NAPOLI classe I Liceo Scienze Umane

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Storia e bellezze di Napoli I Liceo Scienze Umane Istituto Maria Ausiliatrice Napoli

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Presentazione della propria città realizzata dalla classe I Licel delle Scienze Umane dell'Istituto "M. Ausiliatrice" di Napoli

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Storia e bellezze di NapoliI Liceo Scienze Umane

Istituto Maria Ausiliatrice Napoli

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Il Maschio angioino

• Di: Nataly Troili

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• Il Maschio Angioino o Castel Nuovo venne edificato a partire dal 1279 per volere di Carlo I d'Angiò che commissionò il progetto agli architetti Pierre de Chaule e Pierre d'Angicourt. L'edificio era destinato a dimora, ma svolgeva anche un'importante funzione strategica dovuta alla sua posizione, tra il centro cittadino e il porto. Il castello, inoltre, venne frequentato da illustri personaggi, quali Papa Celestino V e Papa Bonifacio VIII, Petrarca e Boccaccio. Durante il periodo aragonese, invece, il Maschio Angioino venne restaurato e modificato per opera del catalano Guillén Sagrera su commissione di Alfonso d'Aragona. Nel periodo borbonico la nuova residenza reale divenne Palazzo Reale e, in seguito, verso la fine del Settecento il Maschio Angionino venne saccheggiato. Nel corso dell'Ottocento venne intrapreso un restauro e attualmente l'edificio è di proprietà del Comune. La struttura del castello è di forma trapezoidale con maestosi torrioni cilindrici merlati impostati sugli angoli. Il prospetto principale è caratterizzato da tre torri, quella di Guardia, di Mezzo e di San Giorgio. Nello spazio tra due torri si trova un imponente arco di marmo che costituisce l'ingresso. L'arco venne progettato a metà del Quattrocento da Francesco Laurana e altri importanti artisti, per commemorare Alfonso d'Aragona. Oggi il Maschio Angioino ospita il Museo Civico.

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Certosa di San Martino

• Di : MariaGrazia Cassini

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Certosa San Martino• L'Edificio

• La Certosa di San Martino venne fondata nel 1325 da Carlo d’Angiò, duca di Calabria, sulla sommità del colle che domina l’intero golfo napoletano. Lo spettacolare complesso, edificato secondo i canoni architettonici dell'Ordine, venne realizzato da Tino di Camaino e Attanasio Primario. La Certosa tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Settecento, venne sottoposta ad un radicale rinnovamento. Furono tre gli architetti che con il loro intervento conferirono alla Certosa la veste attuale: Giovanni Antonio Dosio (1581), destinato a trasformare il severo aspetto gotico nel raffinato stile rinascimentale, Cosimo Fanzago (1623) autore della preziosa veste barocca e Nicola Tagliacozzi Canale (1723). Nel corso del tempo i migliori artisti lavorarono per i monaci certosini, tra i pittori: Lanfranco, Ribera, Battistello Caracciolo, Luca Giordano, tra gli scultori Giuseppe Sanmartino e Domenico Antonio Vaccaro. Dalla seconda metà dell’Ottocento la nuova funzione museale determinò profonde modifiche della struttura monastica fino a Novecento inoltrato.

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Museo di San Martino• La Certosa di San Martino si è arricchita nel corso dei secoli di un

patrimonio artistico, storico e architettonico di assoluto prestigio, fra marmi e stucchi, affreschi e dipinti, sculture e preziosi arredi. La Repubblica Napoletana del 1799 cambiò il suo destino: i frati accusati di simpatie repubblicane, furono allontanati dal monastero, che dopo alterne vicende, all’indomani dell’Unità d’Italia, fu definitivamente soppresso. Nel 1866 divenne Monumento Nazionale e il suo primo Direttore, Giuseppe Fiorelli, decise di trasformarlo nel ‘museo storico’ della città e del Regno di Napoli.

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Vesuvio e Solfatara

• Di : Alessia Pescione

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Il Vesuvio

• Il monte Vesuvio è un vulcano esplosivo attivo (attualmente in stato di quiescenza) situato in Campania nel territorio dell'omonimo parco nazionale, istituito nel 1996. È attualmente alto 1281 m e sorge all'interno di una caldera di 4 km di diametro. La caldera rappresenta ciò che resta dell'ex edificio vulcanico dopo la grande eruzione del 79 d.C., eruzione che ha creato la caldera dove poi si è formato il Vesuvio. Inoltre, oggi, il vulcano è l'unico attivo di tutta l'Europa continentale. Si tratta di un vulcano particolarmente interessante per la sua storia e per la frequenza delle sue eruzioni. Fa parte del sistema montuoso Somma-Vesuviano. È situato leggermente all'interno della costa del golfo di Napoli, ad una decina di chilometri ad est del capoluogo campano. Il Vesuvio costituisce un colpo d'occhio di inconsueta bellezza nel panorama del golfo, specialmente se visto dal mare con la città sullo sfondo. Una celebre immagine da cartolina ripresa dalla collina di Posillipo lo ha fatto entrare di diritto nell'immaginario collettivo della città di Napoli. Comunque il Vesuvio detiene un primato a livello mondiale: è il vulcano che per primo è stato studiato sistematicamente e anche oggi è il vulcano più monitorato e studiato.

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• Tra i 19.000 anni fa e il 79 d.C. ebbero luogo una serie di violente eruzioni intercalate da periodi di quiete del vulcano. Dall'origine della montagna ai principali eventi sono state attribuite varie denominazioni:

• Codola (25.000 anni fa)• Sarno-Pomici, basici (17.000 anni fa)• Pomici verdoline (15.500 anni fa)• Mercato o Pomici di Ottaviano (7.900 anni fa)• Pomici di Avellino (datata tra il 1880 e il 1680 a.C.)• Pompei (79 d.C.)

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L'eruzione del 79 d.C

• Le sostanze eruttate per prime sono state fondamentalmente pomici, quindi rocce vulcaniche che sono originate da un magma pieno di gas e raffreddato. Mescolati ai pomici si trovano parti di rocce di altra natura che furono trasportati dal magma; al di sopra delle pomici sono rimasti intrappolati la maggior parte dei cadaveri a Pompei, avvolti nelle ceneri. I residui piroclastici della eruzione sono stati rintracciati in un'area ampia centinaia di chilometri quadrati, inoltre gli esperti hanno calcolato che l'altezza della nube di gas e pomici abbia raggiunto i 17 chilometri. La data dell'eruzione del Vesuvio del 79 è attestata da una lettera di Plinio il giovane a Tacito, in cui si legge nonum kal. septembres cioè nove giorni prima delle Calende di settembre, data che corrisponde al 24

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SOLFATARA DI POZZUOLI

La Solfatara di Pozzuoli è uno dei 40 vulcani che costituiscono i Campi Flegrei ed è ubicata a circa tre chilometri dal centro della città di Pozzuoli. Si tratta di un antico cratere vulcanico ancora attivo ma in stato quiescente che da circa due millenni conserva un'attività di fumarole d'anidride solforosa, getti di fango bollente ed elevata temperatura del suolo: altre attività simili si riscontrano anche in altre parti del mondo e vengono indicate con il nome di solfatare proprio per la similitudine con quella puteolana. La Solfatara rappresenta oggi una valvola di sfogo del magma presente sotto i Campi Flegrei, grazie alla quale si riesce a mantenere una pressione costante dei gas sotterranei. La Solfatara, nome col quale viene indicato il cratere piuttosto che l'intero edificio vulcanico ha una forma ellittica con diametri di 770 e 580 metri, mentre il perimetro è di 2 chilometri e trecento metri; la parte più alta della cintura craterica è posta a 199 metri ed è chiamata monte Olibano mentre il fondo del cratere è posto a 92 metri sul livello del mare.

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La Storia

La Solfatara si colloca nel III Periodo Eruttivo Flegreo e la sua formazione è avvenuta 3.700-3.900 anni fa. Già famosa durante l'epoca imperiale romana, Strabone, nel suo Strabonis geographica, la descrive come la dimora del Dio Vulcano, ingresso per gli Inferi, chiamandola Forum Vulcani. Recenti scavi hanno riportato alla luce una strada basolata romana a valle della Solfatara, la via Puteolis-Neapolim, che hanno messo in luce una necropoli del I secolo le cui sepolture, deposte negli strati piroclastici della Solfatara eruttati circa 4.000 anni fa e non ricoperte da ulteriori strati eruttivi, hanno invece dimostrato l'infondatezza della notizia.Durante il medioevo l'attività estrattiva di minerali raggiunse il suo apice. . Tra il XVIII e il XIX secolo la Solfatara divenne tappa obbligata del Grand Tour e per i suoi vapori utilizzati per le stufe, ed i fanghi e le acque, considerati medicamentosi, divenne uno dei 40 stabilimenti termali più famosi dei Campi Flegrei. Nel 1900 iniziarono le prime visite guidate all'interno del cratere, mentre l'attività termale, nonostante fosse pubblicizzata da fogli e stampe illustrative, con il progredire della scienza medica, iniziò un lento declino, tanto che intorno agli anni '20 ogni attività fu abbandonata.

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• Anche l'estrazione di minerali, ormai ridotta solo a quella della pietra alchitrachite, cessò definitivamente negli anni '50.Al centro della cosiddetta Piccola Solfatara, un insieme di fumarole poste ai piedi del Monte Olibano, la cui attività oggi risulta estremamente ridotta, nel 1904 e 1921, si sono verificate delle esplosioni durante le quali si sono aperte nuove fumarole la cui colonna di vapore fuoriusciva con grande gettito e forte sibilo, a una temperatura oscillante fra i 100° e i 140.

• A seguito delle crisi bradisismiche del 1970-1972 e 1982-1984, l’attività della Solfatara, che rappresenta un certo pericolo per le circostanti aree urbanizzate, è sorvegliata da una rete di strumenti, che fanno del vulcano un laboratorio naturale di studi geologici.

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Cratere.

La visita alla solfatara viene svolta solitamente in senso antiorario seguendo il perimetro del cratere, ove si concentrano la maggior parte delle attività vulcaniche: dopo aver superato un bosco di querce ed una zona con la tipica vegetazione della macchia mediterranea si arriva ad un belvedere da dove è possibile osservare l'intera area del cratere. Si prosegue poi per il pozzo d'acqua minerale, la fangaia, le cave di pietra trachite, la grande fumarola e le stufe antiche. La Bocca Grande è la principale fumarola della Solfatara con il vapore, dal caratteristico odore di zolfo simile ad uova marce, che raggiunge temperature di circa 160.Le Stufe Antiche, realizzate nel '800 ed in seguito rivestite di mattoni, sono due grotte naturali che utilizzando i vapori delle fumarole erano sfruttate ai fini termali: chiamate una del Purgatorio e l'altra dell'Inferno a causa della variazione di temperatura tra le due, oggi non sono più utilizzate.

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La Solfatara: le fumarole e il panorama

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Cappella San Severo

• Di : Amalia Amato

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La Cappella Sansevero (o chiesa di Santa Maria della Pietà) è tra i più importanti edifici di culto di Napoli; è situata nelle vicinanze della piazza San Domenico Maggiore, attigua al palazzo di famiglia dei Principi di Sansevero, da questo separata da un vicolo una volta

sormontato da un ponte sospeso che consentiva ai membri della famiglia di accedere al luogo di culto direttamente

• La leggenda:

• Mentre una leggenda vuole che la chiesa sia stata eretta su un preesistente antico tempio dedicato alla dea Iside, un'altra, riportata nel 1623 da Cesare d'Engenio Caracciolo nel suo "Napoli Sacra” narra che un uomo, ingiustamente arrestato, veniva tradotto verso il carcere quando, transitando lungo il muro della proprietà dei Sansevero si votò alla Santa Vergine. Improvvisamente parte del muro crollò rivelando un dipinto (quello posto nella cappella in cima all'altare maggiore) proprio della Vergine invocata, una "Pietà" che darà poi il nome alla chiesa che, come pochi sanno, è intitolata a "Santa Maria della Pietà". Come spesso accade, la devozione popolare darà la sua versione di tale nome talché la chiesa sarà nota anche come "La Pietatella".

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• Del 1613 è tuttavia, come si rileva da una lapide marmorea, la dedica di Alessandro di Sansevero (nipote di Giovan Francesco), Patriarca di Alessandria ed Arcivescovo di Benevento, che decise di ampliare la preesistente piccola costruzione per renderla degna di accogliere le spoglie sue e dei suoi discendenti. La Pietatella diventa, così, la cappella gentilizia della famiglia ed i lavori si susseguono, con l'intervento di artisti più o meno noti dell'epoca, fino al 1642 quando, nuovamente, si interrompono per oltre cento anni. I lavori riprenderanno, infatti, solo nel 1744, con il VII Principe di Sansevero, Raimondo di Sangro, per non più interrompersi nel successivo trentennio.

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Le Opere • Numerosi furono gli Anonimi pervenuti al Re di Napoli Carlo III di Borbone

(che fortunatamente non ne tenne mai conto ed anzi incitò il Principe nella sua opera) con cui si tacciava l'intero complesso di idolatria.

• La Cappella Sansevero è, comunque, un concentrato di opere scultoree e pittoriche, a partire dall'affresco che ne orna il soffitto, noto come "il paradiso dei Sansevero", opera di un pittore minore, tale Francesco Maria Russo che, come riportato nell'affresco stesso, lo realizzò nel 1749. Colpisce, ancor oggi, la brillantezza dei colori anche in questo caso dovuti all'inventiva di Raimondo di Sangro ed alla sua pittura "oloidrica" in cui, pare, sostituì la colla, normalmente impiegata per gli affreschi, con altre sostanze di sua concezione. L'affresco del soffitto termina, in corrispondenza delle finestre, con sei medaglioni monocromi, in verde, con i Santi protettori del Casato: Bernardo, Filippa, Odorisio, Randisio, Rosalia. Al disotto di questi, sei medaglioni marmorei, opera di Francesco Queirolo, con le effigi di sei Cardinali espressi dalla famiglia di Sangro.

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Per l'impianto statuario, il Principe chiamò l'ottantaquattrenne Antonio Corradini, veneto e massone, che riuscì però ad ultimare solo la statua della "Pudicizia Velata" (dedicata alla madre prematuramente scomparsa) e lasciò alcuni bozzetti per altre opere. Secondo una leggenda, a lui si dovrebbe il bozzetto originario dello stesso "Cristo velato", ma recenti scoperte hanno consentito di assegnare progettazione e realizzazione dell'opera al solo Giuseppe Sanmartino

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Pizza,Pastiera e struffoli

• Di : Camilla Femiano

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Pizza…

• MARGHERITA. 

• Tra tutte le pizze la PIZZA MARGHERITA è certamente una delle più conosciute e apprezzate nel mondo.

• La classica base, il pomodoro, la mozzarella, la fragranza del basilico e un filo d'olio: cosa c'è di più sano e mediterraneo della PIZZA MARGHERITA ?

• Per chi non lo sapesse, la PIZZA MARGHERITA nasce a Napoli dall'inventiva del grande Pizzaiolo RAFFAELE ESPOSITO. In occasione di una visita della Regina d'Italia, Margherita appunto, moglie di Re Umberto primo l'Esposito pensò ad una pizza che celebrasse la recente Unità d'Italia sotto i Savoia e per fare questo volle richiamare attraverso i colori dei semplici ingredienti pomodoro, mozzarella e basilico, la bandiera tricolore.

• La Regina, e non solo lei, apprezzò talmente la pizza che da quel momento la ricetta assunse il suo nome e oggi è uno dei prodotti alimentari italiani più conosciuti al mondo.

 

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• INGREDIENTI:

 • - 450 grammi di pomodori maturi• - 300 grammi di mozzarella• - foglie di basilico• - origano• - sale

  • PREPARAZIONE. 

• Dopo aver preparato e fatto riposare l’impasto per la pizza stendete la pasta in una teglia unta d’olio e mettete sulla superficie i pomodori pelati e schiacciati preventivamente con una forchetta, salate leggermente e lasciate riposare il tutto per una ventina di minuti.

• Trascorso il tempo di riposo, infornatela per trenta minuti a forno preriscaldato a 250°, poi copritela con la mozzarella tagliata a fette sottilissime, conditela con un filo d’olio, con le foglie di basilico e una spolverata di origano.

• Infine infornate di nuovo il tutto a forno caldo per dieci minuti.

 

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La pastiera • Si racconta che Maria Teresa D'Austria, consorte del re Ferdinando II° di Borbone,

soprannominata dai soldati "la Regina che non sorride mai", cedendo alle insistenze del marito buontempone, famoso per la sua ghiottoneria, accondiscese ad assaggiare una fetta di Pastiera e non poté far a meno di sorridere, compiaciuta alla bonaria canzonatura del Re che sottolineava la sua evidente soddisfazione, nel gustare la specialità napoletana. Pare che a questo punto il Re esclamasse: "Per far sorridere mia moglie ci voleva la Pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo".

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INGREDIENTI:

• Ingredienti per 6 persone:• Grano cotto - 1 lattina 450 gr,• Aroma millefiori per dolci - 10 ml,• Latte - 250 gr,• Strutto - 180 gr,• Arancia o limone - scorza grattugiata,• Ricotta - 550 gr,• Uova - 9• Zucchero - 600 gr,• Vaniglia - 1 bustina• Farina - 350 gr,• Sale una presa• Zucchero a velo per guarnire 2 cucchiai • Canditi sminuzzati - 100 gr.

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• Per arricchire il composto della pastiera è d'uso aggiungere alcune cucchiaiate di una crema pasticciera preparata con:

• un bicchiere di latte, • 1 etto di zucchero,• 50 gr. di farina 00, • 4 rossi d'uovo, • la scorza di un limone,• un baccello di vainiglia.

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PREPARAZIONE:

• Preparate la pasta frolla: sulla spianatoia lavorate la farina con 2 uova, un

pizzico di sale, 140 g di strutto e 140 g di zucchero. Come tutte le paste frolle bisogna impastare rapidamente. Ottenuto un panetto sodo ed elastico tenetelo a riposo, coperto, mentre preparate il ripieno.

• Versate il contenuto del barattolo di grano cotto in una casseruola; amalgamatelo sulla fiamma bassa con il latte e la scorza grattugiata di un'arancia o di un limone a vostra scelta. Cuocere mescolando attentamente perché non si attacchi, b fino ad ottenere un composto cremoso.

• Frullate la ricotta con 500 gr. di zucchero, 5 uova intere più due rossi, una bustina di vaniglia e 1 fiala di aroma millefiori. Questo aroma può essere sostituito anche da una fiala di fiori d'arancio, più reperibile sul mercato. La vera essenza da usare, però, nella pastiera è la prima. Amalgamate il frullato con il composto a base di grano e aggiungetevi i canditi tagliati a dadini, girando molto bene.

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….• Accendete il forno e portatelo a 180°. Ungete di strutto una tortiera adeguata (ca 25

cm. di diametro), a bordi alti sei cm. di quelle apribili, o rivestitela con carta da forno. Foderate lo stampo con la pasta frolla in modo da arrivare fino ai bordi e avendo cura di conservare un po' di pasta frolla per decorare la superficie del dolce. Versate il composto e decoratene la superficie con strisce strette 1,5 cm. di pasta frolla, formando un graticcio

• Infornare per ca 120 minuti.• Lasciar raffreddare bene nello stampo e prima di servire cospargere di zucchero a

velo.• Accompagnare la preparazione con rosolii dolci al gusto di arancia o limone.•  • Note: Questo dolce è tipico della zona napoletana e viene preparato in occasione

della festività primaverile della santa Pasqua e la sua ricetta è molto antica. Personalmente lo ritengo il dolce più saporito che si possa preparare, superiore ad ogni altra leccornia.

• Tradizionalmente viene fatto per festeggiare il ritorno della bella stagione e quindi è associato alla Pasqua ma in realtà si può fare in ogni momento dell'anno visto che i suoi ingredienti sono reperibili sempre.

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GLI STRUFFOLI.

• Gli struffoli sono il dolce napoletano più antico e tipico del periodo Natalizio.• Chi ha inventato gli struffoli? Non i napoletani, nonostante la loro proverbiale creatività.

Due famosi trattati di cucina del 1600, il Latini e il Nascia, citano come “strufoli - o anche struffoli - dei dolci preparati alla stessa maniera degli struffoli napoletani anche se la loro invenzione pare non sia attribuibile ai napoletani ma ai Greci ed è dal greco che deriverebbe il nome “struffolo”: precisamente dalla parola “strongoulos”, arrotondato.

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Preparazione

 • Impastare bene tutti gli ingredienti e lasciare riposare l'impasto alcune ore, in una

ciotola coperta da uno strofinaccio. • Reimpastare velocemente e stendere l'impasto come per gli gnocchi, formando

cioè dei grissini e tagliandoli in pezzetti grossi più o meno quanto una nocciola e dispondendoli sul tagliere ben infarinato e spolverandoli di farina in modo da non farli attaccare l'uno con l'altro.

• Al momento di friggerli (preferibilmente in strutto), porli in un setaccio e scuoterli in modo da eliminare la farina in eccesso. Friggere gli struffoli un po' per volta, stando attenti a non fare scaldare troppo l'olio (gli struffoli annerirebbero diventando amari). Durante la frittura, stare bene attenti alle bolle di schiuma che si formano nell'olio caldo in seguito al contatto della farina di cui sono impregnati gli struffoli. Per evitare che l'olio strasbordi è meglio dotarsi di un ventaglio e "sventolare" la padella: questo aiuterà a non far formare delle bolle troppo grandi evitando pericolose cadute di olio sulla fiamma.

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…..• Una volta cotti - gli struffoli devono assumere un aspetto dorato ma non particolarmente

colorito - tirarli fuori dall'olio con una schiumarola e porli in un piatto coperto da carta assorbente (per questa operazione sarebbe meglio usare carta paglia ma, in mancanza, ci si può accontentare di carta da cucina).

• Preparare poi il miele versandolo in una pentola abbastanza capiente e facendolo scaldare a bassa temperatura fino a quando non si sia liquefatto (attenzione anche qui a non farlo bruciare). Versarvi quindi dentro gli struffoli e mescolarli fino a quando non si siano bene impregnati di miele. Versare quindi un terzo circa dei confettini e della frutta candita tagliata a pezzettini e mescolare delicatamente.

• Prendere quindi il piatto di portata, mettetevi al centro un barattolo di vetro vuoto (serve per facilitare la formazione del buco centrale) e disporre gli struffoli tutt'intorno a questi (usando anche le mani, se necessario, purchè leggermente bagnate) in modo da formare una ciambella. Poi, a miele ancora caldo, prendere i confettini e la frutta candita restanti e spargerla sugli struffoli in modo da cercare di ottenere un effetto esteticamente gradevole.

• Quando il miele si sarà solidificato, togliere delicatamente il barattolo dal centro del piatto e servite gli struffoli.

 

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Ingredienti

• Farina 400 gr ,• Uova 4 ,• zucchero 2 cucchiai ,• burro o, preferibilmente, strutto 25 gr, • 1 bicchierino di anice,• Scorza di mezzo limone grattuggiata• Scorza di mezzo arancio grattuggiata • Sale un pizzico • olio o strutto per friggere

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 COME DECORAZIONE:

• Miele 400 gr ,• confettini colorati (a napoli si chiamano "diavulilli"• Confettini cannellini, confettini che all'interno contengono aromi alla

cannella• confettini argentati ,• 100 gr di arancia candita, 100 gr di cedro candito, 50 gr di zucca candita (a

Napoli si chiama "cocozzata") preferibilmente comprata a pezzi grossi e tagliata al momento dell'uso, cercando di evitare quella venduta già tagliata nei supermercati che sa davvero di poco.

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STORIA DEGLI STRUFFOLI IN RIMA:

A fa ‘e struffoli è nu sfizio. Cumminciamm dall’inizio:

faje na pasta sopraffina, e po’ tagliala a palline,

cu na bona nfarinata. Dopp’a frje. Già t’e stancate?

Chest è a parte chiù importante! Mò ce vo’: miele abbondante

e na granda cucuzzata (a cocozza nzuccherata).

N’è fernuto ancora, aspiette! S’anna mettere ‘e cunfiette:

aggrazziate, piccerille, culurate: ‘e diavulille…

Ma qua nfierno, è Paraviso! Iamme, falle nu’ surriso!

Comme dice? “Mamma mia, stanne troppi ccalurie so’ pesante, fanno male?”

Si va buò,ma è Natale!

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LEGGENDA PARTENOPE-LA SIBILLA CUMANA

• Di : Giada Albin

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LA SIRENA PARTENOPE

La città di Napoli è chiamata anche “Partenope”perché, secondo la leggenda, era così che si chiamava la sua fondatrice.

Partenope si dice fosse una sirena, che viveva con le sue sorelle nel piccolo arcipelago de”Li Galli”infatti i tre isolotti che componevano l’arcipelago erano, nell’antichità, noti come “Le Sirenuse”.

Secondo la mitologia greca, le sirene erano delle creature capaci di cantare straordinarie melodie e, con queste, erano solite incantare gli sfortunati marinai che incrociavano il loro

cammino, destinando le loro navi ad un sicuro naufragio.

Come narra la leggenda, Ulisse, che si trovava nell’arcipelago di Li Galli, riuscì ad ideare uno stratagemma per evitare le affascinanti e terribili sirene.

Tra queste si trovava anche Partenope che, essendo fiera della sua incantevole voce, pensava che nessuno le sarebbe mai sfuggito,ma quando scopri di essersi fatta scappare Ulisse,disperata per l’accaduto,si lasciò annegare nelle acque dell’arcipelago.

Il mare stesso, però, non accettò la perdita di una creatura di tanto splendore e le onde ne raccolsero il corpo ormai privo di vita. Trasportata dalle acque, Parthenope si arenò proprio nel golfo di Napoli dove il suo corpo diede vita a parte della costa.

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LA SIBILLA CUMANA

• La Sibilla Cumana era una delle più importanti Sibille, figure profetiche della religione greca e romana, inoltre era anche una sacerdotessa di Apollo.

• Ella svolgeva la sua attività oracolare nei pressi del Lago d'Averno, in una caverna conosciuta come l'"Antro della Sibilla" dove la sacerdotessa, ispirata dalla divinità, trascriveva in esametri i suoi vaticini su foglie di palma le quali, alla fine della predizione, erano mischiate dai venti provenienti dalle cento aperture dell'antro, rendendo i vaticini "sibillini". La sua importanza era nel mondo italico pari a quella del celebre oracolo di Apollo di Delfi in Grecia.Alla sua figura è anche legata una leggenda: «Apollo innamorato di lei le offrì qualsiasi cosa purché ella diventasse la sua sacerdotessa, ed essa gli chiese l'immortalità. Ma si dimenticò di chiedere la giovinezza e, quindi, invecchiò sempre più finché, addirittura, il corpo divenne piccolo e consumato come quello di una cicala. Così decisero di metterla in una gabbietta nel tempio di Apollo, finché il corpo non scomparve e rimase solo la voce. Apollo comunque le diede una possibilità: se lei fosse diventata completamente sua, egli le avrebbe dato la giovinezza. Però ella, per non rinunciare alla sua castità, decise di rifiutare».L’antro della sibilla Cumana si può ancora visitare nei pressi della città di Cuma.

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Castel dell’Ovo

• Di : Sabrina Grieco

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• Il Castel dell'Ovo (Castrum Ovi, in latino), dopo il Castel Capuano, è il più antico della città di Napoli ed è uno degli elementi che spiccano maggiormente nel celebre panorama del Golfo.

• Il suo nome deriva da un'antica leggenda secondo la quale il poeta latino Virgilio - che nel medioevo era considerato anche un mago - nascose nelle segrete dell'edificio un uovo che mantenesse in piedi l'intera fortezza. La sua rottura avrebbe provocato non solo il crollo del castello, ma anche una serie di

rovinose catastrofi alla città di Napoli.

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• Il Castello sorge sull'isolotto tufaceo dell'antica Megaride (su cui la leggenda vuole che fosse approdata, sfinita, la sirena Partenope, che avrebbe dato il nome alla città antica), poi collegato alla terraferma, sul quale il patrizio romano Lucullo fece erigere per sé una fastosa ed enorme villa (il Castrum Lucullanum). Intorno alla fine del V secolo, l'area divenne sede di un monastero di monaci basiliani, di cui rimane l'antica chiesa. Poi, in periodo ducale, vi fu costruito un fortilizio, e nel XII secolo vi si stabilirono i Normanni, che fecero ampliare e rinforzare la fortificazione. Un ulteriore rafforzamento fu realizzato dagli Svevi. Nel XIV secolo, si diffuse l'attuale denominazione, per la quale vi sono due teorie: l'una la riferisce alla pianta particolare del castello, l'altra, più accreditata, fa risalire il nome al poeta Virgilio, che vi avrebbe nascosto un uovo, alla sopravvivenza del quale sarebbe stata legata la sopravvivenza del bastione. L'aspetto attuale del Castel dell'Ovo è quello determinato dalla ristrutturazione operata nell'epoca vicereale, dopo i danni subiti nell'assedio del 1503. Alla fine del 1800, al di fuori della cinta muraria, venne realizzato un piccolo borgo di pescatori, l'attuale Borgo Marinari.

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