N°10 novembre 2012
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02
La redazione:
http://www.diecieventicinque.it/ 1968
Pag. 3 La peste silenziosa di Beniamino Piscopo
Pag. 4 - 5 Inceneritore di Parma: ma qualcuno andra' in galera? di Federico Ticchi
Pag. 6 - 7 Pane e ammoniaca di Novella Rosania
Pag. 8 - 9 Petrolchimico di Gela: una delle zone più inquinate al mondo di Sara Spartà
Pag. 10 Vita? No grazie. Basta il lavoro. di Giovanni Frascella
dieci anni del 35%. In tv non mostrano i reparti di oncologia di tutta Italia pieni di giovanissimi, sempre più spesso bambini e soprattutto del sud, imbruttiti e sfigurati dalle chemio. File interminabili di persone che partono ogni notte dalle zone più disparate dell’Irpinia o della Lucania, per sottoporsi a terapie che logorano le ossa e spezzano i muscoli, queste sono le nuove file di appestati. Perché è proprio così che ci si è abituati a vivere, a convivere, nelle terre del Sud, a Nola, Acerra, Marigliano, come in un nuovo medioevo. Convivere con la consapevolezza che prima o poi arriverà il tuo turno o quello di un tuo caro. Sai che morirai di una peste silenziosa che ti nasce dentro e ti divora. Sai che quando te ne accorgerai, quando inizierai a pisciare sangue e vomitare pezzi dei tuoi polmoni, sarà già tardi. Esiste un ciclo di smaltimento dei rifiuti, si concretizza nell’avvelenare la propria terra, nell’avvelenare i propri figli. Nel dare un prezzo a qualsiasi cosa, nell’ottica che tutto può essere venduto e comprato perché nulla ha valore. Ma quello che è stato tolto per sempre non ha prezzo, perché la bellezza non ha un prezzo. Quella di una terra tradita, di una terra avvelenata e stuprata, una terra che non tornerà mai più come prima.
di Beniamino Piscopo
Esiste un ciclo di smaltimento dei rifiuti, esiste ed è efficiente. Una conversione che non è figlia della chimica, ma che porta i veleni fetidi di mezza Europa a trasformarsi in azioni. Ricicla le tonnellate di immondizia che ingozzano ratti e vermi in investimenti, denaro, voti.La plastica diventa capitale sociale, il vetro diventa cemento e palazzi, gli scarichi cancerogeni e mortiferi delle fabbriche diventano più preziosi dell’oro. È il business del veleno. Esiste, e ha il suo baricentro in Italia, dove la morte diventa profitto e la vita, le nostre vite, hanno il prezzo di dieci centesimi al chilo per rifiuti tossici. Negli ultimi quindici anni, le imprese di smaltimento dei clan, hanno intombato a prezzi fuori mercato, una quantità di rifiuti nocivi nelle campagne casertane che, disposta per esteso, coprirebbe un territorio vaso come il Piemonte. Sta avvenendo tutto sotto i nostri occhi e sotto i nostri piedi, mentre i nostri corpi lentamente marciscono.Il tratto di terra tra Nola, Acerra e Marigliano, un tempo zona cruciale per l’agricoltura e l’allevamento campano, era noto per essere uno dei più fertili d’Italia, con caseifici e consorzi di allevamento
che esportavano in tutto il mondo. Nel 2004 la prestigiosa rivista scientifica “ The lancet” ha definito quel tratto di terra il triangolo della morte, dimostrando come lo sversamento di rifiuti tossici fosse stata la causa del deperimento ambientale di quel territorio. Una delle prove, ha scritto la rivista, è stato il ritrovamento nel sangue di bambini malati di leucemia, di concentrazioni di PCB, sostanza prodotta da industrie chimiche non presenti nella zona.Altri studi hanno dimostrato come i roghi illegali appiccati dalla camorra per bruciare i rifiuti non intombati, abbiano rilasciato una quantità così elevata di diossina da provocare malformazioni genetiche in grado di causare invecchiamento precoce delle cellule e quindi morte prematura. E sempre più spesso, uno dei tanti danni della diossina, è la malformazione o il mancato sviluppo dei feti.Un processo silenzioso, che non fa rumore e che non finisce in televisione e sui giornali. Nei talk show si parla di primarie e di alleanze, di rottamare, si inscenano i soliti bisticci vuoti e fasulli.In tv non ti dicono che la Campania è la regione più inquinata dell’Europa occidentale, che il tasso di cancro da Caserta a Salerno è salito negli ultimi
03
La peste silenziosa
Procura ha fatto appello in Cassazione.
Non rimane che attendere . E’ evidente
che un eventuale sequestro sarebbe letale
per il forno e qualcuno dice anche per
Iren, una società con il titolo in Borsa in
caduta libera indebitata per circa 3
miliardi di euro.
La campagna elettorale di Pizzarotti si è
fondata molto sull'opposizione
all'inceneritore. Qualora il sindaco non
dovesse riuscire a bloccare la
realizzazione dell'inceneritore,
comporterebbe una bocciatura da parte
del suo elettorato?
Sicuramente l’inceneritore è stato il
cavallo di battaglia di Pizzarotti. Qualora
dovesse entrare in funzione per lui
sarebbe un bello smacco. Detto questo, va
detto che il M5S ce la sta mettendo tutta
per bloccare il forno. Dall’insediamento
in Municipio non è passato giorno nel
quale il M5S non abbia parlato
di Federico Ticchi
Ne è abbastanza sicuro Andrea Marsiletti,
direttore della testata online Parmadaily e
Alicenonlosa, che ha avuto il merito di
aver scoperchiato il vaso di Pandora
sull'inceneritore. Gli chiediamo di
chiarirci le idee attraverso una serie di
domande.
La questione dell'inceneritore ha
ottenuto la ribalta a livello nazionale.
Ma qual è la vera disputa? Le ragioni
ineriscono la salvaguardia della salute,
oppure si limitano a contrastare il cattivo
esercizio dell'amministrazione pubblica?
La disputa è solo economica, di come non
rimetterci o fare dei soldi, di cattiva
amministrazione. I magistrati hanno già
ravvisato responsabilità per abuso
d'ufficio, confermate tra l’altro dal Gip.
Adesso dovrà essere un Tribunale a
sancirle definitivamente.
La situazione è un po' confusa. Ci può
chiarire quali sono gli elementi a
giudizio e a che punto si trovano le
diverse controversie?
Gli aspetti legali evidenziati già dal 2010
dagli avvocati Allegri e De Angelis
riguardano vari aspetti: la mancanza del
permesso a costruire (ovvero l’abuso
edilizio del cantiere), l’affidamento senza
gara d’appalto della costruzione e
gestione dell’inceneritore, l’assegnazione
della progettazione dell’impianto per 5
milioni di euro affidato senza gara
d’appalto alla multiutility Hera, gli
affidamenti negli ultimi 8 anni dello
smaltimento dei rifiuti ad Iren da parte di
quasi tutti i comuni della Provincia senza
gara per un importo complessivo di circa
160 milioni di euro.Il punto della vicenda
giudiziaria ad oggi: la Procura della
Repubblica ha chiesto il sequestro
dell’impianto, il GIP lo ha negato e la
04
INCENERITORE DI PARMA:MA QUALCUNO ANDRA' IN GALERA?
L'inceneritore di Parma è stato la star di queste ultime amministrative parmensi.
L’attuale sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, ha manifestato espressamente la sua contrarietà all'opera facendone la propria bandiera
programmatica e cavallo di battaglia per la buona amministrazione. C’è chi dice che lo stesso Bernazzoli, candidato sindaco per il Partito
democratico e sconfitto poi al secondo turno dall'esponente del Movimento Cinque Stelle, abbia perso una buona fetta di elettorato del centro
sinistra proprio a causa della sua posizione favorevole a quell'intervento.
L'inceneritore di Parma ha idealmente contrapposto i poteri forti, gli industriali e molti partiti, ovviamente favorevoli alla costruzione del sito, ai
semplici cittadini, che hanno a cuore il buon vivere della propria comunità, che privilegiano il rispetto dell'ambiente e della propria salute rispetto
ai profitti.
Chi è coinvolto? Da una parte abbiamo IREN, la multiutility dell’energia nata dalla fusione tra Enia e Iride che opera nel nord Italia, appaltatrice
dell’inceneritore; dall’altra parte si trova l’amministrazione comunale di Parma e comitati di cittadini che si oppongono alla costruzione dello
stesso inceneritore.
Indipendentemente da quello che si prova per il cosiddetto “grillismo”, è evidente che la vittoria di Pizzarotti abbia portato scompiglio nei piani
programmatici industriali della comunità parmigiana.
Iren, che è una s.p.a sostanzialmente pubblica, in quanto l'assetto azionario vede una maggioritaria partecipazione degli enti locali (Parma,
Reggio Emilia, Piacenza, Torino, Genova), giustificò la costruzione dell'opera mostrando ai cittadini parmensi la spesa pro capite per i rifiuti, e
assicurando che con la costruzione dell'inceneritore vi sarebbe stato un evidente risparmio.
Però, il sito parmadaily.it, ha mostrato alla cittadinanza documenti che provano come, anche a seguito del funzionamento dell'inceneritore, per i
cittadini non vi sarebbe alcun risparmio.
Inoltre occorre approfondire l'aspetto relativo a quella che ,almeno in prima istanza, può apparire come una contraddizione: infatti mentre tutti,
compresa l'Unione Europea, individuano nella raccolta differenziata il sistema più corretto per affrontare il problema rifiuti, qui ci troviamo di
fronte alla realizzazione di un impianto di potenzialità notevolmente superiore rispetto alla produzione provinciale di rifiuti. Recentemente poi
anche l'assessore regionale all'ambiente Sabrina Freda ha indicato nel superamento degli inceneritori la strada che vuole seguire la regione (anche
se è stata immediatamente frenata dallo stesso Errani).
in Iren. Di conseguenza, è stato sollevato il dubbio che questi comuni, per non subire guai economici, non dovrebbero puntare sulla raccolta differenziata ma sull'inceneritore, facendo soccombere tematiche ambientali e di salute di fronte a meri interessi economici. È giusta questa analisi? Cosa pensa che dovrebbero fare la amministrazioni comunali?Nel Piano Economico e Finanziario Iren
ha messo nero su bianco che dal 2013 al
2032 (cioè per 20 anni) smaltirà un
quantitativo di rifiuti urbani fisso di
108.800 tonnellate all’anno. Tale valore è
inquietante perché è di fatto pari al
fabbisogno attuale di smaltimento della
provincia di Parma con una percentuale di
raccolta differenziata pari al 55%. Delle
due l’una: 1) Iren prevede di non
incrementare la raccolta differenziata né
la riduzione dei rifiuti per i prossimi 20
anni; 2) Iren confida che la Regione o la
Provincia di Parma gli concederanno la
deroga all’autorizzazione provinciale che
oggi consente all’azienda di bruciare solo
i rifiuti prodotti in provincia. Iren
potrebbe così importare rifiuti da fuori,
sebbene la Provincia in questi anni abbia
sempre negato questa possibilità. Le
amministrazioni comunali socie di Iren,
con l’eccezione ovviamente del Comune
di Parma, fanno il tifo perché l’impianto
entri in funzione.
Quali sono le alternative per lo smaltimento dei rifiuti parmigiani?Raggiungere il 70-80% di raccolta
differenziata con il sistema porta a porta
oggi è possibile, così come recuperare
ulteriore materiale dal rimanente 20-30%.
Ricordo che i dati di progetto
dell'inceneritore attestano una produzione
di ceneri dell'inceneritore da smaltire
come rifiuti tossici pari al 30%. Non è
pertanto vero che, anche con l'impianto in
funzione, la provincia di Parma sarebbe
autosufficiente nella gestione dei rifiuti. A
Parma il porta a porta partirà in
novembre. Oggi la percentuale della
raccolta differenziata del Comune è circa
del 50%. Incrementare di un ulteriore
20% è realistico, se lo si vuole.
Come pensa che andrà a finire? Un suo pronostico sulla conclusione della vicenda.Il cantiere ha già avuto un costo di 200
milioni di euro, è ormai in fase di
ultimazione. Secondo me alla fine non lo
sequestreranno. Però qualcuno finisce in
galera.
costruzione dell'inceneritore?Chi ci guadagna è Iren, che applicherà
una tariffa da 168 euro alla tonnellata, una
tra le più alte d’Italia. Le tariffe di
riferimento del mercato certificate
dall’organo istituzionalmente preposto a
farlo, ovvero “l’Autorità per la vigilanza
dei servizi idrici e di gestione dei rifiuti
urbani – Regione Emilia Romagna”, il
Vangelo in materia, prevedono in Regione
un costo medio di smaltimento in
discarica pari a 77 euro/ton con un valore
massimo di 94,2 euro/ton e un costo
medio di incenerimento pari a 100
euro/ton con un massimo di 120 euro/ton.
Pertanto la tariffa di Iren quando
smaltisce in discarica applica un
incremento percentuale del +101%
rispetto al prezzo medio stabilito e del
+67,7% rispetto a quello massimo;
quando incenerisce (forno di Ugozzolo) e
fa incenerire da altri c'è un incremento
percentuale del +55% rispetto al valore
medio e del +29,2% rispetto a quello
massimo. Impietoso il raffronto con le
tariffe minime riscontrabili nelle altre
province della Regione: +151,6% per la
discarica e +96,7% per l’inceneritore.
Che cos'è Iren? È un soggetto pubblico o privato? E come ha ottenuto l'appalto?Mi pare Iren faccia il soggetto pubblico o
quello privato a seconda delle occasioni
che si presentano. Si è aggiudicata la
costruzione e gestione dell’inceneritore
senza alcuna gara d’appalto.
Su PiazzaPulita, il programma di La7, è stato affermato che Iren, per ripagare i debiti contratti per la costruzione dell'inceneritore, deve farlo funzionare a pieno regime. Se le amministrazioni comunali rafforzassero la raccolta differenziata l'inceneritore si troverebbe inguaiato. Ma le stesse amministrazioni comunali hanno partecipazioni azionarie
dell’inceneritore, ha nominato un
esponente del GCR assessore
all’ambiente, sta scandagliando tutta la
normativa per far saltare l’impianto,
chiede di fare subito un bando di gara
sullo smaltimento per sottrarre i rifiuti ad
Iren, contesta le tariffe del Piano
economico e finanziario, chiede le fatture
di tutte le spese dell’inceneritore
minacciando di adire per vie legali in caso
di diniego, esulta alla richiesta di
sequestro del cantiere da parte della
Procura, promuove un manifestazione di
interesse di privati per gestire i rifiuti in
modo alternativo, chiede in Consiglio
comunale le dimissioni del direttore
generale di Iren Viero e del vice
presidente Villani, annuncia una class
action di cittadini contro Iren, ha aperto
un conflitto contro la multiutility a livello
locale e nazionale attraverso il blog di
Grillo che ha pochi precedenti, a cui si
aggiunge il deposito di una causa di
risarcimento danni pendente di 28 milioni
di euro.
E se fosse stato eletto sindaco Bernazzoli, come crede che si sarebbe mossa l'amministrazione?Se avesse vinto Bernazzoli l’entrata in
funzione dell’inceneritore non avrebbe
trovato alcun ostacolo da parte del
Comune.
Iren, comprando una pagina sulla Gazzetta di Parma, quotidiano degli industriali parmensi e testata onnipresente nelle case dei parmigiani, ha giustificato la costruzione dell'inceneritore dichiarando una diminuzione di spesa per i cittadini sulla tassa sui rifiuti. Lei invece mostra documenti che provano una non variazione dei costi. Come mai i costi restano gli stessi? Se non c'è risparmio per i cittadini, chi ci guadagna dalla
05
Da «L’Espresso» del 3 dicembre del 1967
“ENI A MANFREDONIA:
UNA GHIGLIOTTINA PER IL GARGANO”
di Bruno Zevi
Se l'on. Aldo Moro non interviene
immediatamente per bloccare l'iniziativa efferata,
sono facilmente prevedibili queste conseguenze:
1. Sarà distrutta ogni possibilità di valorizzare in
senso turistico il comprensorio garganico, l'unico
in Italia miracolosamente integro nello splendore
dei paesaggi rocciosi e delle fasce costiere.
2. Manfredonia col suo abitato compatto, cinto
dalle mura aragonesi, Siponto con la cattedrale
romanica, e i sui siti archeologici, il convento di
San Leonardo, Monte Sant'Angelo con il suo
santuario, il castello federiciano, il borgo
medievale e le catene dei preziosi insediamenti
che sorgono lungo la Via Sacra Longobardorum
animando le pendici del Gargano, non avranno
più alcuna prospettiva di sviluppo
3. Quanto al decantato "coordinamento degli
intervento pubblici" nel Mezzogiorno,
assisteremo ad un clamoroso paradosso: piani
contro piani, la Cassa riconosce la vocazione
turistica del territorio e lo vincola, L'Eni subito
l'oltraggia con un enorme impianto industriale.
4. Infine, la gente sussurrerà che, per caso, i
trenta miliardi sono stati spesi in una zona
compresa nel collegio elettorale dell'on. Moro, e
in quello dell'o. Vincenzo Russo, esponente dc ed
insieme alto funzionario dell'Eni. Malignità,
naturalmente; ma la coincidenza è singolare e
tale da poter generare sospetti.
senza alcuna misura di sicurezza”,
afferma un operaio. Quando si iniziano a
scoprire i primi animali morti, i
contaminati sono centinaia. Il sindaco
Magno divide le zone pericolose in due
aree, disponendo l’abbattimento di tutti
gli animali da cortile presenti nella zona B
(circa 1000) e il loro trasporto all’interno
dello stabilimento, dove vengono interrati
e sigillati in una vasca di cemento armato.
Viene ordinato anche il divieto di pesca
entro un miglio dalla costa. I giorni
seguenti le strade, le case, i balconi della
città vengono lavati con ipoclorito di
calce e solfato di ferro, per ottenere
l’ossidazione e l’insolubilizzazione
dell’arsenico, unico modo per evitare
l'ulteriore contaminazione delle falde
acquifere. Il panico dilaga, gli abitanti in
allarme richiedono immediatamente le
analisi delle urine: si raccolgono centinaia
di campioni “che verranno nella maggior
parte versati nei gabinetti”, come
affermerà Magno in un convegno tenutosi
l’anno seguente all’università di Bari,
“per mancanza di idonee attrezzature.”
Gli esami avrebbero segnalato
concentrazioni di arsenico comprese tra
di Novella Rosania
Questa storia inizia con un uomo e, come
in ogni storia, c'è un cattivo, un buono e
una morale.
Il protagonista, o meglio uno dei, è
Nicola Lovecchio. Egli morì il 9 aprile del
1997, all’età di 49 anni. Ventinove anni
prima, l'azienda petrolchimica ENI
colloca un impianto di produzione di urea,
da cui far derivare ammoniaca da vendere
sul mercato, in una piccola e, ritenuta tale,
accondiscendente cittadina garganica:
Manfredonia. La zona di Manfredonia,
Mattinata e Monte S. Angelo (n.b. ora
Città patrimonio dell'Unesco) era stata
segnalata come area a rilevante sviluppo
turistico. Nonostante l'approvazione
ottenuta dal Comitato interministeriale
per la programmazione economica, molti
membri esprimono le loro perplessità
quali: la considerevole offerta di urea già
presente sul mercato, il costo più basso al
quale si poteva produrre il fertilizzante in
uno degli stabilimenti già attivi dell'ENI,
la scelta della zona, destinata allo
sviluppo turistico, in contraddizione con il
programma economico del governo, gli
alti costi che lo Stato e la Cassa per il
Mezzogiorno avrebbero dovuto sostenere
per costruire le infrastrutture necessarie
alla realizzazione del progetto. Gli organi
pubblici e la stessa popolazione locale,
ammaliata dalla possibilità di nuovi posti
di lavoro in una terra di per sé molto
povera, soprassiedono sulle titubanze
mostrate.
Il 26 Settembre del 1976, nell'impianto di
produzione di ammoniaca, la colonna di
lavaggio dell’anidride carbonica scoppia.
L'esplosione sprigiona nell’atmosfera 32
tonnellate di arsenico. Una fanghiglia
giallastra cosparge, nel raggio di 30 Km,
l'intera città, i campi coltivati, gli animali,
i bambini e i loro genitori. “Gli ortaggi
sono simili a foglie di tabacco secco; tutti
gli oggetti esistenti sono punteggiati di
una sostanza di colore bronzeo.” Mentre i
piccoli giocano con la “sabbia speciale”, i
loro padri la raccolgono con le mani in
tutto l'impianto, senza alcun tipo di
protezione o accortezza. “A terra in
fabbrica c’era un tappeto di un
centimetro di polvere gialla e nessuno ci
pensava più di tanto. Ricordo che
mangiavamo il panino tra la polvere
06
L'Enichem di Manfredonia, storia poco conosciuta. Una ferita ancora aperta e ingiustizia da anni vissuta.Cosa accadde quel 26 Settembre 1976? Dopo 36 anni cosa è cambiato?
PANE E AMMONIACA
processo in cambio di denaro. E' stato
fissato un tariffario: 70.000 euro alle
mogli, 35.000 euro ai genitori e 20.000
euro ai fratelli e ai figli delle vittime. Un
atto “solidaristico che la società sente di
attivare non per avere riconosciuto la
responsabilità penale di alcuno degli
imputati, ma per venire incontro alle
esigenze famigliari delle parti coinvolte a
vario titolo, come persone offese.”
Ciò che rimane a queste famiglie, come
possiamo vedere, sono solo numeri:
numeri di tonnellate di arsenico
sprigionate nell'aria, numeri di neoplasie
polmonari, numeri di morti di cancro,
numeri per il risarcimento dei danni,
numeri di legali. Ma nessun numero potrà
mai rappresentare l'ingiustizia subita, la
perdita dell'uomo che si è amato, della
famiglia che si è faticosamente costruito,
del diritto di NON SCEGLIERE MAI
FRA SALUTE O LAVORO.
Le informazioni sono tratte da
“1976-2006: trent’anni di arsenico
all’Enichem di Manfredonia” di
Francesco Tomaiulo.
Si ringrazia per il contributo.
Pretendono dall’azienda le vecchie
radiografie di Nicola. Essa cerca di
negarle, ma sotto minaccia di
un'ingiunzione legale, le ottengono. Si
scopre così che la lesione polmonare era
già presente nel 1991 e i medici
dell’istituto di medicina del lavoro
l’avevano diagnosticata. “Quel maledetto
giorno facevo il turno 14-22. Entrammo
nello stabilimento senza che nessuno ci
avesse avvisato del pericolo.” Nicola
muore 6 anni dopo la diagnosi.
Nel 1998 la Corte Europea si pronuncia
sull'accaduto: 10 anni prima, 40 donne
dell'associazione “Bianca lancia”avevano
proposto un esposto per i danni subiti.
Riescono ad ottenere 10 milioni di lire per
danni morali. Sconcertante è la diversità
di visioni con la Corte di Cassazione
italiana: il 17 Marzo del 2012 assolve i
dieci ex dirigenti dello stabilimento e due
esperti di medicina del lavoro accusati, a
vario titolo, di disastro colposo, 17
omicidi colposi, 5 casi di lesioni colpose e
omissioni di controllo. La società
succeduta all’Enichem, la Syndial, alla
fine del 2005 ha avviato una transazione
con le parti civili, per ottenere l’uscita dal
2000 e 5000 gamma/litro, contro un limite
di tollerabilità fissato in 100 gamma/litro.
Il 60 % della produzione agricola e il 30
% di quella zootecnica viene distrutta. I
braccianti perdono dalle 10.000 alle
12.000 giornate lavorative, mentre il
pesce del golfo per intere settimane è
respinto dai mercati.
Nicola Lovecchio, capoturno del
Magazzino Insacco dello stabilimento
Enichem, ha 44 anni quando scopre una
neoplasia polmonare. La giovane età, la
vita regolare senza eccessi, l'essere non
fumatore insospettisce il medico, Lorenzo
Portaluri. Da quel momento in poi una
questione di salute diventa una battaglia
politica e ideologica: i due iniziano
insieme ad analizzare i cicli di produzione
dell’Enichem; stilano un elenco delle
sostanze tossiche con cui i lavoratori
entravano in contatto: ad ogni mansione
corrisponde una diversa intensità di
esposizione. Coinvolgono i compagni di
lavoro: numerose sono le cartelle cliniche
di operai malati o già deceduti. In seguito
si interessano delle vicende aziendali:
incidenti, controlli medici periodici,
misure di protezione personali.
07
alle acque) e la popolazione può essere esposta a una combinazione di inquinanti che interagiscono nell’ambiente e nel corpo umano. Di indiscutibile interesse il fatto che i territori formalmente perimetrati dal Ministero dell’ambiente nel SIN, Sito di Interesse Nazionale per le bonifiche, riguardano non soltanto il sito industriale che comprende produzioni chimiche, la centrale termoelettrica e la raffineria ma anche aree pubbliche come il Biviere di Gela, l’area marina, i tratti terminali dei torrenti Gattano, Acate e del fiume di Gela e la discarica Cipolla. La percentuale maggiore di tumori e di malformazioni dell’intera regione proviene dalle aree contaminate dai veleni del petrolchimico e ancora si indugia a riconoscere il nesso di causalità tra questo e la presenza degli impianti. Le bonifiche già partite sono poche e la stragrande maggioranza dei veleni resta a terra, questo vuol dire che molte Direttive comunitarie vengono disattese o tardano ad essere applicate, ma questa è una situazione che va avanti da decenni e questo dato di fatto non può giustificare l’assenteismo del governo locale e nazionale di fronte situazioni simili. Mezza Italia aspetta risposte ferma al reparto di oncologia.
(Nello specifico i dati riportati nella
pagina seguente riguardano
l’inquinamento dei suoli e delle acque
sotterranee).
di Sara Spartà
I tentacoli del greggio in Sicilia da sempre portano il nome di Priolo, Augusta, Melilli, il c.d. “triangolo della morte” e da lì si diramano fino al Petrolchimico di Gela, in provincia di Caltanissetta. Sinonimo di occupazione e di reddito per migliaia di famiglie è solo oggi che se ne soffrono consapevolmente gli effetti devastanti e se ne contano le morti.
Inaugurato nel 1965, periodo in cui queste coste furono messe a disposizione dei colossi energetici del tempo, l’Esso e l’Eni, il Petrolchimico di Gela riceve ogni anno oltre 5 milioni di tonnellate di materia prima che viene poi trasformato in prodotti finiti da vendere sul mercato. Lavora prevalentemente grezzi provenienti dai 7 pozzi EniMed situati a Gela, da Ragusa, dalla piattaforma Vega, dall'Egitto, dall'Iran, dalla Libia, dalla Russia e dalla Siria. È uno degli impianti più grandi e importanti presenti in Europa.
Di qualche anno fa è lo studio allarmante del Cnr promosso dall’Oms e dalla Regione Sicilia, dal quale emergono valutazioni preoccupanti sia sull’inquinamento ambientale che sui danni che questo produce alla salute umana. Il biomonitoraggio comprende i comuni di Niscemi, Butera e Gela. Sebiomag,questo il nome del rapporto, è
stato coordinato da Fabrizio Bianchi, epidemiologo del Cnr di Pisa, dal quale affiora non soltanto che il comune di Gela è una tra le aree più inquinate al mondo ma anche che, nel sangue dei campioni oggetto della ricerca, ci sono tracce di metalli pesanti che superano di parecchie unità il tasso limite. Importanti quanto impressionanti i dati che spiegherebbero in maniera chiara le cause di una percentuale così elevata di tumori e malformazioni, nonché l’alto tasso di mortalità. Dall’arsenico al piombo, dal rame al mercurio: questi i metalli pesanti rilevati dal biomonitoraggio e trovati nel sangue del 20% del campione, composto da 262 persone dai 20 ai 44 anni.“La stima prudenziale è quella di alcune migliaia, 10-13 mila persone” deduce Bianchi. “ Ciò che conta non è il numero alto o basso, ma è necessario prendersi carico di questo fenomeno”. Per la prima volta i ricercatori hanno in mano un indiscutibile nesso tra inquinamento del territorio e mortalità in eccesso. La gravità della situazione sta nel fatto che sono stati superati di diversi ordini di grandezza i limiti previsti nelle specifiche normative ambientali: si pensi che nelle urine il livello di arsenico supera del 1.600 per cento il tasso limite. Il d.lgs.152/2006 rappresenta attualmente il più importante testo normativo in materia di danno ambientale.Gli inquinanti migrano da un comparto ambientale all’altro (dall’aria, al suolo,
08
Petrolchimico di Gela: una delle zone più inquinate al mondo.Il bel Paese aspetta dai reparti di oncologia mentre l’oro nero in Sicilia vanta i suoi primati.
Sia i primi che gli ultimi numeri ci
devono far riflettere, e la domanda sorge
spontanea: è giusto lavorare per morire, o
meglio “vivere” senza lavoro?
Oggi, ciò che lo stato ha costruito 47 anni
fa non è più un miracolo economico, ma
solo un male che non ci si può permettere
di estirpare, un eco-mostro che negli anni
ha divorato un’intera economia fino ad
avere il monopolio del lavoro.
Una riflessione importante, però, riguarda
le responsabilità: se si è arrivati a questo
punto non è colpa dei lavoratori e dei
cittadini, loro hanno avuto un'opportunità,
e poiché alla fine del mese devono
sfamare la propria famiglia, l'hanno
sfruttata, la responsabilità è dei politici
che hanno sempre considerato l'Ilva un
centro di potere, che gli avrebbe permesso
di vincere le elezioni, e quindi non hanno
fatto altro che “ingrassarla” ogni anno di
più, fin quando non se n'è potuto più farne
a meno, ed ora risulta difficile proporre
una diversificazione del mondo del
lavoro. Una cosa è certa, a Taranto e
provincia questa situazione non può più
andare bene; la voglia di cambiamento
non manca.
di Giovanni Frascella
La salute a Taranto è stata barattata con il
lavoro. Sembra questo il patto che i
tarantini involontariamente hanno scelto il
10 aprile del 1965, quando l’allora
Presidente della Repubblica italiana
Giuseppe Saragat inaugurava l’attuale
impianto ILVA di Taranto.
Sono passati 47 anni da quel giorno in cui
anche Taranto ha avuto il suo miracolo
economico, potendo così abbandonare
arcaici lavori e spettacolari paesaggi.
Oggi l’Ilva è l'elemento predominante del
tessuto economico della provincia di
Taranto che, come non mai, sta vivendo la
crisi di questi anni. In questi mesi la
procura della Repubblica locale è
intervenuta pesantemente, come un
fulmine a ciel sereno, sulla questione Ilva,
agendo in maniera radicale e a detta di
molti irresponsabile.
Per gli ambientalisti, come ormai vengono
chiamati tutti quelli che non vogliono più
morire di tumore ed essere sottoposti al
ricatto occupazionale, i responsabili sono
le classi politiche e i sindacati che si sono
passati il testimone in questi anni e che
non sono riusciti a risolvere una
situazione che è precaria da fin troppo
tempo. Infatti è ridicolo pensare che solo
il 26 luglio, giorno in cui sono stati posti
sotto sequestro giudiziario gli impianti, ci
si è accorti che l’Ilva inquina: l'Ilva che
vediamo oggi è esattamente quella di 47
anni fa.
Che a Taranto si muore per l’Ilva i
tarantini lo hanno sempre saputo, ma,
contemporaneamente, hanno sempre
saputo che l’Ilva è sinonimo di lavoro: è
di oltre 400 milioni di euro la ricchezza
generata dall'indotto Ilva che conta più di
1300 piccole-medie imprese, con al
seguito oltre 2000 lavoratori.
Ed i numeri dell’Ilva sono molto più
grandi: 11.967 dipendenti solo a Taranto
per produrre 11,3 milioni di tonnellate di
acciaio (il 40% di tutto l'acciaio italiano),
200 km di rete ferroviaria, 50 km di rete
stradale, 190 km di nastri trasportatori e 6
moli portuali su di una superficie di ben
15 milioni di mq.
Sono numeri che fanno impressione e che
fanno riflettere, però non sono i soli.
Infatti ci sono altri numeri, i numeri
dell’indignazione, numeri di cui non ci si
può vantare, numeri che raccontano ciò
che l’Ilva ha provocato in quasi un
cinquantennio di attività: 1.300 sono i
capi di bestiame abbattuti per l'elevata
quantità di diossina nella loro carne; 20 i
km di distanza cui devono essere allevati
caprini e ovini per poter consumare le
loro carni; inoltre, dal 2011 l’ASL ha
vietato la raccolta di “cozze” nel primo
seno di mar piccolo colpendo un prodotto
tipico del territorio, 637 sono i morti che
la perizia della procura ha attribuito al
superamento delle soglie massime di
Pm10 nei soli quartieri Tamburi e Borgo
di Taranto, circa 91 all’anno per i sette
anni presi in esame.
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Il ricatto occupazionale conteso al diritto alla salute
VITA? NO GRAZIE. BASTA IL LAVORO.
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Stazione Bologna Centrale
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Copertina: Flavio Romualdo GarofanoSito web: Carlo TamburelliImpaginazione e grafica: Ida Maria Mancini
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