Filologia disneyana, fra crudo empirismo e dotta...

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Filologia disneyana, fra crudo empirismo e dotta speculazione Francesco Stajano http://www.cl.cam.ac.uk/~fms27/ aprile 2008 In un precedente articolo sui fratelli Barosso evidenziavo la scarsità di notizie finora pubblicate su di loro e sui loro lavori disneyani. In questo nuovo intervento intendo far luce su alcuni dei metodi (talvolta fallibili) usati dai filologi fumettistici per tentare di colmare le lacune e correggere gli errori. Intendo inoltre rendere disponibili alcune importanti correzioni e nuove notizie di prima mano, raccolte tramite diretto contatto epistolare e telefonico con gli interessati. La prima correzione, che sottolinea in pieno la debolezza delle già poche informazioni finora disponibili, riguarda addirittura il nome di uno degli autori: il fratello minore di Abramo mi infor- ma di chiamarsi Giampaolo, con la emme e tutto attaccato, non Gian Paolo come quasi tutte le fonti disponibili riportano (pro- babilmente basandosi le une sulle altre). L’interessato racconta di aver scoperto anni fa, sull’edizione italiana di Wikipedia, l’en- ciclopedia libera a cui chiunque può contribuire, una pagina che parlava di “Gian Paolo Barosso” 1 e di aver ivi corretto la grafia del proprio nome. Tuttavia, nel giro di poco—riferisce fra il divertito e il rassegnato—qualche altro utente di Wikipedia ripristinò la gra- fia errata, ovviamente ritenendo di saperne più di lui in materia! Come egli stesso mi ha poi precisato via email: “Lo corressi, spiegando il perché. Qualche tempo dopo tornai a vedere, e lo ritrovai sbagliato. Lo ricorressi. Non ricordo di preciso se e quante volte la cosa ebbe a ripetersi: ho cercato di appurarlo andando alla pagi- na di ‘Cronologia delle modifiche’ (di non agevolissima interpretazione operativa) 2 ma senza successo: il mec- canismo non mi ha fatto risalire più indietro del 2003— mentre la cosa è molto probabilmente successa prima. Sono comunque rimasto contento dall’aver constatato che almeno in quella pagina ‘primo marzo’ il mio nome si sia stabilizzato nella forma corretta. Ma la visione 1 La voce in questione era “1 o marzo” ove si riportava che, in quel giorno del 1963, appare per la prima volta in una storia italiana il personaggio di Rockerduck. 2 Wikipedia conserva traccia di tutte le modifiche apportate a ciascuna delle sue pagine. È possibile a chiunque, sebbene laboriosamente data la mole di dati, consultare tutte le versioni di una data pagina che si sono succedute nel tempo, con indicazione della data e dello pseudonimo o indirizzo di rete dell’autore di ogni singola modifica. (Nota di F. Stajano.) 1

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Filologia disneyana,

fra crudo empirismo e dotta speculazione

Francesco Stajano

http://www.cl.cam.ac.uk/~fms27/

aprile 2008

In un precedente articolo sui fratelli Barosso evidenziavo lascarsità di notizie finora pubblicate su di loro e sui loro lavoridisneyani. In questo nuovo intervento intendo far luce su alcuni deimetodi (talvolta fallibili) usati dai filologi fumettistici per tentaredi colmare le lacune e correggere gli errori. Intendo inoltre renderedisponibili alcune importanti correzioni e nuove notizie di primamano, raccolte tramite diretto contatto epistolare e telefonico congli interessati.

La prima correzione, che sottolinea in pieno la debolezza dellegià poche informazioni finora disponibili, riguarda addirittura ilnome di uno degli autori: il fratello minore di Abramo mi infor-ma di chiamarsi Giampaolo, con la emme e tutto attaccato, nonGian Paolo come quasi tutte le fonti disponibili riportano (pro-babilmente basandosi le une sulle altre). L’interessato raccontadi aver scoperto anni fa, sull’edizione italiana di Wikipedia, l’en-ciclopedia libera a cui chiunque può contribuire, una pagina cheparlava di “Gian Paolo Barosso”1 e di aver ivi corretto la grafia delproprio nome. Tuttavia, nel giro di poco—riferisce fra il divertito eil rassegnato—qualche altro utente di Wikipedia ripristinò la gra-fia errata, ovviamente ritenendo di saperne più di lui in materia!Come egli stesso mi ha poi precisato via email:

“Lo corressi, spiegando il perché. Qualche tempo dopotornai a vedere, e lo ritrovai sbagliato. Lo ricorressi.Non ricordo di preciso se e quante volte la cosa ebbea ripetersi: ho cercato di appurarlo andando alla pagi-na di ‘Cronologia delle modifiche’ (di non agevolissimainterpretazione operativa)2 ma senza successo: il mec-canismo non mi ha fatto risalire più indietro del 2003—mentre la cosa è molto probabilmente successa prima.Sono comunque rimasto contento dall’aver constatatoche almeno in quella pagina ‘primo marzo’ il mio nomesi sia stabilizzato nella forma corretta. Ma la visione

1La voce in questione era “1o marzo” ove si riportava che, in quel giornodel 1963, appare per la prima volta in una storia italiana il personaggio diRockerduck.

2Wikipedia conserva traccia di tutte le modifiche apportate a ciascuna dellesue pagine. È possibile a chiunque, sebbene laboriosamente data la mole didati, consultare tutte le versioni di una data pagina che si sono succedutenel tempo, con indicazione della data e dello pseudonimo o indirizzo di retedell’autore di ogni singola modifica. (Nota di F. Stajano.)

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della voce dedicata a ‘Gian Paolo’, che non avevo an-cora visto, mi ha fatto rabbrividire, come pure quelladedicata a mio fratello. Ho lasciato tutto com’era, neltimore di peggiorare le cose.”

Eppure, da un punto di vista obiettivo, come biasimare il trop-po solerte controcorrettore wikipediano quando persino il colophondi Topolino ha per anni riportato “Gian Paolo Barosso” fra i colla-boratori? Quand’anche il controcorrettore fosse andato a ricontrol-lare su un testo di riferimento, quale ad esempio il fondamentalesaggio di Boschi, Gori e Sani I Disney Italiani (Granata Press,1990) che riporta in appendice le citate schede biografiche del-l’enciclopedico Alberto Becattini, parimenti avrebbe trovato un“BAROSSO, Gian Paolo, nato a Torino l’8 giugno 1936”. Inve-ce, ci erudisce il diretto interessato, anche il dettaglio anagraficodella data, visto che ci siamo, è in realtà errato (l’anno corret-to è il 1937), mentre corretto è quello riportato da Becattini per“BAROSSO, Abramo” (1931), che invece era sbagliato su Wiki-pedia, almeno fino al momento della stesura di questa nota. LoSpeciale Topolino 2000, un’altra delle poche pubblicazioni conte-nenti scarne indicazioni sui nostri autori, riporta gli stessi erroridelle schede di Becattini ed appare con ogni probabilità ripresa intoto da quelle.

È Giampaolo Barosso stesso, nel commentare questa vicenda,a citare il gioco del “telefono senza fili” e a chiedersi come mai gliestensori di queste biografie non abbiano mai pensato a chiedereconferma ai diretti interessati.Non possiamo rispondere altro che citandouna storia barossiana, “Paperino e il por-

cellino di porcellana” (I TL 407-A, 1963),in cui Pico de’ Paperis e il suo collega acca-demico Prof. O’Kone disquisiscono con fer-vore circa le presunte proprietà magiche diun salvadanaio in mano a Paperino: “. . . cosìacutamente e compiutamente dimostrato pri-vo di significato storico dall’Es.mio Ch.ss.moM.gn.f.co Dott. Prof. M.A.D.Acc. DHC.Agesilao Rodicodici nella sua ponderosa ope-ra. . . bla. . . bla. . . bla. . . ”. La dotta con-tesa va avanti per diverse vignette finché Pa-perino non suggerisce di dirimere la questionesemplicemente. . . provando a introdurre unamoneta nel salvadanaio secondo le modalitàstabilite per verificare se la magia avvenga omeno. “Metodo sperimentale! Crudo empiri-smo! Eh, la gioventù! Non c’è più amore perla dotta speculazione! Materialismo! Ecco ilmale del secolo!”, commenta sconsolato il pro-fessor O’Kone prima di capitolare. Così anchenoi, giovani, materialistici e sperimentalisti-ci, chiediamo mentalmente scusa al collega diPico per aver telefonato ai “Barosso Bros” ed

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aver loro chiesto lumi in prima persona; ma espiamo questa col-pa offrendo finalmente al lettore le informazioni corrette (almenosperiamo).

Altre volte, però, la dotta speculazione è necessaria perché lefonti primarie non sono più disponibili: autori come ad esempioCarl Barks non possono purtroppo più rispondere al telefono. Maanche ove gli autori siano tuttora in vita, come fortunatamente èil caso per i “Barosso Bros”, può darsi che la precisa informazioneche cerchiamo sia così lontana da essere stata dimenticata, e chela documentazione di supporto sia andata persa a seguito di untrasloco, come avvenuto ad Abramo. Questa la situazione nel ten-tare di rispondere a un preciso quesito del carissimo amico GiorgioCavazzano, il quale tempo fa mi chiese lumi circa la paternità dellasua prima storia, “Paperino e il singhiozzo a martello” (I TL611-B, 1967).

“In un tuo saggio su di me3—mi chiese Giorgio in occasionedi una mostra che celebrava e ripercorreva i suoi quarant’anni dicarriera e che riproduceva a dimensioni giganti la prima tavoladel “singhiozzo a martello”—scrivesti che quella storia fu scritta daOsvaldo Pavese; invece altrove4 l’ho vista attribuita ad AbramoBarosso. Come mai? E quale attribuzione è quella giusta?”. Belladomanda, pensai; non mi ero mai accorto della discordanza fra leattribuzioni e certamente non avevo messo lì quel Pavese in base auna mia personale analisi della storia. L’avevo semplicemente pre-so, dandolo per buono non avendo particolari ragioni di dubitarne,dalla fumettografia di Cavazzano a cura di Federico Maistrello in-clusa nel bel volumetto intitolato all’artista veneziano a cura diSilvano Mezzavilla (Editori del Grifo, 1994. ISBN 88-7773-246-6).Viceversa l’attribuzione a Barosso sul Classici Disney 211 prove-niva con ogni probabilità dal citato indice di Fossati su If, cheriportava “Barosso/Scarpa” come autori rispettivamente di testi edisegni. Che l’attribuzione dei disegni a Scarpa fosse erronea èevidente per chi abbia familiarità con le varie fasi del tratto di Ca-vazzano; e che matite e chine fossero di Cavazzano e non di Scarpaè d’altronde confermato senza alcun dubbio da Giorgio stesso, ilquale ben ricorda quella come la sua prima storia disneyana. Peri testi, invece, non conoscendo la fonte consultata da Maistrello néavendo il di lui recapito per chiedergliela, come procedere?

Il vile metodo sperimentale disdegnato dal professor O’Konesuggerisce di chiedere ad Abramo Barosso, cosa che dunque faccio.“C’è questa storia breve—gli dico al telefono—intitolata singhioz-zo a martello, con Paperino e Paperoga (descrivo brevemente latrama), che è stata variamente attribuita sia a lei che ad OsvaldoPavese. Ricorda mica di averla scritta lei?” E mi risponde di nonricordare questa specifica storia ma di aver collaborato con Pave-se in diverse storie. Anzi—precisa riferendosi al mio commentonel precedente saggio dove raccontavo di aver esitato fra Barosso,Gazzarri e Pavese per la paternità della storia del millerbe (TL

3F. Stajano, “Giorgio Cavazzano, the true artist”, in L. Boschi, M. Bruni,R. Irace (Eds): The art of Giorgio Cavazzano, Lo Scarabeo, 1997, ISBN 88-86131-51-8.

4Ad esempio nella ristampa su CD 211.

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871-A)—“c’è stato un periodo in cui io scrivevo i soggetti e, quan-do mio fratello non poteva occuparsene, li passavo al nostro amicoOsvaldo Pavese per la sceneggiatura”. Quindi le storie in cui unlettore attento percepisce lo stile di entrambi possono essere fruttodi tale collaborazione. Rivelazione clamorosa!

Riprendendo il discorso con Giampaolo mettiamo a posto ulte-riori tasselli del mosaico. Contrariamente alla stringata indicazionesulle schede becattiniane dei Disney Italiani secondo cui Abramo“scrittore per hobby, fu convinto dal disegnatore Giovan BattistaCarpi a scrivere soggetti per Topolino”, il percorso fu più elabora-to. Carpi, che all’inizio degli anni Sessanta era già un affermatodisegnatore Disney, sapeva che in Mondadori cercavano nuovi va-lidi sceneggiatori; propose dunque all’amico Pavese di cimentarsinello scrivere storie disneyane e quest’ultimo a sua volta proposeall’amico Barosso (Giampaolo, non Abramo) di provarci insieme.Fu dunque così che i due amici Osvaldo Pavese e Giampaolo Ba-rosso iniziarono le loro carriere disneyane insieme su sollecitazionedi Carpi, che conosceva Pavese, con la storia “Paperino al Gran

Premio di Paperopoli” (I AT 59-A, 1961), disegnata da GiulioChierchini. A seguito di questa prima prova, la redazione chieseai due di continuare a scrivere storie, cosa che fecero per un certoperiodo, generalmente con Pavese ai soggetti e Barosso alle sceneg-giature, sebbene Giampaolo Barosso non escluda che il duo abbiaoccasionalmente invertito i ruoli. A un certo punto però Pavese,preso da altri impegni, dovette sospendere l’attività ed allora Ba-rosso chiese al fratello maggiore se non fosse disposto a scrivere luidei soggetti disneyani.

In base alla testimonianza di Abramo otteniamo un indizio perla datazione di questo evento. L’autore ricorda la sua prima sto-ria come antesignana del doping sportivo, con una trama basatasu Paperino atleta che prende pillole energetiche che però hannoeffetti collaterali che richiedono altre pillole per essere eliminati ecosì via a oltranza. Come poi mi scrive nella lunga lettera chesegue la nostra chiacchierata al telefono:

“La storia del doping cui facevo cenno nella telefonatane è un piccolo esempio [del nostro affrontare svariatis-simi generi]. Se non erro è stata la prima che ho scrit-to. Il titolo non lo ricordo. A causa di un trasloco hopurtroppo dovuto sbarazzarmi di collezioni di ComicsDELL nonché di una imponente quantità di Topolini.Inoltre è anche sparito una sorta di archivio con tito-li, date, soggetti, sicché la documentazione ’originale’scarseggia.”

La storia in questione è stata identificata dal solerte esperto Ar-mando Botto (di nuovo lui!) in “Paperino e i balsami balzani”

(I TL 464-C, 1964), basata in realtà su pomate anziché pillole masenz’altro rispondente alla descrizione dell’autore. Abramo raccon-ta candidamente il simpatico retroscena: l’ispirazione per questoprimo soggetto gli venne da una barzelletta che circolava all’epoca.Nella barzelletta, un tizio aveva inventato una pillola per arrestarela caduta dei capelli che però aveva effetti collaterali; questi, per

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essere contrastati, richiedevano altre pillole, a loro volta foriere dialtri effetti collaterali, finché l’inventore non riusciva a produrreun’ultima pillola che eliminava tutte le magagne delle altre ma. . .faceva cadere i capelli!

Osserviamo in questa storia quello che Botto ed altri hannoriconosciuto come un marchio di fabbrica barossiano, ossia l’asso-nanza nel titolo. Chiedo ad Abramo se questi giochi di parole fos-sero tendenzialmente suoi, pensati fin dall’inizio, o di Giampaolo,aggiunti in fase di sceneggiatura. Mi risponde che erano senz’altropresenti in fase di soggetto: anzi, spesso il tutto partiva propriodalla ricerca di un’assonanza o comunque di un titolo intriganteed evocativo e poi da questo nasceva l’idea che si sviluppava in unsoggetto. Sempre dalla lettera di Abramo Barosso:

“Comunque, per tutte le storie di incerta attribuzioneprenderei in primo luogo in considerazione le assonanzedei titoli, che era mio puntiglioso compito scovare e poiricavarne il soggetto ispirandomi ad articoli di riviste egiornali ed a notizie curiose. Esempi non insignifican-ti: il segugio sagace e l’avventura dell’avven-

turina5. Poi l’uso di parole ed espressioni ricorrenti

ed anche la ripetizione della vocale finale, come lei hanotato. Debbo dire che lei è un esegeta molto atten-to. Altri segni di riconoscimento (ma per riconoscerlidovrei avere davanti le storie e la memoria dovrebbeaiutarmi) erano numeri di indirizzi o di telefono, tar-ghe d’auto ed altri ancora realmente esistenti. Perché?Una sorta di omaggio ad amici e una sorta di vezzo,credo.”

Affascinante! Interessante comunque notare che vi sono diversititoli assonanti anche fra le numerose storie barossiane che prece-

dono i balsami balzani: guardiano guardingo, maniero del prozioVeniero, bricco briccone, consulente onnisciente, caccia al coccioda cacio, scomparsa delle comparse, affarone d’occasione e via di-cendo. Per cui, o la storia dei balsami che Abramo ricorda in modoparticolare non fu la prima che scrisse6, oppure almeno a volte leassonanze nei titoli erano anche farina del sacco di Giampaolo.Premesso che entrambe le ipotesi possono essere vere, la primasembra più plausibile quanto meno nei casi in cui l’assonanza deltitolo appare come lo spunto chiave da cui germoglia fuori l’ideadell’intera storia, come ci sembra essere il caso ad esempio per il“bricco briccone” (I TL 439-B, 1964) ma anche, ben prima, perla storia della “maliarda miliardaria” (I TL 353-A, 1962). Potreb-be dunque essere che, nel periodo iniziale, Giampaolo sceneggiassestorie ora di Pavese e ora del fratello; e che il passaggio dall’unoall’altro sia stato graduale anziché brusco.

Chiedo anche a Giampaolo come funzionasse, in pratica, la sud-divisione del lavoro fra soggettista e sceneggiatore: idee discusse

5“Topolino e i monti quarziferi” (I TL 869-A, 1972).6Nel qual caso la ricostruzione temporale di cui sopra va presa con beneficio

d’inventario e non può essere usata per attribuire con certezza specifiche storieal duo Osvaldo/Giampaolo.

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insieme, andirivieni di prove e riprove? Niente affatto, tutto soloper posta e con perfetto affiatamento, senza ripensamenti o rima-neggiamenti. Abramo, che abitava a Genova, si faceva venire leidee e scriveva le storie, quante più possibile (ossia molte più, inmedia, di quante non potesse riuscire a scriverne un autore cheavesse dovuto anche sceneggiarle), vergava i soggetti a penna stilo-grafica e li spediva a Giampaolo, che abitava a Milano. Giampaolo,che si interessava di linguistica e di cibernetica, lavorava a progettidi ricerca sulla traduzione automatica7 presso l’Università Statalee il Centro Nazionale delle Ricerche e dedicava il tempo libero allasceneggiatura dei soggetti di Abramo. Era essenzialmente Giam-paolo, autore dei dialoghi, che aggiungeva l’altro citato marchio difabbrica barossiano delle vocali finali lunghe, anche se a volte esseerano forse presenti anche nel soggetto. Il lavoro, una volta presa lamano, era abbastanza di routine, perché il canovaccio era già pron-to: spesso Giampaolo doveva tagliare qualche episodio secondarioper far rientrare la vicenda entro la canonica trentina di pagine,ma i fratelli erano ben affiatati e Abramo sapeva che Giampaoloavrebbe “trattato bene” il soggetto, per cui non riteneva necessariorevisionare la sceneggiatura prima che questa venisse presentata inredazione. Ciascuno dei due era soddisfatto nel proprio ruolo e ilduo creativo, come si vede dai risultati, funzionava ottimamente ea pieno ritmo.

Tutto questo durò fin verso al 1971, quando Giampaolo per unaserie di circostanze dovette smettere il lavoro con i fumetti Disney.Purtroppo con nessuno dei due fratelli siamo riusciti ad identificareuna data o una storia precisa corrispondente a questo evento. Adogni modo da quel punto in poi (non dal 1974 come citato nellascheda becattiniana) Abramo, che continua la collaborazione conMondadori, passa a sceneggiare le proprie storie da solo8. Inoltre,altro particolare finora inedito, ricontatta il vecchio amico OsvaldoPavese offrendogli soggetti da sceneggiare, visto che la sua mentevulcanica produce più idee per soggetti di quanti egli non riesca atrovar tempo di sceneggiare. È in questo periodo, dunque, dal 1971circa fino alla fine della collaborazione di Abramo con Mondadori,che dovremmo trovare storie scritte da Abramo e sceneggiate daOsvaldo, assieme ad altre scritte e sceneggiate dal solo Abramo.

Ricapitolando, fra il 1961 (Gran Premio di Paperopoli) e il1964, le storie sono di Osvaldo e Giampaolo, generalmente ma nonesclusivamente con il primo ai soggetti e il secondo alle sceneg-giature; dal 1964 dei balsami balzani, o forse prima se davvero erasolo Abramo l’ideatore delle assonanze, al 1971 (storia precisa igno-

7Difficile non pensare alla geniale e tutt’ora attualissima rappresentazionedel calcolatore di “Zio Paperone e la ramazza magica” (I AT 111-A, 1966)che, passando dai caratteri cuneiformi dell’antico assiro, traduce e ritraducela frase “lo spirito è forte, ma la carne è debole” in “l’alcool è forte, ma labistecca è tenera”. Forse un caso in cui Giampaolo fornì al fratello uno spuntocomico-scientifico per un soggetto?

8Entrambi i fratelli ritengono senz’altro sbagliato il dato, desunto da IN-DUCKS, che riportavo in apertura del precedente articolo, secondo cui Abramoavrebbe prodotto solo due storie l’anno nel 1975 e 1976. Pur non ricordandola data precisa della cessazione dell’attività disneyana di Giampaolo, Abra-mo quando scriveva produceva sempre diverse storie al mese! E senz’altro,asserisce, scrisse senza il fratello ben più di quattro storie.

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ta), le storie barossiane sono di Abramo ai testi e Giampaolo allesceneggiature, mentre da allora in poi sono o di Abramo da solooppure di Abramo ai testi e Osvaldo Pavese alle sceneggiature—enotiamo come questo periodo includa la storia del millerbe (1972)discussa nell’articolo precedente. Non include, però, il 1967, in cuiuscì la storia del singhiozzo a martello con cui esordì Cavazzano.

Come dunque dirimere la questione, se nemmeno il più biecosperimentalismo (ossia chiedere ai diretti interessati) ha avuto esi-to risolutivo?9 Non rimane che tornare alla dotta speculazione,riavvicinandoci dopotutto al metodo favorito dall’esimio professorO’Kone.

L’approccio seguito dal filologo disneyano necessariamente se-gue molteplici percorsi in parallelo; anzitutto bisogna familiariz-zarsi con le storie scritte dai possibili candidati per imparare a“sentire” e riconoscere istintivamente lo stile; questo in base al rit-mo delle frasi, ai costrutti grammaticali, al lessico usato ma anche,a più alto livello, in base ai temi trattati, ai personaggi usati ecosì via. A volte questo porta all’identificazione esplicita di segnidistintivi poi verificabili anche da altri non capaci di riconoscerele storie a vista, quali appunto le assonanze o le vocali lunghe (oi celebri “tapiri” di Rodolfo Cimino); ma non sempre. Poi bisognaallineare cronologicamente le storie dei candidati in un intorno diquella in esame, cercare di stabilire una linea di continuità e unasequenzialità fra le storie dello stesso autore, e vedere a quale diqueste linee la storia in esame sembra appartenere. (Ovviamen-te questo lavoro è complicato dal fatto che spesso l’informazionerelativa alle storie limitrofe è anch’essa incompleta o parzialmenteerronea.) E poi si tengono in conto eventuali altri indizi di altro ge-nere, come ad esempio informazioni a priori sui periodi di attività esulle collaborazioni: cosa possiamo dire sulla storia del millerbe, adesempio, alla luce delle precedenti rivelazioni? Non possiamo direche sia necessariamente di A. Barosso/Pavese: potrebbe comun-que ugualmente essere del solo Barosso. Possiamo però dire che,se in quel periodo i due autori collaboravano, ed entrambi ave-vano esperienza sia come soggettisti che come sceneggiatori, cheprobabilmente i loro stili erano diventati un po’ simili e che quin-di è plausibile scambiare l’uno con l’altro in quel periodo più chein altri. Possiamo inoltre dire che eventuali “dati oggettivi” qualiricevute e cedolini di pagamento potrebbero in quel periodo nonessere poi così probanti ai fini dell’attribuzione, sia per la storia inesame che per quelle limitrofe: ogni storia veniva probabilmentepagata solo allo sceneggiatore il quale poi divideva i proventi con ilsoggettista, ma senza che di ciò necessariamente risultasse traccianei registri di pagamento dell’editore. Gli indici compilati su talebase potrebbero dunque contenere errori ed omissioni.

A cosa ci porta tutto ciò nel caso del singhiozzo a martello?Esaminiamo l’elenco delle storie attualmente attribuite a Pavesein INDUCKS e pubblicate fra il 1965 e il 1969. Otteniamo 38storie. Facendo altrettanto con Abramo Barosso ne otteniamo 87.

9Vero è che potremmo ancora tentare di contattare Pavese, per chiederglise ricordi di aver scritto quella storia, nonché Maistrello, per sapere da doveavesse preso quell’attribuzione per il suo indice.

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(Per far le cose veramente per bene bisognerebbe a questo puntorileggersele tutte, e in ordine. Piacevole, avendole, ma un po’lungo!) Cerchiamo, fra queste, le storie con Paperoga. Ne troviamozero per Pavese e ben undici per Barosso, compresa “Paperino e

l’esperto del bosco” (I TL 534-A, 1966) che ci risulta essere, inbase a segnalazione dell’attento collega “ragazzo Jones” Eta Beta,la prima apparizione di Paperoga in una storia italiana. Questo èun indizio molto forte a favore di Abramo Barosso, chiaramente: seè stato lui a portare in Italia e sviluppare il carattere di Paperoga,come d’altronde asserisce esplicitamente di aver fatto con Amelia10,Rockerduck, Jones e Pico de’ Paperis, è naturale che sia poi lui ausarlo piuttosto che altri autori, specie nel primo periodo in cui ilpersonaggio non è ancora stato pienamente adottato nell’universoitalo-paperopolese.

Rispetto ai precedenti commenti sull’attendibilità delle attri-buzioni basate sui cedolini di pagamento, ricordiamo che questo èun periodo in cui Pavese e Barosso non collaboravano, per cui c’èminore possibilità che le attribuzioni basate sui dati di pagamentodisponibili a Fossati siano falsate dalle circostanze sopra descritte.Ciò dunque corrobora l’ipotesi Barosso, giacché questo è il nomeriportato da Fossati.

Ulteriore supporto a favore dell’attribuzione della storia ai Ba-rosso viene dalle ormai classiche vocali finali lunghe: “Scottaaa!”,“Settimo cavalleriaaaaaa! Caricaaaaa!”, “Un mostrooooo!” e co-sì via, nonché dall’oltremodo barossiano pistolotto scientifico sulleorigini del singhiozzo: “Il freddo irrita maggiormente il diafram-ma, le cui contrazioni involontarie generano l’improvvisa occlu-sione della glottide, con conseguente emissione del caratteristicosinghiozzo, perciò. . . ”.

Se ciò non bastasse, ci fornisce la con-ferma finale una ulteriore storia barossia-na con Paperino e Paperoga, disegnata an-ch’essa da Cavazzano e strettamente impa-rentata alla prima come ritmo e atmosfe-ra generale: “Paperino e il servizievole

cugino” (I TL 701-B, 1969).In base a tutti gli indizi sopra citati mi

sento ormai piuttosto sicuro nel periziarecome barossiana la prima storia di GiorgioCavazzano e quindi passo a correggere lamia pagina web su di lui (poi ripresa nelmio capitolo nel citato libro dello Scarabeoa cura di Boschi, Bruni e Irace) ove incautamente riportavo l’at-tribuzione a Pavese senza averla personalmente verificata o messain discussione.

Risolto questo caso, rimane da dire che le scoperte barossia-ne ottenute col vituperato metodo sperimentale, ossia due lunghechiacchierate telefoniche con i cortesissimi e simpaticissimi fratel-

10È infatti Abramo Barosso a coniare la geniale locuzione “Amelia, la fat-tucchiera che ammalia”. Onta e disonore a noi per non averlo intuito dall’as-sonanza pur avendo indipendentemente riconosciuto e notato la predilezionedell’autore per la bella strega di origini barksiane.

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li e una lunga lettera ricevuta da Abramo, ci consentiranno dicorreggere ed aggiornare molte attribuzioni di storie nel databaseINDUCKS, sempre nell’obiettivo di avvicinarci quanto possibile auno strumento di lavoro che consenta di identificare ed attribuirecorrettamente quante più storie possibile.

Bisognerà però diffidare dagli aggiornamenti “in blocco” e tene-re sempre gli occhi aperti alla ricerca di indizi rivelatori di possibilianomalie (quali la presenza di assonanze nei titoli di storie baros-siane precedenti i balsami balzani) che, come abbiamo visto, a voltenemmeno il “crudo sperimentalismo” riesce a risolvere. D’altrondeè proprio a seguito di un aggiornamento in blocco di questo tipoche, nel database INDUCKS così come era fino alla pubblicazionedi questa nota, le storie barossiane avevano una apparentemen-te precisissima, sebbene in molti casi sbagliata, attribuzione disoggettista e sceneggiatore. Tali attribuzioni erano state ottenu-te applicando il commento delle schede becattiniane (Gian Paolosceneggia i soggetti del fratello Abramo; Abramo realizza anche lesceneggiature dal 1974 in poi) a tutte le storie che l’indice di Fos-sati, il quale indicava solo un autore per i testi e uno per i disegni,attribuiva semplicemente a “Barosso”.

Detto ciò, tengo a ribadire che il mio insistere sugli errori negliindici di Fossati (e di Maistrello) e nelle schede di Becattini, al finedi esporre i procedimenti che hanno portato a scoprirli e corregger-li, non vuole in alcun modo sminuire la fondamentale importanzadi quei pionieristici lavori che hanno l’indiscutibile merito di esserestati i primi a fornire una qualche informazione agli appassionatie agli studiosi. È difficilissimo cominciare partendo da zero e letecniche filologiche di cui più sopra ho dato dimostrazione possonoessere applicate solo quando uno abbia una base minima di storieper le quali sia disponibile un’attribuzione. Le “dotte speculazio-ni” in cui mi sono profuso sarebbero state impossibili per chi nonavesse avuto il lusso di potersi basare sulle ponderose opere deiM.gn.f.ci Ecc.l.t.ss.mi Ch.ss.mi Dott. Prof. Fossati, Becattini e af-fini. Come giustamente disse Isaac Newton, se abbiamo visto piùavanti è perché stavamo sulle spalle di giganti.

Concludiamo dunque fornendo ai posteri una versione correttaed ampliata delle famose schede biografiche becattiniane, la cui ver-sione originale comparsa su I Disney Italiani nel 1990 è riprodottaa lato.

BAROSSO, Abramo. Nato a Torino il 28 aprile 1931 ma poitrasferitosi a Genova con la famiglia, studia Ingegneria Elet-trotecnica all’università, giungendo a pochi passi dalla lau-rea. Durante gli anni universitari inizia a scrivere soggettidisneyani per il fratello Giampaolo (v.), il quale già sceneg-giava assieme all’amico Osvaldo Pavese (v.), e si dedica aquesta attività a pieno ritmo quando finisce il servizio mili-tare. Collabora a tempo pieno con il periodico di Mondadoricome soggettista dai primi anni Sessanta fin verso la secon-da metà degli anni Settanta, in affiatata coppia col fratelloche gli realizza le sceneggiature. Dal 1971 in poi, cessatal’attività disneyana del fratello, Abramo sceneggia le proprie

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Page 10: Filologia disneyana, fra crudo empirismo e dotta speculazionefms27/disney/2008-stajano-barosso2.pdf · Gian Paolo come quasi tutte le fonti disponibili riportano (pro-babilmente basandosi

storie da solo oppure le fa sceneggiare al comune amico Pa-vese. Al pensionamento di Gian Giacomo Dalmasso (v.) gliviene offerto dal direttore di Topolino Mario Gentilini il po-sto chiave di revisione e coordinamento dei soggetti e dellesceneggiature, che però egli rifiuta, preferendo l’ideazione dinuove storie alla revisione di quelle altrui e non amando laprospettiva di un trasferimento a Milano. Una volta conclu-sasi la sua carriera di autore disneyano torna ad occuparsi dielettronica nonché di informatica e collabora come redattoree traduttore a riviste tecniche specializzate. Per un breveperiodo ha lavorato anche per la casa editrice tedesca KaukaVerlag, scrivendo i soggetti per “Fix und Foxi”.

BAROSSO, Giampaolo. Nato a Torino l’8 giugno 1937, iniziala sua collaborazione con Topolino a Genova nel 1961 assiemeall’amico Osvaldo Pavese (v) che era stato invitato a scrivereper Disney dal disegnatore Giovan Battista Carpi (v.). Laloro prima storia è “Paperino al Gran Premio di Paperopo-li” (Almanacco Topolino del novembre 1961). Dopo diversealtre storie scritte da Pavese e sceneggiate da Barosso, que-st’ultimo invita il fratello Abramo (v.) a scrivere soggetti di-sneyani, avviando così una pluriennale affiatatissima collabo-razione durante la quale i fratelli producono a ritmo serrato,mantenendo per lunghi periodi una media di quattro storieal mese. Abramo, da Genova, sforna soggetti a tempo pienomentre Giampaolo, a Milano, li sceneggia ritagliando un po’di tempo libero dalla sua attività professionale di ricercatorenei campi della linguistica e della cibernetica. L’attività diGiampaolo Barosso come “Disney Italiano” si conclude versoil 1971. Nel 1972–73 aveva inoltre sceneggiato tre serie peril Corriere dei Piccoli : le avventure di “Brambillino & C.”disegnate da Maria Luisa Uggetti (v.), “Robi e Robo”, unragazzo con un aiutante magico, e “I Ballordi”, che parlava-no uno strano linguaggio in cui alcune consonanti venivanoraddoppiate. Abbandonata Milano nel 1974, Barosso si sta-bilisce in campagna in Umbria dove coltiva, oltre ai fruttidella terra, anche i suoi interessi scientifici, filosofici e lette-rari, scrivendo numerosi testi che ha ora reso disponibili sulsuo sito web http://www.giampaolo-barosso.it.

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