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PREMESSA Gli studi raccolti in questo volume, pubblicati da Anna Maria Ioppolo nell’arco di circa trent’anni, costituiscono una tappa importante nelle ricerche recenti sul pensiero antico. La loro genesi si inquadra nella rinascita di interesse per le filosofie ellenistiche che si ebbe negli anni ’80 del sec olo scorso. Fu un periodo forse irripetibile, sia per l’eccezionale qualità degli studi che vennero alla luce, sia per le condizioni di lavoro e di ricerca estremamente favorevoli purtroppo ormai perdute che esistevano allora. Di quella stagione, Anna Maria Ioppolo è stata certamente esponente di spicco, come testimonia la sua attività all’interno dei Symposia hellenistica fin dalle loro prime edizioni. Per coglierne la portata, basterà scorrere rapidamente i contributi presentati in quelle occasioni e qui raccolti 1 . Certamente, molto di quel clima culturale, fatto di costanti dibattiti e con- fronti dialettici tra studiosi ἐν εὐμενέσιν ἐλέγχοις, traspare negli articoli che compongono questo libro: non solo nel continuo e serrato confronto con le opi- nioni degli altri interpreti (questo è, o dovrebbe essere, un aspetto comune a ogni serio contributo di ricerca), ma soprattutto nella prospettiva di indagine adottata e nelle particolari, spesso originali ricostruzioni che sono proposte. L’aspetto più notevole e caratterizzante, a cui si è voluto dare risalto fin dal titolo scelto per la presente raccolta, è l’attenzione costante portata alla dimensione del dibattito, inteso come un aspetto essenziale della stessa elaborazione filosofica in epoca ellenistica. Nei suoi studi, Anna Maria Ioppolo non si è mai soltanto limitata a investigare tesi e argomentazioni delle scuole ellenistiche, ma ne ha messo co- stantemente in luce le riprese e le trasformazioni alla luce delle critiche ricevute, adottando un punto di vista critico e creativo, consapevolmente lontano da una passiva accettazione di questa o quella opinio recepta. L’elaborazione filosofica è così essenzialmente connessa al confronto critico che ebbe luogo tra le diverse scuole e tra gli stessi esponenti delle medesime scuole. Aver fatto emergere pienamente l’aspetto filosoficamente creativo di quei dibattiti è certamente uno degli aspetti più notevoli e originali della sua produzione. Ciò si applica, in primo luogo, a quello che può essere considerato un vero atto fondatore dell’epistemologia ellenistica, ossia il confronto critico di Zenone con il Teeteto di Platone, tema a cui Anna Maria Ioppolo ha dedicato un articolo fondamentale 2 , per passare poi ai dibattiti tra Stoici di diversa epoca e -------------------------------------------- 1 Infra, 69-84, 283-307. 2 Infra, 137-57.

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PREMESSA

Gli studi raccolti in questo volume, pubblicati da Anna Maria Ioppolo nellarco di circa trentanni, costituiscono una tappa importante nelle ricerche recenti sul pensiero antico. La loro genesi si inquadra nella rinascita di interesse per le filosofie ellenistiche che si ebbe negli anni 80 del secolo scorso. Fu un periodo forse irripetibile, sia per leccezionale qualit degli studi che vennero alla luce, sia per le condizioni di lavoro e di ricerca estremamente favorevoli purtroppo ormai perdute che esistevano allora. Di quella stagione, Anna Maria Ioppolo stata certamente esponente di spicco, come testimonia la sua attivit allinterno dei Symposia hellenistica fin dalle loro prime edizioni. Per coglierne la portata, baster scorrere rapidamente i contributi presentati in quelle occasioni e qui raccolti1.

Certamente, molto di quel clima culturale, fatto di costanti dibattiti e con-

fronti dialettici tra studiosi , traspare negli articoli che compongono questo libro: non solo nel continuo e serrato confronto con le opi-nioni degli altri interpreti (questo , o dovrebbe essere, un aspetto comune a ogni serio contributo di ricerca), ma soprattutto nella prospettiva di indagine adottata e nelle particolari, spesso originali ricostruzioni che sono proposte. Laspetto pi notevole e caratterizzante, a cui si voluto dare risalto fin dal titolo scelto per la presente raccolta, lattenzione costante portata alla dimensione del dibattito, inteso come un aspetto essenziale della stessa elaborazione filosofica in epoca ellenistica. Nei suoi studi, Anna Maria Ioppolo non si mai soltanto limitata a investigare tesi e argomentazioni delle scuole ellenistiche, ma ne ha messo co-stantemente in luce le riprese e le trasformazioni alla luce delle critiche ricevute, adottando un punto di vista critico e creativo, consapevolmente lontano da una passiva accettazione di questa o quella opinio recepta.

Lelaborazione filosofica cos essenzialmente connessa al confronto critico

che ebbe luogo tra le diverse scuole e tra gli stessi esponenti delle medesime scuole. Aver fatto emergere pienamente laspetto filosoficamente creativo di quei dibattiti certamente uno degli aspetti pi notevoli e originali della sua produzione. Ci si applica, in primo luogo, a quello che pu essere considerato un vero atto fondatore dellepistemologia ellenistica, ossia il confronto critico di Zenone con il Teeteto di Platone, tema a cui Anna Maria Ioppolo ha dedicato un articolo fondamentale2, per passare poi ai dibattiti tra Stoici di diversa epoca e --------------------------------------------

1 Infra, 69-84, 283-307. 2 Infra, 137-57.

Premessa 8

diverso orientamento, tra Stoici e Accademici, tra Pirroniani e Accademici, etc. Gi la sua prima e innovativa monografia, dedicata allo stoico eterodosso Aristone di Chio, offriva daltronde un decisivo contributo in questa direzione3. I lavori che sono seguiti hanno sempre maggiormente precisato questa peculiare prospettiva di ricerca, nella quale lanalisi delle ragioni filosofiche costante-mente intrecciata con la minuziosa ricostruzione del dialogo e della polemica attraverso cui quelle ragioni furono di volta in volta elaborate, arricchite, riprese, trasformate, con lobiettivo di esaminare a fondo il ruolo e la funzione delle varie argomentazioni fra loro intrecciate in una rete viva di rimandi pi o meno espli-citi e netti.

Gli articoli qui raccolti esprimono dunque al meglio un clima intellettuale

assai ben descritto da Jacques Brunschwig il quale, riferendosi al contributo offerto dagli studiosi anglosassoni alla rinascita di interesse per il pensiero elle-nistico, osservava circa ventanni fa:

dans cet actif march aux philosophies, o circulent arguments et contre-argu-ments, ils voient moins laffrontement ergouteur et strile des dogmatismes entre eux, et du dogmatisme avec le scepticisme, que la subtilit des dbats, laffinement rci-proque des rpliques et des dupliques, le jeu des positions et contre-positions philo-sophiques en train de se construire par un souple mcanisme de raction et dadaptation4. Daltra parte, gli articoli di Anna Maria Ioppolo coniugano lattenzione por-

tata a dibattiti e argomenti filosofici con una sensibilit propria, che integra in modo originale gli aspetti appena illustrati. In questo caso, pi che al clima dia-lettico dei Symposia hellenistica, si ricondotti alla sua formazione con Guido Calogero e Gabriele Giannantoni e al metodo storico-filologico proprio di quella scuola. In primo luogo, sottolineare la dimensione propriamente filosofica del dibattito e del confronto rinvia inevitabilmente allelenchos socratico e al suo ruolo in qualche modo paradigmatico nella storia della filosofia (nonch, pi in particolare, al suo impatto sulla riflessione ellenistica)5. In secondo luogo, negli studi di Anna Maria Ioppolo si ritrova, al suo livello pi alto, la lezione forse pi profonda e duratura della scuola storica italiana, consistente nellinterpretare gli argomenti e i dibattiti sempre a partire dal radicamento nei contesti e dal con-fronto con i testi, dalla cui lettura minuziosa deve prendere le mosse ogni rico-struzione dottrinale.

Un confronto, qui impossibile da proporre nel dettaglio, tra gli articoli rac-

colti nel presente volume e altri studi prodotti nella stagione dei primi Symposia hellenistica potrebbe permettere di cogliere questo aspetto peculiare. Mentre, --------------------------------------------

3 Cfr. Ioppolo 1980a. 4 Cfr. Brunschwig 1995, 9. 5 In questa raccolta, si veda soprattutto lo studio sullo stoicismo di Erillo infra, 119-35.

Premessa 9

infatti, nei lavori di scuola anglosassone prevaleva spesso la ricostruzione sottile (in alcuni casi persino troppo sottile) di argomentazioni e dibattitti, e i riferimen-ti ai testi erano a volte soltanto portati a sostegno di una certa interpretazione, Anna Maria Ioppolo ha costantemente seguito un metodo inverso: sempre partita dalle fonti, dando pieno risalto alle tensioni e alle sfumature che emergo-no dalla lettura minuziosa di esse, per pervenire, proprio attraverso quella lettura, a conclusioni teoriche pi generali e alla ricostruzione dei dibattiti di scuola e fra scuole, o ancora alla sottolineatura degli sfondi realmente filosofici positivamen-te rintracciabili in et ellenistica e post-ellenistica.

Le fonti, insomma, non hanno mai nei suoi studi una posizione ancillare ri-

spetto allargomentazione, come semplici riferimenti messi a fondo pagina o tra parentesi, ma sono sempre il termine principale di confronto per il lavoro storico-filosofico. Non a caso, alcuni articoli qui raccolti prendono le mosse, fin dal titolo, da una precisa testimonianza antica (soprattutto Cicerone, ma anche Sene-ca, Filodemo, Sesto Empirico, etc.), che viene esplorata nei minimi dettagli, quasi sezionata, usando tutti gli strumenti dellanalisi storico-dottrinale. Questo metodo non mai seguito a scapito dellapprofondimento filosofico, ma si rivela anzi come un modo particolarmente efficace per proporre letture filosoficamente raffinate. Spesso, nelle conversazioni con amici e allievi, Anna Maria Ioppolo ha sostenuto che il cosiddetto metodo analitico e il metodo storico in realt non sono antitetici, ma, se seguiti con rigore da studiosi capaci, possono condurre a risultati simili. Certamente i suoi lavori sono un esempio particolarmente riuscito di un simile connubio e, proprio per questo motivo, mantengono intatta (anzi, persino accresciuta) la loro importanza anche adesso, quando linterpretazione analitica del pensiero antico sembra ormai aver perso la carica di innovazione che aveva qualche decennio fa ed essersi almeno in parte irrigidita, rischiando a volte di diventare un semplice, per quanto sottile e raffinato, esercizio scolastico.

Agli aspetti appena notati si devono aggiungere una curiosit e unapertura intellettuale non comuni, che lhanno condotta a esplorare campi di ricerca poco considerati mettendone in rilievo con successo la portata filosofica: questo il caso, per citare un solo ed eclatante esempio, dellastrologia antica, alla cui rico-struzione ha dedicato contributi importanti e pionieristici. Per tutte queste ragio-ni, i suoi studi sulle filosofie ellenistiche appaiono come un esempio notevole e con pochi paralleli di storiografia insieme erudita, sensibile ai problemi storici e filosoficamente creativa. Senza poter in nessun modo ripercorrerne il contenuto nel dettaglio, ci limiteremo a richiamare sommariamente tre esempi particolar-mente significativi del suo metodo di ricerca.

Premessa 10

Larticolo che apre questa raccolta, pubblicato nel 1994, unestesa ricogni-zione della dottrina stoica della causalit6. , senza alcun dubbio, un tema classi-co negli studi recenti sul pensiero ellenistico, almeno a partire dal fondamentale contributo di Michael Frede nel primo Symposium hellenisticum7. Nella prima parte, Anna Maria Ioppolo si richiama allo studio di Frede sviluppandone le conclusioni, ma anche rivedendole e in parte criticandole. Si trova cos unaccu-rata ricostruzione della dottrina stoica delle cause, delle diverse versioni che ne elaborarono gli esponenti della scuola (Zenone, Crisippo, Posidonio), del suo significato allinterno del sistema stoico (rapporto con le concezioni del fato, del tempo, degli incorporei, con lepistemologia). Questa articolata indagine dottri-nale non per che la prima parte dellarticolo. Nella seconda, contenuta unanalisi accuratissima dei diversi resoconti antichi sulla dottrina, che sono analizzati uno per uno mettendone in luce il carattere proprio e lattendibilit insieme dossografica e teorica. Inoltre, si considera la critica di Carneade alla dottrina stoica e limpatto che essa ebbe sui resoconti pi tardi. Proprio questa lettura minuziosa, un esempio particolarmente riuscito del metodo prima illustra-to, fa da base per unanalisi teoretica raffinata e innovativa. Merita di essere citata la conclusione della lunga sezione dedicata al De fato di Cicerone, nella quale si ricostruisce la posizione di Crisippo e si contesta che la quadripartizione delle cause corrisponda allindividuazione di quattro cause diverse:

[] dalla testimonianza ciceroniana sembrerebbe che Crisippo avesse concepito la dottrina della causalit secondo una dicotomia interno/esterno a cui per non sono ri-conducibili nella quadripartizione delle cause le cause raggruppate a due a due. Infat-ti non sempre la causa principalis una causa interna, come non sempre una causa proxima una causa esterna. Per quanto riguarda la causa perfecta, si visto che non riconducibile ad ununica causa, ma che si riferisce piuttosto allidea di una causali-t che necessita completamente il suo effetto che appartiene, in quanto tale, alla cate-na causale del fato nella sua totalit. La causa adiuvans sembrerebbe corrispondere ad una causa esterna nella misura in cui non riveste il ruolo rilevante nel portare a compimento leffetto che proprio della causa principalis. Sembrerebbe quindi che la quadripartizione delle cause non corrisponda tanto alla individuazione di quattro cause diverse, quanto di quattro modi diversi di esprimere la relazione causale8.

Parimenti originali e chiarificatrici sono le sezioni dedicate ai resoconti nellEpistola 65 di Seneca e negli Stromata di Clemente Alessandrino, lattendi-bilit dei quali messa (almeno in parte) in questione considerando il particolare orientamento filosofico di cui sono espressione. In Seneca si rileva la presenza di un retroterra platonico (proprio del Platonismo a lui contemporaneo), che lo porta ad accentuare lelemento divino nella concezione stoica. Il quadro offerto da Seneca rivela dunque il particolare contesto filosofico imperiale, nel quale

-------------------------------------------- 6 Infra, 17-68. 7 Cfr. Frede 1980. 8 Infra, 46.

Premessa 11

Stoicismo e Medioplatonismo si contendono il primato. La dottrina esposta da Clemente, invece, non sarebbe riconducibile con assoluta fedelt a nessuna sin-gola scuola filosofica, e sarebbe dunque significativa dellorientamento culturale del II secolo d.C. e dello stesso Clemente.

Alle Epistole senecane 94 e 95 dedicato lo studio su decreta e praecepta in

Seneca9. Come accade in molti dei lavori di Anna Maria Ioppolo, lanalisi, anche se limitata a passi specifici e apparentemente circoscritti di questo o quellautore, riesce a uscire dalla prospettiva angusta di un commentario pedante dei verba per avviarsi a individuare una problematica di pi ampio respiro. In questo caso la questione si presenta sin dallinizio come la riflessione sul ruolo e sullo statuto delle norme etiche, cos come pi in generale sulla relazione fra la forma che assume unazione morale e il contenuto che la caratterizza. Sullo sfondo di alcu-ni punti fermi della teoria stoica dellazione, caratterizzati soprattutto dal rappor-to che essa vuole istituire fra le azioni convenienti o kathekonta da una parte e azioni rette/perfette o katorthomata dallaltra e dalla domanda fondamentale sul come sia possibile passare dalle prime alle seconde, Seneca appare riconoscere limportanza decisiva dellinsegnamento e della sua capacit di far conquistare ai nostri comportamenti quella stabilit che sola pu garantire il pieno raggiungi-mento della condizione virtuosa. In questo ambito difficile a definirsi e su cui vasto stato il dibattito fra gli interpreti, la Ioppolo riesce a mostrare come la posizione di Seneca solo apparentemente contraria a quella di uno stoico dalla fisionomia del tutto particolare come Aristone di Chio. Se infatti non possibile rifiutare valore ai praecepta, di cui anzi bisogna piuttosto ammettere lutilit pur nella particolarit limitata dei casi a cui si applicano, nello stesso tempo occorre sottolineare con forza la necessit che essi vengano a integrarsi con la carica di universalit garantita unicamente dai principi o decreta. Insomma, se vero che per Seneca i precetti non possono in alcun modo insegnare il perch, il quare di un determinato comportamento, essi, liberando dalle cattive abitudini, rientrano a pieno titolo in unefficace differenziazione di metodi educativi, fondati anche e utilmente sullindicazione di exempla, pur tenendo sempre bene a mente che la conquista della verit e della positiva attitudine delle nostre intenzioni morali non si ottiene sine decretis, perch come si legge conclusivamente in questo contributo:

il potere normativo spetta solo ai decreta ovvero alla conoscenza della legge raziona-le che governa luniverso10.

-------------------------------------------- 9 Infra, 221-34. 10 Infra, 234.

Premessa 12

Infine, pu essere considerato larticolo sullassenso nella filosofia di Clito-maco11. Questo contributo ci porta direttamente nel clima vivo e vivace di un Symposium hellenisticum, per lesattezza quello romano del 2004; e in quanto tale conserva tutta la forza dello scambio di idee che contraddistingue tali appun-tamenti (come ben mostrano le note, in cui compare lo scambio di idee avuto dallautrice non solo durante quellincontro, ma anche dopo, a distanza e per litteras, con studiosi importanti e a lei legati da sincera amicizia, da Carlos Lvy a David Sedley). Soprattutto, per, questo contributo mostra ancora una volta la scelta di percorrere strade non battute e di provare a raggiungere risultati origina-li, in campi non certo facili da esaminare e spesso segnati da forti contrasti erme-neutici fra gli interpreti. Qui si tratta di rivendicare un ruolo e un profilo peculia-re per un esponente di spicco della tradizione dellAccademia scettica: quel Cli-tomaco che aveva scritto pi di quattrocento libri, ma di cui ci restano solo ma-gri, miserrimi resti, divisi fra le testimonianze non sempre benevole di Cicerone, di Sesto Empirico, di Diogene Laerzio. Lobiettivo di Anna Maria Ioppolo chiaro e chiaramente dichiarato fin dalle prime pagine dellarticolo: se innegabile il ruolo di Clitomaco come testimone privilegiato del pensiero di Carneade e pi in generale come storico della filosofia , altrettanto innegabile il fatto che egli non pu essere ridotto a mero portavoce del verbo carneadeo. Senza tirarsi indietro di fronte al difficile compito ermeneutico di far chiarezza rispetto alla complessa dottrina legata alla contrapposizione gnoseologica prima fra Arcesilao e Zenone e poi rispetto alla classificazione delle rappresentazioni nello stesso Carneade, e soprattutto senza farsi trarre in inganno dalla modalit, non certo neutrale n benevola, con cui Sesto Empirico presenta (o meglio forse frainten-de?) il pithanon carneadeo, che in realt va inteso come mero criterio di condotta e non certo come improponibile criterio di verit, Anna Maria Ioppolo riesce a far emergere una posizione originale di Clitomaco, una sorta di sua terza via fra Arcesilao e lo stesso Carneade, visto che egli, partendo dallakatalepsia di tutte le cose, e quindi dalla constatazione che non esiste nulla a cui il saggio possa dare lassenso, fondava il probabile sullesigenza naturale che la vita non pu essere soppressa12, fornendo dunque una nuova, aggiornata, appunto origi-nale risposta scettico-accademica alle accuse di apraxia, di parte dogmatica e soprattutto stoica, e rendendo ancor pi raffinata la sua posizione grazie a una sottile distinzione terminologica fra adsentiri e adprobare.

Quelli appena richiamati sono solo tre esempi di un modo di studiare la filo-

sofia antica (e, pi in generale, la storia della filosofia) il cui significato, come si cercato di chiarire, va ben al di l delladesione a un orientamento metodologi-co o a una certa scuola storiografica. Fatto non sempre comune, Anna Maria

-------------------------------------------- 11 Infra, 283-307. 12 Infra, 287.

Premessa 13

Ioppolo ha costantemente incoraggiato il dibattito con gli allievi, i collaboratori e i colleghi, nella convinzione che ricevere critiche e obiezioni, se ben fondate e argomentate, non sminuisca affatto la portata di uninterpretazione, ma ne con-fermi invece linteresse e la vitalit. Proprio per questo motivo, la presente rac-colta non affatto rivolta al passato e non intende presentarsi come il bilancio di unattivit di ricerca: essa , piuttosto, un contributo al dibattito storiografico in corso e come tale si vorrebbe che fosse accolta*.

Bruno Centrone Riccardo Chiaradonna Diana Quarantotto Emidio Spinelli

-------------------------------------------- * Un sentito ringraziamento va a Federico Petrucci, che oltre allimpaginazione del volume e a una

sua revisione complessiva ha curato con competenza e precisione lindice dei nomi, lindice delle fonti e la bibliografia.

Parte I

Dottrina delle cause

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana*

I. Introduzione [4491] Offrire un quadro dinsieme della dottrina della causalit per la dura-

ta di un arco di tempo cos ampio non possibile in una trattazione di poche pagine. Mi sembrato opportuno piuttosto affrontare uno degli aspetti pi rile-vanti che caratterizzano questa problematica a partire dal terzo secolo a.C., in quanto segna un cambiamento di prospettiva rispetto allapproccio filosofico precedente: la nozione di causa attiva o efficiente. Questa la nozione di causa che si afferma con lo sviluppo delle scuole mediche e parallelamente in campo filosofico con lo Stoicismo. Allinterazione e allintrecciarsi [4492] di queste due prospettive si deve lelaborazione di una dottrina della causalit che eserciter una notevole influenza nelle epoche successive. Le ragioni filosofiche che hanno con-dotto a porsi in termini nuovi il problema della causa sono illustrate con chiarezza da Seneca.

Nellepistola 65 Seneca affronta il problema della causa secondo le varie scuole filosofiche e distingue la posizione della sua scuola, la stoica, da quella degli altri filosofi, in particolare da quella di Aristotele e di Platone. Stoicis pla-cet unam causam esse, id quod facit (4). Aristotele invece ritiene che causa si dica in tre significati, ipsa materia, opifex, forma, a cui ne aggiunge un quarto, propositum totius operi. E dopo avere illustrato il significato di ciascuna di esse con lesempio classico della statua, Seneca spiega che cos il fine: quod invita-vit artificem, quod ille secutus fecit, che di volta in volta pu essere il denaro, o la reputazione, o il sentimento religioso. E conclude con una domanda: an non putas inter causas facti operis esse numerandum quo remoto factum non esset? (6). A questa domanda Seneca risponde pi avanti (14) negando che il fine possa essere considerato una causa, poich causa in senso stretto soltanto la causa efficiente. Il fine, pur ammettendo che sia una causa, causa accessoria (super-veniens) perch una delle condizioni senza le quali impossibile fare una cosa. Platone ha concepito ancora unaltra causa, il modello, lidea, introducendo cos cinque cause, id ex quo, id a quo, id in quo, id ad quod, id propter quod (8). Ma queste cause o sono troppo numerose, o troppo poche. Infatti se consideriamo cause le condizioni senza le quali non possibile fare qualcosa Platone e Aristo-tele ne hanno introdotto troppo poche, perch non hanno posto tra le cause il

-------------------------------------------- * Anna Maria Ioppolo, Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana, in W. Haase (Hg.),

Aufstieg und Niedergang der rmischen Welt II 37, 7, de Gruyter, Berlin-New York 1994, 4491-4545. Reproduced with permission (courtesy of de Gruyter).

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 18

tempo, lo spazio, il moto, il luogo, etc. Ne hanno invece introdotte troppe se consideriamo il fatto che non hanno saputo individuare la causa reale delle cose, vale a dire, lagente a cui si riconducono la forma e il fine. Non sunt multae et singulae causae, sed ex una pendent, ex ea quae facit (12-13). Seneca conduce quindi una critica radicale al primato che Platone e Aristotele avevano accordato alla causa formale e finale. La forma parte della causa, perch non altro che lartista il quale impone una forma al suo oggetto. N il modello (exemplar) a cui lartista ha guardato nel comporre la sua opera, che Platone ha annoverato tra le cause, causa. Senza il modello lartista non pu operare, ma esso non n parte dellarte n parte della causa, ma semplicemente uno strumento. La concezione che sta alla base della critica di Seneca che non sufficiente che la causa forni-sca una spiegazione di una determinata cosa, ma necessario che essa produca quella cosa attivamente: n la causa formale n la causa finale, concepite da Ari-stotele, rispondono a questa caratteristica. Sembra dunque che Seneca non rico-nosca neanche alla causa motrice di Aristotele di essere causa in senso stretto, dal momento che non direttamente responsabile della produzione della cosa: per attenerci allesempio classico della statua, allarte della scultura che Aristo-tele attribuisce questo potere1.

[4493] Se, a titolo esemplificativo, prendiamo in esame resoconti pi tardi relativi al problema della causalit, emerge la stessa delimitazione che abbiamo trovato in Seneca del concetto di causa a quello di causa attiva come produttrice di qualcosa, mentre sembra rimanere in secondo piano laspetto che considera la causa come la spiegazione di qualcosa.

Sesto Empirico (Pyrrh. yp. III 13-14), illustrando il concetto di causa effi-ciente, sottolinea la dei Dogmatici, che hanno reso impossibile conce-pirla, perch ne hanno fornito nozioni discordanti e contraddittorie.

Alcuni dicono che la causa corpo, altri che incorporea. Sembrerebbe che una causa, comunemente secondo essi2, fosse ci a causa del quale agendo ( ), leffetto si determina, come per esempio, il sole o il calore del sole causa del fatto che la cera si liquefaccia o della liquefazione della cera. Infatti sono in disaccordo anche su questo, poich gli uni dicono che la causa causa degli appellativi, ,

-------------------------------------------- 1 Frede 1980, 218 (=1987b, 126): that it is not the sculptor working on his sculpture who is the

moving cause, but the art of the sculpture. And with the art of the sculpture we have the same pro-blems as with ends, forms, and matter.

2 A proposito dellespressione , Barnes 1983, 197 n.3, rileva come essa sottolinei laccordo che caratterizza la posizione di tutti i Dogmatici riguardo alla causa. Rieth 1933, 138, ritiene invece che lespressione faccia riferimento al significato pi generale di causa distinto da quello proprio, pur rilevando che bedeutet also, da diese Bestimmung nicht auf einzel-ne Schulen beschrnkt sei. Ma nel passo di Sesto non c alcun accenno allopposizione che distingue nella dottrina stoica un significato pi generale ed uno pi ristretto dei termini (un esempio fornito da Diog. Laert. VII in riferimento al concetto di ). invece legittima liden-tificazione proposta da Rieth del significato pi ristretto di causa nellespressione in Clem. Alex. Strom. VIII 9, 25, 5, poich ha qui il valore di in senso primario, ma non poi accettabile lidentificazione da lui proposta con 1 , ma su questo pro-blema, vedi qui n. 62 p. 40 [4515].

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 19

come per esempio della liquefazione, gli altri dei predicati, , come per esempio del liquefarsi.

Secondo un approccio completamente diverso Clemente Alessandrino nel nono capitolo dellottavo libro degli Stromata (26, 1), dedicato alla trattazione del problema della causa, ripartisce anchegli i filosofi tra i sostenitori della tesi che le cause sono corpi e i sostenitori della tesi che le cause sono incorporee. Tuttavia la nozione di causa alla quale tutti si riferiscono ci che in senso pri-mario, , produce qualcosa in modo attuale, . E spiega:

infatti anche noi diciamo che il ferro capace di tagliare non soltanto quando taglia, ma anche quando non taglia. Cos dunque anche ci che produce significa due cose, sia ci che ha gi agito sia ci che non ha ancora agito, ma ha la potenza di agire.

La terminologia impiegata da Clemente di chiara derivazione aristotelica nel-luso di termini quali potenza e atto, ma la prospettiva quella di restringere [4494] il concetto di causa a ci che produce qualcosa in modo attivo, che carat-terizza la problematica stoica della causa3.

In effetti da un esame degli autori che si sono occupati di questo problema, a partire dal terzo secolo a.C. in poi, sembrato di poter rintracciare una preponde-rante influenza dello Stoicismo. Del resto il concetto di causa fortemente coin-volto nel problema del determinismo e della responsabilit morale, che stato uno dei nodi centrali intorno a cui gli Stoici e gli oppositori libertari hanno pi lungamente dibattuto in et ellenistica. E sembra naturale che gli Stoici, pi di chiunque altro, si siano dovuti occupare della definizione di causa e delle sue classificazioni. Tuttavia ad un esame pi approfondito ci si accorge come non sia semplice non solo stabilire quale concezione possa essere effettivamente attribui-ta agli Stoici, ma anche fino a che punto quei resoconti delle fonti pi tarde siano debitori allo Stoicismo o quanto gli abbiano piuttosto prestato. Pertanto neces-sario partire da un esame della nozione stoica di causa per poi analizzare le defi-nizioni presenti negli autori posteriori, in modo da giungere, se possibile, ad un chiarimento del problema.

A questo scopo bisogna analizzare innanzi tutto quelle testimonianze sicu-ramente stoiche, che non possono ragionevolmente essere sospettate di sovrapporre influenze estranee, o per motivi polemici, o per motivi dottrinali. In un primo mo-mento dunque converr attenersi a questo criterio che impone di non prendere in considerazione la maggior parte delle testimonianze superstiti, dal momento che, in larga misura, si tratta di testimonianze polemiche, per poi tentare di coinvolge-re anche queste nella ricostruzione della dottrina stoica della causalit.

-------------------------------------------- 3 Questo passo stato considerato stoico da H. von Arnim che lo ha incluso nella raccolta degli

SVF II 344. Duhot 1988 ritiene che lindiscutibile carattere aristotelico impedisca che possa essere at-tribuito agli Stoici.

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 20

II. La concezione stoica della causalit 1. La definizione di causa

Lunica testimonianza non polemica che ci parla diffusamente del concetto stoico di causa Ario Didimo (apud Stob. I 138, 14 sgg.). Stobeo dopo aver enunciato la posizione riguardo al problema della causalit di Platone, Pitagora e Aristotele, espone il frammento di Ario Didimo che riferisce di seguito la posi-zione di Zenone, Crisippo e Posidonio.

Zenone dice che causa ci a causa del quale ( ), ci di cui causa un attributo (), e la causa corpo, mentre ci di cui causa un predicato (). impossibile che la causa sia [4495] presente e ci di cui causa non esista ( )4. Quello che stato detto ha la seguente forza: causa ci a causa del quale si determina qualcosa, come per esempio a causa della saggezza si determina lessere saggi e a causa dellanima si determina il vivere e a causa della temperanza si deter-mina lessere temperanti. Infatti impossibile che se c per qualcuno la temperanza, non sia temperante, o lanima, non viva, o la saggezza, non sia saggio. Crisippo dice che causa ci a causa del quale e che la causa esistente e corpo [ci di cui causa non n esistente n corpo] e causa perch (), mentre ci di cui causa a causa di qualche cosa ( )5. Egli dice che la spiegazione () il della causa () o il della causa in quanto causa6. Posidonio dice cos: causa di qualcosa ci a causa del quale si determina quella cosa, o il primo agente, o il principio del-lazione; e la causa esistente e corpo, mentre ci di cui causa non n esistente n corpo, ma attributo e predicato.

Ad un primo esame del passo emergono tre aspetti che caratterizzano la con-cezione stoica della causalit e che ritornano, talora in maniera problematica, nel resoconto di altre fonti. Innanzi tutto gli Stoici, da Zenone a Posidonio, condivi-devano la tesi che la causa fosse il , non discostandosi in questo n dal co-mune uso linguistico greco n da quello filosofico, se si pensa che lo stesso Ari-

-------------------------------------------- 4 Traduco con esistere, tenendo presente che qui usato nellaccezione di essere pre-

dicato di un soggetto. In questo significato si dice che un attributo esiste per il soggetto quando pu essere predicato come vero di quel soggetto. Lesempio fornito sempre da un passo di Stob. I 106, 5 (SVF II 509) in cui detto che in quanto predicati soltanto gli attributi esistono, come per es. il passeggiare esiste per me quando passeggio, ma non esiste quando sono sdraiato o seduto. La tradu-zione adottata da Long-Sedley 1987 di con to belong nel passo di Stobeo (= 55 A) (in italiano appartenere) non rende in italiano immediatamente comprensibile il testo. Sullambiguit di e sui suoi significati, cfr. Long 1971b. Inoltre preferisco tradurre con esistere, perch sottolinea la connessione che gli Stoici ponevano tra la causa e leffetto, che non pu che essere espressa da un verbo al presente, in quanto causa e effetto sono contemporanei. Ed noto che per gli Stoici soltanto il presente , esiste, mentre il passato e il futuro , sussistono, cfr. Stob. (SVF II 509).

5 Barnes 1983, 170: There is nothing proprietorially Stoic about that, is the ordinary Greek preposition for expressing causality (cfr. Barnes 1990b, 2668 sgg.).

6 Seguo Frede 1980, 222 (=1987b, 129), nellintendere come spiegazione. Sono stati sollevati dei dubbi se si possa effettivamente attribuire a Crisippo la distinzione tra e , dal momen-to che Gal. Syn. puls. IX 458, 7 K. (SVF II 356) afferma di usare i due termini indifferentemente, cfr. a tal proposito, Hankinson 1987, 90 n.39.

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 21

stotele ha espresso con una delle formulazioni della causa [4496] finale7. Fin qui sembrerebbe che gli Stoici si inseriscano nella tradizione linguistica e filosofica precedente, non certo come innovatori. Ci che invece sorprendente che Zenone consideri leffetto un predicato (). Questo comporta, in base ai presupposti della fisica stoica, che esso non sia un corpo, ma un incorpo-reo e, come tale, non omogeneo alla causa. Leffetto viene cos a far parte della sfera logico linguistica, un , ci che viene ad essere predicato come vero del corpo su cui la causa agisce, ma che distinto dal corpo affetto. Esso dunque non modifica in nulla la struttura sostanziale dell . Infatti poich esso rientra nella dimensione logico-linguistica, un , ma non un . Da questo pun-to di vista esso viene a condividere il modo di realt degli incorporei che quello di sussistere () e non di esistere8. In particolare, facendo parte dei , esso sussiste in relazione ad una rappresentazione razionale, ad un pensie-ro9. Esso cos non si trova ad avere alcuna realt tangibile e il suo modo di realt in dipendenza dagli uomini capaci di esprimerlo in una forma linguistica. Tut-tavia la contraddizione in cui sembra cadere la relazione causa-effetto si risolve se si pensa che gli Stoici distinguevano tra il corpo disposto in un certo stato ( ) e lo stato considerato di per se stesso. Mentre essi consideravano lagire e il patire che si realizza in un corpo come un corpo disposto in un certo modo, consideravano poi questo modo di essere preso di per s come incorporeo poich esprime ci che causato e ci che patito da un corpo10. Intesa quindi in questo senso, la relazione causale di un corpo che agisce su di un altro corpo non pu produrre un corpo, ma qualche cosa di incorporeo, uno stato o un modo di essere di un sostrato gi esistente. Tuttavia la teoria stoica della causalit non riesce ad evitare il paradosso che, pur avendo concepito la causa come corpo, e quindi come efficiente, poich solo i corpi sono capaci di agire e di patire11, tutto ci che poi essa produce non qualcosa di esistente, bens una espressione significa-tiva di un processo che il corpo subisce. Se dunque gli Stoici hanno definito la causa come il , ci a causa del quale, proseguendo una tradizione ben con-solidata, hanno poi attribuito ad esso un contenuto alquanto singolare. Inoltre lulteriore aspetto problematico, che si presenta nella definizione di causa attri-buita a Zenone perch difficilmente [4497] conciliabile con molte delle testimo-

-------------------------------------------- 7 Duhot 1988, 144, rileva come il stoico sia fondamentalmente diverso da quello aristotelico che

designa una causa precisa, quella finale, mentre celui du Portique se semble renvoyer rien dautre qu lui-mme, dans sa tautologie insupportable en franais.

8 Plot. Enn. II 4, 1 (SVF II 320): ; Plut. De comm. not. 30, 1073d (SVF II 525): .

9 Cfr. Sext. Emp. Adv. ath. VIII 70 (SVF II 187) e Diog. Laert. VII 63. 10 Significativa di questa posizione la concezione di Crisippo del passeggiare come

, cfr. Sen. Ep. 113, 23 (SVF II 836). La distinzione tra il corpo Catone che cammina e il predicato incorporeo che esprime lazione di camminare ancora esemplificata da Sen. Ep. 117, 13. Su questo passo cfr. Ioppolo 1990, 445 [infra, 151-2].

11 Cfr. Cic. Varro I 39 (SVF I 90).

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 22

nianze polemiche, lenfasi sulla contemporaneit della causa e delleffetto. Se la relazione causale, in senso stretto, quella che lega secondo uno schema tria-dico, due corpi, la saggezza e il saggio, mediante un predicato incorporeo, essere saggio, che pu essere predicato come vero del saggio, soltanto se, e fino a che, la saggezza presente in lui, la nozione di causa antecedente che compare co-stantemente legata a quella stoica di fato necessita di essere spiegata.

Dalla struttura del passo di Stobeo sembrerebbe che tra i tre scolarchi della Stoa ci fosse un accordo sostanziale sulla definizione di causa e sulla incorporeit delleffetto, stabilita da Zenone, ma che ciascuno di essi abbia posto laccento su differenti aspetti della relazione causale. La posizione di Zenone viene prima enunciata e poi spiegata con una terminologia non perfettamente consona alla sua enunciazione. Infatti la simultaneit tra la causa e leffetto espressa nella frase , , viene poi tradotta nella frase . Mentre nella prima si mette in rilievo che la causa causa dellessere di una cosa, attraverso luso del verbo , che fa riferimento a uno stato che non pu che essere presente, nella seconda usato il verbo , il quale si riferisce ad un processo, a un dive-nire, piuttosto che ad un essere. Com possibile dunque che dopo aver posto lenfasi sulla simultaneit della causa e delleffetto, Zenone spiegasse poi la relazione causale nei termini di un processo di produzione? Si pone quindi il problema di capire se la spiegazione della posizione di Zenone, introdotta dal-lespressione , si possa attribuire allo stesso Zenone, o sia da attribuire a un altro Stoico o allo stesso Ario Didimo. Del resto che questa incongruenza non possa essere dovuta ad una imprecisione verbale ascrivibile allo stesso Zenone confermato dalla polemica di Galeno, come vedremo pi avanti, che differenzia esplicitamente la sua posizione secondo cui 1 causa di una produzione, da quella stoica per cui esso causa di un essere. In tal senso depongono anche gli esempi forniti a sostegno della concezione della causa di Zenone, quali la saggezza, lanima e la temperanza, che illustrano uno stato e non un processo.

Il contributo che Crisippo sembra aver apportato alla trattazione della causa, consisterebbe nella distinzione tra la causa () e la spiegazione della causa (), come discorso sulla verit della causa in quanto tale. Non tuttavia certo che Crisippo abbia operato questa distinzione dal momento che ci sono passi in cui egli usa nel senso di , riferendosi a entit corporee come l 12. possibile che egli non avesse fatto un uso tecnico rigoroso dei due termini, ma si fosse riferito a questa distinzione in un contesto teorico laddove doveva fornire una definizione generale di causa. In quellambito egli potrebbe aver distinto 1- in quanto corpo, dall [4498] in quanto discorso sulla causa, come spie-

-------------------------------------------- 12 Cfr. SVF II 913. Inoltre significativo che in Plut. De Stoic. rep. 47, 1055f (SVF II 994), Crisip-

po si riferisca alla causa come ; su questo punto cfr. Mansfeld 1978, 157.

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 23

gazione della sua verit. Se effettivamente fosse questo il senso della posizione di Crisippo, la distinzione delle cause a lui attribuita da altre fonti troverebbe giusti-ficazione nellinteresse ad indagare la causa non soltanto come diretta responsa-bile dellesistenza di una determinata cosa, ma anche come spiegazione di essa. Infatti una distinzione delle cause possibile se, accanto alla causa efficiente, si vogliono individuare gli altri fattori che concorrono a determinare un determina-to evento, fornendone in tal modo una spiegazione quanto pi possibile esausti-va. Tuttavia la polemica di Posidonio contro Crisippo, a cui rimprovera di non aver voluto indagare le cause delle cose, in particolare le cause della passione, che ricorre con insistenza nel De Hippocratis et Platonis placitis di Galeno, sembrerebbe smentire questo interesse da parte di Crisippo, o quanto meno, ridi-mensionarlo.

Per quanto riguarda Posidonio, sembra che egli ponesse laccento sul fatto che la causa in senso stretto il primo () agente, che si identifica con co-lui che d origine allazione. In questo senso la sua posizione sembra essere bene espressa da Seneca (Ep. 65, 12) che riconduce tutte le cause allunica vera causa efficiente, ratio scilicet faciens, id est deus13. Posidonio si pone dunque in diretta continuit con quanto Zenone aveva teorizzato sulla causa. Zenone nellopera aveva identificato due principi nelluniverso, uno attivo, ci che agi-sce ( ), e uno passivo ( ).

il principio passivo la sostanza spoglia di qualit, cio la materia; quello attivo la ragione che in quella, cio dio. Infatti essendo questo eterno, crea i singoli esseri at-traverso quella14.

Pertanto il principio attivo si pu definire la causa:

la causa, cio la ragione, forma la materia e la volge dovunque voglia, e ne produce le varie creazioni. Ci deve essere quindi un che da cui qualcosa nasca e un che da cui sia fatta. Questo la causa, quello la materia15.

Si pu quindi vedere come Posidonio tenga ad inquadrare la teoria della causalit allinterno dei principi della fisica, fornendone un resoconto molto vicino a quel-lo di Zenone, che non sembra aver individuato una molteplicit di cause, ma per cui la causa una soltanto, ci che agisce.

Poich il carattere del passo di Stobeo quello di fornire una descrizione ge-nerale della causa da parte di vari filosofi, non c alcun accenno a classificazioni o distinzioni delle cause. La dottrina stoica della causa presentata da [4499] un punto di vista logico-semantico e fisico, che rinviano ad alcuni presupposti dot-trinali indispensabili a fondarla.

-------------------------------------------- 13 Cfr. Kidd 1988, 380-4. In particolare Kidd non condivide la tesi di Edelstein secondo cui Posi-

donio avrebbe posto tre cause, riferibili ai tre termini usati nel passo di Ario Didimo, identificandole rispettivamente con la materia, lanimo e dio. I tre termini sono piuttosto alternativi per la stessa causa.

14 Diog. Laert. VII 134 (SVF II 300). 15 Sen. Ep. 65, 2 (SVF II 303); cfr. anche Sext. Emp. Adv. ath. IX 75-6 (SVF II 311).

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 24

2. I principi della fisica

Gli Stoici chiamano esistenti solo i corpi, perch proprio di ci che fare e subire azione16 .

Ogni agente corpo; il principio attivo, chiamato anche causa, corpo. Ma gli Stoici gli danno molti altri nomi, quali Dio, Logos, Pneuma, Natura, etc. Esso inseparabile da quella materia prima che informa e attraverso cui si diffonde, essendo un corpo che attraversa un altro corpo17. La relazione tra il principio attivo e la materia paragonabile a quella del fuoco con il ferro rovente, che formano un tutto unico, cos come il principio attivo forza pneumatica total-mente commista alla materia.

Attraverso il pneuma lintera tenuta insieme, stabile ed simpatetica allin-tero universo18.

Ora secondo Zenone agire possibile soltanto mediante un contatto corporeo, perch assolutamente impossibile che qualcosa di incorporeo possa essere agente di qualcosa, in quanto soltanto un corpo capace di agire e di patire19. In questo senso i principi, attivo e passivo, non possono essere che corporei e sol-tanto essi possono interagire fra loro20. Infatti nessun incorporeo interagisce con un corpo e nessun corpo con un incorporeo, ma un corpo interagisce con un altro corpo21. Anche le cause sono dunque corporee, perch sono correnti di pneuma22. Bisogna dunque tenere presente che la relazione causale si svolge tra corpi che agiscono su altri corpi o in un contatto spaziale tra loro, o attraverso il medium del pneuma23. Infatti le caratteristiche che definiscono un corpo sono lestensione nello spazio e il perdurare nel tempo24. Ne consegue che da un punto di vista on-tologico la legge di causalit deve rispondere alle caratteristiche fisiche dei corpi. E poich lagire e il patire si esplicano attraverso il movimento25, i corpi agisco-no attraverso lurto, la resistenza () e il contatto26. Ci significa che un corpo reagisce quando [4500] affetto da un altro corpo. Di qui la contiguit un attributo essenziale della causalit. E poich il tempo una dimensione del movimento, lazione dei corpi gli uni sugli altri si sussegue nel tempo senza --------------------------------------------

16 Plut. De comm. not. 30, 1073d (SVF II 525). 17 Cfr. Alex. Aphrod. De mixt. 224, 32 (SVF II 310). 18 Ibid. 216, 14 (SVF II 473). 19 Cfr. Cic. Varro I 39 (SVF I 90). 20 Cfr. SVF I 98 e 518. 21 Cfr. SVF I 518 in cui la tesi addotta a sostegno di unargomentazione di Cleante volta a dimo-

strare la corporeit dellanima. 22 Cfr. SVF II 340. 23 Cfr. SVF II 343 e 340 e Sambursky 1959, 53. 24 Cfr. Sext. Emp. Adv. Math. X 7 sgg.; Stob. I 104 (SVF I 93). Per la tridimensionalit, cfr. SVF II

381. 25 Cfr. Simpl. In Arist. cat. 306, 14 (SVF II 497). 26 Cfr. SVF II 343. II concetto di si trova in Cleante, cfr. SVF I 497; su questo argomen-

to, cfr. Mansfeld 1978, 165.

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 25

interruzioni27. Ora, essendo le cause porzioni dellunico principio attivo che pervade luniverso, esse vengono a costituire la trama di tutti gli esseri del co-smo. Tuttavia esse non modificano in nulla la realt fenomenica, in quanto un corpo non pu dare ad un corpo nuove qualit. possibile, invece, che i corpi si penetrino reciprocamente prendendo unestensione comune28. Ci comporta che esistano dei miscugli i cui componenti, pur conservando intatte le loro qualit specifiche, si compenetrino a tal punto da costituire una nuova unit per un pro-cesso fisico denominato . Cos quando il fuoco arroventa il ferro, il ferro non acquisisce sotto lazione del fuoco la qualit di essere caldo, ma si verifica una sorta di miscuglio, per cui il fuoco penetra nel ferro e coesiste con esso in una nuova unit che non pu essere definita n ferro n fuoco. Ci significa che, in virt della 29, n il ferro n il fuoco perdono le loro caratteristiche, ma che il fuoco diventa materiale costituente del ferro incandescente. Tuttavia i corpi non interagiscono soltanto in questo modo, perch ci sono modificazioni che non possono essere considerate nuove realt, n nuovi composti, ma solamente attri-buti. Questo si verifica, per esempio, quando lo scalpello taglia la carne, o il fuoco brucia il legno. Il fatto che lo scalpello tagli la carne non comporta il veni-re allessere di un nuovo corpo, perch in tal caso gli Stoici dovrebbero ammette-re che un corpo, la carne non tagliata, cessa di esistere ed sostituita da un corpo nuovo, la carne tagliata. La conseguenza sarebbe che nessun corpo persiste du-rante il processo, cosicch non si potrebbe neanche dire che c un corpo che ha subito una modificazione30. Quindi il mutamento causato dallo scalpello nella carne non consiste n in una nuova propriet, n nellaver generato una nuova unit composta, ma nellaver causato nella carne un nuovo modo di essere, che espresso in un enunciato. Cos il coltello causa per la carne del fatto che les-sere tagliata predicato come vero di lei. Infatti nella carne che mantiene la sua qualit, viene causato da un punto di vista fisico un movimento, vale a dire, se si considera dal punto di vista delle categorie, un , che pone quel corpo in una nuova relazione rispetto ad altri corpi e al mondo esterno. Leffetto quindi non un nuovo corpo, ma un predicato incorporeo, un , che espri-me il modo di essere di quel corpo. Ora, come ha gi rilevato Frede31, poich gli Stoici hanno inteso le cause come cause dellessere delle cose piuttosto che del loro venire ad essere, gli effetti finiscono per avere una mera funzione descritti-va. In questo senso il venire allessere delle cose deve essere inteso nei termini del [4501] loro essere. Del resto che questa sia la tesi che alla base della conce-zione della causa di Zenone, riportata da Stobeo, risulta dalla relazione causa-effetto, che soltanto di un tipo: causa ci che quando presente leffetto esiste --------------------------------------------

27 Cfr. Stob. I 106, 5 = Arius Didymus fr. 26 Diels (SVF II 509). 28 Cfr. Brhier 1908, 11. 29 Cfr. SVF II 473. 30 Cfr. Long-Sedley 1987, 340. 31 Cfr. Frede 1980, 232 (=1987b, 137).

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 26

in modo necessario. Infatti la presenza della causa necessita la presenza dellef-fetto, n sembra che Zenone abbia preso in considerazione la possibilit di di-stinguere tipi differenti di relazioni tra causa ed effetto. Gli esempi di cause da lui addotti, come la , la , non consentono dubbi sul fatto che egli con-siderasse correlativi causa ed effetto, nel senso che la causa concepibile solo in relazione con leffetto e leffetto con la causa. La vita non concepibile senza lanima n lanima senza la vita, perch nel momento in cui lanima cessa di esistere anche la vita cessa con lei. Il un predicato che appartiene sem-pre a un oggetto qualificato come la , perch la relazione causale con-cepita da Zenone quella che lega una sostanza qualificata ai suoi attributi, che non possono non appartenerle finch essa permane come tale.

Del resto la descrizione della causa fornita da Zenone deriva dalla sua con-cezione delluniverso. Zenone infatti concepiva luniverso come un corpo unico pervaso dal pneuma che lo mantiene coeso attraverso il movimento tensionale. Questo pneuma dio ed fuoco artefice, che si rivolge alla generazione del mondo e che contiene in s le ragioni seminali secondo le quali per predestinazione si generano tutte le cose. Esso dunque lunico vero agente. In quanto pneuma che pervade tutto luniverso, esso prende vari nomi a seconda delle differenze della materia in cui penetrato32. La sua forza di coesione si esercita in tutto luniver-so rendendone solidali le parti e facendone un corpo unico e conferendo coerenza e propriet definite ai singoli corpi33. In questo modo le cose realmente esistenti, i corpi, sono interdipendenti e legati gli uni agli altri da un contatto reciproco in una interazione che li rende simpatetici. Il cosmo dunque un continuum al cui interno non esiste alcun vuoto o interruzione. Ci comporta che il pneuma ad imprimere uno stato definitivo alla materia, costituendo al contempo anche il nesso causale che lega gli stati successivi della materia gli uni agli altri34. Sembra quindi che in un universo cos strutturato non ci sia posto per una causalit di-namica, che si esplica attraverso lazione dei corpi gli uni sugli altri in una suc-cessione per cui quello che precede causa di quello che segue. Infatti il cosmo degli Stoici un organismo perfetto che ha gi definita in s tutta la storia che dovr compiere nello spazio di un ciclo cosmico, dallinizio fino all , per poi ricominciare, e cos allinfinito. Per dar ragione dunque della dinamicit delluniverso non c bisogno di ricorrere a concetti come quello di effetto o di generazione. In questo senso la causa non deve spiegare un processo di genera-zione, ma deve rendere ragione della struttura delle cose. I singoli accadimenti sono gi tutti regolati ab aeterno da una legge inviolabile che il fato.

-------------------------------------------- 32 Cfr. Aetius I 7, 33 (SVF II 1027). 33 Cfr. Sext. Emp. Adv. ath. IX 78-80. 34 Cfr. Sambursky 1959, 36 sgg.

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 27

3. Il fato

[4502] Secondo una famosa definizione di Crisippo,

il fato un certo ordine naturale di tutte le cose che si susseguono e si succedono eter-namente le une alle altre, poich tale interconnessione inviolabile35.

Gi Zenone lo aveva definito come una

che mette in movimento la materia in un certo ordine e allo stesso modo, chiamata alternativamente Provvidenza e Natura36.

Crisippo precisa che 1 del fato 37. In quanto tale, esso movimento tensionale, vale a dire,

un movimento eterno (), continuo () e ordinato ()38.

Esso

la ragione secondo cui sono avvenute le cose passate, avvengono quelle presenti, av-verranno quelle future39.

Lordine dunque nel quale si susseguono le cose che sono lordine delle cose realmente esistenti, vale a dire dei corpi. Se il fato una catena di cause, esso non pu essere altro che una catena di corpi. Tuttavia esso non pu essere conce-pito come una catena di cause ed effetti, poich, in base ai presupposti della fisica, nessun corpo pu essere leffetto di un altro corpo, in quanto leffetto un , e quindi un incorporeo. Ne deriva che nella catena causale ci che precede non pu essere causa di ci che segue, per il semplice fatto che ci che segue un corpo e un corpo non pu essere leffetto di un altro corpo. Le cause, e quindi i corpi, si susseguono gli uni agli altri secondo un ordine e una intercon-nessione inviolabile sancita dal fato. Infatti, come si visto, tutto ci che un corpo, in quanto causa, provoca su un altro corpo non una nuova qualit, ma un movimento che lo pone in una determinata relazione con gli altri corpi.

Ora nelle definizioni di fato attribuite dalle fonti esplicitamente a Crisippo emergono due caratteristiche: il fato rappresenta la naturale, e questo spie-ga perch esso costituisce lordine in cui si susseguono i corpi; il fato un mo-vimento eterno, e questo spiega anche perch esso lunica vera causa efficiente dellordinamento del cosmo. Infatti il cosmo un corpo unitario, costituito non di elementi adiacenti, bens unificato da ununica , come lo [4503] sono i corpi formati in base ad unificazione40. Pertanto la posizione spazio-temporale di un corpo non ne fa automaticamente la causa antecedente di quello che segue, anche se la legge di causalit, operando con i corpi, deve rispondere alle leggi

-------------------------------------------- 35 Gellius VII 2 (SVF II 1000). 36 Aetius I 27, 5 (SVF I 176). 37 Stob. I 79, 1 (SVF II 913). 38 SVF II 916. 39 SVF II 913. 40 Sext. Emp. Adv. ath. IX 78: ; 80: .

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 28

fisiche che li governano. Ma il movimento tensionale del pneuma si distingue da quello di locomozione41, perch si propaga a distanza. Il movimento del pneuma descritto tanto come un movimento verso se stesso e da se stesso, quanto come un movimento simultaneo verso direzioni opposte. Esso ha inizio nel centro del corpo e si estende verso lesterno fino ai suoi margini e ritorna nuovamente al luo-go da cui era partito42. Questo, per esempio, il modo di funzionamento dellege-monico nella percezione visiva. Il pneuma dellocchio compie unazione sullaria allesterno. Questazione, chiamata impatto, colpo (), avviene ad opera del movimento tensionale 43, che permette di toc-care loggetto, spazialmente non contiguo, come per mezzo di un bastone. Ci comporta che allinterno del cosmo, considerato come corpo unitario, la causalit non si esprima come produzione di un processo, ma come forza di coesione e mantenimento di uno stato, ma che nei confronti delle singole parti, a livello dei corpi, essa agisca come un movimento che si svolge nello spazio e nel tempo. Di qui il fato si manifesta secondo una legge per cui ogni evento determinato da uno precedente come sua causa ed a sua volta causa di uno successivo.

Questa posizione secondo cui ogni avvenimento, dal pi eclatante come la rivoluzione di un astro al pi insignificante come il battere di un ciglio, il risul-tato senza eccezione di una causa determinata fa degli Stoici inequivocabilmente dei deterministi. Tuttavia Zenone non sembra pienamente consapevole del pro-blema che la tesi apriva per il problema della responsabi-lit morale. Infatti accanto alle affermazioni che tutto accade ad opera del fato egli sosteneva con forza che lassenso in potere delluomo44. Questo atteggia-mento pu trovare una spiegazione nel fatto che luomo inserito nella concate-nazione delle cause, ma consapevole dellordine in cui egli stesso inserito: questa consapevolezza che si identifica con la piena adesione allordine che go-verna tutto luniverso, che gli permette di accettare volontariamente la legge e nello stesso tempo di realizzare la sua autonomia. Del resto Zenone aveva una visione provvidenziale del fato che gli faceva considerare il cosmo stoico il mi-gliore dei mondi possibili in cui luomo non poteva non realizzare pienamente la sua natura. Infatti egli riteneva che luomo, attraverso lassenso, rimaneva arbitro della propria azione. Che egli non avvertisse la contraddizione tra laffermazione del fato e la pretesa [4504] della responsabilit morale risulta dal fatto che non sembra aver tentato di ricondurre la distinzione delle cose in e a due tipi di causalit diversa. Se la relazione causa-effetto una rela-zione necessaria, nel senso che la causa nel suo concreto operare causa perfetta e sufficiente del suo effetto e tutto determinato da una causa in un regresso al-linfinito, la pretesa zenoniana che qualche cosa sia in potere delluomo unaf---------------------------------------------

41 Cfr. Philo (SVF II 453). 42 Cfr. SVF II 450-3 e Sambursky 1959, 29 sgg. 43 Cfr. SVF II 866 e 864 e Hahm 1978, 84 sgg. 44 Cfr. Cic. Varro 40 (SVF I 61).

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 29

fermazione puramente verbale. L non riconducibile infatti ad una causa di tipo diverso da quelle poste dalla catena causale: in altre parole, nulla in potere delluomo dal momento che tutto determinato da cause fatali perfettamente capaci di necessitare leffetto. Le conseguenze sul piano morale di questa posi-zione non cesseranno di essere messe in luce e rimproverate agli Stoici dagli oppositori libertari.

Dinnanzi alle obiezioni degli avversari e alla impossibilit di stabilire lazio-ne morale Crisippo, come noto, introduce una distinzione delle cause. chiaro quindi che la teoria crisippea della distinzione delle cause nasce soltanto da una istanza etica e non certamente da una nuova impostazione di un problema fisico. Non risulta infatti che Crisippo abbia mutato i presupposti della fisica zenoniana per fare posto ad una differente teoria della causalit. Per Crisippo, cos come era un postulato saldo per Zenone, tutto avviene ad opera del fato e il fato

la causa eterna in virt della quale le cose passate sono avvenute, le presenti avven-gono, le future avverranno45.

Inoltre dato che la causa soltanto quella efficiente, le varie cause possono esse-re distinte a patto di mantenere tutte la connotazione di essere attive: esse posso-no essere tuttal pi modi particolari in cui la forza pneumatica attiva si manife-sta. Pertanto pur riferendosi ad un contesto etico, le varie cause distinte da Cri-sippo devono trovare la loro giustificazione in un contesto fisico.

Orbene una ricostruzione della teoria causale di Crisippo non esente da problemi: in primo luogo le fonti che la riportano si riferiscono prevalentemente allambito morale dal momento che il problema che Crisippo si proponeva di risolvere era quello della responsabilit umana; in secondo luogo si tratta per la maggior parte di fonti ostili, che non riferiscono con obiettivit i termini del pro-blema; in terzo luogo la testimonianza che ci fornisce maggiori informazioni sulla teoria crisippea quella di Cicerone nel De fato, che presenta lulteriore problema della traduzione in lingua latina di una terminologia tecnica, di cui non sempre facile trovare il corrispondente nelle fonti di lingua greca46. Oltre a Cicerone, nel De fato, laltra testimonianza che riferisce una distinzione delle cause esplicita-mente a Crisippo Plutarco nel [4505] cap. 47 del De Stoicorum repugnantiis. Si tratta di vedere come esse si accordino tra loro e come siano conciliabili con le altre testimonianze sulla teoria della causalit attribuita agli Stoici in generale. Inoltre questanalisi si intreccia con lo sviluppo della teoria della causalit in et pi tarda, perch comporta di verificare fino a che punto la teoria che le fonti riportano come stoica possa essere attribuita non solo agli Stoici, ma a Crisippo in particolare, o non sia talvolta influenzata da sviluppi successivi dovuti in par-ticolar modo ai dibattiti medici o allinfluenza di Posidonio. La ricostruzione quin-

-------------------------------------------- 45 Cic. De divin. I 126. 46 Recentemente il problema del numero delle cause individuate da Crisippo nel De fato di Cice-

rone e della loro corrispondenza con la terminologia greca stato ripreso da Grler 1987.

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 30

di della posizione di Crisippo richiede un esame della teoria della causalit presen-te nelle fonti posteriori e una esatta comprensione di questultima impossibile senza aver stabilito quale effettivamente fosse il contributo e i limiti di quella.

III. La testimonianza di Cicerone 1. La distinzione delle cause di Crisippo

Allo scopo di chiarire la distinzione delle cause operata da Crisippo oppor-tuno partire dalla testimonianza pi esauriente, quella di Cicerone, che anche quella pi antica. Nella parte superstite del De fato Cicerone cita Crisippo, dopo aver concluso la discussione della tesi di Posidonio che dalla naturale di tutte le cose, traeva argomenti a favore della causalit fatale47. Egli si propone di rispondere a Crisippo sullo stesso argomento, quello della contagio rerum. Espo-ne quindi la teoria dei climi di Crisippo secondo cui le differenze tra le nature dei luoghi comportano delle differenze nelle predisposizioni naturali degli uomini. Accade cos che

ad Atene laria sottile da cui si crede che gli abitanti dellAttica siano pi acuti, a Tebe laria pesante, onde i Tebani sono ottusi e valorosi. Tuttavia non sar quellaria fina a far s che qualcuno vada ad ascoltare Zenone, invece che Arcesilao, o Teofrasto48.

Nelle nature degli uomini, nati e vissuti nello stesso luogo, ci sono grandi diffe-renze tanto che alcuni preferiscono il dolce, altri lamaro, altri sono inclini al pia-cere, o allira, o alla crudelt:

poich dunque egli dice una natura tanto distante dallaltra, che cosa c da stupir-si che queste dissomiglianze siano provocate da cause diverse (ex differentibus causis esse factas)?

Mentre le propensioni di ciascuno sono determinate da causae naturales et ante-cedentes non lo sono altrettanto le nostre volont e i nostri impulsi, altrimenti si dovrebbe concludere che nulla in nostro potere:

[4506] sebbene infatti si nasca intelligenti o sciocchi, e ugualmente robusti o deboli ad opera di cause antecedenti, tuttavia non segue da ci che sedersi, camminare o com-piere qualche azione sia fissato e stabilito da cause principali (principalibus causis definitum et constitutum)49.

Questi capitoli del De fato non sono esenti da problemi: in primo luogo non chiaro fino a che punto quanto afferma Cicerone possa essere riferito a Crisip-po; in secondo luogo introdotta una distinzione delle cause che sar ripresa negli ultimi capitoli (41-3), ma che non coincide a prima vista esattamente con quella, o meglio vi coincide soltanto in parte. In particolare, gli studiosi non con---------------------------------------------

47 IV 7 (SVF II 950). 48 Con ogni probabilit gli esempi risalgono allo stesso Crisippo dal momento che i filosofi citati

sono o contemporanei o anteriori a Crisippo. 49 V 9 (SVF II 951).

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 31

cordano circa lattribuzione a Crisippo del par. 950. In effetti il par. 9 inizia con una osservazione critica di Cicerone: haec disserens [...] non videt. Sembrerebbe quindi che quanto segue dovesse essere la risposta di Cicerone alla pretesa di Crisippo che le differenze tra gli uomini devono essere ricondotte a cause diver-se. Tuttavia ad un esame pi attento ci si accorge che quanto segue non la ri-sposta di Cicerone perch non esprime il suo punto di vista, n quello che egli oppone alla tesi di Crisippo nel corso del De fato. Infatti non si pu attribuire a Cicerone la tesi che ci siano causae naturales et antecedentes delle nostre pro-pensioni, perch la qualificazione naturales et antecedentes comporta che queste cause siano inerenti alla natura e allordine del mondo51. Del resto una volta am-messe le causae naturales et antecedentes per le nostre predisposizioni non si pu evitare lobiezione che la volont, la disciplina, lesercizio per vincere que-ste predisposizioni presuppongono una predisposizione la quale, in base alla stessa ammissione di Cicerone, dipenderebbe a sua volta da cause naturali e an-tecedenti. Tanto meno questa posizione pu essere attribuita agli Accademici in propria persona, in quanto Carneade oppone con chiarezza alle causae naturales et antecedentes stoiche, le causae fortuito antegressae:

Carneade scende allAccademia; e non certamente senza cause (sine causis). Ma c una differenza tra le cause fortuite (inter causas fortuito antegressas) e le cause che contengono in s una efficacia naturale (inter causas cohibentis in se efficientiam na-turalem)52.

Queste ultime sono quelle che, a causa della eterna concatenazione di tutte le cause, si presentano in natura come tali da determinare in maniera necessaria gli effetti, mentre le cause fortuite non sono insite nellordine naturale, e quindi non dipendono da altre cause antecedenti, ma compaiono in modo [4507] fortuito, rompendo la trama necessaria degli avvenimenti, senza che i loro effetti siano predeterminati e quindi necessari. Inoltre il par. 9 sembra ripetere con altre parole largomentazione del par. 8 che, cos come riportata, non pu non essere attribui-ta a Crisippo. In essa si esclude che le causae naturales et antecedentes possano far s che si preferisca seguire le lezioni di Zenone piuttosto che quelle di Arcesilao o di Teofrasto. Esattamente la stessa affermazione ripetuta nel par. 9, dove si e-sclude che le cause antecedenti possano far s che si cammini piuttosto che si stia seduti. Se quindi si volesse supporre che lammissione dellesistenza delle cause antecedenti fosse assunta da parte di Cicerone per scopi dialettici, le conseguenze implicite in essa vanificherebbero di per s lefficacia dellargomentazione stes-sa. Si aggiunga che Cicerone nel De divinatione53 non incline ad ammettere che le differenze dei climi influiscano sul carattere dei bambini alla nascita, tanto meno

-------------------------------------------- 50 Von Arnim lo ha incluso come fr. 951 degli SVF II. Grler 1987 non ha dubbi sullattribuzione,

mentre, ad esempio, Eisenberger 1979, seguito da Donini 1989, 142, di parere contrario. 51 Cfr. ibid. XII 28-XIV 32. 52 IX 19, cfr. anche XII 28. 53 II 94 e il commento di Pease ad 1oc.

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 32

quindi a considerarle causae naturales et antecedentes, come invece avviene in De fato 9.

Inoltre la risposta di Cicerone seguirebbe alla pretesa di Crisippo che le dif-ferenze di carattere fra gli uomini sono determinate da cause diverse. Poich il punto di vista di Crisippo non riferito sotto forma di una affermazione, ma di una domanda si pu ragionevolmente supporre che questi stesse rispondendo ad una obiezione degli avversari, ponendo a sua volta una domanda. Lobiezione presumibilmente quella che viene rivolta dagli oppositori al par. 40 secondo cui, se tutto avviene ad opera del fato, tutto avviene ad opera di cause antecedenti, le quali non possono non determinare anche le nostre volont e le nostre azioni. Ci comporta che le differenze di carattere fra gli uomini non si possano ricondurre ad una molteplicit di cause, ma ad un unico tipo di cause, la serie di cause antece-denti e fatali. Pertanto ovvio che la distinzione delle cause che Crisippo offriva come risposta alle obiezioni non accontenta gli avversari e una prova il fatto che al par. 9 Cicerone lo rimprovera di non aver capito qua de re agatur et in quo cau-sa consistat. Infatti Crisippo replica insistendo nel ricondurre le azioni umane ad un tipo di causalit diversa, portando numerosi esempi di uomini che hanno saputo vincere i loro difetti e vizi congeniti. Del resto questa posizione sottinten-de la pretesa zenoniana che oggetto di discussione e di polemica da parte degli oppositori libertari: da un lato, lammissione del fato e quindi delle causae natu-rales et antecedentes e, dallaltro, laffermazione che lassenso in nostro pote-re. Sembra quindi che Cicerone stia esponendo proprio la posizione stoica.

Allora se si ammette che Cicerone continui ad esporre la tesi di Crisippo nel par. 9, anche i parr. 10 e 11 debbono essergli attribuiti, dal momento che chiarisco-no in che senso le causae naturales et antecedentes operino soltanto nellambito delle predisposizioni. Infatti tesi stoica che l , la buona disposizione na-turale alla virt, si abbia per natura, ma che anche si possa acquisire con leser-cizio, cosicch si d il caso che coloro mal disposti alla virt fin dalla nascita possano acquistarla attraverso lesercizio e quelli ben [4508] disposti possano perderla54. Inoltre Cicerone conclude lesposizione di questa prima parte, presen-tando a Crisippo limpossibilit di autodeterminarsi si vis et natura fati ex divi-nationis ratione firmabitur (V 11). La minaccia di Cicerone non avrebbe senso se anche Crisippo non avesse condiviso la possibilit che i vizi che si hanno a causa di propensioni naturali non si potessero estirpare attraverso la voluntas.

Allora se i parr. 7-11 possono essere considerati discussione della tesi di Cri-sippo, la distinzione delle cause qui avanzata deve essere in qualche modo ricon-ducibile alla distinzione che Cicerone gli attribuisce nei parr. 41-455. Ci che per

-------------------------------------------- 54 Cfr. SVF III 225 e 366. Per lattribuzione del fr. 366 a Crisippo, sulla base di considerazioni dif-

ferenti, cfr. Dyroff 1897, 202, Croenert 1930, 143, Rieth 1933, 112 n. 4; sul concetto di nello Stoicismo antico, cfr. Ioppolo 1980a, 120-3 e 234-5.

55 Che ci sia una connessione tra questi capitoli inziali del De fato e gli ultimi ammesso dalla maggior parte degli studiosi.

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 33

il momento si pu stabilire che Crisippo distingueva tra le causae naturales et antecedentes e la voluntas, la quale causa che le nostre azioni siano in nostra potestate. Inoltre le causae naturales et antecedentes sembrerebbero essere iden-tificate con le principales (cfr. V 9), mentre non viene detto che tipo di causa la voluntas.

Al par. 39 del De fato Cicerone divide i philosophi veteres in due gruppi, i deterministi, che ritenevano che tutto accade ad opera del fato, cosicch tutto governato dalla necessit, e gli indeterministi che ritenevano che ci sono movi-menti volontari dellanima liberi dalla necessit. Crisippo tenta di adottare una posizione intermedia perch vorrebbe liberare i moti dellanimo dalla necessit. Ma

mentre si serve delle sue parole (dum autem verbis utitur suis), cade in tali difficolt da confermare suo malgrado la necessit del fato.

Quindi Cicerone riporta lobiezione che i filosofi veteres indeterministi rivolge-vano alla dottrina stoica: se tutto accade ad opera del fato, tutto accade per cause antecedenti, cosicch non soltanto gli impulsi, ma anche gli assensi e le azioni non sono in nostro potere. Ne consegue che non sono giuste n le lodi n le puni-zioni.

A questa obiezione Crisippo risponde introducendo la ben nota distinzione delle cause:

Delle cause egli dice alcune sono perfette (perfectae) e principali (principales), altre ausiliarie (adiuvantes) e prossime (proximae). Per questa ragione quando dicia-mo che tutto accade fatalmente per cause antecedenti, non vogliamo intendere per cause perfette e principali, bens per cause ausiliari e prossime. Pertanto a quel-largomentazione che ho esposto poco prima, risponde in questo modo: se tutto acca-de fatalmente, [4509] ne segue anche che tutto accade per cause antecedenti, in verit non per cause principali e perfette, ma ausiliarie e prossime. Se queste non sono in nostro potere, non ne deriva che anche limpulso non sia in nostro potere. Questa conseguenza scaturirebbe se noi dicessimo che tutto accade per cause perfette e prin-cipali, cosicch, non essendo quelle cause in nostro potere, neppure limpulso lo sa-rebbe (XVIII 41).

Sulla validit della risposta di Crisippo alla obiezione degli oppositori liber-tari sono stati versati fiumi di inchiostro, ma non di questo problema, che pure ha occupato gran parte del dibattito filosofico successivo, che interessa ora parla-re, ma dellaspetto che ha influenzato gli sviluppi della dottrina della causalit. Ci che importante stabilire il numero delle cause individuate da Crisippo: si tratta di una quadripartizione o di una bipartizione? E se di una bipartizione, dobbiamo considerare sinonime, in quanto legate da endiadi, perfectae et princi-pales, da un lato, e adiuvantes et proximae, dallaltro? Oppure come recentemen-te ha proposto Grler, si tratterebbe di una quadripartizione in cui le cause sono opposte a due a due, nel senso che perfectae non sinonimo di principales n adiuvantes di proximae: si tratterebbe di una doppia dicotomia e sotto due aspetti

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 34

diversi56. Le causae perfectae sarebbero opposte alle adiuvantes e quelle princi-pales alle proximae, alludendo questultima coppia di cause al fatto che lef-ficienza causale opera da lontano, nel caso delle principales, e da vicino, nel caso delle proximae, alleffetto.

La questione di particolare interesse perch alcune fonti di lingua greca parlano di una quadripartizione di cause, ma non tutte concordano sulla loro de-nominazione e non tutte sul loro numero. Per es., mentre Clemente Alessandrino in un passo degli Stromata (VIII 9 p. 101, 13 = SVF II 351) divide le cause in , , , , Sesto Empirico (Pyrrh. Hyp. III 15) introduce una tripartizione in , , come corrente presso la maggior parte dei Dogmatici del suo tempo. In entrambe le fonti non presente la categoria delle cause , a cui, almeno a prima vista stando al calco terminologico, dovrebbero corrispondere le causae perfectae di Cicerone. Tuttavia sempre Clemente (VIII 9 p. 96 = SVF II 346) riporta la classificazione in quattro attribuendola agli Stoici, ma introducendo una variante rispetto a quel-la sopramenzionata, in quanto al posto dei pone le cause , che non sembra possano essere considerate vere e proprie cause secondo gli Stoici, e include gli dicendoli sinonimi dei . Di contro abbiamo la testimonianza di Seneca, il quale [4510] afferma che per la sua scuola la causa una soltanto, id quod facit, e che tutto ci che, pur concorrendo a pre-parare leffetto, non lo produce direttamente soltanto una condizione necessa-ria, ma non causa.

Si aggiunga che lunica fonte greca che attribuisce esplicitamente una distin-zione delle cause a Crisippo Plutarco nel De Stoicorum repugnantiis (cap. 47), ma in un contesto polemico. Secondo Plutarco Crisippo avrebbe distinto due tipi di cause: le e quelle . La rappresentazione non causa dellassenso, ma semplicemente . Ci compor-ta che essa non lo produce di per s , completamente. Ora poich la rappresentazione fa parte della catena causale del fato, anche il fato non pu essere altro che la causa procatartica dellagire umano. Resta da vedere se las-senso pu essere considerato invece la causa dellazione umana, dal momento che Plutarco si limita a dire che per Crisippo n la rappresentazione, n il fato sono cause perfette dellazione umana, ma non dice neanche che lassenso la causa perfetta. In effetti la causa procatartica ad essere definita in opposi-zione a quella perfetta come quella che non in grado di necessitare lassenso. Ora se vero che lassenso in grado di far s che luomo agisca, questa caratte-

-------------------------------------------- 56 Cfr. Grler 1987, 254 sgg. Del parere che perfectae et principales siano sinonimi Schrder

1989, 209 sgg., che, discutendo la tesi di Grler, oppone il fatto che spesso Cicerone usa pi sinonimi latini di un concetto greco, come accade per es. nel caso di , tradotta da Cicerone con adsensio, adprobatio, e di con species, notio. Cfr. anche Duhot 1988, 170, che pur accusando Cicerone di essere impreciso nel rendere la terminologia greca originale, ritiene che i quattro nomi attribuiti alle cause siano il raddoppiamento per endiadi di due.

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 35

ristica gli conferisce il diritto di essere chiamato causa, ma non quello di essere definito causa , per la quale Plutarco non fornisce esempi57. Infatti Plu-tarco non fa alcun accenno al carattere dellagente, alle sue predisposizioni, che concorrono a determinare lazione, non permettendo cos di stabilire qual la causa perfetta. evidente che linteresse di Plutarco quello di sottolineare la contraddizione in cui cadrebbe Crisippo non ritenendo il fato causa completa del-lagire umano, ma soltanto procatartica, vale a dire, iniziale58.

Infatti la causa iniziale pi debole () di quella perfetta.

Il dilemma in cui si troverebbe Crisippo sarebbe dunque questo:

se il fato causa perfetta di tutte le cose distrugge ci che in nostro potere e ci che volontario ( ), e se una causa iniziale perde il carattere di essere non ostacolato e pienamente efficace (1056d).

Purtroppo lintento di Plutarco quello di mettere in contraddizione la dottrina di Crisippo e non di chiarire la dottrina delle cause delle quali non ci d una [4511] definizione esauriente. Infatti non sembra del tutto persuasivo che Crisippo abbia potuto definire la causa in cui consiste il fato come pi debole, tanto pi che Plutarco non sta riportando una citazione testuale. Tuttavia un dato interessante che si ricava dalla testimonianza di Plutarco che la nozione di - ha un senso se collocato nella prospettiva dellefficacia causale del fato nei confronti degli esseri umani.

Questa posizione trova un riscontro nella divisione delle cause che incon-triamo in Cicerone dove il fato sembrerebbe essere identificato con cause esterne alluomo: Cicerone denomina questo tipo di cause adiuvantes et proximae. A questo punto oltre a risolvere il problema se le causae adiuvantes et proximae siano identiche, importante capire se corrispondano alla causa procatartica di Plutarco. Bisogna inoltre tenere presente che in Cicerone il concetto di fato le-gato costantemente alla nozione di causa antecedente, dal momento che agli Stoici viene attribuita laffermazione

si omnia fato fiunt, omnia causis antecedentibus fiunt (XI 24, XIV 31, XVII 40, XIX 44).

Ora se le causae antecedentes sono le cause fatali e il fato opera attraverso cause adiuvantes et proximae, queste ultime dovrebbero essere identiche a quelle ante-cedentes. E se le cause procatartiche di Plutarco, in quanto sono quelle attraverso cui opera il fato, possono essere identificate con le adiuvantes et proximae di

-------------------------------------------- 57 Grler 1987, 258, ha posto lattenzione sul fatto che gli Stoici non hanno identificato una causa

, ma probabilmente identificavano con essa lazione combinata di pi cause. Schrder 1990a, 9, rileva: zunchst fllt auf, da unter allen Arten von Ursachen [...] allein das nie mit einem Beispiel belegt wird.

58 Frede 1980, 243 n. 6 (=1987b, 369 n. 7): The of something seems to be that in which it has its origin. By contrast, to say of something that it is the or the of something would be to deny that the effect has its origin in it and to say that it precedes that which is the real origin and the source of the effect.

Il concetto di causa nella filosofia ellenistica e romana 36

Cicerone, anchesse dovrebbero essere identiche alle antecedentes. Ma ad un esame pi attento dei significati di queste cause la situazione si presenta meno semplice di quanto appaia a prima vista. Inoltre Crisippo esclude che la propo-sizione tutto accade ad opera del fato debba essere intesa nel senso che tutto accade per cause perfette e principali. Si pone quindi innanzi tutto il problema di identificare anche a che cosa corrispondano le cause perfectae et principales.

2. Le causae perfectae

Partiamo dalla testimonianza di Cicerone. Cicerone non definisce nessuna delle cause, perch, in quel contesto, quello del rapporto del fato e dellazione umana, Crisippo non doveva fornirne una definizione, ma se ne serviva per sot-trarre lassenso delluomo alla necessit fatale, essendo la distinzione delle cause funzionale alla spiegazione delle responsabilit dellazione umana. La rappresen-tazione la causa proxima externa dellassenso, perch questultimo non si ve-rifica se non sollecitato da quella, ma non causa necessaria dellassenso59. Lesempio del cilindro e del cono su un piano inclinato serviva [4512] a Crisippo ad esemplificare questa distinzione: da un lato c un qualunque agente esterno, dallaltro un cilindro e un cono. Lagente corrisponde alla causa proxima exter-na, mentre la natura del cilindro e del cono corrispondono alla causa interna. La spinta impressa dallagente esterno solo la causa iniziale del movimento perch quando ha avuto la spinta

a causa della propria natura, per il resto (quod superest), che il cilindro rotola e il cono volteggia (XVIII 42).

Ci che si pu ricavare dagli esempi addotti da Crisippo che la rappresentazio-ne la causa esterna iniziale del movimento, cos come lo la spinta per il cilin-dro. Ma non si pu concludere che Crisippo abbia identificato nella natura del cilindro o nellassenso la causa perfecta, anche se la tentazione piuttosto forte. Infatti poich la distinzione delle cause deve giustificare la volontariet dellas-senso, dal concetto che lassenso a quello che causa perfecta il passo breve.

Tuttavia ad un esame pi attento del testo di Cicerone, questa identificazione non sembra possibile. La spinta causa iniziale del modo di muoversi dei due

-------------------------------------------- 59 XVIII 42: Non ut illa quidem fieri possit nulla vi extrinsecus excitata necesse est adsensionem

viso commoveri. XIX 43: sed adsensio nostra erit in potestate, eaque, quem ad modum in cylindrum dictum est, extrinsecus pulsa, quod reliquum est, suapte vi et natura movebitur. Secondo Sharples 1981, 95 n.40, Cicerone sarebbe fuorviante perch suggerisce che lo stimolo deve essere sempre esterno, non soltanto con la sua traduzione di con visum, ma anche con extrinsecus. Esistono invece rap-presentazioni che possono sorgere internamente. Tuttavia Sharples non tiene conto che la definizione stoica di rappresentazione enfatizza la sua provenienza e che anche le rappresenta-zioni hanno necessariamente una origine esterna. Inoltre la definizione di Zenone di rappresentazione in Cic. Varro 40 parla inequivocabilmente della rappresentazione come di una spinta porta dallesterno (e quadam quasi impulsione oblata extrinsecus, quam ille , nos visum ap-pellemus licet); sulla dottrina zenoniana della rappresentazione, cfr. Ioppolo 1990, 437 [infra, 141-3].