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I ammino in n si e m e I C GIORNALINO PARROCCHIALE DI SONDALO E MONDADIZZA N° 6 - APRILE 2014

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Giornalino parrocchiale di Sondalo e Mondadizza

N° 6 - Aprile 2014

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nsiemeIC 1premessa

Per comunicare con noi: [email protected]

Buon 2014! Sono già passati tre mesi dall’inizio di questo nuovo anno e siamo vicini alla Santa Pasqua. “Insieme in cammino” cerca di riassumere le iniziative delle comunità parrocchiali di Son-dalo e Mondadizza, intende dischiudere orizzonti “nuovi e più consapevoli” sul significato della nostra fede, ci aiuta a intravedere possibilità di condivisione di esperienze di vita e contribuisce a far tesoro delle importanti memorie del passato. In questa introduzione un posto particolare va riservato ad un uomo “che ride, piange e ha amici, una persona nor-male” come lui ama definirsi, ma che per la comunità mondiale è una persona straordinaria: Jorge Mario Bergoglio. La semplicità di Papa Francesco, infatti, ha conquistato credenti e non credenti, diffondendo una straordinaria gioia e speranza per un mondo più giusto ed accogliente. Con i suoi gesti e le sue parole che vanno dritte al cuore di chi l’ascolta, ci fa rivivere quella “primavera della Chiesa” che fu il concilio Vaticano II. Ci infonde ottimismo perché, sono sue parole, non può esistere un cristiano triste. In questo primo anno il Papa ci ha mostrato il volto bello di una Chiesa misericordiosa, attenta alle periferie dell’esistenza. Con queste preziose parole auguriamo una Buona e Santa Pasqua.

Giungono alla redazione apprezzamenti sulla grafica e sui con-tenuti che ripagano degli sforzi profusi, ma vorremmo dare a tutti

i Parrocchiani di Sondalo e Mondadizza la possibilità di scrivere, raccontare, testimoniare… Non esitate a mandarci contributi sui temi che vi stanno a cuore. Tantissimi di voi hanno rinnovato e molti altri hanno sottoscritto, da quest’anno, l’abbonamento al giornalino e ricevono direttamente

nella buca delle lettere ogni numero. Ricordiamo, comunque, che gli abbonamenti per il 2014 possono essere ancora

sottoscritti in Biblioteca, tutti i pomeriggi tranne il lunedì, presso Paola, che si è resa disponibile

a collaborare con noi. A Lei un grande grazie per la preziosa disponibilità. Alcuni di voi, in-vece, preferiscono ancora affidarsi alle tradi-zionali “postine” che vi portano direttamente in casa il giornalino e magari non esitano a dirvi una “buona parola”. Le ringraziamo.

per contattare la parrocchiadon Battista Galli tel. 0342.803228 - cell. 338.9054930 - e-mail: [email protected]

Diacono enzo capitani339.8192409 - e-mail: [email protected]

inSieMe in caMMinoRegistrazione del Tribunale di Sondrio n°401/2012 del Registro Stampa

N° 6 - Aprile 2014Trimestrale delle parrocchie di S. Maria Maggiore di Sondalo e S. Giovanni Battista di Mondadizza Via Vanoni, 3 - 23035 Sondalo (SO) E-mail: [email protected]

DIRETTORE RESPONSABILE Mariella Milly Gualteroni

DIRETTORE EDITORIALE don Battista Galli

COORDINATRICE DEL GRUPPO DI REDAZIONE Angela Castelli

STAMPA: Tipografia Polaris- SondrioQuesto numero è stato stampato in 750 copie

aBBonaMento 2014Sottoscrivi l’abbonamento annuale a “Insieme in cammino” e ogni numero ti sarà recapitato direttamente a casa.

• ABBONAMENTO ANNuO € 15,00 (consegna a mano)

• ABBONAMENTO ANNuO € 25,00 (comprensivo di spese postali per residenti fuori Comune)

In copertIna: Affresco, oggi quasi illeggibile, sull’edificio che fa angolo fra via Rodorio e via s. Fedele. (La fotografia del 1971 è di Leandro Togni)

Accanto al Crocifisso oltre alla Madonna e a s. Giovanni c’è anche la Maddalena. La si vede in atto di abbracciare i piedi di Gesù, mentre in alto, due angeli rac-colgono in un calice il sangue che esce dalle ferite di Gesù. Il paesaggio che co-stituisce lo sfondo è suddiviso a terrazzi; il tutto è racchiuso nel torciglione caratteristi-co del pittore Giovan-nino da Sondalo.

Da alcuni giorni è possibile accedere al sito delle comunità di Santa Maria Maggiore in Sondalo e San Giovanni Battista in Mondadizza digitando l’indirizzo parrocchiasondalo.wordpress.com Una nuova e innovativa opportunità per rimanere aggiornati sulle iniziative parrocchiali.

http://parrocchiasondalo.wordpress.com/

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nsiemeIC 3editoriale

«Non abbiate paura! So che voi cercate Gesù il crocifisso. Non è qui, è risorto», disse l’ange-lo del Signore alle donne arrivate al sepolcro. Quante volte ho lasciato risuonare queste parole nella profondità della mente e del cuore durante i tanti mesi che ho trascorso nella Casa dei ritiri spirituali di Eupilio, facendo vita comune con i sette sacerdoti che lì vivevano - i mesi che hanno segnato la mia conversione... Lì ho scoperto cosa vuol dire pregare dinnanzi a un’icona di Cristo Risorto, quella allora appesa sopra l’altare nella cappella della comunità. un’icona “scritta” da una donna, una monaca benedettina (la condivido con voi, nella foto qui accanto).«Eghérte, è risorto»! In questi giorni di quaresima, ho letto un prezioso libricci-no. S’intitola: “Ti voglio bene. I giorni della Pasqua” (edizioni la meridiana) e raccoglie parole che don Tonino Bello scrisse o pronunciò durante gli ultimi tre mesi della sua vita. Anni prima, per la Pasqua del 1986, rivolse, invece, ai suoi parrocchiani questo messaggio:Cari amici, come vorrei togliervi dall’anima, quasi dall’imboccatura di un sepolcro, il macigno che ostruisce la vostra libertà, che non dà spiragli alla vostra letizia, che blocca la vostra pace! Posso dirvi, però, una parola. Sillabandola con lentezza per farvi capire di quanto amore intendo caricarla: “coraggio”! La Risurrezione di Gesù Cristo, nostro indistruttibile amore, è il paradigma dei nostri destini. La Risurrezione. Non la distruzione. Non la catastrofe. Non l’olocausto planetario. Non la fine. Non il precipitare nel nulla. Coraggio, fratelli che siete avviliti, stanchi, sottomessi ai potenti che abusano di voi. Coraggio, disoccupati. Coraggio, giovani senza prospettive, amici che la vita ha costretto ad accorciare sogni a lungo cullati. Coraggio, gente solitaria, turba dolente e senza volto. Coraggio, fratelli che il peccato ha intristito, che la debolezza ha infangato, che la povertà morale ha avvilito. Il Signore è Risorto proprio per dirvi che, di fronte a chi decide di “amare”, non c’è morte che tenga, non c’è tomba che chiuda, non c’è macigno sepolcrale che non rotoli via. La luce e la speranza allarghino le feritoie della vostra prigione.

Parole forti! Da meditare... Tante sono le prove della vita, ma l’incontro auten-tico con Gesù Risorto ci consola, ci sorregge, ci libera! «Non rassegnamoci. Consegnamoci, se mai», dice ancora don Tonino. Consegnamoci! Nel nostro abbandono a Lui, sentiremo tutta la forza del suo Amore.Buona Quaresima e Buona Pasqua!

Milly Gualteroni

Sommariola voce della Chiesa4 Papa Francesco: un

anno accanto alla famiglia

la voce del parroco6 Grazie… altrettanto!8 La famiglia al centro

Consiglio pastorale parrocchiale10 Che cos’è un

Consiglio Pastorale Parrocchiale?

Consiglio affari economici14 La situazione

economica

Commissione Caritas16 Incarnare la carità

ricordi salesiani18 Don Bosco

“Valtellinese”

la voce della storia22 A šcöla se ingeva col

sachét e coi ciupéi

il racconto26 La guerra divide

sempre… o quasi!

Contributi32 La famiglia: valore

prezioso per la società

33 Culto o cura di sé?

l’incontro34 “Possiamo farcela”

Missioni38 Missione giovani…

forza ragazzi!!!40 Diamo i numeri

Un libro da leggere41 Siamo nati e non

moriremo mai più

Carnevale di altri tempi42 Arriva la banda del

fracasso: ma che sconquasso!!!

Adolescenti43 Campo invernale

Trepalle 2014

Giovani44 Corso di educazione

all’affettività

Missione giovani46 Missione ieri, oggi e

domani

48 Album fotografico

Oratorio50 Ritiro a Fumero50 un cuore “olografico”

pagina dei bambini51 Cruciverba51 Corso d’intaglio in

oratorio

52 Anagrafe e...

…verso la pASQUA e oltre!3ª di copertina

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nsiemeIC 5 la voce della Chiesala voce della Chiesa

papa Francesco: un anno accanto alla famiglia

Questo nostro Papa ci sorprende ogni giorno. Nostro, sì perché così lo sentiamo! Con quel suo stile familiare, paterno, autorevole e al contempo amorevole, lo sentiamo uno di casa. un pastore che non trova fastidio nell’impregnarsi dell’odore del gregge,

ma insieme è capace di far apprezzare il profumo di Dio. Tutto questo attraverso la genuina semplicità, amplificata anche dall’inflessione spagnola, che lo fa alle volte incespicare sim-paticamente nelle parole, di persona che sa ancora sostare dinanzi al Ministero per stupirsi e gioire. Quello che ci innamora davvero di Papa Francesco è la gioia che, a suo dire e a suo fare, è proprio normale che accompagni l’adesione sincera al Vangelo. Sì, perché Gesù e il suo Vangelo riempiono la vita, le danno senso, rispondono ad ogni preoccupazione quotidiana, aprono alla speranza. Come non gioire? Ci sembra che molte coppie e famiglie si sentano coinvolte dal frequente ricorso del Papa ad immagini e racconti di vita domestici, anche autobiografici e a quel suo lessico famigliare che lo rendono ancor più vicino di casa, addirittura un familiare: un fratello, un padre, un nonno capace anche di richiami perentori, ma sempre dispensati in prospettiva incoraggiante e fiduciosa. Dal punto di osservazione

delle famiglie, l’apprezzamento a Papa Francesco nasce soprattutto dal fatto che per primo egli sappia esprimere uno stile di vita aderente alle tre parole che così spesso rivolge agli sposi, ai genitori, ai figli, ai fidanzati: permesso, grazie, scusa. Entra nelle nostre case e nei nostri cuori sempre con molta discrezione, in punta di piedi, senza proclami, giudizi gratuiti, ricette preconfezionate, ponendosi anzitutto in ascolto di un mondo che cambia e di tante storie di persone, di coppie, di famiglie, di comunità …. Ciascuna irripetibilmente originale, per la quale è doveroso ringraziare. Nelle molteplici occasioni, siano esse eventi affollati o momenti di maggiore intimità con piccole comunità radunate per la messa in Santa Marta o nelle Parrocchie che da Vescovo di Roma va visitando, quel suo attardarsi a salutare, ad incontrare, ad entrare in relazione, a manifestare una particolare predilezione per i sofferenti, per i poveri, stravolgendo l’etichetta e il protocollo, quasi ci sembra voglia chiedere scusa alla Chiesa, famiglia di famiglie, di non avere abbastanza tempo per tutti e per ciascuno. È forse proprio questa sua vicinanza alla vita quotidiana di ciascuno di noi che ci invita a prendere sul serio le sue esortazioni e accettare i consigli rivolti alla famiglia, alle famiglie, affinché riscoprano la propria insostituibile responsabilità educativa e diventino luoghi dove si fa esperienza di Dio, del suo amore, della gioia che ne scaturisce e della festa (la vera festa!) che diventa tempo dell’annuncio e della testimonianza. La famiglia, infatti, nel pensiero e nelle parole di Papa Francesco, è il contesto dove si impara a voler bene perché si è voluti bene. È luogo degli affetti e della relazione, del prendersi cura e del donarsi: esperienze squisitamente umane attraverso cui si impara a frequentare Gesù e si comprende che non ci viene richiesto di fare per forza qualcosa per ricambiare il suo Amore! Papa Francesco ci ricorda il valore della commozione, della compassione e nel richiamare, con disarmante ovvietà ma con grande passione, che l’uomo è creatura in relazione di fiducia con i suoi simili e con il suo Creatore, propone la famiglia quale naturale contesto in cui tutto questo si spe-rimenta e si custodisce. Ne è talmente convinto da non nascondere la sua preoccupazione di fronte alla prospettiva dello snaturamento strutturale e funzionale dell’istituto famigliare. Papa Francesco riconosce che una priorità per la Chiesa oggi è saper prestar partico-lare cura nella formazione dei giovani ad una sana e graduale affettività, nell’accompa-gnamento delle famiglie nascenti, nell’affiancamento di quelle formate e di quelle che sperimentano la sof-ferenza, nell’ascolto di quante sono ferite nell’amore. Sensibilità e atten-zioni che anche nella nostra Diocesi, da tempo, si concretizzano in progetti e attività che sono anzitutto contesti di formazione per operatori pastorali nelle rispettive ministerialità, ma anche servizio offerto e al contempo richiesto alle singole comunità.

un anno è passato da quel 13 mar-zo, quando la fumata bianca an-nunciò l’elezione del nuovo Papa e pochi minuti dopo si affacciò alla loggia di San Pietro… La sorpresa di un uomo “preso dalla fine del mondo”… Sembra che il tempo si sia dilatato, così tante e tanto in-tense sono state le novità portate da Papa Bergoglio nella Chiesa e nella percezione che di essa

hanno quanti si pensavano “lontani” o indiffe-renti all’annuncio evangelico. In questo spazio vi proponiamo alcune riflessioni di Mariangela e Mirco Frizzi riportate su Il Settimanale del 15 marzo.

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nsiemeIC 7 la voce del parroco la voce del parroco

Grazie… altrettanto!

Ci sono parole importanti, ricche di significato, che vanno usate con attenzione e con sobrietà!

una di queste è la parola “servizio”. Fin troppo usata, essa è ormai sulla bocca di tutti: a servizio del Paese, dicono i politici; a servizio dei clienti, dicono i commercianti; a servizio di Dio, dicono i preti! Ma è una parola che ha un forte contenuto evangelico, se si pensa

a quella solenne dichiarazione di Gesù nel vangelo di Marco: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la vita in riscatto per la moltitudine” (Mc. 10,45). A badarci, in questa affermazione vi sono almeno quattro avvertenze importanti che qualificano il “servire”.Innanzitutto il “servire” non costituisce un momento o un singolo gesto più o meno occasionale dentro una vita qualsiasi, ma è un modo di esistere, uno stile costante di vita che raggiunge i comportamenti abituali di una persona in qualunque con-testo, nel suo pensare e agire di ogni giorno.Inoltre il “servire” nelle parole di Gesù si contrappone nettamente al “farsi servire”, quasi che in certi casi e in certi spazi o luoghi, si fa un servizio e magari in casa si è invece egoisti e ci si fa servire: ciò significherebbe che il servizio rimane un gesto fragile, a volte di comodo, alla ricerca forse di qualche gratificazione.Ancora, il “servire” dimostra concretamente che ti fai responsabile di altri, capace di vedere persone nel bisogno, di riconoscere le tue capacità e possibilità da mettere a disposizione, consapevole di ciò che può servire all’altro o agli altri, con attenzione e rispetto.Infine il “servire” , vissuto come stile di vita, non raggiunge soltanto i bisogni più o meno concreti, ma raggiunge la persona, tutta la persona, sì con i suoi bisogni, ma ancora prima col suo volto, la sua storia, le sue risorse, le sue domande, le sue sofferenze: una persona è sempre molto di più di un bisogno! Prima di aiutare una persona, dobbiamo accoglierla, riconoscerla, ascoltarla … Nel catechismo si impara che oltre alle opere di misericordia corporale, esistono anche quelle “spi-rituali” che spesso sono più nascoste, ma non meno urgenti. Impariamo dunque da Gesù a vivere il “servizio”!

Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia che merita la nostra attenzione: se è vero che il servire è importante e, seguendo Gesù, ha e deve avere certe carat-teristiche, compreso quella di essere sufficientemente riservato, umile e persino nascosto – Gesù dirà: “Non sappia la sinistra ciò che fa la tua destra” (Mt. 6,3) – non altrettanto dobbiamo concludere per chi “riceve” il servizio! La gratitudine è una grande virtù per tutti e sempre!Partiamo da vicino: e cioè ad esempio dalla gratitudine di un prete per tutti coloro, grandi e piccoli, che in un modo o in un altro condividono con lui le preoccupazioni per una comunità e gli impegni di una Parrocchia e di un Oratorio. Sono molti i laici impegnati, che danno tempo, energia e passione del tutto gratuitamente, rubandoli alle loro famiglie e al loro lavoro. Si sentono mai dire un grazie dal loro prete? un grazie che a volte può essere semplicemente una parola, a volte può essere un pensiero, un regalo pur modesto che dimostri considerazione per le fatiche, la stanchezza e spesso anche la delusione? Anche in questo caso dovrebbe sempre venire prima la persona, e solo dopo il servizio che si riceve.Anche qui Gesù dimostra molte volte di vivere la gratitudine, la riconoscenza, e la apprezza molto quando vede che una persona la sa manifestare.Quando guarisce i dieci lebbrosi, Gesù è tutto contento nel vedere che uno di loro ritorna a lodare Dio e a ringraziarlo, mentre gli dispiace che altri nove non abbiano avvertito lo stesso bisogno (Lc. 17,16). Anche nell’incontro con la peccatrice perdonata (Lc. 7, 36-50) Gesù vuole sottoline-are l’amore riconoscente e affettuoso della donna per Gesù che l’ha guarita, in contrasto con la fred-dezza del fariseo che lo ha invitato a pranzo.San Paolo poi in molte sue lettere ringrazia co-loro che lo aiutano, as-sicura costante preghie-ra per loro e per le loro famiglie, citando spesso gli stessi nomi delle per-sone, riconoscendo con vera gioia che anche i ser-vizi più umili e quotidiani, se svolti con generosità e gratuità, contribuiscono alla diffusione del Vangelo.

don Battista

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nsiemeIC 9 la voce del parrocola voce del parroco

la famiglia al centro

Nel tempo che stiamo vivendo appare evidente la crisi sociale e spirituale della famiglia: ecco perché Papa Francesco è consapevole che alcune problematiche nuove rendano necessario e urgente riproporre il messaggio

del Vangelo sulla famiglia. Anche in ambito più strettamente ecclesiale, siamo sempre più di fronte all’indebolimento o all’abbandono della fede nel valore del matrimonio come sacramento. Se si pensa al solo fatto che, nell’attuale contesto, molti ragazzi e giovani, nati da matrimoni irregolari, potranno non vedere mai i loro genitori accostarsi ai sacramenti, si comprende quanto urgenti siano le sfide poste alla evangelizzazione della situazione attuale, diffusa ormai ovunque.La Chiesa avverte la necessità di riproporre l’amore umano nel contesto dell’amore divino a quanti vivono questa fondamentale esperienza umana personale, di coppia e di comunione aperta al dono dei figli, che è la comunità familiare.Qual è il progetto di Dio sulla famiglia? Sappiamo che ha la sua radice nella creazione dell’uomo e della donna fatti entrambi a immagine e somiglianza di Dio. Creati all’esistenza per amore, li ha chiamati nello stesso tempo all’amore. L’amore

è, pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano. uniti in modo indissolubile, l’uomo e la donna vivono la bellezza dell’amore, della paternità, della maternità e della dignità di partecipare all’opera creatrice di Dio. Nel frutto della loro unione di amore, essi assumono la responsabilità della crescita e dell’educazione di nuove persone per il futuro. Questo progetto, sconvolto come sappiamo dal peccato e dalla durezza del cuore umano, ha potuto essere riproposto da Gesù che non solo lo ha confermato, ma con la redenzione dà la grazia e la gioia di viverlo. Gesù ha ristabilito la bellezza del matrimonio e dell’amore umano, offrendolo ai cristiani delle prime comunità come “chiesa domestica”, luogo privilegiato della solidarietà più profonda tra moglie e marito, tra genitori e figli, tra ricchi e poveri. E da allora, sempre nei secoli cristiani, fino al Concilio Vaticano II, è sempre stata difesa e promossa la dignità del matrimonio e della famiglia: “la famiglia, nella quale le diverse generazioni si incontrano e si aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa e ad armonizzare i diritti della persona con le altre esigenze della vita sociale, è veramente il fondamento della società”. Fino a Papa Francesco che afferma con nuova convinzione: “Fondati su questo amore, uomo e donna possono promettersi l’amore mutuo con un gesto che coinvolge tutta la vita e che ricorda tanti tratti della fede. Promettere un amore che sia per sempre, è possibile quando si scopre un disegno più grande dei propri progetti, che ci sostiene e ci permette di donare l’intero futuro alla persona amata”. E an-cora: “La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che questo amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità”.E proprio con queste convinzioni anche a Sondalo è in corso la seconda esperienza di preparazione al matrimonio da parte di una decina di coppie che si incontrano ogni mese. È una proposta molto bella: i giovani vi partecipano con interesse, incontrando esperienze significative di persone e di coppie che si sforzano, come tutti, di vivere il loro matrimonio con generosità, con fatica e con fedeltà grande, presentando la loro esperienza concreta di ogni giorno. La possibilità di parteci-pare insieme alla messa festiva, la cena simpatica che ci viene offerta in Oratorio e di seguito l’incontro di comunicazione e di confronto che segue, costituisco-no momenti significativi: i giovani riscoprono la bellezza della loro fede, spesso indebolita e fragile, gustano un momento di condivisione e di amicizia e infine riscoprono il valore e i significati di un amore accolto come dono dal Signore e assunto come scelta generosa e coraggiosa. Anche la condizione di convivenza di alcune coppie, come pure la presenza di alcuni bimbi, contribuiscono a cogliere, con onestà e schiettezza, il senso e il valore prezioso del cammino che si vuole percorrere insieme.

don Battista

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Consiglio pastorale parrocchiale amminoin

nsiemeIC10Consiglio pastorale

parrocchiale amminoinnsiemeIC 11

e dunque:• che credono nel Vangelo che hanno

ascoltato;• che cercano di incontrare il Signore

Risorto insieme agli altri cristiani. persone che hanno idee nuove e voglia di mettere la loro fantasia

a servizio del Vangeloe dunque:• persone preoccupate di trasmettere

la buona notizia di Gesù; • persone che non hanno paura delle

novità.

persone disposte ad entrare dentro

la parola di Dio

Un gruppo di persone capaci di lanciare ponti con le differenti realtàe dunque:• portare la sensibilità delle diverse

componenti di una comunità religio-sa e civile;

• avviare un dialogo con coloro che sono impegnati nell’educazione e nella cultura, nell’organizzazione del tempo libero e nell’assistenza.

Con le stesse pietre, infatti, si possono costruire

Muri o ponti...

Un gruppo di persone capaci di comunicare con le diverse etàe dunque:• in grado di saper ascoltare e saper

prendere la parola con cordialità;• in grado di cercare gli altri per infor-

marsi e per discutere;• in grado di offrire tolleranza e pazien-

za;• in grado di sorridere sui propri difetti.

Don Battista ha trovato una forma piuttosto scherzosa che spiega che cos’è un Consiglio Pastorale Parrocchiale e me l’ha passata … l’ho un po’ rielaborata e ve la propongo affinché disegni e testi ci possano essere utili per riflettere sulla nostra comunità e sulla sua identità.

Angela Castelli

Che cos’è un Consiglio pastorale parrocchiale?

persone che vengono a Messa e ripartono

piene di gioia e di buona volontà

persone disposte a portare il peso di qualche responsabilitàe dunque:• disposte ad

impegnarsi per gli altri;

• disposte a fare qualche sforzo per il bene della comunità.

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Consiglio pastorale parrocchiale amminoin

nsiemeIC12Consiglio pastorale

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Ci sono tanti tipi di parrocchie …E tu, lettore di “Insieme in cammi-no”, come vorresti la tua parroc-chia?Ecco alcuni spunti …

Ci sono Parrocchie in cui si producono molti avvisi, molte lettere, molti manifesti…

...Altre sono intente a

riparare molti guasti provocati dai conflitti,

dalle lotte interne, da scelte azzardate, magari non condivise, ma lasciate che

andassero così… tanto le responsabilità erano di altri!?!

Ci sono parrocchie che vogliono dotarsi di locali grandi, belli, spaziosi… hanno progetti grandiosi! Ma poi non si organizzano attività…

Altre Parrocchie sono in perenne rivalità con le parrocchie vicine…

In alcune Parrocchie sembra che tutto scorra liscio: tutti allegri e contenti, senza nessun problema apparente …

In altre si avverte un certo freddo…

rapporti corretti, ossequiosi…, ma poi ognuno a casa sua…

Certe Parrocchie mancano di slancio: c’è tutto, si fa di tutto, ma senza grinta, con scarso entusiasmo …

In alcune il Parroco vorrebbe che a tirare la “carretta” fossero i

fedeli… e lui a dirigere. In altre i fedeli vorrebbero

che il Parroco facesse tutto …

Tratto da “Servizio della Parola”

persone che ragionano con i criteri del Vangelo e ad esso ispirano le loro decisioni ed azionie dunquea comandare non è la maggioranza, quello che vuole la maggior parte dei membri;per decidere bene ci si confronta con la parola di Gesù.

persone che desiderano che la Chiesa metta radici in questo luogo:e dunque:• cercano di far crescere la testimo-

nianza cristiana in ogni ambito di vita;• sono preoccupati di mostrare coi fatti

la loro adesione a Cristo;• non esitano a leggere la situazione in

cui vivono con la saggezza che viene dalle Sacre Scritture.

Ognuno si considera pietra “viva” della Chiesa • ognuno sa di avere un posto, il suo;• ognuno sa di avere un compito nel

piano di Dio.

persone che non esitano a sporcarsi le mani sui cantieri della comunità a del paese in cui vivono

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nsiemeIC 15 Consiglio affari

economiciConsiglio affari economici

la situazione economica

Il Consiglio per gli affari economici, presieduto dal Parroco, ritiene dove-roso rendere nota ai parrocchiani la

situazione economico-finanziaria della Parrocchia e illustrare gli aspetti princi-pali dell’attività svolta nell’anno appena trascorso. Le iniziative sono state indi-rizzate in due direzioni principali: la ri-strutturazione del debito e l’esecuzione di limitati, necessari, interventi per la fru-izione dei diversi ambienti della struttura chiesa-oratorio. Nel corso dell’anno si è perfezionato il de-cisivo intervento della Curia di Como che, con l’impegno complessivo di 600.000 euro, ha affrontato direttamente le espo-sizioni più urgenti verso i fornitori. È già noto che per le opere della palestra e dei relativi servizi la Parrocchia aveva contratto un mutuo con il Credito Sportivo che comporta il pagamento fino all’an-no 2023 di rate semestrali (scadenze a marzo e settembre) dell’importo di euro 33.687 ciascuna.Alle partite già illustrate si debbono ag-giungere le seguenti:• il debito residuo verso l’impresa che ha

realizzato le pavimentazioni, i controsof-fitti e le rasature dell’oratorio: sulla base della transazione raggiunta e, dopo i pagamenti che è stato possibile effet-tuare, restano da pagare circa 160.000 euro;

• l’esposizione su conto corrente, so-stanzialmente divisa in parti uguali

fra le due banche locali, si mantiene intorno ai 330.000 euro: a fine anno si è riusciti ad ottenere una significati-va riduzione dei tassi d’interesse che farà vedere i suoi effetti sul bilancio dell’esercizio 2014.

Ad inizio d’anno, previa autorizzazione della Curia, è stato esperito il tentativo di vendita della ex-casa parrocchiale di Via Vanoni: vi è stata qualche manifestazione di interesse da parte di operatori del set-tore, ma le condizioni attuali del mercato immobiliare non hanno finora permesso di realizzare un introito adeguato.La realizzazione dei limitati interventi necessari per migliorare la fruizione dei diversi ambienti dell’oratorio è stata resa possibile dalla concessione di due con-tributi di € 70.000 e € 25.000 rispettiva-mente da parte della Fondazione Cari-plo e della Fondazione Pro Valtellina: al momento sono state realizzate la cucina, il completamento dell’impianto elettrico, il completamento delle vie di fuga e la posa di porte adeguate alla normativa di prevenzione incendi.Nel suo ultimo incontro il Consiglio ha inol-tre deciso di procedere alla realizzazione del tratto di marciapiede lungo la via Va-noni e alla sistemazione della pertinenza fino al limite del fabbricato.

Gestione ordinariaLa gestione ordinaria ha fatto registrare nell’anno 2013 entrate per complessivi 207.000 euro con un incremento significa-tivo rispetto all’anno precedente: alcune entrate hanno avuto carattere straordina-rio e non saranno ripetibili nel 2014. Le

spese ordinarie di funzionamento, ridotte all’osso e gli oneri fissi (mutui, interessi) sommano a € 140.000.Sono state comunque eseguite alcune manutenzioni ordinarie non rinviabili, al campanile dell’Oratorio di Santa Dorotea e alla casa di via Zubiani adiacente alla chiesa di Santa Maria Maggiore. Come si vede dalla differenza fra entrate e uscite ordinarie si è potuto disporre di un certo margine per far fronte alle partite debito-rie secondo quanto illustrato nella prima parte dell’articolo.Le previsioni per l’anno in corso si presen-tano assai impegnative in quanto si dovrà far fronte almeno alle seguenti attività:• pagamento, con le entrate ordinarie,

delle due rate di mutuo con il Credito Sportivo (€ 67.374);

• realizzazione della sistemazione esterna su via Vanoni;

• completamento dei progetti ammessi a

contributo da Fon-dazione Cariplo e Pro Valtellina;• riduzione del de-

bito con l’impre-sa costruttrice.

Nel corso dell’an-no si manifestano esigenze di manu-tenzione ordinaria e straordinaria alle chiese che non possono essere rinviate sine die e che comportano spese.Il consiglio per gli Affari Econo-

mici sta cercando ogni via possibile di finanziamento per aumentare le entrate e di economia nell’esecuzione dei diver-si interventi, ma deve anche far appello alla generosità dei parrocchiani che può esprimersi in forme diverse, ma tutte ugualmente utili quali:• sostegno con offerte ordinarie,• offerte straordinarie;• disponibilità a fornire prestazioni.Riguardo all’ultimo aspetto il Consiglio rin-grazia vivamente tutti i parrocchiani, gli artigiani, i tecnici che stanno “dando una mano” (e sono tanti e generosi), ma si po-trebbe fare di più. In particolare si attende l’offerta di disponibilità di persone volen-terose e magari in possesso di qualche abilità (muratore, imbianchino, fabbro…) per poter programmare periodicamente giornate di lavoro assai preziose per le manutenzioni ordinarie e il mantenimento del decoro degli ambienti.

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nsiemeIC 17 Commissione

CaritasCommissione Caritas

incarnare la carità

Mentre scrivo questo articolo il mio pensiero va automaticamente alla cele-brazione dell’ “Inno alla Carità” che si è svolta domenica 2 marzo durante la Santa Messa delle ore 10 in San Francesco.

In quell’occasione ai ragazzi dell’Iniziazione Cristiana di 3a media è stato con-segnato simbolicamente l’“Inno alla Carità” (1 Cor. 13,1-13) come invito a vivere consapevolmente la chiamata a fare dell’Amore di Dio (l’Agàpe secondo San Paolo) un caposaldo della propria vita.Questo invito esplicito ai ragazzi è rivolto anche a tutta la Comunità Parrocchiale e ci interroga sui modi con i quali viverlo nella quotidianità.Siamo uomini moderni, uomini del nostro tempo, spesso travolti dalle preoccu-pazioni materiali. Tra queste vi è sempre stata quella di sopperire alle necessità alimentari: la necessità primaria che ci consente di vivere. Nel tempo, l’uomo si è organizzato magnificamente perché, a lui e alle persone care, non venissero a mancare i generi indispensabili alla sopravvivenza. E vi è riuscito così bene che nel mondo occidentale la quasi totalità delle persone non ha più problemi di alimentazione. Ma è quel “quasi totalità” che ci angoscia! Qualcuno, purtroppo, non riesce ad usufruire di questa quantità di cibo, perché non è più in grado di acquistarla, di contro, è sorto il problema delle eccedenze alimentari.

Leggevo recentemente al riguardo un articolo di “Avvenire” che evidenziava che in Italia finiscono in pattumiera 5 milioni di ton-

nellate di cibo per 8,7 miliardi di euro, 76 chili a testa. Pertanto si evidenziano due profili del problema: il primo è lo spreco di risorse ambientali utilizzate per produrre i beni che poi vanno persi; il secondo è il costo che i prodotti sprecati, diventan-do rifiuti, hanno per la collettività. Dunque il problema non è solo di carattere sociale ed etico, ma anche economico. Per le grandi catene di distribuzione avere eccedenze è purtroppo un obbligo per garantire a ogni cliente le medesime opportunità di acqui-sto al mattino come alla sera. Il settore sta cercando di ridurle al minimo e di dare una seconda vita ai prodotti invenduti, destinan-do alle Onlus, ogni anno, 50 mila tonnellate di prodotti equivalenti a 75 milioni di pasti. A livello famigliare segnali incoraggianti arrivano

“grazie” alla crisi, che spinge gli Italiani a gestire la spesa in maniera più oculata. Ma lo spreco è presente nel nostro stile di vita: per esempio ogni anno nel nostro Paese la sovra-produzione alimentare comporta il consumo di 1.226 milioni di metri cubi di acqua, pari al fabbisogno idrico annuale di 19 milioni di Italiani. uno spreco che ri-guarda anche il 36% dell’azoto dei fertiliz-zanti che finiscono inutilmente nei fiumi e in mare provocando gravissimi fenomeni di eutrofizzazione e morie. La colpa è dei consumatori che spendono inutilmente 316 euro l’anno, ma anche del sistema produttivo che perde cibo e risorse lun-go la filiera, anche il 50% prima che arri-vi in tavola. A livello mondiale si calcola che 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti finiscano in discarica, un terzo della produzione.Capite che si pone un grave problema etico e ambientale, oltre che economico.Cosa possiamo fare, nel nostro piccolo, come cristiani? Dovremmo intanto rispettare il Creato evitando di buttare inutilmente alimenti che aumentano il grado di eutrofizzazione nell’ambiente in cui vivono le nostre famiglie e la cui produzione sottrae inutilmente energie al suolo coltivabile, considerato anche che, per coltivarlo, dobbiamo usare energia, compresi i carburanti per i mezzi agricoli, con inutile inquinamento ambientale. Cominciamo a riflettere che quei pochi grammi di alimenti che buttiamo giornalmente, creano inquinamento e spreco di risorse. Anche questo, se riflettete è un aspetto della Carità. E ritornando sullo spreco di risorse, pensate a quando, terminato un pranzo, per mancanza di volontà, buttiamo nella raccolta indifferenziata prodotti che potrebbero essere inseriti nella raccolta differenziata come carta, lattine e plastica? Anche questo piccolo sforzo è Carità. Diventa Carità anche il modo in cui facciamo carità; per esempio quando destinia-mo indumenti usati per persone bisognose che si rivolgono a Enti caritativi perché impossibilitati ad acquistarli. Noi indosseremmo indumenti non lavati, stropicciati, logori? Pensiamo se abbiamo utilizzato questo criterio di buon senso quando li mandiamo a questi Enti caritativi o obblighiamo volontari a fare un impegnativo lavoro di selezione che avremmo potuto fare noi! Anche questa è Carità.Quindi alla luce dell’ “Inno alla Carità di San Paolo, abituiamoci a conformare i nostri comportamenti quotidiani. Tutto può … l’Amore!

Paolo Mozzini

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nsiemeIC 19ricordi salesiani ricordi salesiani

Il 13 febbraio sono giun-te a Sondrio le reliquie di don Bosco. Prete di

umili origini ha trovato la santità nell’ attaccamento alla gioventù, dedicandosi in particolare a quella più povera ed abbandonata facendone fulcro della sua vita. Possiamo considerare don Bosco un precursore (parliamo della seconda metà dell’800) di coloro che si dedicano alla fascia d’età dell’ adolescenza, da sempre considerata passaggio delicato verso la maturità dell’individuo, mettendo in atto il “siste-ma preventivo”. Al giorno d’oggi si cerca di preveni-re tutto (malattie, infortuni, ecc.), ma come possiamo prevenire il malessere gio-vanile? Dagli insegnamenti

di don Bosco troveremo un valido aiuto in quanto il metodo preventivo da lui attuato consisteva nel prevenire che i giovani in-traprendessero percorsi negativi e, se ciò era già avvenuto, ridonava loro di-gnità sostenendoli e garan-tendo loro cibo, alloggio, istruzione per toglierli dalla schiavitù dell’ignoranza ed insegnando loro un mestie-re per introdurli nel mondo. Fece tutto questo amando-li, ascoltandoli, e aiutandoli con la fede, poiché vedeva nei giovani il futuro: anche nel più misero e disgraziato c’era un punto di accesso per infondere il bene. Istituì gli oratori, punto d’incontro di tanti giovani di ieri e di oggi e, in seguito, collegi ed istituti per l’istruzione e l’educazione dei giovani (Istituti Salesiani). Per fare

tutto ciò non usò libri di psi-cologia e pedagogia, ma le sue risorse umane. Le problematiche che parte dei ragazzi d’oggi vivono non sono totalmente uguali a quelle dei tempi di don Bosco, ma ancora oggi egli ci insegna ad amare i nostri giovani in tutte le loro sfaccettature facen-do percepire loro il nostro amore; li aiuteremo così a fare emergere le loro atti-tudini e a realizzare i loro sogni, anche se non sono quelli che noi vorremmo. L’assistenza nei confronti dei giovani, di cui parla don Bosco, non è altro che il saperli ascoltare, sia nel disagio che nella gioia ed essere presenti nella loro vita con discrezione, ma vigili; che non fraintenda-no mai la nostra presenza come giudici o indagatori,

perché i ragazzi non hanno bisogno di persone che li porterebbero a chiudersi in se stessi. Capiranno allora le nostre buone intenzioni atte a portarli ad essere persone in grado di affron-tare la vita. Certamente ci saranno momenti di diffi-coltà e incomprensioni con loro, soprattutto quando bi-sognerà correggere com-portamenti non idonei, ma non bisogna scoraggiarsi. Continuiamo sempre ad accompagnarli, insegnan-do loro anche la fede che sarà compagna perenne della loro vita e che li por-terà ad amare se stessi e gli altri. Tutto ciò non è cosa facile, molto l’impe-gno richiesto a genitori ed educatori. Oggi la famiglia spesso appare “affaticata” ed è comprensibile, visto il momento difficile in cui viviamo, ma cerchiamo di fare in modo che i ragazzi siano sempre al centro di essa, perché la famiglia rimarrà sempre il punto di riferimento educativo e di esempio.Tra pochi giorni ricorrerà la festa della mamma. A tutte le mamme vanno i nostri migliori auguri ricordando che, in sua madre, don Bosco trovò amore e so-stegno per portare avanti la sua missione.

Orsola Genovese Sara Bianconi

Tre ex allievi salesiani raccontanoValentino toGni“Ho iniziato a frequentare a undici anni l’istituto sale-siano di Milano dove andaia studiare per diventare perito meccanico e lavora-re su macchinari industriali. Ma i miei genitori mi man-darono soprattutto perché ero un ragazzo molto viva-ce, bisognoso di control-lo e di regole, infatti non passava giorno che non dovessero punirmi. Inizial-mente l’inserimento è stato faticoso in quanto dovevo, per forza, rispettare le re-gole dell’Istituto. L’esem-pio dei miei compagni mi è stato molto utile e mi ha portato a modificare il mio modo di vivere e a segui-re il sistema educativo dei miei superiori. Ma la cosa principale che mi ha spinto a cambiare regime di vita era la mia determinazione a diventare meccanico. Se non rispettavo i regolamen-ti rischiavo di essere allon-tanato dall’Istituto vedendo così svanire il mio sogno. Tramite i colloqui prelimi-nari con i miei genitori, i superiori conoscevano già la mia indole. Sono riusciti ugualmente a migliorarmi senza ricorrere a provve-

dimenti e punizioni che a casa mia erano giornalie-ri. Questo cambiamento è rimasto per tutta la mia vita pur mantenendo il mio carattere allegro e dispo-nibile verso gli altri, aiutato in questo in seguito anche da mia moglie Anna. Vedo nell’insegnamento di don Bosco un metodo effica-ce per condurre i giovani alla vita introducendoli nel mondo del lavoro condivi-dendo i loro sogni e aiu-tandoli a portarli avanti. Il dono della fede l’ho appre-so in famiglia ed è stato rafforzato dall’esperienza salesiana. Ringrazio an-cora oggi coloro che mi hanno aiutato, in special modo don Viganò e don Bassi che mi hanno inse-gnato il senso della vita ed il rispetto verso tutti e so-prattutto i genitori. Ancora oggi ricordo con affetto i miei compagni di collegio con i quali tuttora mi ritrovo e dialogo delle varie fasi della nostra vita. L’orato-rio, tanto importante per don Bosco, lo fu anche per me, perché lì ho conosciuto mia moglie Anna, anche lei ex allieva di don Bosco presso le suore di Maria Ausiliatrice. Lei, più di me, ha trasmesso ai nostri figli l’insegnamento di don Bo-sco, cioè la fede, la carità, la speranza e soprattutto niente chiacchiere. La don-

Don Bosco “Valtellinese”

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nsiemeIC 21 ricordi salesiani ricordi salesiani

na ha quindi un ruolo molto importante nella famiglia perché rappresenta il suo pilastro e le fondamenta della casa. Il consiglio che posso dare ai nostri giova-ni è di non perdere mai la speranza, di avere corag-gio di adattarsi e di aprirsi a nuovi orizzonti andando a conoscere il mondo. renzo pedracciniAll’età di sedici anni ho ini-ziato la scuola superiore presso i Salesiani di Milano per diventare meccanico attrezzista. Già allora ero dotato di un carattere forte e, nonostante ciò, non ho avuto difficoltà di inseri-mento nella comunità sale-siana. Sono stato accettato da superiori e compagni e con questi ultimi mi ritrovo ancora oggi a parlare del passato e dello scorrere della vita con tutte le sue vicissitudini. L’inserimento mi è stato facilitato anche dalla mia naturale predi-sposizione verso gli altri adattandomi, nel contem-po, alle regole dell’Istituto. Tra gli insegnamenti rice-vuti, quelli che mi sono rimasti più impressi sono la motivazione e l’impe-gno. La mia motivazione era diventare meccanico. Ritengo la motivazione il motore dei giovani che, ac-compagnata dalla libertà di scelta, li aiuta a realizzarsi

e a progredire. Certamen-te per raggiungere i nostri obbiettivi bisogna non es-sere superficiali e non ba-sta limitarsi solo a credere ai nostri sogni, ma anche impegnarsi a realizzarli. La strada per raggiungerli non è sempre scorrevole, le difficoltà si incontrano e può subentrare la voglia di abbandonare il percorso. Ma se si crede fermamente in ciò che si vuole raggiun-gere, si riesce a superare tutto questo. La vita ci può presentare ostacoli e im-previsti di ogni genere, ma dobbiamo cercare sempre i modi giusti per affrontarli e non lasciare nulla di in-tentato. Oggi, più che mai, questo ci è richiesto consi-derando il contesto sociale in cui viviamo. Ho avuto la fortuna di apprendere importanti insegnamenti, ma anche di avere avuto

insegnanti ed educatori va-lidi che, oltre a occuparsi della mia educazione, mi hanno dato la possibilità di imparare un buon lavoro mettendomi a disposizione laboratori all’avanguardia per attrezzature meccani-che. Loro preparavano gio-vani idonei da inserire su-bito nel mondo del lavoro. Tutto questo avveniva in un ambiente non opprimente, ma animato ed allegro. In ricordo dell’esperienza sa-lesiana ho voluto dedicare il nome della mia azien-da a don Bosco. Tramite i suoi insegnamenti cerco sempre di trovare nuovi stimoli e provo a superare le difficoltà che mi si pre-sentano per il buon funzio-namento dell’ azienda. La mia predisposizione verso gli altri e soprattutto verso i giovani la coltivo tuttora, infatti sono stato coinvolto

da don Gigi Pini in alcune attività dell’associazione “Tremenda voglia di vivere” che si occupa della gio-ventù facendo riferimento proprio ai principi di don Bosco.

Giancarlo GrecoSono entrato nell’Istitu-to Salesiano di Sondrio all’età di dodici anni, per frequentare le scuole me-die e in seguito le supe-riori. Considerando l’età e la provenienza da una piccola frazione, il perio-do iniziale è stato piuttosto difficile trovandomi in una dimensione umana molto più ampia e con regole rigide da rispettare. Ami-ci di riferimento non ne avevo, quindi ho dovuto instaurare nuovi rapporti stimolando così le mie ca-pacità relazionali per non trovarmi isolato. Il metodo salesiano, coinvolgendo i giovani in varie attività, li

aiuta a socializzare. Inizial-mente l’istinto di tornare a casa c’è stato, ma con il ragionamento ho superato questo pensiero, perché facendolo, avrei rinunciato ad un’ occasione di cresci-ta e l’insegnamento che ne è scaturito è stato quello di non retrocedere davanti alle difficoltà e di cogliere le occasioni che mi porta-no a migliorare soprattutto come persona. Ho avuto insegnanti e assistenti che mi hanno insegnato il va-lore dell’impegno per rag-giungere i propri obiettivi. Molto formativo è stato aver potuto accedere ad attivi-tà culturali tipo cineforum, teatro e conferenze su te-matiche all’ avanguardia, sui problemi dell’adole-scenza, della famiglia o an-che fatti di attualità che mi hanno aperto la mente per valutare e capire i principi della vita. Ho imparato nella comunità a vivere con gli

altri superando preconcetti e stereotipi. Le proprie atti-tudini venivano valorizzate, infatti la mia predisposizio-ne allo sport nel contesto dei principi educativi sale-siani, ha potuto emergere e le attività sportive mi hanno dato una possibilità in più di confronto con gli altri e quindi di crescita. Imparando a rispettare i compagni, gli avversari e le regole del gioco, ho acquisito i principi che poi mi hanno aiutato a relazio-narmi nella vita con gli altri, in quanto le regole, in tutti gli ambiti, non le ho vissu-te come imposizione, ma come stimolo alla ragione-volezza, all’onestà, acqui-sendo il vero senso della libertà e della solidarietà, caratteristiche importanti nella vita. In una società competitiva, come quella attuale, spesso assistiamo ad episodi di prevaricazio-ni, mancato rispetto delle cose e delle persone; lo sport, nella fase giovanile, rappresenta un momen-to in cui maggiormente si può indirizzare i ragazzi a comportamenti di rispetto, educazione e sana cresci-ta. Ciò che io ho acquisito nella mia esperienza sale-siana cerco di trasmetterlo ai ragazzi della scuola cal-cio locale con la speranza che possa essere utile alla loro formazione.

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nsiemeIC 23 la voce della storiala voce della storia

un documento custodito nel nostro archivio par-rocchiale ci tramanda

che verso il 1650 viene istituita a Sondalo una scuola sovven-zionata con denaro e rendite dal nobile Gioan Pietro Bassanini e sostenuta dal console e dal de-cano della Comunità. Aveva per insegnante un sacerdote che, oltre a svolgere le attività pasto-rali, doveva insegnare le nozio-ni di base fino alla retorica. Tale situazione si esaurì tuttavia nel tempo. Fino ai primi decenni dell’Ot-tocento, la Valtellina non ebbe grandi vie di comunicazione. La vecchia via Valeriana, che at-

traversava la valle, era poco più che una mulattiera, pericolosa per le frane e le esondazioni dell’Adda e percorsa per più di mille anni solo a piedi o a caval-lo. Le merci si portavano a soma o a spalla, solo per brevi tratti era possibile il trasporto con carretti. Tuttavia, la difficoltà dei percorsi non comportò isolamento cul-turale come gli studi più recenti hanno dimostrato. Non a caso i più grandi artisti delle varie epo-che contribuirono a realizzare molti tra i grandi monumenti delle nostre valli. Il dominio austriaco (1815-1859) trasformò la valle grazie alla creazione del collegamento

via terra Lecco-Colico, alla co-struzione della strada carrozza-bile fino a Bormio, di quella dello Spluga (1818-1821), di quella dello Stelvio (1820-1825) e in-fine di quella dell’Aprica (1855). Inoltre l’Austria estese alla Val-tellina l’istruzione scolastica obbligatoria per i fanciulli dai 6 ai 12 anni, già vigente nel resto dell’Impero Asburgico. Nel 1861 subentrò all’Austria il governo del Regno d’Italia che applicò la propria legisla-zione scolastica (legge Casati). Generalmente si avevano cin-que classi affidate ad un solo maestro per poter provvedere all’istruzione di tutti i fanciulli dai 6 ai 14 anni residenti nelle con-trade isolate, disagiate e sprov-viste di strade. La gestione delle scuole era affidata ai Comuni che per la loro povertà avevano difficoltà ad aprire e mantenere scuole e attrezzature. Le aule

erano “štùe” prese in affitto, come a Taronno e a Mondadiz-za in cui le lezioni si svolgevano rispettivamente presso le “štùa” dei Fincīn e presso una “štùa” alla chiesa della Madonna della Biorca. A Migiondo, Somma-cologna e Montefeleito si svol-gevano invece nella “casa della vicinanza”. A Montefeleito, i bambini del Melēr dovevano scendere fino a Roncāl, sede della scuola, e quando nevicava molto un fa-miliare apriva la strada attac-cando a una slitta un carico pesante per aprire una traccia nella neve e consentire loro di arrivare a scuola. Ogni alunno portava un pezzo di legno per accendere la stufa. A Sondalo centro, il palazzo scolastico, costruito nel 1871 nell’attuale Piazza della Repubblica, ospita-va monoclassi distinte in sezioni maschili e femminili. Molta im-

A šcöla se ingeva col sachét e coi ciupéi

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nsiemeIC 25 la voce della storiala voce della storia

portanza veniva data alla forma-zione religiosa e morale. Si im-parava la “criènza” che vuol dire: educazione, rispetto, cortesia e buone maniere. Maria nel tema “I miei desideri” scrive: “sono tanti i miei desideri che dovrei scrivere un mese per citarli tutti. Io ardo dal desiderio di vedere i miei [familiari] come il giorno della partenza per l’America e che la mia mamma campi lieta e ridente e che vengano ricom-pensati di tante fatiche tutti i maestri e specie la mia mamma. Vorrei vivere a lungo. Io voglio crescere grata, educata, istruita e laboriosa perché queste virtù camminando di pari passo, sono fonti inesauribili di ricchezza, non solo, ma procurano felicità, sanità e stima” V elementare, maggio 1910. Si finiva la scuola a 13/14 anni perché la frequenza scolastica non sempre era continuativa: i ragazzi dovevano aiutare in campagna, accudire gli anima-li, curare i fratellini e svolgere le faccende domestiche. Pochis-simi avevano la possibilità di continuare gli studi. Questa situazione rimane im-mutata fino ai primi decenni del 1900. Scrive Evelina: “Io quest’anno non intendo dare gli esami perché ho appena 12 anni e poi credo che la sesta classe non ci sarà l’anno venturo e allora è meglio ripetere ancora la quinta e così sarò più franca nelle cose che riguardano la scuola. Mi rincresce lasciare la

mia buona maestra che mi ha insegnato tante cose utili che mi abbisognano nella vita” V ele-mentare giugno 1928. Dentro il “sachét de šcöla” si portavano pochi quaderni con le carte assorbenti, il libro di lettu-ra, il sussidiario e un astuccio di legno con il coperchio scorrevo-le dove si mettevano una matita, un portapenne col pennino da intingere nell’inchiostro e una gomma. Il “sachét de šcöla” aveva la funzione di cartella e veniva confezionato in casa. Era un sacchetto rettangolare di tela blu, sostenuto da due asticelle “spadoléta” di legno bucate ai lati, dove scorreva una doppia fettuccia per reggerlo a tracol-la. A me avevano comprato, a Sondrio, una cartella di carto-

ne. Molti ragazzi per andare a scuola calzavano gli zoccoli (“ciupéi”). Io ne avevo un paio con i cinturini da allacciare alla caviglia. Un giorno nell’andare a scuola mi è capitato di sentire una donna che diceva: “I ghà na fiòla sòla e i la mènda a šcöla con su i ciupéi” (hanno una fi-glia sola e la mandano a scuola con gli zoccoli). Ci rimasi male perché i miei zoccoletti erano davvero molto belli. Allora per le scale della scuo-la si sentiva un gran “ciupélar” (rumore prodotto dagli zocco-li). Il maestro ricopriva un ruolo fondamentale sia per l’istruzione che per l’educazione dei fanciul-li: era un punto di riferimento e di fiducia.

Leandra Pozzi

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nsiemeIC 27il raccontoil racconto

… Erano quatto anni che non vedevo mio fratello e, forse, non lo avrei ritrovato se non fosse avvenuto un fatto straor-dinario che vi racconto. Io e Francesco eravamo due dei nove fratelli Gianoli di Son-dalo: Francesco, del 1920, era soldato di leva degli Alpini nella Tridentina 5E Battaglion Tirano. Aveva partecipato alla campa-gna di Russia uscendo inden-ne dalla sacca di Nikolajewka e si era unito alle folle disperate di soldati sbandati che, vestiti da russi, percorrevano, sotto i bombardamenti, lunghi tratti a piedi in continua fuga fino a quando riuscirono a salire su un convoglio ferroviario che portava i soldati in Polonia a lavorare nei lager lasciati liberi dai Tedeschi, dopo lo sterminio

degli Ebrei. Quel famoso convoglio, dopo lo smistamento, venne spezzato in due: una parte si fermò a Torùn e l’altra, quella di Francesco, proseguì fino a Bromberg (in polacco Bydgoszcz) sempre in Po-lonia.Io, Carlo, sono del 1925 e fino a sedici anni ho fatto il “bocia” presso ditte del paese impegnate alla costruzione del Villaggio, poi mi sono lasciato lusinga-re dal richiamo dei manifesti affissi sui muri di Sondalo che dicevano “Vieni in Marina, imparerai un mestiere, divente-rai un uomo”. L’idea che mi attraeva di più era quella di poter girare il mondo e così mi sono arruolato. Mi sono trasfe-rito a Forte dei Marmi e sono diventato marconista, radiotelegrafista addetto alle telecomunicazioni: era un incarico

importante poiché stavo a fianco del co-mandante e, attraverso l’alfabeto morse e alfabeti segreti, mantenevo i contatti con il Ministero della Marina e con le altre navi. Alla fine del corso, su duecento, ero arrivato terzo e quindi potevo scegliere la destinazione: scelsi Venezia una città che mi affascinava: ma col senno del poi, se avessi saputo cosa succedeva dopo l’Armistizio dell’8 settembre, la scelta di Napoli o di un porto sardo certamente sarebbe stata migliore. Il fatidico 8 settembre 1943 doveva rap-presentare la libertà e la fine della guerra; ma da quel momento invece, per me e per altri soldati in servizio a Venezia Por-to, è stato l’inizio della sventura più orren-da. Ci fu un rastrellamento dei Tedeschi proprio al mio Centro Radio e tutti fummo caricati su un treno merci diretto in Po-lonia. Il viaggio fu massacrante: stipati sui vagoni merci e trattati come bestie: tutti in piedi. Ad un certo punto, io venni fatto scendere, abbigliato da prigioniero e tatuato; ho passato venti mesi sotto i Tedeschi lavorando in una cava di sabbia e quindi in una fonderia dell’acciaio dove l’aria era malsana. Lì in quel campo lavo-rava anche un alpino di Bormio, un certo Canclini detto “Ninello”. Noi prigionieri, indipendentemente dallo stato di salute individuale, dovevamo sgobbare. I lager erano stati precedentemente usati per gli Ebrei: ora servivano come alloggi per noi soldati. Erano luoghi infetti, senza servizi igienici … Per i bisogni si andava in un luo-go un po’ appartato dove c’era un buco, … l’acqua scarseggiava o meglio c’era una “pìscia de acqua” unica per tutto il campo. un mio compagno di baracca, che dormiva nel letto a castello proprio

la guerra divide sempre… o quasi!

Due fratelli, un Alpino e un Marinaio, prigionieri entrambi in Polonia nel 1943 si incontrano...

Ho incontrato Carlo Gianoli che mi ha accolto più volte

in casa sua, in modo molto cordiale, per raccontarmi la

sua incredibile, indimenticabile e fortunata esperienza

durante la Seconda Guerra Mondiale.

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nsiemeIC 29il raccontoil racconto

sopra di me, venne trasferito per lavoro in una cittadina ad un centinaio di chilome-tri di distanza, ai confini dell’ucraina, per circa un mese. Al suo ritorno mi raccontò che, durante il solito appello quotidiano, in quel campo, aveva sentito nominare un certo Francesco con il mio stesso cogno-me. Si era quindi avvicinato al prigioniero chiedendogli: “Tu hai per caso un fratello marinaio che si chiama Carlo?” Francesco rispose immediatamente: “Veramente sì! Ma perché mi chiedi questo?”. “Tuo fratel-lo è prigioniero come te, ma a circa cento chilometri da qui; tra una settimana dovrei tornare in quel campo così gli porterò la notizia del nostro incontro”. La notizia mi venne riportata appena possibile, ma ero un po’ scettico. Pensa e ripensa, scattò in me la molla che mi fece pensare: “Carlo, devi darti da fare, cercare e trovare tuo fratello!”. E così feci. una notte, complice

il buio e d’accordo con i miei compagni di baracca, saltai la rete e fuggii dal campo. Mi diressi verso la stazione di Bydgoszcz, da dove lo sapevo bene perché lì era stato dimezzato il treno partito dall’Italia, partiva uno “zug” merci per Torùn. Giunto a desti-nazione con cautela, senza dare sospetti, chiesi indicazioni per giungere al campo e, sempre “de šfròsc”, dopo circa due o tre ore di cammino per fare cinque chilo-metri, riuscii ad arrivare al lager: purtrop-po avevo la febbre altissima, ma il morale era al massimo. Arrivato al famoso lager, riuscii ad entrare e cominciai a chiedere nella prima baracca (ogni baracca aveva circa venti posti e le baracche erano 15); purtroppo lì Francesco non c’era. Così la seconda e la terza; invece alla quarta i compagni mi dissero che sì, lì c’era un Gianoli Francesco, ma al momento era fuori a lavorare fino a sera. Comunicai loro che ero suo fratello e immediatamente i compagni mi fecero accomodare in attesa del suo arrivo. La notizia, in un lampo, fece il giro del campo di quel piccolo mondo e quando, verso sera, Francesco rientrò dai campi lascio immaginare a voi la grande commozione del nostro incontro: i senti-menti provati li conservo nel mio cuore e ricordo ancora bene i canti e i balli di condivisione dell’incontro da parte dei compagni di quel campo! Dopo la visi-ta a Francesco stavo sempre più male, fui catturato e portato al Pronto soccorso russo su una “calàstra del càr”. Francesco venne a trovarmi a piedi; lui era stato sul fronte russo e sapeva la lingua così poteva chiedere alle infermiere che mi curava-no informazioni sulla mia salute: “Come štàsc?” “Miga màl, vègn amò a troàrme!” Di lì a poco anche lui si ammalò di tifo per-

ché il lager era ormai tutto infetto. Mi piace ricordare che i Russi erano molto com-prensivi, ci stavano vicini sia fuori, sia den-tro l’ospedale, soprattutto una dottoressa russa fece di tutto affinché noi due fratelli potessimo vederci anche solo attraverso un vetro: stavo male pensavo di morire. un giorno ho consegnato a Francesco il mio portafoglio perché credevo proprio di non farcela! Avevo paura di morire. Poi i Russi ci liberarono e io scappai alla volta di Danzica.Sulle colline della città di Danzica, in un posto panoramico che dominava il porto, con un piccolo gruppo di compagni di sventura mi fermai a lavorare scavando trincee per un pezzo di pane. In continua-zione gli aerei tedeschi passavano sulle nostre teste e i bengala “li caramèli”, di notte, illuminavano a giorno il porto. Qui vissi un episodio che mi toccò profonda-mente. Mi trovavo ancora con un compa-gno prigioniero come me e, scendendo dalla collina, tro-vammo una grotta adibita a riparo per attrezzi agricoli; lì ci rifugiammo per la notte. Eravamo allo sbando! Fioccava-no proiettili da tutte le parti. La mattina all’alba mi decisi a mettere fuori la te-sta dalla grotta per spiare se la via fos-se libera. Purtroppo vidi un carro armato russo fermo proprio davanti a noi. I Rus-si stavano avanzan-

do: tutti timorosi uscimmo mani in alto: i russi fecero cenno di avvicinarci, gli mo-strammo il numero tatuato … e l’ufficiale russo, comandante del carro armato, ci offrì del cibo: pane, pancetta e un po’ di lardo. Dopo averci rifocillati, ci consi-gliò di tornare nella grotta che avevamo lasciato perché eravamo in prima linea e potevano fioccare pallottole in men che non si dica. Mi regalò una piccola fisarmonica su cui mi scrisse una dedi-ca. Subito dopo si udirono sibili, scoppi, raffiche di proiettili. Io e il mio compagno non facemmo in tempo a raggiungere la grotta, ci buttammo quindi in una piccola fossa-uomo lì vicina mentre le pallotto-le ci fischiavano all’intorno. Purtroppo la mia fisarmonica rimase distrutta. Mi spiacque moltissimo perché quello era il ricordo dell’ufficiale che ci aveva accolto e rifocillato. Ma almeno, noi ci salvammo ancora una volta!. Ripartimmo a piedi; ad un tratto si fermò un furgoncino che

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nsiemeIC 31il raccontoil racconto

veniva usato per trasferire i soldati infetti dai lager agli ospedali: “i m’à cargā su!” Fummo portati in una baracca, visitati da un medico e curati: eravamo com-pletamente disidratati. Ricordo che mi infilarono in una gamba “na gùgia per far i scàlfīn” e mi fecero una flebo di 5/6 litri di liquido; la coscia “la s’era sgiònfàda”, ma dopo poche ore “l’era tùt a pošt” e “al dì dopo, amò al štés mistér in de l’altro galōn!” La febbre, che era intorno ai 42°, a poco poco scese: stavo molto meglio.

Finalmente ci fecero salire sul convo-glio che raggiungeva il confine dell’Italia a san Valentino, in Austria. Lì, dopo la quarantena attraversammo il Brennero e raggiungemmo Pescantina in provincia di Verona dove i militari italiani venivano registrati sulla scheda rimpatrio e veniva loro data la somma di 2.500 lire. Io e Francesco eravamo di nuovo insie-me, questa volta sulla via di casa.Giunti alla stazione di Milano, discuteva-mo sul binario da prendere per Tirano; mio fratello si accorse degli sguardi in-sistenti di un tizio che pensava forse! di averci riconosciuti. È indispettito. Lui non lo conosceva, ma l’uomo ci chiese: “Siete i fratelli Gianoli?” “Certo, ma tì ch’ésc??” “Son l’omén de la vòsa sorela, fò al cöch a la Valesàna, sònt de Novara”. L’uomo si presentò: era il cognato piemontese che non conoscevamo ancora, ma che duran-te la guerra aveva sposato nostra sorella Emma del 1917. Era venuto a conoscenza che arrivava un treno dalla Polonia; era in zona e quindi aveva provato a cercarci. Ci portò a casa sua; “àn pareva dòi pitòch, ma àn s’èra vīf e àn s’èra insém”; anche nostra sorella faticò a riconoscerci. Dopo

esserci rifocillati e riposati, il giorno dopo, a novembre del 1945 io e Francesco ritor-nammo a Sondalo.La guerra è sempre una grande calamità per le popolazioni che la vivono, ma devo dire che a me ha insegnato molto dal pun-to di vista umano. Infatti ho vissuto, tra i tanti, alcuni episodi veramente toccanti che mi hanno segnato per tutta la vita e che non ho mai scordato. Mi hanno fatto capire che le guerre sono volute e decise a tavolino da chi ci governa, ma quelli che poi ci vanno di mezzo sono sempre i soliti, cioè i civili e le povere popolazioni che non hanno mezzi per difendersi, ma che non perdono la loro umanità.

Ricordi di guerra un primo ricordo riguarda il periodo tra-scorso nel campo di concentramento. I prigionieri venivano mandati fuori dal campo a lavorare in varie attività. Io venni utilizzato in una cava di sabbia. Faceva un gran freddo, dieci gradi sotto zero, gelavano le mani e i piedi, anche perché eravamo poco vestiti!Io era giovanissimo, 18-19 anni, ero mi-nuto e dimostravo molto meno della mia età. Forse fu per questo che di me si pre-se cura un certo signor Max Schroeder, il responsabile della cava che si impietosì di quel “pòr maiōn” e mi mise a lavora-re (si fa per dire) nella sua baracca. Lì c’era una stufetta che ci riscaldava un po’. Dovevo solo segnare le presenze di noi prigionieri ed era un’occupazione leg-gera rispetto alla precedente, cioè cavar sabbia e trasportarla. Così capii che si era affezionato a me. Esaurito il lavoro nella cava fui mandato in una fonderia

dove il lavoro era particolarmente duro e malsano. Anche qui Max Schroeder intervenne in mio favore e mi spostò in una baracca dove il mio compito con-sisteva nel marchiare, con una specie di timbro, le varie colate dei metalli. un giorno, facendo finta, con i suoi superiori, di aver bisogno di dare una sistemata all’orto-giardino di casa sua, prese me ed un mio compagno e ci portò a casa per

darci da mangiare … la fame era tanta! In quell’occasione rischiò molto, perché poteva essere accusato di dare ospitalità al nemico. Rimpiango molto di non averlo cercato dopo la guerra per ringraziarlo della sua umanità. Forse vedeva in me un figlio impegnato anch’egli al fronte.

un altro ricordo indimenticabile si riferi-sce alla ritirata verso Danzica. Il freddo e la fame erano terribili; da un bel po’ non toccavamo cibo e, quando io e il mio compagno di fuga ci imbattemmo in una specie di “casera” abbandonata dalla ritirata dei civili, ci addentrammo immediatamente in cerca di cibo. Non ci parve vero di trovare un gran secchio con della panna ancora fresca, forse lasciata lì per la fretta della popolazione di scap-pare e mettersi in salvo. Eravamo anche al riparo! Io bevvi con gran foga due o tre mestoli di quella panna che mi parve la più buona del mondo, anche perché avevo scordato il sapore del latte e de-rivati! Per due anni solo zuppe di rape, poche patate e una fetta di pane nero al giorno! Non appena rifocillati proseguim-mo il cammino. Faceva un freddo terribile e la panna, a stomaco vuoto da giorni, cominciò a fare il suo effetto lassativo… lascio a voi immaginare il seguito…!!!

E qui alla fine del mio racconto, il mio pensiero va a tutti quelli che dalla guerra non fecero mai più ritorno!

Testo raccolto da Angela Castelli

Nel 2011 a Carlo Gianoli è stata as-segnata l’“ONOREFICENZA CON ME-DAGLIA D’ONORE AI DEPORTATI NEI LAGER NAZISTI” GUERRA 1940/1945.

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nsiemeIC 33 ContributiContributi

la famiglia: valore prezioso per la società

In questi ultimi anni, avvertiamo il mutare progressivo della società, soprattut-to il ruolo della famiglia che da forma patriarcale è ridotta ad un nucleo più ristretto di componenti. Il numero elevato di separazioni ha contribuito ad un

“impoverimento” del suo ruolo e del suo valore. Per una famiglia diventa sempre più difficile stare al passo con i tempi in una società che muta e corre troppo in fretta; contribuiscono i costi sempre più elevati per crescere un figlio, la paura di perdere il lavoro, la mancanza di posti occupazionali nel futuro dei giovani, i ritmi spesso caotici che riduco il tempo di dialogo con i figli e, infine, l’egoismo e la voglia di libertà nel coltivare i propri hobbies. un tempo il ruolo delle mogli era quello di accudire e crescere la prole, governare la casa … erano i mariti e i figli maschi adulti che lavoravano e quindi pensavano al sostentamento della famiglia. Negli anni ’60 con l’avvento del boom economico anche le donne e le mogli si sono emancipate e hanno intrapreso la vita lavorativa fuori dalle mura domestiche, negli uffici, nelle fabbriche, nelle scuole ecc. rendendosi così libere economicamente dai loro mariti. Se da un lato per le donne il lavoro era stata una conquista, dall’altro era anche una fatica conciliare i ritmi e gli impegni con i figli, la casa e il coniuge. In quel periodo, tante donne si sono sacrificate per tenere insieme una famiglia. Vittorino Andreoli nel suo libro dal titolo “Lettera alla tua famiglia” la descrive: “ …come un trio per archi o un quartetto, un ensamble musicale, in cui il violino, la viola da gamba e il violoncello hanno ciascuno capacità tonali e melodiche proprie, ma la sonata emerge dall’insieme di tutti gli strumenti.”… “Il gruppo non sarà mai pienamente realizzato se uno dei suoi membri non è attivo e concorde”. La vita di una famiglia è star bene insieme e affrontare le gioie, i dolori e le avversità che si presentano sempre insieme e a volte con spirito di sacrificio. Se si diventa genitori, occorre poi dedicare tutta la propria vita per i figli. Dopo anni di buio, incertezze, crisi dei valori, ci auguriamo che le nuove generazioni riscoprano e affrontino con impegno il ruolo della famiglia come valore prezioso per la società.

Culto o cura di sé ?di Lorenzo Partesana

Oggi viviamo un periodo di crisi economica, materiale, ma soprattutto spirituale e morale. Siamo disposti a rischiare per salvare cose materiali, per avere ricchezze e onori … ma non per salvare l’anima, per volere la

volontà di Dio. Tenere in forma il corpo, frequentare palestre, centri benessere, fare fitness, tenersi giovani, seguire una certa dieta, ecc. … Tutto questo ha assunto troppa importanza. La cura del corpo, necessaria in giusta misura, è diventata culto di sé, nuovo idolo. L’uomo di oggi trascorre gran parte del suo tempo a pensare a se stesso, a come si sente, a quello di cui ha bisogno e a come fare per procurarselo. Vuole autorealizzarsi, sgomita per passare avanti agli altri, senza scrupoli di coscien-za, per essere felice a tutti i costi! Seguire il culto di sé ha effetti disastrosi: la felicità ci sfugge di continuo lasciandoci insoddisfatti. Le malattie, gli incidenti, le delusioni, la vecchiaia … ci mandano in “tilt”; nella nostra vita cala la tristezza, cediamo alla depressione e pensiamo, in casi estremi, al suicidio. Abbiamo sostituito i comandamenti della religione alle affermazioni: “Devi essere libero e felice”, “Ti devi realizzare”, “Devi sentirti soddisfatto”, “Devi avere succes-so, denaro e potere”. Nel Vangelo, però, “potere” vuol dire “servizio, libertà,”… svuotare l’ego per lasciare posto a Dio; “successo”, è essere accanto agli ultimi e lontano dalle luci dei riflettori. In ogni istante dell’esistenza siamo chiamati a scegliere tra Dio e il nostro “io”: tra l’interesse individuale e il vero bene. Siamo ormai incapaci di uscire fuori dal proprio “io” e costruire autentiche relazioni di amicizia e di amore; ci mancano le risorse sufficienti per impegni che ci richie-dono sforzo e spirito di abnegazione anche per perseguire uno scopo di lunga durata. È necessario, quindi, prendere le distanze dalla cultura del narcisismo. La cura di sé è occuparsi del bene, della verità, di amicizie, di amore; è atten-zione costante a quanto accade dentro e attorno a noi, attenzione nell’ascolto, nell’osservazione, … di pazienza e di amore. La cura della propria anima è di particolare importanza per la nostra vita; è un’ attività che non si conclude mai e coincide con la vita stessa dell’uomo e, per renderla migliore, ci si può dedi-care alla religione, alla spiritualità e alla filosofia. C’è da occuparsi della propria anima per tutta la vita!

In previsione dei sinodi che Papa Francesco

ha programmato per il 2014/2015 sul tema

“Le sfide pastorali delle famiglie nel contesto

dell’evangelizzazione” ospitiamo il contributo di

adelina della Bosca sul tema “famiglia”.

“Il grande peccato, fonte di

tutti gli altri, è l’idolatria” Thomas Merton

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nsiemeIC 35 l’incontrol’incontro

“possiamo farcela”

Quando mi è stato affidato l’altissimo compito di consegnare alla stampa l’inter-vento del Prof. Mozzanica sul complesso tema dell’educazione dei giovani, ho avvertito l’onere di una responsabilità faticosa da portare: cercherò, tuttavia,

di restituire – quanto più fedelmente – il senso intimo e profondo delle parole con cui il Professore si è espresso, augurandomi, in questo, di non tradirne il pensiero.

una domanda ha introdotto la serata: educare si può o si deve? Credo che ognuno dei presenti abbia in coscienza pensato che si deve, ma il Prof. ha sottolineato mag-giormente la possibilità dell’agire educativo dei genitori e di tutte quelle agenzie formative che hanno in carico, ogni giorno, la crescita dei nostri fanciulli: la scuola, i luoghi di aggregazione, le società sportive, l’oratorio, ciascuno secondo propri mezzi e valori; nessuno, insomma, può sottrarsi al dovere di cooperare nella forma-zione del giovane e nella costruzione del suo futuro. Tutti allora dobbiamo riflettere sul servizio che rendiamo ai ragazzi e restituire al termine educazione la pregnanza che gli è propria, se non vogliamo diluirlo nella retorica con cui, talvolta, si affronta il discorso educativo: in tal senso, l’etimologia soccorre il ragionamento e apre una via di riflessione.Educare: voce del verbo generare

Con questa disequazione grammaticale (giacché il grammatico userebbe l’equazio-ne educare: voce del verbo educare), il Professore ha inteso valorizzare il rapporto inscindibile che si consuma tra il genitore (colui che genera) e l’educatore (colui che educa) e ha sottolineato il ruolo insostituibile della famiglia nell’esercizio dell’interven-to educativo, naturalmente affiancata dalla scuola e dalle altre istituzioni formative. Educare in latino significa far uscire (e-duco), condurre fuori quel che è dentro, un significato visibilmente accostabile al significato del termine generare, cioè fare uscire alla vita. Generare ed educare, quindi, sono azioni che devono tener conto di un grande compito, quello di occuparsi della crescita biologica e fisica, da un lato, spirituale e morale, dall’altro lato. Binari paralleli, certo, ma talvolta intersecanti, come quando l’agire educativo incontra la dimensione della corporeità e dei suoi bisogni, le richieste cioè di un corpo che cresce e che matura lentamente fra il sereno e la tempesta; educare è l’arte del coltivare, secondo una bella metafora agricola che

noi, eredi di una lunga tradizione rurale, siamo in grado di apprezzare e ben com-prendere: come per la cura della terra è necessario che vi siano un buon terreno, un buon agricoltore e delle buone sementi, così per la cura del giovane deve esserci un ambiente favorevole (terreno), un buon maestro (agricoltore) e dei buoni precetti e insegnamenti (sementi). E come il buon agricoltore usa perizia e pazienza, così il buon educatore sa che per far “fiorire” il soggetto umano è necessario saper attende-re, spesso anche lungamente, il frutto del suo mestiere. Il giovane che cresce è una miscela esplosiva di sentimenti conflittuali, di trasgressione e di timori, di entusiasmo e di sofferenze, celate o gridate, di silenzi e di frastuoni, di passioni e di apatie, di desideri e di rifiuti che l’adulto fatica a decifrare: da qui scaturisce quell’ostacolo co-municativo che spesso interdice il dialogo e produce il conflitto; il buon educatore è colui che si mette in attesa e in ascolto perché sa che il caos che si agita nel corpo e nell’anima del giovane è destinato a passare. Agire, qualche volta, significa anche stare fermi, aspettare in silenzio, ascoltare senza parlare. Il Professore insiste sul tempo e sulla dimensione del silenzio: in un mondo così vorticosamente assordato da voci, parole, lezioni, consigli, opinioni, talvolta ci si dimentica di ascoltare il debole sibilo del silenzio. L’adolescente, infatti, ci parla anche se tace; il corpo, il volto, gli occhi, lo sguardo trasmettono segnali che non è facile de-codificare se non prestiamo attenzione all’aspetto non verbale della comunicazione. Toccante, al proposito, mi è parsa la citazione del don Burgio1, cappellano del Cesare Beccaria, istituto penale minorile di Milano, dove i giovani rapiti dall’alcool, dalle dro-ghe e dal crimine scontano la pena del loro agire e delle loro scelte di vita. Partendo dal presupposto che la cattiveria non è un attributo ontologico – da qui il titolo del suo libro – ma una maschera che giovani fragili e disagiati indossano inconsapevol-mente per recitare una parte, il Don Burgio ritiene che questi ragazzi scelgono la via del male perché spesso sono lasciati soli dagli adulti, o perché gli adulti non hanno saputo ascoltare i messaggi che il loro corpo lanciava. uno di questi – come raccon-ta il sacerdote nel suo libro - dal carcere scrive una lettera alla madre, invocandola come l’unica vera fonte di luce e calore in una cella buia e gelida e le ricorda di come a tavola, a cena, i loro occhi non si incontravano nemmeno più! Le parole dei genitori scorrevano a fiumi, i rimproveri, le punizioni, i tanti “ci hai deluso” piovevano sulle serate del giovane attanagliato dalla cattiva compagnia della “roba”; liti, scontri, incomprensioni e interrogativi “perché?, dove abbiamo sbagliato?”, ma i loro occhi guardavano in direzioni diverse. Ecco, allora, l’importanza dell’ascolto e del silenzio: occorre anche fermarsi e riflettere sul fatto che spesso parliamo troppo. Il rapporto tra la madre e il figlio si sostanzia anche nell’incontro di uno sguardo e non serve la parola a definirlo: quel ragazzo aveva capito che stava perdendo i genitori nel momento in cui i suoi occhi non erano più capaci di riflettersi negli occhi di mamma e papà. Emblema di questo dialogo nel silenzio è la Pietà Vaticana di Michelangelo,

1 Burgio C., Non esistono ragazzi cattivi, Ed. Paoline, 2010.

L’educazione dei giovani nelle parole

del professor Mario Mozzanica

Oratorio di Sondalo, 19 febbraio 2014

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nsiemeIC 37 l’incontrol’incontro

gruppo marmoreo che esprime la struggente relazione tra la Madre e il Figlio: Maria sostiene il Corpo e lo riceve nuovamente su quel grembo che lo aveva ospitato; Gesù giace esanime, contenuto dall’abbraccio materno, in una carica emotiva inten-sa che lascia spazio solo al dolore; i soggetti del gruppo sembrano fon-

dersi in un momento di straziante intimità che solo la natura materna può provare.Gli spunti di riflessione offerti dal Professore sono tanti e tutti egual-mente preziosi, ma le esigenze editoriali e la pazienza di chi deve leggere (della quale non vorrei abusare) mi impongono di concludere questa relazione, non senza tuttavia dare un cen-no al tema dell’accompagna-mento nell’educazione e a quel-lo intrinsecamente connesso dell’educazione al desiderio.Mozzanica ha evidenziato più

volte, nel corso del suo interven-to, la necessità che l’adulto educatore accompagni e prenda per

mano il giovane educando, lasciandogli però anche lo spazio di una certa autonomia e responsabilità: il cammino di crescita va percorso insieme fino ad un certo punto, poi la mano si stacca e il giovane deve proseguire da solo, incontrando il bivio tra il bene e il male, il muro dei pericoli, la tortuosità e la salita delle difficoltà della vita, allorché deve scegliere e provare. Il giovane può anche sbagliare, non importa – sostiene il Professore – perché dall’errore si cresce e si impara. Mi viene in mente la figura del pedagogo dell’antica città di Atene dove i genitori affidavano il figlio al servo (peda-gogo, in greco significa colui che conduce il bambino), perché lo accompagnasse a scuola e ne seguisse la crescita e la formazione culturale. E mi viene in mente Dante, quando attraversa il regno delle fiamme guidato da Virgilio (mia guida, mio signore e mio maestro) e alla fine dell’imbuto infernale, quando Dante deve risalire il Monte del Purgatorio, Virgilio lo abbandona. L’educatore, dunque, è consapevole che il suo affiancamento al giovane ha un ter-mine e sarà compiuto solo quando lo avrà educato al desiderio: chi è soddisfatto di

tutto, non sa cosa cercare e non assapora con gusto le tappe dell’attesa, non è più indotto a desiderare perché non prova più il bisogno di avere qualcosa. Come altre volte, il Professore ha chiarito il senso delle parole desiderio e bisogno avvaloran-dole con il ricorso all’etimologia e alla metafora: il bisogno è la richiesta di un bene più o meno fondamentale alla vita, mentre il desiderio è l’abbellimento artistico di quel bisogno; l’uomo, per fare una vita dignitosa ha bisogno di un riparo (casa), di una veste (abbigliamento) nonché di cibo (alimentazione): il desiderio è il bisogno di questi beni, ma ricamati e vestiti dall’arte e dalla bellezza estetica, vale a dire che l’uomo ha bisogno della casa, ma l’architettura gli soddisfa il desiderio di una bella casa, ha bisogno della veste, ma la moda gli soddisfa il desiderio di una bella veste e, infine, ha bisogno del cibo, ma l’arte culinaria gli soddisfa il desiderio del palato. uscendo dalla metafora, il giovane educando spesso ha già avuto la soddisfazione dei bisogni primari e dei desideri, non avendo ormai più nessun sogno per correre. Desiderio deriva dal latino de-sideris, cioè qualcosa che viene dalle stelle, faticoso da raggiungere, sospirato ed anelato come il desiderio, appunto, che si esprime guar-dando la volta celeste nella notte di San Lorenzo. Il senso ultimo di questo pensiero è:

Lasciamo ai giovani il bisogno di desiderare ancora qualcosa guardando le stelle.A.P.

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nsiemeIC 39 MissioniMissioni

In questo numero vi voglio presentare la figura di un altro ragazzo in gamba, di uno che la stoffa ce l’aveva davvero,

di un giovane santo: Rolando Maria Rivi, italiano doc, nato il 7 gennaio 1931 a San Valentino Comune di Castellarano, in pro-vincia di Reggio Emilia. Rolando è un ragazzo vivacissimo, tanto vivace che di lui si diceva: “Sarà o ma-scalzone o Santo!”. Mascalzone non lo sarà mai, ma Santo…sì. La sua è una famiglia semplice, ancorata ad una fede viva e vissuta con amore per Gesù nel Sa-cramento dell’Eucarestia ed alla preghie-ra del S. Rosario. Con gi oia il piccolo Ro-lando vive la sua fede e la fa crescere in un ambiente familiare sereno, comunque non privo di fatiche e tribolazioni, come la vita di tanti nostri nonni in quegli anni. Si innamora della S. Messa e nel guardare il sacerdote, suo amico, che celebra (è

chierichetto a soli 5 anni) dirà al padre che “lo vede toccare il cielo”. Nasce in lui il desiderio di essere prete. Con gli amici è trascinatore, nel bene, non nelle stupidate, invoglia i coetanei alla parteci-pazione alla Messa ed all’amore sempre più forte a Gesù Eucaristia. E sì, questo è il segreto di Rolando: l’ amore per Gesù in una fede viva, gioiosa e sempre più convinta. Ad undici anni, dopo aver ter-minato la quinta elementare, il suo de-siderio diventa concreto e assecondato dai suoi genitori (la fede di una roccia è anche quella del padre Roberto), entra nel seminario di Marola per cominciare il cammino di studi e di preparazione. È un abile calciatore, ama la musica (era già un provetto organista nella sua parroc-chia con accanto il padre cantore nella corale), sente il suo amico Gesù sempre più vicino, ama i poveri e respira nella sua anima gli orizzonti aperti e liberi della missione a tutti. Dirà: “La carità non rende povero nessuno. Ogni povero per me è Gesù” e “ Quando sarò prete partirò come missionario a portare Gesù a quelli che non lo conoscono”. I suoi compagni di seminario si lasciano contagiare dal suo carisma; il suo parlare infonde speranza ed incoraggia ad amare con fede sem-pre più forte il Signore. Tutto procede per il meglio, ed anche la seconda guerra mondiale, con i suoi milioni di morti sem-bra aver esaurito la sua sete di sangue. Siamo nell’anno 1944.

Ma come sappiamo l’odio, la violenza cie-ca, la ragione che si imbratta di ideologia ed il male non finiscono mai. Il seminario dove studia Rolando viene occupato dai Tedeschi e tutti i seminaristi vengono ri-mandati a casa. Per i preti, ma anche per tanti cattolici, un nuovo nemico è nell’aria e come nube cupa invade i paesi, i rioni e le case di uomini e donne prima fratelli ed ora nemici. I preti e religiosi, soprattutto, sono nel mirino di frange estreme di partigiani comunisti che in queste zone – il triangolo della morte – come così venne battezzata la zona tra Bologna, Modena e Reggio Emilia, non esitano ad uccidere. In questo periodo ed anche dopo il 25 aprile 1945, 93 tra sa-cerdoti e religiosi verranno barbaramente uccisi. Rolando ha 13 anni e anche a casa vive con dedizione la sua scelta di voler essere prete. Studia, aiuta i suoi genitori, non manca alla messa giornaliera con tutta la sua famiglia e veste con orgoglio la talare (il vestito del prete nero di una volta n.d.r.). È evidente il suo voler essere prete, e que-sto può essere un pericolo per lui. Il padre, ma anche tanti amici lo pregano di toglier-la (lui non è ancora prete!) per non dare nell’occhio, per evitare di essere notato. A questo proposito lui dirà: “Questa veste è il segno che io sono di Gesù” e con questo metteva tutti d’accordo. Caro Rolando ti sei fatto notare. Ti sei fatto notare da chi non si ferma neanche davanti ad un ragazzino appassionato e pieno di vita. Da chi, nelle menti ammorbate dall’ ideologia ha visto in te un nemico da eliminare. Sembra che la tua sentenza sia stata motivata da questa affermazione espressa dal commissario po-litico della formazione partigiana: “Domani un prete in meno!”. Quella mattina i tuoi genitori, come tutte le

mattine, ti lasciarono solo per andare nei campi, mentre con la tua solita energia e gioia ti recavi anche tu in campagna per studiare all’aria aperta. Ti hanno rapito il 10 aprile 1945, in quella mattina di primavera e come fiore che ger-moglia ti hanno calpestato. Ti hanno interro-gato, picchiato e torturato per tre giorni ed il 13 aprile 1945, dopo averti fatto scavare l’ultima tua dimora, ti hanno ucciso. Sei morto solo, malamente sepolto in un bosco vicino alla dolce casa della tua infanzia; la morte aveva vinto, chi di te si ricorda?

dice il Signore dio:”Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei pec-catori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte. Sarà come albero piantato lungo corsi d’ac-qua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue opere. Non così, non così gli empi: ma come pula che il vento disperde; perciò non regge-ranno gli empi nel giudizio, né i peccatori nell’assemblea dei giusti. Il Signore veglia sul cammino dei giusti, ma la via degli empi andrà in rovina.

Il tuo papà e il sacerdote del tuo paese ti hanno trovato il giorno dopo (sembra grazie all’aiuto di uno dei partigiani com-ponenti della squadra della morte, forse già pentito dal tuo esempio ed anche dal tuo perdono). Il tuo corpo martoriato, in un primo momento sepolto di fretta, riceverà poi degna sepoltura un mese dopo nella tua San Valentino. C’è tutto il paese perché ti conoscevano bene, per loro eri già un

Missione giovani … forza ragazzi!!!

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nsiemeIC 41 Un libro da leggereMissioni

angelo, una persona speciale; il resto lo fa la mano di Dio. I tuoi uccisori verranno individuati, processati e condannati defi-nitivamente nel 1952, tu invece GRANDE GIOVANE AMICO DI GESÙ non sei sta-to dimenticato. Sulla tua tomba trovano conforto tante persone, in tanti ti pregano, un primo miracolo è ricondotto a te e nel 2006 è aperta la causa per la tua cano-nizzazione.La Chiesa ti ha dichiarato Beato il giorno 5 ottobre 2013 a Modena. La tua tomba è nella chiesa di San Valentino, nel sacrario dedicato alla sepoltura dei parroci della

Pieve; il tuo sogno si è realizzato – Sa-cerdote per sempre. Tanti ti conoscono e tanti, sono sicuro, ti conosceranno. Ti chiedo scusa per queste righe, così ri-duttive della tua grande e breve vita, che riesce ancora a trasmettere la tua incrol-labile e forte fede nel Signore. La frase che amavi ripetere: “IO SONO DI GESÙ” fa che diventi anche mia, nostra. Proteggi e guida i nostri ragazzi e ragazze sulla via di una vita autentica, ricca di passione per le cose belle e soprattutto di amore e vicinanza al Signore.

Enzo Capitani

Siamo nati e non moriremo mai più

Anche qui, come per i libri presentati in precedenza, siamo di fronte a un testo biografico; la protagonista, di cui è presentato l’ultimo tratto della

breve vita, è una figura molto particolare, anzi eccezionale.Eccezionale: il termine potrebbe suggerirci, di primo acchito, qualcosa di affascinante ed entu-siasmante. Non è così: la vicenda presentata è al-tamente drammatica, per non usare aggettivi più forti. È un libro difficile dal leggere, richiede una certa dose di coraggio, non perché il linguaggio sia complesso, anzi… E anche i fatti narrati sono pochi e semplici, si potrebbero riassumere in due righe; non lo faccio perché, sintetizzata così, senza l’accompagnamento dei pensieri, delle emozioni, delle motivazioni profonde, la storia sembrerebbe persino assurda, frutto della fantasia di una mente poco equilibrata. Perciò mi sembra più giusto dare questo suggerimento: fate un respiro profondo… e iniziate a leggere!Qualcosa dentro di voi succederà. Forse andrete in crisi; la vostra fede, forse, vi sembrerà fragile e inade-guata, forse vi arrabbierete con Dio (come Giobbe), forse invece lo ringrazierete dal profondo del cuore, forse farete fatica a capire e condividere le scelte dei protagonisti o chissà quali altre reazioni avrete… Ma certamente, al di là di tutto, imparerete qualcosa, ne uscirete arricchiti. E, a riprova che un libro così non va commentato, ma letto e meditato, riporto alcune frasi (alcune a loro volta citate) su cui si può iniziare ad esercitarsi.“Il contrario dell’amore non è l’odio, ma il possesso”.“La croce è ineliminabile, per questo Gesù l’ha fatta sua”, ma anche “La croce è una collocazione provvisoria”.Bisogna affidare “il passato alla Miseri-cordia, il presente alla Grazia, il futuro alla Provvidenza”.

Elia Tomè

di Simone Troisi e Cristiana Paccini Edizioni Porziuncola

DiAMO i NUMeri

In occasione dei mercatini di Natale con la Pesca di beneficienza a favore della Parrocchia sono stati raccolti 300 Euro.Se doni pensando: così poi riceverò, non otterrai nulla. Solo se doni gratuitamente, senza nulla aspettarti, riceverai tutto. (M. Quoist)

Fondo di rinuncia e solidarietàEsiste da oltre 10 anni ed è compo-sto da famiglie che “mettono via” 50 centesimi ogni giorno, rinunciando a qualcosa a favore di chi ha bisogno. Nel 2013 abbiamo raccolto 6.925,00 Euro. Da quando esistiamo 94.429,53 Euro sono stati destinati al nostro ora-torio, per le missioni, per i poveri.Pensaci! Ti aspettiamo… con la tua famiglia!

un panettone per la missioneAnche quest’anno con i panettoni ed i pandori dell’Associazione “La Goccia” abbiamo contribuito nel nostro piccolo ad ingrandire il mare dell’aiuto agli ami-ci del Centro San Giuseppe di Addis Abeba.un grazie di cuore a tutti quelli che hanno dato una mano, alle Parrocchie di Le Prese e Frontale ed alle giovani collaboratrici. La somma raccolta è stata di € 1.794,00.

il VoluMe è in preStito

preSSo la

BiBlioteca coMunale

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nsiemeIC 43 AdolescentiCarnevale di altri tempi

Arriva la banda del fracasso: ma che sconquasso!!!

Chi ha avuto la fortuna di poter partecipare ai Carnevali degli Anni ‘70, non può non ricordare la festosa allegria della “Banda

del Fracasso”, capitanata da Pasquale Della Patrona e Vincenzo Campagnoli. I preparativi di costumi, carro allegorico e accompagnamento musicale cominciavano con l’arrivo dell’ anno nuovo.Il nonno Vincenzo era il promotore dell’idea: come non ricordare i suoi travestimenti in “Carla Fracchia”, “Vincenzova”, Raffaella Carrà , Clown e Miss Italia!!!una volta scelto il tema del carro, la Banda, composta da: Pasquale detto Pasqualon alla gran cassa (e alcune volte alla viola), Gino e Renzo Tolat al sax e tamburello, Oreste Pitor al trombone, Otello ed Emilio alla fisarmonica, si occupava della musica.Nonna Cinta cuciva i vari costumi.

Ognuno portava il proprio apporto: bastava il poco di tanti per rallegrare la mitica sfilata, che si apriva con Peppino “l’Apripista”.Anche se il Carnevale non è una ricorrenza religiosa, ogni partecipante si adoperava per la buona riuscita della sfilata; lo spirito di collaborazione e di condivisione dovrebbe essere tramandato anche oggi in ogni attività, parrocchiale e non. Che la loro amicizia sia d’esempio per le nuove generazioni.W il Carnevale!

Francesca Cossi

Campo invernale Trepalle 2014

Il campo invernale è durato solamente 3 giorni: dal 2 al 4 gen-naio.A questo campo hanno partecipato alcuni ragazzi delle medie

più due bambini di 5ª elementare. Ovviamente, insieme c’erano tre genitori e quattro animatori. Nel primo giorno siamo andati a pattinare a Livigno. Tornati a casa (con molto ritardo!) il don Battista ci stava aspettando per un “breve” momento spirituale. Dopo cena abbiamo fatto un fantastico gioco di gruppo. La sera, nonostante le prediche dei genitori e degli animatori, i ragazzi hanno continuato a fare chiasso tutta la notte. Il giorno dopo ab-biamo passato una bella giornata sulla neve e sulle piste da fondo e discesa. Arrivata sera, ci ha fatto visita il famoso Paolo Mozzini che ci ha deliziato con una commoven-te predica sull’amicizia e l’amore. Dopo la riflessione abbiamo giocato a “salterellucci”, che pare sia sta-to gradito da tutti, genitori compresi. L’ultimo giorno, purtroppo nevicava e non siamo potuti andare di nuovo a pattinare, quindi abbiamo fatto una passeggiata nel centro di Livigno (fa-cendo anche alcune compere!).Da parte delle animatrici è stata un’esperienza positiva anche se molto “movimentata”. Ringraziamo tutti quelli che hanno partecipato al campo, soprattutto i genitori, Paolo Mozzini e il Don che ci stanno sempre vicini per aiutarci durante questa straordinaria esperienza. Grazie ancora di tutto!!!!

Michela & Annalisa

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nsiemeIC 45 GiovaniGiovani

Corso di educazione all’affettività

uno degli ultimi progetti rivolti ai giovani della nostra comunità di Sondalo è stato un corso di educazione all’affettività e sessualità, organizzato in diverse parrocchie del territorio:

tra gennaio e febbraio ci sono stati tre incontri per 15 ragazzi di terza media e 15 delle superiori e uno per i genitori, tenuti da

due psicologi. Ciascun incontro toccava un tema differen-te, le varie esperienze attraverso cui una persona matura la consapevolezza dell’af-fettività: la conoscenza di sé, l’amicizia e infine l’amore.Ogni volta le riflessioni erano guidate dalla visione di alcuni spezzoni di film, da un dibattito tra di noi e infine attraverso del-le schede personali che riassumevano quanto emerso dalle discussioni.La prima volta abbiamo riflettuto su di noi, sul nostro carattere, i nostri desideri, il nostro passato, i nostri rapporti con la famiglia e quello che secondo noi ci impedisce di realizzarci e di capire chi siamo.Abbiamo concluso che il conoscere se stessi è la prima tappa per avere buone relazioni con gli altri.Il secondo incontro era, invece, incen-trato sull’amicizia, una delle prime re-lazioni, dopo quelle familiari, che un ragazzo sperimenta nella sua vita. Abbiamo visto brevi scene di mol-ti film e ognuna metteva in luce un modo differente di vivere l’amicizia e i diversi sentimenti messi in gioco in questo rapporto; poi la riflessione si è spostata ancora su di noi per scoprire cos’è per noi un amico e quanto è importante nella nostra

vita. Tutti abbiamo condiviso l’opinione che l’amicizia possa ritenersi quasi un “bene primario”, al pari di una casa o del cibo, perché l’amico è la prima persona che ti introduce nel mondo, che condivide con te i problemi e le gioie, oppure che sem-plicemente non ti fa sentire solo.L’ultimo incontro, infine, toccava più da vi-cino la sfera affettiva, una parte di noi che iniziamo a conoscere solitamente duran-te l’adolescenza e che spesso facciamo fatica a coltivare. Ognuno di noi ha raccontato quali erano secondo lui i “sintomi” dell’innamora-mento e le varie fasi che costruiscono un rapporto affettivo. È stata la parte più difficile perché non è un argomento di cui si parla quotidianamente e con libertà. Riguarda la parte più intima di noi, una parte che ancora non dominia-mo completamente, ma che esplode proprio in questo periodo della nostra vita. Siamo abituati a concepire l’amo-re secondo i modelli della società at-tuale, una società in cui tutto passa rapidamente e quasi senza lasciare traccia, anche l’esperienza affettiva. L’amore diventa sinonimo di piacere e non vengono presi in considerazio-ne anche aspetti importanti come la conoscenza dell’altro, il rispetto, la condivisione.Per questo quando ci è stato chiesto cos’è per noi l’amore, eravamo un po’ imbarazzati.Alla fine ci siamo regalati a vicenda la nostra visione dell’amore e penso sia stato il più bell’arricchimento per ciascuno di noi: ci è stato chiesto di scavare nella nostra intimità ma penso che anche questo sforzo sia stato importante per capire meglio la nostra identità di adolescenti. Parlarne tra noi, aiutati da una persona in grado di darci i giusti spunti di riflessione, ci è servito per conoscere meglio la dimensione affettiva e anche quello che ci aspettiamo,o desideriamo, dal nostro futuro.

Giulia

PARROCCHIE DI

SONDALO, MONDADIZZA,

LE PRESE, FRONTALE,

GROSIO, RAVOLEDO, TIOLO

GROSOTTO, MAZZO, TOVO,

VERVIO, ROGORBELLO,

LOVERO, SERNIO

Educazionedell’affettività

sessualità

COSPESARESE

incontri di

PER PREADOLESCENTI E ADOLESCENTI

“Prendersicura di sé

e degli altri”

“Allascopertadei motoridella vita”

“Volersibene…

per volerbene”

Vi invitiamo a non perdere un’occasione preziosa.

I vostri sacerdoti

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nsiemeIC 47 Missione giovaniMissione giovani

Missione ieri, oggi e domaniLe coperte non bastano mai: non solo quelle per il corpo ma anche quelle per il cuore

Como 2 – 4 gennaio 2014

Sveglia alle 6:30, viaggio in stato comatoso fino a Tirano, breve messa nella chiesetta del Sacro Cuore, poi tutti di corsa in stazione per prendere il treno: destinazione Como.

Ammetto che quando ci hanno comunicato questa meta, dopo che Roma aveva ospitato il campo dell’anno scorso, un po’ di entusiasmo è svanito. Ma chi l’avrebbe mai detto che avrei vis-suto un’altra esperienza indimenticabile a qualche centinaio di chilometri da casa mia?! Ebbene, la prima sera i nostri instancabili don Francesco di Tira-no e don Mariano di Grosio hanno voluto farci vivere un qualche cosa di straordinario dal punto di vista umano, che conserverò per sempre nel mio cuore e nella mia memoria, e che, ne sono certa, mi darà lo stimolo per desiderare di vivere in comunione con gli altri: l’incontro con i senzatetto della città di Como! Mam-ma mia, il mix di sentimenti che ho provato quando mi hanno comunicato quello che stavamo per fare! Emozione, timore di non saper dire la cosa giusta, ansia per il loro possibile rifiuto di vederci! Per fortuna che a vivere questa esperienza non era-vamo soli! Ci hanno accompagnato dei Giovani, di quelli con la G maiuscola: fanno capo all’associazione di volontari “Legàmi”

e, ogni terzo sabato sera del mese, armati di termos, coperte e cibo, vanno dai senzatetto, per confortarli e per ascoltarli. Così, forti dei loro suggerimenti divisi in piccoli gruppi, ci sparpaglia-mo per le diverse zone della città, quelle in cui era più probabile incontrare i senzatetto. Appena raggiunta la mia zona, intravedo, nella penombra dei lampioni, sul ciglio della strada, un fagotto, coperto fino alla testa, con dei sacchi di plastica vicino. Annalisa, la ragazza che coordina il mio gruppo, formato da me e altri due ragazzi, si avvicina e sussurra un saluto. Dopo un breve, primo momento di incertezza, subito il ragazzo decide di “disarmare il cuore” e di sfogarsi con noi. Ingurgita il suo bicchiere di tè caldo e inizia a tartassarci di domande: vuole sapere chi siamo, da dove veniamo, perché siamo lì a parlare con lui… In modo particolare rivolge numerose domande a me e io a lui. Vengo a scoprire che si chiama Luca e ha 26 anni e che sono quasi due anni che fa quella vita. Ci classifica fin dall’inizio come “buoni”, in questo mondo di “infami e disonesti” per aver voglia di trascorrere un po’ del nostro tempo con lui, ascoltandolo.Luca, che ha solo 10 anni in più di me, è costretto da una socie-tà che non lo aiuta a integrarsi, a fare una vita del genere, una notte sotto i portici di una chiesa, una notte in stazione sui treni abbandonati, vivendo con ciò che capita e con quello che ragazzi come quelli di Legàmi gli donano. Luca ci dice che ha studiato per diventare aiuto-cuoco ma che non è mai riuscito a trovare un posto di lavoro. Ci parla dell’amore, dell’amicizia, sincera e falsa, della sua famiglia. Siamo rimasti accovacciati al “letto” di Luca più di un’ora. In un balzo arrivano le 23. Al momento dei saluti Luca prova di tutto per farci rimanere, e non smette di parlarci, imperterrito. E anche noi, pur mezzi assiderati, non abbiamo nes-suna intenzione di staccarci dai racconti di quel ragazzo! Solo gli sms minacciosi degli altri ragazzi di Legàmi ci convincono che è ora di andare. Quando Luca capisce che non può fare più niente per trattenerci, ci saluta, mandando un bacio a ciascuno di noi.Credo che, tra tutto, mi rimarranno impressi nella memoria i due grandi occhioni neri di Luca che, dal momento in cui siamo ar-rivati fino a quello in cui ce ne siamo andati, non hanno smesso un secondo di brillare. Mando un appello ai ragazzi come me: non fermiamoci alle ap-parenze, il mondo è pieno di persone come Luca che aspettano solo noi per poterci raccontare la loro vita! Apriamoci a chi ha più bisogno, portiamo la nostra presenza a chi non ha nessuno! TuTTO PASSA, SOLO L’AMORE RESTA!!

Allegra Togni

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nsiemeIC 49Album fotograficoAlbum fotografico

Avete provato a cenare all’ora-

torio? No?! Non sapete cosa vi

perdete! Organizzate un even-

to per stare insieme … la cuci-

na è a disposizione di tutti co-

loro che vogliono condividere

un’iniziativa di aggregazione

che finisce … “con le gambe

sotto il tavolo”.

Albero di Natale

realizzato dai

nostri bambini

collocato all’ingresso

dell’oratorio.

Presepe realizzato

dagli alunni dell’Istituto

comprensivo di

Sondalo. Grazie anche

agli insegnanti per la

collaborazione.

Grazie agli Alpini immanca-

bili alla tradizionale messa a

santa Agnese del 21 gen-

naio.

E non potevano mancare ne-

anche a Carnevale! Eccoli in

posa per noi.

Ecco

una bellissima

diavoletta

rossonera!

Premiazione

concorso

Presepi 2013.

Siete stati tutti

bravissimi!!!

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nsiemeIC 51 pagina dei bambiniOratorio

Un cuore “olografico”

Ecco la testimonianza di Riccardo Togni [Gesù nel video di saluto alle nostre care suore].In questo ultimo anno di scuola, (ITIS E. Mattei di Sondrio) per la tesina

dell’esame di Stato, ho scelto di investire il mio tempo sulla prototipazione di un cuore umano “olografico”. Questo progetto è stato significativo per me perché è stato il punto di incontro fra le mie passioni: la Medicina e la Biologia umana e le discipline studiate a scuola nell’indirizzo “Informatica ABACuS” . Grazie alla collaborazione del professor Turchi e agli strumenti messi a disposizione dalla scuola è stato per me possibile ideare questo progetto ancora in via di sviluppo e perfezionamento. La tecnologia usata per ottenere lo pseudo - ologramma sono: uno schermo, un elaboratore e un tronco di piramide in plexiglass e potrà essere implementata per la proiezione olografica di altre parti anatomiche.

riTirO A FUMerO“Ragazzi della Cresima” 15-16 marzo 2014

Il mini-ritiro a Fumero è stato molto bello perché noi ragazzi di 2° media in pre-parazione alla Santa Cresima abbiamo fatto una nuova e bellissima esperienza insieme. La cosa più entusiasmante è stata la slittata in Val di Rezzalo domenica

mattina. Infatti, dopo aver fatto una faticaccia per arrivare fino al rifugio “La Baita” a piedi, ci ha ripagato una mega polentata e poi divertimento assicurato con le slitte sulla neve bianchissima (qualcuno si è anche fatto un po’ male, ma nulla di grave!) Ci dispiace un po’ per Enzo e Ivan che non abbiamo lasciato dormire visto che abbiamo passato la notte di sabato quasi insonni per l’emozione. Al

mattino presto poi siamo persino andati a vedere i cer-vi. Direi proprio che ne è valsa la pena partecipare e che è stato un peccato che sia durata poco. Speriamo che si possa ripetere ancora in futuro.Ringraziamo i nostri catechisti e tutti coloro che si sono prestati per la buona riuscita di questa due-giorni. Alla prossima!!!!

XD PAXXERELLO! (Emanuele G.) Corso d’intaglio in oratorioProssimamente saranno attivati presso l’oratorio laboratori creativi di va-rio genere organizzati da parrocchiani che si sono già resi disponibili a trasmettere e a con-dividere con i bambini e i ragazzi alcune loro passioni manuali, mu-sicali, artistiche …

pASQUA

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OrAriO SANTe MeSSe Giorni Ore

sondalosan Francesco

feriali 18.00domenica e solennità 8.00 - 10.00 - 18.00

casa di riposo “Bellavista” sabato e prefestiva 16.30

mondadiZZamercoledì 17.00domenica 9.30

Anagrafedal 1 dicembre 2013 al 31 marzo 2014Sondalo parrocchia di s. maria maggioreBattesimi:Santoro Gabriel-Mario 22 dicembre 2013Bardea Filippo 12 gennaio 2014cattaneo Sergio 12 gennaio 2014

Funerali:Garavatti paolo anni 81 3 dicembre 2013collura Vincenzo anni 85 2 gennaio 2014Farini anna anni 73 3 gennaio 2014castani Giovannina anni 88 6 gennaio 2014Miscoria olga anni 87 7 gennaio 2014partesana Marco carlo anni 89 29 gennaio 2014tulini Giovanni anni 80 17 febbraio 2014Maffi Stefano Giovanni anni 76 13 marzo 2014

Appuntamenti

domenica 6 aprile: FeSta della riconciliazioneAnche quest’anno credo sia necessario prepararci alla Pasqua con una giornata dedicata alla riconciliazione tra noi, per contrastare la tentazione di lasciare spazio ai rancori, alle antipatie, alle diffidenze, che a volte nascono e crescono nel cuore per cause più o meno serie, per fatti più o meno lontani che non riusciamo a strapparci dal cuore, liberanocene. Ricorderemo questa intenzione attorno alla mensa eucaristica nella S. Messa delle 10:00, poi ci troveremo insieme a pranzo, in Oratorio, per rendere visibile la riconciliazione anche attorno alla tavola comune.Venerdì 11 aprile ore 20.30 non possiamo rinunciare alla VIA CRUCIS che viene organizzata e proposta quest’anno, a Sondalo, per tutti i giovani dei due Vicariati di Grosio e di Tirano. i giorni della riconciliazione per ragazzi, giovani e adultiDalla mattina del Lunedì Santo 14, fino a Venerdì Santo 18, sarà con noi Padre Andrea, il nostro Confessore straordinario, che già conosciamo: approfittiamone!Verranno predisposti tempi e orari per tutti, ragazzi, giovani, adulti e infermi, per avere la comodità di accostarsi al sacramento della RICONCILIAZIONE.Giovedì 17, venerdì 18 e sabato 19 aprile: triduo paSQualea tempo opportuno verranno comunicati tempi e luoghi delle celebrazioni.domenica 20 aprile: paSQua del SiGnoreTutte le celebrazioni saranno in San Francesco.Martedì 22 aprile: I Chierichetti saranno in pellegrinaggio a Colle Don Bosco.Mercoledì 30 aprile: Veglia del lavoro.

Nel MeSe di MaGGio anche quest’anno avremo la gioia di raggiungere le varie zone della Parrocchia con la recita del S. ROSARIO.domenica 4 maggio Bellagio: “Molo 14” per i ragazzi di 3° media; Ain karim in Valfurva: Ritiro genitori e ragazzi della Cresima.sabato 10 maggio Madonna del Soccorso: Pellegrinaggio giovani.domenica 11 maggio San Francesco: ore 17:30 - S. Cresima.domenica 25 maggio Mondadizza: Festa “zerosei” (con polenta!).domenica 8 giugno solennità di Pentecoste.

Grest da domenica 20 luglio a sabato 9 agosto

…verso la pASQUA e oltre!

Ecco le tappe più significative

del percorso che ci attende uniti e felici

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la misericordia

di DioCom’è bella questa realtà della fedeper la nostra vita: la misericordia di Dio!Un amore così grande,così profondo quello di Dio verso di noi,un amore che non viene meno,sempre afferra la nostra manoe ci sorregge,ci rialza, ci guida.Cari fratelli e sorelle,lasciamoci avvolgeredalla misericordia Di Dio;confidiamo nella sua pazienzache sempre ci dà tempo,

abbiamo il coraggio di tornare nella sua casa,di dimorare nelle feritedel suo amore, lasciandoci amare da Lui,di incontrare la sua misericordia nei Sacramenti.Sentiremo la sua tenerezza, tanto bella, sentiremo il suo abbraccioe saremo anche noi più capacidi misericordia,di pazienza,di perdono, di amore.Amen. Papa Francesco