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Sonia Cappelli D i G. C. abbiamo già parlato nel 2009 quando il Tribunale di Padova, grazie a un’azione legale promossa dall’Inca, aveva emesso una sentenza in suo favore riconoscendogli una riduzione dell’integrità psicofisica e, in rapporto al danno biologico, aveva stabilito un risarcimento di 13 mila euro per i danni subiti a causa dei venti anni trascorsi alla guida dei mezzi di trasporto urbani ed extraurbani della cittadina veneta. Il datore di lavoro di G. C. è l’Aps Holding Spa, un’azienda che gestisce i trasporti urbani a Padova e provincia, con 450 addetti e oltre 260 mezzi. Ed è appunto su questi mezzi (in particolare i modelli Fiat 411 e 418), dotati di “sospensioni a balestra non revisionabili, con sedili rigidi, non adattabili né in profondità, né in altezza, che G. C. ha svolto il suo lavoro a partire dal 1988, per sei giorni a settimana, con turni giornalieri di sei ore e quaranta minuti e, come si legge nel dispositivo della sentenza, “su percorsi urbani caratterizzati dalla pavimentazione in cubetti di porfido, da fermate molto ravvicinate, con continue sequenze di fermate e partenze”. Dopo otto anni G. C. comincia ad accusare i primi sintomi dolorosi alla colonna vertebrale che si intensificano nel tempo, poi arriva la diagnosi di ernia discale; nonostante i certificati del medico aziendale, che indicano una riduzione dell’idoneità di G. C. a svolgere l’attività di conducente “solo” su percorsi e mezzi soggetti a basse vibrazioni per evitare danni ulteriori alla salute, l’azienda non modifica il suo atteggiamento e continua a fargli svolgere “le medesime prestazioni di sempre, sui medesimi mezzi, sui medesimi percorsi, senza variazioni”. Nel 1998 le condizioni di G. C. peggiorano, le ernie discali ormai sono due, ma bisogna lavorare, non si può passare per “lavativi”, anche se i dolori sono sempre più insopportabili. G. C. resiste fino al 2005 quando decide, avvalendosi della consulenza legale dell’Inca, di avviare un contenzioso per ottenere il risarcimento dei danni subiti e per i quali, viste anche le certificazioni mediche, risulta evidente il nesso di causalità con l’attività lavorativa. Il finale lo conosciamo: G. C. vince la causa in prima battuta. Il lieto fine però è rimandato perché l’Aps Holding Spa non si arrende e contro ogni logica evidenza e ragionevolezza ricorre in appello lamentando una valutazione errata del giudice circa il nesso di causalità. Tuttavia, anche in questa occasione, la Corte d’Appello di Venezia ha accolto le tesi sostenute dal collegio legale dell’Inca ed emette una sentenza (n. 725/11) favorevole al lavoratore, aggiungendo l’aggravante della “colposa omissione”. Una giusta sentenza che, oltre a riconoscere il diritto alla salute di G. C., ha aiutato a far emergere le condizioni di lavoro dei suoi colleghi che, come lui, si sono ammalati della stessa patologia. Basti pensare che sul totale dei lavoratori dell’Aps Holding Spa, ben cento sono stati operati di ernia, circa trecento soffrono di patologie lombosacrali e solo una cinquantina (corrispondenti a quelli più giovani e di più recente assunzione) non presentano ancora (!) gli stessi sintomi. Dopo il caso di G. C. a Padova sono partite numerose azioni legali per far emergere altre patologie professionali per gli autisti di mezzi pubblici. Con l’avvocato Giancarlo Moro, coordinatore legale Inca Cgil Veneto, facciamo il punto della situazione. Quanti sono i lavoratori potenzialmente interessati e quante le azioni legali promosse dall’Inca? Moro Solo a Padova il “bacino” dei lavoratori interessati è costituito da circa quattrocento autisti e potenzialmente altri quattrocento a Venezia (oggetto di una valutazione preliminare), e il dato epidemiologico non lascia adito a dubbi circa la natura professionale nella stragrande maggioranza delle patologie. Fino ad oggi abbiamo patrocinato ventitré cause contro l’Inail, ottenendo cinque sentenze positive e nove riconoscimenti, le altre sono pendenti. Il dato ancor più rilevante però è quello riferito alle trentanove controversie promosse per il danno differenziale, per le quali abbiamo ottenuto nove sentenze di accoglimento della domanda, diciotto conciliazioni, mentre le altre cause sono ancora in corso. Nell’ottica della tutela globale della persona, l’Inca ha proposto e ottenuto il risarcimento del danno differenziale, con notevole beneficio economico per i lavoratori. Di che si tratta? Moro Tutto è nato alla fine degli anni novanta con il manifestarsi delle conseguenze derivanti dall’esposizione alle polveri di asbesto per centinaia e centinaia di lavoratori dipendenti della Firema Spa (settore ferroviario). La Camera del lavoro di Padova ha ritenuto doveroso garantire agli ammalati e alle vedove dei deceduti il diritto al risarcimento del danno “differenziale”, ossia quelle componenti del danno che non sono soddisfatte dall’intervento “solo indennitario” dello Stato attraverso l’assicurazione obbligatoria Inail. Restavano dunque esclusi quei componenti di danno fondamentali, dovuti alla responsabilità di terzi, quali quello morale, biologico da invalidità permanente, biologico temporaneo, quello alla capacità lavorativa specifica ed esistenziale. Cos’è cambiato da allora e quali sono stati i risultati? Moro Si è dovuto cambiare il modus operandi perché fino ad allora la stragrande maggioranza delle malattie professionali e degli infortuni veniva trattata solo in relazione alle opportunità di natura previdenziale, convinti che l’intervento Inail rappresentasse l’unica o la principale opportunità. Attraverso il riesame di tutte le pratiche Inail individuali, giacenti presso l’Inca nell’ultimo decennio, siamo riusciti a far ottenere anche quella tutela risarcitoria che, attraverso il sistema sanzionatorio, modifica comportamenti e prassi aziendali illecite, favorendo quindi la cultura della salute nei luoghi di lavoro e la prevenzione di infortuni e malattie. Rassegna Sindacale INCA PADOVA. MALATTIE PROFESSIONALI MUSCOLOSCHELETRICHE Cause in corso Nel Veneto, dopo un primo riconoscimento dell’origine professionale di un’ernia discale, l’Inca avvia numerose altre azioni legali nel settore del trasporto pubblico La tutela dell’Inca in tempi di crisi L a presentazione del bilancio sociale dell’Inca si inserisce in un contesto politico, sindacale e sociale di grande preoccupazione che ci consegna una serie di interrogativi per nulla rassicuranti. Gli indici di disoccupazione, soprattutto giovanile, ma anche di lavoratori in età matura, insieme alla crescente povertà delle famiglie, sulle quali ricadono gli effetti di una crisi devastante che sembra non allentare la sua morsa, fotografano un paese fragile, incapace di indicare un qualunque percorso per uscire dal tunnel nel quale siamo. È una crisi le cui cause non sono state aggredite come sarebbe stato auspicabile dalle istituzioni nazionali e internazionali, tanto meno dalle imprese; verso questi attori protagonisti il mondo del lavoro dipendente e dei pensionati esprime oramai da tempo una sfiducia profonda, alimentata soprattutto da politiche sbagliate che, ispirate a un modello liberista rivelatosi fallimentare, stanno provocando una compressione dei diritti del lavoro e di cittadinanza. A soffrirne sono innanzitutto i giovani, ai quali si nega ogni prospettiva; gli anziani, ai quali si chiede di rinunciare a un sistema di protezione sociale universalistico e solidale; i lavoratori e le lavoratrici ai quali, con le riforme inique sul mercato del lavoro e delle pensioni, si chiede di lavorare di più, mentre, paradossalmente, le aziende continuano a delocalizzare verso paesi dove non esistono tutele, lasciando inattive, senza lavoro e senza futuro centinaia di migliaia di persone ogni anno. Negli ultimi tre anni l’aumento delle domande per l’ottenimento di prestazioni socio-assistenziali e la riduzione delle richieste di pensione, dovute all’inasprimento dei requisiti di accesso al diritto, riflettono la profonda sofferenza della quale i sindacalisti della tutela individuale si sono fatti carico con abnegazione, assumendo spesso su di loro le ansie e il conseguente stress psicologico di coloro che si rivolgono al nostro Patronato. Insieme alla Cgil vogliamo che il “patrimonio” umano e professionale dell’Inca continui a crescere, come espressione alta di equità e uguaglianza, solidarietà, coesione sociale e partecipazione attiva, verso i quali il sindacato confederale e l’Inca hanno rivolto sin dalle loro origini ogni loro azione quotidiana. Morena Piccinini presidente Inca SEGUE A PAGINA 20 I. R. al numero 22/2012 di Rassegna Sindacale INCAesperienze-06 ok 15/06/12 12:28 Pagina 16

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La tutela dell’Inca in tempi di crisi La presentazione del bilancio sociale dell’Inca si inserisce in un contesto politico, sindacale e sociale di grande preoccupazione che ci consegna una serie di interrogativi per nulla rassicuranti....

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Sonia Cappelli

Di G. C. abbiamo giàparlato nel 2009quando il Tribunale diPadova, grazie a

un’azione legale promossadall’Inca, aveva emesso unasentenza in suo favorericonoscendogli una riduzionedell’integrità psicofisica e, inrapporto al danno biologico,aveva stabilito un risarcimento di13 mila euro per i danni subiti acausa dei venti anni trascorsi allaguida dei mezzi di trasportourbani ed extraurbani dellacittadina veneta. Il datore di lavoro di G. C. è l’ApsHolding Spa, un’azienda chegestisce i trasporti urbani aPadova e provincia, con 450addetti e oltre 260 mezzi. Ed èappunto su questi mezzi (inparticolare i modelli Fiat 411 e418), dotati di “sospensioni abalestra non revisionabili, consedili rigidi, non adattabili né inprofondità, né in altezza, che G. C. ha svolto il suo lavoro apartire dal 1988, per sei giorni asettimana, con turni giornalieri disei ore e quaranta minuti e, comesi legge nel dispositivo dellasentenza, “su percorsi urbanicaratterizzati dallapavimentazione in cubetti diporfido, da fermate moltoravvicinate, con continuesequenze di fermate e partenze”.Dopo otto anni G. C. comincia adaccusare i primi sintomi dolorosialla colonna vertebrale che siintensificano nel tempo, poiarriva la diagnosi di ernia discale;nonostante i certificati delmedico aziendale, che indicanouna riduzione dell’idoneità di G. C. a svolgere l’attività diconducente “solo” su percorsi e

mezzi soggetti a basse vibrazioniper evitare danni ulteriori allasalute, l’azienda non modifica ilsuo atteggiamento e continua afargli svolgere “le medesimeprestazioni di sempre, suimedesimi mezzi, sui medesimipercorsi, senza variazioni”. Nel 1998 le condizioni di G. C.peggiorano, le ernie discali ormaisono due, ma bisogna lavorare,non si può passare per “lavativi”,anche se i dolori sono semprepiù insopportabili. G. C. resistefino al 2005 quando decide,avvalendosi della consulenzalegale dell’Inca, di avviare uncontenzioso per ottenere ilrisarcimento dei danni subiti eper i quali, viste anche lecertificazioni mediche, risultaevidente il nesso di causalità conl’attività lavorativa. Il finale lo conosciamo: G. C.vince la causa in prima battuta. Il lieto fine però è rimandatoperché l’Aps Holding Spa non siarrende e contro ogni logicaevidenza e ragionevolezza ricorrein appello lamentando unavalutazione errata del giudicecirca il nesso di causalità.Tuttavia, anche in questaoccasione, la Corte d’Appello diVenezia ha accolto le tesisostenute dal collegio legaledell’Inca ed emette una sentenza(n. 725/11) favorevole allavoratore, aggiungendol’aggravante della “colposaomissione”. Una giusta sentenza che, oltre ariconoscere il diritto alla salute diG. C., ha aiutato a far emergere lecondizioni di lavoro dei suoicolleghi che, come lui, si sonoammalati della stessa patologia.Basti pensare che sul totale deilavoratori dell’Aps Holding Spa,ben cento sono stati operati di

ernia, circa trecento soffrono dipatologie lombosacrali e solouna cinquantina (corrispondentia quelli più giovani e di piùrecente assunzione) nonpresentano ancora (!) gli stessisintomi. Dopo il caso di G. C. aPadova sono partite numeroseazioni legali per far emergerealtre patologie professionali pergli autisti di mezzi pubblici. Conl’avvocato Giancarlo Moro,coordinatore legale Inca CgilVeneto, facciamo il punto dellasituazione. Quanti sono i lavoratoripotenzialmente interessati equante le azioni legalipromosse dall’Inca?Moro Solo a Padova il “bacino”dei lavoratori interessati ècostituito da circa quattrocentoautisti e potenzialmente altriquattrocento a Venezia (oggettodi una valutazione preliminare),e il dato epidemiologico nonlascia adito a dubbi circa lanatura professionale nellastragrande maggioranza dellepatologie. Fino ad oggi abbiamopatrocinato ventitré cause control’Inail, ottenendo cinquesentenze positive e novericonoscimenti, le altre sonopendenti. Il dato ancor piùrilevante però è quello riferitoalle trentanove controversiepromosse per il dannodifferenziale, per le qualiabbiamo ottenuto nove sentenzedi accoglimento della domanda,diciotto conciliazioni, mentre lealtre cause sono ancora in corso.Nell’ottica della tutela globaledella persona, l’Inca haproposto e ottenuto ilrisarcimento del dannodifferenziale, con notevolebeneficio economico per ilavoratori. Di che si tratta?

Moro Tutto è nato alla fine deglianni novanta con il manifestarsidelle conseguenze derivantidall’esposizione alle polveri diasbesto per centinaia e centinaiadi lavoratori dipendenti dellaFirema Spa (settore ferroviario). La Camera del lavoro di Padovaha ritenuto doveroso garantireagli ammalati e alle vedove deideceduti il diritto al risarcimentodel danno “differenziale”, ossiaquelle componenti del dannoche non sono soddisfattedall’intervento “soloindennitario” dello Statoattraverso l’assicurazioneobbligatoria Inail. Restavanodunque esclusi quei componentidi danno fondamentali, dovutialla responsabilità di terzi, qualiquello morale, biologico dainvalidità permanente, biologicotemporaneo, quello alla capacitàlavorativa specifica edesistenziale.Cos’è cambiato da allora equali sono stati i risultati?Moro Si è dovuto cambiare ilmodus operandi perché fino adallora la stragrande maggioranzadelle malattie professionali e degliinfortuni veniva trattata solo inrelazione alle opportunità dinatura previdenziale, convinti chel’intervento Inail rappresentassel’unica o la principaleopportunità. Attraverso il riesamedi tutte le pratiche Inailindividuali, giacenti presso l’Incanell’ultimo decennio, siamoriusciti a far ottenere anche quellatutela risarcitoria che, attraverso ilsistema sanzionatorio, modificacomportamenti e prassi aziendaliillecite, favorendo quindi lacultura della salute nei luoghi dilavoro e la prevenzione diinfortuni e malattie.

Rassegna Sindacale

INCA PADOVA. MALATTIE PROFESSIONALI MUSCOLOSCHELETRICHE

Cause in corso Nel Veneto, dopo un primo riconoscimento dell’origine professionale di un’erniadiscale, l’Inca avvia numerose altre azioni legali nel settore del trasporto pubblico

La tutela dell’Incain tempi di crisi

La presentazione del bilanciosociale dell’Inca si inserisce

in un contesto politico, sindacale esociale di grande preoccupazioneche ci consegna una serie diinterrogativi per nulla rassicuranti.Gli indici di disoccupazione,soprattutto giovanile, ma anche dilavoratori in età matura, insiemealla crescente povertà dellefamiglie, sulle quali ricadono glieffetti di una crisi devastante chesembra non allentare la suamorsa, fotografano un paesefragile, incapace di indicare unqualunque percorso per uscire daltunnel nel quale siamo. È una crisi le cui cause non sonostate aggredite come sarebbestato auspicabile dalle istituzioninazionali e internazionali, tantomeno dalle imprese; verso questiattori protagonisti il mondo dellavoro dipendente e dei pensionatiesprime oramai da tempo unasfiducia profonda, alimentatasoprattutto da politiche sbagliateche, ispirate a un modello liberistarivelatosi fallimentare, stannoprovocando una compressione deidiritti del lavoro e di cittadinanza. Asoffrirne sono innanzitutto igiovani, ai quali si nega ogniprospettiva; gli anziani, ai quali sichiede di rinunciare a un sistemadi protezione socialeuniversalistico e solidale; ilavoratori e le lavoratrici ai quali,con le riforme inique sul mercatodel lavoro e delle pensioni, sichiede di lavorare di più, mentre,paradossalmente, le aziendecontinuano a delocalizzare versopaesi dove non esistono tutele,lasciando inattive, senza lavoro esenza futuro centinaia di migliaiadi persone ogni anno. Negli ultimi tre anni l’aumentodelle domande per l’ottenimento diprestazioni socio-assistenziali e lariduzione delle richieste dipensione, dovute all’inasprimentodei requisiti di accesso al diritto,riflettono la profonda sofferenzadella quale i sindacalisti dellatutela individuale si sono fatticarico con abnegazione,assumendo spesso su di loro leansie e il conseguente stresspsicologico di coloro che sirivolgono al nostro Patronato. Insieme alla Cgil vogliamo che il“patrimonio” umano eprofessionale dell’Inca continui acrescere, come espressione alta diequità e uguaglianza, solidarietà,coesione sociale e partecipazioneattiva, verso i quali il sindacatoconfederale e l’Inca hanno rivoltosin dalle loro origini ogni loroazione quotidiana.

Morena Piccininipresidente Inca

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Di amianto si muore ancora, e ifriulani lo sanno bene: oltrealla provincia di Gorizia chedetiene il triste primato della

mortalità per esposizione alla fibra killer,dai dati raccolti dalla Commissioneamianto, istituita con la legge regionalen. 22/2001, si apprende che sono oltresessanta i morti per patologie asbestocorrelate che ogni anno si contano nellaregione; nel Registro regionale deimesoteliomi, a settembre 2010, gli espostirisultavano essere 8.600 di cui 5.600 aTrieste e 1.700 a Gorizia; dall’ultimocensimento dell’Arpa, infine, oltre 2milioni sono i metri quadri che nellaregione sono ancora da bonificare. Unbollettino di guerra, un disastro umano eambientale di dimensioni immani.Contro l’inerzia delle istituzioni locali enazionali che hanno privilegiato ilprofitto delle aziende, piuttosto che lasalute dei lavoratori, la Cgil e l’Incahanno deciso di avviare azioni legali pergarantire ai lavoratori ammalati e alleloro famiglie una sistematica tutelarisarcitoria per danni patrimoniali e nonpatrimoniali e per chiedere indennizziimmediati, contrastando le lungagginiprocessuali e i tempi di prescrizione. Dueanni e mezzo fa circa è stato avviato unprogetto di tutela individuale per queidipendenti di aziende come Fincantieri,Ansaldo, Enel, Ferrovie dello Stato,Cartiere Burgo, che sono risultati espostialle polveri di amianto. Un’iniziativa che ha dato i primi risultatipositivi nel corso del 2011; infatti, grazieall’azione di Inca e Cgil, sono statiottenuti risarcimenti per quasi 5 milionidi euro a favore dei familiari superstiti dilavoratori morti per mesotelioma. Inoltre,nell’ultimo mese, altre duecentoconciliazioni sono state raggiunte, per unammontare di un milione di euro diindennizzi a ex lavoratori “cantierini”(addetti alla costruzione dello scafo,taglio lamiera e stampaggio) affetti daplacche pleuriche.“Sino alla metà degli anni settantal’amianto non è stato mai percepito comeun rischio per la salute – riferisce PaoloLiva, segretario della Camera del lavoro diGorizia-Monfalcone –; per leorganizzazioni sindacali le priorità eranoaltre, ad esempio i fumi da saldatura.Soltanto nel 1977, dopo un’indagineambientale sulle emissioni delle saldature,per la prima volta è stata accertata lapresenza di queste fibre. Purtroppo però,a causa della lunga latenza che passadall’esposizione all’amianto all’insorgeredella malattia, della scarsità dei casidenunciati all’Inail, nonché dei segnaliambigui degli organi di vigilanza, come ilsuggerimento dell’Ispettorato del lavorodi utilizzare teli di amianto a protezionedei lavoratori, non è scaturito, in queglianni, un immediato allarme, facendo cosìaumentare a dismisura le malattie asbestocorrelate. Si deve arrivareall’approvazione della legge n. 257/92 permettere al bando l’amianto, per

disciplinare la bonifica ambientale eprevedere benefici previdenziali ailavoratori esposti, “che peraltro – chiarisceLiva – sono stati destinati soltanto agliaddetti ad aree riconosciute inquinate,creando tra gli stessi lavoratori situazioniparadossali. Infatti, spesso ottenevano ibenefici previdenziali di legge quelli nonaffetti da patologie asbesto correlate,mentre venivano esclusi coloro che siammalavano di placche pleuriche”.Nei confronti di questi lavoratori, comeha commentato l’avvocato GiancarloMoro, consulente legale dell’Inca, in unarticolo pubblicato sul Notiziario Inca online n. 0/2012, “c’è stato e c’è tuttora undifetto di tutela che riguarda l’ambitoprevidenziale, giudiziario e sanitario”.Con il dlgs n. 38/2000 i lavoratori affettida placche pleuriche ottengono ilriconoscimento del danno da esposizionead amianto inferiore al 5 per cento, deltutto insufficiente a determinare unindennizzo monetario. A ciò si somma illento cammino della giustizia che rischia

di far cadere in prescrizione qualsiasirichiesta per gli oltre mille procedimentipendenti nella sola Procura di Gorizia.Dal punto di vista sanitario le visitepreventive che, nell’ambito del Piano disorveglianza sanitaria, sarebbero dovutediventare quel nuovo modus operandiindispensabile per una diagnosi precocedelle patologie asbesto correlate, nonsono state sufficientemente promosseanche a causa della scarsità difinanziamenti messi a disposizione.“Per aggirare questi ostacoli abbiamoadottato un metodo nuovo di lavoro, chesi è rivelato vincente – spiega ClaudioCeron, coordinatore regionale Inca FriuliVenezia Giulia – perché abbiamopraticamente ribaltato la proceduraseguita per il processo Eternit, con la quale si è preferito affidare alla Procura l’impianto del procedimentopenale che aveva l’obiettivo di perseguire il colpevole e, solo insubordine, di risarcire le parti lese”.In Friuli, invece, ci si è concentrati sui

fascicoli individuali, ricostruendo lastoria professionale dei lavoratori e dellelavoratrici che si sono ammalati. “Grazie all’impegno e alla professionalitàdell’avvocato Giancarlo Moro e del medico legale dell’Inca AntonioRegazzo – osserva Ceron – siamo riusciti a costruire una mappatura deirischi da lavoro esaustiva che hapermesso al giudice di avere tutti queglielementi necessari per invitare i datori di lavoro ad accettare laconciliazione con le controparti”. “Abbiamo dedicato un’attenzioneparticolare a questi lavoratori – dice ElenaNovelli, dell’Inca di Monfalcone – tantoda considerarli degli ‘assistiti speciali’. Traquesti c’era anche mio padre, affetto dapatologia asbesto correlata, ma anche igenitori di tre compagne di lavoro, chesono già deceduti e il nostro collegaSpanghero, a dimostrazione di quantosia sottile il confine tra l’operatoredell’Inca allo sportello e gli assistitispeciali del Patronato”. “I risarcimenti riconosciuti dal giudicenon restituiscono la salute né l’affetto deipropri cari deceduti, ma – sottolineaNovelli – ci aiutano a proseguirenell’azione di tutela e a non spegnere iriflettori su una piaga che è ben lungidall’essere stata sanata. Non nascondo diessermi emozionata quando l’altrogiorno nel corridoio del tribunale uno di loro mi ha chiesto il permesso didarmi un bacio sulla guancia... Mi sono venute le lacrime agli occhi!”.Perciò l’Inca e la Cgil andranno avantiaffinché nessuno resti indietro.“Dobbiamo fare un salto di qualità –ribadisce il segretario della Camera dellavoro, Liva –. L’intenzione è di costituireuna Fondazione vittime dell’amianto chepossa contare sulla collaborazione diprofessionisti, medici e avvocati, persostenere una ricerca e uno studio chefacilitino la diagnosi e la cura dellepatologie asbesto correlate. Ma soprattutto, con il coinvolgimentodelle istituzioni locali, consentano diavviare percorsi per superare larassegnazione dei lavoratori el’indifferenza delle istituzioni. È indispensabile che si provveda alla sostituzione dei materialicancerogeni nell’ambiente di lavoro,affinché si possa arrivare in tempi breviad attuare misure di prevenzione ingrado di eliminare o quantomenoridurre in modo considerevole i rischi per la salute”. S. C.

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La Cgil e l’Inca di Gorizia hanno avviato un maxiprocedimento per garantire i risarcimenti afavore di lavoratori affetti da patologie asbestocorrelate. In due anni sono stati riconosciuti circa 6 milioni di euro in indennizzi.

INCA E CGIL DI GORIZIA. INDENNIZZI E RISARCIMENTI PER ESPOSIZIONE ALL’AMIANTO

Il profitto può attendere

Il Patronato dellaCgil, insieme a InasCisl, Ital Uil e Acli, ha avviato unapetizione perverificare ecorreggere inumerosi disserviziderivanti dallacampagna dicertificazione in vitadell’Inps, cui sonostati chiamati arispondere 411 milapensionati italianiresidenti all’estero.

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S ulla legge n. 210/1992, cheprevede un indennizzo afavore dei soggetti danneggiatida complicanze di tipo

irreversibile a causa di vaccinazioniobbligatorie e trasfusioni, la CorteCostituzionale si è dovuta pronunciarepiù volte in questi anni. Con l’ultimasentenza (n. 107/2012) ha dichiaratol’illegittimità dell’articolo 1, comma 1,della legge 210/92, nella parte in cui non prevede il diritto a unindennizzo nei confronti di coloro cheabbiano subìto lesioni per essersisottoposti a vaccinazione (nonobbligatoria, ma raccomandata dalleautorità sanitarie) contro il morbillo, larosolia e la parotite.Il caso che ha portato la CorteCostituzionale a pronunciarsi riguardauna minore che nel gennaio 2006veniva sottoposta a vaccinazionecontro il morbillo, la rosolia e laparotite. A distanza di pochi giorniveniva ricoverata in ospedale con ladiagnosi di “necrolisi epidemica tossica(sindrome di Lyell), trombosi venosaprofonda (femorale e iliaca sin.)”.Il verificarsi di reazioni allergiche,manifestatesi a breve distanza dallasomministrazione del vaccino e aseguito di ulteriori segnalazioni, hanno costretto la stessa Agenziaitaliana del farmaco a ritirare ilprodotto dal commercio.I genitori presentavano domanda diindennizzo, previsto dalla legge n.210/92, a favore della figlia. Tuttavia,la struttura preposta all’accertamento,pur riconoscendo una strettaconnessione tra la malattia insorta e lasomministrazione del vaccino,respingeva la richiesta, sostenendo chela vaccinazione, non essendoobbligatoria, non poteva rientrare traquelle per le quali è previsto ilriconoscimento dell’indennizzo.Ed è proprio sulla non obbligatorietàdel vaccino, e di conseguenza sullanon indennizzabilità del caso, che sifonda tutta la vicenda giudiziaria.Il Tribunale di Ancona, su ricorsogiudiziario promosso dai genitori,sollevava la questione dicostituzionalità dell’articolo 1, legge 210/92, richiamando anche lospirito solidaristico della stessa, che è rivolta ai soggetti danneggiatida vaccinazioni obbligatorie,trasfusioni o somministrazioni diemoderivati o a seguito di attività

promosse o gestite dallo Stato. Un diritto-dovere di solidarietà socialeche, evidentemente, non può limitarsia una rigida lettura delle norme.Peraltro, già in passato, la CorteCostituzionale aveva avuto modo diaffermare un importante principiosancendo che il diritto all’indennizzodeve essere esteso anche a chi si èsottoposto a vaccinazioni divenuteobbligatorie solo in seguito. La

conseguenza è che non vi può esseredifferenziazione tra un trattamentosanitario “imposto per legge” e quello“promosso dalla pubblica autorità”, atutela della salute, in vista della suadiffusione capillare nella società. Perla Corte Costituzionale “non puòessere discriminato chi aderisce a unprogramma di politica sanitaria, per perseguire un vantaggio non solo per se stesso, ma per lacollettività da chi è costretto per leggea sottoporsi al trattamento”. Per la Suprema Corte questainterpretazione “si risolverebbe in unapatente irrazionalità della legge”. Il riconoscimento dell’indennizzo,quindi, scaturisce dall’interessecollettivo alla salute e nondall’obbligatorietà del trattamento, cheè solo uno strumento per ilraggiungimento dello stesso scopo. Ed è evidente che il sacrificio delsingolo corrisponde alla tutela dellasalute, ossia di un interesse non solopersonale, ma dell’intera collettività;pertanto, al verificarsi di complicanzeè fatto obbligo per lo Stato, in uncontesto di solidarietà, di risarcire idanni causati dai vaccini stessi. Non ècostituzionalmente lecito richiedereche il singolo esponga a rischio lapropria salute per un interessecollettivo senza che la collettivitàstessa sia disposta a condividere,

com’è possibile, il peso delle eventualiconseguenze negative.Nel caso di specie, evidenzia la Corte,i genitori avevano deciso per lasomministrazione di quel farmacorassicurati da una campagna disensibilizzazione fortementeincentivata dalle pubbliche autorità daoltre un decennio, la vaccinazionecontro morbillo-parotite-rosolia. “Per latutela della salute non solo della figlia,ma anche di quella altrui, in rapportoall’elevato rischio di contagio, in etàscolare e prescolare…”.In un contesto di solidarietà, affermala Corte, il riconoscimento di unindennizzo non ha valore risarcitorio,“a riparare un danno ingiusto”, quantoa compensare il sacrificio individualein favore della collettività: “Sarebbe,infatti, irragionevole che la collettivitàpossa, tramite gli organi competenti,imporre o anche solo sollecitarecomportamenti diretti alla protezionedella salute pubblica senza che essapoi non debba reciprocamenterispondere delle conseguenzepregiudizievoli per la salute di coloroche si sono uniformati”.La Consulta ha così fornitoun’interpretazione costituzionalmenteorientata dell’articolo 1, comma 1,legge 23 febbraio 1992, n. 210sancendone l’applicabilità anche allecomplicanze derivate da vaccini nonobbligatori. La soluzione rappresentaperaltro il coerente sviluppo dellagiurisprudenza della CorteCostituzionale, che continua, annodopo anno, a cancellare limitazioni dal campo applicativo della legge210/92, rendendola lentamente piùgiusta. L’importanza di questa sentenzanon risiede solo nel fatto che haallargato la platea degli aventi diritto,ma nell’aver affermato il principio inbase al quale in un contesto disolidarietà la misura indennitaria èdestinata a compensare il sacrificiodell’individuo a favore dellacollettività. Ne consegue che alverificarsi di danni permanenti causatida vaccinazioni non obbligatorie, mafortemente raccomandate dallapubblica autorità, lo Stato deveintervenire, poiché il singolo, indefinitiva, si è sottoposto al vaccinoper la tutela della propria saluteportando, comunque, un vantaggio alla collettività.

Roberto Scipioni

INDENNIZZO LEGGE N. 210/92 PER DANNI DA VACCINAZIONI NON OBBLIGATORIE

Sentenza favorevole La CorteCostituzionale imponeil riconoscimentodell’indennizzo a una minore che hasubìto danni allapropria salute a causadi una vaccinazionenon obbligatoriacontro il morbillo, la rosolia e la parotite.

L a certificazione diesistenza in vita non puòe non deve diventare unpercorso di guerra per i

pensionati italiani residentiall’estero. Lo chiedono i patronatidel Cepa (Inca, Inas, Ital e Acli)rivolgendosi a Inps e ministerodel Lavoro. L’adempimento di legge, richiestodall’Inps, giunto alla sua secondaedizione, cui sono soggetti ipensionati italiani residentiall’estero per la certificazione diesistenza in vita, si è svolto confarraginosità e provocandonotevoli disagi agli oltre 411 milaconnazionali. Per raccogliere inun cahier de doléance quanto èsuccesso, i patronati del Cepahanno chiesto ai diretti interessatidi sottoscrivere una petizione darivolgere all’Inps e al ministerodel Lavoro, per evitare che nelle

prossime edizioni si ripetano glierrori commessi e non siripropongano i gravissimi disagianche in futuro. In particolare, Inca, Inas, Ital eAcli chiedono che non sia sospesoalcun pagamento delle pensioni,senza aver prima verificato che lacertificazione dell’esistenza in vitanon sia stata già inviata lo scorsoanno all’istituto di credito Icbpi,che prima di Citi banca aveva ilcompito di raccogliere taledocumentazione e di pagare lepensioni. I patronati chiedonoinoltre di evitare, in futuro, metodicomplicati per tale adempimentoche possono tradursi in attidiscriminatori per i pensionatiresidenti all’estero rispetto a quelliin uso per coloro che vivono inItalia; di utilizzare un linguaggiosemplice e comprensibile ai più,evitando il consueto burocratese,

per ogni comunicazione; difavorire soluzioni più semplici eragionevoli, individuate nei variStati, per la certificazionedell’esistenza in vita, attraverso leattestazioni delle autorità locali.Richieste di buon senso cheeviterebbero di trasformare unabanale operazione di verifica inun complicatissimo giocodell’oca. Dopo aver trasferitol’incombenza della raccolta deicertificati dall’Icbpi alla Citi banca,l’Inps ha imposto due mesi ditempo per completare leoperazioni di raccolta: dal 2febbraio al 2 aprile 2012. Soltantodopo pressanti sollecitazioni deipatronati sono state prolungatefino al 2 giugno. La modalità originaria prevedeval’invio da parte di Citi di unmodulo a tutti i pensionatiall’estero che, dopo averlo

compilato e fatto autenticare o dalconsolato o da autorità localispecificamente preposte,avrebbero dovuto restituirloall’istituto di credito Citi,incaricato di pagareconcretamente le prestazionipensionistiche dovute.In realtà, con la sovrapposizionedi documentazione e modulistica,errate comunicazioni di dati,traduzioni sbagliate agliinteressati e scarse indicazionicorrette da parte degli operatoridi banca si è creata un’immensaconfusione tra i pensionati, chehanno quindi affollato gli ufficidei patronati. Ancora più difficoltoso è stato ilrapporto con gli istituti di credito “locali” a cui Citi hasubappaltato a sua volta laraccolta della documentazione: glioperatori bancari spesso non

sapevano proprio cosa stessesuccedendo. Nonostante larichiesta dei patronati, presid’assalto dai nostri connazionali,di poter facilitare il rapportodiretto tra loro e gli stessi assistiti,non si è riusciti a trovare un mododi procedere spedito. Clamorosisono stati gli errori nellaspedizione della documentazione:indirizzi e cognomi sbagliati, suiquali era impossibile poterprocedere all’autenticazione. Unica consolazione per i patronatiè che questa campagna ha portatodecine di migliaia di persone neiloro uffici, avvicinando anchecoloro che prima non neconoscevano l’esistenza. Senza di loro, probabilmente, lecomplicazioni per i nostripensionati all’estero si sarebberotriplicate.

Andrea Malpassi

LA CERTIFICAZIONE DI ESISTENZA IN VITA DELL’INPS

Pensionati allo sbaraglio

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Lisa Bartoli

Q uest’anno la lottacontro il caporalato,condotta da anni dallaFlai e dall’Inca Cgil,

comincia sotto i migliori auspici.A Nardò, in provincia di Lecce,dove lo scorso anno si è svolta lapiù importante rivolta degliimmigrati, il 24 maggio scorso lamagistratura ha arrestato sedicipersone, tra italiani e stranieri,accusate di aver sfruttatocentinaia di clandestini tunisini eghanesi, costringendoli araccogliere angurie e pomodoriin cambio di una paga che nonsuperava i 2 euro l’ora. Altri seial momento del blitz della poliziasi trovavano all’estero, riuscendocosì a sfuggire alle manette, masicuramente non potrannotornare in Italia tanto facilmente,senza correre il rischio di essereintercettati dalla polizia.L’operazione ha un valore ancorapiù importante se si pensa chetra gli arrestati figurano dieciimprenditori agricoli e tra di loroil numero uno del settore:Pantaleo Latino, di quarantottoanni, soprannominato il “redell’anguria del Salento” per lesue performance professionali.Secondo i carabinieri del Ros ilgruppo criminale, costituito daitaliani, algerini, tunisini esudanesi, operava non soltantoin Puglia, ma anche in altreregioni meridionali e all’estero(Sicilia, Calabria e Tunisia) eaveva messo su una vera epropria tratta di esseri umani,con promesse mai mantenute diun lavoro regolare. Imbarcati allabell’e meglio dal porto tunisinodi Halk El Wed, i disperativenivano fatti scendere daibarconi in Sicilia e poi venivanocostretti a ripercorrere lo Stivalefino al Salento, su mezzi ditrasporto di proprietà della fittarete di caporali. Questo stessosistema, fin troppo collaudato,non ha fatto i conti con la duraresistenza degli immigrati dellamasseria di Boncuri di Nardòche pur di ottenere condizioni divita e di lavoro dignitose hannopreferito la fame, rinunciandopure al consueto panino che icaporali si facevano pagare,decurtandone il costo dallamisera paga oraria di 2 euro.Hanno scioperato per tredicigiorni, ma alla fine hanno vinto loro.Questi arresti, insieme allarivolta degli immigrati delloscorso anno, fanno di Nardò unluogo simbolo dal quale partireper una nuova campagna controil caporalato che, nonostante gliultimi interventi dellamagistratura, resta una piagaancora molto estesa. Con questaconvinzione, l’Inca e la Flai Cgilrinnovano il loro impegno eannunciano di voler estenderealle altre aree interessate allacampagna di raccolta deiprodotti agricoli l’esempio diNardò, per sconfiggere il lavoronero, lo sfruttamento illegale dimanodopera, richiamandoanche alle responsabilità quellestesse imprese, che neganoancora l’esistenza delcaporalato, nonché le istituzioniche con il loro immobilismofiniscono per facilitare le formeillecite di reclutamento dellamanodopera in agricoltura,perpetrando un imbarbarimentodel sistema di relazioni nelmercato del lavoro, la cuiorigine si perde nella notte ditroppi lustri, prima toccandoesclusivamente i bracciantiitaliani e ora gli esseri umani dialtre nazionalità. La storia perciòsi ripete, anche se cambiano iprotagonisti. “L’obiettivo – spiega YvanSagnet, coordinatore nazionaledell’iniziativa di Inca e Flai ‘Gliinvisibili delle campagne di

ra coraggio mostrato a Nardò,superando la paura e ladiffidenza tra i lavoratoristranieri che, purtroppo, sonofigli di un quadro normativonazionale che non facilital’inserimento e l’accoglienzadegli immigrati”. Yvan ne saqualcosa; proprio lui era allatesta della rivolta di Nardò loscorso anno, dopo aver lasciatoTorino, dove studia alPolitecnico, credendo a unagenerica promessa di lauticompensi che gli avrebberopermesso di mantenersi aglistudi. Altro che lavoro regolare,ad aspettarlo c’erano dodici oredi lavoro al giorno e nella notteun giaciglio nei casolariabbandonati, con annessi

scaldarsi, venduti dagli stessicaporali al prezzo di 2 o 3 euro,a seconda delle dimensioni”,ricorda Yvan. I lauti compensi sisono tradotti in 25 euro algiorno, dai quali dovevasottrarre il costo del panino edell’acqua, per non rischiare lafame e la sete. Ed è proprioquello che hanno scelto di faregli immigrati della MasseriaBoncuri rifiutando di mangiarepur di ottenere condizioniumane di lavoro. Ed è stata solola miccia. Poi, tutti insieme,hanno cominciato ad annotarele targhe dei mezzi di trasportodei caporali per indicarle alleforze dell’ordine e allora nienteha potuto più fermarli. Lacampagna delle angurie che

di 12 milioni di euro ha fatto iconti con uno scioperoprotrattosi per tredici giorni,tanto spontaneo quantoimprevisto. “E quest’anno – avverte Yvan –facciamo con il sindacato e ilPatronato della Cgil un salto diqualità”. In concreto, l’iniziativa,che si svilupperà in due anni,prevede l’insediamento dicamper adibiti a uffici mobilinelle principali aree dove siconcentra da giugno a ottobre lamanodopera stagionale deditaalle campagne di raccolta deiprodotti agricoli. Lo scopo è diincontrare i lavoratori, fornireloro le informazioni necessarieper orientarsi nel nostro paese,metterli a conoscenza dei loro

diritti e dare loro la possibilitàdi denunciare ogni sopruso,senza avere la paura diritorsioni. La sfida è quella diportare la legalità, dove questaparola ancora è ben lungidall’essere compresa fino infondo. Il 1° luglio, dunque,l’appuntamento è alla MasseriaNardò, dove l’ufficio mobile deidiritti per tre settimaneattraverserà la Puglia, per poitrasferirsi a ottobre in Calabria ein Alto Adige. Il prossimo annoil viaggio per il rispetto dellavoro inizierà in Sicilia, conSiracusa e Ragusa, per poiproseguire ad agosto verso laCampania. La conclusione diquesta iniziativa è prevista aPadova in ottobre.In ogni area di raccoltastazionerà per tre settimane uncamper che fungerà da ufficiomobile per sindacalisti,operatori di patronato, medici eavvocati, che si alterneranno peroffrire ai lavoratori e allelavoratrici stranieri unamaggiore informazione sui lorodiritti, attivando anche ognipossibile azione di tutela, perrendere concreta l’esigibilità deidiritti del lavoro e dicittadinanza. In ogni tappa di questo ineditogiro d’Italia i sindacalisticoinvolti chiederanno di attivaredei tavoli di confronto con leamministrazioni locali e le

ciazioni professionali al fine resentare una lettera di

nti comune per favorirezioni condivise sul trasportoblico e sulle liste pubbliche

renotazione dellaodopera. empio per tutti può esserelo che è già avvenuto inia lo scorso anno, ma anche

nte esperienze locali di altritori. A Caserta, per esempio,

ai ha già chiesto al sindaco aggiano di poter utilizzare i

beni confiscati alla mafia perdare lavoro ai tanti immigratidella zona. In Puglia, invece, l’8agosto, dopo la rivolta deglischiavi di Nardò, è stato firmatoun protocollo con la Provincia,che prevede liste pubbliche diprenotazione della manodoperada offrire alle aziende gestitedalla sede territoriale perl’impiego. Già dal giorno dopoquesta nuova modalità èdiventata operativa: centoventilavoratori hanno potuto trovareun impiego regolare. Unesempio che è stato poi seguitoanche da altre aziende delFoggiano. Dopo questa esperienza, l’idea èstata fatta propria dalla RegionePuglia che ha approvato la“determina n. 31”, in base allaquale ha anche stabilito che alleaziende virtuose è riconosciutala possibilità di accedere aifondi pubblici per il sostegnodelle attività imprenditoriali. Unsistema premiante che aiuta inmodo serio a superare gliostacoli che ancor oggi, senzadistinzione geografica,impediscono un regolare elecito funzionamento delmercato del lavoro inagricoltura. “Per noi èimportante che l’incontro tradomanda e offerta del mercatodel lavoro avvenga in una sedepubblica e istituzionale – spiegaAntonio Gagliardi, della Flai diLecce – perché solo in questomodo sarà possibile sconfiggerelo sfruttamento e il lavorosommerso, incoraggiando leimprese a comportamentivirtuosi, senza l’alibi di nonavere un luogo istituzionalizzatoper il reclutamento dellamanodopera necessaria per lecampagne di raccolta deiprodotti agricoli. Un alibi troppospesso agitato che non aiuta losviluppo di una nuova culturadella legalità”.

Nel corso degli ultimianni lavoratori padovani

ammalati o infortunati hannoricevuto risarcimenti, con unapercentuale di esiti positiviprossima all’80-90 per cento deicasi. Nei confronti della Firemasono stati recuperati, dalle variesigle sindacali, quasi 40 miliardi divecchie lire e la Cgil è stata laprotagonista indiscussa, tutelandola maggior parte dei casi. Le aziende convenute ingiudizio hanno attivatoprocedure discriminatorie/intimidatorie nei confrontidei lavoratori? Moro La maggior parte delleimprese venete è assicurata inrelazione alle pretese risarcitorieda infortunio o malattiaprofessionale e dunque lerichieste dei singoli lavoratorinon hanno avuto alcun effetto“destabilizzante” né sulla salutefinanziaria delle imprese, nétanto meno sulla loro possibilità

di garantire occupazione. Anzi, la sanzione economicainduce i datori di lavoro chiamatiin causa per il danno differenzialea riconsiderare le modalitàoperative fino a quel momentomesse in atto nella propriaazienda, senza contare poi che sela malattia, come nel nostro caso,è conseguente a una violazionedella norma a tutela dell’integritàpsicofisica dei lavoratori (art. 2087codice civile), l’azienda non puòprocedere al licenziamento dellavoratore ammalato, così comestabilito dalla Corte di Cassazione,né per superamento del periododi comporto, né per inabilità allemansioni. Quindi, la valutazionedella responsabilità del datore dilavoro e conseguentemente ilriconoscimento del dannodifferenziale hanno favorito latutela verso quei lavoratoricoinvolti in questo tipo dicontroversie che sono, purtroppo,tutt’altro che rare.

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A cura di Lisa Bartoli (coordinamento),Sonia Cappelli

Rassegna SindacaleSettimanale della Cgil

Direttore responsabile Paolo Serventi LonghiA cura di Patrizia Ferrante

Grafica e impaginazioneMassimiliano Acerra, Ilaria Longo

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StampaPuntoweb Srl, Via Variante di Cancelliera, 00040 - Ariccia, RomaChiuso in tipografia lunedì 18 giugno ore 13

CappelliDALLA PRIMA Cause in corso

Flai e Inca, con camper adibiti a veri e propri uffici mobili, attraverseranno

da Sud a Nord le principali aree interessatealla raccolta dei prodotti agricoli, offrendo

ai lavoratori stranieri gratuitamenteconsulenza previdenziale e assistenziale.

IMMIGRAZIONE E LOTTA CONTRO IL CAPORALATO

Giro d’Italiaper i dirittidegli invisibili

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