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1 ANALISI MATEMATICA (Corso di Laurea in informatica) II MODULO A. Boccuto LIBRI CONSIGLIATI ADAMS: Calcolo differenziale, Vol. I VINTI: Lezioni di Analisi Matematica, Vol. I e II ZWIRNER: Esercizi di Analisi Matematica, Vol. I e II DEMIDOVIČ: Esercizi di Analisi Matematica ) ( sup ) ( inf ] , [ ] , [ 1 1 x f M x f m i i i i x x x i x x x i - - = = v n = ( x i - x i-1 ) m i i=1 n = area figura = - - = n i i i i n M x x w 1 1 ) ( = area figura + area figura corrispondente a v n Figura 1 f ( x ) = 1, per 0, per x [0,1], x x [0,1], x irrazionale razionale Figura 2: funzione di Dirichlet x0a x1 x2 …………………………… xn-1 xnb M2 m3 M1 m2 m1 1 0

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1

ANALISI MATEMATICA (Corso di Laurea in informatica)

II MODULO A. Boccuto

LIBRI CONSIGLIATI

ADAMS: Calcolo differenziale, Vol. I VINTI: Lezioni di Analisi Matematica, Vol. I e II ZWIRNER: Esercizi di Analisi Matematica, Vol. I e II DEMIDOVIČ: Esercizi di Analisi Matematica

)(sup

)(inf

],[

],[

1

1

xfM

xfm

ii

ii

xxxi

xxxi

=

=

vn = (x i − x i−1)mi

i=1

n

∑ = area figura

∑=

−−=n

i

iiin Mxxw1

1)( = area figura

+ area figura corrispondente a vn

Figura 1

f (x) =1, per

0, per

x ∈ [0,1],x

x ∈ [0,1],x

irrazionale

razionale

Figura 2: funzione di Dirichlet

x0≡a x1 x2 …………………………… xn-1 xn≡b

M2 m3 M1 m2

m1

1 0

2

Sia f : [a, b]→ R , f limitata. Con riferimento al disegno della Figura 1, dividiamo l’intervallo [a, b] in n parti uguali, e siano :

vn = (x i − x i−1)mi

i=1

n

∑ ,

wn = (x i − x i−1)M i

i=1

n

∑ ,

ove mi = inf

x∈[xi −1 ,x i ]f (x) , M i = sup

x ∈[xi −1 ,xi ]f (x) .

Chiameremo integrale inferiore di f il numero I1 = lim

n →+∞vn , integrale superiore di f il numero

I2 = limn →+∞

wn .

Per costruzione, avremo I1 ≤ I2 e ci sono dei casi in cui I1 < I2. Una funzione f : [a, b]→ R, limitata, la si dice integrabile (alla Riemann o alla Mengoli-Cauchy) se I1 = I2, cioè se il suo integrale inferiore coincide con il suo integrale superiore. Nel caso della FUNZIONE DI DIRICHLET (figura 2) avremo I1 = 0, I2 =1, e quindi questa funzione, pur essendo limitata, non è integrabile alla Riemann. Il valore comune I1 = I2 lo si indica

con il simbolo f (x)a

b

∫ dx o fa

b

∫ dx .

Vediamo ora (senza dimostrazione) quali sono le classi di funzioni integrabili (cioè alcune condizioni SUFFICIENTI affinché f : [a, b] → R sia integrabile).

1) Se f : [a, b] → R è monotona, allora f è integrabile (alla Riemann). 2) Se f : [a, b] → R è continua, oppure è limitata ed ha un numero finito di punti di

discontinuità, oppure è limitata ed ha un’infinità numerabile di punti di discontinuità, allora f è integrabile.

3) Se f : [a, b]→ R è discontinua in TUTTI i punti, allora f non è integrabile (alla Riemann). Vediamo alcune proprietà dell’integrale alla Riemann (senza dimostrazione).

a) Se f : [a, b]→ R è integrabile alla Riemann, allora f è limitata. L’integrale alla Riemann non viene neppure definito per funzioni illimitate (tra l’altro, le quantità mi ed Mi di cui nella Figura 1 potrebbero non esistere in R e quindi tutta la costruzione fatta potrebbe non avere senso).

b) Se f1, f2 : [a, b]→ R sono integrabili alla Riemann, allora anche f1 + f2 è integrabile alla

Riemann, e risulta essere: ( f1 + f2)dx = f1dxa

b

∫ + f2dxa

b

∫a

b

∫ .

c) Se f : [a, b]→ R è integrabile alla Riemann ed α ∈ R, allora anche α f è integrabile alla

Riemann e si ha: (αf )dx = α fa

b

∫a

b

∫ dx .

d) Se f1, f2 : [a, b]→ R sono integrabili alla Riemann, allora anche f1 ⋅ f2 è integrabile alla Riemann (ma non è detto che “l’integrale del prodotto sia uguale al prodotto degli integrali”!!).

e) Se f1: [a, b]→ R è integrabile alla Riemann ed f2: [a, b]→ R è tale che differisce da f1 solo in un numero finito di punti, allora f2 è anch’essa integrabile alla Riemann, e i due integrali coincidono.

3

f) Se f : [a, b]→ R è integrabile alla Riemann, allora lo è anche | f |, e si ha:

f (x)dxa

b

∫ ≤ f (x) dxa

b

∫ .

Inoltre, se | f | è integrabile alla Riemann, non è detto che f lo sia: basta pensare alla funzione di Dirichlet definita ponendo

f (x) =−1, per

1, per

x ∈ [0,1]∩ Q,

x ∈ [0,1]∩ (IR \ Q).

Essa non è integrabile alla Riemann (i suoi punti sono tutti quanti punti di discontinuità), ma | f (x)| = 1 ∀ x∈[0,1], quindi | f | è integrabile alla Riemann. Ripensando al significato geometrico dell’integrale di una funzione positiva e integrabile alla Riemann (integrale = area della figura delimitata: dalla curva y = f (x) avente estremi (a, f (a)) e (b, f (b)), dall’asse x e dalle rette x = a e x = b ), si può far vedere che, ∀ k≥0,

kdxa

b

∫ = k(b − a) (vedi anche Figura 1).

Si può vedere che anche per k < 0 risulta ka

b

∫ dx = k(b − a) . Se f è “completamente”

negativa, allora l’integrale alla Riemann fa

b

∫ dx è uguale all’area di cui sopra ma “cambiata

di segno”: infatti l’area è sempre definita positiva, mentre l’integrale di una funzione negativa o nulla è negativo o nullo; invece l’integrale di una funzione positiva o nulla è positivo o nullo.

g) Se f1 ≤ f2, allora f1dx

a

b

∫ ≤ f2dxa

b

∫ , ammesso che f1, f2: [a, b]→ R siano integrabili alla

Riemann. In particolare, se f : [a, b]→ R è integrabile alla Riemann, allora, se f ≥ 0, si avrà

f (x)a

b

∫ dx ≥ 0; mentre, se f ≤ 0, si avrà f (x)a

b

∫ dx ≤ 0 .

a b

k

a b

4

h) (Teorema senza dimostrazione) Se f : [a, b]→ R è continua, f (x) ≥ 0 ∀ x ∈[a, b] ed ∃ x’ ∈

[a, b] tale che f (x’)>0, allora f (x)dxa

b

∫ > 0 (strettamente positivo).

Durante il corso proveremo alcuni fondamentali teoremi sull’integrale (alla Riemann), tra cui il teorema della media, quello di Torricelli – Barrow (che afferma che ogni funzione continua f : [a, b]→ R ammette primitive in [a, b]) e la Formula Fondamentale del Calcolo Integrale. i) (Senza dimostrazione) Se f : [a, b]→ R è integrabile in [a, b], allora f è integrabile in ogni

sottointervallo [c,d] di [a,b]; ed inoltre, se a < c < b, si ha

f (x)a

b

∫ dx = f (x)a

c

∫ dx + f (x)c

b

∫ dx .

j) (Senza dimostrazione) Se a < c < b, ed f : [a, b]→ R, limitata, è integrabile sia in [a,c] sia in

[c,b], allora f è integrabile anche in [a, b] e risulta essere

f (x)a

b

∫ dx = f (x)a

c

∫ dx + f (x)c

b

∫ dx .

k) LA FUNZIONE INTEGRALE

Sia f : [a, b]→ R una funzione integrabile. Allora f è integrabile in ogni intervallo del tipo [a,x], con a ≤ x ≤ b. Definiamo la funzione integrale F associata ad f ponendo:

F(x) = f (t)a

x

∫ dt , con la convenzione f (t)a

a

∫ dt = 0 .

N.B.: Se a>b, porremo f (x)a

b

∫ dx = − f (x)b

a

∫ dx (sempre per convenzione).

L’integrale alla Riemann, in letteratura, si chiama INTEGRALE DEFINITO (per distinguerlo dall’integrale indefinito che introdurremo tra poco). Definizione: Data una funzione f :I → R (ove I ⊂ R è un intervallo o una semiretta o tutto R), non necessariamente limitata, si chiama integrale indefinito di f su I la classe delle primitive di f su I, ammesso che esistano. Esempio: Sia I = R, ed f (x) = cos x. Una primitiva di f , in R, è: P(x)=sin x, in quanto D(sin x) = cos x. Poiché, in un intervallo o semiretta o tutto R, “due primitive differiscono per una costante”, allora la classe delle primitive di f è data da sin x + c. In simboli matematici, si scriverà

a x’ b

5

cos x∫ dx = sin x + c .

Si può anche parlare dell’integrale indefinito per funzioni definite su un insieme che è l’unione di un numero finito di semirette e/o intervalli a 2 a 2 disgiunti, ma bisogna fare qualche considerazione. Vediamo direttamente con un esempio.

Sia f : R\{0} = ] −∞, 0 [ ∪ ] 0, +∞ [, definita ponendo f (x) =1

x. Una primitiva di f , in R\{0}, sarà

P(x) = log |x| . Due primitive, in un intervallo o semiretta o tutto R, differiscono per una costante (Questo non vale esattamente così in un insieme “bucato”, quale è R\{0}). Quindi: in ] −∞, 0 [ due primitive differiscono per una costante c1; mentre in ] 0, +∞ [ due primitive differiscono per una costante c2 (in generale, non è detto che c1 e c2 siano la stessa costante). Quindi

l’integrale indefinito di f (x) =1

x sarà dato da

c1 al variare di c1 e c2 ∈ R log |x| + c1 si riferisce a] −∞, 0 [, c2 c2 si riferisce a] 0, +∞ [. Per esempio, una primitiva sarà

P(x) =log(−x) + 91

log x + 5

per

per

x ∈] − ∞,0[,

x ∈]0,+∞[.

Però, in questi casi, per “semplificare”, in letteratura si dice comunque che l’integrale indefinito di 1

x è dato da log |x| + c (anche se, in questo caso, è una scrittura impropria), cioè

1

xdx∫ = log x + c .

Adesso vedremo come si calcolano gli integrali indefiniti e poi anche quelli definiti. Innanzi tutto, dalla tabella fondamentale delle derivate si può ricavare quella fondamentale degli integrali, per esempio:

xαdx∫ =x

α +1

α +1+ c , per α ≠ −1

1

xdx∫ = log x + c

cos x∫ dx = sin x + c

sin x∫ dx = −cos x + c

exdx∫ = e

x + c

1

1+ x 2dx∫ = arctgx + c

f '(x)

f (x)dx∫ = log f (x) + c

6

[ f (x)]α f '(x)dx∫ =[ f (x)]α +1

α +1+ c , per α ≠ −1

1

1− x2

dx∫ = arcsin x + c .

Non c’è una regola ben precisa per il calcolo dell’integrale delle funzioni; tuttavia ci sono alcuni metodi che ci saranno utili via via durante il Corso. Cominciamo dalla seguente: FORMULA DI INTEGRAZIONE PER PARTI (senza dimostrazione) Siano f, g: [a, b]→ R aventi derivata continua in tutto [a, b]. Allora (∇) f (x)g'(x)dx∫ = f (x)g(x) − f '(x)g(x)dx∫ ;

f (x)g'(x)dxa

b

∫ = f (b)g(b) − f (a)g(a) − f '(x)g(x)dxa

b

∫ .

Notiamo che la formula (∇), relativa all’integrale indefinito, vale anche per funzioni definite in un insieme “di tipo I”, cioè un intervallo, o una semiretta, o tutto R. Esempio: calcolare log x∫ dx .

In questo caso, il “trucco” è quello di “mettere l’1 davanti”. Si ha: log x∫ dx = 1⋅ log xdx∫ = (log x) ⋅ x'dx∫

f (x) = log x g (x) = x

Applicando la formula di integrazione per parti si ottiene:

log x∫ dx = (log x) ⋅ x'dx∫ = x log x − (log x)' xdx∫ =

= x log x −1

/ x / x dx∫ = x log x − 1⋅ dx∫ = x log x − x + c

Prova: D(x log x − x) = D(x log x) − D(x) = D(x) ⋅ (log x) + x ⋅ D(log x) −1=1⋅ log x + / x ⋅1

/ x −1= log x ,

come volevasi dimostrare. Vediamo ora altri esempi dove applicare la formula di integrazione per parti.

arctgxdx =∫ 1⋅ arctgxdx =∫ (arctgx) ⋅ x 'dx =∫ xarctgx − (arctgx)'⋅xdx =∫ xarctgx −1

1+ x 2⋅ xdx =∫

= xarctgx −1

2

2x

1+ x 2⋅ dx =∫ (in questi casi, il “trucco” è quello di ricondursi ad una frazione in cui il numeratore sia la

derivata del denominatore ed applicare la formula f '(x)

f (x)dx∫ = log f (x) + c

) = xarctgx −1

2log(x

2 +1) + c .

Prova:

D xarctgx −1

2log(x

2 +1)

= arctgx + x ⋅

1

1+ x2 −

1/ 2

/ 2 x

x2 +1

= arctgx , come volevasi dimostrare.

7

Ora calcoliamo, sempre per parti, il seguente integrale indefinito: x ⋅ exdx∫ . Si ha:

x ⋅ exdx∫ = x ⋅ (ex )'dx∫ = ...

f (x) = x

g(x) = ex

...= xex − x '⋅ex

dx∫ = xex − e

xdx∫ = xe

x − ex + c .

Prova: D(xe

x − ex ) = e

x + xex − e

x = xex , come dovevasi dimostrare.

Ora, ancora una volta utilizzando la formula d’integrazione per parti, calcoliamo il seguente integrale indefinito: x

2 ⋅ exdx∫ . Si ha:

x2 ⋅ e

xdx∫ = x

2 ⋅ (ex )'dx∫ = ... f (x) = x

2

g(x) = ex

...= x

2e

x − (x2)'⋅ex

dx∫ = x2e

x − 2xexdx∫ = x

2e

x − 2 xexdx∫ = (vedi risultato precedente)

= x2e

x − 2(xex − e

x ) + c = x2e

x − 2xex + 2e

x + c . Prova: D(x

2e

x − 2xex + 2e

x ) = 2xex + x

2e

x − 2ex − 2xe

x + 2ex = x

2e

x , come volevasi dimostrare. Calcoliamo ora il seguente integrale indefinito:

x sin xdx∫ . Si ha:

x sin xdx∫ = − x ⋅ (−sin x)dx∫ = − x ⋅ (cos x)'dx∫ = −x cos x + x'cos xdx∫ = −x cos x + cos xdx∫ =

= −x cos x + sin x + c . Prova: D(−x cos x + sin x) = −cos x + x sin x + cos x = x sin x , come volevasi dimostrare. Calcoliamo ora il seguente integrale indefinito (importante): I:= sin2

xdx∫ . Si ha:

I = (sin x) ⋅ (sin x)dx∫ = − (sin x)(−sin x)dx∫ = − (sin x) ⋅ (cos x)'dx∫ =

= −sin x cos x + (sin x)'⋅(cos x)dx∫ = −sin x cos x + cos2xdx∫ =

(trucco)

− sin x cos x + (1− sin2x)dx∫ =

= −sin x cos x + 1⋅ dx∫ − sin2xdx∫ = −sin x cos x + x −I. Dunque I = −sin x cos x + x −I, cioè

2I= −sin x cos x + x , da cui I =−sin x cos x + x

2+ c .

Prova:

D−sin x cos x + x

2

=

1

2D(−sin x cos x + x) =

1

2(−cos2

x + sin2x +1) =(trucco: sin2

x + cos2x =1)

=12

(−cos2x + sin2

x + sin2x + cos2

x) =12

⋅ 2sin2x = sin2

x , come volevasi dimostrare.

Calcoliamo ora il seguente integrale indefinito:

8

J:= cos2

xdx∫ . Si ha:

J = (cos x) ⋅ (cos x)dx∫ = (cos x)(sin x)'dx∫ = sin x cos x − (sin x)(cos x)'dx∫ =

= sin x cos x + sin2xdx∫ = sin x cos x + (1− cos2

x)dx∫ = sin x cos x + 1⋅ dx∫ − cos2xdx∫ =

= sin x cos x + x −J, ossia J = sin x cos x + x −J, cioè 2J = sin x cos x + x , da cui J =sin x cos x + x

2+ c .

Prova: Dsin x cos x + x

2

=

1

2D(sin x cos x + x) =

1

2(cos2

x − sin2x +1) =

=12

(cos2x − sin2

x + sin2x + cos2

x) =12

⋅ 2cos2x = cos2

x , come volevasi dimostrare.

Oltre all’integrazione per parti esiste anche un altro metodo per l’integrazione (per sostituzione). Non riporteremo la formula esplicitamente, ma faremo vedere come funziona questo metodo solamente attraverso qualche esempio, per ragioni di semplicità. Sarà importante la formula:

df = f ' (x)dx , oppure dw = w'(x)dx =dw

dxdx .

Esempio:

Calcolare K=1

x 2 + 25dx∫ . Si ha:

K=1

25

1x

2

25+

2525

dx∫ =1

25

1

x

5

2

+1

dx∫ =…

Adesso, bisogna utilizzare un “trucco”: dx

5

=

1

5dx (L’operatore “d” si chiama “differenziale” e ha

sostanzialmente lo stesso comportamento della derivata); inoltre la costante moltiplicativa può essere portata dentro e fuori i segni di derivata e di integrale.

… =1

5⋅

1

5

1

x

5

2

+1

dx∫ =1

5

1

x

5

2

+1

dx

5

∫ =

poniamo:w=x

5 1

5

1

w2 +1

dw∫ =1

5arctgw + c =

1

5arctg

x

5

+ c .

Facciamo ora alcuni esercizi sull’integrazione “per sostituzione”. Calcoliamo l’integrale indefinito

sin xdx∫ . Per sostituzione poniamo x = t . Si ha quindi x = t2, e pertanto 2t = x '(t) =

dx

dt.

Da ciò si ottiene dx = 2tdt , e dunque sin xdx∫ = 2t sin tdt∫ = −2 t(cos t)'dt∫ =

= −2 ⋅ t cos t − cos tdt∫[ ]= −2 ⋅ t cos t − sin t[ ]+ c =t= x

− 2 ⋅ x cos x − sin x[ ]+ c =

= −2 x cos x + 2sin x + c.

9

Facciamo la prova, applicando la formula della derivata del prodotto e quella della derivazione delle funzioni composte:

D −2 x cos x + 2sin x( ) =( perx>0) −/ 2

/ 2 xcos x +

2 x

2 xsin x + / 2 cos x ⋅

1

/ 2 x=

= −cos x

x+ sin x +

cos x

x= sin x , come dovevasi dimostrare.

Calcoliamo ora 1

sin xdx∫ :

in queste espressioni (che contengono seno, coseno, tangente), se la potenza in cui compaiono le suddette funzioni trigonometriche è pari, si adopera la sostituzione tgx = t , mentre, se ce n’è

almeno una di ordine dispari, si opera la sostituzione tgx

2= t . Come si ricavano le espressioni sin x

e cos x in funzione di tgx? Semplicemente applicando l’identità fondamentale sin2x + cos2

x =1, ottenendo, per esempio (dove ha senso, naturalmente…): sin2

x

sin2 x+

cos2x

sin2 x=

1

sin2 x 1+

1

tg2x

=1

sin2x

sin2x =

1

1+1

tg2x

=1

tg2x +1

tg2x

=tg

2x

tg2x +1

, ed inoltre

sin2x

cos2 x+

cos2x

cos2 x=

1

cos2 x tg

2x +1=

1

cos2 x cos2

x =1

tg2x +1

.

Come si ricavano le espressioni sin x e cos x in funzione di tgx

2? Basta ricordarsi le FORMULE

DELLA TANGENTE DELL’ARCO METÀ: sin x =2t

t 2 +1, cos x =

1− t2

t 2 +1, tgx =

2t

1− t 2.

Quindi nel nostro caso, tornando all’integrale

I:=1

sin xdx∫ , si ha: t = tg

x

2,

x

2= arctgt , x = 2arctgt ,

dx

dt= x'(t) =

2

1+ t 2,

1

sin x=

t2 +1

2t,

dx =2

t 2 +1dt,

I = t

2 +1/ 2 t

⋅/ 2

t2 +1

dt∫ =1

tdt∫ = log t + c = log tg

x

2+ c . Facciamo ora la prova. Si ha:

D log tgx

2

=

D tgx

2

tgx

2

=

1

cos2 x

2

⋅12

tgx

2

(infatti D(tgw) =1

cos2 w⋅ w').

10

Adesso dobbiamo “ritrovare” sin x, cioè 2tg

x

2

tg2 x

2+1

= 2tgx

2⋅ cos2 x

2 (in quanto sappiamo che

cos2 x

2=

1

tg2 x

2+1

). Si ha pertanto 1

sin x=

1

2tgx

2cos2 x

2

.

Inoltre, D log tgx

2

=

1

cos2 x

2

⋅12

tgx

2

= (va tutto al denominatore!) =1

2tgx

2cos2 x

2

=1

sin x, come

volevasi dimostrare. Calcoliamo ora il seguente integrale indefinito:

K=1

sin2 x cos2 xdx∫ . Ricordiamo che

sin2x =

tg2x

tg2x +1

=t

2

t2 +1

, (posto tg x = t)

cos2x =

1

tg2x +1

=1

t2 +1

, x = arctgt , dx =dx

dt⋅ dt = x'(t) ⋅ dt =

1

1+ t 2dt . Quindi

K=1

t2

t2 +1

⋅1

t2 +1

⋅1

t2 +1

dt∫ =t

2 +1

t2 dt∫ = 1⋅ dt∫ +

1

t2 dt∫ = t + t

−2dt∫ = t +

t−1

−1+ c = t −

1

t+ c =

= tgx −1

tgx+ c .

Facciamo la prova. Si ha: D tgx −1

tgx

= D

sin x

cos x

− D

cos x

sin x

=

cos2x + sin2

x

cos2 x−

−sin2x − cos2

x

sin2 x=

=1

cos2x

+1

sin2 x=

sin2x + cos2

x

sin2 x cos2 x=

1

sin2 x cos2 x, come volevasi dimostrare.

FORMULA DI HERMITE

Il prossimo passo è lo studio dell’integrale indefinito per funzioni razionali. Procediamo con alcuni esempi. Prima di tutto, calcoliamo il seguente integrale indefinito:

I=1

x 2 − 4x +13dx∫

11

Studiamo il trinomio x2 − 4x +13. Osserviamo che il suo discriminante ∆ è 16 − 52 = − 36 < 0, e

pertanto x2 − 4x +13 > 0 ∀ x ∈ R e il nostro trinomio non ammette radici reali. Ora usiamo il

seguente trucco: scriviamo x2 − 4x +13 come “quadrato di un binomio più qualcosa”. Notiamo che

x2 − 4x + 4 = (x − 2)2 , e quindi si ottiene: x

2 − 4x +13 = x2 − 4 x + 4 + 9 = (x − 2)2 + 9. Tenendo

conto che il differenziale d si comporta analogamente come la derivata, otteniamo:

I=1

x2 − 4x +13

dx∫ =1

(x − 2)2 + 9dx∫ =

1

(x − 2)2 + 9d(x − 2)∫ =

w= x−2 1

w2 + 9

dw =∫

(Ora si può procedere come nell’esercizio1

x 2 + 25dx∫ )

=+=+=+

=

+

= ∫∫

=

cw

arctgcarctgzdzz

wd

w

wz

33

1

3

1

1

1

3

1

31

3

1

3

12

3

2

=1

3arctg

x − 2

3

+ c . Facciamo la prova:

D1

3arctg

x − 2

3

=

1

3D arctg

x − 2

3

=

1

3

1

x − 2

3

2

+1

⋅ Dx − 2

3

=

1

3⋅

1x

2 − 4x + 4

9+

9

9

⋅1

3=

=1/ 9

⋅/ 9

x 2 − 4x +13=

1

x 2 − 4x +13

come volevasi dimostrare. Proseguiamo, calcolando ora il seguente integrale:

1

x 2 −1dx∫ . Si ha x

2 −1= (x +1)(x −1) .

Il trucco (= stato “embrionale”, “iniziale” della formula di Hermite) è porre

1

x 2 −1=

A

x +1+

B

x −1

(1 e −1 sono radici reali semplici, e quindi si usano due costanti reali A e B). Si ha pertanto:

1

x2 −1

=A

x +1+

B

x −1=

A(x −1) + B(x +1)

(x +1)(x −1)=

Ax + Bx − A + B

(x +1)(x −1)=

(A + B)x − A + B

(x +1)(x −1) .

12

Si deve determinare A e B in modo tale che (A+B) x − A + B = 0 ⋅ x + 1. Per il principio di identità dei polinomi, si deve avere

A + B = 0

−A + B =1

A = −B

2B =1

B =12

A = −1

2

Quindi

1

x 2 −1= −

1

2⋅

1

x +1+

1

2⋅

1

x −1.

Prova:

−1

2⋅

1

x +1+

1

2⋅

1

x −1=

−(x −1) + x +1

2(x2 −1)

=− / x +1+ / x +1

2(x2 −1)

=/ 2

/ 2 (x2 −1)

=1

x2 −1

come dovevasi dimostrare. Pertanto si avrà:

1

x2 −1

dx∫ = −1

2

1

x +1dx∫ +

1

2

1

x −1dx∫ = −

1

2

1

x +1d(x +1)∫ +

1

2

1

x −1d(x −1)∫ =

= −1

2log x +1 +

1

2log x −1 + c.

Calcoliamo l’integrale indefinito

L=1

(x − 7)2 dx∫ . Si ha L=1

(x − 7)2 d(x − 7)∫ =w= x−7 1

w2 dw∫ = −

1

w+ c = −

1

x − 7+ c .

Passiamo ora a calcolare J:=4x + 7

x 2 − 4x +13dx∫ .

Vogliamo ricondurci a una forma del tipo: 1° termine: in cui il numeratore sia la derivata del denominatore. 2° termine: il resto, cioè quello che “avanza”. Osserviamo che D(x

2 − 4x +13) = 2x − 4 mentre quello che compare è 4 x + 7. 1°passo: per arrivare da 2 x − 4 a 4 x + 7, innanzi tutto, bisogna moltiplicare per 2. (2x − 4) ⋅ 2 = 4 x − 8 = 4x + 7 −15 , quindi 4x + 7 = 2 ⋅ (2x − 4) +15, e dunque

J=2(2x − 4) +15

x 2 − 4x +13dx∫ = 2

2x − 4

x 2 − 4x +13dx∫ +15 ⋅

1

x 2 − 4x +13dx∫ =

(teniamo ora conto che x

2 − 4x +13 > 0 ∀ x ∈ R)

= 2log x2 − 4 x +13 +15 ⋅

1

x 2 − 4 x +13dx∫ = 2log(x

2 − 4x +13) +151

x 2 − 4 x +13dx∫ =

(Quest’ultimo integrale l’abbiamo già precedentemente calcolato)

13

= 2log(x2 − 4x +13) +

15

3arctg

x − 2

3

+ c = 2log(x

2 − 4 x +13) + 5arctgx − 2

3

+ c .

Facciamo la prova, tenendo conto dell’integrale già calcolato in precedenza. Si ha:

D 2log(x2 − 4x +13) + 5arctg

x − 2

3

+ c

=

2(2x − 4)

x 2 − 4 x +13+

15

x 2 − 4x +13=

4 x − 8 +15

x 2 − 4x +13=

=4x + 7

x 2 − 4x +13, come dovevasi dimostrare.

Con un procedimento analogo, calcoliamo

3x + 8

x 2 −1dx∫ D(x

2 −1) = 2x

Per “andare da 2 x a 3 x + 8” bisogna moltiplicare per 3

2. Quindi 3x + 8 =

3

2⋅ 2x + 8, e pertanto

3x + 8

x 2 −1dx∫ =

3

2⋅ 2x + 8

x 2 −1dx∫ =

3

2

2x

x 2 −1dx∫ + 8

1

x 2 −1dx∫ =

=3

2log x

2 −1 + 4 log x −1 − 4 log x +1 + c , tenendo conto del risultato dell’integrale calcolato in

precedenza. Facciamo la prova. Si ha:

D3

2log x

2 −1 + 4 log x −1 − 4 log x +1

=

3

2⋅

2x

x2 −1

+8

x2 −1

=6x +16

2(x2 −1)

=3x + 8

x2 −1

come volevasi dimostrare. Adesso abbiamo studiato il caso dell’integrazione di funzioni razionali in cui al denominatore c’è un polinomio di secondo grado e al numeratore un polinomio al più di primo grado. Se al numeratore c’è un polinomio del secondo grado o di grado superiore e al denominatore c’è un polinomio del secondo grado, bisogna eseguire la divisione euclidea tra polinomi: considerando il resto, effettivamente ci si riconduce al caso in cui (il grado del denominatore è 2 e) il grado del numeratore è al più uno. Per esempio, calcoliamo il seguente integrale:

2x3 − 8x

2 + 30x + 7

x 2 − 4 x +13dx∫ .

Eseguiamo la divisione euclidea tra il numeratore e il denominatore. Si ottiene

14

2x

3 − 8x2 + 30x + 7 | x

2 − 4x +13 −2x

3 + 8x2 − 26x | 2x

4x + 7

Pertanto 2x

3 − 8x2 + 30x + 7 = 2x(x

2 − 4x +13) + 4x + 7, e quindi

2x3 − 8x

2 + 30x + 7

x 2 − 4 x +13dx∫ =

2x(x2 − 4x +13)

x 2 − 4 x +13dx∫ +

4x + 7

x 2 − 4x +13dx∫ =

= x2 + 2log(x

2 − 4x +13) + 5arctgx − 2

3

+ c . (già calcolato prima!)

In modo analogo, studiamo il seguente integrale:

4x2 + 3x + 4

x 2 −1dx∫ .

Il grado del numeratore non è STRETTAMENTE minore di quello del denominatore, e quindi dobbiamo eseguire la divisione euclidea. Si ha:

4x2 +3x +4

−4x2 +4

x2 −1

4

3x +8 Quindi 4x

2 + 3x + 4 = 4(x2 −1) + 3x + 8, e pertanto

4x

2 + 3x + 4

x 2 −1dx∫ = 4

x2 −1

x 2 −1dx∫ +

3x + 8

x 2 −1dx∫ = 4x +

3x + 8

x 2 −1dx∫

(Quest’ultimo integrale era stato calcolato precedentemente). Passiamo ora a considerare una generica frazione di polinomi P(x), Q(x), ed esaminiamo l’integrale indefinito:

P(x)

Q(x)dx∫ .

Osserviamo innanzi tutto, come primissima cosa, che, se il grado di P(x) è maggiore o uguale al grado di Q(x), allora occorre fare la divisione euclidea, com’è stata fatta negli ultimi due esercizi, e

ci si ricondurrà allo studio di un integrale indefinito del tipoR(x)

Q(x)dx∫ , ove R(x) è un polinomio di

grado STRETTAMENTE minore di quello di Q(x). Quindi, per i nostri scopi, non costituisce una restrizione il fatto che studieremo soltanto funzioni di polinomi con la proprietà che il numeratore ha grado inferiore a quello del denominatore.

15

A questo punto, “decomporremo” il denominatore a seconda delle sue radici: esso può avere radici reali semplici , radici reali multiple (cioè di una certa molteplicità), radici complesse semplici e radici complesse multiple. Non prenderemo in considerazione, in questo corso, il caso delle radici complesse multiple. (“Radici complesse” significa che il nostro trinomio in questione ha discriminante ∆ negativo). Esempio: Calcoliamo il seguente integrale:

1

x2(x

2 +1)dx∫ .

Osserviamo che il grado del numeratore è inferiore a quello del denominatore, e quindi procediamo direttamente senza fare la divisione euclidea.

Il “trucco” è il seguente: alla radice reale 0 (di molteplicità 2) corrisponde la quantità A

x+

B

x 2 (se ci

fosse stato (x + 1)3, la quantità corrispondente sarebbe stata A

x +1+

B

(x +1)2 +C

(x +1)3 ; se ci fosse

stato solo x − 5, la quantità corrispondente sarebbe stataA

x − 5 ); alle “radici complesse” “generate”

dal polinomio x2 + 1 corrisponde la quantità Cx + D

x 2 +1(come al trinomio x

2 − 4x +13, che è sempre

positivo e non ammette radici reali, corrisponde la quantità Cx + D

x 2 − 4x +13). Pertanto si fa la seguente

impostazione:

1

x2(x

2 +1)=

A

x+

B

x2 +

Cx + D

x2 +1

, ove A, B, C, D sono quattro costanti ( = numeri reali) da

determinare. Si ha dunque:

1

x2(x

2 +1)=

(Ax + B)(x2 +1) + x

2(Cx + D)

x2(x

2 +1)=

Ax3 + Bx

2 + Ax + B + Cx3 + Dx

2

x2(x

2 +1)=

=(A + C)x

3 + (B + D)x2 + Ax + B

x2(x

2 +1)

.

Quest’ultima quantità dev’essere uguale a 1

x2(x

2 +1), cioè, diciamo, a:

0x

3 + 0x2 + 0x +1

x2(x

2 +1). Per il principio di identità tra i polinomi, si deve avere che “i corrispettivi

coefficienti devono essere uguali”, cioè A + C = 0 da cui: A = C = 0 B + D = 0 B = 1 A = 0 D = −1

16

B = 1 e quindi

1

x2(x

2 +1)=

1

x2 −

1

x2 +1

.

Facciamo la prova (che va fatta sempre in esercizi di questo genere!): 1

x2 −

1

x2 +1

=/ x

2 +1− / x 2

x2(x

2 +1)=

1

x2(x

2 +1), come dovevasi dimostrare.

Ovviamente, in questo esercizio, si poteva fare questa “decomposizione” (che in letteratura si chiama decomposizione di Hermite) in un modo più facile; ma noi abbiamo seguito questo procedimento, in quanto lo si dovrà adottare nel caso generale. Calcoliamo ora l’integrale indefinito:

1

x2(x

2 +1)dx∫ =

1

x2 dx∫ −

1

x2 +1

dx∫ = −1

x− arctgx + c .

Il procedimento che abbiamo adottato si chiama FORMULA (DI INTEGRAZIONE) DI HERMITE. Lo studente è ora invitato a “cimentarsi” in tutti gli esercizi delle soluzioni dei compiti dati sugli integrali per parti, per sostituzione e con Hermite. Veniamo ora ai teoremi fondamentali del Calcolo Integrale per l’integrale alla RIEMANN. Teorema della media: Siano f, g : [a, b]→ R due applicazioni integrabili, con g(x) ≥ 0 ∀ x ∈ [a, b] (oppure g (x) ≤ 0 ∀ x ∈ [a, b]). Tesi: Allora esiste un numero reale ϑ ∈ [m, M], ove m = inf

x∈[a ,b ]f (x) , M = sup

x∈[a ,b ]f (x), tale che

f (x)g(x)dxa

b

∫ = ϑ g(x)dxa

b

∫ .

Dimostrazione: Essendo f integrabile, f è anche limitata, e pertanto le quantità m ed M di cui sopra esistono in R. Ovviamente, per definizione di estremo superiore ed inferiore, si ha (+) m ≤ f (x) ≤ M ∀ x ∈ [a, b]. Per ipotesi, g(x) ≥ 0 (in maniera analoga si procede se g(x) ≤ 0 ∀ x ∈ [a, b]). Moltiplicando i termini della disuguaglianza (+) per g (x), si ottiene m⋅ g(x) ≤ f (x) g(x) ≤ M ⋅ g(x), ∀ x ∈ [a, b]. L’applicazione f ⋅ g è integrabile, in quanto è il prodotto di due funzioni integrabili. Passando all’integrale, otteniamo:

(‡) m g(x)dxa

b

∫ = m ⋅ g(x)dxa

b

∫ ≤ f (x) ⋅ g(x)dxa

b

∫ ≤ M ⋅ g(x)dxa

b

∫ = M g(x)dxa

b

∫ .

Si considerano ora i seguenti due casi:

17

I° caso: g(x)dxa

b

∫ = 0 . Allora da (‡) segue che f (x)g(x)dxa

b

∫ = 0, e quindi si ottiene:

0 = f (x)g(x)dxa

b

∫ = ϑ g(x)dxa

b

∫ ∀ ϑ ∈ R,

e in questo caso la tesi del teorema della media è soddisfatta per qualunque ϑ ∈ R.

II° caso: g(x)dxa

b

∫ ≠ 0 : allora segue che g(x)dxa

b

∫ > 0 in quanto g (x) ≥ 0 ∀ x. Consideriamo la

disuguaglianza (‡) e dividiamo per g(x)dxa

b

∫ : allora il verso della disuguaglianza rimarrà

inalterato, ottenendo:

mg(x)dx

a

b

∫g(x)dx

a

b

∫≤

f (x) ⋅ g(x)dxa

b

∫g(x)dx

a

b

∫≤ M

g(x)dxa

b

∫g(x)dx

a

b

∫ , cioè m ≤

f (x) ⋅ g(x)dxa

b

∫g(x)dx

a

b

∫≤ M .

Posto ϑ =f (x) ⋅ g(x)dx

a

b

∫g(x)dx

a

b

∫, allora si ha m ≤ ϑ ≤ M, ed inoltre

f (x)g(x)dxa

b

∫ = ϑ g(x)dxa

b

∫ :

quindi questo ϑ soddisfa la tesi del teorema della media. Formuliamo ora una versione del teorema della media per funzioni continue. Teorema: Siano f , g : [a, b]→ R tali che f è continua in [a, b], g è integrabile in [a, b] e g (x) ≥ 0 per ogni x ∈ [a, b] (oppure g (x) ≤ 0 ∀ x ∈ [a, b]). Tesi: Allora esiste x0 ∈ [a, b] tale che

f (x)g(x)dxa

b

∫ = f (x0) ⋅ g(x)dxa

b

∫ .

Dimostrazione: Sappiamo che f è continua in [a, b], e quindi f è anche integrabile in [a, b]. Quindi, in virtù della versione precedente del Teorema della media, si ha:

f (x)g(x)dxa

b

∫ = ϑ ⋅ g(x)dxa

b

∫ , ove ϑ è un numero opportuno compreso tra

m = inf

x∈[a ,b ]f (x) ed M = sup

x∈[a ,b ]f (x).

Ma, in virtù del teorema di Weierstrass, poiché f è continua nell’intervallo CHIUSO e LIMITATO [a, b], allora le quantità m ed M sono rispettivamente il min

x∈[a,b ]f (x) ed il max

x∈[a,b ]f (x) , e quindi m ed M

vengono assunti dalla funzione. In virtù del Teorema dei valori intermedi, f ammette tutti i valori compresi tra m ed M, e quindi ammetterà anche il valore ϑ. Pertanto ∃ x0 ∈ [a, b]: f (x0) = ϑ, e quindi segue

f (x)g(x)dxa

b

∫ = f (x0) ⋅ g(x)dxa

b

∫ ,

18

come dovevasi dimostrare. Consideriamo ora il seguente caso particolare: g (x) ≡ 1. Allora i due teoremi possono essere formulati rispettivamente nel seguente modo: TEOREMA: Sia f : [a, b]→ R integrabile, e siano m = inf

x∈[a ,b ]f (x) , M = sup

x∈[a ,b ]f (x).

Tesi: Allora ∃ ϑ ∈ [m, M] tale che

f (x)dxa

b

∫ = ϑ 1⋅ dxa

b

∫ = ϑ (b − a) .

TEOREMA: Sia f : [a, b]→ R continua.

Allora ∃ x0 ∈ [a, b] tale che f (x)dxa

b

∫ = f (x0) ⋅ (b − a) .

Significato geometrico del Teorema della media, per f ≥ 0: l’area della regione tratteggiata in figura è uguale a quella del rettangolo avente base il segmento [a, b] e altezza f (x0) (che viene appunto f (x0) ⋅ (b−a)). Se f non è continua, l’ultima versione del teorema della media, in generale, non vale. Per esempio, consideriamo la funzione f : [0,2]→ R definita ponendo:

f (x) =0,

1,

se

se

x ∈ [0,1],

x ∈]1,2].

In questo caso a = 0, b = 2. La funzione f non è continua in x = 1, dato che f (1) = 0, lim

x→1−f (x) = 0 ma lim

x→1+f (x) =1: pertanto x =

1 è un punto di discontinuità di prima specie non eliminabile.

Consideriamo la relazione f (x)dxa

b

∫ = ϑ (b − a) : b − a = 2, e ricaviamo ϑ.

Si ha:ϑ =f (x)dx

a

b

∫b − a

,

a

f(x0)

x0 b

1

0 1 2

19

f (x)dxa

b

∫ = f (x)dx0

2

∫ = f (x)dx0

1

∫ + f (x)dx1

2

∫ = 0 ⋅ dx0

1

∫ + 1dx1

2

∫ =

(per quanto detto precedentemente …) = 0 ⋅ (1− 0) +1⋅ (2 −1) =1, e quindi ϑ =f (x)dx

0

2

∫b − a

=1

2, ma f

non assume mai il valore 1

2, quindi

1

2 non è del tipo f (x0) per nessun x0 ∈ [a, b].

Ora studiamo le principali proprietà della funzione integrale. Definizione: Sia I un intervallo o una semiretta contenuta in R, o tutto R. Si dice che f è LIPSCHITZIANA in I se ∃ L > 0 (detta COSTANTE DI LIPSCHITZ) tale che

f (x) − f (x ) ≤ L ⋅ x − x

per ogni scelta di x, x ∈ I.

Significato geometrico della Lipschitzianità: “La pendenza è limitata”. Notiamo (risultato senza dimostrazione) che ogni funzione Lipschitziana in I è continua in I, ma in generale il viceversa non è vero: per esempio, basta prendere la stessa funzione ex su tutta la retta reale. Sussiste il seguente risultato. TEOREMA: La funzione integrale F è Lipschitziana in [a, b]. Dimostrazione: Siano x ed x ∈ [a, b] due punti distinti fissati arbitrariamente: senza perdita di generalità, supponiamo che x > x . Per definizione di funzione integrale e in virtù dell’additività dell’integrale si ha:

F (x) − F (x ) = f (t)dta

x

∫ − f (t)dta

x

∫ = f (t)dta

x

∫ + f (t)dtx

x

∫ − f (t)dta

x

∫ = f (t)dtx

x

∫ = ϑ x ,x (x − x ),

(per il Teorema della media)

ove ϑ x ,x

è un valore compreso tra m ed M, ed m, M sono rispettivamente l’estremo inferiore e l’estremo superiore di f nell’intervallo Ix,x

avente estremi x ed x . Si ha pertanto

ϑ x,x ≤ supt ∈I x,x

f (t) ≤ supx∈[a,b ]

f (x) .

Funzioni Lipschitziane [,0[)( +∞= inexf x non è ivi Lipschitziana

20

Prendendo L = sup

x∈[a,b ]f (x) , si ha

F (x) − F (x ) = ϑ x ,x ⋅ x − x ≤ L ⋅ x − x .

Ciò vale per ogni coppia di punti x, x ∈ [a, b] (anche quando x = x, banalmente…). Da questo segue che F è Lipschitziana in [a, b], come volevasi dimostrare. TEOREMA DI TORRICELLI - BARROW: Se f : [a, b]→ R è continua, allora la funzione integrale F associata ad f è derivabile e si ha, ∀ x ∈ [a, b], F' (x) = f (x). Dimostrazione: Fissiamo x, x in [a, b] arbitrariamente, con x ≠ x ; senza perdita di generalità, supponiamo che x > x . Si ha:

F (x) − F (x )

x − x =

f (t)dta

x

∫ − f (t)dta

x

∫x − x

= (facendo gli stessi passaggi come nel teorema precedente)

=f (t)dt

x

x

∫x − x

= f (ξ) ⋅(x − x )

x − x = f (ξ) , ove ξ è un opportuno punto compreso fra x ed x , la cui

esistenza è garantita dalla versione del Teorema della media per funzioni continue, in cui si prende g (x) ≡ 1. Quando x → x , si ha che ξ → x e f (ξ )→ f ( x ), in virtù della continuità di f . Si ha:

==

−=

++ →→)(lim)(

)()(lim)(' ξfxf

xx

xFxFxF

xxxxd

.

derivata destra Analogamente, considerando il caso x < x , si ha:

Fs ' (x ) = limx →x

F (x) − F (x )

x − x = f (x ) .

derivata sinistra (Ovviamente, se x = a, si parlerà solo della derivata destra, mentre se x = b si parlerà solo della derivata sinistra) Dunque, si ottiene F'( x ) = f ( x ), ∀ x ∈ [a, b]. Vedremo più in là che, se f non è continua, non è detto che valga il teorema di Torricelli - Barrow. Più precisamente, se x è un punto di discontinuità per f , può succedere:

a) che F'( x ) non esista; b) che F'( x ) = f ( x ); c) che F'( x ) esista ma sia diverso da f ( x ).

21

FORMULA FONDAMENTALE DEL CALCOLO INTEGRALE Sia f : [a, b]→ R una funzione continua, e P una primitiva per f . Allora si ha:

f (x)dxa

b

∫ = P(b) − P(a) .

Dimostrazione: Per ipotesi f è continua in [a, b], e quindi, in virtù del teorema di Torricelli-Barrow,

la sua funzione integrale F(x) = f (t)dta

x

∫ è una primitiva di f . Ma due qualsiasi primitive

(relativamente all’intervallo [a, b]) differiscono per una costante (questa - senza dimostrazione - è una conseguenza del Teorema di Lagrange), e quindi, presa comunque una primitiva P di f , esiste una costante k (dipendente ovviamente da P) tale che P(x) − F(x) = k ∀ x ∈ [a, b]: quest’ultima uguaglianza vale in particolare anche se al posto di x ci mettiamo a e anche se al posto di x ci mettiamo b. Pertanto P(a) − F(a) = k, P(b) − F(b) = k.

Ma F(a) = f (t)dta

a

∫ = 0, e quindi P(a) = k; da P(b) − F(b) = k si ottiene P(b) − F(b) = P(a), cioè

F(b) = P(b) − P(a). Ma F(b) è la funzione integrale calcolata nel punto b, cioè

F(b) = f (t)dta

b

∫ = f (x)dxa

b

∫ ;

pertanto otteniamo, in definitiva:

f (x)dxa

b

∫ = P(b) − P(a) ,

che era quello che dovevamo dimostrare. Esempio: Usando la formula fondamentale del Calcolo Integrale (che abbrevieremo F.F.C.I.), calcolare il seguente integrale definito:

sin xdx0

π

∫ .

Si ha: sin xdx0

π

∫ = P(π ) − P(0), ove P è una primitiva della funzione seno: per esempio P(x)=−cosx.

Quindi: P(π) = −cos π = −(−1) = 1; P(0) = −cos 0 = −1; P(π) − P(0) = 1 −(−1) = 1 + 1 = 2, e pertanto

sin xdx0

π

∫ = 2, come volevasi dimostrare.

In matematica si usa anche la seguente notazione, a nostro avviso più sintetica e più “comoda”:

sin xdx0

π

∫ = [−cos x]0π = −cosπ − (−cos0) = −(−1) − (−1) =1+1 = 2 .

Quindi la notazione P(x)[ ]a

b oppure P(x)

a

b sta a indicare la quantità P(b) − P(a).

22

La F.F.C.I. stabilisce un legame fondamentale tra l’integrale definito f (x)dxa

b

∫ e l’integrale

indefinito (perché quest’ultimo è proprio la classe delle PRIMITIVE). Facciamo ora il seguente: ESERCIZIO:

Calcolare l’integrale definito 1− x2dx

−1

1

∫ .

Suggerimento: Fare la sostituzione x = cos t .

Si ha: dx =dx

dtdt = x'(t)dt = −sin tdt

1− x2 = 1− cos2

t = sin2t = sin t = sin t , in quanto t varia da 0 a

π (t è anche l’angolo nella prima di queste due figure), e lì il seno è sempre una quantità positiva o nulla. Quindi, facendo l’integrale indefinito, si ottiene:

1− x2dx∫ = 1− cos2

t (−sin t)dt∫ = sin t ⋅ (−sin t)dt∫ = − sin2tdt∫ = −

−sin t cos t + t

2+ c .

Adesso facciamo una considerazione. Nella formula di “integrazione per sostituzione”, quando è in gioco l’integrale definito (cioè quello alla Riemann), BISOGNA “CAMBIARE GLI ESTREMI”. Nel nostro caso particolare, si avrà

1− x2dx

−1

1

∫ = − sin2tdt

π

0

in quanto, quando x varia tra –1 ed 1, t varia tra π e 0 (dico “tra π e 0” e non “tra 0 e π”, perché l’estremo corrispondente a –1 è π, in quanto cos π = –1, mentre l’estremo corrispondente ad 1 è 0, in quanto cos 0 = 1; bisogna stare molto attenti perché conta non solo l’intervallo costituito dai nuovi estremi, ma anche l’ordine in cui vengono presi questi nuovi estremi!). Quindi, continuando, si ha:

1− x2dx

−1

1

∫ = − sin2tdt

π

0

∫ = sin2tdt

0

π

∫ =−sin t cos t + t

2

0

π

=−sinπ cosπ + π

2−

−sin0cos0 + 0

2=

π

2,

(questo, in virtù della F.F.C.I.)

che è il risultato che ci si doveva aspettare, perché, in base al significato geometrico dell’integrale,

1− x2dx

−1

1

∫ non è altro che l’area del semicerchio nord di centro l’origine e raggio 1.

Quindi, in questo esercizio:

1) abbiamo applicato la F.F.C.I.; 2) abbiamo usato l’integrazione per sostituzione; 3) abbiamo visto il significato geometrico dell’integrale;

4) ci siamo imbattuti in una formula del tipo f (t)dta

b

∫ , con a > b .

-1,5

1,5

0 ππππ

1

-1

x

y 1 -1

23

Veniamo ora al seguente: ESERCIZIO: Calcolare l’area della regione di piano delimitata dalla curva y = sin x e dalle rette x = 0 (asse delle y), x = 2π ed y = 0 (asse delle x). Nel 1° pezzo (A1) la funzione y = sin x è positiva, e quindi l’area della figura A1 coincide con:

211)1()1()0cos(cos]cos[sin 00=+=−−−−=−−−=−=∫ ππ

πxxdx .

Nel 2° pezzo (A2) la funzione y = sin x è NEGATIVA, e quindi l’area della figura A2 sarà uguale a :

2)1(1cos2cos][cossinsin 222=−−=−==−=− ∫∫ πππ

π

π

π

π

πxxdxxdx .

Qui, BISOGNA CAMBIARE IL SEGNO !!! Quindi, nel 2° pezzo, l’integrale è negativo, ma l’area è POSITIVA. L’area richiesta è dunque la somma delle aree delle due figure A1 ed A2, e quindi 2 +

2 = 4 e non 0, mentre sin xdx0

∫ = sin xdx0

π

∫ + sin xdxπ

∫ = 2 − 2 = 0 (si può arrivare a questa

conclusione anche osservando che sin xdx0

∫ = [−cos x]02π = −cos2π − (−cos0) = −1− (−1) =

= −1+1= 0 ). Notiamo quindi, nel caso di funzioni non sempre positive, la sostanziale differenza fra integrale ed area!!!(I due concetti coincidono, invece, per funzioni sempre positive, o comunque non negative).

Ritorniamo ora alle proprietà della funzione integrale F(x) = f (t)dta

x

∫ , quando f presenta dei punti

di discontinuità. Cominciamo con il calcolare la funzione integrale F associata alla seguente funzione f : [−1,1]→ R:

f (x) = sgn x(="segno di x")

=

−1

0

1

per

per

per

x ∈ [−1,0[,

x = 0,

x ∈]0,1].

Notiamo che il punto 0 è, per f, un punto di discontinuità di PRIMA SPECIE NON ELIMINABILE.

Il fatto che f (0) = 0 è ininfluente ai fini del calcolo di F. Per x ∈ [−1,0], si ha:

F(x) = f (t)dt−1

x

∫ = (−1) ⋅ dt−1

x

∫ =F .F .C .I .

[−t]−1x = −x − (−(−1)) = −x −1, oppure F(x) = area cambiata di

-1 x x 1

-1,5

1,5

0 2π2π2π2π

1

-1

ππππ

A1

A2

24

segno del rettangolo avente base x − (−1) = x + 1 e altezza 1 (nella figura, rettangolo tratteggiato in questo modo: ). Per x ∈ ]0,1], nel calcolare la funzione integrale bisogna tenere conto che f ha due leggi e che, in corrispondenza del punto 0, f “cambia di legge”. Occorrerà dunque USARE L’ADDITIVITÀ DELL’INTEGRALE (trucco fondamentale!) e, per x ∈ ]0,1], esprimere la funzione integrale nel seguente modo:

F(x) = f (t)dt−1

x

∫ = f (t)dt−1

0

∫ + f (t)dt0

x

∫ = −/ 0 −1+ 1dt0

x

∫ = −1+ [t]0x = −1+ x .

Qui abbiamo utilizzato la legge f (t) = −1 per t ∈ [−1,0[

Qui abbiamo usato la legge f (t) = 1 per t ∈ ]0,1]

Pertanto F(x) =−x −1

x −1

per

per

x ∈ [−1,0]

x ∈]0,1]

, e quindi F '(x) =−1

1

per

per

x ∈ [−1,0[

x ∈]0,1]

.

Dimostriamo ora che F non è derivabile in 0. Consideriamo dapprima la derivata destra. Si ha:

Fd '(0) = limx →0+

F '(x) = limx→0+

1 =1.

in virtù di una nota conseguenza del teorema di Lagrange

Analogamente, considerando la derivata sinistra, si ottiene

Fs'(0) = limx→0−

F '(x) = limx →0−

(−1) = −1.

Quindi, in 0, le due derivate destra e sinistra sono diverse: pertanto 0 è punto di non derivabilità per F. Quindi 0 è un punto di discontinuità per f ed è tale che F'(0) non esiste (siamo nel caso a) di cui sopra). Consideriamo ora i casi b) e c).

Sia f : [−1,1]→ R definita ponendo

∈==

.1

,11

)(altrove

INnconn

xpernxf

Notiamo innanzi tutto che f (0) = 1, f è limitata, e

il punto 0 è un punto di discontinuità di seconda specie: infatti limx→0+

f (x) non esiste, in quanto la

restrizione costituita dai punti del tipo1

n, con n ∈ IN, “ammette limite 0”, ma lim

x→0+

x≠1

n

f (x) = limx →0+

x≠1

n

1=1.

Quindi lim

x→0+f (x) non esiste, perché “ci sono due restrizioni aventi limiti diversi” (cioè

rispettivamente 0 e 1).

-1 2

1

4

1

5

1

6

1

7

1 1

25

Sia ora h (x) ≡ 1 (h : [–1, 1]→ R): allora f ed h sono limitate; inoltre f ed h differiscono solamente in un’infinità numerabile di punti. Pertanto si ha, ∀ x ∈ [−1,1]:

F(x) = f (t)dt−1

x

∫ = h(t)dt−1

x

∫ = 1⋅ dt−1

x

∫ = [t]−1x = x − (−1) = x +1 (allo stesso risultato si perviene

considerando il significato geometrico dell’integrale…), e quindi F'(x) = 1 ∀ x ∈ [−1,1]. In particolare si ottiene:

F'(0) = 1 = f (0),

e siamo quindi nel caso b) di cui sopra: cioè, pur essendo 0 un punto di discontinuità per f , abbiamo che la funzione integrale F è derivabile in 0 e che F'(0) = f (0). Se si considera invece la funzione f : [−1,1]→ R, definita ponendo

f (x) =

1

nper x =

1

n,con n ∈ IN,

0 per x = 0,

1 altrove,

procedendo analogamente come nel caso precedente, si ha che:

i) 0 è un punto di discontinuità di 2a specie per f ; ii) F(x) = x + 1 ∀ x ∈ [−1,1] e quindi F'(x) = 1 ∀ x ∈ [−1,1], e pertanto F'(0) = 1 ≠ 0 = f (0),

e siamo perciò nel caso c) di cui sopra, ossia: la funzione integrale F è derivabile in 0, ma F'(0) ≠f (0). Dunque, in presenza di un punto di discontinuità di f , PUÒ SUCCEDERE DI TUTTO!!! (Per quanto riguarda il comportamento della funzione integrale F).

ESERCIZIO: Calcolare l’area della regione piana compresa tra le due curve di equazione:

y = 2 x ed y =x

2

4.

Determiniamo intanto i punti di intersezione delle due curve, tenendo conto che dobbiamo imporre preliminarmente la condizione x ≥ 0. Si deve avere:

2 x =x

2

4 x = 0 (e quindi y = 0) oppure 8 x = x ⋅ x ⋅ x , 8 = x ⋅ x = x

1+1

2 = x

3

2 , x

3

2 = 8,

46488 33 23

23

2

2

31 ====

== xxx , x = 4 ed, in corrispondenza a questo valore di x, si trova

y = 2 ⋅ 4 = 2 ⋅ 2 = 4 oppure y =4 2

4=

16

4= 4 . Pertanto il punto P in figura ha coordinate (4,4).

26

Vediamo, per 0 ≤ x ≤ 4, chi è “più grande” tra le quantità 2 x ed x

2

4. Si ha, per esempio:

2 x ≥x

2

4 (considerando x > 0) se e solo se 2 x ≥

x ⋅ x ⋅ x

4⇔ 8 ≥ x ⋅ x ⇔ 8 ≥ x

3

2

⇔ 82

3 ≥ x

3

2

2

3

, cioè 4 ≥ x ; nel punto 0 si ha banalmente l’uguaglianza. Quindi, per x compreso fra 0

e 4, la funzione delle due (date nell’esercizio) che sta “di sopra” è y = 2 x , mentre quella che sta

“di sotto” è y =x

2

4.

“Completiamo” quindi il disegno nel modo seguente:

In virtù del significato geometrico dell’integrale, l’area della regione piana richiesta, che è quella tratteggiata, sarà uguale alla differenza tra i due integrali

I1= 2 xdx0

4

∫ ed I2=x

2

4dx

0

4

∫ . Si ha:

I1= 2 xdx0

4

∫ = 2 x

1

2dx0

4

∫ =F .F.C .I .

2x

3

2

3

2

0

4

= 2 ⋅ 43

2 ⋅2

3− 2 ⋅ 0 =

32

3;

I2=3

160

4

1

3

64

4

1

34

1

4

14

0

34

0

2 =⋅−⋅=

=∫

xdxx .

Quindi l’area della regione piana richiesta è uguale a 32

3−

16

3=

16

3.

ESERCIZIO: Calcolare l’area della regione di piano limitata dalle due parabole di equazioni:

4

2xy =

xy 2= P = (4,4)

27

y = x2 − 3x + 2

y = −x2 + x + 2

Determiniamo innanzi tutto i punti di intersezione delle due parabole. Si deve avere: x

2 − 3x + 2 = −x2 + x + 2, ossia 2x

2 − 4 x = 0, da cui x = 0 oppure 2 x − 4 = 0, cioè x = 2. In corrispondenza ad x = 0 si troverà il valore y = 2, mentre in corrispondenza ad x = 2 si troverà y = 4− 6 + 2 = 0, oppure y = − 4 + 2 + 2 = 0. Un’altra cosa che si deve fare è vedere quando le funzioni considerate sono positive e quando sono negative, in quanto, a seconda del segno, la relazione fra integrale ed area cambia. Studiamo il trinomio y = x

2 − 3x + 2:

x1,2 =3 ± 9 − 8

2

2

1

Quindi questo trinomio sarà positivo per x ∈ ]−∞, 1[∪]2, +∞ [, negativo in ]1, 2[ e si annulla nei punti x = 1 ed x = 2. Studiamo ora il trinomio x

2 − x − 2:

x1,2 =1± 1+ 8

2=

1± 3

2

2

−1

Le radici sono −1 e 2. Il trinomio sarà positivo per x ∈ ]−∞, −1[∪]2, +∞ [, negativo per x ∈ ]− 1, 2[ e si annulla nei punti x = −1 ed x = 2. Pertanto la quantità −x

2 + x + 2 sarà positiva per x ∈ ]−1, 2[, negativa per x ∈ ]−∞, −1[∪]2, +∞ [ e si annulla per x = −1 ed x = 2. A questo punto, facciamo un disegno “esplicativo”:

La nostra area sarà uguale alla somma dell’area A1 e dell’area A2.

L’area A1 sarà data dalla differenza tra (−x2 + x + 2)dx

0

2

∫ ed (x2 − 3x + 2)dx

0

1

∫ , cioè:

Area A1 = (−x2 + x + 2)dx

0

2

∫ − (x2 − 3x + 2)dx

0

1

∫ = −x

3

3+

x2

2+ 2x

0

2

−x

3

3−

3

2x

2 + 2x

0

1

=

applicando la F.F.C.I.

= −8

3+ / 2 + 4 −

1

3+

3

2− / 2 =

5

2.

0 21 -1

A1

A2

y

x

28

L’area A2 sarà data da − (x2 − 3x + 2)dx

1

2

∫ , in quanto, nella zona A2, l’integrale è negativo, e quindi

bisogna effettuare un cambio di segno. Si ha:

Area A2 = (−x2 + 3x − 2)dx

1

2

∫ = −x

3

3+

3

2x

2 − 2x

1

2

= −8

3+ 6 − 4 +

1

3−

3

2+ 2 = −

7

3+ 4 −

3

2=

=−14 + 24 − 9

6=

1

6. F.F.C.I.

Pertanto l’area richiesta sarà data da Area A1 + Area A2 =5

2+

1

6=

15 +1

6=

16

6=

8

3.

ESERCIZIO: Calcolare l’area della regione di piano compresa tra la parabola di equazione y = 2 x , la retta di equazione y = 4 − 2x e l’asse delle x (cioè la retta y = 0). Soluzione: Imponendo la condizione x ≥ 0, determiniamo i punti di intersezione tra la retta y = 4 − 2x e la parabola y = 2 x . Si ottiene: 4 − 2x = 2 x , cioè 2 − x = x , da cui x + x − 2 = 0.

Poniamo t = x : si ottiene t2 + t − 2 = 0 t1,2 =

−1± 1+ 8

2=

−1± 3

2=

−2

1 Il valore −2

è da evitare (perché abbiamo posto t = x e quindi t ≥ 0). Quindi otteniamo t = 1, cioè x = 1. In corrispondenza ad x = 1 si ottiene y = 2. Pertanto il punto (1,2) è l’unico punto di intersezione tra la parabola y = 2 x e la retta y = 4 − 2x. Inoltre 4 − 2x = 0 ⇔ x = 2. Facciamo quindi un disegno della figura:

L’area A della figura richiesta sarà data dalla somma delle due quantità I1 e I2 ove

I1=3

4

3

22

2

3222

1

0

2

3)...(1

0

2

11

0=⋅=

== ∫∫x

dxxdxxICFF

, mentre I2 è l’area del triangolo avente come

vertici i punti (1,0), (2,0) e (1,2): la base e l’altezza misurano rispettivamente 1 e 2, e quindi l’area

P=(1,2)

(2,0)(1,0)0

2

y

x

29

di questo triangolo sarà 1⋅ 2

2=1. Quindi A = I1 + I2 =

4

3+1=

7

3.

Ora facciamo un confronto tra l’integrale indefinito e l’integrale definito: vedremo che non sono esattamente la stessa cosa. Più precisamente mostreremo che esistono funzioni che ammettono primitive ma non sono integrabili alla Riemann (in [a, b]), e che esistono altre funzioni che sono integrabili alla Riemann ma non ammettono primitive (in [a, b]). Cominciamo con il seguente: ESERCIZIO: Calcolare la derivata della funzione f : [−1,1]→ R che è definita ponendo

f (x) =x 2 sin

1

x2

per x ∈ [−1,1] \ {0},

0 per x = 0.

Per x ≠ 0 si ha: f '(x) = 2x sin1

x2 + x

2D sin

1

x2

= 2x sin

1

x2 −

2x2

x3 cos

1

x2 = 2x sin

1

x2 −

2

xcos

1

x2 .

Inoltre, per x = 0, si ha:

f '(0) = limx→0

f (x) − f (0)

x − 0= lim

x→0

x2 sin

1

x2 − / 0

x= lim

x→0x sin

1

x 2= 0 ⋅ limitata=0. Quindi

f '(x) =2x sin

1

x2

−2

xcos

1

x2

per x ≠ 0,

0 per x = 0.

Ovviamente, f ' ammette primitive in [−1,1] (la f !!), ma non è integrabile in [−1,1], in quanto non è

ivi limitata (la presenza del fattore 2

x vicino a 0 rende illimitata la funzione f ' in prossimità del

punto 0). D’altro canto, consideriamo la funzione:

h(x) =0 per

1 per

x ∈ [−1,0],

x ∈]0,1] :

h è integrabile in [−1,1], e, in base al significato geometrico dell’integrale, la quantità f (x)dx−1

1

∫ è

uguale all’area del quadrato tratteggiato in figura, cioè a 1 ⋅ 1 = 1; h non ammette primitive in [−1,1], in quanto, se le avesse, h godrebbe della proprietà dei valori intermedi (in virtù del Teorema di Darboux), cosa che in questo caso non è vera. INTEGRALE GENERALIZZATO O IMPROPRIO Passiamo ora a “estendere” il concetto di integrale alla Riemann a funzioni definite in un intervallo chiuso e limitato [a, b], ma ivi non necessariamente limitate, e poi anche a funzioni definite in una semiretta del tipo [a, +∞[ oppure ]−∞, b] o tutto R. Sia f : [a, b]→ R con le seguenti proprietà:

1

-1 0 1

30

1) definita in [a, b] tranne che, al più, nel punto b; 2) illimitata solamente (al più) in prossimità di b; 3) integrabile secondo Riemann in [a, x] ∀ x ∈ ]a,b[.

Diremo che f è integrabile in senso generalizzato in [a, b] se esiste in R il limite limx→b −

f (t)dta

x

∫ (se

viene ±∞, non lo è). Sia f : [a, b]→ R:

1) definita in [a, b] tranne che, al più, nel punto a; 2) illimitata solo (al più) in prossimità di a; 3) integrabile secondo Riemann in [x, b] ∀ x ∈ ]a,b[.

Diremo che f è integrabile in senso generalizzato in [a, b], se esiste in R il limite limx→a +

f (t)dtx

b

∫ .

Osservazione: Notiamo che tutte le funzioni integrabili alla Riemann sono integrabili in senso generalizzato (in quanto la funzione integrale è continua, dato che essa è addirittura Lipschitziana), ma non è vero il viceversa. Esempio: Calcoliamo il seguente integrale definito:

1

tdt

0

1

∫ .

La funzione 1

t è definita in ]0, 1] ed è illimitata in prossimità del punto 0. Si ha:

∈=−==

===+++++ →→→

→→∫∫∫ 2)22(lim]2[lim

2

1limlim

1lim

10

1

0

1

2

1

0

.)...(12

1

0

1

0

1

0xt

tdttdt

tdt

t xx

x

x

x

ICFF

xxxx

R.

Quindi la funzione 1

t è integrabile in senso generalizzato in [0, 1]:

1

tdt

0

1

∫ = 2.

Vediamo ora che cosa succede nello stesso intervallo per la funzione 1

t. È:

limx→0+

1

tdt

x

1

∫ =(F .F .C .I .)

limx→0+

[log t]x

1 = limx→0+

(log1− log x) = −(−∞) = +∞ . Quindi la funzione 1

t non è

integrabile in senso generalizzato in [0, 1].

Più in generale, consideriamo la funzione 1

tα, con α > 0, nell’intervallo ]0, 1].

Caso α > 1.

1

dt0

1

∫ = limx→0+

1

dtx

1

∫ = limx→0+

t−α

dtx

1

∫ =(F .F .C .I .)

limx→0+

t−α +1

−α +1

x

1

= limx →0+

1

1−α−

x1−α

1−α

.

31

Per α > 1, 1 − α < 0, quindi limx→0+

x1−α = +∞, lim

x→0+−

x1−α

1−α= −(+∞) ⋅ numero negativo = +∞. Pertanto,

per α > 1, la funzione 1

tα non è integrabile in senso generalizzato in [0, 1].

Caso 0 < α < 1: Procedendo come nel caso precedente, si ottiene:

1

dt0

1

∫ = limx→0+

1

1−α−

x1−α

1−α

. Questa volta 1 − α > 0, e quindi lim

x→0+x

1−α = 0, e pertanto si ha

1

tαdt

0

1

∫ =1

1−α; quindi, per 0 < α < 1, la funzione

1

tα è integrabile in senso generalizzato in [0, 1].

Abbiamo già visto che, per α = 1, la funzione 1

tα non è integrabile in senso generalizzato in [0, 1].

Anche per funzioni definite in intervalli illimitati si può parlare di integrale generalizzato. Definizione: Sia f : [a, +∞[→ R integrabile in senso generalizzato (oppure alla Riemann) in ciascun intervallo del tipo [a, x], con x ∈ R, x > a. Diremo che f è integrabile in senso generalizzato in

[a,+∞ [ se esiste in R il limite limx→+∞

f (t)dta

x

∫ .

Sia f : ]−∞, b]→ R integrabile in senso generalizzato (oppure alla Riemann) in ciascuno degli intervalli del tipo [x, b], con x ∈ R, x < b. Diremo che f è integrabile in senso generalizzato in

]−∞,b] se esiste in R il limite limx→−∞

f (t)dtx

b

∫ .

Proposizione (senza dimostrazione): Sia f : [a, +∞[→ R [f : ]−∞, b]→ R] integrabile in senso generalizzato, e supponiamo che esiste in I ˜ R il limite

l = limx→+∞

f (x) [ ])(lim xfx −∞→

.

Tesi: Allora dev’essere necessariamente l = 0 (N.B.: può comunque capitare che il limite l non esista in I ˜ R e che f sia integrabile in senso generalizzato in [a, +∞[ o ] −∞, b]!).

Studiamo ora fα: [1, +∞ [→ R, definita ponendo fα (x) =1

xα (α > 0), e vediamo per quali valori di

α fα è integrabile in senso generalizzato.

Se α ≠ 1, si ha: 1

dt1

x

∫ = t−α

dt1

x

∫ =(F .F.C .I .) t

1−α

1−α

1

x

=x

1−α

1−α−

1

1−α.

Se α > 1, risulta: limx→+∞

1

tαdt

1

x

∫ = −1

1−α=

1

α −1∈ R, in quanto 1 − α < 0 e lim

x→+∞x

1−α = 0 .

Se 0 < α < 1, si ha: limx→+∞

1

dt1

x

∫ = limx →+∞

x1−α

1−α−

1

1−α

= +∞ , in quanto x tende a +∞, e l’esponente

1− α è stavolta positivo.

32

Per α = 1, si ha:

1

tαdt

1

x

∫ =1

tdt

1

x

∫ = log t[ ]1

x= log x − log1 = log x , da cui lim

x→+∞

1

tαdt

1

x

∫ = limx →+∞

log x = +∞ .

Quindi la funzione1

tα: per α > 1, è integrabile in senso generalizzato in [1,+∞[, mentre per 0 <α < 1

e per α = 1 non è integrabile in senso generalizzato in [1, +∞[ (comportamento analogo a quello della serie armonica generalizzata). Esercizio:

Vedere se la seguente funzione è integrabile in senso generalizzato in [2, +∞[ e se lo è in [0, 1

2].

f (x) =1

x log x

Svolgimento: Innanzi tutto, si ha:

1

t log tdt∫ =

1

t

log tdt∫ = loglog t + c .

Quindi: 1

t log tdt

2

+∞

∫ = limx →+∞

1

t log tdt

2

x

∫ =(F .F .C .I .)

limx→+∞

loglog t[ ]2

x

= limx→+∞

log(log x) − log(log2)[ ]= +∞ .

Quindi, in [2, +∞[, la nostra f non è integrabile in senso generalizzato. Vediamo ora in [0, 1

2]. Si ha:

1

t logtdt

0

1

2∫ = limx→0+

1

t logtdt

x

1

2∫ =(F.F.C.I .)

limx→0+

loglogt[ ]x

1

2 = limx→0+

log(−log1

2) − log(−logx)

=numero reale − ∞ = −∞ .

Dunque, f non è integrabile in senso generalizzato neanche in [0, 1

2].

Esercizio:

Calcolare: I =x

1+ x 4dx

0

+∞

∫ .

Si ha: I = limx→+∞

t

1+ t 4dt

0

x

∫ .

Calcoliamo dapprima l’integrale indefinito t

1+ t 4dt∫ , utilizzando il seguente “trucco”: quando al

denominatore c’è un polinomio di quarto grado con potenze pari, porre t = w . Si ottiene:

dt =dt

dwdw = t'(w)dw =

1

2 wdw , quindi

33

t

1+ t4 dt∫ =

w

1+ w2 ⋅

1

2 wdw∫ =

1

2

1

1+ w2 dw∫ =

1

2arctgw + c =

1

2arctg(t

2) + c .

Pertanto

I= limx→+∞

t

1+ t4 dt

0

x

∫ = (F .F .C.I.) = limx→+∞

1

2arctg(t 2)

0

x

= limx→+∞

1

2arctg(x

2) −1

2arctg0

= 0

=

1

2⋅

π

2=

π

4.

FORMULA DI TAYLOR La formula di Taylor serve ad approssimare (con una buona approssimazione) una funzione mediante dei polinomi. Iniziamo con alcune considerazioni riguardanti direttamente i polinomi: per esempio, per semplicità, sia P :[x0 − k, x0 + k] → R un polinomio di grado 4. Si ha: P(x0 + h) = a0 + a1h + a2h

2 + a3h

3 + a4h4 ∀ h ∈ [−k, k].

Calcoliamo ora i coefficienti a0, a1, a2, a3, a4. Per h = 0, abbiamo P(x0) = P(x0 + 0) = a0 a0 = P(x0) P'(x0 + h) = a1 + 2a2h + 3a3h

2 + 4a4h3

P'(x0) = P'(x0 + 0) = a1 a1 = P'(x0) P''(x0 + h) = 2a2 + 6a3h + 12a4h

2

P''(x0) = P''(x0 + 0) = 2a2 a2 =P' '(x0)

2

P'''(x0 + h) = 6a3 + 24a4h

P'''(x0) = 6a3 a3 =P' ' '(x0)

6=

P ' ' '(x0)

3!

P'v(x0 + h) = 24a4

a4 =P'v (x0)

4!=

P 'v (x0)

24

Se P è un polinomio di 4° grado, allora

P(x0 + h) = P(x0) +P'(x0)

1!h +

P ' '(x0)

2!h 2 +

P' ' '(x0)

3!h 3 +

P 'v (x0)

4!h4 . L’idea è quindi quella di

approssimare una funzione f molto “regolare” con il polinomio f (x0) +f '(x0)

1!h + ...+

f(n )(x0)

n!hn .

Sussiste la seguente FORMULA DI TAYLOR CON RESTO DI PEANO: Teorema (senza dimostrazione): Sia f : [x0 − k, x0 + k]→ R una funzione avente derivata di ordine n in [x0 − k, x0 + k] e che ammette derivata di ordine n + 1 nel punto x0. Allora, ∀ h ∈ [−k,k], è: f (x0 + h) =

= f (x0) +f '(x0)

1!h +

f ' '(x0)

2!h

2 + ...+f

(n )(x0)h n

n!+

hn +1

(n +1)![ f

(n +1)(x0) + ε(x0,h)], con limh →0

ε(x0,h) = 0.

34

Vediamo da vicino il significato di questa formula per n = 0: questa formula ci fornisce, per n = 0, sostanzialmente una proprietà equivalente alla derivabilità. Riprendiamo la definizione di derivata.

Ricordiamo che f è derivabile in x0 se ∃ in R il limh →0

f (x0 + h) − f (x0)

h= f '(x0) . Dalla definizione di

derivata segue che: f (x0 + h) − f (x0)

h− f '(x0) = ε(x0,h)

ove lim

h →0ε(x0,h) = 0 (∀ h appartenente a un opportuno intorno di x0), ossia

f (x0 + h) − f (x0) = hf '(x0)

1!+ ε(x0,h)

, cioè f (x0 + h) = f (x0) + h

f '(x0)

1!+ ε(x0,h)

:

ecco la formula di Taylor per n = 0: se vogliamo la possiamo prendere come definizione di differenziabilità: cioè si dice che f è differenziabile in x0 se ∃ un intorno U di x0 e se ∃ un numero reale L tale che, ∀ h ∈ U, si ha:

(*) f (x0 + h) = f (x0) + Lh + h εx0(h) ,

ove εx0

: U → R è una funzione tale che limh →0

εx0(h) = 0, cioè un infinitesimo. Si può provare che una

funzione è differenziabile in x0 se e solo se è derivabile in x0, ed in tal caso L = f '(x0). La quantità Lh, cioè f '(x0) ⋅ h, si chiama DIFFERENZIALE di f in x0. La formula (*) esprime anche il fatto che f è “ben approssimata” dalla funzione lineare (cioè: dal polinomio di grado 1) in h: f (x0) + Lh, perché quello che resta è h ⋅ εx0

(h) = 0, cioè un infinitesimo di ordine SUPERIORE rispetto ad

h, ossia una quantità “trascurabile” (questo è tra l’altro lo spirito della formula di Taylor di ordine n, per ogni n ∈ IN: cioè la “buona” (in questo senso) approssimazione di f con un polinomio di grado n). Possiamo dunque scrivere:

f (x0 + h) ≈ f (x0) + hf '(x0)

1!= f (x0) + f '(x0) ⋅ h

df := f '(x0) ⋅ h = differenziale di f in x0

QR = f (x0 + h) − f (x0) SR = f '(x0) ⋅ h = df =differenziale

x

y = f(x)

df

0 x0 x0+h

f(x0)

f(x0+h) Q

y

S

P R

35

L’equazione della retta tangente ( PS ) alla curva y = f (x) nel punto P ≡ (x0, f (x0)) è y - f (x0) = f '(x0) (x − x0), cioè y = f (x0) + f '(x0) (x − x0). (‡) S è quel punto la cui ordinata y si calcola con la formula (‡) nel caso in cui al posto di x ci si mette x0 + h; ossia l’ordinata di S è: f (x0) + f '(x0) (x − x0) = f (x0) + f '(x0) ⋅ h. Quindi SR = ordinata di S−ordinata di R = f (x0) + f '(x0) ⋅ h − f (x0) = f '(x0) ⋅ h. L’errore è QS , che è h ⋅ ε( x0, h), che è “trascurabile” (h è molto vicino ad x0; quindi le proporzioni del disegno nella figura di sopra non vanno considerate…). TEOREMA senza dimostrazione: Sia f : [x0 − k, x0 + k]→ R avente derivate fino all’ordine n + 1 in [x0 − k, x0 + k]. Sussiste la FORMULA DI TAYLOR con il resto di Lagrange: ∀ h ∈ [−k,k] si ha f (x0 + h) =

= f (x0) + hf '(x0)

1!+ ...+

hn

f(n )(x0)

n!+

hn +1

(n +1)!f

(n +1)(x0 + ϑh), ove ϑ è un opportuno numero

appartenente all’intervallo aperto ]0, 1[. Definizione: Si dice che f : [x0 − k, x0 + k]→ R è SVILUPPABILE IN SERIE DI TAYLOR in [x0 − k, x0 + k] se ∀ h ∈ [−k,k] si ha:

f (x0 + h) =f

(n )(x0)

n!n= 0

∑ hn

con le convenzioni: f (0)(x0) = f (x0) e 00 = 1 (quest’ultima convenzione vale solo NELLE SERIE: 00, nei limiti, è una forma indeterminata). Notiamo che una condizione necessaria affinché f sia sviluppabile in serie di Taylor è che f ammetta derivate di qualsivoglia ordine: questa condizione, però, non è sufficiente: infatti esistono funzioni che ammettono derivate di ordine n ∀ n ∈ IN e che non sono sviluppabili in serie di Taylor. Sussistono comunque le seguenti due condizioni sufficienti (senza dimostrazione): TEOREMA: Se f : [x0 − k, x0 + k]→ R ammette derivate di qualsivoglia ordine ed è tale che esiste M > 0 tale che, ∀ n ∈ IN, ∀ x ∈ [x0 − k, x0 + k], si abbia

f(n )(x) ≤ M

n ,

allora f è sviluppabile in serie di Taylor in [x0 − k, x0 + k]. TEOREMA: Se f : [x0 − k, x0 + k]→ R ammette derivate di qualsivoglia ordine ed è tale che ∃ L > 0 tale che, ∀ n ∈ IN, ∀ x ∈ [x0 − k, x0 + k], si abbia

f(n )(x) ≤ L ,

36

allora f è sviluppabile in serie di Taylor in [x0 − k, x0 + k]. Per esempio, sin x è sviluppabile in serie di Taylor in [−k, k] ∀ k ∈ R+, con L = 1 (per es.); infatti: |sin(0)(x)| = |sin x| ≤ 1, |sin'(x)| = |cos x| ≤ 1, |sin''(x)| = |−sin x| ≤ 1, |sin'''(x)| = |−cos x| ≤ 1∀ x ∈ R, e via dicendo… Quindi, in virtù dell’arbitrarietà di k ∈ R+, si ottiene che la funzione sin x è sviluppabile in serie di Taylor in tutto R. Una proprietà analoga vale per la funzione coseno. Anche la funzione esponenziale ex è sviluppabile in serie di Taylor in tutto R. Sussistono le seguenti formule (senza dimostrazione) (∀ x ∈ R):

sin x = x −x

3

3!+

x5

5!− ...+

(−1)nx

2n +1

(2n +1)!+ ...

cos x =1−x

2

2!+

x4

4!− ...+

(−1)nx

2n

(2n)!+ ...

ex =1+ x +

x2

2!+

x3

3!+ ...+

xn

n!+ ...

arctgx = x −x

3

3+

x5

5−

x7

7+ ...+

(−1)nx

2n +1

2n +1+ ...

Si parte dal punto iniziale x0 = 0. (N.B.: Gli sviluppi in serie e le formule di Taylor, quando x0 = 0, si chiamano -in letteratura- rispettivamente sviluppi in serie e formule di MCLAURIN) Per −1 < x < 1 sussiste anche questo sviluppo in serie (SERIE BINOMIALE):

(1+ x)α =1+α

1

x +

α

2

x

2 + ...+α

n

x

n + ...

(ove α

k

=

α ⋅ (α −1) ⋅ (α − 2) ⋅ ...⋅ (α − k +1)

k!)

Inoltre, per −1 < x ≤ 1, si ha anche lo sviluppo in serie logaritmica:

log(1+ x) = x −x

2

2+

x3

3−

x4

4+ ...+ (−1)n +1 x

n

n+ ...

Dallo sviluppo in serie dell’arcotangente si ottiene, per x = 1: π

4=1−

1

3+

1

5−

1

7+ ...+

(−1)n

2n +1+ ...

Osservazione: Si può dare una sorta di “definizione alternativa” di ex: ex :=

xn

n!n= 0

∑ .

INTRODUZIONE AI NUMERI COMPLESSI

1 = (1,0) x

-i= (0,-1)

-1 = (-1,0)

ϑ

y

-i= (0,-1)

37

ϑρ

ϑρ

ρ

sin

cos

22

=

=

+=

y

x

yx

Numeri complessi: z = x + iy = ρ (cos ϑ + i sin ϑ).

Nel campo dei numeri reali, è impossibile eseguire certe operazioni, per esempio −1, o i logaritmi di numeri negativi. Si deve quindi USCIRE dall’insieme R e introdurre un nuovo insieme (insieme dei numeri complessi C). In questo contesto, non daremo la definizione rigorosa dei numeri complessi. Diremo solamente, in modo semplicistico: Porremo i2 = −1 (i sarà un numero non appartenente a R) e imporremo che valgano tutte le regole dell’algebra analoghe a quelle che valgono in R. I numeri complessi saranno quindi quei numeri z della forma z = a + ib, con a, b ∈ R. Il numero a si chiama la PARTE REALE del numero complesso z, mentre il numero b si chiama PARTE IMMAGINARIA. Se z = a + ib, chiameremo coniugato di z (e la indicheremo con z ) il numero complesso a − ib. (Invece di a ± ib, si può scrivere a ± bi). Adesso facciamo qualche operazione con i numeri complessi: (2 − 3i) + (4 − 5i) = 6 − 8i (3 + i) (4 − 2i) = 12 − 6i + 4i − 2i2 = 12 + 2 − 2i = 14− 2i

iiii

ii

ii

i

i

65

27

65

31

1649

472035

)47)(47(

)47)(5(

47

5 2

−=+

+−−=

−+

−−=

+

Sia ρ = a2 + b

2 : ρ = modulo di z, e lo si indica con | z |. Fissato sul piano, come verso positivo delle rotazioni, quello antiorario e indicata con ϕ la misura (in radianti) del minimo angolo di cui si deve ruotare l’asse intorno all’origine 0 e nel verso positivo, per disporsi nella retta per 0 e P, orientata da 0 verso P, si chiama ARGOMENTO di a + ib uno qualunque dei numeri reali ϑ = ϕ + 2kπ, con k ∈ Z = {0,+1,−1,+2,−2,+3,−3,…}.

P = (a,b) = a+ib b

0 a

ρ

ϕ

y = Asse immaginario

x = Asse reale

(Supponiamo P≠0)

a = Re Z

b= Im Z

38

Si ha: a = ρ cos ϑ, b = ρ sin ϑ, e quindi a + ib = ρ (cos ϑ + i sin ϑ). Si può anche dimostrare la seguente FORMULA DI EULERO:

eiϑ = cos ϑ + i sin ϑ ∀ ϑ ∈ R

(N.B.: Qui ez, con z ∈ C, lo si definisce analogamente a come lo era stato “definito” nel campo dei

numeri reali, cioè: ez =

zn

n!n= 0

∑ come somma di serie).

La forma z = ρ (cos ϑ + i sin ϑ) oppure z = ρeiϑ si chiama RAPPRESENTAZIONE

TRIGONOMETRICA del numero complesso z.

Dato un numero complesso z = a + ib, il suo modulo, come detto, è dato da ρ = a2 + b

2 (ρ = 0 se z = 0) e, se z è diverso da zero, il suo argomento ϑ è determinato dalle equazioni

sinϑ =b

a2 + b

2, cosϑ =

a

a2 + b

2

(Bisogna stare attenti in quale quadrante del piano cartesiano ci troviamo). POTENZE E RADICI NEL CAMPO COMPLESSO Sia z ≠ 0, e siano ρ e ϑ rispettivamente il modulo e l’argomento di z. Si ha

zn = (ρe

iϑ )n = ρne

inϑ . Definiamo ora la radice n-esima di un numero complesso z, con n ∈ IN. Chiamiamo radice n-esima di z ogni numero complesso x che soddisfa l’equazione

(+) xn = z .

Se z = 0, allora l’unica soluzione di (+) è ovviamente x = 0.

Sia z ≠ 0, z = ρeiϑ. Se x = re

iϑ è un numero complesso che soddisfa la (+) si deve avere r

ne

inϕ = ρeiϑ ,

e da ciò segue rn = ρ, nϕ = ϑ + 2kπ .

Dalla prima relazione si ha: r = ρn , e dalla seconda si ha:

ϕ =ϑ + 2kπ

n, k ∈ Z.

Si può dimostrare che le radici n-esime del numero complesso z sono n, e quindi si ha:

39

ϕ =ϑ + 2kπ

n, k = 0, 1, …, n − 1.

Esempio: Calcolare le radici quarte di 1. n = 4 1 =1⋅e iϑ (ρ =1,ϑ = 0)

ρ = 14 =1 ϕ0 =2 ⋅ 0π

4= 0 ϕ1 =

4=

π

2

ϕ2 =4π

4= π ϕ3 =

4=

2.

Quindi, nel campo dei numeri complessi, si ha che le radici quarte di 1 sono i quattro numeri 1, i, −1, −i.

LOGARITMI NEL CAMPO COMPLESSO Dato un numero complesso z ≠ 0 di modulo ρ e argomento ϑ, consideriamo nel campo complesso l’equazione nella variabile x

(*) ex = z . Prima di questo, facciamo vedere che la funzione esponenziale ez è periodica di periodo 2πi. Infatti si ha:

e2πi = cos2π + isin2π =1+ i ⋅ 0 =1,

e quindi ez+2πi = e

z ⋅ e2πi = e

z ∀ z ∈ C. Poiché, scrivendo z nella forma trigonometrica, è z = ρe

iϑ = elog ρ + iϑ , ne segue che una soluzione dell’equazione (*) è logρ + iϑ . Tenendo

conto che la funzione esponenziale, nel campo dei numeri complessi, è periodica di periodo 2πi, si ha che tutte le soluzioni della (*) sono date da

logρ + i(ϑ + 2kπ ), k ∈ Z. Allora, dato z ≠ 0, chiameremo logaritmo di z (in base e), e scriveremo log z, ogni soluzione dell’equazione (*). Ogni numero complesso z ≠ 0 ammette quindi un’infinità numerabile di logaritmi in base e, che sono dati da:

log z = logρ + i(ϑ + 2kπ ) , k ∈ Z.

Si chiamerà LOGARITMO PRINCIPALE di z la quantità logρ + iϑ (cioè quel logaritmo che corrisponde al numero intero 0).

+1= (ρ,ϕ0)

-i = (ρ,ϕ3)

i = (ρ,ϕ1)

-1= (ρ,ϕ2)

40

Con abuso di notazione: Il logaritmo di un numero complesso z ≠ 0, nella base complessa y ≠ 0, si definisce ponendo

logy z =log z

log y

(dove ha senso). L’estensione al campo complesso della nozione di logaritmo permette di definire la potenza zy con z ed y complessi e z ≠ 0. Si pone

zy = e

y log z ,

ove log z indica uno qualunque degli infiniti logaritmi di z in base e. ESEMPIO: −5: ρ = 5, ϑ = π log(−5) = log5 + i(π + 2kπ ) , k ∈ Z. Quindi esistono i logaritmi dei numeri reali negativi, ma solo nel campo dei numeri COMPLESSI. Nel campo dei numeri reali, non esistono logaritmi dei numeri reali negativi. Il logaritmo di 0 non esiste né nel campo dei numeri reali né in quello dei numeri complessi. FUNZIONI DI DUE VARIABILI

Sia IR2 il piano cartesiano. Fissato un punto (x0, y0) ∈ IR2, si chiama INTORNO di (x0, y0) un qualsiasi insieme U che contiene un piccolo cerchio, o un quadratino, o un rettangolino, o un piccolo rombo centrato in (x0, y0).

Nella figura, U1 è intorno di (x0, y0) mentre U2 non è intorno di (x0, y0). Un concetto analogo di intorno si può estendere nello spazio euclideo tridimensionale IR3: ai piccoli cerchi corrispondono le sferette, ai quadratini i cubetti, ai rettangolini i piccoli parallelepipedi, etc.

Definizione: Un insieme A ⊂ IR2 si dice APERTO se è vuoto oppure se, contenendo un punto (x0, y0), contiene un intorno U centrato in (x0, y0).

U

(x0,y0)

U2

(x0,y0) U1

(x0,y0)

41

Un insieme C ⊂ IR2 si dice CHIUSO se il suo complementare è un aperto. Dato A ⊂ IR2, A aperto non vuoto (per semplicità), considereremo le FUNZIONI DI DUE VARIABILI f : A → R. Una funzione di due variabili è una legge che a due numeri reali x, y, tali che (x, y) ∈ A (cioè a ogni coppia di numeri reali (x, y) tali che (x, y) ∈ A), fa corrispondere uno e un solo valore reale, che chiameremo f (x, y). Esempio:

f: IR2 → IR2, f (x,y) = ex+y = e

x ⋅ ey

Data una funzione di due variabili x ed y, si possono considerare le DERIVATE PARZIALI rispetto alla x e rispetto alla y. La derivata parziale rispetto alla x [risp. y] la si fa derivando rispetto alla x [risp. y] e considerando la variabile y [risp. x] come se fosse una costante. Per esempio, se f (x,y) = e

x+y = ex ⋅ e

y , allora la derivata parziale rispetto ad x è D(ex ) ⋅ ey = e

x ⋅ ey . Se

f (x,y) = 2xy2, allora la sua derivata parziale rispetto ad x è 2y2, perché è 2D(x) ⋅ y

2 = 2 ⋅1⋅ y2 = 2y

2 . Il simbolo Dx può generare confusione, perché si sottintende che la derivata che compare dev’essere fatta rispetto alla x. Per ovviare a ciò, in letteratura la derivata parziale rispetto a x si

indica col simbolo ∂f

∂x(x,y) oppure col simbolo fx (x,y). Quindi

∂x(2xy

2) = 2y2. Inoltre,

∂y(2xy

2) = 2x ⋅∂

∂y(y

2) = 2 ⋅ x ⋅ 2y = 4xy . Anche per le funzioni di due variabili si possono

introdurre i concetti di limite e di continuità. Diremo che lim

(x,y )→(x0 ,y0 )f (x,y) = l con l reale oppure +∞

o −∞, se per ogni intorno ϑ di l esiste un intorno U di (x0, y0) tale che ∀ (x, y) appartenente ad U ∩ A \ {(x0, y0 ) } (qui A è l’insieme di definizione della nostra f ) si ha f (x, y) ∈ ϑ. (N.B.: Si suppone sempre che A sia un aperto non vuoto di IR2). Diremo che f : A → R è continua in (x0, y0 ) ∈ A se

lim(x,y )→(x0 ,y0 )

f (x, y) = f (x0, y0) . Diremo che f : A → R è continua in A se f è continua in (x0, y0) PER

OGNI (x0, y0) ∈ A. OSSERVAZIONE IMPORTANTE: Mentre una funzione di una variabile derivabile in x0 è continua in x0, non è detto invece che una funzione di due variabili che ammetta derivate parziali in (x0, y0) sia continua in (x0, y0). Il concetto di continuità è un concetto “globale”, cioè “che riguarda un intorno U ⊂ IR2 nella sua globalità”. Quello che invece in IR2 corrisponde VERAMENTE alla derivabilità è la differenziabilità, che ora introduciamo.

Aperto Non aperto

42

Definizione: Sia A ⊂ IR2 un aperto non vuoto, e sia (x , y ) ∈ A. Diremo che f : A → R è

differenziabile in (x ,y ) se esistono due numeri reali P, Q ed una funzione ε: IR2 → R, con

lim(h,k )→(0,0)

ε(h,k) = 0, in modo che risulti f (x + h,y + k) − f (x , y ) = P ⋅ h + Q ⋅ k + h2 + k

2 ⋅ ε(h,k)

comunque si prendano h, k con (x + h, y + k) ∈ A. Notiamo che, se f è differenziabile in (x ,y ) , allora f è continua in (x ,y ) ; inoltre, se f è differenziabile in (x ,y ) , allora f è derivabile parzialmente in (x ,y ) , e si ha:

∂f

∂x(x ,y ) = P ,

∂f

∂y(x ,y ) = Q,

ove P et Q sono come nella definizione di differenziabilità data in precedenza. Si può dimostrare anche che, se f : A → R, con A ⊂ IR2, ammette CONTINUE le derivate parziali fx, fy in A, allora f è differenziabile in A. MASSIMI E MINIMI RELATIVI Sia data una funzione f : A → R, con A ⊂ IR2, A aperto non vuoto. Un punto (x ,y ) di A si dice punto di minimo relativo [risp. massimo relativo] per f se esiste un intorno U di (x ,y ) tale che per ogni (x, y) ∈ U ∩ A risulta f (x, y) ≥ f (x ,y ) [risp. f (x, y) ≤ f (x ,y ) ]. In tal caso il valore f (x ,y ) si dice un minimo [massimo] relativo o locale per f . Se poi risulta f (x ,y ) ≤ f (x, y) [risp. f (x ,y ) ≥ f (x, y)] ∀ (x, y) ∈ A, allora il punto (x ,y ) si dirà un punto di minimo assoluto [risp. massimo assoluto], e il valore f (x ,y ) si dirà il minimo assoluto [risp. massimo assoluto] di f . Si può dimostrare (ma noi non lo faremo) che (essendo A APERTO NON VUOTO) i punti di minimo (o di massimo) relativo che sono interni ad A e nei quali f è derivabile parzialmente, vanno ricercati fra le soluzioni del sistema

f x (x,y) = 0

f y (x,y) = 0

.

Le soluzioni di tale sistema si chiamano “punti critici” o “punti stazionari”. Tuttavia non tutti i punti critici sono punti di massimo o di minimo relativo. Quindi siamo di fronte a una condizione necessaria (ma non sufficiente) per avere punti di massimo e/o minimo relativo. Vediamo ora qualche condizione sufficiente, che permetta di introdurre qualche metodo “pratico” per lo studio dei massimi e minimi relativi per le funzioni di due variabili. A questo scopo introduciamo il concetto di derivata parziale seconda: lo facciamo direttamente con degli esempi. ∂ 2

f

∂x 2 è “la derivata parziale rispetto a x della derivata parziale di f rispetto a x”: per esempio, se

f (x,y) = x2 + y

2, si ha ∂ 2

f

∂x2 =

∂x

∂f

∂x

=

∂x(2x) = 2.

∂ 2

f

∂y2 è “la derivata parziale rispetto a y della derivata parziale di f rispetto a y”.

43

Se f (x,y) = x2 + y

2, si ha ∂ 2

f

∂y 2 =∂

∂y

∂f

∂y

=

∂y(2y) = 2.

∂ 2

f

∂x∂y è la derivata parziale rispetto ad y della derivata parziale di f rispetto ad x. Quindi, se

f (x,y) = x2 + y

2, si ha ∂ 2

f

∂x∂y=

∂x

∂f

∂y

=

∂x(2y) = 0 .

Analogamente, ∂ 2

f

∂y∂x è la derivata parziale rispetto ad x della derivata parziale di f rispetto ad y.

Quindi, se f (x,y) = x2 + y

2, si ha ∂ 2

f

∂y∂x=

∂y

∂f

∂x

=

∂y(2x) = 0 .

Introduciamo ora la matrice HESSIANA (e l’HESSIANO) della f nel punto (x ,y ) . La matrice Hessiana di f nel punto (x ,y ) è la matrice

H(x , y ) =

∂ 2 f

∂x2 (x , y )

∂ 2 f

∂x∂y(x ,y )

∂ 2f

∂y∂x(x , y )

∂ 2f

∂y 2(x ,y )

=fxx (x ,y ) fxy (x ,y )

fyx (x ,y ) fyy (x ,y )

(fxx è un simbolo più sintetico per indicare la quantità ∂ 2

f

∂x 2, e via dicendo…), mentre il suo

determinante lo chiameremo hessiano di f nel punto (x ,y ) , e lo denoteremo ancora con il simbolo H(x ,y ) (si capirà dal contesto se si parla della matrice o del determinante). Sussiste il seguente teorema (senza dimostrazione). TEOREMA. Sia f : A → R, con A aperto non vuoto, A ⊂ IR2, e supponiamo che esista un intorno U di (x ,y ) su cui f sia continua insieme alle sue derivate parziali prime e seconde. Supponiamo infine che

fx (x ,y ) = f y (x ,y ) = 0 .

In tal caso si ha:

1) Se H(x , y ) > 0 et ∂ 2

f

∂x 2(x , y ) > 0, allora (x ,y ) è un punto di minimo relativo;

2) se H(x , y ) > 0 et ∂ 2

f

∂x 2(x , y ) < 0, allora (x ,y ) è un punto di massimo relativo;

3) se H(x , y ) < 0, allora (x ,y ) non è né un punto di max né di min. relativo (e in questo caso si dice che il punto (x ,y ) è un punto sella);

4) se H(x , y ) = 0, allora non si può dire nulla ed occorre fare altre indagini. Esempi

1) Sia f : IR2 Õ R con f (x,y) = x2 + y

2.

44

Sappiamo già che fx = 2x , fy = 2y , fxx = 2, fyy = 2, fxy = fyx = 0.

Il sistema “dei punti critici”

f x (x,y) = 0

f y (x,y) = 0

fornisce come unica soluzione il punto (0, 0) e si ha

H(0,0) =2 0

0 2= 2 ⋅ 2 − 0 ⋅ 0 = 4. Quindi H(0,0) > 0, fxx (0,0) = 2 > 0 , e perciò il punto (0, 0) è di

minimo relativo, come si vedeva facilmente anche “a intuito”. 2) Sia f : IR2 Õ R con f (x,y) = 2xy . Si ha:

fx(x,y) = 2y , fy (x,y) = 2x , fxx = 0, fyy = 0, fxy = 2 = fyx .

Quindi

f x (x,y) = 0

f y (x,y) = 0

⇒2y = 0

2x = 0

⇒x = 0

y = 0

H(x, y) =0 2

2 0= −4 < 0.

Il punto (0, 0) è un punto sella.

TEOREMA FONDAMENTALE DELL’ALGEBRA (senza dimostrazione)

Un’equazione algebrica P(x) = 0, ove P è un polinomio di grado n, ammette nel campo complesso esattamente n radici. Esempio: l’equazione x

4 – 1 = 0 cioè x4 = 1, nel campo dei numeri

complessi ammette 4 radici, che sono date dai numeri 1, –1, i, –i, come abbiamo già precedentemente visto.

Nel campo dei numeri reali, quest’equazione ammette solo 2 radici (1 e –1). Notiamo anche che, se un’equazione del tipo P(x) = 0, con P polinomio, ammette una radice complessa a + ib, allora ammetterà anche la sua coniugata a – ib.

a + ib

a - ib

i

-i

1 -1

45

Da ciò si ritrova il risultato che un polinomio di grado dispari ammette almeno una radice reale (Essendo infatti un polinomio di grado dispari, quando si fanno le “coppie” tra le varie radici, e dovendo prendere sempre le coniugate, una rimarrà “spaiata”. Allora questa radice dev’essere un numero tale che il suo coniugato coincida con se stesso: questa condizione si verifica se e solo se il numero è reale).

Significato geometrico della differenziabilità di una funzione di due variabili f nel punto (x ,y ) : vuol dire, in sostanza, che esiste (ed è unico) il piano tangente alla superficie z = f (x, y) nel punto (x ,y , f (x ,y )) .

AUTOVALORI ED AUTOVETTORI

di una matrice A 2 x 2 oppure 3 x 3

A =a11 a12

a21 a22

oppure A =

a11 a12 a13

a21 a22 a23

a31 a32 a33

x =x1

x2

nel caso bidimensionale, oppure

x =

x1

x2

x3

nel caso tridimensionale.

Ax = “prodotto righe per colonne”=

=

a11x1 + a12x2 + a13x3

a21x1 + a22x2 + a23x3

a31x1 + a32x2 + a33x3

nel caso tridimensionale, oppure

Ax =a11x1 + a12x2

a21x1 + a22x2

nel caso bidimensionale.

λx =λx1

λx2

oppure

λx1

λx2

λx3

(∀ λ ∈ C)

λA =λa11 λa12

λa21 λa22

nel caso 2 x 2, oppure

(x,y,f(x,y))

z =f (x,y)

46

λA =

λa11 λa12 λa13

λa21 λa22 λa23

λa31 λa32 λa33

nel caso 3 x 3 (∀ λ ∈ C).

Definizione: Data una matrice A 2 x 2 o 3 x 3, si chiama autovalore λ ∈ C ogni soluzione dell’equazione algebrica det(A – λI) = 0, ove:

I =1 0

0 1

2×2

oppure I =

1 0 0

0 1 0

0 0 1

3×3

λI =λ 0

0 λ

oppure λI =

λ 0 0

0 λ 0

0 0 λ

A − λI =a11 − λ a12

a21 a22 − λ

oppure A − λI =

a11 − λ a12 a13

a21 a22 − λ a23

a31 a32 a33 − λ

det è il determinante. Data una matrice A ed un suo autovalore λ, si chiama autovettore (associato all’autovalore λ) ogni vettore x, DIVERSO DAL VETTORE NULLO, tale che Ax = λx. Stabiliamo ora un “collegamento” tra la formula Ax = λx, x ≠ 0 e det(A – λI) = 0. Per semplicità consideriamo il caso 2 x 2: analogamente si procede nel caso 3 x 3. Ax = λx si può esprimere, in virtù delle considerazioni precedenti, nel modo seguente:

a11x1 + a12x2

a21x1 + a22x2

=

λx1

λx2

, cioè

a11x1 + a12x2 = λx1

a21x1 + a22x2 = λx2

, (a11 − λ)x1 + a12x2 = 0

a21x1 + (a22 − λ)x2 = 0

.

Si tratta di un sistema omogeneo di due equazioni e due incognite, che sono x1 ed x2. Esso ammette

sempre la soluzione banale, cioè x1

x2

=

0

0

. Condizione necessaria e sufficiente affinché il nostro

sistema abbia soluzioni diverse da quella banale è che

deta11 − λ a12

a21 a22 − λ

= 0

47

(questa è una proprietà che viene dalla teoria dei sistemi lineari, e che qui diamo per scontata), cioè det(A – λI) = 0.

Definizione: Si dice che A =a11 a12

a21 a22

è simmetrica se a12 = a21.

Si dice che A =

a11 a12 a13

a21 a22 a23

a31 a32 a33

è simmetrica se a12 = a21, a13 = a31, a23 = a32.

Teorema (Senza dimostrazione) Se A è simmetrica, allora i suoi autovalori sono tutti quanti REALI.

ESERCIZIO: Calcolare gli autovalori e gli autovettori della matrice A =2 0

0 −2

.

Autovalori: det(A – λI) = 0, cioè

020

02det =

−−

λ

λ, ossia

(2 – λ)⋅(–2 – λ) = 0, cioè (2 – λ)⋅(2 + λ) = 0 λ = 2, λ = –2 sono i nostri autovalori (com’era facilmente “prevedibile”). Autovettori: In corrispondenza all’autovalore λ = 2

Ax = 2x 2 0

0 −2

x1

x2

=

2x1

2x2

2x1 = 2x1

−2x2 = 2x2

x1

x2 = 0

qualunque

I vettori (x1, 0), con x1 ∈ R\{0} (perché il vettore (0, 0), cioè il vettore identicamente nullo, è da escludere), costituiscono gli autovettori associati all’autovalore λ = 2. Ora, in corrispondenza all’autovalore λ = –2, si ha:

Ax = –2x 2 0

0 −2

x1

x2

=

−2x1

−2x2

2x1 = −2x1

−2x2 = −2x2

x1 = 0

x2 arbitrario

I vettori (0, x2), con x2 ∈ R\{0}, costituiscono gli autovettori associati all’autovalore λ = –2. Osservazione: Se f funzione di più variabili ha derivate parziali prime e seconde continue, allora la matrice hessiana è simmetrica (senza dimostrazione), e quindi essa ammette autovalori REALI.

48

TEST DELL’HESSIANO (Formulazione con gli autovalori: vale sia per funzioni di due che per funzioni di tre variabili) (Partiamo dai punti critici (x0, y0)) Se la matrice hessiana H = H(x0, y0) è definita positiva, cioè ha autovalori tutti positivi, allora il punto critico o stazionario (x0, y0) (ossia tale che fx(x0, y0) = 0 = fy(x0, y0)) è un punto di minimo relativo. Se H è definita negativa, cioè ha autovalori tutti quanti negativi, allora il punto critico (x0, y0) è un punto di massimo relativo. Se H ha autovalori sia positivi che negativi, allora (x0, y0) è un punto sella (cioè né di massimo né di minimo relativo). Se H ha l’autovalore nullo, allora non si può dire nulla. ESEMPIO: f (x, y) = x2 – y2

Condizione necessaria ma non sufficiente per avere punti di massimo e/o di minimo relativo è l’annullamento del gradiente, che nel nostro caso si scrive

f x (x,y) = 0

f y (x,y) = 0

2x = 0

−2y = 0

x = 0

y = 0

Il punto (0, 0), cioè l’origine, è un “candidato”. Notiamo che fxx = 2, fyy = – 2, fxy = fyx = 0.

H(x, y) =fxx fxy

fyx fyy

=

2 0

0 −2

ha autovalori 2 e –2 (l’abbiamo visto prima), che sono di segno

variabile. Si tratta dunque di un punto SELLA. Osservazione: In questo corso, mentre il test dell’hessiano per funzioni di due variabili è formulato sia con sia senza gli autovalori (e quindi lo studente può scegliere), per le funzioni di 3 variabili il test dell’hessiano è presentato solamente con gli autovalori e quindi bisogna necessariamente conoscere gli autovalori. Esistono in letteratura anche versioni del test dell’hessiano per funzioni di tre variabili senza ricorrere alla teoria degli autovalori, ma ci sembrano troppo complicate – a nostro avviso – e quindi esulano dallo spirito del corso. Esercizio: Determinare gli eventuali punti di massimo e minimo relativo della funzione f (x, y, z) = x2 + y2 + z2 + xz + yz + 2x – 2y – 4z . Imponiamo la condizione NECESSARIA dell’annullamento del gradiente.

f x = 0

f y = 0

f z = 0

2x + z + 2 = 0

2y + z − 2 = 0

2z + x + y − 4 = 0

x =

−z − 22

y =2 − z

2

2z +−z − 2

2+

2 − z

2− 4 = 0 4z − z − / 2 + / 2 − z − 8 = 0 2z − 8 = 0 z = 4

In corrispondenza di z = 4 si avrà: x = –3, y = –1. Quindi l’unico punto critico è il punto P = (–3, –1, 4). Si ha inoltre:

49

fxx = 2

fyx = 0

f zx =1

fxy = 0

fyy = 2

f zy =1

fxz =1

fyz =1

f zz = 2

e quindi

H(x, y,z) =

2 0 1

0 2 1

1 1 2

, pertanto

H − λI =

2 − λ 0 1

0 2 − λ 1

1 1 2 − λ

Siamo nel caso di funzioni a 3 variabili, e dunque dobbiamo calcolare gli autovalori della matrice hessiana. Si deve avere:

0 = det(H − λI) = det

2 − λ 0 1

0 2 − λ 1

1 1 2 − λ

= ...

Applichiamo la regola di SARRUS: 2 − λ 0 1

0 2 − λ 1

1 1 2 − λ

2 − λ 0

0 2 − λ

1 1

… = (2 – λ) ⋅ (2 – λ) ⋅ (2 – λ) + 0 + 0 – 0 – (2 – λ) ⋅ 1 – (2 – λ) ⋅ 1 = (2 – λ) ⋅ [(2 – λ)2 – 1 – 1] = = (2 – λ) ⋅ (λ2 – 4λ + 2). λ = 2: autovalore positivo λ2 – 4λ + 2: poiché H – λ I è simmetrica, allora gli autovalori sono tutti quanti reali. Il trinomio λ2 – 4λ + 2 presenta due “variazioni” (cioè due cambiamenti di segno quando si considerano i suoi coefficienti 1, –4, +2), e quindi ci sono altri due autovalori positivi. Non c’è bisogno di fare i calcoli! Gli autovalori sono tutti e tre positivi, e dunque (–3, –1, 4) è un punto di minimo relativo. Lo studente può affrontare ora i relativi esercizi dei compiti. INTEGRALI DOPPI In questo corso affronteremo gli integrali doppi solo come poco più che un cenno, e soprattutto da un punto di vista “pratico”, riducendo cioè al minimo indispensabile i richiami teorici. Siano α, β : [a, b]→ R due funzioni definite nell’intervallo chiuso e limitato [a, b] e ivi continue, tali che α(x) < β(x) nei punti interni di [a, b]. L’insieme D dei punti del piano cartesiano IR2 le cui coordinate cartesiane soddisfano alle condizioni:

50

a ≤ x ≤ b, α(x) ≤ y ≤ β(x), si chiama dominio normale rispetto all’ asse x.

Se f : D → R è una funzione di due variabili, f = f (x, y), continua in D, allora l’integrale doppio esteso a D di f lo si può definire nel seguente modo (“formula di riduzione”):

f (x,y)dxdyD

∫∫ = dxa

b

∫ f (x,y)dyα(x )

β (x )

∫ .

Se invece D è un dominio normale rispetto all’asse y, cioè è del tipo:

D = {(x, y) ∈ IR2: c ≤ y ≤ d, γ(y) ≤ x ≤ δ(y)}, ove γ, δ :[c, d]→ R sono due funzioni continue con γ(y) < δ(y) nei punti interni di [c, d], allora l’integrale doppio esteso a D di f lo si può definire nel seguente modo:

f (x,y)dxdyD

∫∫ = dyc

d

∫ f (x,y)dxγ (y )

δ (y )

∫ .

Osservazione: Se D è normale sia rispetto all’asse x che rispetto all’asse y, allora si può vedere che le due definizioni di integrale doppio sono equivalenti. Le formule or ora viste possono essere utilizzate anche quando il dominio D, pur non essendo normale rispetto a nessuno dei due assi, è decomponibile nell’unione di n domini normali a due a due privi di punti interni in comune (In tal caso si fa la somma degli integrali relativamente ai singoli domini normali).

ESERCIZIO: Calcolare l’integrale doppio: (x + 2y)dxdy

D

∫∫ ,

ove D è il triangolo che ha per vertici i punti O = (0.0), A = (1,0), B = (0,1).Consideriamo D come un dominio normale rispetto all’asse x.

È: D = {(x, y) ∈ IR2: 0 ≤ x ≤ 1, 0 ≤ y ≤ 1 – x}. Pertanto si avrà:

(x + 2y)dxdyD

∫∫ = dx (x + 2y)dy0

1−x

∫0

1

∫ =F.F .C .I

(facendo l’integrale rispetto a dy, abbiamo considerato

la x come se fosse una costante…) = dx xy + y2[ ]

0

1−x

0

1

∫ = dx ⋅ x(1− x) + (1− x)2( )0

1

∫ =

= dx ⋅ (x − x2 +1+ x

2 − 2x)0

1

∫ = (−x +1)dx0

1

∫ = −xdx0

1

∫ + 1dx0

1

∫ =F .F .C .I .

−x

2

2

0

1

+ [x]01 = −

1

2+1=

1

2.

y

xA = (1,0)0

B = (0,1)

D

D

y

xba0

y = β(x)

y = α(x)

D

y

x

c

d

0

x = δ(x)x = γ(x)

51

Pertanto il risultato è 1

2.

ESERCIZIO: Calcolare l’integrale doppio:

I :=y

1+ xydxdy

D

∫∫ ,

ove D è il quadrato avente come vertici i punti (0,0), (0,1), (1,0), (1,1). Soluzione: Si ha: D = {(x, y): 0 ≤ x ≤ 1, 0 ≤ y ≤ 1}. Consideriamo il quadrato D come un dominio normale rispetto all’asse y. È:

I :=y

1+ xydxdy

D

∫∫ = dyy

1+ xydx

0

1

∫0

1

∫ = ...

Consideriamo la quantità y

1+ xy. Stiamo facendo l’integrale rispetto ad x, e quindi trattiamo x come

una variabile ed y come se fosse una costante.

Quindi, nella quantità y

1+ xy, possiamo dire che “il numeratore è la derivata del denominatore”

(rispetto a x). Pertanto

y

1+ xydx

0

1

∫ = log1+ xy[ ]x= 0

x=1= log(1+ xy)[ ]

x= 0

x=1 (Qui, notiamo che le quantità x ed y sono non

negative…) = log(1+ y) − log1 = log(1+ y) , e quindi

I = dy ⋅ log(1+ y)0

1

∫ =y

1+ y

va

va

da

da

0

1

a

a

1

2

= d(1+ y)log(1+ y)

1

2

∫ =w=1+y

logwdw1

2

∫ =

[ ] 12log211log122log2log 21

....

−=+⋅−−=−= wwwICFF

.

ESERCIZIO: Calcolare il seguente integrale doppio: I= xydxdy

D

∫∫ , ove D è il dominio del piano delimitato dalle

due parabole di equazioni: y =x

2

4, y = 2 x .

Consideriamo D come un dominio normale rispetto all’asse x: sarà

D = {(x, y) ∈ IR2: 0 ≤ x ≤ 4, x

2

4 ≤ y ≤ 2 x }. Quindi

I= xydxdyD

∫∫ = dx xydyx 2 / 4

2 x

∫0

4

∫ = ...

52

(Qui, per quanto riguarda l’espressione xy, considereremo y come variabile ed x come costante)

...= xdx ydyx 2 / 4

2 x

∫0

4

∫ = xdxy

2

2

x 2 / 4

2 x

0

4

∫ = x ⋅/ 4 x/ 2

−1

2⋅

x4

16

dx

0

4

∫ = 2x2 −

x5

32

dx

0

4

∫ =2x

2

3−

x6

192

0

4

=

=2 ⋅ 64

3−

4 6

26 ⋅ 3=

128

3−

26

3=

128 − 64

3=

64

3.

La teoria degli integrali doppi ha una significativa applicazione al calcolo di un integrale particolarmente importante in Calcolo delle Probabilità e Statistica Matematica. Richiamiamo le relazioni introdotte quando abbiamo studiato i numeri complessi:

x = ρ cos ϑ, y = ρ sin ϑ : ρ e ϑ si chiamano anche COORDINATE POLARI. ESERCIZIO: Dimostrare che l’integrale generalizzato

J:= e−x 2

dx0

+∞

∫ è uguale a π

2.

“TRUCCO”: Passiamo all’integrale DOPPIO!

Studiamo l’integrale I:= e−(x 2 +y 2 )

dxdyIR 2

∫∫ .

Si ha: e−x 2

dx−∞

+∞

∫( )2

= e−x 2

dx−∞

+∞

∫( )⋅ e−x 2

dx−∞

+∞

∫( )= e−x 2

dx−∞

+∞

∫( )⋅ e−y 2

dy−∞

+∞

∫( )= ... (Per la formula

dell’integrale doppio…) ...= e−x 2

e−y 2

dxdyIR 2

∫∫ = e−(x 2 +y 2 )

dxdyIR 2 \{0}

∫∫ = ...

(IR2\{0} si scrive anche, in coordiante polari: D = {(x, y) ∈ IR2: 0 < ρ < +∞, 0 ≤ ϑ ≤ 2π}; inoltre, fare l’integrale su IR2 o su IR2\{0} non cambia niente, si toglie solamente un punto; inoltre, notiamo ora che da x = ρ cos ϑ, y = ρ sin ϑ segue x2 + y2= ρ2 cos2 ϑ + ρ2 sin2 ϑ = ρ2(cos2 ϑ + sin2 ϑ) = ρ2)

...= dϑ e−ρ 2

ρdρ = ...0

+∞

∫0

A questo punto, da dove sbuca questo ρ? Il motivo del “ρ” in più è che si tratta di una formula del cambiamento di coordinate e bisogna moltiplicare per lo “JACOBIANO DELLA TRASFORMAZIONE”, che in questo caso è per l’appunto ρ. Che cos’è lo jacobiano della trasformazione che esprime il cambiamento di coordinate,

53

x = ρcosϑ

y = ρ sinϑ

? È il determinante della matrice

∂x

∂ρ

∂x

∂ϑ∂y

∂ρ

∂y

∂ϑ

, cioè la quantità

J=∂x

∂ρ

∂y

∂ϑ−

∂x

∂ϑ

∂y

∂ρ. Che cosa sono le 4 quantità che compaiono nella matrice?

∂x

∂ρ= derivata di x rispetto a ρ, come se ϑ fosse costante. Quindi

∂x

∂ρ=

∂(ρcosϑ )

∂ρ= cosϑ .

Analogamente: ∂x

∂ϑ=

∂(ρcosϑ )

∂ϑ= −ρ sinϑ .

∂y

∂ρ=

∂(ρsinϑ )

∂ρ= sinϑ

∂y

∂ϑ=

∂(ρ sinϑ )

∂ϑ= ρcosϑ . Quindi

J= cos ϑ ⋅ ρ cos ϑ + ρ sin ϑ ⋅ sin ϑ = ρ (cos2 ϑ + sin2 ϑ) = ρ. Quindi lo jacobiano della nostra trasformazione “cambiamento di coordinate dalle cartesiane alle polari” è effettivamente ρ. Quindi

e−x 2

dx−∞

+∞

∫( )2

= dϑ0

∫ e−ρ 2

ρdρ0

+∞

∫ = 2π e−ρ 2

ρdρ0

+∞

∫ =2π

−2e−ρ 2

(−2ρ)dρ0

+∞

∫ = ...(1)

= −π e−ρ 2

[ ] 0

+∞

= ...

(infatti, adoperando la sostituzione w = ρ2, si ha dw =dw

dρ⋅ dρ = w'(ρ)dρ = −2ρ ⋅ dρ , quindi

e−ρ 2

(−2ρ)dρ∫ = ewdw∫ = e

w + c = e−ρ 2

+ c ; l’uguaglianza (1) segue quindi da ciò e dalla Formula

Fondamentale del Calcolo Integrale, che vale anche per l’integrale generalizzato, purché si intenda

e−(+∞)2

= limρ →+∞

e−ρ 2

= (e−∞) = 0)

...= −π (0 −1) = π . Pertanto e−x 2

dx−∞

+∞

∫( )2

= π , e quindi e−x 2

dx−∞

+∞

∫ = π . Inoltre, poiché h(x) = e−x 2

è una funzione pari (cioè tale che, ∀ x ∈ R, h(x) = h(−x)), allora

J:= e−x 2

dx0

+∞

∫ =1

2e−x 2

dx−∞

+∞

∫ =π

2, come volevasi dimostrare.

Funzione ΓΓΓΓ (generalizzazione del fattoriale) Definiamo, ∀ t > 0,

54

Γ(t): =def

xt−1 ⋅ e

−xdx

0

+∞

∫ .

Notiamo che la funzione integranda è integrabile in senso generalizzato, e quindi Γ(t) è ben definita ∀ t > 0. Si ha:

Γ(1): = e−x

dx0

+∞

∫ = [−e−x ]0

+∞ = e0 =1 Γ(1) = 1

Si ha, ∀ t > 0: Γ(t + 1): tdxextexdxexdxexxtxt

partiperxtxt =+−=−== ∫∫∫

+∞−−

=

∞+−+∞

−+∞

0

1

00

) (

00][)'( Γ(t) .

Si ha: Γ(t + 1) = t Γ( t), ∀ t

Quindi, in particolare: Γ(2) = 1 ⋅ Γ(1) = 1 ⋅ 1 = 1 Γ(3) = 2 ⋅ Γ(2) = 2 ⋅ 1 = 2 Γ(4) = 3 ⋅ Γ(3) = 3 ⋅ 2 = 6 Γ(5) = 4 ⋅ Γ(4) = 4 ⋅ 3 ⋅ 2 = 24 = 4! Γ(6) = 5!

Γ(n) = (n – 1)! ∀ n ∈ IN, n ≠ 0

(Notiamo che, per definizione, 0! = 1)

Si ha: x = t x = t 2

dx = 2tdt

Γ1

2

=

1

xe

−xdx

0

+∞

∫ =1

/ t e

− t 2

2/ t ⋅ dt0

+∞

∫ = 2 e−t 2

dt0

+∞

∫ =(simmetria )

e−t 2

dt−∞

+∞

∫ = π

(vedi pagine precedenti)

Si ha inoltre

Γ3

2

= Γ

1

2+1

=

1

2 Γ

1

2

=

π

2

Γ5

2

= Γ

3

2+1

=

3

2 Γ

3

2

=

3

2⋅

1

2⋅ π =

3 π

4

LINEE DI LIVELLO

1222 =++ zyx

55

Linee di livello k con -1 < k < 1 : sono le intersezioni della sfera con il piano z = k , cioè le circonferenze di equazione 222 1 kyx −=+

(ossia 1222 =++ kyx ) (k in questo caso è un numero fissato, non una variabile)

Le circonferenze in figura rappresentano le equazioni di (tutte) le linee di livello possibili e immaginabili associate alla sfera 1222 =++ zyx (= superficie sferica)

122 =+ yx rappresenta la circonferenza più grande. Le linee di livello si possono costruire anche se si considera l’asse x o l’asse y invece dell’asse z.

EQUAZIONI DIFFERENZIALI Definizione. Si definisce EQUAZIONE DIFFERENZIALE ORDINARIA nelle funzioni incognite

y1(x), y2(x), … , yp(x) , con x ∈ I, I intervallo o semiretta di R, ogni equazione che lega la variabile indipendente x, le funzioni incognite y1, y2, … , yp e le loro derivate, ossia:

F x;y1,dy1

dx,...,

dn1 y1

dxn1

;...;y p,dy p

dx,...,

dn p y p

dxn p

= 0,

cioè: (1)

F x;y1, y1',...,y1(n1 );...;y p ,y p ',..., y p

(n p )( )= 0,

dove F è una funzione reale di n1 + … + np + 1 variabili. Definizione. Si definisce ORDINE di una data equazione differenziale, rispetto ad una delle

incognite yj, j = 1, … , p, l’ordine massimo delle derivate di yj che figura nell’equazione . ordine globale = max (n1, n2, … , np)

Definizione. Si definisce SOLUZIONE o INTEGRALE dell’equazione differenziale ogni vettore di

componenti (y1, y2, … , yp), con le funzioni yj, j = 1, … , p definite e derivabili in I ⊆ R, I opportuno intervallo, tali che introdotte nella (1) la rendono soddisfatta.

Per p = 1 l’equazione differenziale è: F (x; y, y', … , y(n)) = 0 (2)

56

ed è di ordine n (rispetto alla variabile y). L’equazione (2) è detta in FORMA NORMALE o CANONICA se può essere scritta nella forma: y

(n) = f (x; y(x), y'(x), … , y(n -1)(x)). PROBLEMA 1 Assegnati D ⊂ IR2 ed f : D→ R, determinare se esistono I ⊆ R , y: I → R derivabile in I, tali che I intervallo

1) (x, y(x)) ∈ D ∀ x ∈ I,

2) y'(x) = f (x, y(x)) ∀ x ∈ I,

dove f : D→ R è continua, con D ⊆ IR2 . Questo problema può essere schematizzato con: (E) y' = f (x, y). PROBLEMA 2 (Problema di Cauchy o del Valore Iniziale) Assegnati D ed f come nel Problema 1, determinare se esistono I ⊆ R, I intervallo, x0 ∈ I° (x0 interno ad I), y: I → R derivabile in I, tali che

1) (x, y(x)) ∈ D ∀ x ∈ I,

2) y'(x) = f (x, y(x)) ∀ x ∈ I,

3) y(x0) = y0, dove f : D→ R, D ⊆ IR2, f continua. Può essere schematizzato con:

(E) y '= f (x,y)

y(x0) = y0

x0 ∈ I° .

ESEMPI 1) Un esempio del Problema 1 è

D

57

y' = 1

dy

dx=1⇒ dy = dx

dy∫ = dx∫ ⇒ y = x + c al variare di c ∈ R.

2) Un esempio del Problema 2 è dato da:

y '= x2

y(1) = −1

dy

dx= x

2 ⇒ dy = x2dx

cxydxxdy +=⇒= ∫∫32

3

1.

Determiniamo il valore della costante c ∈ R in modo che sia verificata la condizione y(1) = −1. Calcoliamo il valore della costante:

−1= y(1) =1

313 + c ⇒ −1=

1

3+ c ⇒ c = −

4

3 .

Per cui la soluzione del problema è la seguente:

y =1

3x

3 −4

3.

Consideriamo ancora il problema:

(E) y '= f (x,y)

y(x0) = y0

.

Sussiste il seguente risultato: Proposizione: y soluzione di (E) ⇔

y(x) = y0 + f (s,y(s))dsx0

x

∫ .

Vogliamo determinare delle condizioni, che ci permettano di studiare l’esistenza e l’unicità delle eventuali soluzioni. Sia D = R = [x0 – a, x0 + a] x [y0 – b, y0 + b] (con a, b ∈ R+) un rettangolo centrato nel punto iniziale (x0, y0). TEOREMA

58

f ∈ C(R) globalmente ⇒ (E) ammette (almeno una) soluzione. continua Definizione. Sia f : D → R, con D ⊆ IR2, D = R rettangolo (come sopra). Si dice che (x, y) → f (x, y) f è LIPSCHITZIANA in D rispetto ad y uniformemente rispetto ad x se: ∃ k > 0 tale che: ∀ (x, y1), (x, y2) ∈ D ⇒ | f (x, y1) – f (x, y2) | ≤ k | y1 – y2 |. (in breve f ∈ Lip(D)) TEOREMA f ∈ C(D)

f ∈ Lip(D)

⇒ il problema (E) ammette un’unica soluzione.

N.B. I due teoremi sono condizioni sufficienti ma non necessarie. TEOREMA f : D → R D ⊆ IR2 D = rettangolo f è derivabile rispetto ad y in D

⇒ f ∈ Lip(D). fy è limitata EQUAZIONI DIFFERENZIALI A VARIABILI SEPARABILI

y' = f (x, y) ⇒ dy

dx= f (x,y)

f (x, y) = X(x) Y(y) dove X: I → R I ⊆ R I, J intervalli Y: J → R J ⊆ R D = I x J f : D → R ⇒ y' = X(x) Y(y) è detta equazione differenziale a variabili separabili. Per cui il problema di Cauchy sarà della forma:

y '= X(x) ⋅Y (y)

y(x0) = y0

.

59

ESERCIZIO 1 Dato il seguente problema di Cauchy determinare, se esistono, le eventuali soluzioni

y '=1+ y 2

1+ x2

y(1) = 2

f (x,y) =1+ y

2

1+ x 2 è continua e localmente Lipschitziana, per cui il problema di Cauchy ammette

un’unica soluzione.

fy =2y

1+ x 2 ⇒ f ∈ Lip(D)

Separando le variabili, si ottiene:

y'=dy

dx=

1+ y2

1+ x 2

cioè:

dy

1+ y2 =

dx

1+ x2 .

Integrando ambo i membri:

dy

1+ y2∫ =

dx

1+ x2∫

arctg y = arctg x + arctg c. Esplicitando la y, si ha: y = tg (arctg x + arctg c). Ricordando la formula:

tg(a + b) =tg(a) + tg(b)

1− tg(a)tg(b)

∀ a, b ∈ R dove ha senso, si ottiene:

tg(arctg x + arctgc) =tg(arctg x) + tg(arctgc)

1− tg(arctg x)tg(arctgc)=

x + c

1− cx,

cioè

-2

-1,5

-1

-0,5

0

0,5

1

1,5

2

-25 -20 -15 -10 -5 0 5 10 15 20 25

60

y(x) =x + c

1− cx.

Imponendo la condizione iniziale determiniamo il valore della costante c :

2 = y(1) =1+ c

1− c⇒ 2 =

1+ c

1− c

2 (1 – c) = 1 + c ⇒ 2 – 2c = 1 + c ⇒ 1 = 3c ⇒ c = 1

3 .

Quindi la soluzione del problema di Cauchy è:

y =x +

1

3

1−1

3x

=

3x +1

33− x

3

=3x +1

3 − x,

cioè

y =3x +1

3− x.

ESERCIZIO 2 Dato il seguente problema di Cauchy determinare, se esistono, le eventuali soluzioni.

y '= −y

x(x − 4)y(5) =1

.

f (x,y) = −y

x(x − 4) è continua e lipschitziana in un intorno del punto iniziale.

X(x) = −1

x(x − 4) Y (y) = y

Essendo f (x, y) continua e localmente lipschitziana, allora il problema di Cauchy ammette un’unica soluzione. Separando le variabili:

dy

dx= −

y

x(x − 4)

dy

y= −

dx

x(x − 4)

Integrando ambo i membri:

61

1

ydy∫ = −

1

x(x − 4)dx∫

1

ydy∫ = log y = log y

possiamo togliere il modulo in quanto in un intorno del punto iniziale la y assume valori positivi (n.b.: la costante c la considereremo dopo…).

Calcoliamo −1

x(x − 4)dx∫

1

x(x − 4)=

A

x+

B

x − 4 A, B ∈ R da determinare

1

x(x − 4)=

A(x − 4) + Bx

x(x − 4)

1 = A (x – 4) + Bx ⇒ 1 = Ax – 4A + Bx 1 = (A + B) x – 4A

cioè: A + B = 0

1 = −4A

B = −A

A = −1

4

A = −14

B =1

4

.

Per cui sostituendo si ottiene:

1

x(x − 4)= −

1

4 x+

1

4(x − 4)= −

1

4

1

x−

1

x − 4

.

Calcoliamo ora l’integrale:

−1

x(x − 4)dx∫ =

1

4

1

x−

1

x − 4

dx∫ =

1

4

1

xdx∫ −

1

x − 4dx∫

=

1

4(log x − log(x − 4) + logc)

(Siccome nella nostra condizione iniziale x0 = 5 > 4, allora abbiamo potuto scrivere log(x – 4) anziché log|x – 4|). Ritornando all’equazione differenziale data, otteniamo:

log y =1

4(log x − log(x − 4) + logc)

62

log y =1

4log

cx

x − 4

log y = logcx

x − 4

1

4

.

Esplicitando y si ha:

y =cx

x − 4

1

4

1 = y(5) =5c

5 − 4

1

4= (5c)

1

4

1 = 5c ⇒ c = 1

5 .

Per cui la soluzione del problema di Cauchy è:

y =x

5(x − 4)

1

4

.

EQUAZIONI LINEARI DEL PRIMO ORDINE

Un’equazione differenziale è detta del equazione lineare del primo ordine se è della forma:

y' = a(x) y + b(x), (*) dove a(x) e b(x) sono due funzioni definite e continue in un intervallo I della retta reale.

Dunque il problema di Cauchy sarà della forma:

y '= a(x)y + b(x)

y(x0) = y0

.

Essendo a(x) e b(x) funzioni continue ed y' una funzione continua, il problema ammette un’unica soluzione. L’equazione (*) è detta omogenea se b(x) = 0 (in tal caso essa risulta essere a variabili separabili); non omogenea in caso contrario. Vediamo come calcolare l’integrale generale. y' = a(x) y + b(x) y'–a(x) y = b(x) Consideriamo: y'1–a(x) y1 = 0 , (**)

63

dove con (**) abbiamo indicato l’equazione omogenea associata. Tutte le equazioni differenziali lineari del primo ordine si risolvono nel seguente modo: 1° passo) Si studia l’equazione omogenea associata e se ne determina l’integrale generale y1. 2° passo) Si determina un integrale particolare (cioè una soluzione particolare y ) dell’equazione

differenziale data. L’integrale generale dell’equazione data sarà y = y1 + y (risultato senza dimostrazione)

y'1 = a(x)y1 ⇒dy1

dx= a(x)y1

separando le variabili otteniamo:

dy1

y1

= a(x)dx .

Integrando ambo i membri:

dy1

y1

∫ = a(x)dx∫

(senza restrizione si può supporre y1 > 0)

log y1 = a(x)dx + k∫

log y1 = a(x)dx + logc∫

y1 = cea(x )dx∫

Quindi y1 è soluzione della (**). Osserviamo che, se c è una costante reale, allora y1 non soddisfa l’equazione (*), dunque l’idea è quella di modificare la costante, facendola dipendere dalla variabile x, in modo tale che la y1 sia soluzione della (*). Tale metodo è noto come metodo della variazione delle costanti arbitrarie. Sia

y (x) = c(x)ea(x )dx∫

soluzione di (*). Sostituendo si ottiene:

c(x)ea(x )dx∫

a(x) + c'(x)ea(x )dx∫

− a(x)c(x)e

a(x )dx∫ = b(x)

c'(x)ea(x )dx∫ = b(x)

c'(x) = b(x)e− a(x )dx∫ .

Integrando ambo i membri si ha:

64

c'(x)dx∫ = b(x)e− a(x )dx∫

dx∫ ⇒ c(x) = b(x)e− a(x )dx∫

dx + c1∫

y (x) = ea(x )dx∫

b(x)e− a(x )dx∫

dx + c1∫ .

L’integrale generale della (*) è dato da:

y(x) = y (x) + y1(x)⇒ y(x) = cea(x )dx∫ + e

a(x )dx∫b(x)e

− a(x )dx∫dx + c1∫

.

“Inglobando” c e c1, si ottiene:

y(x,h) = ea(x )dx∫

b(x)e− a(x )dx∫

dx + h∫ ,

con h costante reale. Dato che l’integrale particolare è fissato (cioè è una cosa ben determinata, non una cosa che varia), allora anche c1 è fissato, cioè possiamo (anzi: dobbiamo!) scegliere UN SOLO valore di c1, per esempio c1 = 0. Quindi possiamo “inglobare” le due costanti; tra l’altro, essendo l’equazione del primo ordine, c’è in realtà in generale UNA SOLA famiglia (e non due) di costanti arbitrarie. A questo punto lo studente è invitato a “cimentarsi” sugli esercizi sulle equazioni differenziali del primo ordine presi dai compiti degli anni precedenti, in particolare sulle equazioni differenziali a variabili separabili e su quelle lineari. Studiamo ora le equazioni differenziali del secondo ordine lineari a coefficienti costanti: sono del tipo y'' + a1y' + a2y = β(x), ove β: I → R, con I intervallo o semiretta o tutto R, è una funzione continua. Per risolvere questo tipo di equazioni differenziali, studiamo innanzi tutto l’equazione omogenea associata y'' + a1y' + a2y = 0 . A questa equazione associamo l’equazione algebrica λ2 + a1λ + a2 = 0 : questa equazione si chiama EQUAZIONE CARATTERISTICA associata all’equazione differenziale (omogenea). Sussiste il seguente risultato, di cui non riportiamo la dimostrazione. Si presentano i seguenti tre casi:

1) Se l’equazione caratteristica ammette due radici reali distinte, diciamo α1 ed α2, allora l’integrale generale y1 dell’equazione omogenea sarà dato da y1(x) = c1e

α1x + c2eα2x (con c1, c2 ∈ R).

2) Se l’equazione caratteristica ammette due radici reali coincidenti, diciamo α (con α abbiamo indicato, ovviamente, il loro valore comune), allora l’integrale generale y1 dell’equazione omogenea è y1(x) = c1e

αx + c2xeαx (con c1, c2 ∈ R).

3) Se l’equazione caratteristica non ammette nessuna radice reale, allora – in virtù di un noto risultato che riguarda i numeri complessi, e del quale non diamo la dimostrazione – l’equazione caratteristica ammette due radici complesse “coniugate”, cioè che sono rispettivamente del tipo α1 = p + iq ed α2 = p – iq. In questo caso, l’integrale generale y1 dell’equazione omogenea è:

65

y1(x) = c1epx cosqx + c2e

px sinqx . Una volta trovato l’integrale generale dell’equazione omogenea, si determinerà una soluzione particolare (= integrale particolare) dell’equazione differenziale di partenza, applicando sempre una versione del metodo della variazione delle costanti arbitrarie (che in questo caso sono c1 e c2). Si pone rispettivamente nei 3 casi (nella ricerca di un integrale particolare y ): (*+*) y (x) = c1(x)eα1x + c2(x)eα2x , y (x) = c1(x)eαx + c2(x) ⋅ x ⋅ e

αx , y (x) = c1(x)e px cosqx + c2(x)e px sinqx , si impone che y sia una SOLUZIONE dell’equazione differenziale data calcolando da (*+*) la quantità y (x) e sostituendo, nell’equazione differenziale DI PARTENZA, i valori di y e di y '. Ci vorrà poi un particolare accorgimento (“trucco”), e dopo si scriverà un sistema di due equazioni e due incognite, che saranno c1'(x) e c2'(x). Quindi da c1'(x) e c2'(x) si determineranno c1(x) e c2(x). Dunque, lo spirito del metodo della variazione delle costanti arbitrarie è quello di far “variare” le costanti c1 e c2 (che corrisponderebbero al caso β(x) = 0), facendole “diventare” funzioni della x, in modo tale che y sia una soluzione dell’equazione differenziale data. (N.B.: L’integrale generale è, diciamo, l’insieme delle soluzioni) Anche in queste equazioni, che sono lineari, l’integrale generale dell’equazione data è uguale all’integrale generale dell’omogenea associata più un (qualsiasi) integrale particolare dell’equazione di partenza. Illustriamo l’operatività del metodo della variazione delle costanti arbitrarie con un esempio. In questo esempio calcoleremo anche qualche integrale del tipo e

ax cosbxdx∫ , eax sinbxdx∫ , cosa

che non era stata fatta nella parte riguardante il Calcolo degli integrali indefiniti. ESERCIZIO: Risolvere il seguente problema di Cauchy:

y ' '+y = 0

y(0) = 0

y '(0) =1

.

È un’equazione differenziale lineare del secondo ordine omogenea a coefficienti costanti: la sua equazione caratteristica associata è: λ2 + 1 = 0 λ = ±i λ2 = –1 L’integrale generale dell’equazione data è:

y = c1 cos x + c2 sin x. Imponendo la prima condizione iniziale, y(0) = 0, si ottiene: 0 = y(0) = c1 cos 0 + c2 sin 0 = c1 e quindi c1 = 0. Pertanto y = c2 sin x, da cui y' = c2 cos x. Poiché y'(x) = c2 cos x, allora y'(0) = c2 cos 0 = c2 . Imponendo ora la seconda condizione iniziale y'(0) = 1, si ottiene 1 = y'(0) = c2, cioè c2 = 1, e quindi y(x) = sin x è la soluzione del nostro problema, com’era facilmente prevedibile.

66

ESERCIZIO: Dato il problema

y ' '+25y = e7x

y(0) =75

74

y '(0) =7

74

si chiede di: a) risolvere il problema; b) calcolare un integrale particolare dell’equazione y'' + 25 y = e7x con il metodo della

variazione delle costanti arbitrarie. Soluzione: Innanzi tutto consideriamo l’equazione caratteristica (∇) associata dell’equazione omogenea associata (+) y'' + 25 y = 0 : essa è (∇) λ2 + 25 = 0, da cui λ = ± 5i. Quindi, in virtù di noti risultati della teoria, l’integrale generale dell’equazione (+) è y = c1 cos 5x + c2 sin 5x. Si osservi che un integrale particolare dell’equazione data y'' + 25 y = e7x può essere calcolato facilmente, senza bisogno di ricorrere al metodo della variazione delle costanti arbitrarie, osservando che la derivata di eαx è α e

αx ∀ α ∈ R e cercando quindi funzioni del tipo y(x) = α e 7x

con α ∈ R da determinare. Si deve avere: y'(x) = 7α e7x, y''(x) = 49α e

7x, e7x = y'' + 25 y = 49α e7x +

25 α e7x = 74 α e

7x, e quindi 74α = 1, cioè α =1

74. Quindi y(x) =

1

74e

7x è un integrale particolare

dell’equazione differenziale data (senza le due condizioni “iniziali” y(0) =75

74, y'(0) =

7

74 !)

Come detto, l’integrale generale dell’equazione omogenea associata è y = c1 cos 5x + c2 sin 5x. Cerchiamo un integrale particolare con il metodo della VARIAZIONE DELLE COSTANTI ARBITRARIE, ossia cerchiamo una soluzione del tipo (*) y (x) = c1(x) cos 5x + c2(x) sin 5x Da (*) deriva: y '(x) = c1'(x) cos 5x + c2'(x) sin 5x – 5 c1(x) sin 5x + 5 c2(x) cos 5x. Poniamo c1'(x) cos 5x + c2'(x) sin 5x = 0 (**) SI DEVE PORRE SEMPRE COSI’!! Da (*) e (**) si ha: y ''(x) = – 5 c1'(x) sin 5x + 5 c2'(x) cos 5x – 25 c1(x) cos 5x – 25 c2(x) sin 5x . Si deve porre allora – 5 c1'(x) sin 5x + 5 c2'(x) cos 5x = e7x (***) e

7x è LA NOSTRA β(x) (N.B.: Per verificare che effettivamente le condizioni “evidenziate” sono quelle da porre, controlliamo che veramente y ''(x) + 25 y (x) = e7x : infatti y ''(x) + 25 y (x) = e7x – 25 c1(x) cos 5x – 25 c2(x) sin 5x + 25 c1(x) cos 5x + 25 c2(x) sin 5x = e7x .) Ricaviamoci ora c1'(x) et c2'(x) risolvendo il seguente sistema:

c1'(x)cos5x + c2 '(x)sin5x = 0

−5c1'(x)sin5x + 5c2 '(x)cos5x = e7x

.

Applicando la regola di Cramer, si ha:

67

c1'(x) =

0 sin5x

e7x 5cos5x

cos5x sin5x

−5sin5x 5cos5x

=−e

7x sin5x

5cos2 5x + 5sin2 5x=

−e7x sin5x

5,

c2 '(x) =

cos5x 0

−5sin5x e7x

cos5x sin5x

−5sin5x 5cos5x

=e

7x cos5x

5,

e quindi

c1(x) = −1

5e

7x sin5xdx∫ , c2(x) =1

5e

7x cos5xdx∫ .

Calcoliamo ora i due integrali I1= e

7x cos5xdx∫ , I2= e7x sin5xdx∫ . Si ha:

I1=e

7x

7

|

cos5xdx∫ =e

7x

7cos5x +

5

7e

7x sin5xdx∫ =e

7x

7cos5x +

5

7 I2 ;

I2=e

7x

7

|

sin5xdx∫ =e

7x

7sin5x −

5

7e

7x cos5xdx∫ =e

7x

7sin5x −

5

7 I1 .

In conclusione possiamo scrivere il seguente sistema:

I1 =

e7x

7cos5x +

57

I2

I2 =e7x

7sin5x −

5

7I1

I1 −

57

I2 =e

7x

7cos5x

5

7I1 + I2 =

e7x

7sin5x

7I1 − 5I2 = e

7x cos5x

5I1 + 7I2 = e7x sin5x

.

Applicando ancora una volta la regola di Cramer, si ottiene:

I1 =

e7x cos5x −5

e7x sin5x 77 −5

5 7

=7e

7x cos5x + 5e7x sin5x

49 + 25 = 74

(infatti, facendo la prova, D(7e7x cos 5x + 5e

7x sin 5x) = 49e7x cos 5x – 35e

7x sin 5x + 35e7x sin 5x +

25e7x cos 5x);

I2 =

7 e7x cos5x

5 e7x sin5x

7 −5

5 7

=7e

7x sin5x − 5e7x cos5x

74

(Prova: D(7e7x sin 5x – 5e

7x cos 5x) = 49e7x sin 5x + 35e

7x cos 5x – 35e7x cos 5x + 25e

7x sin 5x).

Quindi, c1(x) = −1

5I2 =

5e7x cos5x − 7e

7x sin5x

5 ⋅ 74 = 370, c2(x) =

1

5I1 =

7e7x cos5x + 5e

7x sin5x

370.

Quindi un integrale particolare dell’equazione data è dato da

68

y (x) =5e7x cos5x − 7e7x sin5x

370

.cos5x +

7e7x cos5x + 5e7x sin5x

370

⋅ sin5x =

=1

74e

7x cos2 5x −7

370e

7x cos5x sin5x +7

370e

7x cos5x sin5x +1

74e

7x sin2 5x =

=e

7x

74(cos2 5x + sin2 5x) =

e7x

74.

Effettivamente, si può verificare ciò: infatti, se al posto di y ci mettiamo e

7x

74, si ha: y '=

7e7x

74,

y ' '=49e

7x

74, y ' '+25y =

49e7x

74+

25e7x

74=

74

74e7x = e7x , come dovevasi dimostrare.

L’integrale generale dell’equazione data è quindi y(x) = c1 cos5x + c2 sin5x +e

7x

74.

Ora ricaviamoci c1 e c2 in modo da avere y(0) =75

74, y'(0) =

7

74. Si deve avere

75

74= c1 cos0 + c2 sin0 +

1

74= c1 +

1

74, quindi

c1 =75

74−

1

74=

74

74=1

y(x) = c1 cos5x + c2 sin5x +e

7x

74 c1 = 1

y'(x) = −5sin5x + 5c2 cos5x +7e

7x

74

y'(0) = 5c2 +7

74. Imponendo y'(0) =

7

74, si deve avere 5c2 +

7

74=

7

74, cioè c2 = 0. La funzione y

soluzione del nostro problema di Cauchy è quindi y(x) = cos5x +e

7x

74. Verifichiamo che

effettivamente è soluzione. Si deve avere y'' + 25 y = e7x y'(x) = −5sin5x +7

74e

7x

y' '(x) = −25cos5x +49

74e

7x y' '+25y = −25cos5x +49

74e

7x + 25cos5x +25

74e

7x = e7x ,

y(0) =1+1

74=

75

74, y'(0) =

7

74 (sin 0 = 0, e0 = 1, y'(0) = −5sin0 +

7

74e

0 =7

74).

Lo studente è ora invitato a “cimentarsi” con gli esercizi sulle equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti del secondo ordine tratti dai compiti degli anni precedenti. MODELLI MATEMATICI Molti processi naturali riguardano grandezze che aumentano o diminuiscono con una rapidità proporzionale al loro valore. Per esempio, la massa di una coltura di batteri che si sviluppano in un ambiente nutritivo aumenterà con una rapidità proporzionale alla massa stessa. La quantità non ancora decaduta di una determinata sostanza in un campione radioattivo diminuisce con una rapidità proporzionale alla quantità stessa, eccetera… Tutti questi fenomeni possono essere descritti matematicamente nello stesso modo. Se y = y(t) indica il valore di una grandezza y al tempo t e se y cambia con una rapidità proporzionale al suo

valore, allora si ha: dy

dt= ky . Viene fuori che y è una funzione di tipo esponenziale. Diremo che la

69

grandezza y esibisce una CRESCITA ESPONENZIALE se k > 0 e un DECADIMENTO ESPONENZIALE se k < 0. Esempio: Una certa coltura di cellule cresce con una rapidità proporzionale al numero di cellule presenti. Se la coltura contiene inizialmente 500 cellule e dopo 24 ore 800 cellule, quante cellule vi saranno dopo altre 12 ore? Sia y(t) il numero di cellule presenti dopo t ore dall’istante in cui vi erano 500 cellule, istante che

chiameremo “zero”. Allora y(0) = 500 ed y(24) = 800. Poiché dy

dt= ky , si ha

dy = ky dt dy

y∫ = k dt∫ log |y| = kt + c (ma y è positivo…)

log y = kt + c y = ekt+c = ekt ⋅ ec = c1 e

kt, dove c1 = ec . y(0) = c1, quindi y(t) = y(0) ⋅ ekt = 500 ekt.

Quindi 800 = y(24) = 500 e24k, da cui e

24 k =800

500, e pertanto 24k = log

8

5, cioè k =

1

24log

8

5

, e

quindi y(t) = 500e(t / 24 )⋅ log( 8 / 5) = 500 ⋅ (8 /5)t / 24 . Vogliamo conoscere y quando t = 36. Si ha:

y(36) = 500 ⋅ (8 /5)36 / 24 = 500 ⋅ (8 /5)3 / 2 = circa 1012. EQUAZIONE LOGISTICA E CRESCITA LOGISTICA Poche grandezze in natura possono continuare a crescere in modo esponenziale per periodi di tempo estesi, in quanto la crescita è di solito limitata da vincoli esterni. Supponiamo ad esempio che un numero ridotto di conigli (di ambo i sessi) sia introdotto in una piccola isola che in precedenza era senza conigli e senza predatori di conigli. Ci si potrebbe attendere che il numero di conigli, in virtù della loro prolificità, aumenti in modo esponenziale, ma questa crescita sarà limitata alla fine dalla disponibilità di cibo per i conigli sull’isola. Supponiamo che l’isola possa produrre una quantità di cibo sufficiente per la sopravvivenza indefinita di una popolazione di L conigli. Se la popolazione al tempo t conta y(t) conigli, ci aspetteremmo che y(t) cresca con una rapidità proporzionale ad y(t) a condizione che y(t) sia molto piccolo rispetto ad L. Ma quando y(t) aumenta, diventerà sempre più difficile per i conigli trovare cibo sufficiente, e allora la loro rapidità di crescita dovrebbe avvicinarsi a 0 quando y(t) diventa sempre più vicino ad L. Un modello possibile di tale comportamento è l’equazione differenziale

dy

dt= ky 1−

y

L

,

che è chiamata EQUAZIONE LOGISTICA, in quanto descrive una crescita che è limitata dalla

DISPONIBILITÀ di risorse necessarie. Si osservi che dy

dt> 0 se 0 < y < L e che questa rapidità

diventa piccola se y è piccola (vi sono pochi conigli che si riproducono) oppure se y è prossimo a L

(vi sono quasi tanti conigli quanti le risorse dell’isola lo possono permettere). Se y > L, dy

dt< 0: se

vi sono più animali di quanto le risorse possono sostenere, muoiono più conigli di quanti ne nascano. Si può vedere che la soluzione che soddisfa la condizione iniziale y(0) = y0 (con 0 < y0 <L senza restrizione) è:

y(t) =Ly0

y0 + (L − y0)e−kt

(senza restrizione y > 0, L – y >0).

Partiamo dall’equazione dy

dt= ky 1−

y

L

.

70

L’equazione data è a variabili separabili, perché la si può scrivere anche nel modo:

dy

y 1−y

L

= kdt , cioè: dy

yL − y

L

= kdt , ossia Ldy

y(L − y)= kdt . Passando agli integrali, si ottiene

Ldy

y(l − y)∫ = kdt∫ . Adesso studiamo in 1° integrale con la formula di HERMITE. Poniamo:

L

y(y − L)=

A

y+

B

y − L=

Ay − AL + By

y(y − L)=

(A + B)y − AL

y(y − L), da cui, per il principio di identità dei

polinomi, si deve avere A + B = 0 – AL = L , da cui A = –1, B = 1. Quindi

L

y(y − L)= −

1

y+

1

y − L, da cui

L

y(L − y)=

1

y+

1

L − y. Si ottiene pertanto

kdtdyyLy

=

−+

11, da cui, passando agli integrali, log

y

L − y

= kt + logC

y

L − y= e

kt + logC y

L − y= Ce

kt

A questo punto ci ricaviamo, nell’ordine: y ; y0 = y(0); C in funzione di y0, e arriveremo al risultato. L − y

y=

1

Cekt

L

y−1=

1

Cekt

L

y=

1

Cekt

+1 L

y=

1+ Cekt

Cekt

y =LCe

kt

1+ Cekt y0 = y(0) =

LC

1+ C

y0

L=

C

1+ C

L

y0

=1+ C

C=1+

1

C

1

C=

L

y0

−1=L − y0

y0

C =y0

L − y0

Tenendo conto che y =LCe

kt

1+ Cekt e C =

y0

L − y0

, otteniamo

y =Ly0e

kt

(L − y0) 1+y0

L − y0

ekt

=Ly0e

kt

(L − y0) + y0ekt

=Ly0

y0 + (L − y0)e−kt, come dovevasi dimostrare.

APPLICAZIONI ALLA FISICA Una delle equazioni fondamentali nella teoria dei circuiti elettrici è

Ldi

dt+ Ri = E(t) ,

71

dove L (henry) è detta induttanza, R (ohm) resistenza, i (ampère) intensità di corrente ed E (volt) forza elettromotrice f. e. m. In questo caso considereremo R ed L costanti positive.

Consideriamo l’equazione differenziale per E(t) = E0 costante:

Ldi

dt+ Ri = E0 . (1)

Vogliamo determinare la funzione incognita i = i(t). Consideriamo dapprima l’equazione omogenea associata

Ldi

dt+ Ri = 0 L

di

dt= −Ri

L

idi = −Rdt

Ldi

i∫ = −R dt∫ L log i = −Rt + Lk0 (con k0 ∈ R costante arbitraria)

Si suppone che l’intensità di corrente sia positiva (perché è una grandezza fisica). Si ottiene:

logi = −R

Lt + k0

tL

R

hei−

= , con h = ek0 che varia in R+ (h costante arbitraria).

Adesso cerchiamo un integrale particolare (cioè una soluzione particolare) dell’equazione data, attraverso il cosiddetto “metodo della variazione delle costanti arbitrarie”. Cerchiamo dunque una soluzione dell’equazione differenziale

(1) Ldi

dt+ Ri = E0 del tipo:

(2) i0(t) = h(t)e−

R

Lt

. Si ha:

(3) di0

dt=

dh

dt⋅ e

−R

Lt

−R

Lh(t)e

−R

Lt

.

LE

R

72

Sostituendo le espressioni (2) e (3) nella (1), si ha:

Ldh

dte

−R

Lt

− Rh(t)e−

R

Lt

+ Rh(t)e−

R

Lt

= E0 dh

dte

−R

Lt

=E0

L

dh

dt=

E0

Le

R

Lt

h(t) =E0

Le

R

Lt

dt∫ =E0

/ L ⋅

/ L

Re

R

Lt

dR

Lt

=∫

E0

Re

R

Lt

+ c1 .

Siccome ci basta determinare una soluzione particolare, ci basta scegliere c1 = 0.

Una soluzione particolare è dunque i0(t) =E0

Re

−R

Lt

e

R

Lt

=E0

R.

L’integrale generale dell’equazione data sarà quindi la somma dell’integrale generale dell’omogenea associata e di i0(t), e dunque sarà:

i(t) = he−

R

Lt

+E0

R.

Facciamo la prova. Si ha: Ldi

dt+ Ri = −

R

/ L / L h ⋅ e

−R

Lt

+ Rhe−

R

Lt

+ RE0

R= E0 .

Consideriamo il seguente problema di Cauchy:

Ldi

dt+ Ri = 0

i(0) = 0

.

La condizione iniziale i(0) = 0 sta ad indicare che all’istante t = 0 non vi è passaggio di corrente

all’interno del circuito. L’integrale generale dell’equazione è: i(t) = i(t,h) = he−

R

Lt

+E0

R, con h

costante arbitraria. Imponiamo la condizione iniziale. Si deve avere:

0 = i(0) = he−

R

L⋅0

+E0

R= h +

E0

R, da cui h = −

E0

R.

Per cui la soluzione del problema è:

i(t) = −E0

Re

−R

Lt

+E0

R.

E = forza elettromotrice R = resistenza L = induttanza C = capacità, R, L, C quantità positive.

La somma delle cadute di potenziale sugli elementi di un circuito chiuso è uguale alla forza elettromotrice totale E nel circuito.

LE

R

C

~

73

La caduta di potenziale ai capi di un resistore di resistenza R (ohm) è Ri, ai capi di un solenoide di

induttanza L (henry) è Ldi

dt, e ai capi di un condensatore di capacità C (farad) è

q

C.

La corrente i (ampère) e la carica q (coulomb) sono legate dalla relazione

i =dq

dt.

Nel caso preso in esame consideriamo R, L e C costanti. L’equazione differenziale del circuito elettrico con induttanza L, resistenza R, capacità C e forza elettromotrice E(t) è:

Ldi

dt+ Ri +

q

C= E(t)

equazione che è equivalente, essendo i =dq

dt ,

di

dt=

d2q

dt 2, alla seguente:

Ld

2q

dt 2+ R

dq

dt+

q

C= E(t), (3)

da cui si può ricavare q = q(t).

Derivando la (3) e ponendo dq

dt= i abbiamo

Ld

2i

dt 2+ R

di

dt+

i

C= E '(t) , da cui si può ricavare i = i(t).

L’equazione (3) è un’equazione differenziale lineare del secondo ordine a coefficienti costanti. Dividendo per L si ottiene

d

2q

dt 2+

R

L

dq

dt+

1

LCq =

E(t)

L.

Esamineremo ora un caso particolare. Più precisamente: Studiare la scarica di un condensatore di capacità C, attraverso un circuito con induttanza L e resistenza R.

Vogliamo studiare quello che succede quando carichiamo un condensatore e chiudiamo il circuito. In tal caso supporremo E = 0.

d2q

dt2 +

R

L

dq

dt+

1

LCq = 0

q(0) = q0

q'(0) = 0

L

R

C

74

Consideriamo: L = 5 R =10 C = 1 q0 = 4 Sostituendo si ha

d

2q

dt 2+ 2

dq

dt+

1

5q = 0.

Consideriamo l’equazione caratteristica associata:

λ2 + 2λ +1

5= 0 5λ2 +10λ +1 = 0

λ1/ 2 =−5 ± 25 − 5

5=

−5 ± 2 5

5

q1(t) = eλ1t = e

−5−2 5

5

t

q2(t) = eλ2t = e

−5+2 5

5

t

. L’integrale generale è: q(t) = c1q1(t) + c2q2(t) , cioè

q(t) = c1e

−5−2 5

5

t

+ c2e

−5+2 5

5

t

. Da ciò si ha:

q'(t) =−5 − 2 5

5

c1e

−5−2 5

5

t

+−5 + 2 5

5

c2e

−5+2 5

5

t

.

Imponiamo le condizioni iniziali per calcolare il valore delle costanti: q0 = q(0) = c1 + c2 4 = c1 + c2

0 =−5 − 2 5

5

c1 +

−5 + 2 5

5

c2

75

c1 + c2 = 4

−5 − 2 55

c1 +

−5 + 2 55

c2 = 0

c2 = 4 − c1

−5 − 2 5

5

c1 +

−5 + 2 5

5

(4 − c1) = 0

c2 = 4 − c1

−5 − 2 55

c1 −

−5 + 2 55

c1 + 4

−5 + 2 55

= 0

c2 = 4 − c1

−5 − 2 5

5−

−5 + 2 5

5

c1 +

−20 + 8 5

5= 0

c2 = 4 − c1

−5 − 2 5 + 5 − 2 55

c1 +

8 5 − 205

= 0

c2 = 4 − c1

−4 5

5c1 +

8 5 − 20

5= 0

c2 = 4 − c1

−4 5

5c1 =

20 − 8 5

5

c2 = 4 − c1

c1 = −20 − 8 5

/ 5 ⋅

/ 5

4 5

c2 = 4 − c1

c1 =8 5 − 20

4 5

c1 =8 5 − 20

4 5=

4(2 5 − 5)

4 5=

2 5 − 5

5= 2 − 5

c2 = 4 − (2 − 5) = 2 + 5.

La soluzione è:

q(t) = (2 − 5)e−5−2 5

5

t

+ (2 + 5)e−5+2 5

5

t

. MOTO RETTILINEO Una massa m viene lanciata verso l’alto dal punto 0 con velocità iniziale v0. Trovare l’altezza massima raggiunta, ammettendo che la resistenza dell’aria sia proporzionale alla velocità. Poniamo che il verso verticale positivo sia quello diretto verso l’alto, e che x denoti la distanza della massa da 0 al tempo t. La massa è sollecitata da due forze, la forza gravitazionale di intensità mg

diretta verso il basso e la resistenza dell’aria di intensità kv = kdx

dt di verso opposto alla velocità.

76

Tenendo presente il II° principio della dinamica

F→

= m ⋅ a→

v =dx

dt

a =d

2x

dt2

si ottiene che l’equazione differenziale è:

md

2x

dt 2= −mg − k

dx

dt, cioè m

d2x

dt 2+ k

dx

dt= −mg , da cui

(∆)d

2x

dt 2+

k

m

dx

dt= −g , ove –g è una costante.

Consideriamo l’equazione omogenea associata: d

2x

dt 2+

k

m

dx

dt= 0. L’equazione caratteristica corrispondente è:

λ2 +k

mλ = 0 λ λ +

k

m

= 0 Le radici sono λ1 = 0,λ2 =

−k

m, e quindi l’integrale

generale dell’equazione omogenea associata è:

x1(t) = c1 + c2e−

k

mt

Per trovare un integrale particolare x dell’equazione (∆), applichiamo il metodo della variazione

delle costanti arbitrarie. Poniamo x (t) = c1(t) + c2(t)e−

k

mt

(cioè: facciamo “variare” c1 e c2, facendole “diventare” funzioni della variabile t), imponiamo che x sia soluzione di (∆) e calcoliamo x '(t). Si

ha: x '(t) = c1'(t) + c2 '(t)e−

k

mt

−k

mc2(t)e

−k

mt

. Per il metodo della variazione delle costanti arbitrarie, si

deve porre: c1'(t) + c2 '(t)e−

k

mt

= 0 .

Si ottiene dunque x '(t) = −k

mc2(t)e

−k

mt

. Si ha: x ' '(t) = −k

mc2 '(t)e

−k

mt

+k

2

m2c2(t)e

−k

mt

. Sempre per il

metodo della variazione delle costanti arbitrarie, si deve porre: −k

mc2 '(t)e

−k

mt

= −g, cioè

k

mc2 '(t)e

−k

mt

= g, ove –g è il nostro β(t), secondo la notazione da noi introdotta nelle equazioni

differenziali lineari del secondo ordine a coefficienti costanti.

x

mg

kv

0

77

Si ottiene: c2 '(t) = gm

ke

k

mt

, da cui c2(t) = gm

ke

k

mt

dt∫ = gm

2

k2 e

k

mt

dk

mt

∫ = g

m2

k2 e

wdw∫ =

w =k

mt

= g

m2

k 2ew + c = g

m2

k 2e

k

mt

+ c . Inoltre

c1'(t) = −c2 '(t)e−

k

mt

= −gm

ke

k

mt

⋅ e−

k

mt

= −gm

k, e dunque c1(t) = −g

m

kdt∫ = −g

m

kt + c

* .

Notiamo che stiamo cercando una particolare soluzione (e non una o due famiglie di infinite soluzioni…), quindi i termini “+ c” e “+ c* ”, nel computo di c2(t) e c1(t), vengono, per così dire,

“trascurati”. Quindi si ottiene: c1(t) = −gm

kt , c2(t) = g

m2

k 2e

k

mt

, pertanto avremo:

x (t) = c1(t) + c2(t)e−

k

mt

= −gm

kt + g

m2

k 2e

k

mt

⋅ e−

k

mt

= −gm

kt + g

m2

k 2. Quindi l’integrale generale x(t)

dell’equazione differenziale (∆) sarà dato da x(t) = c1 + c2e−

k

mt

−gm

kt + g

m2

k 2. La costante g

m2

k 2 può

essere inglobata in c1, e quindi si può scrivere anche:

x(t) = c1 + c2e−

k

mt

−gm

kt .

Il problema che si considera è:

md 2x

dt2 = −mg − k

dx

dtx(0) = 0

x '(0) = v0

v =dx

dt

Siano m = 2, k = 1, v0 = 3. Essendo g = 9,8 si ha

78

=

=

−−=

3)0('

0)0(

6,192 2

2

x

xdt

dx

dt

xd

.

La soluzione del problema è data da:

tecctxt

6,19)( 2

1

21 −+=−

. Imponiamo le condizioni iniziali per determinare il valore delle costanti c1 e c2. Si deve avere: 0 = x(0) = c1 + c2 ⇒ c1 + c2 = 0

x'(t) = −1

2c2e

−1

2t

−19,6

6,2236,192

1

6,192

1)0('3

2

2

−=−−=

−−==

c

cx

c2 = −45,2

c1 = 45,2

c2 = −45,2

.

Per cui la soluzione del problema è

x(t) = 45,2 − 45,2e−

1

2t

−19,6t . APPLICAZIONI DELLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI LINEARI DEL 2° ORDINE AL MOTO DI UN PENDOLO.

Un pendolo di lunghezza l e di massa m, sospeso in P (v. figura) si muove in un piano verticale passante per P. Trascurando ogni altra forza all’infuori della forza di gravità (per esempio: attrito, resistenza passiva dell’aria…), trovare il movimento. In virtù delle ipotesi, il centro di gravità C del pendolo si muove sulla circonferenza di centro P e raggio l. Sia ϑ l’angolo formato dal filo con la verticale al tempo t, e si supponga che il verso positivo sia quello antiorario. La sola forza agente è dunque quella di gravità, positiva se il verso è quello diretto verso il basso, e la sua componente lungo la tangente alla traiettoria del peso del pendolo è mg sin ϑ. Se s denota la lunghezza dell’arco C0C, allora s = lϑ (s può

90°

ϑ

ϑ

P

l

s

c

c0

mg sin ϑ

79

essere interpretato, in un certo senso, come “la misura dell’angolo ϑ ”), e l’accelerazione nei vari

punti dell’arco è: d

2s

dt 2= l

d2ϑ

dt 2 (l è una costante).

Impostando l’equazione F→

= m a→

, si ottiene −mgsinϑ = mld

dt 2, ossia −gsinϑ = l

d2ϑ

dt 2.

In virtù del cosiddetto “isocronismo delle piccole oscillazioni”, per ϑ molto piccolo, sin ϑ può

essere “confuso” con ϑ : infatti limϑ →0

sinϑ

ϑ=1 (LIMITE NOTEVOLE) o, se vogliamo, utilizzando la

formula di Taylor, si ha: sinϑ = ϑ −ϑ 3

3!+

ϑ 5

5!− ...+

(−1)nϑ 2n +1

(2n +1)!+ ... = ϑ + infinitesimi di ordine

superiore = ϑ + “quantità trascurabili”. Si ottiene l’equazione −gϑ = ld

dt 2, cioè l

d2ϑ

dt 2+ gϑ = 0,

ossia d

dt 2+

g

lϑ = 0. Si tratta di un’equazione differenziale lineare del 2° ordine omogenea a

coefficienti costanti. La sua equazione caratteristica associata è: λ2 +g

l= 0 λ2 = −

g

l

λ = −g

l= ±

g

li . L’integrale generale di quest’equazione omogenea è:

ϑ (t) = c1 cosg

lt

+ c2 sin

g

lt

.

Si tratta di un esempio di moto armonico.