L'AMICIZIA PERDUTA - Inganno di un'amica

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LuCA AmBrOSiNi L’AmiCiziA PErdutA I libri di una piccola casa editrice possono regalare grandi emozioni 12 euro Samantha e Luca si conoscono in chat. Ben presto il loro feeling virtuale li spin- ge a conoscersi personalmente e fra i due si instaura un rapporto amichevole “forte”; cresce l’amicizia e il coinvolgi- mento di entrambi. A distanza di due anni, però, Luca capisce che l’amicizia di Samantha non è stata sincera, anzi… Sfoga così la sua delusione scrivendo una lunga lettera in cui ripercorre le tra- vagliate vicende di quella “AMICIZIA PERDUTA”. Come reagirà Samantha? Luca Ambrosini nasce nel 1963 in un piccolo paese dell’Appennino Lucano, Armento (Potenza). Diplomato geometra, ha lavorato presso il Municipio del suo paese e si è sempre interessato ai problemi socia- li e all’arte. Appassionato di musica, ha suonato nel Corpo Bandistico “Santa Cecilia” e, con alcuni amici, ha fondato il gruppo “Famiglia Otis”. Nel 1999 si è trasferito a Modena dove, dopo alcune esperienze in campo immobiliare, lavora in qualità di Geometra presso l’Ammi- nistrazione provinciale. In copertina, Scorcio Duomo di Modena fotografia di Alessandro Mazzini e Lorenzo Del Maschio L’AmiCiziA PErdutA L’AmiCiziA PErdutA I I nganno di un’amica nganno di un’amica Luca Ambrosini Edizioni Progetto Cultura

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Estratto del libro (Premessa, Prefazione e Capitolo I)

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I libri di una piccola casa editrice

possono regalare grandi emozioni

12 euro

Samantha e Luca si conoscono in chat.

Ben presto il loro feeling virtuale li spin-

ge a conoscersi personalmente e fra i due

si instaura un rapporto amichevole

“forte”; cresce l’amicizia e il coinvolgi-

mento di entrambi. A distanza di due

anni, però, Luca capisce che l’amicizia di

Samantha non è stata sincera, anzi…

Sfoga così la sua delusione scrivendo

una lunga lettera in cui ripercorre le tra-

vagliate vicende di quella “AMICIZIA

PERDUTA”.

Come reagirà Samantha?

Luca Ambrosini nasce nel 1963 in un piccolo paese dell’AppenninoLucano, Armento (Potenza). Diplomato geometra, ha lavorato pressoil Municipio del suo paese e si è sempre interessato ai problemi socia-li e all’arte. Appassionato di musica, ha suonato nel Corpo Bandistico“Santa Cecilia” e, con alcuni amici, ha fondato il gruppo “FamigliaOtis”. Nel 1999 si è trasferito a Modena dove, dopo alcune esperienzein campo immobiliare, lavora in qualità di Geometra presso l’Ammi-

nistrazione provinciale.

In copertina, Scorcio Duomo di Modenafotografia di Alessandro Mazzini e Lorenzo Del Maschio

L’AmiCiziA PErdutAL’AmiCiziA PErdutAIInganno di un’amicanganno di un’amica

Luca Ambrosini

Edizioni Progetto Cultura

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CollanaLe Scommesse

Edizioni Progetto Cultura

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Luca Ambrosini

L’amicizia perduta

Inganno di un’amica

Edizioni Progetto Cultura

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nota deLL’autore

Questo mio viaggio di “scrittore” inizia circa tre anni orsono, quando, a seguito di una vicenda particolarmentetormentata e dai contorni sicuramente dubbi, ho scrittouna lunga lettera che, in un primo momento e per diversesettimane, è rimasta nel cassetto della mia anima per poiriversarsi spontaneamente su questi fogli.

Spinto dalla necessità di alleggerire il fardello che por-tavo dentro, ho raccontato la triste vicenda che mi vedevacoinvolto ad un “vero” amico, Ale, che mi ha paziente-mente ascoltato e, per certi versi, consolato.

Ha letto la lettera e mi ha incoraggiato a scrivere qual-cosa di più. Da quel momento è partita questa mia nuovaavventura che, ritengo, molto interessante e appagante,nonostante io stesso non sia certo un divoratore di libri.

Per cui, tutto ebbe inizio da qui:«Ti ho scritto e regalato la lettera sperando di com-

muovere, scalfire o almeno graffiare il tuo cuore e risve-gliare la tua anima. Volevo darti uno strumento capacedi generare uno spiraglio di sole in un paesaggio cupo,grigio e nebbioso qual è diventata la tua esistenza. È evi-dente, ora, che la “forza” delle parole scritte non è statasufficiente ad illuminare la tua anima, la tua sensibilità.»

Luca

ISBN 978-88-6092-

Edizioni Progetto Cultura 2003 S.r.l. diffonde quest’opera pregevole

stampata con carattere gEorgIA 10,5nel mese di 2012 da

Legatoria Editoriale giovanni olivotto - L.E.g.o. S.p.a

[email protected]

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Dedicato alla mia mamma, al mio papà,ai miei fratelli, alle mie cognate, ai miei due nipoti

e a tutti i miei veri amici

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Gli amici hanno bisogno uno dell’altroproprio come un fiore ha bisogno della pioggia

per aprirsi e mostrare la sua bellezza.L’amicizia dovrebbe essere una preziosa carezza

di cui non puoi fare a meno.

Sergio Bambaren

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premessa

Questo racconto non ha la pretesa di essere una guida eneanche un insegnamento di vita; è solo una raccolta dipensieri, di immagini, di suoni, di emozioni e di sensazioni.

Il fine è quello di esortare il lettore ad una attenta analisisul mondo virtuale, cercando di stimolarlo ad una seria ediligente riflessione sui comportamenti umani che, a volte,sono confusi ed incomprensibili alla mente umana di unosservatore esterno lucido ed immune. È mio personaleconvincimento che, spesso ed inconsapevolmente, le per-sone, drogate dall’uso dei moderni mezzi di comunica-zione, assumono una condotta di tipo virtuale anche nellaquotidianità, nei rapporti umani e nella vita reale non ade-guata al comune senso del “vivere” in un mondo concreto,vivo e vero.

Con queste mie riflessioni, ho voluto dare un modestocontributo, attraverso un esame puntuale degli atteggia-menti e dei comportamenti assunti dalla protagonista diquesto racconto e fornire una personale interpretazione evisione di una vita che deve essere vissuta, sempre e solo amio avviso, in modo decisamente più autentico e reale.

Pur riconoscendo il valore che riveste oggi, nella societàmoderna, la conoscenza virtuale, soprattutto se intesa comescambio e confronto di esperienze di vita, avverto la neces-sità di tracciare un confine ben definito tra ciò che appar-tiene al mondo “fantastico” e ciò che appartiene a quello“vero”, anche in un ambito delicato quale possono essere isentimenti e i comportamenti umani. È sovente, infatti, ri-scontrare nei protagonisti di queste vite parallele, il gene-rarsi di uno stato confusionale e di disorientamentogenerale, tale da compromettere il normale svolgimento diquei rapporti umani necessari ed indispensabili per un se-reno vivere la quotidianità.

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L’amicizia perduta

Inganno di un’amica

Infine, la mia speranza è di promuovere e sponsorizzareil dialogo, il chiarimento poiché sono convinto che sonosemplici strumenti per giungere ad un riavvicinamentoalla vita reale delle persone “perse” nell’immenso labirintodella rete.

Questa ultima aspettativa, probabilmente, è solo unamia speranza utopica, laddove lo stato “confusionale” di-venta patologia incurabile.

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capitoLo 1

L’inizio (maggio 2006)

È sabato 27, mi sono svegliato alle otto; non devo andarea lavorare.

«Che palle! Mi sono svegliato troppo presto. Cosa fac-cio a quest’ora? Mi sa che torno a letto. Stanotte non hodormito bene. Ho ripensato alla chiacchierata con lamamma di ieri sera; l’ho sentita un po’ giù, speriamo cheoggi i dottori riescano a capire che cavolo sta succe-dendo.»

Intento a fare queste intime riflessioni, squilla il tele-fono, guardo il display, è mio fratello mario.

«Cosa vuole a quest’ora? Ci siamo visti ieri sera?» Rispondo, con tono preoccupato. «Pronto. Che c’è?»Con voce ferma e gelida, da trasformare il mio piccolo

appartamento in un frigo, mi dice: «La mamma, l’hannoportata in sala operatoria mezz’ora fa. Stamattina haavuto un blocco intestinale. Mi ha chiamato Francescodall’ospedale. Io prendo la borsa e parto. Che fai, vienianche tu?»

Pietrificato, mummificato, non mi aspettavo questa no-tizia. Vero che la mamma l’avevo sentita giù di morale, manon aveva fatto trapelare nulla che facesse pensare ad unintervento chirurgico. rispondo prontamente: «Certo chevengo anche io. Passami a prendere; intanto preparo lavaligia.»

L’attesa che arrivasse mio fratello mario è durata secoli;nel frattempo, ho telefonato a mio fratello maggiore, Fran-cesco, che abita nella nostra terra natale e che lavora nel-l’ospedale dove la mamma è ricoverata. «Ciao, allora cheè successo?»

mi risponde con voce quasi tombale e con il suo carat-

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loquio con il chirurgo; il luminare aveva avanzato una suapersonale diagnosi: probabilmente si trattava di tumore alcolon, ma si era riservato di essere più preciso solo dopol’intervento chirurgico.

A questa notizia, nonostante la giornata sia limpida,chiara e serena con un sole splendente, caldo ed un cieloazzurro terso, mi sembra che il cielo si sia oscurato e chestia per arrivare uno di quei temporali estivi che mettonopaura. Non posso credere a quello che ho sentito. Non rie-sco a darmi pace... No, non può essere vera una simile no-tizia.

«Si sono certamente sbagliati.» Questo è il mio convin-cimento.

Lei, che qualche mese fa era stata a casa mia per qua-ranta giorni e, nel complesso, si era mostrata ancora pienadi vitalità, nonostante l’età avanzata; si era fatta in quattroper prendersi cura di me, di mia nipote, la figlia di mario,che vedeva una volta l’anno, di mio fratello mario, di miacognata marta e, persino, del ragazzo di mia nipote. Nonpoteva essere vero, magari il dottore si sbagliava, almenoera quello che volevo credere.

L’auto corre veloce sull’autostrada del Sole (mi suonanella mente “Canzone per un’amica” scritta da guccini…);oggi, però, il nome di questa autostrada, per me, non ècerto del sole, piuttosto è l’autostrada della tristezza e deldolore.

Ho percorso questa strada molte volte, almeno due voltel’anno, per raggiungere la mamma che abita al paese dovesono nato; conosco bene tutto il percorso. So bene che èun lungo viaggio e sono consapevole che questa volta il mioviaggio sarà più lungo del solito. È il mio stato d’animo adallungare la strada, ad allontanare la mèta da raggiungere;sono la preoccupazione e l’angoscia di non arrivare intempo ad un appuntamento tanto importante. Arrivarepresto per vedere con i miei occhi e toccare con mano una

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teristico tono ombroso e dai modi telegrafici; è il suo ca-rattere, il suo modo di comunicare: «Eh, la mamma sta-mattina ha avuto un blocco intestinale. L’unica soluzioneè stata operarla d’urgenza per evitare che la cosa dege-nerasse. Il chirurgo ci ha consigliati così.»

gli chiedo: «C’era una alternativa all’intervento chi-rurgico oppure era l’unica strada percorribile?»

Lui replica: «Per poterle salvare la vita, l’unica cosa dafare era l’intervento. La mamma era cosciente quando ilchirurgo gli ha illustrato la situazione. Ha capito ed ac-cettato.»

Infine, mi chiede, se abbiamo deciso di partire per rag-giungere lui, sua moglie Antonella e suo figlio Alessandro;gli rispondo che sto aspettando mario e che partiremo alpiù presto. La telefonata è terminata nel silenzio più asso-luto di entrambi, quasi di preghiera, senza neanche salu-tarci, come se mancasse ad entrambi la forza fisica dicontinuare a conversare.

Poco dopo, verso le dieci, sento bussare al campanello:mio fratello mario è arrivato. Bussa al citofono e mi invitaa scendere prima possibile perché la strada è lunga.

Nell’attesa, avevo già chiuso le imposte, le varie utenze,quindi, presa la valigia, preparata pochi istanti prima,spengo le luci e scendo con la massima solerzia. Salgo inmacchina senza dire nulla. Partiamo subito e ci avviamosulla lunga strada che ci divide dalla mèta lontana; 850lunghi chilometri, ci separano da nostra mamma; circaotto ore di viaggio. Con tanta rassegnazione e con la spe-ranza che durante il tragitto non arrivi nessun’altra bruttanotizia, imbocchiamo l’autostrada in direzione sud.

Il lungo viaggio è iniziato. Durante il tragitto, poche parole e quelle poche che ci

scambiamo riguardano le ipotesi della malattia dellamamma. Dopo qualche considerazione, mario mi confessache in mattinata, durante la chiacchierata con nostro fra-tello maggiore, questi gli ha esternato di aver avuto un col-

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Poco dopo il nostro arrivo, mentre stiamo chiacchie-rando sottovoce per non disturbare il sonno della mamma,noto che il suo respiro si sta facendo sempre più affannoso;pensando che la circostanza non rientri nella normalità,chiamo subito una infermiera che si precipita nella stanzaper controllare le sue funzioni vitali. Accortasi che la situa-zione non rientra nel normale decorso post-operatorio, siattiva subito chiamando un dottore. Questi, avuta consa-pevolezza che la situazione è più grave di quanto si possaimmagine, prega tutti i presenti di allontanarsi dallastanza.

Immediatamente dopo c’è un andirivieni di dottori edinfermieri, fino a quando giunge anche il primario del re-parto che ha effettuato l’intervento. Dopo un breve con-sulto esce dalla camera e ci comunica: «Vostra madre hauna crisi respiratoria. È necessario trasferirla in un ospe-dale che è dotato di reparto di medicina di urgenza e ria-nimazione. Ho già predisposto l’arrivo dell’eli-ambulanzaper trasportarla al centro più vicino. A bordo dell’elicot-tero non può salire nessuno ad eccezione del personale sa-nitario, per cui, se volete, potrete raggiungerla inmacchina.»

Sentito il dottore, ci scambiamo uno sguardo di intesa edecidiamo di raggiungere la mamma all’ospedale dove, dalì a poco, sarà trasferita.

mentre il chirurgo sta parlando io, sempre vigile ed at-tento anche alle più piccole sfumature che altri trascurano,ascolto interessato il dottore anestesista che, rivolgendosialla mamma, le chiede: «…signora riesce a sentirmi?Come sta? Riesce a respirare meglio ora?»

La mamma risponde: «…sto bene dottore, mi sento bene»Sentendo queste parole, scoppio quasi in lacrime, ripen-

sando alle parole appena pronunciate dalla mamma: «…come fa a dire che sta bene… quando è così evidente chenon riesce a respirare! Lo dice solo per tranquillizzare ildottore ma io so che non è così.»

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situazione tanto triste quanto delicata.Durante il viaggio rispondo a varie telefonate: mia co-

gnata marta, preoccupata per lo stato d’animo con cuiaveva visto il marito partire; i parenti e i conoscenti chehanno saputo e chiedono notizie aggiornate su quanto èsuccesso.

Dopo otto lunghe ore, giungiamo finalmente all’ospe-dale. Durante il percorso, abbiamo tenuto vivo il contattocon mio fratello maggiore che alle sedici ci ha informatoche la mamma è uscita dalla sala operatoria ed è in attesache le infermiere la portino in stanza.

Arriviamo alle diciotto e ci precipitiamo nella stanza checi ha indicato nostro fratello. mamma è serenamente av-volta in un dormiveglia, con una espressione serena e tran-quilla, quasi come se non si fosse sottoposta ad un lungointervento chirurgico... l’atmosfera è serena e tranquilla.

La mamma, all’improvviso, come se avesse avvertito lapresenza dei suoi cari, apre gli occhi e, in un attimo di lu-cidità, faticosamente balbetta a noi due giunti dal nord:«…e voi cosa ci fate qui?»

Ci avviciniamo al suo letto, io sulla destra e mio fratellosulla sinistra, e, amorevolmente, la baciamo sulla fronte,quasi in sommessa contemplazione chiedendole come sisente.

Lei, con un filo di voce, risponde: «Sono stanca, hosonno, ma va tutto bene.»

Anche in questa occasione non si è smentita, poveramamma, nonostante le sofferenze è riuscita, anche questavolta, a minimizzare pur di non trasmettere e trasferire alleproprie creature il dolore fisico che sta sopportando.

Dopo aver invitato la mamma a riposare e a stare tran-quilla, con voce bassa, pacata, salutiamo Francesco, suamoglie Antonella e nostro nipote Alessandro, chiedendomaggiori dettagli su quanto è accaduto questa mattina.Francesco ci ribadisce quanto già detto telefonicamente,dandoci ampie rassicurazioni sulla riuscita dell’intervento.

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di un elicottero che sta atterrando proprio a poche centi-naia di metri dal parcheggio dell’ospedale. Incuranti delleoperazioni di trasporto, conoscendo la professionalitàdegli operatori sanitari, e di imbarco in elicottero dellamamma, saliamo in macchina e partiamo, quasi in con-temporanea con il decollo del velivolo, alla volta dell’ospe-dale, distante circa cento chilometri, dove sarà ricoverata.

Dopo un’ora abbondante di viaggio, giungiamo al nuovoospedale.

Saliti in reparto, chiediamo al dottore di turno di potervisitare la mamma. Questi, con aria molto determinata, cicomunica che già sono state effettuate le prime cure; la si-tuazione rimane sotto controllo e ci invita, con altrettantadeterminazione, a rientrare a casa poiché non è orario divisite.

Con l’amaro in gola per non essere riusciti a visitarla e,soprattutto, con il cuore a pezzi per non poterla assisterenelle ore notturne, ci mettiamo sulla strada per fare rientroa casa.

È quasi mezzanotte quando giungiamo a destinazione,un piccolo paesino, arroccato sull’Appennino meridionaleall’altezza di settecento metri sul livello del mare. ormai,solo pochi abitanti risiedono in questo piccolo borgo, untempo fiorente di attività artigianali. regna il silenzio pri-maverile e non vi è anima viva che giri per le viuzze strettedi quel “presepe” arroccato su di un costone, con le casesorvegliate dal campanile della chiesa di San Vitale. Il suonome pare che abbia origini greche e che significhi “luogodelle armi”.

Nel mese di agosto diventa luogo di villeggiatura per gliemigrati, quando le industrie del nord chiudono i battentiper le ferie. Allora si ripopola... i nostalgici affezionati nonrinunciano a trascorrere qui anche solo pochi giorni. tor-nano per portare il loro contributo, per dimostrare l’affettoche ancora li lega a questo luogo. Come tutte le località delsud è ospitale per gli “stranieri”, i “viaggiatori” intrepidi

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È sempre stata una donna molto forte. Non credevo chequella forza interiore fosse tanto intensa.

un dottore amico e collega di mio fratello Francesco -che conosco bene anche io - resosi conto della forte emo-zione che sto trattenendo, si avvicina e mi chiede: «Luca…tutto bene?»

A quel punto, guardandolo negli occhi, mi lascio andaread un pianto ovattato per non disturbare l’intero reparto;un pianto liberatorio della tensione che in quelle ore si èaccumulata.

L’amico dottore resosi conto che ho bisogno di sfogarmi,mi stringe per un braccio e mi accompagna fuori. giuntiall’aperto, dice ancora due parole di conforto: «Luca… deviessere forte… vedrai che fra qualche giorno la mamma siriprende. Piuttosto non sprecare adesso quelle lacrime…non è adesso che le devi usare.»

Pronunciate queste ultime parole, riesco a tranquilliz-zarmi e l’amico dottore mi porta al bar per bere qualcosadi caldo.

mentre sorseggio un the caldo, nella mia mente risentole parole che ha pronunciato qualche minuto prima e michiedo: “Cosa ha voluto dire il dottore con quelle parole?”

In quell’istante non riesco a dare una risposta sensata,né posso soffermarmi a formulare ipotesi. La situazione ècomplessa ma, soprattutto, è necessario stare il più possi-bile vicino alla mamma. obiettivo: non farle mancareniente ma, soprattutto, essere presenti, vicino a lei anchefisicamente.

tornato dal bar mi ricongiungo con gli altri della fami-glia; ci incamminiamo, con passo svelto, verso la mac-china, mentre la moglie di Francesco, Antonella e suo figlioAlessandro, fanno ritorno alla propria abitazione, nonmolto distante dall’ospedale.

mentre attraversiamo il parcheggio dell’ospedale perraggiungere la macchina, sentiamo il suono inconfondibile

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alle amorevoli cure che la mamma mi ha dispensato già ilgiorno successivo all’accaduto.

ripenso a come la mamma mi sia stata vicino in queimomenti terribili; momenti di inquietudine, solitudine; aquanto fosse avvilente sentirsi solo in quel letto di ospe-dale, nonostante la presenza assidua e continua di parenti,amici, conoscenti e colleghi. Era la presenza della mammaa compensare tutto, a riempire la stanza di gioia, a farmisentire al sicuro; erano le parole profonde - pronunciatecon amore materno - di consolazione e di incoraggiamentoa farmi superare un momento grigio e oscuro in quelloscorcio di vita da dimenticare. Anche nelle settimane suc-cessive all’accaduto mi aveva coccolato, curato ed incorag-giato a riprendere la mia vita con una nuova visione e conpropositi migliori di quelli passati.

Questa notte, in poche ore, ho ripercorso un mese im-portante della mia esistenza e non capisco in che modo,con quali atteggiamenti, gesti, parole potrò mai ripagaremia madre di tutte le attenzioni che ha avuto nei miei con-fronti e di cui adesso ha bisogno lei. In cuor mio so che nonsarò in grado di restituirle tutto ciò che ho ricevuto, masono consapevole che lei apprezzerà lo stesso qualsiasicosa io faccia per lenire le sue sofferenze.

È ormai sorta l’alba; è cominciato un via vai di personeche vogliono essere aggiornate sullo stato di salute dellamamma: i vicini di casa e poi quasi l’intero paese vengonoa chiedere notizie della “parrucchiera”, come è conosciutadalle nostre parti.

Sono giorni che mi reco quotidianamente, negli orari fis-sati dalla struttura ospedaliera, a far visita alla mamma perstarle vicino, poterla rassicurare, incoraggiarla, vedere edapprezzare i miglioramenti, sperare nella pronta e veloceguarigione di colei che per me è stata l’unico punto di rife-rimento.

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che sfidano la sorte. Al primo impatto è desolante ma,dopo poche ore, si colgono il calore, la semplicità e la cor-dialità dei suoi abitanti; si toccano con mano la benevo-lenza e l’accoglienza di un popolo generoso che “spiazza”il viandante di turno a tal punto da farlo commuovere e dafargli desiderare di non partire nel momento del saluto fi-nale.

Nel paese tutti i residenti sono parenti fra loro, a variotitolo e grado e, se non c’è un vero legame di parentela, cisi conosce tutti così bene che si è parenti lo stesso.

Nonostante questa forte empatia, questa notte, nel pic-colo centro, non c’è nessuno a salutarci, a confortarci perla triste vicenda.

Arrivati a casa, facciamo il punto della situazione, men-tre mangiamo qualche pezzo di formaggio e un po’ di sa-lumi, nella consapevolezza che da quel momento lamamma avrà sempre più bisogno di noi. Ci congediamo,ormai stanchi di una giornata lunga e faticosa e andiamoognuno nella propria stanza per concederci un po’ di ri-poso, almeno fisico.

Questa notte non riesco a prendere sonno. Penso, riper-corro i momenti vissuti nel settembre del 2002, quandomi sono trovato in un letto di ospedale a lottare tra la vitae la morte.

In quella occasione, ebbi una grave emorragia interna,devastante, che mi costrinse a restare in ospedale per circadieci giorni e solo dopo aver avuto diverse trasfusioni e legiuste cure sono riuscito a risalire la china e a rimettermiin pista grazie alla bravura del dottore del reparto di medi-cina d’urgenza - che ancora oggi ringrazio per avermistrappato dalle fauci del diavolo corso a prendersi la miaanima - alla mia determinazione, alla convinzione che va-leva la pena continuare a vivere; che valeva la pena sentireil sapore di tutti i frutti che ci dona questa esistenza, sianoessi acerbi o maturi, amari o dolci, ma soprattutto grazie

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non ci siano né sofferenza né solitudine; dove non esistanoné il male né la malvagità, le malattie e il male fisico... unasorta di paradiso di questa terra parallelo ed irraggiungi-bile. Ho bisogno di questi momenti per ricaricarmi di po-sitività e credere in un mondo migliore, credere nella vitae viverla il più intensamente possibile.

Sono un uomo dalla personalità particolarmente sensi-bile ed attenta, fisico normale, alto un metro e sessantasettecentimetri, moro, tipico meridionale, con la carnagione ten-denzialmente olivastra, diplomato, quarantatré anni conun lavoro a tempo determinato in un ente pubblico, assalitodalla preoccupazione di sostenere a breve un concorso per-ché possa coronare il sogno di vedere il mio impiego tra-sformarsi in qualcosa di duraturo, stabile e solido. Hocapelli castani, occhi castani e un carattere tenace e deter-minato; difensore dei valori essenziali, credo nella fami-glia, negli amici; sono intuitivo, tranquillo, orgoglioso,permaloso, scontroso nei confronti delle persone che nonmeritano la mia stima e fiducia; alla prima apparenza ri-servato, schivo, introverso, timido e profondo osservatoredelle piccole sfumature e dei dettagli; divento simpatico,cordiale, giocoso con le persone che conosco profonda-mente; mi apro e dono loro tutta la mia disponibilità, la fi-ducia e la stima; sono generoso con coloro che chiedonoaiuto e un attento ascoltatore. Leale, sincero, limpido, tra-sparente, pretendo dalle persone uguali qualità. In amorepossessivo, passionale e determinato. Caparbio ed orgo-glioso porto a termine ogni mio progetto con determina-zione fino al raggiungimento dell’obiettivo prefissato. Nonmi autolimito e non mi fermo di fronte al primo ostacoloma lo analizzo, lo studio e trovo la soluzione al problema.ritengo che le caratteriste del mio segno - scorpione - micalzino come un vestito cucito su misura; mi rifletto inquelle che gli astrologici definiscono la “personalità” delsegno zodiacale.

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La mia mamma ha svolto egregiamente sia il compito dimadre ma anche il gravoso ruolo di padre, essendo rimastavedova in giovane età e non avendo mai pensato, nem-meno per un solo istante, di sostituire l’unica persona chelei avesse mai amato: il mio papà.

Durante la settimana si sono notati segni tangibili di mi-glioramento e questo mi dà un dolce sollievo, mi rincuora;si apre una finestra nel mio cuore, fiducioso che la situa-zione possa volgere per il meglio.

È domenica e, a malincuore, avviene il cambio: mio fra-tello mario prende il mio posto per assistere la mammaancora in ospedale; nel pomeriggio, dopo averle dato un bacio sulla guancia, con gli occhi colmi di lacrime, lasaluto con un forte abbraccio e mi incammino per farerientro in Emilia dove, all’indomani, riprenderò la mia at-tività.

rientrato alla mia dimora abituale, nel tranquillo paesedel basso Appennino emiliano, stanco e demotivato, pre-occupato per le condizioni di salute della mamma, fisica-mente provato dalla stanchezza di una settimana passatacon la tensione e l’adrenalina ai massimi livelli, quasi as-sente sul posto di lavoro ma consolato e capito dai colle-ghi, cerco di riprendere le normali attività lavorative comese tutto fosse tornato alla normalità.

Naturalmente, non è tornata la normalità di prima. No-nostante faccia sforzi sovrumani per nascondere il miostato d’animo, il mio fardello, in cuor mio, l’unico pensieroimportante è di sapere e capire l’evolversi della malattiadella mamma.

Passano i giorni in modo ripetitivo, monotono, ciclico,quasi fosse un unico disco a suonare la stessa canzone intutte le ore del giorno ed ogni giorno fosse uguale a quelloprecedente. Spesso mi isolo dal resto del mondo; mi tra-sferisco in una sorta di mondo parallelo dove immagino

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insieme. Sono riuscito a far mangiare un pezzettino ditorta anche a lei che ormai non riusciva a deglutire nulla.È stato il mio ultimo compleanno passato quando lei erain vita. È stato l’ultimo mio compleanno passato con lei.Lo ricorderò per tutta la mia esistenza. Si è stampato in-delebilmente nel mio cuore.

Di lì a qualche giorno, il 9 novembre, in una sera di au-tunno inoltrato, mentre ero seduto sul letto per farle com-pagnia, le ho stretto la mano tenendola forte a me, comese quei momenti fossero gli ultimi che passavo con lei.

Da una settimana si alternavano momenti di lucidità amomenti di precoma. Erano le ultime ore. Quella sera, alleventi e trenta, mentre ero lì, accanto a lei, ad un tratto, im-provvisamente, ho sentito la sua mano stringere legger-mente la mia, come se in quell’istante mi stesse salutandoteneramente.

Ho fissato il suo volto con gli occhi chiusi ed ho notatouna lacrima scendere lentamente dai suoi occhi. Non sen-tivo il suo respiro. mi sono girato guardando freddamentemio fratello che si trovava ai piedi del letto. Ha subito ca-pito, si è precipitato verso di lei, ha appoggiato l’orecchiosul torace della mamma e contestualmente le ha afferratoil polso per sentire il battito. Poi si è rivolto verso di me:“È volata in cielo, finalmente vedrà realizzarsi il suosogno. È andata da papà, il suo amore più grande.”

Non avevo lacrime. I miei occhi erano asciutti. Il miocuore un pezzo di marmo. Il mio respiro affannoso. I mu-scoli contratti.

La mia mente è annebbiata che a fatica ha recepito il mes-saggio ed ha elaborato: ‘Adesso cosa farò senza di lei?’

Per riprendermi sono uscito fuori di casa. Ho chiamatoi parenti più stretti per comunicare la triste notizia. Infine,ho spedito alcuni messaggi alle persone amiche che in queitormentati mesi mi erano stati vicino. tra gli amici a cuiho spedito il messaggio della triste perdita anche a Saman-tha, a te, conosciuta pochi mesi prima e che mi sembravi

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Durante i mesi successivi, più volte sono tornato a casaal sud Italia, anche solo per un fine settimana. Volevo re-stare il più possibile vicino alla mia mamma, dopo aver ap-preso che gli esami istologici avevano diagnosticato untumore al colon. Cercavo, compatibilmente con il lavoro,di poter restare sempre vicino a lei. Non mancavano, du-rante la mia permanenza in Emilia, le telefonate quoti-diane per sentirmi vicino a lei. Non mancavano le paroledi incoraggiamento, di conforto. Nonostante tutto, i mieipensieri erano spesso proiettati ad un futuro molto pros-simo. Cercavo di immaginare e capire come sarebbe statala mia vita quando la mamma avesse varcato la porta delparadiso. In alcuni momenti, soprattutto i più tristi, nonriuscivo a comprendere una vita senza di lei. In altri, in-vece, cercando di farmene una ragione, mi rifugiavo nelvolere e nel potere Divino, nella volontà di nostro Signoreche, evidentemente, aveva scritto le pagine della mia esi-stenza e quelle della mia mamma.

Furono mesi di grande ansia, apprensione; di illusioniquando la mamma stava meglio e di tristezza quando midiceva che nella giornata non si era sentita affatto bene.

Nel corso dei mesi sono tornato altre volte - per pe-riodi più o meno lunghi - al suo capezzale. Le prime duequando ancora era in ospedale e l’ultima, alla fine di luglio,quando era finalmente tornata a quella che lei definiva la“mia casa”. Sono stato sempre presente, vicino e vigile perpoter gustare gli ultimi attimi della sua vita; per assaporarele ultime ore della sua presenza.

Ho passato il mese delle vacanze estive, agosto, nelpaese emiliano che mi ha adottato. Sono tornato per l’ul-tima volta al capezzale di colei che rappresentava il mio ri-ferimento, certo e presente, qualche giorno prima del miocompleanno. Era ottobre, ho passato questo mio giorno difesta accanto a lei. Abbiamo festeggiato con una torta ge-lato che ho comprato perché io fotografassi quel momentocosciente che poteva essere l’ultimo che avremmo vissuto

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essere “vicina” a me. Volevo che partecipassi al mio dolore.Così è stato; mi hai subito risposto con un sms di scuseperché non mi avresti chiamato al telefono e allo stessotempo hai scritto parole di conforto per la grave perdita.

Sono rientrato in casa per vegliare su colei che mi hadato la vita e mi ha cresciuto. Lei, la mia mamma e il miopapà.

La mamma apprensiva nei momenti difficili; il papàduro e severo nelle decisioni importanti. Lei, mammaamorevole e coccolona; lei, padre complice e consiglieranei momenti di indecisione.

Il 9 novembre ho perso la mia mamma e, contempora-neamente, il mio papà. Si sbriciolava, in pochi minuti, ilmio punto di riferimento; il mio molo dove attraccavo lemie ansie e le mie preoccupazioni; l’aeroporto dove atter-ravo per vivere momenti di serenità.

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