N. 22 Periodico Culturale dell’Associazione Onlus Italia ... · La lunga battaglia è finita e il...

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N. 22 Periodico Culturale dell’Associazione Onlus Italia Eritrea giugno 2015 Foto Lusci

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N. 22 Periodico Culturale dell’Associazione Onlus Italia Eritrea giugno 2015

Foto Lusci

PERIODICO CULTURALE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIA ERITREA ONLUSTrimestrale - Reg. Trib. di Roma 87/2005 del 9/03/2005Via Dei Gracchi, 278 - 00192 RomaTel. 0039 366 52 47 448 - Fax 06 32 43 823www.assiter.org - e.mail: [email protected]

Direttore responsabile: Lidia CorbezzoloRedazione: Lidia Corbezzolo, Pier Luigi Manocchio, FrancoPiredda

In collaborazione:

eritreaeritrea.com

Istituto di Cultura Eritrea

SOMMARIOpag.

Iter

Editoriale: Cari Ricordi ............................. 3Lidia Corbezzolo

Africa e Libertà

Kwame Nkruma ........................................ 4Franco Piredda

Eritrea

Eritrea Storia della Scuola Italiana .......... 6Marilena Dolce

L’Autobus Barattolo per le vie diAsmara .................................................... 12

Aman Abraha

Ong in Eritrea Luci e Ombre ................... 14Stefano Pettini

Archivio fotografico: Antioco LusciProgetto grafico e Stampa: Arti Grafiche San Marcello S.r.l. Viale Regina Margherita, 176 - 00198 RomaAbbonamento annuale euro 10,00Ass.Iter Onlus c/c postale n. 84275023Finito di stampare: giugno 2015In copertina: Bimba Eritrea (foto Lusci)Copertina di fondo: Bimbi Eritrei (foto Lusci)Hanno collaborato a questo numero: Lidia Corbezzolo,Franco Piredda, Marilena Dolce, Aman Abraha, Stefano Pettini

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EDITORIALE: CARI RICORDIdi Lidia Corbezzolo

Sono nata in Asmara Eritrea nel 1948, nel1953 sono rientrata in Italia, a Romadove ho frequentato le elementari per

poi rientrare in Asmara nel 1958 e frequentarela quinta elementare e le tre medie alla ScuolaSant’Anna: quanti ricordi dolcissimi di queglianni anche perché legati alla mia grande passio-ne il “balletto classico”.

Frequentavo con grande passione e grandeprofitto la scuola di ballo diretta dalla maestraIole Audisio.

Le superiori le ho frequentate all’IstitutoVittorio Bottego per Ragionieri e Geometri.

Indimenticabili di quegli anni le lezioni di lette-ratura italiana del prof. Cimino, le lezioni diDiritto del prof. Storelli e le lezioni diRagioneria della prof.ssa Migliorati e del prof.Pollastri.

Indimenticabile anche la recita “AddioGiovinezza” che mi vide protagonista, allestitadal prof. Mario Folena.

Anni bellissimi legati alla giovinezza, allo studioe all’amore ma anche pieni di tensione politicaperché consapevoli della tragedia che viveva ilPopolo Eritreo.

Nel 1975 l’evacuazione delle comunità stranie-re ad Addis Abeba, con la convinzione di rien-trare presto in Asmara perché “i Nostri (cosìchiamavamo i combattenti eritrei)l’avrebberopresto liberata”.

Invece sono rientrata in Italia come profuga,subendo un lacerante e violento strappo dalPaese che amavo.

Soltanto il 24 Maggio 1991 Asmara fu liberata.

Nel 1998 trovandomi tra Asmara, Assab eAddis Abeba, vivendo e vedendo il calvario delPopolo Eritreo per il nuovo conflitto conl’Etiopia, è maturata in me la volontà di aiutareil Popolo Eritreo: ed ecco iniziare il mio percor-so per la cooperazione allo sviluppo per ilPopolo Eritreo.

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“Il Ghana, il vostropaese amatissimo,è libero per sem-

pre. La lunga battaglia èfinita e il nostro paese haritrovato la libertà perduta.Noi non siamo più, d’ora inpoi, un popolo colonizzato.Tutto il mondo ci sta aguardare”: KwameNkrumah il 6 marzo del1957 pronuncia queste

parole mentre per la prima volta sventola lastella nera del vessillo nazionale. È salito sulpalco a passo di danza e con lo scettro in mano:una risoluzione del governo inglese ha decreta-to l’indipendenza di quella che fino a quelmomento era la Costa d’Oro.Uomo brillante, trascinatore e di ampie visioni,Nkrumah vuole il riscatto del suo paese attra-verso l’unità di tutto il continente. La sua asce-sa politica è iniziata dopo un periodo di forma-zione, dapprima in un seminario cattolico delsuo paese e, dal 1935, in Pennsylvania e poi aLondra. Di ritorno in patria, nel 1947, vienenominato segretario politico del partitonazionalista e in breve tempo riesce a creareun clima nuovo di libertà di espressione.Nascono giornali, circolano idee.Nel 1950, infiammatosi per la non-violenza,Nkrumah organizza un grande sciopero perrichiedere le elezioni e un referendum sullariforma costituzionale. Finisce di nuovo incarcere ma, sotto la pressione della popolazio-ne, l’autorità coloniale si vede costretta ad orga-nizzare le elezioni che portano Nkrumah dallecatene alla poltrona di primo ministro dellaRepubblica del Ghana.Non smette di guardare oltre i confini nazionalie nel 1958 convoca ad Accra due storiche con-ferenze panafricane, le prime in terra d’Africa.

In aprile si riuni-scono i capi di statodegli otto paesiallora indipendenti(Egitto, Etiopia,Liberia, Libia,Marocco, Sudan eTunisia nonché lostesso Ghana); adicembre, i rappre-sentanti dei popoliafricani in lotta perl’indipendenza (tracui il congoleseLumumba).Si prepara così l’evento del 25 maggio 1963,quando nasce in Etiopia l’Organizzazione del-l’unità africana (OUA). Varata ad AddisAbeba doveva essere, secondo Nkrumah, solouna fase di passaggio verso una vera federazio-ne, verso gli Stati Uniti d’Africa.Tuttavia, l’OUA rimarrà lontana da ciò che egliaveva desiderato, ovvero strumento per fare delsuo continente una potenza in grado di interlo-quire da pari a pari con i grandi di questomondo.Nel Ghana realizza molte infrastrutture,approfittando dei costi favorevoli del cacao eal contempo cercando di differenziare lerisorse agricole, affinché il paese non rima-nesse troppo indipendente dal cacao stesso.Nkrumah sfugge anche a due attentati e nel1966, mentre viaggia tra Hanoi e Pechino,viene spodestato.Si rifugia nella Guinea, il paese che, primo fra lecolonie francesi, aveva rotto con Parigi.Ammalato di cancro, muore a Bucarest il 27 apri-le 1972, a 62 anni. Padre del Ghana indipenden-te, Nkrumah mette in evidenza le tematiche a luipiù care: la liberazione e lo sviluppo dell’Africae l’unione tra gli Stati del Continente.

KWAME NKRUMAHdi Franco Piredda

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Il suo libro ‘Africa Must Unite’ rappresentasoprattutto un manifesto di denuncia del colo-nialismo in tutte le forme e in tutte le pratiche:dalla ridefinizione dei confini dell’Africa senzatener conto delle realtà etniche, alla continua

violazione dei “diritti delle popolazioni occupa-te”, ma, soprattutto all’accusa dell’intento unicodei colonizzatori di “arricchirsi alle spese delleloro rispettive colonie”.

Franco Piredda: nel Comitato di Redazione dal 1998 della Rivista mensile “Vita Ospedaliera”, fondatoredel SeAMI onlus che opera per i Paesi dell’Africa Subsahariana, collaboratore dell’AFMAL ong in pro-getti sanitari.

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APiacenza, 17 gennaio2015, presso laBiblioteca Passerini-

Landi, per la rassegna“Piacenza che Scrive”EritreaLive ha intervistatoGian Paolo Carini preside dal2003 al 2012 del Liceo “G.Marconi” di Asmara.L’occasione è stata la presenta-zione del suo libro “Storia dellascuola italiana in Eritrea”,(editore Giorgio Pozzi) scritto

con Roberto La Cordara che insegna ancora adAsmara.“Storia della Scuola Italiana in Eritrea” è un libromolto interessante, un saggio che si legge come

un romanzo, che raccontando vicende pococonosciute aiuta a capire meglio il presente.È anche un libro “profondamente eritreo” comeha scritto nella premessa il Prof. MassimoZaccaria, nonostante lingua, autori e luogo dipubblicazione perché, aggiungerei, da un latonarra un pezzo di storia comune, i motivi di unlegame ancora esistente, dall’altro fornisce allettore indizi preziosi per comprendere quale, adispetto del colonialismo, sia stato il lascitodelle scuole italiane.L’Eritrea, cui Carlo Dossi darà il nome “rosso”dal colore del mare, diventa colonia italiana il 1gennaio 1890, con Francesco Crispi. Qualcheanno prima il Lazzarista Giuseppe Sapetoaveva acquistato, formalmente per conto dellaSocietà di Navigazione Raffaele Rubattino, la

ERITREA, STORIA DELLA SCUOLA ITALIANAdi Marilena Dolce

©Antonio Politano, Asmara, una lezione all’interno di una classe della scuola italiana

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Baia di Assab, issando poco dopo su Massawa,prima capitale, la bandiera italiana.Sono anche gli anni (1884-1885) in cui le gran-di potenze europee, non l’Italia, si spartisconol’Africa durante la Conferenza di Berlino, stabi-lendo che ogni territorio occupato solo da nati-vi potesse essere rivendicato dagli europei, poisi sarebbe pensato a tracciarne i confini…Primo governatore della colonia Eritrea è ilgenerale Oreste Baratieri che si dimetteràdopo la sconfitta di Adua (1896) nella quale leforze del negus Menelik travolgono una colon-na italiana di 15 mila uomini, moltissimi gliascari, eritrei assoldati fin dall’inizio nell’eser-cito italiano.Con il nuovo governatore Ferdinando Martini(1897-1907) la colonia si avvia a cambiamentiradicali; l’amministrazione da militare diventacivile, la capitale si sposta dalla torridaMassawa ad Asmara sull’altopiano. Una capi-tale ancora tutta da costruire, unendo i quat-tro villaggi esistenti. Sono questi gli anni deigrandi lavori, si fanno case, strade, scuole,ospedali, iniziano i lavori per la prima trattadella ferrovia.Il mandato di Martini è ampio, soprattutto deveriparare agli errori dell’amministrazione milita-re, senza gravare sui conti delle stato italiano.Gli scrive il presidente del Consiglio: rispettaregli impegni con Menelik, dare la prevalenzaall’impegno civile, spendere poco.E certamente le scuole rientrano in quest’ulti-ma voce.

Prof. Carini, prima della colonizzazione ita-liana qual è la situazione scolastica, esistonoscuole in Eritrea?Sì, in un certo senso, ci sono scuole religiose,copte e coraniche. In seguito i missionarifaranno scuole ma non come le conosciamo noioggi. Le prime sono quelle dei Lazzaristi e delleFiglie della Carità allontanate dal governatoreOreste Baratieri perché, essendo un ordinefrancese, si temeva che potessero imporre laloro lingua e aiutare politicamente la Francia.Ricordiamo che nel periodo coloniale il paese

dominante imponeva la propria lingua.L’Italia coloniale si occupa subito di scuola; ilcomando superiore di Massawa nel 1889 scri-verà che “le scuole municipali saranno riapertenei nuovi locali dei palazzi coloniali…chepotranno essere frequentate da tutti, senzadistinzione di nazionalità e religione, purchéabbiano compiuto l’età di quattro anni e nonabbiano superata quella di anni venti”.

Ma queste scuole chi le avrebbe frequentate,con quali insegnati, quali programmi e nonultimo, con quali soldi? A quel tempo la capitale era Massawa e laprima scuola missionaria è affidata a cappellanimilitari incaricati di seguire la formazione degliallievi. Militari saranno anche padre LuigiBonomi e Vittorio Bottego, cui sarà intitolata lascuola di “Arti e Mestieri” di Asmara.In queste scuole non si faranno distinzioni dinazionalità e religioni, stabilendo che tutti, daiquattro ai vent’anni possono frequentarle. Inquesto modo, quasi involontario, per lunghissi-mo tempo si accolgono insieme nativi e occi-dentali. Le scuole, già in questo periodo sonosussidiate, cioè ricevono un aiuto economico daparte dell’amministrazione e questo è un passoimportante, vuol dire che lo Stato italiano rico-nosce l’obbligo della formazione. Obbligo insenso lato, però importante come strumentoper la diffusione delle lingua italiana e, natural-mente, come strumento di controllo sociale.Lo Stato, pur riconoscendo le scuole missiona-rie, toglie loro il monopolio e alle missioni èdato il compito di rinforzare l’opera dello statoitaliano colonizzatore.

Lei ha detto che il Governatore OresteBaratieri espelle i padri Lazzaristi e le suoredella Carità perché temeva che potesserodiventare un pericolo per l’Italia, però non lisostituisce con maestri laici ma con altri mis-sionari, i Cappuccini e le suore di Sant’Anna.Cosa si studiava, com’erano organizzate lescuole missionarie?Le suore di Sant’Anna, tra l’altro molto impor-

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tanti per noi piacentini, saranno un ulterioreforte legame con l’Eritrea.

Chi frequenta queste scuole?Innanzi tutto i cosiddetti “derelitti abbandona-ti” e le bambine che poi sarebbero diventatemonache.La scuola dobbiamo pensare che fosse un modoper compensare esigenze molto diverse. Leclassi non erano miste e i programmi eranomolto diversi, a seconda dei bambini. Si andavada una formazione generale a programmi perclassi femminili. Quella proposta è una forma-zione basata su esigenze pratiche con l’obietti-vo principale di togliere i bambini dalla strada.Non dimentichiamo che alla base, anche tra imissionari, c’era un pregiudizio razziale.Durante il suo mandato il governatoreFerdinando Martini stabilisce che nelle scuolegovernative e sussidiate si devono separare leclassi di bambini europei e nativi e scrive nel“Diario Eritreo” dopo la visita alle scuole esi-stenti: “Non ne parliamo. Quelle suore diSant’Anna sono idiote: quel loro istituto è, néaltro potrebbe essere che un vivaio di madame.Già quella miscela di bianchi e neri nelle scuo-la stessa non va; secondo me i neri sono piùpronti di noi e la superiorità del bianco, su cuisi fonda ogni regime coloniale, nelle scuole èsmentita”…

Aveva visto bene?Questa è considerata una frase centrale percapire la storia del colonialismo italiano. Ilmandato di Martini (1898-1907) sarà di fare uncambiamento sociale, si occuperà di costruire lacapitale e le infrastrutture, le strade e la ferro-via. Prima di diventare governatore però, nel1891, Ferdinando Martini era già stato inEritrea e si era fatto un’idea della situazione. Lascuola non è il suo primo pensiero, peròMartini aveva capito subito che le scuole dove-vano essere organizzate dai colonizzatori. Cosavuol dire fondare scuole in un paese colonizza-to? Voleva dire confermare la subalternità, purdando strumenti per crescere.

Nei “Diari” che sono molti e interessanti, il lin-guaggio di Martini, come abbiamo visto, èesplicito, diretto. Per rispondere alla domanda,sì aveva visto che la scuola avrebbe avuto unfuturo, infatti ne stiamo ancora parlando.Però lo stesso Martini riconoscerà i meriti dellescuole missionarie, per esempio elogerà quellacomboniana di padre Luigi Bonomi…Padre Bonomi è stato un grande educatore. Hacreato una scuola per accoglie eritrei e italiani,in classi diverse come ormai era d’obbligo maper insegnare a tutti. Quella fondata da Bonomiè la prima scuola europea. Si studia all’internodi un edificio non più all’aperto, con frequenzaobbligatoria, ci sono orari per le lezioni e non siinsegna religione, anche se c’è una forte atten-zione per la morale. Per la prima volta l’istru-zione è organizzata. La scuola di Bonomi èstata vincente sul piano della qualità rispetto ascuole con più risorse, come per esempio quel-la della Missione Svedese oppure altre conmaggiori contributi statali. I ragazzi usciti dallasua scuola erano molto ben preparati. Bonomiè stato un uomo di scuola anche se la sua for-mazione era militare.Scrive Evelyn Waugh, scrittore e giornalistainglese, in “Abissinia” libro del 1936, riferendo-si agli italiani in Africa Orientale che era unfatto nuovo in Africa vedere uomini bianchisvolgere semplici lavori manuali con impegno efatica, questo era, secondo lui, il segnale di unnuovo genere di conquista.

E questo genere di conquista ha lasciato unsegno o ha creato una distanza tra nativi ecoloni?Una limitazione per l’arrivo degli italiani nellacolonia eritrea è stata anche la mancanza discuole. Quella coloniale italiana è un’esperien-za diversa rispetto a quella delle altre potenzeeuropee. Gli italiani che arrivano in Eritrea nonportano grandi esperienze commerciali o indu-striali, vanno lì per lavorare e il loro trattodistintivo è stato quello di mescolarsi alla popo-lazione, di lavorare con i locali. Il collegamentotra il piccolo imprenditore, il padroncino, l’arti-

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giano e i lavoratori eritrei è stretto perché lastruttura è semplice. Chi esegue lavora al fian-co di chi comanda. Questo è il tratto tipico delcolonialismo italiano, diversamente dal colonia-lismo inglese o dall’attuale presenza cinese chesta colonizzando l’Africa in modo chiuso, senzamischiarsi.

Cos’è rimasto del know-how?In Eritrea sono arrivati durante il nostro colo-nialismo personaggi senza grande fama cheperò hanno fondato imprese e dato lavoro:Melotti della Birra, una delle prime in Africanegli anni’50, il cotonificio Barattolo, l’aziendaagricola di Elaberet. Vorrei ricordare che gliinglesi quando avevano problemi ai motori daAden andavano a Massawa, per farli aggiusta-re. La costruzione della ferrovia da Massawaad Asmara è stato un capolavoro d’ingegneria ele locomotive degli anni Trenta funzionanoancora.Il problema è capire cosa ha lasciato la nostracolonizzazione che storicamente è stata unfenomeno di conquista.

Fino agli anni Venti le scuole governative emissionarie sono frequentate da allievi direligione diversa, nel 1924 invece diventaobbligatorio l’insegnamento della religionecattolica e l’esposizione del crocifisso nelleaule, termina una laicità di fatto?Sì, i missionari e le prime scuole governativeerano aperte a tutte le religioni.L’Eritrea, infatti, non ha mai avuto episodi dicontrasto religioso, pur avendo etnie con diffe-renti fedi. Se girate per Asmara, nel raggio diduecento metri, trovate la cattedrale cattolica,la chiesa copta Enda Mariam, la sinagoga, lagrande moschea (ndr, costruita dagli italiani) e lachiesa di rito greco, tutte ancora in piedi, nien-te è stato distrutto.Nelle scuole i missionari insegnavano italiano earabo, alcune scuole erano rivolte espressamen-te ai musulmani. Però va detto che anchedurante il periodo del fascismo i musulmani chevolevano andare alla Mecca, che si trova dal-

l’altra parte del Mar Rosso, partivano aiutatidall’amministrazione italiana che si occupavadel loro viaggio, in modo che arrivassero, tro-vassero alloggio, eccetera.Si riconosceva l’importanza della religione cheandava però organizzata per essere controllatadallo Stato.Nel 1924 però termina questa laicità di fatto… Fino a quel momento non c’era il crocifissonelle scuole, poi anche la colonia eritrea sidovrà adeguare e, dopo i Patti Lateranensi, inItalia e nelle colonie, il fascismo imporrà la reli-gione cattolica come religione di Stato.Però è importante distinguere la colonia Eritreaprima e dopo il fascismo, c’è un pezzo di storiacoloniale importante che non coincide conquella dell’Africa Orientale Italiana.Al temine della guerra nel 1941-42 gli inglesidecidono di togliere le scuole all’Italia e orga-nizzano un Education Department; retrocedo-no però da questa decisione per le insistentirichieste dei genitori eritrei che volevano man-dare ancora i figli nelle scuole italiane… Agli inglesi non importava molto dell’Eritrea.Gli inglesi sconfiggono gli italiani nel 1941 nellabattaglia di Keren che rappresenta la fine delcolonialismo, però gli italiani non se ne andran-no dall’Eritrea.L’Italia perde la colonia ma decide di rimanereabbandonando lo spirito coloniale, al contrariodi quanto faranno altrove Francia, Inghilterra,Belgio.Per gli inglesi era importante bloccare l’Italia.In quel momento arriveranno in Eritrea,anche dall’Etiopia, moltissimi prigionieri,deportati italiani che riempiranno i campi diconcentramento sotto il controllo inglese, peresempio a Decamerè dove c’erano un centina-io di persone.Gli inglesi s’interessano di scuola e riorganizza-no l’istruzione lasciando però all’Italia la gestio-ne di molte scuole anche per l’insistenza deigenitori eritrei che vogliono continuare a man-dare i figli nelle scuole italiane che preparanobene e danno lavoro. Così il filo rosso italianoprosegue, anche se con maggior difficoltà.

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La dominazione inglese avrà un carattere diffe-rente, tra l’altro tolgono i binari della ferrovia edistruggono la teleferica più bella del mondo,da Massawa ad Asmara, con l’intento di portar-la in India.E poi emarginano la lingua italiana a favoredell’inglese, però fino al 1970 in Eritrea si parlaitaliano, gli atti, le volture, il catasto sono anco-ra in lingua italiana come italiana era stata laburocrazia.L’anno della censura sarà il 1977 con il Derg.

Nel 1950 l’ONU dichiara l’Eritrea federataall’Etiopia: in questi anni diminuisce il nume-ro di bambini eritrei nelle scuole italiane,però l’Istituto Tecnico “Vittorio Bottego”,per geometri e ragionieri, non perde allievi,innanzi tutto chi è Vittorio Bottego? Finora abbiamo parlato di scuole primarie, inrealtà in Eritrea c’era anche l’istruzione secon-daria e una di queste scuole era la scuola tecni-ca “Bottego”Aver dichiarato (ndr, 1950, dichiarazione ONU)l’Eritrea federata all’Etiopia è stato un colpobasso, perché l’Eritrea mirava all’indipendenza.Questo ha creato molto malcontento. La frasedi John Foster Dulles, (ndr, in quegli anni segre-tario di stato americano) che riporto nel libro èquesta: “gli interessi strategici degli Stati Unitinel bacino del Mar Rosso impongono che ilPaese venga legato al nostro alleato Etiopia”.Torniamo a Bottego, chi era? Anche lui era unmilitare arrivato ad Asmara che, grazie allaSocietà Geografica Italiana, seguirà la sua pas-sione e andrà in missione in Dancalia, la regio-ne più a sud dell’Eritrea, zona caldissima checonfina con l’Etiopia. Bottego farà scoperteinteressanti per le sue ricerche sulla fauna loca-le, morirà tragicamente a 36 anni dopo averdedicato la vita alla ricerca.Il “Bottego” è una delle scuole più importantiin Africa e i suoi diplomati, geometri e ragio-nieri, sono richiesti in tutta l’area: Sudan,Tanganika, Tanzania, Zambia, perché hannoun’ottima preparazione. Ecco perché per lefamiglie italiane ed eritree è importante che la

scuola continui.Nel 1958 nasce anche la prima Università, aquel punto esisteva un segmento di qualità perl’istruzione superiore.Nel libro, pieno di dati, si vede che il numero diitaliani e eritrei è a fisarmonica, varia a secondadelle vicissitudini, si parte con una maggioran-za eritrea e pochi italiani, poi arrivano gli italia-ni. Il trend porterà al costante aumento deglieritrei rispetto agli italiani. Negli anni’50 la pre-senza italiana è ancora alta.

Nel 1962 Heilè Selassiè annette l’Eritreaall’Etiopia che diventa 14° provincia. Perl’Eritrea comincia un periodo buio che culmi-nerà nel 1977 con la presa di potere del Dergdi Menghistu, cosa cambia nella vita deglieritrei e dei (pochi) italiani rimasti?La lotta armata (1961-1991) inizia quandoHeilè Selassiè annette l’Eritrea. Comincerannotrent’anni di lotta, un fenomeno che non hariscontro in nessun altra parte dell’Africa, unadelle guerre più lunghe e cruente, con un esitopositivo per l’Eritrea cui nessuno credeva.Negli anni’80 ci sono le stragi. È la lotta di unpaese piccolo contro un paese grande maanche di un paese solo contro un paese appog-giato prima dagli occidentali poi dall’URSS edai cubani. In questi anni gli italiani lasciano ilpaese, tutte le scuole straniere sono chiuse, siaquelle statali sia quelle religiose. Gli etiopiimpongono nelle scuole l’amarico (ndr, la diffe-renza tra amarico, lingua etiope, e tigrino, lingua eri-trea parlata sull’altopiano, è simile alla differenzatra italiano e francese) unica lingua e vietano lareligione, abolendo di fatto la convivenza rag-giunta.Oltre alle scuole in questi anni sono chiuseanche le biblioteche e tutte le istituzioni cultu-rali; alcuni, come Fratel Ezio, nasconderanno ilibri perché non siano distrutti, mettendo insalvo quanto gli lasciavano gli italiani prima dipartire…Tutto il materiale anni ’70 scompare, per trova-re qualcosa bisogna andare ad Addis Abeba.Nel 1993, però, l’Eritrea indipendente, dopo

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trent’anni di lotta, riprende i rapporti conl’Italia che riapre le scuole. Gli edifici però nel1982, con l’accordo Palleschi erano stati cedutial governo di Addis Abeba…Sì questo è un accordo Italia-Etiopia, però oggil’Eritrea, autonoma e indipendente, può ricono-scerlo oppure no.Torniamo al punto centrale: è importante cheAsmara abbia ancora oggi una scuola italiana?Come mai questa scuola è ancora amata? Forseperché missionari prima, scuole sussidiate egoverno dopo, hanno impostato un lavorodidattico che non era solo proselitismo. Si vole-vano preparare i soldati (scuole per ascari), gliimpiegati amministrativi e in generale la popo-lazione che per lavorare avrebbe avuto bisognodi una lingua comune, conoscenze di base (nonmolto inferiori a quelle italiane), convivenzareligiosa? Ritorniamo all’indipendenza e al referendumdel 1993 nel quale l’Eritrea si esprime per l’in-dipendenza. A quel punto l’Italia vive unasituazione difficile; è stato il paese colonizzato-re che ha abbandonato l’Eritrea durante i tren-t’anni di guerra. Questo agli eritrei non è pia-ciuto, non solo ma con l’accordo Palleschil’Italia cede tutto all’Etiopia.Gli anni Novanta sono anni di grande entu-siasmo in Eritrea, si pensa positivo, c’è unafioritura di attività. Le scuole italiane sonoancora valutate positivamente perché danno

ottimi risultati.C’è uno sforzo diplomatico da entrambe le partiche culmina, nel 1995, con un accordo cultura-le importante che permetterà ai due paesi diavere una linea comune.Purtroppo, nel 1998-2000, la guerra Eritrea-Etiopia, con migliaia di morti, è un altromomento difficile.La scuola però rimane ferma solo pochi mesi,sono sfollate le persone durante i bombarda-menti sulla capitale ma poi continua perchégli eritrei ci tengono alla scuola che conside-rano una sorta di risarcimento per il dannocoloniale.Alla fine degli anni Novanta s’investe moltonella formazione tecnica della scuola italiana inEritrea che diventa la più frequentata all’estero.Nel 2011 un nuovo accordo tecnico regolerà leconvenzioni tra i due paesi. Oggi la scuola fun-ziona, anche se con un organico ridotto rispet-to al passato.L’ingresso avviene per sorteggio perché lerichieste sono superiori ai posti, gli alunni sonoquasi tutti eritrei (85%), ragazzi che escono,ancora oggi, con una buona preparazione.Speriamo dunque che la lettura del libro rinsal-di o faccia scoprire una storia cominciata conun sopruso, il colonialismo, che però, grazie allapresenza delle scuole laiche e religiose ha crea-to, tra italiani ed eritrei, un prezioso legame diamicizia.

Marilena Dolce, Giornalista e Autore Eritrea Live.

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Nato ad Asmara, Ghezza Banda, scuole italia-ne, laurea in Scienze Politiche a Perugia, unlavoro a Milano, Aman non ha mai smesso diamare il suo Paese che ha deciso di raccontarci

in italiano, lingua che parla e scrive molto bene,per aiutarci, con garbo, a dipanare una matassadi mezze verità e false certezze.

L’AUTOBUS BARATTOLO PER LE VIE DIASMARAdi Aman Abraha

© Eritrea Live, Asmara, Expo 2012, Foto ricordo e Autobus Barattolo, ovvero Inda Aleba

Come Dio ha dato gli orologi agli svizzeri e iltempo agli africani, così la mia concezione deltempo asmarino si affidava all’Autobus IndaAleba, parte integrante della mia vita.Lo prendevo per andare a scuola da GhezzaBanda, una zona di Asmara, tutte le mattine,verso le 7. 04, al più tardi alle 8. Per più di 10anni.

Se lo intravedevo al Girafiori di inda Finjaldovevo correre perchè voleva dire che ero inritardo. La perfezione la raggiungevo se loincontravo all’altezza del Bar Torino o delCinema Croce Rossa.Ogni mattina, incurante di tutto e di tutti, l’au-tobus avanzava sereno e tranquillo, come sedettasse lui stesso i battiti del tempo.

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Anzi, era proprio così.Tutte le persone senza orologio, collo sporgen-te, occhi strabici a furia di scrutare il campani-le della Cattedrale per vedere l’ora, calcolavanoil tempo in base a lui, all’autobus Inda Aleba.Donne e uomini potevano fermarti anche senzaconoscerti, per chiederti:«Inda Aleba halifaDiya?» cioè, letteralmente, è passato l’autobustessile, dal nome dello storico CotonificioBarattolo che stava sul suo percorso. E notaviche cambiavano passo a seconda della risposta.Avesse vissuto in Occidente Inda Aleba sarebbediventato protagonista di Cars, made in

Disney/Pixar al suono di Life is a highwaySperiamo lo mettano in un museo il giorno chedeciderà di fermare il suo tempo, per il momen-to ha un attimo di gloria durante l’Expo…Ho sempre pensato che non si debba viverecon rimpianti, crogiolandosi nel passato, nonmi dispiace com’è andata la mia vita…però mimanca il senso della normalità asmarina!!!!! Lasua rassicurante routine, la lentezza del tempo,la passeggiata col sole, senza nessuna meta pre-cisa, senza orologio, cammin, cammin per le viedi Asmara…

© Aman Abraha, Asmara, l’autobus Barattolo in servizio per le vie della capitale

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ONG IN ERITREA, LUCE E OMBREdi Stefano Pettini

Il termine Ong(Organizzazione nongovernativa) ha da

sempre evocato nell’opinio-ne pubblica l’immagine deitanti volontari impegnati inogni angolo del mondo nella

difficile ed estenuante opera di aiuto e soccorsoa popolazioni in difficoltà a causa di catastrofinaturali o peggio vittime degli esiti di una delletante guerre in corso.Nel tempo però eventi che hanno coinvolto alcu-ne Ong, dal punto di vista della trasparenzagestionale, hanno attirato con il loro clamore l’in-teresse generale e indirettamente rivelato aquanti credevano che tali organizzazioni contas-sero esclusivamente sul disinteressato lavorovolontario degli aderenti, che anche la abnega-zione di questi straordinari operatori specializza-ti nel soccorso umanitario ha una sua ben preci-sa remunerazione.Naturalmente l’esistenza di una articolata strut-tura operativa che sia in grado di coordinaremezzi e uomini in situazioni ambientali estremeha un suo costo, e il fatto che il personale quali-ficato percepisca uno stipendio per la sua dispo-nibilità e la sua opera nulla toglie ai meriti che glioperatori delle Ong hanno saputo guadagnarsiin infinite occasioni, ma l’aver preso diffusamen-te coscienza del fatto che il motore del variegato

mondo della assistenza su larga scala non è il“puro volontariato gratuito”, ha fatto sorgereuna serie di interrogativi a riguardo dei meccani-smi fino ad allora meno conosciuti.Per i non addetti ai lavori, infatti, non risultaagevole tracciare una linea di collegamento tra lostabilirsi di una grave emergenza umanitaria el’intervento di una organizzazione non governa-tiva, e a ben vedere non risultano note al grandepubblico neanche le modalità con le quali si sta-biliscono i rapporti che intercorrono tra iresponsabili ad alto livello di tali organizzazioni,il Ministero degli affari esteri e le autorità localidei paesi destinatari degli aiuti.Evitando approfondimenti delle tematiche legateagli aspetti della gestione tecnico amministrativadelle Ong, quali reperimento delle risorse, criteridi approvvigionamento di beni tecnici e di consu-mo, contabilità generale di ogni missione, criteridi distribuzione dei soccorsi ecc., tutti argomentiinteressanti che però richiederebbero competen-ze tecniche specifiche per poterne trarre dellevalide valutazioni, ciò che assume un valore rile-vante agli occhi degli osservatori è l’aspetto menonoto del mondo dell’aiuto umanitario organizza-to. Quello del codice deontologico.Istintivamente si sarebbe portati a ritenere unaOng super partes e neutrale nei confronti dellarealtà nella quale si trova a operare, partendo dalpresupposto che alla base della necessità di unintervento esterno di supporto non può cheesserci una circostanza straordinaria tale da sov-vertire il normale corso degli eventi e di conse-guenza non inquadrabile con i consueti parame-tri di riferimento.Soprattutto in caso di conflitti bellici, che sonocaratterizzati da forti contrapposizioni ideologi-che, le Ong si dovrebbero poter ritenere esentida partigianerie di campo, interventi attivi ditipo politico propagandistico, proselitismo oaltre interferenze che esulano dalla precisa

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vocazione umanitaria posta alla base della loroesistenza. Eppure questa tendenza con il passa-re del tempo è apparsa sempre più marcata,tanto da far ritenere che questi organismi si stia-no evolvendo in qualcosa di più complesso, piùsfuggente e per certi versi più invasivo.Effettuando una ricerca su internet, sistemaemergente di libera condivisione di informazionie idee nato proprio nel periodo storicamente piùinfelice della omologazione dei mezzi di informa-zione tradizionale, si può facilmente verificareinfatti che l’attuale atteggiamento di queste orga-nizzazioni appare sempre più politicizzato e ten-dente talvolta allo stabilimento di movimenti diopinione molto critici, e spesso schierati a favoreo contro governi locali, politiche regionali o fedireligiose. Travalicando ogni supposta regola deontologicale Ong si fanno in alcuni casi addirittura parteattiva nei confronti di organismi istituzionalianche internazionali, come ad esempio laComunità europea, per richiedere e promuoverespecifiche attività di pressione nei confronti diapparati statali di paesi nei quali vorrebberointervenire, raccolgono e diffondono notizie edesprimono pareri su questioni politiche e socialiche attengono unicamente alla sfera di compe-tenza delle autorità locali e diplomatiche deipaesi destinatari degli aiuti, con una sollecitudi-ne che pare andare oltre l’ardore del sacro fuocoumanitario.Anche le Ong italiane non hanno mancato invarie occasioni di far sentire la loro voce e, riuni-te in una associazione di rappresentanza, hannodi fatto assunto delle prese di posizione tali dafar ritenere che, nonostante presentino nei lorositi web degli accurati decaloghi comportamen-tali enfatizzanti presunte regole auree quali latrasparenza, la non interferenza, il rispetto dellediversità ecc., abbiano maturato ben preciseposizioni politico-ideologiche che appaiono sem-pre più in contrasto con la vocazione del loromandato.

L’obbiettivo della loro azione, condotta senzaesclusione di colpi, sembra essere sempre lo stes-so, riuscire a ritagliarsi uno spazio di interventoe stabilire le basi per una missione, e osservandogli sviluppi della questione dell’Africa Orientale,a noi più vicina dal punto di vista storico e geo-grafico, non si può fare a meno di notare che leOng appaiono sempre più frequentemente comeprotagoniste di accese discussioni riguardanti irapporti fra Italia e i vari paesi in crisi quali ilSudan, l’Etiopia, l’Eritrea e la Somalia.Un caso che ha fatto molto discutere, e per certiversi emblematico, è certamente quellodell’Eritrea che dopo decenni di apertura incon-dizionata a Ong e associazioni di volontariato diogni genere, decise nel 2006 di porre un frenoalla frenesia spesso inconcludente che tali attivi-tà comportavano, e pubblicò una nuova leggeche regolamentava con norme chiare i requisitinecessari per la omologazione di tali organizza-zioni.La reazione delle Ong che non furono in gradodi conformarsi a tali requisiti e che quindi furo-no costrette ad abbandonare il paese, non fu disemplice constatazione che la loro opera avevaraggiunto un traguardo, ma del tutto inaspetta-tamente sfociò in un atteggiamento di rancorosafrustrazione che rappresenta certamente unodegli esempi più palesi del tipo di distorsioni cheiniziano a caratterizzare le attività di tali organiz-zazioni.Analizzare tutte le iniziative da queste intrapre-se contro l’Eritrea, sia in ambito nazionale cheinternazionale, in seguito alla loro estromissioneè probabilmente del tutto inutile e alimenterebbediscussioni infinite, ma una frase in particolare,peraltro già citata in molte altre occasioni, racco-glie in se simbolicamente tutta la arroganza e lainsensibilità di chi dovrebbe essere animato daben altre motivazioni etiche: “L’Eritrea è unpaese troppo povero perché il suo governo possapermettersi di pretendere un controllo sugli aiutio addirittura rifiutarli”.

Stefano Pettini, Autore Blog eritreaeritrea.com.

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