Mostra arte nel nome della madre

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Mostra d’Arte Contemporanea Nel Nome della Madre 2 - 10 novembre 2013 IL MITREO – ARTE CONTEMPORANEA Via Marino Mazzacurati 61 - 63, Roma

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Nel Nome della Madre

Il Mitreo Arte Contemporanea 2-10 novembre 2014

Evento organizzato da InAsherah Art

In collaborazione con:

Roma Capitale, Il Mitreo, Arvalia - Municipio XI, Associazione Iside

Con il contributo di

Art Gallery Il Margutta, D.D'Arte, FITNESS LEVEL - SPORT & WELLNES CENTER

Curator mostra: Lucia Lo Cascio

Presentazione artisti: Laura Turco Liveri

Sono intervenuti:

Chiara Sabatini, Elisa Tahira, Stefano Valente, Alessandro Parisi

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“ Troppo spesso oggi una rovina ha le fattezze di una donna ma quello che c’era prima di lei era solo l’immagine riflessa di una società cancellata dall’uso utile dell’inutilità, dalle parole che qualcuno pronunciò seduto sul trono dell’effimero.Della sua potenza si parlò per secoli e le sempre più deboli foglie della vita divennero verde polvere che fece tossire il sole. Una donna ora è solo un ricordo amaro di qualcuno ancora aggrappato a quel trono scricchiolante che ride e sbadiglia, sogna l’immagine della libertà che ha il volto santo dell’esistenza, la stessa esistenza che una donna non dovrà mai più rivendicare. “

(Emiliano Yuri Paolini )

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NON SOLO MADRE

Se ancora nel 2013 si sente più che mai l’esigenza di sottolineare la molteplicità dell’animo femminile e soprattutto la necessità di valorizzare quest’altra ‘metà del cielo’ e di difenderne la figura, l’operato e perfino la vita, vuol dire che ancora l’universo maschile non si è incontrato appieno con quello che considera tuttora una minaccia.La donna che si ribella alla soggezione nei confronti dell’uomo, difendendo la propria personalità, il diritto all’istruzione e alla crescita come persona, perdendo per questo, con allarmante frequenza persino nella ‘civilizzata’ Europa, la stessa vita, ha sempre fatto paura, come fin dalle antiche civiltà la mitologica Lilith, condannata come lussuriosa e perfino pericolosa per i bambini maschi.Perché questa paura? Perché l’aspetto creativo di una donna è normalmente identificato con la capacità di ospitare nel proprio grembo e mettere alla luce un bambino, mentre a fatica si accetta e si pone fiducia nella professionalità e in altre qualità personali di una donna che diventa protagonista della propria storia, capacità ugualmente efficaci e utili per la società? La perseveranza femminile ha molte volte portato avanti le economie degli stati, come la storia ci insegna.Perché, inoltre, nella coppia moderna, dove femminile e maschile si incontrano per vivere l’unità, non ci può essere un confronto sullo stesso piano, da persona a persona, prima che da figura maschile a figura femminile,spesso invece in opposizione, conflitto o rivalità?Forse la questione si inserisce in un’altra, più ampia e ugualmente attuale: la libertà fa paura, la società non prepara, malgrado le apparenze, e soprattutto non educa i bambini, salvo casi specifici e di breve durata, alla serena conoscenza del sé e al modo in cui manifestare la propria diversità e originalità rispetto agli altri. Una diversità troppo di frequente condannata, più o meno palesemente, mentre la ricchezza culturale - e non solo - di una comunità viene data dall’apporto e dalla proficua interazione tra personalità e creatività differenti.Creativi e ‘diversi’, per definizione, sono gli artisti che, nell’ineludibile urgenza espressiva della riflessione su di sé e sul mondo, arrivano a livelli comunicativi differenti e più profondi rispetto al linguaggio verbale, superando confini di nazionalità e ponendosi direttamente sul piano umano.Per questo, il lavoro degli artisti è particolarmente importante per una società, posto il caso che questi conducano una ricerca onesta e svincolata da stilemi modaioli, talvolta molto remunerativi, anche se effimeri, da parte del mercato. Se la loro ricerca è congrua, il risultato informativo, su tutti i livelli, è massimo e dura nel tempo, ripagando lo sforzo dell’artista anche dal punto di vista economico.Proprio per questo sottolineare in una collettiva di 12 artisti l’incontro tra maschile e femminile è oggi particolarmente significativo, perché ci mostra, attraverso le loro opere, che qualcosa di profondo si muove, magari lentamente, come accade per le cose ormai sedimentate e calcificate da consuetudini fallaci.Chissà se gli artisti presenti in questa esposizione riusciranno, con il loro operato, a incidere nell’animo di chi guarderà i loro lavori. Rispetto alle tendenze espressive di qualche anno fa solamente, si nota un’energia emotiva più forte, più efficace e più precisa nella ricerca analitica, nella comunicazione, nella scelta dei modi linguistici e dei materiali a questi congruenti, come nelle opere di Roberto Pavoni, emblematiche nell’evidenziare con la maggiore definizione e lavorazione della materia pittorica solo alcune zone nel dipinto, sia esso un paesaggio urbano o un riquadro campito con modalità affini al pop italiano, ricordando ciò che accade nel fluire del pensiero durante un percorso abituale o una visione di un’opera in una mostra. Oggetti e spazi che parlano al nostro io perché è il nostro io ad essere alla ricerca di qualcosa forse non ancora definito. Emblematiche anche le opere di Beppo Zuccheri, che gioca con la precisione analitica, chirurgica e nitida delle linee che disegnano gli oggetti, smentendole poi con l’emozionalità tragica della materia del fondo, una materia pulsante e sempre in movimento, che si raggruma per far emergere oggetti, affastellati gli uni sugli altri (scale, persone, fili), in un continuo svanire e ricomporsi. Il colore è

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livido, ricorda i neon delle camere operatorie o quelli delle sale d’aspetto. La luce e lo spazio aperto dal quadro è uno spazio mentale ma anche epidermicamente fisico, popolato di pensieri, figure, scritte, forme geometriche, strette e talvolta cucite in una rabbiosa tensione nervosa.Ritratti sottilmente mostruosi, quelli di Elena Boccoli, disegnati con una linea sottile, insidiosa e dispettosa, a volte crudele per i tratti somatici delle donne raffigurate; pose rivelatrici di un pensiero programmatico che caratterizza persone e professioniste che si stagliano sui fondi neutri solo a loro dedicati.Mentre l’impegno sociale di Emiliano Yuri Paolini affonda le sue radici in una responsabilità di cui il pittore si è fatto carico, rispondendo in maniera attiva con la propria arte, sia con installazioni che con dipinti, concepiti a volte e assemblati secondo un metodo concettuale che ne aumenta l’efficacia e l’incidenza comunicativa. Un artista a tutto tondo, troppo disponibile perfino, ma serenamente molto coraggioso a vivere sulla sua carne viva i conflitti e le ingiustizie della società. Chissà se è proprio questo a costituire la sua grande, febbricitante forza.Sulla medesima lunghezza d’onda pure gli altri artisti, che senza appesantire di contenuti programmatici le proprie opere, rivelano semmai una pregressa ed ampia preparazione a tutto campo sui temi fondamentali dell’uomo.Come negli acquerelli di Monica Melani, che della lentezza ne ha fatto una linea espressiva, e che entra nell’intimità della materia usandone le caratteristiche e le performances fisiche per cantare con la danza luminosa dei colori la gloria della natura più profonda. Nel caso della Melani si tratta di acqua, ma non solo di liquido amniotico, al quale solitamente l’acqua viene associata, ma acqua in cui avviene il movimento, la trasformazione, secondo il principio fisico scoperto da Lavoisier, “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”: il movimento della vita.Acqua, sabbia, aria, musica, danza, canto sono i messaggi che emanano le opere di Julio Ojea, che all’improvviso scompaiono per ricomporsi su un piano bidimensionale e in un gioco logico e polisemantico di incastri e inganni ottici. Le sue donne danzanti sono altresì ritmi e sequenze matematiche, a segnalare la continuità seriale che unisce gli esseri in una grande, unica danza della natura.La costruzione fisica dell’opera invece è messa in evidenza da Marco Florio, che non di rado esula dal formato tradizionale del dipinto, per creare forme o figure a cavallo tra la tridimensionalità della scultura e la visione frontale a bassorilievo. L’organizzazione delle forme create con materiali diversi poi uniformati in linguaggio dalla pittura si ritrova nei collage, dove appare di proposito la denuncia programmatica, mai scontata, dell’autore, amalgamata con l’impasto visivo e materico del dipinto.La frammentazione dell’immagine sembra essere l’intento principale delle fotografie di Massimo Cappellani, nelle quali la denuncia sociale viene raccontata nell’ambito di un’attenzione precisa al contesto geometrico del paesaggio e della composizione, arrivando così ad una lettura polivalente, dove la fotografia è inequivocabilmente iconica, e ad un’evidente pittoricità dove invece la figura viene intesa e lavorata già come immagine astratta.Flussi in parte interrotti, bruciati, bucati, colorati nel silenzio del loro colore, il bianco, il rosso, o flussi scanditi da caselle seriali dove la materia si raggruma: armonie compromesse compongono l’universo attonito di Ilaria Berlingeri, in cui sicurezza e serenità sono scosse dall’azione di elementi estranei e spinte verso un possibile e apparentemente ancora sconosciuto cambiamento.La superficie esterna, la patina, l’apparenza che cambia la sostanza è il duro e originale lavoro che Marco Pietrosanti sembra essersi scelto nel momento attuale. Un compito non facile, e soprattutto controcorrente rispetto alle attitudini intellettuali di oggi. Un’operazione concettuale che trova esatta corrispondenza nella modalità espressiva delle sue sculture che, pur riferendosi a tematiche precise e impegnate non sfuggono al compiacimento tattile della materia e del movimento delle fasce compositive.Il gesto è la grande forza di Rosy Losito, larghe pennellate poi raschiate, incise, ferite, sopraffatte; fondi chiari come fogli o lavagne, su cui una scrittura automatica integra il ritmo compulsivo della materia cromatica: ritmo grande e ritmo piccolo, a sottolineare la duplicità dei livelli di lettura del

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dipinto, in una durata che se visivamente finisce al finire del riquadro dell’opera, rimane e continua nella mente dell’osservatore.Il gesto, per Evita Andujar, viene invece organizzato, tramite larghe pennellate piatte, per strati successivi di materia che traspaiono gli uni negli altri, in sintonia con l’intento informativo ed emozionale che mira ad arrivare allo strato finale, al momento attuale della storia, con la portata pesante del passato. Anche quando ritrae l’attimo fugace di un’azione sportiva, fatto di luce baluginante e di forme intuite nella velocità che sfoca i particolari delle figure e ne inquadra visioni parziali, il procedimento creativo e, se vogliamo, programmatico, rimane lo stesso: la velocità di oggi presuppone sforzo e allenamento di ieri.

Laura Turco LiveriStorica e critica dell’arte

In nome della madreRoma, 2 novembre 2013

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