Multum in parvo - Architectureinabox · essere un’arte astratta ma solo un’arte figurativa...

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Multum in parvo

L’opera di Paul Klee. Proposta di lettura

Gloria Piccolo

INTRODUZIONE

La lettura dell’opera scelta prende avvio dall’analisi comparata con il testo che

Klee scrisse negli anni dell’insegnamento allo Staatliches Bauhaus di Weimar.

La prima edizione del Pädagogisches Skizzenbuch di Paul Klee venne redatta nel

1924, e apparve come secondo volume della collana Bauhausbücher curata da

Walter Gropius e Laszlo Moholy-Nagy. La bellezza del piccolo manuale è insita

oltre che nei testi, comprendenti i saperi più disparati come musica, anatomia,

scienza dei fluidi, fisica, soprattutto nei disegni del maestro e nell’impaginazione

curata e seguita da Moholy Nagy, assolutamente pionieristica per l’epoca.

Il testo come oggetto stampato risulta quindi il frutto di quella cooperazione unica

tra le diverse arti e i diversi mestieri propria del Bauhaus, scuola in cui tutte le arti

dovevano unirsi in una comune finalità costruttiva.

Le pagine di Klee rappresentano una possibilità di sistematizzazione teorica del

sapere pittorico propria dell’artista e allo stesso tempo una raccolta del materiale

didattico utile agli studenti che, secondo gli intendimenti di Gropius, avrebbero

dovuto sviluppare nei corsi teorici la conoscenza dei principi formali ed espressivi

da utilizzare poi nel lavoro di laboratorio. I suoi disegni, le sue parole, le sue

spiegazioni, perfino le esercitazioni, sembrano partire sempre da elementi primari:

forme primarie, colori primari, forze primarie…

La composizione per Klee, così come lo era anche per Kandinsky, sembra basarsi

su accostamenti, su contrasti e contraddizioni (di colori, di forme) capaci di

determinare una nuova armonia, armonia sulla quale si basa appunto la

composizione.

Crediamo inoltre che nel tentativo di scrivere dei testi teorici di una certa

profondità come il Quaderno di schizzi pedagogici in questione o il libro di

Wassily Kandinsky Punto, linea, superficie1 ci sia la volontà di far capire il

significato reale del termine astratto.

1 Wassily Kandinsky, Punto, linea, superficie, Adelphi, Milano, 1968

Secondo la teoria di Klee, che riguarda la forma e la figurazione2, non ci può

essere un’arte astratta ma solo un’arte figurativa definita come astratta. Quella di

cui lui si occupa è un’arte “concreta” perché parte direttamente dalla concretezza

degli oggetti. Certamente il suo impegno artistico ricerca una rappresentazione più

chiara e più pura del sentimento provocato dall’oggetto (e in questo si avvicina

molto all’amico Kandinsky). Klee parte dall’idea che il pittore può, grazie ai suoi

mezzi pittorici, creare una “seconda realtà”, più completa e più complessa di

quella che l’aspetto visibile offre all’occhio: in immagini ben precise egli fa

risiedere la risposta soggettiva del suo animo. Anche se trasfigurata in puri ritmi

di forme, in Klee, rimane sempre la memoria dell’oggetto. Nonostante la presenza

di una gran quantità di valori grafici che conducono all’ideogramma, la sua opera

è un’espressione linguistica non certo facile che possiamo considerare simbolica,

una sorta di espressione di uno spiritualismo simbolista.

Nelle sue opere esiste anche un riferimento alla natura non come imitazione fedele

delle immagini appartenenti al mondo naturale ma come imitazione dell’atto

creativo, dell’atto generativo, formante, costitutivo di forme, che la natura stessa

è. Qual è allora l’arte davvero “naturalistica”? La convinzione di Klee è che l’arte

astratta è nient’altro che la natura colta nel suo fare, perciò sarebbe secondo lui

più corretto parlare di arte “concreta”. L’arte del Novecento, l’arte

dell’avanguardia storica è sempre un’arte concreta.

Kandinsky trova la validazione dell’arte astratta nel sentimento più che nel

riferimento alla natura come parallelismo tra atti creativi tipico di Klee (secondo

quest’ultimo, nel momento in cui l’artista crea sulla tela le forme, compie un atto

demiurgico).

Wassily conosce bene le difficoltà che l’arte astratta ha incontrato in Russia. Egli

si era preparato all’insegnamento in Russia dove era diventato membro della

sezione artistica del Commissariato del Popolo per l’educazione popolare e

professore all’Accademia di Belle Arti. Nel 1918 fonda l’Istituto per la Cultura

Artistica e nel 1920 viene nominato professore all’Università di Mosca.

È proprio del 1920 l’assai criticato quadro intitolato Quadrato nero del pittore

russo suprematista Kazimir Malevič. “Per suprematismo – scriveva nel 1915 – io

intendo la supremazia della pura sensibilità nell’arte. Dal punto di vista dei

suprematisti, le apparenze esteriori della natura non offrono alcun interesse; solo

2 Paul Klee, Teoria della forma e della figurazione, vol. I-II, Feltrinelli, Milano 1959

la sensibilità è essenziale […]. L’oggetto in sé non significa nulla per il

suprematista. La sensibilità è la sola cosa che conti, ed è per questa via che l’arte

perviene con il suprematismo all’espressione pura senza rappresentazione”.

Secondo Malevič nel passato la sensibilità plastica degli uomini si era sempre

manifestata attraverso precisi riferimenti alle “cose”; a lui sembrava necessario in

quel preciso momento storico emancipare da tali condizionamenti quella stessa

sensibilità, sviluppando una libera ricerca sulla base di composizioni di pure

forme e colori. Egli realizza un’opera provocatoria: essa mostra il grado zero della

rappresentazione, il tentativo disperato di liberare l’arte dal peso inutile

dell’oggetto, sforzo condiviso anche da Kandinsky e da Klee. L’arte di tutti e tre

si propone di operare una trasformazione totale sulla sensibilità degli uomini.

Fig.1 Kazimir Malevič, Quadrato nero (1920 ca)

Olio su tela, 106x106 cm, San Pietroburgo, Museo Russo

Il voler organizzare pensieri, teorie, termini, impressioni, espressioni artistiche in

un testo, come fanno sia Klee che Kandisnky, appare ai nostri occhi come il

tentativo concreto di voler attribuire un valore scientifico all’arte (in particolare

alla pittura): un sapere che anticamente non era degno di far parte né delle arti

liberali, né tanto meno delle arti meccaniche. Per molti secoli l’arte è rimasta

esclusivamente una forma di imitazione e in quanto tale non poteva essere definita

come una forma di conoscenza.

Kandisnky nella prefazione al suo libro del ’23 sente di aver superato questo

momento eterno di stallo sul giudizio dell’arte. Scriverà che “I problemi della

scienza dell’arte, che in una fase iniziale erano stati impostati in un ambito

strettamente e volutamente limitato, oltrepassano, nel corso conseguente del loro

sviluppo, i limiti della pittura, e, infine, i limiti dell’arte in generale3”.

Oltre allo sforzo concreto per legittimare l’arte da entrambi praticata, sia

Kandisnky che Klee si dedicano allo studio dell’uso del colore intimamente legato

a quello della forma.

Klee si divide equamente tra forme e colori. Le sue forme sono ridotte all’osso:

vengono ripetute con leggere variazioni multiple, regalando allo spettatore un

largo ventaglio espressivo all’interno del supporto. Ad accompagnarle sempre il

colore, usato quasi in modo musicale, all’interno di “scale” ascendenti e

discendenti o in mezzo a composizioni basate sul contrasto o sulla

complementarietà. Ogni colore ha per lui un preciso timbro e provoca una

determinata sensazione nell’animo (come in Kandinsky). Il colore ha poi la

funzione di definire lo spazio e di fissare appunto analogie musicali nel suo

contrapporsi e accordarsi: magari fino a sfiorare, anche se in rari casi, i confini

dell’ornamento e persino dell’arabesco. La sua è una poetica che fa uso di una

geometria razionale che tuttavia non rinuncia ad una libertà tutta personale, che

rende vibranti semplici accostamenti di quadratini colorati: quelle sue piccole

superfici, che sono come un mosaico di rettangoli e quadrati cromatici, irregolari,

vivi, capaci di restituire sempre un’esperienza sensoriale.

Fig. 2 Paul Klee, Dream City, 1921;

Acquerello e olio, collezione privata, Torino

3 Wassily Kandinsky, op. cit., pag.3

Nelle sue espressioni pittoriche ritroviamo le tracce delle ricerche di Delaunay per

il colore (al Bauhaus risente sicuramente anche degli insegnamenti di Itten: alcune

volte Klee si sedeva nei banchi degli studenti e ascoltava le lezioni del collega), il

senso del movimento così come lo avevano inteso i Futuristi e la stesura del

colore così come veniva adottata dal Cézanne più maturo, quello della Montaigne

Sainte Victoire. In Cézanne, infatti, il volume trova la propria espressione in una

gamma di tinte, in una serie di macchie: queste macchie si susseguono attraverso

contrasti o analogie a seconda che la forma s’interrompa o continui. Era quello

che gli piaceva chiamare modulare piuttosto che modellare. La loro maniera di

usare il colore è singolare e confrontabile. Entrambi mettono i colori uno dopo

l’altro, senza quasi mescolarli, in modo tale che il lavoro assomigli

concettualmente ad un mosaico; il contorno non è essenziale, arriva solo alla fine,

come un accento aggiunto ad una parola già comprensibile senza. Il contorno

quando c’è, sottolinea e isola la forma già resa percepibile per mezzo del

digradare del colore. In una simile confluenza di sfumature e contrasti cromatici i

piani della prospettiva scompaiono. Il colore si riduce ad una tinta piatta,

bidimensionale che suggerisce un’esperienza, una storia, una figura, una forma

animalesca e non uno spazio o una scena reale.

Forse Klee alla fine sintetizza. Ma sintetizzare non significa necessariamente

semplificare, nel senso di sopprimere alcune parti dell’oggetto: significa

semplificare nel senso di rendere intelligibile. Si tratta di un’operazione di sintesi

in cui allo spettatore si dà una larga possibilità di interpretazione. La soluzione è

contenuta nel quadro solo ad uno stato primitivo che ognuno di noi può elaborare

e rendere propria, personale.

Separazione di sera, 1922

Scheidung Abends

Acquerello e matita su carta, strisce in alto e in basso ad acquerello e penna, su

cartoncino, 33,5 x 23,2 cm

Donazione LK, Klee-Museum, Berna

Le dimensioni di quest’opera ci sorprendono. Spesso compriamo cartoline che

riproducono famosi quadri; ci aspettiamo sempre che la cartolina riproduca la tela

in una dimensione ridotta, che di essa sia un sottomultiplo. Anche sul poster

facciamo lo stesso pensiero di riduzione proporzionale.

In questo caso invece – ma vale anche per molti altri disegni di Paul Klee – la

cartolina risulta essere di poco più piccola dell’originale e il poster risulterebbe

esserne una gigantografia.

Appena 33,5 cm per 23,2. Poco più grande di un foglio per stampante. Un foglio

che contiene quasi tutta l’essenza di un pittore straordinario come Klee.

Facendo un rapido paragone con i quadri di Picasso potremmo avvalorare la tesi

secondo cui Picasso vede il quadro come un muro, mentre Klee lo vede come una

pagina. Le donne contenute in Les Damoiselles d’Avignon così come i soggetti

raffigurati nel quadro intitolato I tre musici, per esempio, sono sovradimensionati,

personaggi di un mondo in cui gli oggetti sono liberati dalle dimensioni reali e

osservati sotto una lente di ingrandimento. Il mondo e i personaggi di Klee invece

sembra vogliano essere osservati dal buco di una serratura in cui tutto, almeno

apparentemente, ci appare più piccolo di quello che è, più vicino ad una

dimensione infantile, dell’essere piccoli insomma. Il suo lavorare in piccoli

formati lo avvicina in un certo senso alla tradizione dei miniatori di codici.

Il titolo Separazione di sera ci appare a prima vista estraneo alla rappresentazione,

anche se il colore ci ricorda un’esperienza sensoriale nota. I colori caldi, ambrati,

ci ricordano il momento del tramonto e i colori più freddi le tinte del cielo limpido

che raffreddandosi lascia spazio al calar della sera. Nel titolo sta la chiave di

lettura del disegno. Senza il titolo saremmo autorizzati ad associare a quella

gamma di colori qualsiasi esperienza personale diversa dal “sopraggiungere della

sera dopo il tramonto”. Il pittore come lo intende Klee, cioè un essere che in modo

quasi divino può estendere l’atto della creazione prolungando la genesi dal

passato al futuro, dipingendo, compie un’azione demiurgica. Per questo motivo il

significato dell’opera non deve essere frainteso, come in questo caso. Il titolo fissa

nell’opera un momento preciso della giornata: l’oggetto in questione è il tempo,

un istante prolungato. Il fatto che al centro ci sia rappresentato un evento

quotidiano osservabile da tutti rende l’opera “democratica”. Ognuno di noi può

vedervi un tramonto, il proprio, può fare riferimento alle tinte del cielo che

sfumando pian piano lasciano il posto alla sera, al buio, alle tenebre.

Il modo di dipingere il passaggio da un colore (associato qui al momento A) ad un

altro (associato al momento B, successivo ad A) trova la sua costruzione teorica

nelle pagine del Pädagogisches Skizzenbuch messo a punto dopo alcuni anni di

insegnamento alla scuola del Bauhaus a Weimar.

Nelle prime pagine del manuale graficamente ben impaginato, Klee espone quali

sono i tipi di articolazione con cui è possibile dividere la superficie di lavoro.

Chiama questi modelli di articolazione i cosiddetti ritmi strutturali, che dipendono

dalla ripetizione della stessa unità nella direzione sinistra-destra oppure alto-

basso. Ci troviamo qui chiaramente nel secondo caso, poiché possiamo leggere –

aiutati e guidati dal simbolo della freccia – un movimento verticale come una

discesa e una salita per esempio, e non uno spostamento orizzontale.

Partendo da questo ritmo semplice Klee approda a ritmi più complessi in cui

l’unità non ha sempre lo stesso peso, ottenendo così delle variazioni all’interno

della ripetizione. Egli sosteneva a prova di ciò che l’irregolarità, intesa come

deviazione dalla norma costruttiva, significa maggiore libertà senza violazione

della legge.

Ed è proprio questo il nostro caso.

Sul foglio di carta in questione Klee sembra dare un peso diverso a elementi

orizzontali che a prima vista appaiono di superficie equivalente. Analizziamo

l’opera scomponendola in componenti geometriche. All’interno di un foglio

rettangolare preso in senso verticale, sono state dipinte undici fasce orizzontali

divise tra colori caldi, in basso, e colori freddi, in alto. L’occhio divide il disegno

perfettamente a metà con una linea ideale che passa per quella fascia più centrale

che è compresa e compressa tra le due frecce. Misurando con maggior precisione

lo spazio attribuito ai diversi colori ci accorgiamo che la metà “ideale” cromatica

non coincide con la metà “reale” del foglio da disegno, posizionata in realtà poco

più sopra, dove la freccia che cade dall’alto già prende forma.

Comprendiamo come l’artista abbia caricato di un peso diverso la parte superiore

e la parte inferiore. I colori freddi, tendenti all’azzurro e al blu nelle loro diverse

tonalità, sembrano prevalere come superficie occupata. Tesi avvalorata dal fatto

che in questo discorso di fasce orizzontali prese come unità della

rappresentazione, la freccia blu-viola che “cade” occupa tre unità (2 di sviluppo +

1 di punta) mentre quella arancio-gialla che “sale” ne occupa solo due (1 di

sviluppo + 1 di punta). La preponderanza dei colori riferibili alla sera, e quindi

alla notte, rispetto a quelli che simbolicamente ricordano il tardo pomeriggio, e

quindi il tramonto, forniscono un metro di misura temporale per i due momenti

della giornata: la sera che si fa notte diventa un evento molto più lungo del

pomeriggio che si fa sera. Le strisce associabili al tramonto sono dunque solo tre e

occupano un terzo della dimensione del quadro, cambiando gradualmente di

colore, da un marrone intenso sul bordo inferiore si passa all’ocra e poi ad un

giallo chiaro, quasi bianco. I restanti due terzi sono dominati da strisce viola il cui

tono di colore forte e scuro in alto diventa sempre più chiaro nelle sette strisce

verso il basso.

L’orizzonte di questo tramonto è ancora riconoscibile, il cielo limpido si è appena

colorato di viola, solo una sottile striscia di luce illumina la terra per presto

dissolversi. Ognuno può associare a questo tramonto il proprio tramonto.

Sempre nel suo Quaderno, Klee spiega come la divisione del foglio in strisce

orizzontali e/o verticali porti a definire la struttura. Si tratta di un sistema di

ripartizione del supporto su cui si dipinge. Esso può contenere somme orizzontali,

verticali e, quando entrambe si combinano, nasce la scacchiera, elemento

geometrico della composizione in cui le due direzioni – verticale e orizzontale –

vivono insieme. Questo quadro è configurato quindi sulla base di una struttura ad

una dimensione (orizzontale).

Per Klee la struttura è un intermedio tra la pura indifferenza del piano e la

differenziazione che la forma realizzata finisce di attuare al di sopra di essa.

Impiega questo modo d organizzare spazio, forme e colori, molto spesso,

rivolgendosi di preferenza alle forme dei pesci.

L’artista genera attraverso il suo intervento una forma che emerge dallo

strutturarsi della materia; egli ricava una forma, un momento, una scena, dalla

struttura sottostante. In altri quadri l’incontrarsi delle due direzioni porta alla

creazione di una griglia individuabile solo dal cambio di colore in cui Klee su uno

sfondo vario ma unitario di quadretti mette in evidenza una croce o un insieme di

croci, sintesi assoluta dell’incontro tra verticale e orizzontale.

Spesso in Klee queste costruzioni che partono da quadrettature o da una serie di

linee generano città immaginarie, o animali fantastici, o scene con personaggi

molto stravaganti, alle quali viene poi dato un nome che è la chiave di lettura e

che permette di cogliere attraverso la parola il significato simbolico della forma

che è venuta generandosi. Come nel nostro caso, la parola ha una funzione

evidenziatrice e rivelatrice di quello che è venuto emergendo dalla struttura e dal

processo di formazione.

Nel quadro del 1929 Strade principali e secondarie Klee riprende alcuni elementi

di rappresentazione utilizzati in Separazione di sera: in particolare l’uso della

linea come rivelatrice di qualcosa.

Egli è appena tornato dall’Egitto (il suo viaggio è del ’28) ed elabora le nuove

impressioni in dipinti fortemente astratti, composti per stratificazioni lineari. Sta

ancora insegnando al Bauhaus e ancora una volta troviamo gli strumenti per la

lettura di un suo quadro nel suo quaderno di schizzi. Alla sezione II.15 intitolata

“bidimensionale” Klee fa riferimento all’uso delle linee parallele in pittura. Egli

spiega come la terza dimensione riferibile allo spazio, possa essere assunta sulla

tela solo in modo apparente. Prende come esempio esplicativo le rotaie del treno e

le rappresenta in modi diversi: quando l’occhio le coglie ortogonalmente, quando

l’occhio le scorge da un differente angolo visuale (caso in cui le traversine

fungono da metro di misura per la progressione prospettica dal punto più vicino al

punto più lontano) e quando l’occhio le vede frontalmente.

Seguendo queste indicazioni Klee realizza il quadro del ’29, aggiungendo alla

componente orizzontale presente in Separazione di sera, quella verticale: le linee

verticali di diversa inclinazione dividono strisce orizzontali di colori differenti di

diversa consistenza formando una rete discontinua. L’inclinazione e la “scala”

formata dalle linee suggeriscono una prospettiva paesaggistica. La verticale, come

secondo elemento bidimensionale sommato all’orizzontale, aggiunge al quadro la

terza dimensione rappresentata prospetticamente.

Fig. 3 Paul Klee, Strade principali e secondarie, 1929 (Hauptwege und Nebenwege)

Olio su tela su cornice di legno, 83,7 x 67,5 cm, Museo Ludwig, Colonia

Anche qui, Klee si pone a servizio dell’energia contenuta nel foglio, della

superficie che richiede di essere riempita, campita in ogni singolo centimetro

quadrato. L’area a disposizione, solitamente piccola perché deve essere colta con

un’unica occhiata nella sua totalità, viene sminuzzata in tante piccole porzioni.

Data la piccolezza il quadro richiede un esame ravvicinato, concentra l’attenzione

visiva in una zona ristretta entro la quale l’occhio può viaggiare con il minimo

sforzo. L’occhio non opera comunque una sintesi istantanea. Per Klee il disegno,

emblematico è il caso di Separazione di sera, è per così dire temporale, o

musicale: i colori gradatamente più scuri o più chiari a seconda del senso,

appaiono come scale di note sempre più acute o sempre più gravi.

La linea è l’altro fattore principale. Raramente la linea di Klee sembra racchiudere

una forma o segnare con decisione un contorno. Nel quadro del ’22 la sua

funzione è quella di accennare la separazione delle diverse cromie e il contorno

delle due frecce: non varia mai in larghezza e colore lungo la sua traiettoria. Nei

suoi quadri ha scarso significato plastico: non forma, non deforma, non plasma;

diventa quasi un segno grafico e nulla più. La linea di Klee conduce, allaccia,

indica, collega, separa. Non aggiunge nessun senso di peso né di massa a ciò che

viene raffigurato.

In Separazione di sera non c’è profondità, non c’è spazio ma tempo. C’è un

quando ma non un dove, o meglio il dove è il posto che appartiene a chi guarda

ricordando il proprio quando. I quadri di Matisse e di Picasso per esempio pur non

rappresentando la tridimensionalità si muovono in uno spazio fisico reale, ricco di

altri eventi e altri oggetti contenuti in esso; Klee abita in una regione più remota,

immaginata e da immaginare.

Il colore è usato come tinta e non come volume. Spesso il timbro del colore usato

conserva in se stesso il riferimento al mondo visibile: un tramonto è arancione, la

notte è blu. Egli risente nell’uso dei colori delle esperienze al Bauhaus, di Itten, di

Kandinsky. Quest’ultimo in Lo spirituale nell’arte analizza i colori in base al

sentimento che possono suscitare nello spettatore, in base alle forze e alle energie

in essi contenute, in base alle coppie di opposti che si possono creare. Il giallo,

secondo Kandinsky per esempio è il colore della terra (nel quadro di Klee

coincide con la parte al di sotto dell’orizzonte) e possiede una forza centrifuga: in

qualità di colore caldo si muove sulla superficie verso lo spettatore, quello freddo

invece, come il blu, opposto al giallo, se ne allontana.

Ecco che analizzare il quadro di Klee del ’22 con gli strumenti forniti dal collega

Kandisky significa attribuirgli anche un senso di profondità spaziale,

immaginando la parte composta da colori caldi più vicina allo spettatore e quella

formata da colori freddi, ovvero dalle gradazioni di blu, più lontana. Le frecce

possono essere immaginate su un piano diverso, parallelo a chi guarda, un piano

contenente i segni grafici di supporto alla lettura del quadro (tanto più che il

colore di entrambe le frecce non corrisponde a quello delle strisce corrispondenti).

Tra gli schizzi contenuti nel suo quaderno, colpisce il disco cromatico spettrale,

contenuto nella sezione IIII.43: il blu è complementare all’arancione e il viola al

giallo così come è riportato in Separazione di sera. Si tratta di uno degli

insegnamenti appresi da Itten al Bauhaus. Si costruisce un disco a settori colorati

capace di rappresentare nel modo più adatto l’essenza dei rapporti tra i colori. Si

creano dei rapporti diametralmente opposti: rosso-verde, giallo-viola, azzurro-

arancione, corrispondenti alle principali coppie complementari. Queste ultime

unite dai diametri, si annullano cromaticamente, svanendo nel grigio in posizione

mediana rispetto al diametro di collegamento tra i due colori (la striscia più

centrale in Separazione di sera è quella che più delle altre si avvicina ad un colore

neutro come il grigio).

L’ultima componente grafica che prendiamo in analisi è la freccia. Qui sdoppiata

e specchiata, usando la linea dell’orizzonte come asse di simmetria. Un asse che,

se osservato attentamente, sembra giacere appunto su un piano inclinato avente il

bordo inferiore più vicino allo spettatore e il bordo superiore più lontano, quasi ad

avvalorare la tesi secondo cui i colori freddi sono in una posizione più distante di

quanto non lo siano quelli caldi.

Klee dedica, a quella che lui chiama la figurazione della freccia diverse pagine del

suo Pädagogisches Skizzenbuch. Secondo lui questo segno grafico, oltre a dare il

senso della dimensione e a suggerire una direzione, rappresenta e indica un

“crescente sviluppo di energia”. E questa straordinaria crecita di energia (in senso

produttivo) o di assunzione di energia (in senso ricettivo) è in connessione

necessaria con la direzione del movimento.

La presenza, in questo caso di due frecce, disegnate con direzioni diverse ed

opposte ci fanno supporre che l’energia prodotta sia uguale all’energia ricevuta.

Nel passaggio dal giorno alla sera non c’è una perdita di energia ma solo una sua

trasformazione.

Con l’uso del colore, di un segno grafico semplice come la freccia e con

un’organica ma semplificata strutturazione della superficie a disposizione (molto

ridotta per di più) Klee riesce a rappresentare un evento cosmico, ripetibile

quotidianamente ed eternamente eppure sempre diverso, universale e allo stesso

tempo intimo e proprio di ogni individuo che ha la fortuna di osservare

quest’opera.

BIBLIOGRAFIA

PAUL KLEE, Quaderno di schizzi pedagogici, Abscondita, Milano, 2002;

WASSILY KANDINSKY, Punto, linea, superficie, Adelphi edizioni, Milano 2007;

WASSILY KANDINSKY, Tutti gli scritti, Feltrinelli, Milano, 1976;

WASSILY KANDINSKY, Lo spirituale nell’arte, SE, Milano, 2005;

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Editoriale, Milano, 1996;

MASSIMO CARRÀ, Spazi, forme, colori, Fògola editore, Torino, 1992;

WERNER HOFMANN, I fondamenti dell’arte moderna, Donzelli editore, Roma,

2003.