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IL MISTERO del CANE TAGLIATO IL MISTERO del CANE TAGLIATO STORIA DI UN ENIGMA

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IL MISTEROdel CANE TAGLIATO

IL MISTEROdel CANE TAGLIATO

STORIA DI UN ENIGMA

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Musei Civici VenezianiDirettore Giandomenico Romanelli

DOSSIER PER DOCENTIa cura di Ufficio Attività Educative

responsabile Caterina MarcantoniCristina Gazzola, Chiara Miotto, Gabriele Paglia, Francesca Pederoda

IL MISTERO DEL CANE TAGLIATO STORIA DI UN ENIGMA

ricerca bibliografica e traduzioni Cristina Gazzola e Elisa Longo

coordinamento del progetto Caterina Marcantoni

grafica Fabrizio Berger - Venezia

con il contributo di Venice Foundation

info Musei Civici VenezianiSan Marco 1, 30124 VeneziaTel. +39 0415236830Fax +39 [email protected]

©2008 Opera di proprietà dei Musei Civici VenezianiQualsiasi utilizzo al di fuori dei percorsi didatticidei Musei Civici Veneziani è soggetto ad autorizzazione

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IL MISTERO DEL CANE TAGLIATO

IL MISTERO DEL CANE TAGLIATOSTORIA DI UN ENIGMA

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STORIA DI UN ENIGMAIL MISTERO DEL CANE TAGLIATO

L’aggrovigliata vicenda critica del dipinto èripercorsa cronologicamente, qui di seguito,attraverso uno studio bibliografico che dà contodelle diverse e contrastanti interpretazioni pro-poste a partire dalla metà dell’Ottocento fino aigiorni nostri.Tale dibattito, che ha coinvolto notissimi studiosie storici dell’arte italiani e stranieri, offre un chia-ro esempio delle ambiguità comunicative presen-ti nel linguaggio visivo e delle difficoltà di lettu-ra che si incontrano soprattutto nel passaggio dalpiano iconico a quello iconografico e infine ico-nologico.Nell’attività didattica la lettura dell’opera è offer-ta come un enigma da risolvere, utilizzando ledifferenti interpretazioni proposte per indagarele relazioni di rinvio tra significanti e significatidei messaggi visivi e comprendere come nelleoperazioni di decodificazione delle immagini siaimportante rapportare il loro significato al conte-sto in cui sono state create. In tal senso le fontiletterarie acquistano un rilievo particolare anchenell’aiutarci a svelare il complesso codice simbo-lico del dipinto: un esempio particolarmente effi-cace e illuminante è offerto dal passo diBoccaccio, tratto dal proemio del Decameron, chealleghiamo agli estratti bibliografici che seguono.

Caterina Marcantoni

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1830 Inventario manoscritto della collezione diTeodoro CorrerLa prima notizia del dipinto si trova negli inven-tari manoscritti delle collezioni che il “nobilhomo” Teodoro Correr (Venezia 1750-1830)morendo lasciava a beneficio della città perchévenisse istituito un museo civico. La perizia dellacollezione Correr venne stesa dai pittori AntonioFlorian e Giovanni Carlo Bevilacqua che descris-sero il dipinto come “tavola, rap{presentan}tedue Donne che scherzano con due cani” con unavalutazione pari a 12 lire, cifra assolutamenteirrisoria anche per quell’epoca.Nella casa di Correr era appeso in una delle stan-ze del primo piano accanto alla tavola con leTentazioni di Sant’Antonio del Civetta, al Ritratto difamiglia attribuito a Cesare Vecellio, alla Partenzada Tobiolo attribuita ad Andrea Schiamone.

1852P. Selvatico, V. Lazari, Guida di Venezia e delleisole circonvicine, Venezia, Milano, VeronaUna descrizione del dipinto come facente ormaiparte del Museo Correr compare nella Guida diVenezia e delle isole circonvicine in cui gli autoridefiniscono le due donne come Due giovanimaliarde, interpretazione da cui fiorirà tutta unaletteratura volta a definire lo status sociale delledue donne.

1859 V. Lazari, Notizia delle opere d’arte e d’antichitàdella raccolta Correr, VeneziaE’ ancora il Lazari che nel primo catalogo della

Raccolta di Teodoro Correr descrive il dipinto nelseguente modo: “Vittore Carpaccio. Due giovanidame siedono in un poggiolo, nel più ricco ecurioso costume veneziano del secolo XV; una diloro scherza con due cani; di faccia ad esse unragazzo gioca con un pavone; appo lui, un paiodi pantofole con suola altissima, nel mezzo delpiano un uccello; sul parapetto del poggiolo duecolombe, due vasi di fiori ed un frutto; a sinistrain cartello: Opus uictorjs carpatjo venetj {…}”.

1884J. Ruskin, St. Mark’s Rest. The History forVenice Written for the Help of Few TravellersWho Still Care for Her Monuments, KentColui che per primo parla del dipinto in terminientusiastici decretandone la fortuna critica è JohnRuskin nella sua celebre The History of Venice del1884. Il poliedrico intellettuale lo definisce come“il più bel dipinto del mondo”. Infatti, correg-gendo le valutazioni da lui stesso fatte relativa-mente alla pala di San Zaccaria e alla pala nellasacrestia dei Frari di Giovanni Bellini, entrambedefinite come i migliori dipinti del mondo, affer-ma che “guardando soltanto alla perfezione del-l’esecuzione ed essenzialmente al potere artisticodel disegno, io schiero questo Carpaccio davantia questi come il più bel dipinto del mondo...”Ma ciò che più ci colpisce è la definizione cheRuskin dà della scena: “Il soggetto in questocaso è un semplice studio di vita animale in tuttele sue fasi. Son sicurissimo che tale è il significa-to del dipinto nella mente di Carpaccio. Credoch’egli avrà avuto commissione di fare un ritrat-to di due dame veneziane, che i modelli non gli

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saran finiti col piacere, ma che, credendosi inobbligo di fare del suo meglio, si sarà ingegnatodi contentare perfettamente le due dame e sestesso. Dipinse le loro facce carine e le loro spal-le carine, i loro vestiti carini e gioielli carini, i loromodi carini ed i loro carini compagni di gioco – ecosa potevano volere di più? - Lui stesso segreta-mente avrà riso di loro tutto il tempo e volle chene ridessero anche tutti gli spettatori futuri. Puòdarsi che io mi sbagli nel supporre che il quadrosia un ritratto su commissione. Forse è semplice-mente uno studio per esercizio, dove riunì ognispecie di oggetto che potè ottenere di far starfermo dinnanzi in posa, persuadendo le bellesignore a posare in tutta la loro pompa e a tenertranquilli i loro prediletti, quanto più a lungopotevano. Ed egli attribuiva a questo nuovogruppo di studi il valore di satira contro i vizidella società del tempo. Lo scopo satirico nonpuò essere messo in dubbio un istante da chiconosce l’intonazione generale nella mente delpittore. Questo dipinto è soltanto l’elaborazionedel ben noto simbolo della donna col cane; ma cisono due donne – madre e figlia credo – e sei ani-mali da compagnia, un cane grande, un cane pic-colo, un pappagallo, una pavona, un bambinopiccolo e un vaso di porcellana. La donna piùgiovane siede serena e superba, la testa erettacontro il cielo scuro - la donna più vecchia stagiocando con due cani; al più piccolo, un terrierbianco, sta insegnando a implorare, tenendoloper le zampe con la mano sinistra, mentre con ladestra tiene un esile frustino la cui parte finale éafferrata con la bocca dal cane grande che non hanessuna voglia di mollare: la sua padrona ha

lasciato cadere una lettera su cui il cane ha postola zampa e non ha intenzione di lasciarla racco-gliere dalla donna. Dietro di lui un pappagalloverde, dagli occhi rossi, alza il suo piccolo arti-glio come se non gli piacesse il pavimento dimarmo; quindi, dietro, sono raffigurati unabalaustra di marmo con capitelli dorati, un uccel-lo e un bambino dipinti con un marrone e unrosso brillante. Neppure Hunt o Turner possonosuperare la maestria con cui è dipinto il piumag-gio dell’uccello; neppure Holbein può superarela precisione e neppure eguagliare la luminositàdella porcellana e dei gioielli. Per accentuare ilcarattere satirico dell’insieme un paio di scarpeda donna sono poste in un angolo, di quelle pan-tofole dagli altissimi trampoli che erano l’espres-sione più grossolana e assurda della vanità fem-minile del XV secolo e di quelli a seguire”.

1906G. Ludwig, P. Molmenti, Vittore Carpaccio. Lavita e le opere, MilanoNella prima esauriente monografia dedicata alCarpaccio, i due studiosi leggono il dipinto delCorrer come l’opera che segna per il pittore “ilvolo più alto del suo genio”. Tuttavia, pur rico-noscendo la straordinaria qualità pittorica deldipinto, già elogiata da Ruskin, i due studiosiriprendono l’interpretazione spregiativa delLazzari e del Selvatico. Le due sorelle di Ruskinritornano ad essere due signore non troppo perbene, la cui lascivia traspare “dalla mollezzadella persona e dalla sensualità stanca dellosguardo”. I due critici si soffermano a descrivere, con dovi-

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zia di particolari e con opportuni riferimenti allalingua veneziana, i costumi delle due protagoni-ste: “Il sommo del capo va adorno di un altomazzocchio (coconelo), e i ricci (bisse) dei capellicadono sulla fronte e sulle guancie. Una delledue cortigiane […], col capo eretto fissa lo sguar-do velato nella lontananza, forse attendendo,forse amando o ricordando; l’altra, pur seduta, sichina spensierata a gioucare con un cagnoulobianco, un fox-terrier, che porta al collo un cam-panello, con sonagi da sparovier, come allora sidiceva, mentre con una lunga verghetta stuzzicala bocca di un altro grosso cane di cui non sivedono che la testa e due zampe…”. Tutti questi elementi sono interpretati dai duestudiosi come vezzi alla moda, quasi folcloristi-ci. Così il pappagallo è visto come un “uccelloesotico allora molto in voga, che si portava,come cosa rara, sulle galee mercantili reduci daAlessandria e dal Cairo”.

1912Crowe, G. B. Cavalcaselle, A history of paintingin North ItalyE’ uno sconcertante giudizio quello che nel 1912compare in A history of painting in North Italy incui i due studiosi, dopo aver dato una sinteticadescrizione del soggetto: “Due donne ad un bal-cone, una gioca con i suoi cani; un bambino conun pavone, un paio di pantofole, un uccello e duecolombe sul terrazzino completano il pannello(mt 0,94 di h per 0,64); firmato: “Opus VictorisCarpatio Veneti”, giungono addirittura a definir-lo una “produzione debole, di tono sgradevole”!

1955T. Pignatti, a cura di, Carpaccio, MilanoEd ecco che il Pignatti, nel 1955, definisce ancorail dipinto con il titolo di Cortigiane, confuta l’ipo-tesi che la tavola sia il frammento di un’operaperduta affermando invece che la composizionedella tavola (di cui tuttavia riconosce l’inusualeimpaginazione) è frutto di “una ragionata com-posizione dell’artista”.Lo studioso sottolinea come le due dame sianodue signore che “prendono fresco su una terraz-za veneziana”, magari “durante l’intervallo diuna festa notturna… illuminate dal ‘flash’ di unfotografo mondano.”Ma qui iniziano a sorgere i primi dubbi riguardoalla location in cui si trovano le due signore e ilPignatti si chiede se forse ci sia un significato sot-teso vista la conpresenza di elementi così insoliti:“gli animali curiosi, il paggetto ammiccante, ilvaso con lo stemma”. Punti interrogativi che per-sistono a fianco di una definizione che ancoraparla di una “sensualità ferina... nel silenzio chesa di rimpianto”.

1958G. Fiocco, Carpaccio, NovaraLo studioso riprende in modo sintetico e assaiparziale la lettura di Ruskin: “C’è un largo sorri-so nell’attenzione rivolta alle Cortigiane sull’alta-na, viste in tutta la pompa dei loro vezzi e delleloro ridicole mode; acconciate come idoli, prontea calzare gli alti zoccoli che le faranno apparirepiù aitanti, ma anche tanto incerte nel passo. Queivolti melensi valgono un ritratto di psicologia”.

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1963A. Busiri Vici, Vicenda di un dipinto: la “Cacciain valle”di Vittore Carpaccio, in “Arte antica emoderna”, XXIVRammaricato che, in occasione della mostra diCarpaccio, curata da Pietro Zampetti a PalazzoDucale nel 1963, non fosse stato possibile reperi-re ed esporre la Caccia in valle, ma soprattutto delfatto che la monografia di Fiocco del 1958 nonavesse dato il dovuto rilievo alle notizie sull’ope-ra che lui stesso gli aveva fornito, Busiri Vici sidecide a raccontare la straordinaria scoperta dicui era stato il protagonista un ventennio prima. Correva l’anno 1944, nel giugno Roma era stataliberata e il giovane architetto Busiri Vici girova-gava in bicicletta tra le botteghe antiquarie dellacapitale in cerca di qualche trouvaille. Fu così chel’antiquario Sebasti in via Campo Marzio lo invi-tò a entrare nel suo negozio: “Venga un po’ avedere, architetto, una cosa buffa”. Gli vennepresentata una tavola, resa quasi illeggibile dauna densa patina di sporcizia, ma “allettante perla rara caratteristica della duplice pittura e per isoggetti, ché, mentre da un lato si vedeva unafinestrella dipinta con dei foglietti appesi acavallo di un nastro rigato, dall’altro su alcunebarche degli arcieri cercavano di colpire, pocosportivamente da vicino, degli uccelli le cui testesporgevano dall’acqua... In primo piano appari-va un giglio, sul fondale delle capanne...”.La pulitura del dipinto, affidata all’espertorestauratore Matteucci, fece emergere la qualitàpittorica della tavola e la sua possibile assegna-zione a Vittore Carpaccio. La curiosità di BusiriVici lo spinse non solo a cercare conferme circa

l’attribuzione e la datazione, ma anche a riper-correre la vicenda collezionistica della tavola. Lesue minuziose ricerche lo portarono a scoprireche il pezzo aveva fatto parte dell’importantissi-ma collezione del cardinale Fresch, zio diNapoleone, e che lo stesso Fresch lo aveva por-tato a Roma dalla Francia alla caduta diNapoleone nel 1815. Quando, nel 1845, la colle-zione del cardinale fu messa all’asta, il dipintovenne acquistato dal grande collezionista roma-no, il marchese Gian Paolo Campana e, infine,passò al pronipote Camillo Benucci, che lo affidòall’antiquario Sebasti per la vendita.Sfortunatamente le ricerche, condotte con tantapassione e zelo dal giovane architetto, diederotroppa pubblicità alla sua scoperta, tanto che l’an-tiquario Benucci gli intentò una causa e ottenne larestituzione della tavola. La Caccia in valle sparirà,a questo punto, dall’Italia per riapparire in unacollezione privata in Svizzera e, dal 1972, al GettyMuseum, prima di Malibù, infine, a Los Angeles.

1963C. L. Ragghianti, Vittore Carpaccio in “Selearte9”, fasc. 64Ragghianti per primo avanza l’ipotesi del dipin-to unico tagliato, come dimostra il giglio che fada trait d’union delle due tavole. E’ notevole chelo studioso scorga nello sfondo del dipinto“acqua di laguna” e non cielo, intuizione straor-dinaria che sarà confermata solo più di trent’an-ni dopo grazie al restauro e alle indagini tecnico-scientifiche della tavola. Riguardo alla scena raf-figurata lo studioso afferma che, molto probabil-mente “si tratta di una gita da diporto, e magari

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con donne di Carampane, in attesa pigra sul ter-razzo del ritorno stanco dei cacciatori.”

1963V. Branca, R. Weiss, Carpaccio e l’iconografiadel più grande umanista veneziano (ErmolaoBarbaro), in “Arte Veneta”, XVIII due studiosi non fanno menzione delle tavole inoggetto, ma l’articolo è importante ai fini delnostro discorso in quanto è una delle prime ana-lisi che tende a rovesciare l’immagine diCarpaccio come semplice e vivace cronista dellarealtà sociale veneziana e a considerarlo, al con-trario, pienamente partecipe della cultura umani-stica del suo tempo. Tale prospettiva aprirà lastrada agli studi di carattere iconologico che offri-ranno una lettura diametralmente opposta alleinterpretazioni fin qui esaminate delle Due Dame.

1970T. Pignatti, a cura di, Carpaccio, Brescia E’ significativo come lo stesso Pignatti, nel 1970,venga a rovesciare la sua precedente lettura icono-grafica del soggetto, definendolo, ora, un doppioritratto. Riconoscendo inesatta la definizione diCortigiane, scorge nel dipinto “un senso di rilassa-to abbandono, quasi di profonda malinconia”.

1992F. Polignano, Maliarde e cortigiane: titoli peruna damnatio. Le Dame di Vittore Carpaccio, in“Venezia Cinquecento” Anno II, N. 3La struttura iconologica e l’ermeneutica dellatavola con le Due Dame vengono decodificate dalsaggio di Flavia Polignano che propone due

livelli contestualmente presenti “il piano delreale (vale a dire il ritratto) e quello del simboli-co (tutto ciò che gli sta attorno)”. Il quadro è caratterizzato da una “mutilazioneevidente di tutta una serie di elementi iconogra-fici […] da mettere in relazione con le vicendemateriali della tavola […] tutta l’organizzazionedel codice simbolico sapientemente allestito pro-cede secondo un itinerario mirato […] delinean-do con grande lucidità e chiarezza l’abito moraledella donna. La loggia su cui si attardano ledame non è un bestiario animato, né una stanzadelle meraviglie: oggetti, animali e persone, purfissati nella forzata presentificazione di esseriveri, valgono a proiettarci nell’universo mirabiledi una allegoria matrimoniale minuziosamenteconcertata, che però non manca di funzionarecome ritratto di famiglia”.E’ soprattutto la giovane donna che concentra in séil maggior numero di significati simbolici: “Le suevirtù di sposa promessa appaiono finemente con-catenate in tutti gli elementi figurali che le sonospazialmente più prossimi, allineati sulla balau-stra: una coppia di colombe, l’arancia dorata, i duevasi, contenenti una pianta di mirto, un giglio...”. Immediatamente riconoscibile la valenza simbo-lica dell’arancia dorata definita nelle fonti malusaureus, frutto prelibato e profumatissimo cheaccentua il significato della purezza già delinea-to dalle colombe, rimandando chiaramenteall’iconografia mariana. Il giglio oggi reciso doveva svettare sopra tuttol’insieme: si tratta del lilium convallium qualesegno più evidente della castità della sposa, masoprattutto simbolo supremo dell’Annunciazione

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a Maria. Il giglio è, inoltre, “punto d’incontro tral’allegoria matrimoniale e la scena di caccia”. Inquesto senso, la Polignano lo definisce il ‘gigliodelle valli’ per antonomasia, proprio come vallilagunari sono quelle dove si svolge la scena dicaccia. Anche la pianta di mirto collocata allespalle della sposa promessa è ancora una voltasimbolo coniugale: myrtus coniugalis, come ladefinisce Plinio, pianta sacra a Venere e in questosenso carica di significati allegorici e profani ma,nel contempo, simbolo mariano ancora una volta. Non solo, anche tutto l’abbigliamento delle duedame assume un preciso significato simbolicoche denuncia la profonda cultura del Carpaccio.

1993A. Gentili, F. Polignano, Vittore Carpaccio. Duedame veneziane, in “Carpaccio, Bellini, Tura,Antonello e altri restauri quattrocenteschi dellaPinacoteca del Museo Correr”, catalogo dellamostra (Venezia, Museo Correr, 1993), Milano “Lo spazio dell’attesa è quello spazio femminileper eccellenza, fisico e mentale, che è la dimora,universo chiuso e appartato, in cui tutto il tempoè dedicato al pensiero dominante, all’aspettativache nutre amore. Ma dove sono gli uomini lontani e attesi? Sono acaccia in laguna”. Lo stesso trompe l’oeil sul retrodel dipinto di Malibù richiama il soggetto “lette-re chiamate a riempire il tempo sospeso dellalontananza e dell’attesa”.Per Augusto Gentili inconfutabile è il fatto che sitratti di un ritratto o meglio un doppio ritratto a“canone lungo”, cioè “con le figure intere, sedu-te di profilo” in un atteggiamento che scarta le

regole dell’ufficialità e privilegia le cifre “del-l’identità e dell’intimità”. Il riferimento è pun-tuale e preciso: Gentili richiama le steli funerariegreche dove effettivamente compaiono “donne afigura intera, sedute, di profilo, colte nel momen-to del commiato dai familiari e spesso circondatedi frutti, animali, oggetti simbolici”.Una cultura da erudito quindi quella diCarpaccio, ben lontano dall’immagine di colora-to ‘fumettista’ dell’età contemporanea trasmessafino a pochi anni fa, in realtà profondo conoscito-re della cultura e dei testi classici.

1994V. Sgarbi, Carpaccio, Milano L’interpretazione del soggetto nel suo complessocome facente parte di un unico dipinto è, per lostudioso, ormai inconfutabile tant’è che non piùdi due soggetti - Due Dame e La Caccia in Valle - sipuò parlare, ma di un unico soggetto definibilecome L’attesa. Nella simbiosi tra architettura enatura il dipinto “ricorda, in parte, la SacraConversazione/Allegoria di Giovanni Belliniagli Uffizi”. Riprendendo l’analisi di Polignano edi Gentili è anche riconfermata l’allusione “allecristalline virtù delle matrone: la castità (il fazzo-letto, la collana di perle, il giglio, reciso arbitra-riamente nella divisione dei due pannelli) e lafedeltà coniugale (il mirto, l’arancia, le tortore, ilpappagallo, il pavone femmina, certo anche i cal-cagnini rossi) della più giovane, autentica prota-gonista della figurazione; la vigilanza (il levriero)e il senso della compagnia (il cagnetto ‘da salot-to’) dell’anziana... Forse sua madre per via dellamarcata somiglianza”.

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1995Yvonne Szafran, Carpaccio’s “Hunting on thelagoon”: a new perspective, in “The BurlinhtonMagazine”, Vol. 137, No. 1104 La ricostruzione effettuata dalla studiosa YvonneSzafran in occasione del restauro delle due tavo-le è stata in grado di fornire tutta una serie di det-tagli tecnici di fondamentale importanza.La Caccia in Valle è stata dipinta sulla base di undettagliato progetto preliminare come rivelanogli esami a raggi infrarossi che rendono evidenteun considerevole disegno preparatorio sul frontedel pannello del Getty con, soltanto, minimi cam-biamenti al disegno durante l’esecuzione.Cambi evidenti sono, ad esempio, rilevabili nelleposizioni dei ‘cacciatori’ sulle barche, cambia-menti che, analoghi per modalità esecutive, sonovisibili dall’esame ad infrarossi delle Due Dame eche palesano aggiustamenti nelle posizioni delleteste delle donne e delle collane. Altrettanto significative le osservazioni relativa-mente alla struttura prospettica dei due dipinti:il riflessogramma ha mostrato infatti linee oriz-zontali che recedono visibili nel mezzo dellasezione dedicata all’acqua. Queste sono chiara-mente connesse all’uso, proprio del Carpaccio,del sistema formale della prospettiva. Sono,inoltre, presenti anche alcune frammentarielinee diagonali.Collegando queste con le linee orizzontali è pos-sibile identificare il punto di fuga stabilito daCarpaccio esattamente dietro il bordo sinistro deldipinto. Ed è proprio la posizione del punto difuga a suggerire alla studiosa l’ipotesi che i duedipinti rappresentino, in realtà, solamente metà

della composizione originale (supportato mag-giormente dal frammento di cane levriere pre-sente nel pannello del Correr).Questo venne confermato durante la pulituradel pannello del Getty quando venne scopertauna traccia di una quarta figura sull’imbarcazio-ne di sinistra.Risulta pertanto chiaro come lo schema prospet-tico adottato dal Carpaccio segua il sistemadescritto da Leon Battista Alberti nel De Picturadel 1435: la misura e la disposizione delle figuresono chiaramente collegate alle linee orizzontaliche recedono.Benché la funzione originale dei due dipintirimanga poco chiara, possono essere avanzateosservazioni sulla natura del pannello dalleindagini relative ai pigmenti utilizzati. Le inci-sioni sulla parte sinistra di entrambi i pannelliindicano, infatti, che c’erano dei cardini, piutto-sto che chiavistelli; tali incisioni, i cardini esi-stenti e l’evidenza aggiuntiva della pittura suibordi inducono ad una costruzione a doppiaanta (battente).I pannelli potevano, forse, formare la porta di unpiccolo studiolo, come quello dipinto daCarpaccio in la Visione di Sant’Agostino nellaScuola di San Giorgio degli Schiavoni. Nel dise-gno preliminare di questo dipinto, ora al BritishMuseum, c’è una traversa di porta o striscia dirinforzo sulla parte superiore e inferiore dellaporta dello studiolo e la presenza di una traversaspiegherebbe la mancanza di pittura nella sezio-ne superiore del retro della Caccia in Valle.L’altezza combinata dei due pannelli è di circa170 cm: quanto basta per un piccolo vano di una

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porta. Se, dunque, i pannelli erano porte, la lineaorizzontale sarebbe stata al livello dell’occhio.Tale ipotesi è supportata dal particolare soggettodel trompe l’oeil sul retro della Caccia in Valle: let-tere appese ad un nastro. Un soggetto simile è visibile nella Chiamata di SanMatteo di Carpaccio sempre nella Scuola di SanGiorgio degli Schiavoni con note attaccate al murocon un nastro in un piccolo studiolo esteriore.Dall’interno dello studiolo, con le porte chiuse, iltrompe l’oeil avrebbe costituito una parte integra-le della decorazione interna. La stanza adiacente,altresì, avrebbe mostrato le due donne sul balco-ne con la scena di caccia sullo sfondo (assieme alsoggetto dipinto sul pannello mancante), prov-vedendo già per conto suo ad un trompe l’oeil attoa rendere l’effetto di finestra aperta.Con le porte aperte probabilmente una delle sceneera visibile, o forse soltanto i fianchi dei pannelli(in questo modo si spiegano i bordi dipinti).E’ stato difficile per alcuni critici accettare che laparte superiore delle Due Dame fosse acqua anzi-ché cielo, cosa che è stata rivelata solo dalla puli-tura recente che ha rimosso la pittura d’eccessocon cui i ‘restauratori’ del passato avevano com-pletamente ridipinto l’area in questione.

1999E. M. Dal Pozzolo, Due Dame, Caccia in valle, in“Il Rinascimento a Venezia e la pittura delNord ai tempi di Bellini, Durer, Tiziano”, cata-logo della mostra (Venezia, Palazzo Grassi,1999) MilanoE’ solo in occasione della mostra Il Rinascimento aVenezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini,

Durer, Tiziano tenutasi a Palazzo Grassi nel 1999che i due dipinti, per la prima volta, vengonostraordinariamente ricomposti. Dal Pozzolo, nelsuo saggio, conferma la lettura iconologica dataqualche anno prima da Flavia Polignano e daAugusto Gentili. Egli sottolinea, a propositodelle Due Dame, come “la tavola risulti ridotta dispessore, tagliata in alto, con vari pentimenti econ caratteristiche analoghe a quella americana(nei supporti, nei legni, nella tecnica e nelle trac-ce di cardini a tergo)”. Si tratta molto probabilmente di una delle dueante di una struttura a dittico di cui manchereb-be, chiaramente, il comparto sinistro: “la porta diun piccolo studio umanistico, con le dame visibi-li dall’esterno e la natura morta dall’interno”. Gli oggetti collocati nella terrazza sono simboli-

camente attribuibili a Venere ma anche allaVergine Maria, il giglio indica, senza ombra didubbio, la purezza virginale, concerto rimarcatodalle bianche colombe sotto di esso. Il mirto nel-l’angolo è pianta che nella letteratura classica eradefinita coniugalis e non mancava nei coevi cor-tei nuziali. Quanto agli animali, i due cani segna-lerebbero, attraverso la loro distanza di razza, ledue significanze che per antonomasia sono asso-ciate al cane: la vigilanza e la fedeltà. La femmina di pavone rappresenta la concordiaconiugale e la naturale fecondità sorvegliata dalpudore; il pappagallo capace di salutare Mariacon il suo Ave ma anche di accompagnare vicen-de amorose di vario tipo, perfettamente funzio-nale, in questo contesto, a segnalare i poli oppo-sti del destino femminile e la loro convergenzanell’istituto matrimoniale.

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Evidenti sono poi le forti influenze nordiche,fiamminghe in primis: una cultura di cuiCarpaccio è permeato. E qui Dal Pozzolo ripren-de ciò che Ruskin, più di un secolo prima e constraordinario acume critico, aveva sottolineato:la matrice nordica del soggetto. La concezioneritrattistica delle Due Dame sembra rimandareinevitabilmente ai celeberrimi Coniugi Arnolfinidi Van Eyck. Medesimo è il gusto del dettaglio,il valore simbolico degli oggetti intimi e quoti-diani solo apparentemente disposti in modocasuale nella stanza dei due sposi. L’esempiopiù evidente è rappresentato dalle scarpette: glialtissimi calcagnetti delle due dame veneziane egli affilati zoccoli della sposa fiamminga. Si trat-ta molto probabilmente di una consuetudinenuziale diffusa in tutta Europa e attestata perquest’epoca. Vicino agli echi ponentini è anche il particolaredel trompe l’oeil sul verso della Caccia in Valle chea tutti gli effetti può essere definita “la primanatura morta a noi pervenuta”. Dettagliata e puntale, secondo Dal Pozzolo,anche la descrizione paesaggistica della Caccia inValle: “dalle barche affusolate che solcano lalaguna (denominate fisolere o fisoli) agli uccellicacciati (non folaghe, come si è spesso detto, masvassi piccoli), dai casoni sulle isole arenose consbarramenti per la pesca (le palade) al cieloinvernale su cui si stagliano in volo a sinistra unagru solitaria e a destra una formazione di anatreselvatiche (forse codoni)”. Un chiaro indiziodella committenza ‘nobile’ di questa veduta,basti pensare all’origine del rito delle oselle che ildoge distribuiva ai patrizi veneziani.

2003G. Romanelli, Vittore Carpaccio. Le due dameveneziane, MilanoOltre a fare il punto sulla vicenda critica deldipinto, fondamentale è la ricostruzione del per-corso collezionistico offerta dallo studio diRomanelli. Da questo punto di vista, infatti,misteriosa ed enigmatica appare l’avventura deldipinto per il semplice motivo che prima di per-venire alla raccolta Correr le Due Dame sono cir-condate da un buio assoluto. Il carteggio di Teodoro Correr è andato, infatti,totalmente distrutto e con esso la possibilità diricostruire le vicende precedenti del dipinto:“Troppo compromettenti apparvero ai primi reg-gitori delle collezioni i maneggi e i traffici diCorrer per tollerare che fossero divulgati, tropposcandalose le tracce epistolari che li documenta-vano perché non ne risultasse infangata lamemoria di un così munifico mecenate (“la origi-ne di questo Museo si confonde con un cumulodi estorsioni fraudolente e di usure” scriveva il30 novembre del 1851 al sindaco di Venezia ildirettore Vincenzo Lazari chiedendo - e ottenen-do - l’autorizzazione a bruciare il carteggio)”.L’analisi di Romanelli aggiunge nuovi dati eindizi alla vicenda collezionistica ricostruita daBusiri Vici, percorrendo una nuova pista: l’anali-si del noto catalogo di una collezione venezianadel Settecento, quella appartenuta ai fratelliFrancesco e Bonomo Algarotti. Si tratta di uncatalogo “compilato e pubblicato senza data (maCicogna fa sapere che si tratta del 1780), per inca-rico della figlia di Bonomo Algarotti, da un ancorgiovane Gianantonio Selva (proprio il futuro

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architetto del teatro La Fenice!)”. Così a pagina Vdel capitolo dedicato alla “Descrizione dei qua-dri” si legge: “Carpaccio Vittore, Veneziano. Fiorìunitamente ai Bellini. Caccia di Smergi sull’acquaper mezzo di battelli, diligentemente eseguita. In tavo-la, alto p. 2 onc. 6 ?, l. p. 1. onc. 10”.Non vi possono essere dubbi che si tratti dellaCaccia del Getty: descrizione e figure coincidonoperfettamente”. Sono rilevanti due circostanze: lapresenza in casa Algarotti, innanzi tutto, cosa chenon stupisce visto che Francesco Algarotti era unconoscitore fine e di assodata esperienza, legatostrettamente ad una rete di collezionismo e mer-cato d’arte di dimensioni continentali. In secondoluogo l’assoluta assenza di incertezze attributive:il dipinto è di Vittore Carpaccio, senza ombra didubbio. E questo è, per certi versi, sconcertante,se pensiamo alle difficoltà attributive che tantohanno angustiato i critici novecenteschi. “Poiché non è certo il giovane architetto che sipoteva prendere la libertà di fare una simile attri-buzione, risulta chiaro che egli raccoglieva lanotizia all’interno della famiglia, cioè dalla figliadi Bonomo, la “Nobile Signora Contessa MariaAlgarotti Corniani unica figlia erede del fuSignor Conte Bonomo Algarotti (e dello zio

Francesco notoriamente senza discendenza).Morto Bonomo, a lei era toccata la collezione, dicui aveva deciso (in previsione della venditaall’incanto?) di far compilare il catalogo, dando-ne l’incarico al Selva.Che cosa se ne ricava a questo punto in ordinealla possibile e probabile storia del nostro dipin-to? Alcune certezze, qualche ipotesi e moltedomande.Prima di tutto che esso nel medio Settecento giàera stato tagliato; ma che probabilmente la certez-za dell’attribuzione al Carpaccio del frammentooggi anonimo derivava dal cartiglio delle Dame:gli Algarotti, cioè, avevano conosciuto il dipintounito; ovvero con maggior azzardo ipotetico: ave-vano essi stessi provveduto a tagliarlo? […]Infine, e torniamo alle nostre Due Dame: il primodirettore del neoistituito museo civico venezianocon le collezioni donate dal Correr nel 1830 fuproprio il marito della contessa Maria AlgarottiCorniani, Marc’Antonio. […] Si tratta di un caso? Ovvero Correr aveva avutocommerci, relazioni, traffici con la famigliaAlgarotti così da potersi assicurare opere dalleloro collezioni? Anche le Due Dame? Quando, seil dipinto non compare nel catalogo del Selva?”

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1351G. Boccaccio, Decameron, Proemio, 9-12 “E chi negherà questo, quantunque egli si sia, non molto più alle vaghe donne che gli uomi-ni convenirsi donare? Esse dentro a dilicati petti, temendo e vergognando, tengono l’amo-rose fiamme nascose, le quali quanto più di forza abbian che le palesi coloro il sanno chel’hanno provate: e oltre a ciò, ristrette da voleri, da’ piaceri, da’ comandamenti de’ padri,delle madri, de’ fratelli e de’ mariti, il più del tempo nel piccolo circuito delle loro camere rac-chiuse dimorano e quasi oziose sedendosi, volendo e non volendo in una medesima ora, secorivolgendo diversi pensieri, li quali non è possibile che sempre sieno allegri. E se per queglialcuna malinconia, mossa da focoso disio, sopravine nelle lor menti, in quelle conviene checon grave noia si dimori, se da nuovi ragionamenti non è rimossa: senza che elle sono moltomen forti che gli uomini a sostenere; il che degli innamorati uomini non avviene, sì comenoi possiamo apertamente vedere. Essi, se alcuna malinconia o gravezza di pensieri gliaffligge, hanno molti modi da alleggiare o da passar quello, per ciò che a loro, volendo essi,non manca l’andare a torno, udire e veder molte cose, uccellare, cacciare, pescare, cavalcare,giucare o mercature: dè quali modi ciascuno ha forza di trarre, o in tutto o in parte, l’animoa sé e dal noioso pensiero rimuoverlo almeno per alcuno spazio di tempo, appresso il quale,con un modo o con l’altro, o consolazion sopraviene o diventa la noia minore”.

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4 Vincenzo Lazari, Ordinamento Primitivo della Raccolta del N. U. Teodoro Correr e disegni vari di oggetti conservati nella stessa(Inv. Nr. Ms. Correr 1472), 1859, Biblioteca del Museo Correr, Venezia

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4 Vittore Carpaccio, Due Dame, 1495 circa, Museo Correr, Venezia (a destra, particolare)

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4 Vittore Carpaccio, Caccia in valle, 1495 circa, Paul Getty Museum, Los Angeles

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4 Vittore Carpaccio, Caccia in valle, 1495 circa, Paul Getty Museum, Los Angeles, retro della tavola con trompe l’oeil

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4 Vittore Carpaccio, Due Dame - Caccia in valle,ricomposizione delle due tavole

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4 Schema prospettico e ricostru-zione ipotetica del pannellomancante, tratto da YvonneSzafran, Carpaccio’s “Huntingon the lagoon”: a new perspective,in “The Burlinhton Magazine”,Vol. 137, No. 1104 (Mar., 1995)

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4 Ricostruzione ipotetica dei due pannelli aperti, tratto da Yvonne Szafran, Carpaccio’s “Hunting on the lagoon”: a new perspective,in “The Burlinhton Magazine”, Vol. 137, No. 1104 (Mar., 1995)

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4 Vittore Carpaccio, Sant’Agostino nello studio, 1503, Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone, Venezia

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4 Vittore Carpaccio, Sant’Agostino nello studio, 1503, Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone, Venezia,particolare della porta