENTO DEGLI STUDENTI

La proposta di avviare un progetto è un'operazione molto delicata.

C'è il rischio che gli insegnanti, ben intenzionati a coinvolgere gli alunni in una attività motivante e sicuri di aver riconosciuto i bisogni che la giustificano, assumano un atteggiamento più impositivo che non propositivo e che si limitino a coinvolgere gli allievi in decisioni marginali.

La negoziazione deve riguardare invece tutti gli aspetti. Gli allievi devono poter diventare consapevoli dei propri bisogni e condividere gli obiettivi.

Occorre quindi che la negoziazione sia attentamente programmata, così da rispettare le esigenze individuali.

Perché la negoziazione venga condotta prescindendo dall'autorità dell'insegnante ci si può avvalere di tecniche che agevolino il confronto e il dibattito, ad esempio:

• un gioco,

• un compito,

• un questionario,

• il lavoro di gruppo,

• il lavoro individuale,

• la discussione collettiva.

Di fatto la negoziazione finisce per condurre a una ri-finalizzazione del progetto, del quale gli alunni assumono concretamente la responsabilità, in modo esplicito nella stipula di un contratto.

5.7 PROGETTARE PER PADRONANZE: LO SVILUPPO METACOGNITIVO

Dagli anni Ottanta, la scuola veneziana di pedagogia sta sviluppando ricerche attorno all’idea di curricolo in una visione complessa e organica dei vari fattori educativi, per promuovere il sistema della padronanze nella persona in apprendimento. Queste ricerche hanno evidenziato una feconda contraddizione: il curricolo è piano perché garantisce la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento, ma è anche continua novità perché è imprevedibile nei suoi effetti formativi nella variabilità dei processi di personalizzazione (Margiotta, 1998).

La contraddizione si compone quando il curricolo si sostanzia nell’allievo: gli esiti formativi sono diversi da soggetto a soggetto, le differenze sono valorizzate

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PMI 05-25

in quanto espressione del talento presente in ogni persona per le forme di intelligenza che predilige, per gli stili di apprendimento che prevalentemente adotta, per il farsi specifico e intrecciato di esperienze e di riflessioni che è andato costruendosi.

In questo senso il curricolo si caratterizza come piano di processi di apprendimento che coinvolge l’allievo: non prevede un percorso uguale per tutti, ma percorsi flessibili, integrati, modulari. Pur progettando per un profilo atteso, sa accogliere e promuovere profili personali emergenti, attraverso un’opportuna organizzazione integrata degli ambienti di apprendimento, dentro e fuori la scuola.

L’azione dell’insegnante, per mezzo di modelli di lavoro che coinvolgono l’allievo, si configura come una didattica per padronanze particolarmente orientata allo sviluppo del soggetto in apprendimento poiché lo considera nella sua completezza e, con esso, persegue il raggiungimento di competenze esperte, consapevoli e autonome. Ci si propone di “accompagnare l'insegnante in un profondo lavoro di riconversione professionale e culturale, offrendogli chiavi di volta non tecnologiche ma culturali, non formalistiche ma epistemologiche, non disciplinaristiche ma metodologiche” (U. Margiotta, 1997, p. 39). Va subito precisato che il concetto di padronanza non si ispira al mastery learning: a differenza di quest'ultimo che stigmatizza l'incapacità di porre l'allievo in condizione di padroneggiare situazioni complesse di apprendimento, il sistema dei modelli di lavoro assume la padronanza nella sua dimensione “sistematicamente metacognitiva e ideativo-immaginativa”, come modelli mentali, ovvero “motori esperienziali che si sviluppano entro reti di conoscenze e di esperienze, e sviluppano essi stessi reti di conoscenze e di esperienze” (ibidem, p. 42).

I modelli di lavoro sono modelli didattici, modelli esperti di insegnamento e si presentano come qualcosa che insieme è un'epistemologia, una progettazione e una metodologia12. In questa prospettiva pedagogico-didattica si considera esperto un modello di lavoro scolastico che si dimostri:

potente quanto alla qualità e alla quantità dei problemi (disciplinari, epistemologici, psicopedagogici, metodologici, didattici) che affronta e risolve;

competente quanto alle padronanze che promuove sia nell'insegnante che nell'allievo, e si dimostri pertanto efficace in riferimento ai risultati dell'apprendimento e allo sviluppo della qualità docente;

economico quanto all’impegno che richiede, a confronto con modelli alternativi; un'azione didattica tutoriale, ad esempio, nel rapporto costi / benefici, risulterà ampiamente efficace ma scarsamente economica.

Il sistema dei modelli esperti muove da una concezione costruttivista, socio-genetica e relazionale della conoscenza, che fa riferimento al pensiero di Popper (1970) e alle rivisitazioni critiche della epistemologia popperiana effettuate da Kuhn (1969) e da Lakatos (1976). L'ipotesi costruttivista rifiuta sia l'opzione innatista, secondo la quale ogni conoscenza deriva dalle caratteristiche genetiche

12 Di per sé l'idea di modello presenta una valenza epistemologica e metodologica peculiare:

si rifà ad un modo di procedere nella conoscenza della realtà che è di tipo sintetico, astratto, strutturato, relazionale e aperto. La mappa è un modello sintetico del territorio di riferimento giacché ne rappresenta soltanto alcuni aspetti e non altri; è un modello astratto poiché utilizza segni e simboli convenzionali in sostituzione degli oggetti reali; è un modello strutturale poiché rende evidenti gli elementi organici e costitutivi del territorio analizzato; è un modello relazionale che collega i diversi elementi mediante correlazioni e connessioni significative; è un modello aperto in grado di dischiudersi in estensione e di affinarsi in profondità.

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e biologiche individuali, sia l'opzione empirista, che considera la conoscenza come un riflesso fedele della realtà oggettiva. Il costruttivismo sostiene che il conoscere è un’attività euristica di progressiva costruzione del soggetto, in virtù delle continue mediazioni cognitive che la sua mente compie nell'incontro e nello scambio con una realtà esterna complessa e mutevole.

I fondamenti epistemologici della prospettiva costruttivista si coniugano con la concezione socio-genetica e relazionale, che concepisce la conoscenza come un processo che si instaura e si sviluppa soprattutto nell'interazione sociale, nella negoziazione con gli altri, per la costruzione di un mondo condiviso di significati. In questo caso è evidente il riferimento a Vygotskij (1980) ma anche agli studi di Gardner (1987 e succ.).

“L’insieme di queste concezioni ha portato la riflessione pedagogica a sostenere una nuova teoria della cultura: una cultura che si esprime come costruzione di un insieme personalizzato, consapevole, responsabile e flessibile di talenti che non siano riservati all'esclusivo uso di una ristretta élite di specialisti o della comunità scientifica ma invece fruibili, quanto ad equivalenza delle competenze, dalla totalità dei membri di una comunità sociale per effetto dell'istruzione” (L. Valle, 1997, p. 83).

Il modello di insegnamento si presenta come una mappa metodologica dell'intervento didattico: l’insegnante che segue la logica dei modelli di lavoro, non percorre un diagramma di flusso con i passi predeterminati, condizionanti e obbligati, tipici delle progettazioni sequenziali; si immerge invece negli spazi euristici di reti concettuali e metodologiche entro cui ha la possibilità di costruire ed inventare molteplici percorsi formativi verso la metà stabilita.

Insegnare con i modelli di lavoro significa utilizzare uno specifico metodo, insieme progettuale e formativo, organizzato in fasi al suo interno, collegato in reti concettuali e in sistemi di padronanze al suo esterno; è predisposto dall’insegnante (con l’impiego di mezzi e strumenti, tecniche e strategie) e nel contempo valorizza l’expertise dell’allievo come contesto di apprendimento per promuovere e perfezionare competenze e padronanze13.

L’uso della metodologia dei modelli di lavoro affina l’attenzione dell’insegnante sui processi che l’allievo attiva per apprendere. In altre parole è molto più attento ai processi che ai risultati, nella piena convinzione che: i risultati dipendono dai processi di apprendimento e non viceversa; dai risultati non si possono inferire automaticamente i processi attivati

dall'allievo; soltanto i processi giustificano e spiegano i risultati.

Un progetto di insegnamento/apprendimento, definito “compito esperto”, è organizzato in fasi didattiche precise che accompagnano l’allievo lungo un percorso che va dalla consapevolezza dei propri saperi naturali fino al riconoscimento autonomo dei principi e delle teorie. Ogni fase è indirizzata allo sviluppo di specifici processi di apprendimento14:

13 Per approfondire la didattica con i modelli di lavoro si rimanda al testo di Margiotta U. (a

cura di), Riforma del curricolo e formazione dei talenti, Armando Editore, Roma, 1997, e alle relative guide in specifici ambiti disciplinari.

14 L’intero compito esperto punta all’acquisizione di soglie di padronanza. Pertanto, è importante non confondere il rigore del modello didattico (quello che viene progettato dall’insegnante) con una rigida gerarchia dei processi di pensiero e di apprendimento nell’allievo. Durante una determinata fase possono attivarsi processi di apprendimento diversi, precedenti o successivi, a quelli specifici di pertinenza di quella fase. Per esempio, durante la fase di mapping, accanto al processo di memorizzazione, possono manifestarsi processi di discriminazione (transfer) o di pensiero procedurale (ricostruzione). In tal caso, un corretto

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PMI 05-27

Fasi didattiche Processi di apprendimento 1. SAPERI NATURALI RICONOSCIMENTO METACOGNITIVO 2. MAPPING MEMORIZZAZIONE – RIORGANIZZAZIONE 3. APPLICAZIONE LEARNING BY DOING – LABORATORIO 4. TRANSFER DISCRIMINAZIONE PER ANALOGIE / DIFFERENZE 5. RICOSTRUZIONE MODELLIZZAZIONE – PENSIERO PROCEDURALE 6. GIUSTIFICAZIONE ARGOMENTAZIONE – PENSIERO LOGICO 7. GENERALIZZAZIONE RICONOSCIMENTO EPISTEMOLOGICO – COSTRUZIONE

La condivisione dei saperi naturali

I saperi naturali sono le esperienze di apprendimento vissute dall'allievo, precedenti allo specifico intervento didattico. L’insegnante propone il compito-progetto (l'argomento o il nodo concettuale), sotto forma di informazioni e di interrogativi tali da sollecitare gli interventi degli allievi, cui viene chiesto di rievocare e di esporre le proprie idee in merito; gli allievi devono essere liberi di esporre idee, ipotesi personali, concezioni ingenue, spontanee, inesperte; l'insegnante insieme agli allievi favorirà i collegamenti e le relazioni tra diverse posizioni, per costruire insieme la mappa cognitiva dei saperi naturali del gruppo15. In questa attività tutti i processi cognitivi, emotivi, relazionali e contestuali dell’allievo vengono sollecitati; la sua curiosità accesa, la sua autostima valorizzata. Si apre una conversazione guidata dall’insegnante nella quale i saperi degli allievi sono raccolti, trascritti su cartellone, confrontati e discussi, per arrivare ad una condivisione sui concetti di base, rappresentati nella mappa dei saperi del gruppo. Non si tratta di verificare i tradizionali prerequisiti considerati, in una concezione tecnocratica, come condizione antecedente e necessaria al trattamento didattico degli obiettivi previsti. Si tratta invece di riconoscere ciò che l’allievo sa e sa fare rispetto a quanto proposto, non di verificare abilità generali, senza aspettarsi una risposta uguale da tutti gli allievi, esplorando la zona di apprendimento prossimale e non quella attuale (Vygotsky, 1980), favorendo la presa di coscienza da parte di ciascuno di ciò che sa e che sta apprendendo con gli altri, promuovendo, oltre al riconoscimento, anche un primo arricchimento e un primo ordinamento delle preconoscenze condivise.

Anche se “naturali”, carichi di errori e di luoghi comuni, questi saperi presentano il valore e la dignità della conoscenza personale, da riconfigurare con i saperi scientifici. Sono diversi da allievo ad allievo sia a causa delle personali esperienze maturate, sia per le diverse modalità di elaborazione connesse allo stile cognitivo o alle intelligenze da ciascuno privilegiate.

I saperi naturali sono frutto di lenti processi di elaborazione che nel loro farsi hanno abbracciato e respinto ipotesi e teorie diverse. Partire dai saperi degli allievi favorisce un apprendimento più significativo perché radicato nell'esperienza cognitiva e affettiva dei soggetti e perché esito di un processo di elaborazione personale che il confronto tra gli allievi sollecita, sostiene, mette alla prova. La consapevolezza dei propri saperi produce motivazione ad apprendere, soddisfa i bisogni di realizzazione personale e di autostima, tutti elementi fondamentali per un buon apprendimento.

approccio metodologico richiede: il perfezionamento dei processi specifici di quella fase, il consolidamento dei processi precedenti, la valorizzazione dei processi successivi anticipati.

15 Tra le tecniche per condurre il lavoro del gruppo, nella fase d’avvio, possiamo ricordare il brainstorming o la tavola rotonda o, ancora, la conversazione clinica (proposta dall’approccio progettuale per concetti).

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La fase didattica dei saperi naturali è finalizzata a creare un ambiente di apprendimento che favorisca la presa di coscienza dei propri saperi e il confronto con quello degli altri attraverso l'interazione all'interno del gruppo, nel quale l'insegnante assume il ruolo di animatore regista.

Che cosa osservare e rilevare durante l’attività di condivisione:

Interesse e coinvolgimento

Elasticità e fissazioni

Termini, argomenti e contesti usati dagli allievi

Modalità di rievocazione

Che cosa rilevare alla fine dell’attività di condivisione: Spessore concettuale della mappa cognitiva

Livelli di condivisione delle conoscenze di base

La ristrutturazione delle mappe cognitive

In questa fase, definita di mapping, l’insegnante promuove la rielaborazione da parte dell’allievo della propria mappa cognitiva, già modificatasi nel confronto con il gruppo; presenta le nuove informazioni (possono essere contenuti, procedure, istruzioni, oppure schemi di ragionamento, argomentazioni, ecc.), sollecita gli allievi a porle in relazione, a confrontarle con i saperi naturali individuali e con la mappa del sapere elaborato dal gruppo nella fase precedente e li aiuta a prefigurarsi i passi successivi, ad anticipare i possibili sviluppi, a prevedere le conseguenze applicative del sapere appreso. Questa fase non si traduce necessariamente in una lezione di tipo espositivo; il compito fondamentale dell’insegnante non è quello di trasmettere le novità informative, ma di utilizzarle per sollecitare il conflitto cognitivo tra ciò che l’allievo già conosce e ciò che può imparare. L’allievo sarà, pertanto, continuamente stimolato a ristrutturare la mappa dei propri saperi, confrontandoli, per analogie o per contrasti, con i nuovi organizzatori.

L'aspetto saliente dei modelli di lavoro, che riguarda particolarmente questa fase è la qualità dei contenuti, epistemologicamente qualificati, tratti da modelli applicativi che storicamente hanno contribuito all'evoluzione della disciplina e che sono significativi per la metodologia della disciplina e per il suo stile cognitivo (M.R. Zanchin, 2002).

Che cosa osservare e rilevare durante l’attività di ristrutturazione:

Livelli di attenzione

Livelli di comprensione del nuovo

Grado di pertinenza degli interventi degli allievi

Qualità del feedback

Che cosa rilevare alla fine dell’attività ristrutturazione: Acquisizione di conoscenze dichiarative / procedurali

Consistenza delle mappature individuali delle conoscenze

Persistenza di concezioni o capacità erronee pregresse

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L’elaborazione operativa del compito

Nella terza fase, definita di applicazione, gli allievi sono invitati ad elaborare le formazioni ricevute applicandole in un compito da svolgere. Il processo attivato dall'allievo non è meramente esecutivo: innanzitutto dovrà ricercare e produrre analogie tra le informazioni possedute e il compito assegnato; dopo di che dovrà riconoscere la sequenza delle azioni necessarie per eseguire il compito; dovrà, quindi, esercitarsi attraverso il lavoro autonomo individuale o nel piccolo gruppo; dovrà comprendere le istruzioni di una consegna, e prescrivere istruzioni ai compagni. L’azione in laboratorio consente all’allievo un’elaborazione personale delle informazioni ricevute, lo porta a misurarsi con situazioni e contesti analoghi a quelli presentati negli dall’insegnante o dai compagni. L’azione è caratterizzata dall’operatività e dall’elaborazione di procedure riflessive connesse al saper fare e al sapere come fare.

Lo scopo della fase applicativa è di consolidare gli schemi cognitivi, di acquisire la consapevolezza su ciò che prima era rimasto ad uno stadio di pura intuizione, di sviluppare inferenze grazie all'attivazione di conoscenze procedurali, che nelle fasi precedenti erano date come dichiarative. L'azione dell'insegnante, in questa fase, consisterà nella predisposizione di ambienti laboratoriali e nell'assistenza e supervisione esterna delle attività in cui sono impegnati gli allievi.

Che cosa osservare e rilevare durante l’attività di laboratorio:

Progressione corretta dei passi di una procedura

Persistenza di automatismi errati o impropri

Modi e tecniche di esecuzione

Tempi e velocità di esecuzione

Livelli di autonomia e di collaborazione

Che cosa rilevare alla fine dell’attività laboratorio:

Consolidamento delle conoscenze dichiarative

Applicazione delle conoscenze procedurali

Uso corretto delle consegne

Grado di soddisfazione circa il risultato raggiunto

Il transfer per riconoscere lo schema

Per affrontare e risolvere le situazioni che quotidianamente incontriamo, mettiamo in atto, con l'uso di analogie, processi di transfer. In altre parole per comprendere qualcosa di sconosciuto utilizziamo quegli strumenti cognitivi che abbiamo, con successo, adottato in situazioni analoghe precedenti.

Nella quarta fase, il transfer viene intenzionalmente introdotto allo scopo di avviare una prima generalizzazione di quanto appreso. Si tratta di promuovere negli allievi il confronto tra il compito dato e le situazioni note. Possiamo ritrovare un confronto esplicito, dove l'insegnante guida e governa il transfer, o un confronto implicito dove l'insegnante si limita a fornire esempi e controesempi e l'allievo è chiamato a riconoscere le analogie, a ricercarle e a produrle, a riconoscere uno schema comune, a produrre uno schema nuovo, a produrre ipotesi per falsificare o confermare lo schema.

Naturalmente il transfer non lavora solo mediante analogie, ma anche attraverso le dissonanze, e ciò allo scopo di rilevare le differenze, di discriminare

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e di rilevare ciò che non si adegua agli schemi noti. In questo caso è necessario che l’insegnante operi a livello di zona prossimale di apprendimento (Vygotskj, 1980) per non incorrere in transfer inefficaci.

Che cosa osservare e rilevare durante l’attività di transfer: Incapacità o difficoltà a trasferire

Fissazioni su alcuni parametri

Originalità e banalità

Profondità (acume) e superficialità di analisi

Partecipazione / condivisione dei transfer altrui

Che cosa rilevare alla fine dell’attività di transfer: Abilità di analisi (nella ricerca di analogie e differenze)

Capacità di contestualizzare (trovare situazioni diverse)

Livelli di pertinenza dei transfer effettuati

La rappresentazione del compito

La quinta fase, chiamata di ricostruzione, è importante dal punto di vista metacognitivo perché l'allievo viene portato a ricostruire e a rappresentarsi ciò che ha fatto nell'ambito del compito, riflettendo sui passi fondamentali e analizzando le eventuali difficoltà incontrate. Con i processi di ricostruzione, l'allievo è chiamato a dimostrare le proprie competenze procedurali, ad orientarsi rispetto al compito dato (in che punto si trova?, com'è arrivato in quel punto?, come può procedere?). Lo scopo di questa fase è anche quello di porre gradualmente l'allievo nella condizione di riconoscere le strategie e le procedure personalmente messe in atto nell'esecuzione del compito: dovrà fare riferimento ai suoi personali stili cognitivi, e, se occorre, intervenire su di essi per migliorare il risultato.

La giustificazione delle proprie strategie

Associato alla fase precedente, il processo di giustificazione comporta la capacità di riconoscere il valore delle scelte effettuate e delle decisioni prese dall’allievo, la capacità di sostenere le proprie idee, la capacità di argomentare per giustificare le strategie attivate. La giustificazione promuove il pensiero logico e le abilità comunicative

Per attivare processi metacognitivi così importanti, l’insegnante non può limitarsi a chiedere semplicemente “perché hai fatto questo?” o “come mai sei arrivato a questo risultato?”; è indispensabile che egli promuova tecniche didattiche come quelle di coinvestigazione, di autointerrogazione, di scambio di ruoli. Se è vero che l'apprendimento di un allievo migliora quando viene chiamato a insegnare ai compagni ciò che ha appreso, allora si possono attivare tecniche di discussione guidata, di conferenza sul tema, di role playing.

Che cosa osservare e rilevare durante le attività di ricostruzione e di giustificazione:

Capacità riflessiva e forme di pensiero e di azione: nel rappresentarsi la competenza/padronanza

nel ricostruire e controllare le proprie applicazioni

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nel giustificare e sostenere le proprie tesi

Che cosa rilevare alla fine dell’attività di giustificazione: Coerenza, capacità e tolleranza autovalutativa dell’allievo

Essenzialità, economicità e profondità di analisi

Solidità argomentativa

La conquista della padronanza

L'ultima fase del modello esperto di lavoro didattico, chiamata di generalizzazione, definisce il raggiungimento della soglia di padronanza attesa. Tale conquista è determinata dalla concatenazione di alcuni fattori: i principi base del compito, le regole, gli schemi mentali sono frutto di

elaborazione personale, interiorizzati in modo significativo, perché radicati con le proprie teorie personali e arricchiti con l'esperienza del compito;

l'appreso diventa generalizzabile in modo trasparente: l’allievo deve riconoscere l'uso potenziale e flessibile delle competenze acquisite;

la generalizzazione richiede un pensiero ideativo, orientato all'intuizione e alla scoperta, attento al rigore delle ipotesi e alle proposte congetturali;

la rappresentazione dei concetti e delle regole si sviluppa per schemi, mappe, relazioni, con l'uso plurale di codici e linguaggi, mostrando capacità di sintesi e dominio della complessità;

la padronanza dell'appreso garantisce la generatività concettuale: non si è appreso solo il compito e le regole ad esso associate, ma un potenziale che si autoalimenta.

Qual è il compito dell’insegnante in questa fase? La generalizzazione può essere “provocata” predisponendo situazioni varie e diverse. In tali situazioni gli allievi sono chiamati a scoprire problemi e a trovare soluzioni originali e divergenti. Possono anche essere prese in considerazione situazioni da loro vissute o conosciute: queste risulteranno ancora più interessanti, proprio perché i processi di generalizzazione più genuini non avvengono all'interno della scuola, ma nella vita vissuta. In ogni caso, la produzione di progetti individuali o di piccolo gruppo, l'analisi di situazioni complesse e di casi particolarmente articolati, l'impegno su compiti difficili e motivanti, la riflessione sulle proprie capacità di apprendere, sono tutti elementi che facilitano il padroneggiare se stessi e non solo di padroneggiare l’oggetto di conoscenza.

Che cosa osservare e rilevare durante le attività di generalizzazione:

Abilità analitiche, sistemiche e sistematiche

Permanenza e fedeltà alla situazione

Curiosità e interesse

Dinamiche relazionali nei lavori di gruppo

Che cosa rilevare alla fine dell’attività di generalizzazione: Fecondità euristica (incremento soluzione problemi)

Produttività concettuale (autonomia costruzione concetti)

Livello di padronanza (efficacia e ricaduta)

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Perché una didattica per padronanze?

A mio avviso il concetto di fondo è che l’allievo, a tutte le età e secondo la propria età, per essere riconosciuto come persona che apprende, deve farsi carico del proprio apprendimento, deve cioè comprenderne il senso e lo scopo, ed esserne responsabile. Perché si punta alla padronanza? Perché la padronanza è una categoria del soggetto che vive; non è una categoria scolastica; nella padronanza c’è il soggetto nella sua interezza, nella sua complessità, nella sua finitezza. La padronanza non può che essere sviluppata e corroborata dal soggetto stesso (fin da piccolo). La scuola, con la famiglia e la comunità, facilita e organizza il percorso di autocostruzione di sistemi di padronanze sempre più rispondenti al senso e al valore che la persona si dà.

Progettazione per … Processi cognitivi, metacognitivi, esperienziali Focus Sistemi di padronanze; expertise dell’allievo Azioni dell'allievo Condividere i saperi; riorganizzare le mappe

cognitive, riflettere, ricostruire, inventare Azioni dell'insegnante

Predisporre ambienti che stimolano il pensiero, il ragionamento, la produzione concettuale, la divergenza, il confronto

Processo formativo Omologia tra fasi didattiche e processi di apprendimento

Obiettivi Commisurati alle potenzialità di sviluppo cognitivo e metacognitivo degli allievi

Parametri valutativi Tendenti all’autovalutazione e alla valorizzazione della padronanza

Elementi critici Difficoltà nell’individuare le soglie di sviluppo nell’acquisizione di competenze e padronanze.

Elementi di interesse Attenzione ai processi dell'apprendimento, ai talenti personali; importanza della consapevolezza, della produzione e della condivisione

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5.8 LA PROGETTAZIONE CLINICA: I PERCORSI INDIVIDUALIZZATI

La progettazione clinica ha lo scopo di organizzare i percorsi di insegnamento e di apprendimento relativi alle persone che presentano difficoltà a livello individuale e/o sociale, a causa di motivi fisici, psichici, intellettivi o sociali, per renderle autonome nel pensiero e nell’azione.

Quando individualizzare l’insegnamento e la progettazione? Nel caso di:

1. soggetti in situazione di handicap;

2. soggetti in situazione di disadattamento socio-relazionale;

3. soggetti nomadi; 4. soggetti di recente immigrazione;

5. soggetti con deficit di apprendimento (in altri casi di atipicità sociali).

Nell’attuale ordinamento scolastico sono previste figure di sostegno o di insegnanti specializzati solo per i casi di handicap certificato. L’insegnante specializzato (o di sostegno) supporta l’azione dei docenti disciplinari, agendo:

• nei confronti dello studente in difficoltà con la messa in atto di progetti individualizzati e

• nei confronti dei colleghi di classe apportando informazioni, suggerimenti metodologici, e fungendo da tramite tra la scuola e le strutture specialistiche.

I docenti della classe (disciplinari16) sono insegnanti per tutti gli studenti e non solo per i “normali”. Quando lo studente con disabilità è in classe, con o senza l’insegnante di sostegno, è compito del docente disciplinare organizzare la didattica in modo da coinvolgere lo studente senza impoverire la qualità dell’istruzione per gli altri.

16 È improprio distinguere gli insegnanti di sostegno dagli insegnanti “curricolari”: tutti i

docenti sono curricolari poiché accompagnano gli studenti nei percorsi di apprendimento. Sono più che mai opportuni scambi reciproci: gli insegnanti di sostegno per i “normali”, gli insegnanti disciplinari per gli allievi in difficoltà.

Modello curricolare: Individualizzato

1. DIAGNOSI FUNZIONALE

2. PROFILO DINAMICO FUNZIONALE

Area COGNITIVA

Area SENSORIALE

Area AFFETTIVA

Area RELAZIONALE

Area MOTORIA

Area MOTIVAZIONALE

3. PIANO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO

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5.9 LA COERENZA TRA AZIONE E PROGETTAZIONE

In questa unità formativa abbiamo preso in considerazione diverse tipologie di progettazione didattica: nessuna di esse è universalmente valida; ognuna di esse, a diverso titolo, presenta elementi di efficacia ed elementi di criticità. Perciò è opportuno individuare la tipologia di progettazione più adatta alla specifica situazione didattica, formativa o scolastica.

La progettazione lineare è efficace …

nella definizione di piccoli segmenti didattici;

nell'acquisizione di comportamenti adeguati e/o di meccanismi;

nell'apprendimento mnemonico di formule, schemi, testi poetici;

nell'addestramento (operazioni manuali, concrete);

nell'istruzione programmata (step by step per analizzare nel dettaglio gli effetti delle procedure didattiche).

La progettazione per contenuti è efficace …

nell’analisi dei contenuti disciplinari;

nella ricerca dell'essenzialità dei saperi;

nell’articolazione / classificazione dei contenuti.

La progettazione per concetti è efficace …

nell’analisi concettuale (reticolare) della disciplina;

nell’analisi delle preconoscenze (situazione cognitiva iniziale);

nella pianificazione dei collegamenti tra saperi degli allievi e saperi disciplinari.

La progettazione per situazioni è efficace …

nel consolidamento dell’apprendimento mediante l’analisi delle esperienze dell’allievo;

nella spendibilità immediata delle competenze acquisite;

nell’apprendimento tecnologico e/o professionale;

nell’apprendimento con soggetti in difficoltà.

La progettazione per padronanze è efficace …

nella articolazione delle padronanze e delle competenze (Piano dell'offerta formativa);

nella corrispondenza tra processi di apprendimento e metodologia dell’insegnamento.

La progettazione individualizzata è riservata agli allievi in situazione di handicap o con particolari difficoltà di apprendimento. A tutti gli altri non va individualizzato l’insegnamento, va invece facilitata la personalizzazione dell’apprendimento (anche mediante una didattica modulare).

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Riferimenti bibliografici

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• MARGIOTTA U. (a c. di), Riforma del curricolo e formazione dei talenti. Linee metodologiche ed operative, Roma, Armando 1997

• POPPER K. R., Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1970

• RIGO R., Il processo di scrittura funzionale. Una prospettiva modulare, Roma, Armando 1998

• TESSARO F., La valutazione dei processi formativi, Roma, Armando 1997

• TESSARO F., Metodologia e didattica dell’insegnamento secondario, Roma, Armando 2002

• TONIOLO D., Movimento e ritmo. Una prospettiva modulare nell’educazione motoria e musicale, Roma, Armando 2001

• VALLE L., Didattica modulare della storia, Roma, Armando 1998

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• VYGOTSKY L. S. Il processo cognitivo, Boringhieri, Torino 1980

• ZATTA P., Didattica della geografia. Un’ ipotesi modulare, Quaderni CIRED, n. 3, 2000

• ZANCHIN M.R. (a c. di) I processi di apprendimento nella scuola dell’autonomia. Analisi disciplinare e personalizzazione dei talenti e Le interazioni educative nella scuola dell’autonomia. Itinerari di didattica modulare, Roma, Armando 2002

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Test di autoverifica dell’apprendimento dell’unità formativa (Le risposte saranno pubblicate con la successiva lezione on line)

1 L' uso pertinente del linguaggio della propria disciplina qualifica l'insegnante

come … A. competente nelle relazioni con gli studenti. B. capace di interagire con i colleghi insegnanti. C. esperto nei fondamenti epistemologici disciplinari. D. competente nella comunicazione in aula. 2 Formare significa … A. apprendere contenuti e conoscenze. B. apprendere nelle e dalle situazioni. C. apprendere abilità concrete e operative. D. apprendere dai libri e manuali. 3 Che cosa è la Didattica? A. La scienza delle relazioni scolastiche. B. La scienza dei metodi di apprendimento. C. La scienza dell’organizzazione dell’insegnamento. D. La scienza degli stili di apprendimento 4 Progettare un intervento didattico implica una tipologia di pensiero … A. … da ricerca applicata. B. … da ricerca teorica. C. … da ricerca storica. D. … da ricerca sociale. 5 Come sono stati definiti nell'ultima riforma i "Programmi Ministeriali" per la

scuola primaria e secondaria? A. Direttive. B. Orientamenti. C. Consigli. D. Indicazioni. 6 In tutte le tipologie di progettazione didattica, quale è la prima fase … A. L'analisi degli esiti. B. L'analisi dei risultati in itinere. C. L'analisi della situazione. D. L'analisi delle risorse necessarie. 7 Quale tipologia di progettazione didattica ha come focus "l'azione

dell'insegnante" (o il progetto didattico)? A. Progettazione per obiettivi o lineare. B. Progettazione per concetti. C. Progettazione per situazioni. D. Progettazione per padronanze.

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8 Quale tipologia di progettazione didattica è particolarmente attenta ai processi

metacognitivi dell'apprendimento? A. Progettazione per obiettivi o lineare. B. Progettazione per concetti. C. Progettazione per situazioni. D. Progettazione per padronanze. 9 Quale tipologia di progettazione didattica promuove la costruzione di mappe e

matrici? A. Progettazione per obiettivi o lineare. B. Progettazione per concetti. C. Progettazione per situazioni. D. Progettazione per contenuti. 10 Quale tipologia di progettazione didattica si fonda completamente sull'esperienza

(passata, presente e futura) del soggetto? A. Progettazione per obiettivi o lineare. B. Progettazione per concetti. C. Progettazione per situazioni. D. Progettazione per contenuti.

Tracce per la riflessione personale17

a) Domanda di analisi del testo studiato: Quali sono gli elementi fondamentali che definiscono la progettazione didattica? (max 5/6 righe)

b) Domanda di elaborazione concettuale: Rispetto ad una tipologia di progettazione didattica (per obiettivi o per contenuti o per concetti, o per situazioni, o per padronanze), indichi i metodi e le tecniche didattiche, studiati nelle unità formative precedenti, che risultano più adatti ad una azione di insegnamento secondo tale modello. Argomenti le sue scelte, anche comparando le altre tipologie di progettazione. (max 10/12 righe)

c) Domanda di elaborazione professionale: Avrebbe voluto che la sua disciplina di insegnamento fosse organizzata secondo i principi di una specifica tipologia di progettazione didattica. Quale? Perché non è stato possibile attivarla? Che cosa si può fare per riorientare l’organizzazione didattica? (max 10/12 righe)

17 Le tracce di riflessione per questa lezione in presenza servono per esercitazione

personale. Le risposte non vanno inviate al tutor on line, il quale, in ogni caso, è a disposizione del gruppo, con le modalità indicate (e-mail e/o forum di discussione). FT