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Le parole per dirloMigrazioni, Comunicazione e Territorio

a cura di

Flavia Cristaldi e Donata Castagnoli

Morlacchi Editore

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© 2012 copyright by Morlacchi Editore, Perugia.Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, non [email protected] | www.morlacchilibri.comStampato nel mese di settembre 2012 presso Digital Print-Service, Segrate, Milano.

isbn/ean: 978-88-6074-496-8

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indice

il perché del convegno di Flavia Cristaldi p. 7

il primo Dizionario Dell’emigrazione italiana di Mina Cappussi e Tiziana Grassi p. 13

migrazione, asilo e comunicazione: l’apporto del glossario dell’european migration network di Luca Di Sciullo, Franco Pittau, Antonio Ricci p. 21

le parole per dirlo. migrazioni, comunicazione e territorio di Delfina Licata p. 37

andare oltre gli stereotipi. la figura del migrante nell’informazione italiana e le ricerche per la Carta Di roma

di Marco Bruno p. 49

la comunicazione per gli italiani all’estero: l’esperienza del premio globo triColore

di Patrizia Angelini p. 81

verso un sistema cittadino di accoglienza. politiche e processi di integrazione nella capitale

di Folco Cimagalli p. 87

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il territorio del comune di roma fra accoglienza e integrazione: l’esperienza di programma integra

di Valentina Fabbri p. 97

riflessioni suggerite dal progetto di rilevante interesse nazionale: “migrazioni e processi di interazione culturale. forme di integrazione e di organizzazione territoriale in alcune realtà italiane”di Carlo Brusa _______________________________ p. 109

conclusioni

di Donata Castagnoli __________________________ p. 115

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Flavia Cristaldi

il perché del convegno

Clandestini, extracomunitari, vu cumprà, irregolari, stranieri, immigrati, …

A volte basta l’uso di un termine per etichettare una persona e rinunciare a conoscerla nella sua individualità e specificità. Nei giornali, nei programmi televisivi, ma anche in alcuni articoli scientifici, il linguaggio utilizzato per indicare i migranti rientra nello stereotipo e finisce per alimentare la mappa della paura piuttosto che la conoscenza reale del fenomeno.

Le migrazioni hanno da sempre caratterizzato la specie uma-na, ne hanno influenzato l’evoluzione e la geografia, ed oggi rap-presentano uno degli elementi costituenti dell’essere sul piane-ta, delle fughe dagli eventi catastrofici naturali, così come dalle guerre e dalle carestie, ma anche l’elemento di riscatto per vite compresse in società che non offrono opportunità lavorative o sociali. Le motivazioni che hanno spinto e spingono gli esseri umani allo spostamento, alla migrazione in una terra diversa, sono da sempre molteplici e poliedriche. Nei secoli singoli indi-vidui, famiglie o interi popoli si sono spostati, hanno attraversa-to i confini per creare nuovi territori che portano ancora i loro segni nella storia e nel paesaggio.

Il convegno “Le parole per dirlo. Migrazioni, Comunicazio-ne e Territorio”, da me organizzato all’Università di Roma La Sapienza nell’ambito del PRIN 2008 “Migrazioni e processi di interazione culturale. Forme d’integrazione e di organizzazione territoriale in alcune realtà italiane”, si prefigge proprio l’obiet-tivo di ripercorrere le diverse fasi del processo migratorio – da quando gli italiani emigravano in massa sino alla contempora-

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Flavia Cristaldi

neità dei flussi degli immigrati in entrata – e di mettere in luce il ruolo della comunicazione, del linguaggio utilizzato nella veico-lazione e nei processi di territorializzazione del fenomeno.

Dalla fine del XIX secolo, migliaia e migliaia d’italiani han-no varcato la frontiera per creare nuove vite e nuovi territori; hanno disseminato segni del loro passaggio e del loro restare, finendo per “italianizzare” luoghi inospitali e luoghi già carat-terizzati dalla presenza di altre popolazioni. Alcuni lemmi uti-lizzati per indicare i migranti sono entrati nell’immaginario col-lettivo e ormai disegnano immagini di facile condivisione: basta una valigia di cartone per far lavorare la memoria e ricostruire l’immagine di uomini o famiglie che trascinano i pochi averi in viaggi anche improbabili. Ma la memoria non ricostruisce solo immagini di disfatte, di fatiche, di viaggi della disperazione, per-ché le migrazioni hanno lasciato segni indelebili nei toponimi dei luoghi, delle baie australiane come dei centri fondati nella foresta amazzonica, di piccole cappelle o grandi chiese o delle intere Little Italy. I lemmi legati alle migrazioni sono stati recen-temente raccolti nel Primo Dizionario dell’Emigrazione Italiana, opera curata dalle giornaliste Tiziana Grassi e Mina Cappussi ed ancora in corso di stampa, nella quale decine di collaboratori di più discipline hanno fatto confluire passione e professionalità per dare alla luce una pubblicazione che assume anche un valore identitario per la Nazione e per la sua popolazione nel Cento-cinquantesimo anniversario dell’Italia Unita.

I migranti, nei secoli precedenti, si sono distribuiti soprat-tutto in Europa e nei paesi americani e, in tempi più recenti, seguendo i filamenti invisibili della rete globale, hanno fissato la loro dimora nelle città grandi e piccole e nei villaggi di quasi tutti gli Stati. L’annuale Rapporto Italiani nel Mondo, con le sta-tistiche e le indagini sul campo, permette ormai da alcuni anni di seguire i flussi in uscita e la distribuzione geografica dei nostri connazionali (Delfina Licata).

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Le parole per dirlo. Migrazioni, Comunicazione e Territorio

Con il passare dei decenni e con la trasformazione del sistema Italia e del sistema Mondo sono cambiati anche i profili dei mi-granti. Molti italiani all’estero sono oggi affermati professionisti, personalità di rilievo e ambasciatori della cultura italiana che possono essere riconosciuti e valorizzati. Proprio in tale direzio-ne si muove da qualche anno l’associazione Globo Tricolore, re-altà coordinata dalla giornalista Patrizia Angelini, che si prefigge l’obiettivo di costituire un network per le eccellenze italiane nel mondo. Raggiungere individualmente i milioni d’italiani resi-denti all’estero è impossibile ma i prodotti della stampa italiana e i programmi televisivi in lingua italiana distribuiti all’estero costituiscono un legame con la madre patria ancora molto sal-do, legame che può essere reso ancora più saldo attraverso una comunicazione innovativa.

Il pericolo di una confusione terminologica, di un etichetta-mento e di una stereotipizzazione del fenomeno migratorio e degli individui coinvolti viene scientificamente studiato da un gruppo di ricerca della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università La Sapienza con il coordinamento del Prof. Ma-rio Morcellini. In una ricerca pluriennale sono stati presi in esa-me alcuni programmi televisivi e questi sono stati decostruiti e analizzati negli elementi di base per una maggiore consapevolez-za del ruolo che assume il linguaggio utilizzato nella creazione di una coscienza individuale e collettiva (Marco Bruno). L’analisi dimostra come gli organi d’informazione facciano più spesso di-sinformazione lanciando allarmi che alimentano la paura e raf-forzano gli stereotipi negativi.

Il problema della comunicazione è un problema fondamenta-le anche a livello politico. Dal momento che le politiche migra-torie sono attuate sia a livello europeo che nazionale, è risultato necessario, attraverso l’European Migration Network, elaborare un glossario (Migrazione e Asilo) al quale fare riferimento senza il rischio di indicare con uno stesso termine situazioni diverse

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Flavia Cristaldi

nei diversi contesti nazionali, finendo per rendere poco chiare e controverse le normative di riferimento (Luca Di Sciullo, Fran-co Pittau e Antonio Ricci).

Dalle politiche internazionali, a quelle nazionali, fino a quelle locali il passaggio di scala non è automatico né automaticamente applicato. In alcune realtà gli stranieri convivono con gli italiani senza particolari tensioni mentre in altri contesti si osservano separazioni spaziali e forme d’esclusione sociale. Le politiche lo-cali cambiano radicalmente nei diversi contesti e, a titolo esem-plificativo, data la localizzazione del convegno nella capitale, è stato ritenuto interessante ascoltare direttamente dalle persone coinvolte le loro esperienze concrete. La Fondazione Roma So-lidale Onlus, con l’obiettivo di sostenere le persone fragili in si-tuazioni di disagio per il miglioramento della loro qualità di vita (Folco Cimagalli) e il Programma Integra, che realizza attività volte alla promozione dei percorsi di integrazione dei cittadini migranti e rifugiati (Valentina Fabbri) sono solo un esempio dei molteplici interventi che possono essere attuati per una condi-visione dello spazio ed una convivenza civile in un’Italia sempre più multietnica.

Le politiche attuate, a qualsiasi livello, si avvalgono spesso e dovrebbero farlo in misura crescente, degli studi realizzati dai tecnici e dai ricercatori sulle singole realtà territoriali. In questa direzione si colloca in via privilegiata la scienza geografica, scien-za che da più di un secolo rivolge la sua attenzione ai fenomeni migratori, individuandone le peculiarità e le trasformazioni che le caratterizzano nel corso del tempo. La scienza geografica non studia soltanto la distribuzione quantitativa delle persone nello spazio ma, attraverso metodologie qualitative e qualitative sem-pre più sofisticate, ne evidenzia anche le relazioni, riuscendo a cogliere le sinergie e i condizionamenti che legano i singoli e le collettività etniche ai territori (Carlo Brusa).

La presenza multietnica è ormai un elemento strutturale del

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Le parole per dirlo. Migrazioni, Comunicazione e Territorio

sistema Italia e va quindi riconosciuta, studiata e governata affinché nel futuro prossimo, attraverso un processo di edu-cazione e d’istruzione del quale anche questo convegno è un momento costitutivo, tale presenza possa essere trasformata in interculturale.

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Mina Cappussi*, Tiziana Grassi**

il primo Dizionario Dell’emigrazione italiana

Le parole per dirlo. Non poteva non esserci il Dizionario dell’Emigrazione italiana all’interno di questo appuntamento organizzato dalla Prof.ssa Flavia Cristaldi.

Un Dizionario che mette insieme tasselli di Memoria, paro-le ed emozioni come semantica di una Storia tricolore che si è snodata attraverso un secolo nei cinque Continenti, annullando il Tempo e lo Spazio nella dimensione di una Patria che non ha più confini. E che si estende ovunque esista una comunità di italiani1.

Il primo Dizionario dell’Emigrazione2 - che riempie una lacu-na informativa nella pur ampia letteratura di Emigrazione sul tema - raccoglie in forma sistemica le parole, i suoni, i segni che hanno caratterizzato una pagina fondativa della nostra Storia impregnandone di significati ogni pezzetto, ogni angolo di que-sto vasto mondo che è la comunità italiana all’estero.

Un capitolo del racconto della Nazione che aveva bisogno di una legittimazione, anche lessicale. Perché le parole dell’e-migrazione sono le parole che ci portiamo dentro - sul piano individuale e collettivo - nel viaggio ancestrale che ognuno di noi compie attraversando la Vita.

Il Dizionario offre una visuale nuova, uno sguardo attento agli aspetti passati, odierni e futuri dell’emigrazione, per un’e-

* Giornalista, Direttore testata www.unmondoditaliani.com** Giornalista, Scrittrice e Poetessa1 Z. bauman, Modernità Liquida, Laterza, Roma-Bari, 2003.2 M. cappussi, t. grassi, (a cura di), Primo Dizionario dell’Emigrazio-

ne Italiana. 1861 – 2011 - Semantica di una Storia Tricolore, Casa Editrice Un Mondo d’Italiani, Roma, 2012.

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Mina Cappussi, Tiziana Grassi

splorazione multiforme - simile a una navigazione intorno a si-gnificati di parole - che ricompone per schegge semantiche la fenomenologia del vissuto migratorio.

Un mondo dove le parole come lingua, rimesse, valigia, oce-ano, ritorno, accanto a identità, appartenenza, cittadinanza o associazionismo sono molto più che parole: implicano e com-portano letture di ulteriore livello. Perché rimandano a storie, a segni e sogni, a strappi, speranze, idee, coraggio, dignità. Sono significati e significanti.

Così sono state vissute dai trenta milioni di connazionali emi-grati. Così, ora, vanno raccontate e condivise.

E a raccoglierle ci pensa, per la prima volta, un dizionario.Un dizionario è un’opera che raccoglie in modo ordinato, se-

condo determinati criteri, le parole e le locuzioni di un lessico, fornendo informazioni quali il significato, l’uso, l’etimologia, la pronuncia, la sillabazione, i sinonimi, i contrari. Quindi il termine dizionario, può avere anche il significato di patrimonio lessicale di una lingua. E poiché la lingua è il fattore unificante di un popolo, collante ed emblema, il dizionario diviene, in una sorta di operazione alchemico-lessicale, patrimonio di un popo-lo. I primi dizionari si fondavano sulla tecnica dell’expositio  - della glossa sinonimico-esplicativa - o della derivatio - basata sul raggruppamento dei termini legati da una comune base etimolo-gica, con l’aggiunta di definizioni, etimologie, volgarismi, regio-nalismi ad ampia diffusione.

L’esigenza di definire e codificare il volgare  in raccolte che avessero pari autorità rispetto ai repertori latini è avvertita, già alla fine del ‘400, in varie città italiane. I primi esperimenti di compilazioni monolingue furono fatti in Toscana. Forse il pri-mo esempio è il Vocabulista del poeta e umanista Luigi Pulci, consistente in una lista alfabetica di circa settecento vocaboli, seguiti da una breve definizione. Si tratta, probabilmente, di un dizionarietto concepito per uso personale.

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Le parole per dirlo. Migrazioni, Comunicazione e Territorio

Né si possono dimenticare le liste di vocaboli di Leonardo Da Vinci - un altro grande italiano che il mondo intero ci invidia - contenute nel Manoscritto trivulziano  e in un foglietto del Co-dice Windsor, una raccolta di circa ottomila parole appuntate in modo frenetico sui margini delle pergamene, su disegni, schiz-zi, bozze, progetti che la mente geniale di Leonardo concepi-va ininterrottamente. Si tratta di termini ricercati, ma anche di forme dialettali non toscane, registrate per uso personale, per conservarne la memoria e per costruire un prontuario di voci volgari.

Ma è con la prima edizione del vocabolario della Crusca,  grazie all’autofinanziamento degli Accademici - già allora biso-gnava autofinanziarsi per fare cultura! - che abbiamo un’opera sistemica.

Perché occorreva un Dizionario dell’Emigrazione italiana? Il fenomeno migratorio è finito da un pezzo e l’Italia, da terra

di emigrazione, è divenuta meta di immigrazione3.Il primo Dizionario dell’Emigrazione è collegato a www.Un-

MondodItaliani.com, un progetto di ampio respiro che pun-ta alle radici dell’identità italiana, quelle radici che collegano ognuno di noi alla nostra Storia, alla Storia della Nazione, che si alimenta del vissuto, di partenze, e di non-ritorni. E’ grazie a queste radici identitarie e di appartenenza, se l’idea di un dizio-nario dell’Emigrazione ha suscitato tanto interesse nel mondo. Ottanta milioni, gli oriundi, secondo una recente ricerca dei Pa-dri Scalabriniani, ottanta milioni di persone che, in ogni angolo del Pianeta, sentono questi legami che affondano nella terra d’I-talia: perché senza radici non v’è futuro!

Nel 2011 abbiamo festeggiato con consapevole orgoglio i Centocinquant’anni dall’Unità d’Italia: la commemorazione di una tale ricorrenza non poteva prescindere da quelle che sono

3 G. a. stella, L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi, Rizzoli, Mi-lano, 2002.

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Mina Cappussi, Tiziana Grassi

state le ondate migratorie degli Italiani; perché l’Italia non sa-rebbe tale, senza questa pagina importantissima che è stata, ed è - attraverso i milioni di oriundi - l’Emigrazione italiana nel mondo.

Ed ecco che questo Dizionario si fa simbolo ed espressione della voglia di italianità che si tocca con mano, che si sente, che aleggia, onnipresente. Figli e nipoti dei primi pionieri in terra straniera sono oggi lettori assidui e attenti delle testate italiane all’estero, attivi protagonisti di una nuova cultura che, nel lega-me con gli oriundi, diventa passaporto per uno sviluppo globale della nazione Italia e del Sistema-Paese.

“Siamo nani che camminano sulle spalle di giganti”. La nota frase di Bernardo di Chartres, ripresa da Newton, per ricordare a tutti noi che siamo ciò che abbiamo il coraggio di ricordare, per ribadire che l’albero, i cui rami puntano in alto, si alimenta della linfa vitale delle proprie radici. Il ricordo, la capacità di Memoria stanno alla base del sentimento della nostra identità e restituiscono coerenza alla nostra Storia. Senza Memoria non solo il passato, ma lo stesso presente, appaiono privi di senso. Senza radici non ci sono rami da proiettare verso il cielo. La grande Emigrazione italiana, che ha portato in giro per il mondo milioni di connazionali, ha depauperato il nostro Paese di for-ze straordinarie, di idee, di progetti di vita che si sono snodati lungo le strade dei vari Continenti. La valigia di cartone resta un simbolo che non si può, né si deve dimenticare, ma a quella valigia, a quello spago che la teneva chiusa, bisogna allacciarsi per riannodare e vivificare i fili della memoria alle prospettive di sviluppo e di promozione culturale-territoriale.

Nessuno, come dimostrano in ogni occasione i nostri con-nazionali emigrati, ama di più la Nostra Terra: essi hanno man-tenuto sempre acceso il senso profondo dell’appartenenza, raf-forzando il legame ancestrale con il Paese che ha dato loro i natali. Abbiamo un immenso patrimonio sparso per il mondo.

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Le parole per dirlo. Migrazioni, Comunicazione e Territorio

E sono loro i migliori Ambasciatori della Storia, della Cultura, della Lingua e delle Tradizioni italiane.

“La piccola stazione, gli asini, i cavalli, i muli, scendevano lentamente. (…) carichi delle valigie di cartone, con tanti giovani emigranti, in partenza per l’altro mondo, come si diceva in paese. Intorno al fuoco i lamenti diventavano urli, contro il convoglio che, crudele, rapiva i giovani, avventurieri per bisogno”. Così Eliodoro Pirone, nel suo libro di racconti Grano e Gramigna4, descrive con i toni di un dolore vissuto, la prima emigrazione dal Molise, l’esodo massiccio e disperato dei giovani che fuggivano da una terra avara, inseguendo sogni, negli occhi la speranza di un futuro migliore. Che forse non ci sarebbe mai stato, perché l’avventura verso l’ignoto non rilasciava garanzie; eppure essi dovevano comunque partire, lasciare la propria terra e vivere il proprio sogno poiché - come sostiene Amyr Klink – “il naufra-gio peggiore è quello di chi non ha mai lasciato il porto”5.

Questo quadro angoscioso del distacco, dello straziante do-lore di chi resta e di chi parte, è ritratto dal poeta Sabino D’A-cunto6.

In Elegia molisana, che incontrò anche il favore di Salvatore Quasimodo, D’Acunto osservava: “Non si piangono morti, qui, ma vivi! / Uomini vanno col fardello carico / di stracci e di illu-sione chissà dove. / Parte tutta la mia gente per approdi lontani/ Partono all’alba, come i condannati”.

Sono uomini ai quali una condanna muta impone il viatico del viaggio, che fuggono “dai giorni sempre uguali”, lasciando nelle povere case “donne che hanno il petto dissanguato dalla fame dei figli”.

4 E. pirone, Grano e Gramigna, Elpi Editore, Isernia, 1990.5 a. KlinK, Paratii tra due poli, Feltrinelli, Milano, 1996.6 s. martelli, La narrativa, in Incontro con Sabino D’Acunto, Isernia

25 ottobre 1997, Comune di Isernia, Tipolito Matese, Boiano, 1998, pp. 21-30. T. Sardelli (a cura di), Narratori molisani, seconda ed., Marinelli, Isernia, 1997, pp. 95-115.

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Mina Cappussi, Tiziana Grassi

Questa è la “grande tragedia dell’emigrazione, anni di fame, di sforzi, di incertezza, e di morti e sempre di umiliazioni”7 , ep-pure l’immagine dell’approdo è simbolo stesso del viaggio verso l’America primo amore.  “E tutto il bastimento si destava. Alcuni emigranti, presi da un entusiasmo infantile, gridavano a piena gola; chiamavano i congiunti, gli amici, i figli ancora piccoli che venivano per la prima volta in America, dove essi già ritornava-no; e rivelavano nell’accento con cui esclamavano Neviorche! la convinzione di trovarsi davanti a un mondo meraviglioso e beato, a una terra con tanta aria e tanto spazio per viverci, che in Italia non si poteva neppure immaginare, un Paese dove invece delle lire, c’erano monete enormi che si chiamavano dollari...”8. 

Ma ecco. Togliamo la e-migrazione, la i-mmigrazione, e an-diamo alla radice, al senso originario della parola, trovandoci nella dimensione di un Dizionario e del suo intrinseco logos: quello delle migrazioni è un fenomeno connesso con lo stesso sviluppo umano, con la storia dell’Uomo, a cominciare dall’e-sodo biblico che è la prima narrazione di un flusso migratorio, così come ricordato dalla Chiesa. Oggi si parla preferibilmente di migranti piuttosto che di emigranti e di immigrati, quasi a sottolineare le assonanze di fondo tra questi fenomeni, il loro comune substrato. Il loro essere in qualche modo due aspetti di uno stesso fenomeno.

E si parla anche di fuga di cervelli, di brain drain, in inglese, ad indicare un fenomeno nuovo e complesso, ovvero l’emigra-zione - ancora una volta un’esperienza non scelta - verso Paesi stranieri di persone di talento e di alta specializzazione profes-sionale. La fuga dei cervelli è, in realtà, un’emigrazione con un diverso nome, è l’emigrazione del Terzo Millennio. Vecchie e

7 G. prezzolini, Dal mio terrazzo, 1946-1959, Firenze, Vallecchi Edi-tore, 1960.

8 M. soldati, America, primo amore, Milano, Arnoldo Mondadori, 1967.

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nuove realtà che rimandano ad opportune, estensive considera-zioni: come infatti osserva la studiosa Maria Immacolata Macio-ti, “i numerosi studi che si sono avuti sulle emigrazioni italiane dei secoli scorsi evidenziavano una serie di problemi e difficoltà che, pur con tutte le diversità esistenti, non sembrano però mol-to differenti da quelli che si trovano di fronte oggi coloro che giungono in Italia o in altro Paese europeo in cerca di un futuro migliore. Le assonanze resistono al passare del tempo, perman-gono nonostante le diversità evidenti dei Paesi di provenienza, dei background culturali, delle aspettative. Almeno per i primi tempi, le somiglianze tra migranti di ieri e migranti di oggi sem-brano permanere, senza che, peraltro, le esperienze di emigra-zione vissute dai Paesi europei abbiano saputo divenire capacità di gestire al meglio la migrazione di oggi. Di comprenderne le necessità, ma anche la ricchezza, le potenzialità. Ci si muoveva e ci si muove oggi verso un altro Paese, spinti in genere dalla necessità: la ricerca di un lavoro, di un luogo lontano da guerre e carestie, hanno condizionato molte partenze. La ricerca di una formazione e di studi in grado di ampliare le proprie conoscenze e capacità hanno spinto uomini e donne, ieri ed oggi, a superare confini, ad affrontare la vita in un Paese diverso dal proprio. Per le donne vi è stata spesso, ma vi è ancora, la speranza di una vita migliore anche sul piano dei rapporti interpersonali, dei ruoli femminili (…)”.

Nella circolarità della Storia, presente e passato si intreccia-no. E i flussi umani da sempre in transito sul pianeta ci ricorda-no del bisogno archetipico dell’Uomo di conoscenza, di esplo-razione di Sé e dell’Altro, del bisogno di un altrove ampliante, rivelando costanti socio-antropologiche connaturate con l’anda-re, il partire, con nuovi orizzonti. Non solo geografici.

In questa prospettiva, parole come Accordo ‘Uomo-carbo-ne’, Agenti di navigazione, Anagrafe Italiani residenti all’Estero, Altrove, Anima loci, Appartenenza, Arrivo, Asimmetria, Mon-

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Mina Cappussi, Tiziana Grassi

signor Bonomelli, Bordante, Centocinquant’anni di Unità d’I-talia, Caritas-Migrantes, Cittadinanza, Comites, Commissariato Generale dell’Emigrazione, conventillo, e naturalmente Ellis Island9, Emigrante, Famiglia, Identità, Toponomastica, Stere-otipi, Tragedie - come quella di Sacco e Vanzetti -, e ancora, Tiberio Vincenzo, Rimesse, Scalabriniani, Spaesamento, Spiri-tualità, Stampa, Voto Italiani all’estero diventano nodi tematici e problematici che offrono letture conoscitive di ulteriore livello, rimandando, per sovrapposizioni o intersezioni, agli infiniti spa-zi che abitano l’Emigrazione.

Sono solo alcuni dei lemmi che con sguardo interdisciplina-re sono raccolti, affrontati e interpretati nel primo Dizionario dell’Emigrazione italiana - 1861-2011 - Semantica di una Storia tricolore che, con un’introduzione dello studioso Eric McLuhan, è stato presentato come progetto editoriale-culturale alla Came-ra dei Deputati, al Senato della Repubblica, e a Torino nell’am-bito di Esperienza Italia 150.

Centocinquant’anni dall’Unità. Un appuntamento con la Sto-ria che ci ricorda quanto l’Italia sia stata costruita anche con il contributo di chi non c’è, di chi è dovuto partire. Che ci ricorda quanto l’universo simbolico e semantico-lessicale legato a que-sta nostra Storia sia intriso e sostanziato da sentimenti fondati-vi che intersecano l’Appartenenza, l’Identità, la Patria, la Ma-dre-Terra. Un appuntamento che ci ricorda quanto oggi - a 150 anni dall’Unità - insieme al tricolore sventolano le parole della nostra Emigrazione. E con il nostro Passato, la speranza proatti-va - quale ancoraggio forte e indifferibile bussola di orientamen-to - di mantenere viva la Memoria di chi siamo.

9 E. franzina, Traversate. Le grandi migrazioni transatlantiche e i racconti italiani del viaggio per mare, Editoriale Umbra, Foligno, 2003. E. sori, L’emigrazione italiana dall’Unità alla Seconda Guerra Mondiale, Il Mu-lino, Bologna, 1979.

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Luca Di Sciullo*, Franco Pittau*, Antonio Ricci*

migrazione, asilo e comunicazione: l’apporto del glossario

dell’european migration networK1

Introduzione

L’esperienza induce a ritenere che la comunicazione sul fe-nomeno migratorio sia costituita da un insieme di forma e di sostanza.

Innanzi tutto, la questione è di sostanza e riguarda l’atteggia-mento con il quale si inquadra l’immigrazione.

Questo può essere viziato da pregiudizi e comportare impo-stazioni negative, che neppure un glossario con i suoi termini corretti sarebbe in grado di far superare. Perciò nella prima parte di questo studio viene richiamata l’attenzione su tre casi clamorosi di collettività immigrate considerate “canaglia”, nei cui confronti, a parte la fondatezza di alcuni rilievi specifici, il giudizio negativo generalizzato risulta infondato. I casi presi in considerazione riguardano, in ordine temporale, i marocchini, gli albanesi e i romeni e aiutano a stimolare l’impegno per una conoscenza più esaustiva della presenza immigrata e delle loro collettività.

E però la mancanza di pregiudizi non pone di per sé fine ai delicati problemi che si incontrano nell’affrontare il fenomeno migratorio, che spesso sono anche di forma e richiedono riferi-menti di supporto, conoscenze terminologiche per superare le

* Dossier Statistico Immigrazione1 Il riferimento riguarda il volume european migration networK

italia, Glossario Migrazione e Asilo, Edizioni Idos, Roma, 2011.

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imprecisioni verbali e gli equivoci. Questa è una materia com-plessa, che non solo si sperimenta in concreto, ma è anche sog-getta all’analisi scientifica della quale occorre conoscere anche il gergo specialistico.

Il cuore da solo non basta e l’empatia nei confronti degli im-migrati non fa venir meno la necessità di un linguaggio corretto. La comunicazione sul fenomeno migratorio pone spesso proble-mi di forma e perciò, a livello di comunicazione, è indispensabi-le superare le imprecisioni verbali, gli equivoci, la mancanza di riferimenti esatti. L’immigrazione è una materia così complessa che se ne può parlare sotto molteplici punti di vista. Bisogna conoscere il gergo specialistico, serve un certo tecnicismo.

Di questa esigenza si è fatto carico il Glossario dell’European Migration Network. Una iniziativa per alcuni versi simile venne curata quasi un quarto di secolo fa dal Centro Studi Emigrazio-ne di Roma dei Padri Scalabriniani2, con una impostazione pre-valentemente sociologica che, come precisava il curatore, offriva mini-trattati sui singoli argomenti: “Questo strumento privilegia un approccio interdisciplinare nei confronti di alcune specifiche tematiche migratorie e si presenta corredato di riferimenti bi-bliografici essenziali per chi voglia approfondire ulteriormente la conoscenza di tali aspetti. Quello che presentiamo, più che un semplice glossario, ha l’ambizione di costituire un lessico: nu-merose ‘parole chiave’, infatti, sono state sviluppate in modo ab-bastanza ampio, tanto che, per alcuni casi, si può parlare di bre-vi monografie” (p. 9). Quello dell’European Migration Network, come vedremo, è un glossario in senso più classico.

Unendo queste diverse impostazioni, sostanza e forma, cuo-re e linguaggio, parole e contenuti, è ragionevole sperare che si pervenga a una presentazione del fenomeno migratorio più soddisfacente e che da ciò consegua anche una più fruttuosa convivenza nella società.

2 G. tassello (a cura di), Lessico Migratorio, Centro Studi Emigra-zione, Roma, 1987.

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Le parole per dirlo. Migrazioni, Comunicazione e Territorio

1. La rotazione come capro espiatorio: marocchini, albanesi e romeni

1.1. La collettività marocchina: il primo capro espiatorio dell’immigrazione in Italia

I marocchini all’estero sono 3,5 milioni, concentrati in 8 casi su 10 in Europa e per la restante parte nei Paesi Arabi. Essi sono tra i primi e principali protagonisti del fenomeno migratorio nel contesto europeo e, a partire dagli anni ’80, anche in quello ita-liano3.

I primi marocchini ad inserirsi in Italia sono stati braccianti agricoli e venditori ambulanti di tappeti e di prodotti artigianali (da qui il termine “vu cumprà”, non privo di qualche venatu-ra di disprezzo). Altre categorie di lavoratori non specializzati si sono inserite in diversi settori (piccola industria, agricoltura, servizi di pulizia, distributori di benzina, commercio), seguite da lavoratori provenienti dalle città (e, quindi, a più elevata sco-larizzazione) e infine dagli studenti, attratti delle università ita-liane, essendo nel frattempo diventato difficile ottenere un visto per gli altri Paesi europei.

A partire dalla fine degli anni ’90 sono iniziati i ricongiungi-menti familiari, con conseguente aumento dei minori nelle scuo-le e delle donne nelle famiglie. Le regioni meridionali hanno operato come area di primo approdo per il successivo trasferi-mento nel Settentrione, più promettente sotto l’aspetto occupa-zionale. Quattro regioni del Nord (Lombardia, Piemonte, Emi-lia-Romagna e Veneto) totalizzano i due terzi dei marocchini, dei quali ora solo 1 su 8 si trova nel Meridione.

3 u. melchionda, f. pittau, La collettività marocchina in Italia, in caritas/migrantes, Dossier Statistico Immigrazione 2009, Edizioni Idos, Roma, 2009.

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La collettività marocchina è arrivata, all’inizio del 2011, a sfiorare il mezzo milione di unità, collocandosi subito dopo quelle romena e albanese. Presenze più numerose di marocchini si trovano solo in Francia e in Spagna. L’inserimento lavorativo (più di 200 mila occupati) è in prevalenza maschile e, in più della metà dei casi trova sbocco nell’industria. Grazie alla sua intraprendenza, questa collettività si è affermata al primo po-sto per numero di aziende costituite (38 mila) ed è molto attiva nell’invio di rimesse (252 milioni di euro nel 2010).

Oltre alle presenze regolari la collettività marocchina conta anche una presenza irregolare che, secondo stime di parte ma-rocchina prima del 2009 poteva arrivare fino a 200.000 persone (nella regolarizzazione varata in quell’anno le domande presen-tate per l’emersione di immigrati marocchini sono state 36.000).

Diversi indicatori attestano la tendenza a un insediamento stabile: l’aumento delle donne arrivate a incidere per il 40%, il ritmo sostenuto dei ricongiungimenti familiari, il numero dei figli e la loro frequenza a scuola, i casi di acquisizione di cittadi-nanza, la tendenza ad acquistare la casa in Italia, e però nei con-fronti dei marocchini i pregiudizi degli italiani sono di vecchia data e verso di loro si è rivolta per prima l’avversione suscitata negli italiani dalla presenza straniera, tanto che a più riprese è intervenuta la Corte di Cassazione per censurare questi compor-tamenti.

Dare del ‘marocchino’ a qualcuno è offensivo e razzista perché tale appellativo “ha valenza lesiva” e non designa sempli-cemente la provenienza etnica, specie quando ci si rivolge così a un collega aziendale del quale si conosce bene il nome. Secondo la Cassazione (sentenza 19378/2005), “sostantivare l’aggettivo che riflette la provenienza etnica di una persona e apostrofare quest’ultima in tal modo, con evidente scherno e dileggio, costi-tuisce ingiuria, che si connota, per giunta, di chiaro intento di discriminazione razziale, rendendo così più riprovevole la con-dotta offensiva”.

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Le parole per dirlo. Migrazioni, Comunicazione e Territorio

Sono seguite due sentenze nel 2008. La Suprema Corte ha deciso (sentenza 5302/2008) che si è passibili d’ufficio di con-danna per razzismo quando si dà del “selvaggio” a un maroc-chino. Quindi, nella sentenza 41.011/2008, viene sottolineato che “nella pronuncia dell’ingiurioso termine porca marocchina vi è una manifesta ostilità a sfondo razziale” e, trattandosi di un’aggravante del reato di ingiuria, è possibile procedere anche senza querela. “Proprio questi sentimenti di disprezzo razziale, ostilità, desiderio di nuocere ad una persona di razza diversa, convinzione di avere a che fare con persona inferiore e non ti-tolare degli stessi diritti – spiega la Suprema Corte – alimentano quel conflitto tra le persone che testimonia la presenza dell’odio razziale”.

Questi risvolti giudiziari riflettono comportamenti discrimi-natori concretamente attuati. L’Ufficio Nazionale Antidiscrimi-nazione Razziale (UNAR), attivato nel 2004, costituisce in Italia il primo strumento istituzionale per un sistematico intervento di prevenzione, monitoraggio e contrasto della discriminazione su base etnica e razziale. L’Ufficio è stato costituito a seguito del decreto legislativo n. 215/2003. in attuazione della direttiva comunitaria n. 43/2000 per la promozione della parità di tratta-mento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza e l’origine etnica. L’UNAR, nei suoi rapporti annuali, ha ripetuta-mente sottolineato che vengono esplicitati sentimenti e rappre-sentazioni simboliche xenofobe, in particolare nei confronti di alcune forme di diversità su base etnico-razziale e nazionale: la collettività marocchina è uno tra i bersagli preferiti.

In conclusione, se il fenomeno migratorio è chiamato a fun-gere da collante tra i diversi Paesi, ciò non è avvenuto in Italia nel caso dei marocchini. Eppure la reazione di questa collettività è stata esemplare, perché, pur in ambiente non favorevole, i suoi membri hanno accettato i lavori più umili, stabilizzando la loro situazione e facendosi raggiungere dai familiari. La differenza,

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ricollegabile a condizioni sociali, tratti somatici e fede religiosa, può generare avversione e rivelare che il rapportarsi agli stranie-ri non è una mera questione metodologica.

1. 2. La collettività albanese, capro espiatorio tra gli anni Novanta e il Duemila

La maggioranza della popolazione italiana, come evidenziato in diverse indagini, è propensa a ritenere che il problema della criminalità e la mancanza di sicurezza urbana in Italia siano in gran parte addebitabili agli immigrati. Dopo i marocchini, il ca-pro espiatorio di turno sono stati gli albanesi4.

Gli anni ’90, pur avendo segnato l’accesso dell’Albania alla democrazia, sono stati per quel paese molto problematici per diversi fattori (continua minaccia di guerre civili, crisi delle piramidi finanziarie nel 1997 e guerra del Kossovo nel 1998). La speranza di sopravvivere e di condurre una vita migliore ha spinto gli albanesi a emigrare in Grecia e in Italia, e qui sia in forma vistosa come nei due sbarchi di oltre 20 mila persone cir-ca ciascuno nel 1991, sia attraverso veloci motoscafi guidati da abili e voraci scafisti negli anni successivi.

A cavallo tra gli anni ’90 e i primi anni del nuovo secolo, gli albanesi hanno inciso per il 20-30% dei respingimenti effettuati alla frontiera, superando la pressione migratoria della Romania e del Marocco, e sono stati in testa alla graduatoria delle denunce

4 Per una riflessione d’insieme, cfr. f. pittau, a. ricci, “Il supera-mento di cinque pregiudizi sulla presenza albanese in Italia. Una rilettura di 20 anni di emigrazione”, in Studi Emigrazione, XLVIII, b, 181, gennaio-mar-zo 2011, pp. 137-150. Per riflessioni analitiche si può consultare: centro studi e ricerche idos, Gli albanesi in Italia. Conseguenze economiche e socia-li dell’immigrazione, Edizioni Idos, Roma, 2008. Il volume è a cura di Rando Devole, Franco Pittau, Antonio Ricci, Giuliana Urso e ha una introduzione di Giovanni Ferri.

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penali. Chiusa l’esperienza delle migrazioni di massa e dei gom-moni, controllati i trafficanti di manodopera (che hanno tentato nuove rotte) e potenziate le vie legali d’ingresso, si è delineato uno scenario più soddisfacente caratterizzato da un fruttuoso inserimento nel mondo del lavoro, i ricongiungimenti familiari e una elevata presenza di minori. In questo nuovo contesto, in cui gli albanesi (mezzo milione di presenze) sono diventati la se-conda collettività dopo i romeni, è fortemente diminuita anche la loro esposizione in ambito penale.

La riflessione su questa esperienza porta a ritenere fondato che ai consistenti flussi irregolari del recente passato vada ri-collegata una certa lievitazione delle denunce penali, non solo perché una quota consistente di esse ha riguardato l’inosservan-za della normativa sugli stranieri, ma anche perché le persone sprovviste di permesso di soggiorno sono state più facilmente ricattate dalle organizzazioni malavitose. Diverso è il discorso sulla criminalità organizzata albanese, che è invece andata po-tenziandosi e merita un giudizio severo e un contrasto efficace.

Per gli albanesi, se si distingue tra criminalità organizzata e criminalità comune, si riscontra che a quest’ultimo riguardo si sono fatti notevoli passi in avanti. Nel periodo 2005-2008 le de-nunce contro tutti gli stranieri sono aumentate del 19,9%. Ri-spetto a questo valore medio alcune collettività si sono collocate al di sotto e così è avvenuta anche per gli albanesi, per i quali l’incremento delle denunce è stato pari al 17,4%, passando da 17.561 nel 2005, a 19.027 nel 2006, a 19.006 nel 2007 e 20.609 nel 2008. L’incidenza che gli albanesi residenti in Italia hanno avuto nel 2008 sulle denunce (6,5%) è inferiore a quello che essi hanno avuto sui residenti (11,3%); parallelamente, nel 2005 gli albanesi incidevano per il 7,1% sul totale delle denunce presen-tate contro stranieri, mentre questa percentuale è risultata più ridotta negli anni successivi (6,9% nel 2006, 6,3% nel 2007 e 6,9% nel 2008).

Per superare un clima così sfavorevole, gli immigrati hanno

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fatto perno su un’integrazione giocata sull’invisibilità della pro-pria appartenenza, impegnandosi fortemente in ambito lavorati-vo, riducendo o evitando le forme di socializzazione appariscenti (perfino lo stesso associazionismo) e potenziando, invece, le reti familiari. In questo modo è stato possibile superare il marchio iniziale di “estraneità” e di “indesiderabilità” e favorire la pro-pria accettazione da parte della società italiana con una nuova immagine di persone tenaci nel lavoro, disponibili e rispettosi dell’autorità, salvo frange propense a delinquere per proprio conto o in maniera organizzata.

La diffidenza, con cui nei primi anni del Duemila sono stati accolti gli italiani all’estero, è stato affrontato in un famoso libro che già nel titolo ha istituito un confronto con gli albanesi5.

Sarebbe saggio ricordare la nostra lunga serie di sofferenze. Infatti, non tutti sanno che in Brasile gli italiani furono chiamati a sostituire gli schiavi; negli Stati Uniti non poterono utilizzare le chiese normali e fu loro consentito di pregare solo nel piano seminterrato; non mancarono i casi di linciaggio, tanto negli Sta-ti Uniti che in Francia. A Buenos Aires, il prof. Cornelio Moya-no Gacita così scriveva degli italiani: “La scienza ci insegna che insieme col carattere  intraprendente, intelligente, libero, inven-tivo e artistico degli italiani c’è il residuo di un’alta criminalità di sangue”. Considerazioni simili sugli italiani, specialmente se meridionali, erano diffuse in altri paesi esteri, come ad esempio negli Stati Uniti: “Gli individui più pigri, depravati e indegni che esistano…Tranne i polacchi, non conosciamo altre persone altrettanto indesiderabili”6.

Occorre, dunque, moderare i toni e la conoscenza della no-stra storia di emigranti può aiutare, oggi, a superare la diffiden-za pregiudiziale nei confronti degli immigrati. “Giustamente si

5 g. a. stella, L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi, Rizzoli, Mi-lano, 2003.

6 s. marchesi, Immigrati e Criminali. Quando gli Altri eravamo Noi, www.guide.supereva.it.

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ricorda l’emigrazione italiana, la dura e ammirevole odissea dei nostri emigranti, stranieri spesso osteggiati nei Paesi allora più ricchi ed ostili. Ma appunto perciò occorre sapere quanto sia difficile, per tutti, essere stranieri”7.

Forse con gli albanesi l’operazione è riuscita, ma dopo esser stati sostituiti dai romeni nel ruolo di capro espiatorio.

1.3. La collettività romena: cittadini comunitari e capro espiatorio

I romeni in Italia, paese per il quale nutrono un profondo at-taccamento, sono risultati 1 milione all’inizio del 2011, un quin-to dell’intera presenza straniera.

Da molti italiani essi continuano a essere considerati, sep-pure con toni leggermente attenuati rispetto al 2007, l’esempio tipico degli immigrati che non vengono per lavorare bensì per delinquere: da notare che, per ironia della sorte, quell’anno ha segnato il loro ingresso nell’UE e li ha resi “comunitari”. Questa collettività ha assunto il ruolo di capro espiatorio di turno, a se-guito di un miscuglio di fatti veri ma parziali, di luoghi comuni e di esagerazioni.

Si può concordare con Rando Devole, un sociologo immigra-to, quando afferma che “La questione sicurezza ha acquisito i colori della bandiera romena”8.

Egli si sofferma ironicamente sul titolo di un giornale (“Un

7 c. magris, Corriere della Sera, 26 maggio 2008, p. 8. 8 Cfr. caritas italiana, Romania. Immigrazione e lavoro in Italia,

Statistiche, problemi e prospettive, Edizioni Idos, Roma, 2008, pp. 150-157: il volume è stato curato da Franco Pittau, Antonio Ricci e Alessandro Silj. A pochi anni di distanza ne è seguito un secondo a cura di Franco Pittau, Antonio Ricci, Laura Lidiko Timsa, in versione bilingue, italiana e romena: caritas italiana, confederatia caritas romena, I romeni in Italia. Tra rifiu-to e accoglienza, Edizioni Idos/Sinnos, Roma, 2010.

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ubriaco al volante travolge e ammazza una romena”), chieden-dosi se non fosse più giusto riportare la nazionalità (italiana) dell’ubriaco e qualche altra considerazione al riguardo. Devole, nel suo capitolo, illustra che la paura – in una società caratteriz-zata dalla precarietà - può diventare ideologia e portare il Paese a diventare ostaggio di questo sentimento, finendo per parlare di ladri e assassini anziché di muratori e badanti. In effetti, è au-mentata la percentuale di quanti ritengono che l’immigrazione sia un problema per l’ordine pubblico e si è diffusa la sindrome dell’assedio, così come una volta avveniva per altre collettività.

Come ricordato, il 2007 e gli anni successivi hanno fatto re-gistrare la massima avversione nei confronti dei romeni, motiva-ta dai loro addebiti penali. Una serena analisi dei dati avrebbe portato in altra direzione. L’incidenza “criminale” delle singole collettività viene basata sul confronto tra la quota di pertinenza sul totale delle denunce presentate contro cittadini stranieri e la quota detenuta dalla stessa collettività sul totale dei residenti stranieri. Dall’analisi dei dati (residenti e denunciati) del 2008, pertanto, si desume per la Romania un’incidenza percentuale delle denunce inferiore all’incidenza percentuale della colletti-vità sul totale dei soggiornanti (– 6,5%).

Più che di una “collettività canaglia” è il caso di constatare la chiusura degli italiani nei confronti dei romeni. L’UNAR, dopo aver raccolto nell’apposita banca dati le segnalazioni ricevute, ha tracciato un quadro delle più ricorrenti situazioni di discrimi-nazione e di disparità che caratterizzano i romeni, che appaiono in realtà più vittime che untori:

- diffusione di un’informazione tendenziosa sui fatti nei quali sono coinvolti i romeni;

- mancanza di informazione, di assistenza legale e di forma-zione a beneficio dei romeni che arrivano in Italia;

- sfruttamento sul luogo di lavoro, specialmente nel settore edile, e primato dei romeni negli infortuni mortali;

- perseguimento della sicurezza pubblica con atteggiamenti

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spesso intimidatori, come emerso durante i controlli effettuati sul territorio;

- riscontro di difficoltà burocratiche e di atteggiamenti nega-tivi tra gli operatori pubblici con conseguente ostacolo ai rome-ni nella fruizione dei servizi sociali;

- persistenza di specifiche difficoltà al momento di procedere alle iscrizioni anagrafiche;

- segnalazione di impedimenti che hanno ostacolato l’eserci-zio del diritto di voto amministrativo nelle elezioni amministra-tive italiane del 2007 (qualche comune ha addirittura preteso una traduzione legalizzata della parola “Bucaresti”, nome rome-no della capitale).

Negli anni successivi l’avversità nei confronti dei romeni si è placata, ma quanto è avvenuto nei loro confronti ricorda che l’atteggiamento nei confronti dei cittadini stranieri non è solo una questione di termini.

2. Il Glossario Migrazione e Asilo dell’European Migration Network

Da quanto precede risulta che il cuore è fondamentale, ma ciò non basta; i termini sono, comunque, importanti per inqua-drare l’immigrazione e non generare equivoci: questo è il mes-saggio del Glossario Migrazione e Asilo dell’European Migration Network.

La questione si può esaminare da diversi punti di vista.Il cattivo esempio di un manifesto elettorale. In occasione del-

le elezioni politiche del 2008 un partito pensò di enfatizzare il suo buon operato, reclamizzando su un manifesto di aver fatto diminuire l’irregolarità del 70%. Il messaggio, che forse fece an-che colpo e fu produttivo in termini di voti, era di una vaghezza così estrema da non significare niente al di là della propaganda.

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Si trattava degli irregolari stimati nella loro effettiva presenza o di quelli rintracciati dalla polizia che, come risaputo, sono una minima parte? Tra gli irregolari rintracciati dalla polizia, il riferi-mento era agli effettivamente espulsi, che sono molto di meno? In questo numero erano inclusi anche i richiedenti asilo che, pur entrati senza un’autorizzazione al soggiorno, non possono essere considerati irregolari? La diminuzione riguardava il nu-mero dei clandestini oppure di quelli entrati regolarmente e poi caduti nella irregolarità, i cosiddetti overstayers? La variazione percentuale riscontrata era infrannuale, annuale o pluriennale? Di queste precisazioni non si occupava il manifesto, anche se la politica, e le decisioni conseguenti, deve farsi carico della realtà nella sua determinatezza. Gli esempi citati sono, invece, disfun-zionali alla crescita della collettività.

L’équipe del Dossier Statistico Immigrazione, promosso dal 1991 dalla Caritas e dalla Fondazione Migrantes, che ha fatto da supporto tecnico per l’edizione italiana del Glossario EMN, si è specializzata nel raccogliere e commentare i dati statistici, curando una impostazione in grado di suscitare interesse, ma nello stesso tempo rispettosa dei numeri e della terminologia giuridica.

Non solo i numeri ma anche le parole possono diventare fonte d’equivoci. È giusto richiamare la necessità dei termini da utiliz-zare quando si parla del fenomeno migratorio. Può sembrare a prima vista una questione banale, ma così non è, tant’è che i fi-losofi scolastici del Medio Evo, prima di dare l’avvio alle loro di-spute, premettevano la spiegazione dei termini, cercando quan-to meno di evitare la contrapposizione sui termini da utilizzare.

Questa potrebbe essere raccomandata ancora oggi come una buona abitudine da riprendere, visto che molte volte il contrasto è, se non generato, quanto meno acuito da un uso difforme dei termini utilizzati. Pensiamo alla comunicazione sull’immigra-zione fornita dai mass media, che per forza di cose deve essere

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veloce e continua, di pochi minuti alla radio e alla televisione, di un numero ridotto di battute sulla carta stampata: purtroppo, in entrambi i casi le imprecisioni sono ricorrenti.

Gli equivoci del termine extracomunitario. Gli inconvenienti possono determinarsi anche tra quelli che studiano il fenome-no migratorio o se ne occupano professionalmente. Nel mese di settembre 2011, il procuratore capo della Repubblica di Savona ha proibito di utilizzare nei documenti del tribunale il termine “extracomunitario” per evitare il connotato razzista che esso ha assunto nell’uso quotidiano. Non tutti sanno che questo termine è stato introdotto nell’ordinamento giuridico dalla prima legge italiana sull’immigrazione (n. 943 del 1986), chiaramente sen-za alcun intento razzista. Rossana Bettarini, docente di filologia all’Università di Firenze, ha così commentato la decisione del giudice di Savona: “L’etimologia della parola non è cambiata ma è l’uso di essa che ha subito un cambiamento radicale e una connotazione effettivamente razzistica. Nessuno si sognerebbe di chiamare extracomunitario un americano o uno svizzero”9.

La sostanza al di là della percezione. Il termine “extracomu-nitario” induce a fare alcune precisazioni, non del tutto in linea con le percezioni emotive. Il Dossier Caritas/Migrantes – peral-tro seguendo le indicazioni dell’Istat e di Eurostat – classifica come non comunitari anche gli statunitensi e gli svizzeri: en-trambi i paesi non fanno parte dell’Unione Europea, ma essen-do a sviluppo avanzato e non a forte pressione migratoria, si di-stinguono nettamente dai migranti provenienti da paesi poveri. In più, gli svizzeri fanno parte dello Spazio Economico Europeo e fruiscono dell’istituto della libera circolazione, per cui sono solo parzialmente non comunitari. “Non comunitario”, come alcuni preferiscono dire (ma è la stessa cosa di extracomunita-rio), equivale alla più lunga definizione dei documenti dell’UE (“cittadino di un paese non appartenente all’Unione Europea”).

9 Cfr. Corriere della Sera, 8 settembre 2011, p. 32.

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Si può usare un vocabolo di per sé neutro in senso connotativo o spregiativo e tutto dipende dalle intenzioni dei singoli (si pen-si anche ai vocaboli negro, marocchino, vu cumprà, badante). Non sarebbe sufficiente, come ha fatto il giornalista Marco Ga-speretti nel gustoso articolo del Corriere della Sera, prima citato, parlare indistintamente di “persona migrante”, o semplicemente di straniero oppure della nazionalità di provenienza dello stra-niero: certe volte bisogna precisare se uno è non comunitario/ extracomunitario, perché a seconda dell’ipotesi la condizione giuridica è nettamente differenziata.

Importanza dei termini giuridici esatti nel contesto europeo. Indubbiamente, serve un atteggiamento positivo nei confron-ti della diversità costituita dagli immigrati, ma bisogna anche abituarsi all’utilizzo dei termini giuridici esatti, evitando quelli vaghi o controversi. In questo sforzo è d’aiuto il recentissimo volume Glossario Migrazione e Asilo. Questo volume, realizzato dall’European Migration Network costituita presso la Commis-sione europea, con diramazioni in ogni Stato membro, è ispirato a un’ottica che va oltre il contesto nazionale e ha inteso facilitare la comunicazione sulle migrazioni tra i cittadini, gli studiosi, in funzionari e le autorità di tutti gli Stati Membri, tutti segnati dal fenomeno migratorio, in uscita o in entrata.

Obiettivi del Glossario su migrazione e asilo. Il Glossario si è proposto di:

- fornire di ogni termine una definizione sintetica, completata dai riferimenti normativi comunitari, recependo all’occorrenza anche l’apporto di altri organismi internazionali;

- tenere conto dei possibili diversi usi nazionali esistenti lad-dove si parla la stessa lingua, come per esempio in Austria e Germania oppure in Francia, Belgio e Lussemburgo;

- effettuare (quanto meno nell’edizione italiana) un sistema di rimandi a termini sinonimici o correlati e anche mettere in evidenza la relazione gerarchica con altri termini a seconda del significato più ampio o più specifico.

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Le parole per dirlo. Migrazioni, Comunicazione e Territorio

Trecento vocaboli definiti con esattezza. Il Glossario è un’o-pera impegnativa che ha richiesto cinque anni di lavoro nella sua prima versione, della quale già si prevede l’aggiornamento. I termini più importanti, utilizzati per parlare dell’immigrazione in ambito europeo, vengono riportati in italiano e in inglese e nella lingua di diversi Stati membri.

Si tratta, per così dire, di un dizionario plurilingue, nel quale sono riportati in ordine alfabetico i vocaboli/termini/concetti più ricorrenti nel settore delle migrazioni, quelle che possiamo considerare delle vere e proprie parole chiave. Per facilitare la consultazione dei termini che interessano, alla fine sono riporta-ti due elenchi, in italiano e in inglese, compilati in ordine alfabe-tico. Nell’edizione italiana si è avuta l’accortezza di trovare, tra i diversi termini, quello maggiormente corrispondente al linguag-gio comunitario: ad esempio, tra le voci “rimpatrio”, “deporta-zione” e “ritorno” si è preferito il termine “ritorno”, che non si configura sempre come rimpatrio (forzato) o deportazione (rife-rito in origine ai prigionieri di guerra).

Destinatari del Glossario. Questo sussidio può tornare utile a tutti quelli che vogliono parlare delle migrazioni, evitando gli equivoci terminologici: il mondo politico, la pubblica ammini-strazione, il settore della ricerca, il mondo sociale, tanto in Italia che negli altri paesi europei, assicurando la comparabilità dei termini.

Anche attraverso un minimo denominatore linguistico si di-venta più europei, mentre in Italia… si può migliorare la qualità dei manifesti e ridurre l’imprecisione dei dibattiti.

In precedenza si è detto che l’immigrazione è anche una que-stione di conoscenza e di cuore, mentre da ultimo si è ribadito che è anche una questione di forma e di termini. Restano valide entrambe le raccomandazioni.

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Delfina Licata*

le parole per dirlo. migrazioni, comunicazione e territorio

Introduzione

“Le parole per dirlo”. Un titolo davvero significativo per-ché l’Italia si inserisce in questa problematica con un ruolo che possiamo definire da protagonista considerando il suo passato caratterizzato da una grande diaspora, la sua recente storia di paese fortemente attrattivo dei flussi dall’estero e la mai sopita vocazione per l’emigrazione che non ha conosciuto in nessun momento la completa interruzione, ma che anzi vive, oggi, un nuovo revival.

L’équipe di ricerca del Dossier Caritas/Migrantes e del Rap-porto Migrantes Italiani nel mondo, quando avvia un qualsiasi studio, parte da una base statistica senza mai dimenticare che dietro ogni numero c’è una persona, con una propria storia, un proprio vissuto.

La statistica permette di partire da una base obiettiva che è data dalla raccolta e dal confronto di quante più fonti ufficiali, primarie e secondarie, vi sono su quel determinato argomento. Una tale procedura è tanto più necessaria quanto più quel tema è sconosciuto ai più, tacciato di stereotipi o influenzato da no-tizie false e tendenziose. Quanto detto caratterizza, oggi ancora più che nel passato, tanto i flussi migratori in entrata quanto la mobilità italiana all’interno della Penisola o verso l’estero.

* Curatrice Rapporto Migrantes Italiani nel Mondo e redazione centra-le Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes.

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1. Parlare di migrante e migrazioni

Cosa è il migrante dunque? La scelta di questo termine non è casuale poiché la mancanza del prefisso e- o im- permette di non escludere nessuno, non dà il senso del dentro o del fuori. Il ter-mine migrante ha in sé l’idea dello spostamento, del muoversi, del camminare.

I piedi come metafora dell’andare dunque, come ciò che per-mette fattivamente all’uomo di “stare nel mondo”, di esistere e conoscere. Sandali e bisaccia sono stati, da sempre, gli elementi essenziali dell’abbigliamento dell’homo viator, dell’uomo itine-rante, straniero o pellegrino1. Il primo racconto dei Racconti di un pellegrino russo inizia con un’autodescrizione del protago-nista: “Per grazia di Dio sono uomo e cristiano, per vocazione pellegrino errante di luogo in luogo. I miei beni terreni sono una bisaccia sul dorso con un po’ di pane secco e, nella tasca interna del camiciotto, la Sacra Bibbia. Null’altro”2.

1 E. bosetti, Sandali e bisaccia. Percorsi biblici del “prendersi cura”, Cittadella Editrice, Assisi, 2010.

2 I Racconti di un pellegrino costituiscono il testo che ha permesso a un vasto pubblico di conoscere la preghiera di Gesù. Apparsa per la prima volta nel 1870, ripubblicata a Kazan’ nel 1884, quest’opera anonima ha ori-gini oscure. Forse fu copiata dal padre Paisij (1883), superiore del monastero di San Michele dei Ceremissi a Kazan’, da un manoscritto posseduto da un monaco russo dell’Athos. Secondo altre fonti, verso il 1860 il manoscritto si sarebbe trovato tra le mani di una monaca diretta dallo starec Ambrogio, del famoso eremo di Optina Pustyn’. Tra le carte dello starec sono stati trovati altri tre Racconti, pubblicati in Russia nel 1911. Questi tre ultimi Racconti si distinguono da quelli della prima raccolta per il carattere maggiormente didattico. Essi offrono ai lettori alcuni elementi indispensabili non necessa-riamente per imitare, ma per seguire il pellegrino nella sua ricerca del cuore. Nella finzione, l’autore è un contadino che si reca a Optina per ricevere l’in-segnamento dello starec Macario, predecessore di Ambrogio. L’origine con-tadina dell’opera, la cui stesura corrisponde alla sua intenzione di fondo in modo così perfetto, è poco probabile. I Racconti narrano che il pellegrino, all’età di trent’anni, avendo perduto tutto, entra una domenica in una chiesa

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La vera natura del pellegrinaggio traspare nel significato eti-mologico del termine pellegrino che, nel tardo latino, aveva il significato di “per-agros”, ossia di «forestiero», colui che “passa attraverso”, che “va per i campi”.

dove ode questa frase di San Paolo: “Pregate incessantemente”. L’esortazio-ne lo induce a mettersi in cammino, e sarà d’ora in avanti il suo viatico. Il pellegrino cerca l’uomo che saprà spiegargliene il significato ed insegnarglie-ne la pratica. Il lettore che accompagna il pellegrino nelle sue avventure e prove - aggressioni di briganti, di un lupo, etc. - è in grado di scoprire la pedagogia che fa anche di lui un cercatore della preghiera di Gesù. Durante il viaggio, egli ha modo di conoscere la Russia della seconda metà del XIX secolo e di fare la conoscenza di figure degne di un romanzo russo come Le anime morte di Nikolaj Gogol: “Non potendo avere un domicilio fisso, decisi di andare verso la Siberia, fino alla tomba di Sant’Innocenzo d’Irkutsk. Ero convinto che nei boschi e nelle steppe della Siberia avrei trovato una solitu-dine e un silenzio perfetti, così da potermi dedicare all’orazione e alla lettura con maggiore profitto”. Il pellegrino finisce con l’incontrare uno starec che, sottoponendolo a una dura ascesi, gli insegna alcuni rudimenti della preghie-ra di Gesù. Poco prima di morire, il padre spirituale lascia al discepolo un esemplare della Filocalia. Il libro diventa, unitamente alla Bibbia, una riserva di nutrimento spirituale e un sostegno morale del viaggiatore, che d’ora in poi sa verso quale meta volgersi. La luce d’Oriente, sebbene invisibile, fa da guida al suo errare. Al “vegliare e pregare” corrisponde il “marciare e prega-re” del pellegrino il quale, sempre più amante della solitudine e del silenzio, accetta con umiltà di aiutare tutti coloro che sentono in lui l’energia di un essere proiettato verso il cielo, di un’icona dell’“uomo del desiderio”. Lungo i sentieri di campagna egli scopre in sé uno sguardo nuovo, più penetrante e attento alle cose: “Gli alberi, l’erba, gli uccelli, la terra, l’aria, la luce, tutto sembrava dirmi che ogni cosa esiste per l’uomo, testimonia l’amore di Dio per lui, e tutte le cose pregavano e cantavano Dio e la sua gloria. Così com-presi quello che la Filocalia chiama “la conoscenza del linguaggio di tutte le creature”. Nel suo vagabondaggio di preghiera, il pellegrino gioisce dell’u-nione della propria preghiera con quella del cosmo. Continua è la liturgia co-smica, e lentamente essa si disvela, scompare la cispa che ingrombra l’occhio del cuore, l’alba eterna diventa una realtà. Grazie ai Racconti, la tradizione segreta e monastica della preghiera di Gesù diviene ormai possesso di tutti coloro la cui anima invoca l’Amico (cfr., http://www.esicasmo.it/pellegrino.htm).

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Il pellegrino è un viaggiatore così come il viaggiatore è un po’ pellegrino. Oggi si viaggia più di ieri, ma le modalità del viaggiare sono cambiate. Stiamo assistendo sempre più al viag-giare finalizzato al mero cambiamento di luogo, al “puro cam-biamento” alla ricerca di “un nuovo che si è sicuri sia meglio della situazione in cui normalmente si vive”3. Il viaggiare, un tempo, si giustificava come l’andare alla ricerca di un qualcosa di cui si era privi; questo qualcosa non era materiale ma si trat-tava, piuttosto, di un valore, di un senso di autenticità che la vita quotidiana non riusciva a porre in evidenza. Per questo motivo, il più delle volte, si è finito col paragonare il viaggio a un’espe-rienza religiosa.

Tuttavia, anche se oggi ci si sposta solo di luogo, il mero spostamento provoca una serie di cambiamenti, alterazioni, mutamenti della realtà magari non facilmente riconoscibili sul momento ma che, con tempi più dilatati, finiscono con l’essere riconosciuti a livello individuale e sociale.

Il muoversi è, infatti, incontro; l’incontro è conoscenza; la conoscenza è arricchimento di sé e quindi è cultura.

Il migrante è, dunque, un portatore di cultura ma è anche un discente con la grande opportunità di accostarsi alla ricchezza del mondo. Il migrante è, allo stesso tempo, un sognatore e un temerario che, inevitabilmente, ovunque andrà porterà con sé il bagaglio culturale che fa parte della sua persona. Da qui la nascita delle società multiculturali e il vivere l’interculturalità nonostante i grandi problemi di inserimento/integrazione delle diversità.

3 F. ferrarotti, Partire, tornare. Viaggiatori e pellegrini alla fine del millennio, Donzelli, Roma, 1999, p. 52.

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2. L’emigrazione italiana oggi

Parlare oggi di emigranti italiani riporta automaticamente alla mente fotografie ingiallite o in bianco e nero, volti emaciati dalla fame e dalla guerra, valigie di cartone.

La realtà è, invece, molto diversa e ci obbliga a scoprire un nuovo vocabolario e un nuovo approccio all’emigrazione italiana che è fatta di tanti connazionali preparati i quali cercano all’este-ro la realizzazione di sogni che non vedono possibile portare a compimento nel loro paese. Gli italiani che vanno all’estero oggi sono professionisti, o se si vuole “talenti” per superare il termine sempre più rifiutato di “cervelli in fuga”: non è solo il cervello a partire, ma la persona col suo carico di tradizioni e legami.

L’Italia, però, fuori dai confini nazionali è oggi caratterizzata anche dalla comunità di cittadini iscritti all’Anagrafe degli Ita-liani Residenti all’Estero del Ministero dell’Interno, una comu-nità che il Rapporto Migrantes monitora dal 2006; al di là dei numeri annuali essa ci sorprende per la sua evoluzione che si caratterizza per un continuo svecchiamento4.

4 Al 1 gennaio 2011 gli iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero sono 4.115.235 di cui il 47,8% donne (1.967.563) con un aumento di quasi 90 mila unità rispetto all’anno precedente. La disaggregazione per continenti vede per protagonista l’Europa con 2.263.342 (55%) e, in parti-colare, le consistenti comunità residenti nell’UE a 15 (1.667.241, 40,5%). Segue l’America con 1.628.638 (39,6%) residenti di cui 1.278.837 (31,1%) risiedono stabilmente nell’America centro-meridionale. A seguire troviamo i 131.909 (3,3%) residenti in Oceania di cui 128.609 nella sola Australia, i 53.538 (1,3%) connazionali residenti in Africa e, infine, 37.808 (0,9%) in Asia. Ricorrendo alle disaggregazioni dei dati Aire è possibile porre in evidenza alcune peculiarità dell’emigrazione italiana: continua a crescere la presenza femminile (47,8%); continua a decrescere la presenza degli anziani (il 18,6% nel 2011 ha più di 65 anni - in Italia la percentuale è di quasi due punti in più – ma erano il 19,2% ad aprile 2010); aumentano i minorenni (16%, ma erano il 15,4% nel 2010); aumentano, anche se di poco, i celi-bi/nubili (53,5% rispetto al 53,4% nel 2010); il 54,9%, ovvero 2 milioni e 258 mila cittadini italiani, è fisicamente emigrato; il 37,7%, ovvero 1 milione

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L’Italia è, nel campo della mobilità, un paese ricco di record. Innanzitutto è il paese industrializzato che ha subito la più gran-de diaspora transnazionale nella storia con più di 28 milioni di partenze; occorre aggiungere che gli italiani sono presenti dav-vero in tutti i posti del mondo e sono partiti da ogni singolo lembo del territorio nazionale5.

Per questo, quando troviamo un italiano all’estero, è giusto parlare di un connazionale, ma spesso il senso della patria vie-ne oscurato dall’identità regionale se non da quella del paese

e 550 cittadini italiani, è nato all’estero; ben 127.338 sono iscritti all’Aire per acquisizione di cittadinanza; sono in leggero aumento gli iscritti all’Aire nell’arco di tempo che va da 5 a 10 anni (poco più di 1,1 milioni nel 2011); sono in aumento anche coloro che sono iscritti all’Aire da più di 10 anni (da 1 milione 950 circa del 2010 a oltre 2 milioni del 2011). Con quasi 1,5 milioni di emigrati, il Sud Italia è l’area d’origine principale degli attuali cittadini italiani residenti all’estero e iscritti all’Aire. Si tratta del 35,2% mentre sono circa 768 mila gli isolani (18,7%), 645 mila circa gli originari del Nord Est (15,7%), 13 mila in meno quelli del Nord ovest (15,4%) e 622 mila gli origi-nari del Centro Italia (15%).

5 Complessivamente il 53,9% degli iscritti all’Aire, all’inizio del 2011, sono originari del Mezzogiorno d’Italia, il 15% del Centro Italia e il 31,1% del Nord. La Sicilia, con 666.605 cittadini, si conferma prima regio-ne di emigrazione (16,2%), seguita da Campania (426.488, 10,4%), Lazio (365.862, 8,9%), Calabria (356.135, 8,7%), Lombardia (318.414, 7,7%) e Puglia (315.735, 7,7%). A seguire troviamo Veneto, Piemonte, Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Basilicata, Liguria, Mar-che, Sardegna, Molise e Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta che chiude la graduatoria delle regioni italiane con 4.439 cittadini (0,1%). Basta scorgere velocemente la graduatoria per capire che l’emigrazione italiana ha coinvolto tutto il territorio nazionale e che ancora oggi il passato migratorio dell’intero Paese è evidente nella diversificazione dell’origine migratoria di coloro che sono iscritti nell’Anagrafe del Ministero dell’Interno. Quanto detto appare ancora più chiaramente se scendiamo a un livello più particolareggiato di analisi ovvero a quello provinciale dove si susseguono: Roma, Cosenza, Agri-gento, Salerno, Napoli, Catania, Palermo, Avellino, Lecce e Potenza, mentre subito dopo troviamo Treviso e Milano. Torino è in 16a posizione e Udine in 18a.

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da dove si è partiti. In altre parole dire ciociaro, ad esempio, è completamente diverso dall’aggettivo laziale, così come le par-tenze dall’Irpinia portano a descrivere elementi e caratteristiche differenti dall’emigrazione campana.

Questo dimostra la forte necessità di ricerche più mirate ai microcontesti, come quella recentemente messa a punto dal Centro Studi e Ricerche Idos per la Regione Lazio6. Parados-salmente la Regione Lazio pur essendo attualmente la terza re-gione per numero di comunità residente all’estero, è il territorio con meno studi disponibili7. Ciò è dovuto a diverse questioni storiche, tra cui la definizione dei confini regionali, la presenza di Roma caput mundi e della Città del Vaticano e la prevalenza degli spostamenti interni. La ricerca in questione è un tentativo di comunicare la necessità di mettere insieme i due aspetti della mobilità legando il passato e il presente e le diverse storie di mobilità che si sono intrecciate nel territorio laziale per quanto riguarda il movimento migratorio in entrata e in uscita. Si legge nella Prefazione della ricerca a firma dell’Assessore Aldo Forte: “(…) l’Assessorato, se da un lato pone grande attenzione alle questioni che riguardano l’immigrazione, non dimentica che nel mondo vivono tantissimi nostri corregionali. Decine di migliaia di emigrati di origine laziale in grado a loro volta di rappresenta-re un ponte, la cui direzione va dal pensiero estero di residenza a quello di origine, ovvero l’Italia. Ecco perché il nostro obiettivo è quello di riallacciare i rapporti con gli emigrati laziali, soprat-tutto con le nuove generazioni che, alla pari dei giovani di origi-ne straniera residenti in Italia, possono trovare nella loro doppia

6 centro studi e ricerche idos/dossier statistico immigrazione caritas/migrantes, Il Lazio nel Mondo. Immigrazione ed emigrazione, Edi-zioni Idos, Roma, giugno 2011. La ricerca è stata commissionata dalla Regio-ne Lazio e, in particolare, dall’Assessorato alle Politiche Sociali e Famiglia.

7 Tra i pochi spicca il volume di f. cristaldi, r. morri, L’Altro Lazio. Geografia dell’emigrazione laziale all’estero 1951-2006, Regione Lazio, Uni-versità La Sapienza, Roma, 2008.

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cultura una grande opportunità di crescita professionale. Lo studio della redazione Caritas/Migrantes, in definitiva, vuole anche essere una guida per percorrere questo ponte nell’uno e nell’altro verso. E contribuire alla formazione di una società che cresca valorizzando le diversità”8.

Lo studio sul Lazio è una sorta di progetto sperimentale di collaborazione perché si nota sempre di più la necessità di sen-sibilizzare all’attuale situazione di multiculturalità vissuta nel nostro Paese attraverso la realizzazione di momenti di incontro e formazione che prevedano la riflessione sulla mobilità a 360 gradi, sul passato e sul presente migratorio italiano, sui flussi in entrata e su quelli in uscita e sulla comunicazione di quelle che sono riconosciute buone prassi messe in atto o da poter utiliz-zare.

3. Le similitudini tra la diaspora italiana del passato e i flussi in uscita di oggi

Se si concentra l’attenzione sull’oggi stupisce di quante si-militudini si trovano col passato più o meno recente quando si tratta il tema dell’emigrazione italiana. Alcune di queste simili-tudini legate al tema delle parole e del linguaggio usato vengo-no riprese dal Rapporto Migrantes Italiani nel Mondo nelle sue diverse annualità.

Nella famosissima vignetta del Fudge del 1903, quella che ritrae lo zio Sam sul molo mentre dal mare arrivano i topi italiani compare un termine oggi usato e abusato: l’invasione. Il tito-lo della vignetta, infatti, è il seguente: “La discarica senza legge: l’invasione giornaliera dei nuovi immigrati direttamente dai bas-sifondi d’Europa”. L’invasione, dunque, quella di cui oggi tutti parlano e sparlano a proposito dell’arrivo di immigrati in Italia

8 Ivi, p. 5.

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soprattutto attraverso gli sbarchi, quella invasione che alimenta timori e paure, nutrendo chiusure mentali e comportamentali.

Nel Rapporto Migrantes 2011 c’è un approfondimento sulla nave come simbolo di emigrazione9. In queste pagine si dice che la nave imbarcava sogni e sbarcava dolore e si racconta della vita su queste “carrette del mare”, delle tragedie, delle condizioni di permanenza a bordo al limite della dignità umana. Si racconta della morte che coglieva alcuni durante la traversata e degli aiuti che si iniziarono ad organizzare nei paesi in cui queste navi giun-gevano con l’apertura di quelli che oggi chiamiamo “Centri di Accoglienza” più conosciuti allora come “Case dell’emigrante”.

Il parallelo tra i termini Centro/Casa fa riflettere: chi giungeva allora, ad esempio, in Sud America era accolto con benevolenza perché sarebbero state braccia da lavoro necessarie al benessere di tutti. Una profonda differenza dunque con ciò che accade oggi: nonostante sia chiaro che gli immigrati portino ricchezza in settori occupazionali lasciati vacanti dagli italiani, continua a permanere lo stereotipo dell’immigrato come “ladro di lavoro”. E l’accoglienza riservata agli immigrati è talmente tanto caratte-rizzata da timore e diffidenza da non spalancare le porte di una Casa, ma di un Centro per sottolineare ancora di più quanto il loro arrivo probabilmente non venga ben visto.

In nave c’erano anche bambini soli, senza padre né madre, che viaggiavano o con finti genitori, persone ingaggiate per aiu-tarli ad imbarcarsi e a sopportare le fatiche della traversata, o come clandestini. Il giornale New York Times del 1873 denuncia la presenza, negli Stati Uniti di “80 mila fanciulli italiani d’ambo i sessi appartenenti a quella categoria di girovaghi da cui escono delinquenti e prostitute”. Quelli di cui parla il New York Times non sono altro che i minori non accompagnati dell’epoca.

9 C. venturi, La nave: simbolo di terrore e speranza dell’emigrazione italiana, in D. licata, f. pittau (a cura di), Rapporto Italiani nel Mondo, Edi-zioni Idos, Roma, 2011, pp. 463-472.

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Migrazione e delinquenza: è un altro pesante stereotipo che continua ad essere presente e corrodere l’impegno all’integra-zione. Secondo l’indagine Transatlantic Trends: Immigration, il 65% degli italiani ritiene che in Italia vi siano più stranieri irre-golari che regolari, il 56% addebita l’aumento della criminalità agli immigrati regolari e il 57% agli irregolari. Si tratta di opi-nioni molto lontane dalla realtà, ma che testimoniano la linea di pensiero largamente diffusa in Italia. Si tratta evidentemente di esasperazioni, che non tengono conto di un presupposto tanto elementare quanto (spesso) mal digerito: non c’è alcuna rela-zione “a priori” tra immigrazione e criminalità, così come non esiste alcun nesso tra la nazionalità di appartenenza e una (pre-sunta) propensione a delinquere.

Eppure, si tratta di un “veleno” costante che si insinua nella storia migratoria dalla notte dei tempi in tutte le popolazioni e gli italiani non sono stati da meno.

Concentrandoci, ad esempio, sullo storico binomio emigra-to italiano-mafia, secondo un recente sondaggio della Respon-se Analysis Corporation (2010), il 74% degli statunitensi adulti crede che la maggior parte degli italoamericani sia direttamente associata alla criminalità organizzata o abbia comunque avuto dei rapporti con essa.

In un’analoga indagine condotta dalla Niaf (National Italian American Foundation) tra giovani statunitensi, il 44% di essi ri-tengono che gli italiani siano tutti boss di Cosa Nostra. In realtà gli italoamericani stabilmente residenti negli Stati Uniti sono più di 20 milioni, mentre una ricognizione numerica tra gli affiliati delle famiglie mafiose presenti sul suolo americano si aggira sui 2.000 componenti. Una percentuale irrisoria che nell’immagina-rio collettivo dei paesi di accoglienza si è trasformata per milioni di persone oneste in un’etichetta, una riserva mentale, una con-danna da portarsi dietro con rassegnata sopportazione10.

10 V. la monica, Vite al negativo, medaglie al rovescio e medaglie sul

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4. Letteratura e poesia migrante

Un’ultima riflessione proprio sull’utilizzo delle parole riporta alla letteratura e alla poesia migrante.

Ugo di San Vittore, un monaco sassone del XII secolo, scrisse nel Didascalicon: “L’uomo che considera dolce la propria patria è ancora un tenero principiante; colui per il quale ogni territo-rio è come il proprio suolo natio è già forte; ma perfetto è colui per il quale l’intero mondo è come una terra straniera”. L’animo tenero ha concentrato il proprio amore su un unico posto nel mondo; l’uomo forte ha esteso il proprio amore a tutti i luoghi; l’uomo perfetto ha estinto il proprio.

Lo stesso concetto lo ritroviamo oggi nella poesia del came-runense Ndjock Ngana, un immigrato intellettuale giunto in Italia nel lontano 1970, un nostro concittadino, impegnato in politica, nel sociale, nella conservazione delle culture africane e nella diffusione delle altre culture del mondo. Attualmente Ndjock Ngana è consulente per la multietnicità del Comune di Roma, vicepresidente della consulta per l’immigrazione del VI Municipio ed è membro del gruppo direttivo del Forum Inter-cultura della Caritas di Roma. Ma Ndjock Ngana è, soprattutto, poeta e scrittore.

La poesia che richiama Ugo di San Vittore è Vivere una sola vita, pubblicata nel 1994 nella raccolta Nhindò nero (Edizioni Anterem, Roma, 1994) con una introduzione di mons. Luigi Di Liegro, allora direttore della Caritas diocesana di Roma.

Vivere una sola vitain una sola cittàin un solo Paesein un solo universo

petto, in D. licata, F. pittau (a cura di), Rapporto Italiani nel Mondo, Edi-zioni Idos, Roma, 2011, pp. 463-472.

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Delfina Licata

vivere in un solo mondoè prigione.

Amare un solo amico,un solo padre,una sola madre,una sola famigliaamare una sola personaè prigione.

Conoscere una sola lingua,un solo lavoro,un solo costume,una sola civiltàconoscere una sola logicaè prigione.

Avere un solo corpo,un solo pensiero,una sola conoscenza,una sola essenzaavere un solo essereè prigione.

Il pensiero comune a Ugo di San Vittore e a Ndjock Ngana è l’idea di una identità cosmopolita, il sentirsi cittadino del mondo perché il non avere confini è segno di libertà, il non darsi limiti induce ad aprirsi agli altri in modo positivo, a non avere paura del diverso, ma a considerarlo un’opportunità di arricchimento.

Queste sono solo alcune delle “parole per dirlo”, ma ce ne sarebbero tante altre. A questo proposito ben vengano altre ri-flessioni, ulteriori analisi e convegni di confronto come questo.

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Marco Bruno*

andare oltre gli stereotipi. la figura del migrante nell’informazione ita-

liana e le ricerche per la Carta Di roma

1. Immagini dei media e immagini dei pubblici

1.1 Note preliminari sul ruolo dei media nella costruzio-ne della realtà sociale

La rappresentazione mediale dei fenomeni migratori costi-tuisce per uno studioso del sistema dei media un “deposito” paradigmatico in cui rintracciare e analizzare alcune delle più interessanti caratteristiche e dinamiche del giornalismo attuale: le sue difficoltà e in alcuni casi una evidente incapacità nel rac-conto della modernità, il suo ruolo nel costruire e rappresentare la realtà sociale e il suo divenire, il delicato tema delle sue re-sponsabilità sociali in un’epoca che sembra caratterizzarsi per l’accento sul rischio e l’insicurezza globali.

Nelle aspirazioni e nelle analisi più ottimistiche i media po-trebbero costituire un eccellente luogo di comprensione e inter-pretazione dei fenomeni anche più problematici, nonché una “camera di compensazione” dei conflitti. In un’ottica sociologi-ca, infatti, si riconosce loro un importante ruolo di mediazione che si esprime sia nel loro essere “in mezzo” tra la società e il potere1, sia in un più generale e al tempo stesso più comples-

* Sapienza Università di Roma

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so compito di raccolta, selezione e gerarchizzazione, nonché di “negoziazione” con il pubblico dei significati2. In questo sen-so la comunicazione, come risorsa ad elevato valore cognitivo e sempre più “disponibile” (basti pensare all’esplosione dei social media e alla rivoluzione digitale), sarebbe in sé merce pregiata, utile alla decodifica e (forse un po’ illuministicamente) anche al miglioramento del vivere sociale.

Tuttavia – il discorso è qui riferito direttamente e nello spe-cifico al caso italiano, all’informazione e al generalismo: non-dimeno a determinate condizioni potrebbe essere esteso sia ad altri contesti che ad altre e più generali dimensioni dell’intero “sistema” dei media – la comunicazione rischia talvolta di mo-strarsi espressione di una profonda resistenza al cambiamento, uno strumento maggiormente portato alla “conservazione” che al mutamento, alla riproduzione piuttosto che alla decostruzio-ne degli stereotipi, caratteristica che emerge in modo particolare quando in gioco vi è il racconto della diversità e della convi-venza tra identità e culture. Questa resistenza sembra rintrac-ciare negli stilemi della cronaca e nella perenne emergenzialità l’unico modello di narrazione degli eventi. Si tratta evidente-mente di una scorciatoia euristica che ha molto a che fare con caratteristiche intrinseche al funzionamento dell’informazione, in primo luogo al ruolo delle routine produttive e alla antica ma apparentemente ineludibile massima del bad news is good news. A questo andrebbe aggiunta la tendenza a indulgere, alla ricerca spasmodica dell’audience e in ciò confortata e stimolata

1 La comunicazione “come interposizione”: si veda m. morcellini, Lezione di Comunicazione, Ellissi, Napoli, 2003, pp. 22-23.

2 r. silverstone, Why study the media?, Sage, London, 1999, tr. it. di a. manzato, Perché studiare i media, Il Mulino, Bologna, 2002; in particola-re sull’agenda setting si vedano s. bentivegna (a cura di), Mediare la realtà. Mass media, sistema politico e opinione pubblica, Franco Angeli, Milano, 1994 e r. marini, Mass-media e discussione pubblica. Le teorie dell’agenda setting, Laterza, Roma-Bari, 2006.

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da interessi politico-editoriali, in letture egemoniche3 che per un verso rinforzano le visioni dominanti e conservative e per l’altro soddisfano la necessità di conferme ai propri pregiudizi che si eleva da pubblici già provvisti di rappresentazioni stereotipe e distorte sull’alterità.

Ciò che qui appare significativo è che tali dinamiche rendo-no concreta e rappresentata plasticamente l’incapacità da parte dei media di comprensione e restituzione di ogni mutamento sociale nel medio e lungo termine, e (seppur indirettamente) il sostegno e la riproduzione di atteggiamenti irrazionali e “osses-sioni” securitarie4.

L’incapacità del sistema dell’informazione generalista – in se stessa, a causa delle sue caratteristiche strutturali – sembra amplificata dai fenomeni migratori e appare ancora più “assor-dante” se si pensa che, dall’altro lato, tutti i dati statistici e de-mografici segnalano ormai che la presenza immigrata in Italia ha caratteristiche strutturali (femminilizzazione, seconde gene-razioni, autonomizzazione del lavoro e piccola imprenditorialità diffusa, visibilità e protagonismo nel sociale, etc.) e ha un rap-

3 Il riferimento è qui, tra gli altri, a s. hall (ed.), Representation, cul-tural representations and signifying practices, Open University & Sage, Lon-don, 1997; id, Encoding and Decoding, in S. hall, d. hobson, a. lowe, p. willis (eds.), Culture, Media, Language. Working Papers in Culturale Studies, 1972-1979, Hutchinson, London, 1980 tr. it. in s. hall, Politiche del quoti-diano. Culture, identità e senso comune, Il Saggiatore, Milano, 2006.

4 Volutamente si tralascia in questa sede, poiché richiederebbe tutt’altro respiro di argomentazione, il tema dell’accentuazione politica, e “ideologica”, del tema sicurezza a fini elettorali (e dei cosiddetti “imprendi-tori politici della paura”). Sul tema – affrontato connettendo le dimensioni strettamente mediali e discorsive con uno sguardo agli aspetti sociologici del-la costruzione dell’insicurezza e dell’individualismo nella seconda modernità – ci permettiamo di rimandare a m. bruno, Sicurezza virtuale vs precarietà reale: come la tv ha coltivato il senso comune degli Italiani, in m. morcelli-ni, m. prospero (a cura di), Perché la sinistra ha perso le elezioni?, Ediesse, Roma, 2009, pp. 89-102.

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porto con il resto della società italiana non più relegato all’emer-genza (o all’eccezione), ma è parte della sua ossatura.

Questa normalità dell’immigrazione fatica ancora a trovar posto nelle rappresentazioni dei media mainstream, schiacciata da una visione naturalmente patologica ed emergenziale.

Si è parlato di difficoltà “strutturali” del sistema dei media e dell’informazione; vale forse la pena puntualizzare brevemente di cosa si tratta: tra queste vanno infatti annoverati il peso delle routines produttive nel quotidiano newsmaking, la dipendenza assoluta da fonti ufficiali (si pensi alle forze dell’ordine), proba-bilmente una certa trascuratezza di molti degli stessi operatori dell’informazione nel “governare” eventi e storie che esulano dal consueto e dallo stereotipo.

In un contesto del genere, allora, anche le esperienze di rap-presentazione non stereotipa che pure è possibile registrare su-gli schermi televisivi o nelle pagine della stampa finiscono per caratterizzarsi più come eccezioni (che notoriamente conferma-no le regole, puntellano gli stereotipi invece che abbatterli) dato che sono confinate in una trattazione di tipo on-off, oppure in “vetrine della diversità” e non sembrano in grado di intaccare e di “sfidare” con forza – si tratta pur sempre di un conflitto tra discorsi – il quotidiano fluire delle immagini superficiali e distorte5.

1.2 Dalla costruzione dell’agenda, ai social problems, ai nemici pubblici

In questo discorso è implicito un richiamo al ruolo che è op-portuno assegnare alla comunicazione per quel che riguarda i

5 Quello che altrove abbiamo (come gruppo di ricerca) definito il basso continuo, il rumore di fondo delle rappresentazioni “ansiogene” dell’im-migrazione. Cfr. m. binotto, v. martino (a cura di), Fuoriluogo. L’immigra-zione nei media italiani, Pellegrini-RaiEri, Cosenza-Roma, 2004.

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suoi effetti rispetto alle opinioni delle persone. Sgombrando ov-viamente il campo dalle interpretazioni più apocalittiche e de-terministiche che vedrebbero effetti puntuali e a breve termine sul pubblico6, va detto che essi diventano significativi attraver-so il riferimento ad effetti indiretti, a medio e lungo termine, e che agiscano in termini di definizione cognitiva delle coordinate rappresentative proprie dei pubblici rispetto ad un determinato fenomeno o processo sociale. In questo senso, quindi, appare evidente il ruolo delle immagini mediali nel processo di “costru-zione sociale della realtà”7 e nella negoziazione8 dei significati e delle opinioni sul mondo da parte di pubblici che – interagendo con essi e apportando le proprie convinzioni – costruiscono rap-presentazioni sociali9 della realtà oppure – per quel che riguarda lo specifico campo di interesse di questa riflessione (e come già affermato altrove10) – rappresentazioni sociali dell’alterità.

Il “potere” dei media si esprime certamente in un potere di agenda, vale a dire che attraverso una gerarchizzazione dei temi

6 Per trattazioni “introduttive” al tema, cfr. D. McQuail, Mass Co-munication Theory, Sage, London, 2000, tr. it. a cura di G. mazzoleni, Socio-logia dei media, Il Mulino, Bologna, 2001; m. wolf, Teorie e tecniche delle comunicazioni di massa, Bompiani, Milano, 1996. Si veda anche m. morcel-lini, g. fatelli, Le scienze della comunicazione. Modelli e percorsi disciplina-ri, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994.

7 p.l. berger, t. lucKmann, The social construction of reality: a tre-atise in the sociology of knowledge, Doubleday, New York, 1966, tr. it. di m. sofri innocenti e a. sofri peretti, La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1969.

8 r. silverstone, Why study the media? cit.; S. Hall (ed.), Rep-resentation, cultural representations… cit.; cfr. anche J.B. Thompson. The media and modernity : a social theory of the media, Polity Press, Cambridge, 1995, tr. it. di P. palminiello, Mezzi di comunicazione e modernità: una teoria sociale dei media, Il Mulino, Bologna, 1998.

9 s. moscovici, r.m. farr (eds. by), Social representation, Cambrid-ge University Press, Cambridge, 1984, tr. it. di V.L. Zammuner, Le rappresen-tazioni sociali, Il Mulino, Bologna, 1989.

10 m. bruno, L’Islam immaginato. Rappresentazioni e stereotipi nei media italiani, Guerini e Associati, Milano, 2008.

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e degli eventi da trattare essi riescono – in un rapporto dialettico con l’agenda politica – a indicare al pubblico non tanto come pensare ma a cosa pensare. In questo senso, le teorie dell’agenda setting appaiono convincenti ma vanno in qualche modo rese più complesse dal riferimento alla costruzione dei cosiddetti social problems. La costruzione politico-mediale di questioni di primo piano che perlopiù necessitano di un intervento legislati-vo è uno dei modi più interessanti di porre il problema di come il sistema della comunicazione riesca, trattando il fenomeno mi-gratorio, ad incidere nell’agenda politica e nelle opinioni dei cit-tadini. Si è detto: “costruzione politico-mediale”. Il riferimento a una terminologia “costruzionista” va ovviamente motivato e ciò è possibile rilevando come nella selezione e gerarchizzazione delle notizie vi siano dosi di artificiosità e di arbitrarietà tutt’al-tro che trascurabili. Tuttavia, parlare di arbitrio è tutt’altra cosa che affermare una casualità o una piena indeterminatezza. La capacità di distaccarsi da una visione “oggettiva”11 della notizia-bilità (perché un fatto diventa una notizia) – attraverso l’eser-cizio disinvolto del proprio potere di gatekeeping – può essere chiaramente evidenziata da ricerche condotte sistematicamente sui contenuti mediali, nonché connessa con i climi culturali di un’epoca e, soprattutto, con le esigenze di una politica interes-sata a trovare di volta in volta nuove questioni da porre in agen-da. I problemi sociali (lo si specificherà meglio poco oltre), sono così costruiti evidenziando e legando tra loro eventi differenti, articolando un “gioco” di differenti posizioni politiche, e pra-ticando discorsivamente una ricerca serrata di possibili cause, spiegazioni e infine soluzioni (sempre articolate nei termini di nuovi provvedimenti da prendere, leggi da cambiare, pene da inasprire e via dicendo). Va da sé che l’insieme di queste ope-

11 In realtà è opinione di chi scrive che non sia comunque possibile discutere di una “oggettività” dei criteri di notiziabilità, anche di quelli co-siddetti sostanziali, vale a dire riferiti al fatto stesso e alle sue caratteristiche di importanza e salienza.

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razioni confluisce – e in qualche modo si sostanzia – nell’azione di framing, quel processo attraverso cui i media “incorniciano” un evento o un tema, definendone per il pubblico le coordinate interpretative attraverso la selezione, l’enfatizzazione o l’omis-sione di alcuni suoi aspetti e non altri12.

Infine, per inquadrare al meglio come le rappresentazioni della figura del migrante s’inseriscano in un più articolato ruolo della comunicazione nel definire le coordinate interpretative del contemporaneo, va affrontato il tema della costruzione di figure “nemiche” e, più in generale, della funzione di controllo sociale cui i media sono partecipi.

La costruzione ed elaborazione di problemi concernenti la sicurezza può delinearsi come un caso peculiare di costruzione dei problemi sociali. Essa presuppone un orizzonte simbolico comune, un insieme di consuetudini e norme culturalmente trasmesse, un’idea di “normalità” e di ordine e un gruppo che identifichi una determinata circostanza o uno specifico evento come negativi o comunque in grado di minacciare o mettere in pericolo una situazione di contesto percepita come “naturale” e di ordine sociale. La definizione dei problemi sociali (e ciò è tanto più significativo nella cosiddetta società dell’incertezza) è pertanto un processo saldamente ancorato ai sistemi valoriali, all’identità collettiva, alle norme condivise. I media svolgono così una funzione ideologica di controllo sociale, affermando e ribadendo la norma e definendo deviante ogni comportamento o soggetto che sembra perturbare un ordine sociale presentato di per sé come desiderabile: la focalizzazione su eventi e singoli “casi da prima pagina” oppure l’utilizzo dei dati statistici relativi alla criminalità (anche se essi talvolta possono mostrare tenden-

12 Sul concetto di frame: cfr. e. goffman, Frame analysis: an essay on the organization of experience, Harvard University Press, Cambridge, 1974, tr. it. a cura di I. matteucci, Frame analysis: l’organizzazione dell’esperienza, Armando, Roma 2001; m. barisione, Comunicazione e società. Teoria, proces-si, pratiche del framing, Il Mulino, Bologna, 2009.

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ze di segno opposto) diventano essenziali alla costruzione di un consenso verso misure eccezionali ed emergenziali di contrasto alla criminalità13. Affermare che la concatenazione di singoli eventi criminosi, pur singolarmente reali e concreti, rappresen-ta un unico processo sociale (poniamo, l’aumento della micro-criminalità urbana dovuta all’immigrazione), in realtà tutto da dimostrare, e poi richiedere un intervento politico (“la politica deve agire”, “servono leggi più severe”) inserisce il sistema dei media esattamente al centro del processo di costruzione sociale dell’insicurezza in virtù di quella che può essere definita come la loro capacità veridittiva: “essi funzionano come potenti attori di certificazione della realtà valida intersoggettivamente”14.

Il passaggio alla costruzione di una specifica figura del “ne-mico” o del “capro espiatorio” è così compiuto. Stanley Cohen pubblicò nel 1972 “Folk devils and moral panic”15, testo che ren-deva conto di una ricerca sulla rappresentazione mass mediale di due subculture giovanili, i Rockers e i Mod, etichettate come devianti. La sua ricostruzione ha mostrato le dinamiche attra-verso cui specifici eventi o gruppi di individui – che si confi-gurano come una novità in “paesaggio” urbano – sono definiti una minaccia concreta ai valori e all’identità collettiva: si gene-ra così una situazione di panico morale, cresce l’attenzione e il sentimento di avversità nei confronti del gruppo “ostile” che viene etichettato (importanti i meccanismi di labelling, attraver-so cui le etichette si reificano nei comportamenti) come nemico

13 Cfr. s. hall et al., Policing the Crisis: Mugging, the State and Law and Order, Macmillan Press, London, 1978; si veda anche d.l. altheide, Creating fear: news and the construction of crisis, Aldine de Gruyter, New York, 2002.

14 m. morcellini, Realtà e storie di ordinaria violenza, in Atti del con-vegno “Libertà di Stampa e diritti della persona. Incontri di studio e documen-tazione per i magistrati”, Quaderni del CSM, Chianciano, 1987.

15 s. cohen, Folk Devils and Moral Panics, MacGibbon and Kee, Lon-don, 1972.

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esterno o interno (il folk devil), moralmente identificato come il “cattivo”. La comunicazione costituisce così un efficace accele-ratore del cosiddetto panico morale: rappresentazioni enfatiche e immagini stereotipate accentuano le minacce reali creando un clima di forte mobilitazione emotiva nella pubblica opinione. In questo senso, i media delimitano il campo delle rappresentazio-ni legittime (parte dell’azione di framing) e costruiscono l’are-na all’interno della quale gli osservatori esperti, i politici e altre autorità etichettano la condotta dei folk devils come violenta, minacciosa e antisociale, e proponendo le analisi presentano le soluzioni possibili.

1.3 Stereotipi nell’immagine del fenomeno migratorio

Nel presente contributo il legame dei media con lo stereotipo non può essere analizzato estensivamente16, tuttavia è possibile ricordare come le costruzioni stereotipiche si presentino come una forma di conoscenza “naturale”, implicita nel normale pro-cesso di categorizzazione del reale che ogni individuo compie per interpretare il mondo; in quanto tale, quindi, pienamente legittimo. Ciò che è importante, invece, è la capacità delle per-sone di riconoscerne questa funzione euristica e aggiornare le proprie rappresentazioni stereotipe attraverso, ad esempio, il contatto con la realtà17. In questo senso, la comunicazione è sia la creatrice di questa realtà sia un ritaglio di essa: non va consi-derata come un ambito esterno (da un lato il reale e dall’altro le sue rappresentazioni, “virtuali”), ma come una delle dimensioni dell’ambiente in cui l’individuo forma le sue immagini del mon-

16 Sul tema, ci permettiamo di rimandare a M. Bruno, L’Islam immagi-nato… cit. Si veda anche b. mazzara, Appartenenza e pregiudizio. Psicologia sociale delle relazioni interetniche, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1996.

17 Per una snella ricostruzione dello stereotipo, cfr. p. villano, Pre-giudizi e stereotipi, Carocci, Roma, 2003.

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do e quindi i suoi atteggiamenti. Allo stesso tempo, però, la co-municazione può generare rappresentazioni sociali, ad esempio nel caso di fenomeni poco conosciuti o in assenza di precedenti immagini di quella realtà nel pubblico, rivestendo in questo caso un ruolo molto più significativo di altre fonti.

Costruzioni stereotipiche e pregiudizi sono prodotti cultura-li, nel senso che, mediando un’immagine schematica del reale, si costituiscono in un rapporto di inter-relazione con categorie già elaborate culturalmente: la nostra immagine della realtà ma anche i nostri vissuti ed esperienze concrete si costruiscono all’interno di contesti trasmessi dalla nostra cultura; e la cultu-ra stessa intrattiene un rapporto circolare anche (ma non solo) con la comunicazione, sia nel senso di informazione diffusa dai mass-media, sia di cultura popolare.

È utile qui segnalare un altro elemento dello stereotipo, vale a dire la sua resistenza e rigidità al cambiamento, anche in pre-senza di informazioni e dati del reale che lo contraddirebbero: proprio perché fonte immediatamente disponibile di conoscen-za, piuttosto che intaccare e modificare lo stereotipo i soggetti tendono a selezionare, interpretare e ad adattare alla propria costruzione pre-giudiziale anche le conoscenze acquisite con l’e-sperienza diretta o le immagini mediali “devianti” rispetto allo stereotipo, in questo modo salvaguardandola e riproducendola.

Affrontati questi aspetti, è ora possibile elencare schemati-camente quali sono le principali distorsioni nella rappresenta-zione mediale dei fenomeni migratori, a partire sia dalle eviden-ze segnalate nella letteratura di riferimento, sia dalle ricerche condotte all’interno del percorso che si illustrerà nella sezione successiva.

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Dimensioni critiche nell’immagine pubblica del fenomeno migratorio:

• immagine “naturalmente” problematica del fenomeno;• costante processo di associazione dell’immigrazione

alla cronaca e in particolare alla criminalità;• sottorappresentazione, o ribaltamento del nesso causa-

le, delle cause dell’esclusione sociale e della marginalità di molti immigrati;

• sovrarappresentazione della dimensione politica e nor-mativa;

• sottorappresentazione degli aspetti meno visibili e non stereotipati della presenza straniera in Italia;

• costruzione di un’immagine di allarme per ciò che ri-guarda il numero delle presenze in Italia;

• semplificazione e appiattimento del fenomeno sulla sola dimensione dell’arrivo;

• assenza pressoché totale, nel sistema dei media, della voce degli immigrati stessi o degli operatori del settore;

• alto grado di sensazionalismo e riproposizione di forme stereotipe negative.

2. Una questione di responsabilità sociale del giornalista. La Carta di Roma: dall’enunciazione di principi all’applicazione e al monitoraggio

All’indomani della tristemente nota strage di Erba, su stimo-lo di Laura Boldrini – portavoce dell’UNHCR – nasce una ri-flessione del mondo giornalistico sull’istantaneo riscontro che nei media avevano trovato le prime voci di sospetto sul marito e padre maghrebino di due delle vittime. Quella che a molti era apparsa una reazione fin troppo immediata (si potrebbe quasi dire “pavloviana”) aveva infatti mostrato a che punto determi-nati stereotipi agissero quasi come un tic, una risposta istinti-

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va nell’assegnazione delle colpe ad un soggetto che incarnava i tratti tipici del “nemico straniero”, del folk devil: giovane, ma-ghrebino, con precedenti poco rassicuranti, corpo estraneo in una famiglia italiana borghese. Da quella riflessione nacque un percorso che, riunendo i vertici delle associazioni di categoria, esponenti dell’associazionismo e della società civile, esperti e ri-cercatori, ha portato alla scrittura e alla firma della cosiddetta Carta di Roma, il Protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti, sottoscritto il 12 giugno 2008 dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, dal Consiglio Nazionale dell’Ordine nazionale dei Giornalisti e dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati18.

Fin dall’inizio, la scelta dell’adozione di una carta di prin-cipi etico-deontologici è apparsa opportuna solo a condizione che non rappresentasse una semplice dichiarazione di principi ma, al fine di provocare un reale cambiamento in profondità, fosse dotata di caratteristiche peculiari e appositi strumenti di efficacia19. Infatti, gli elementi forse più significativi della Carta di Roma risiedono proprio – oltre ovviamente alla precisazione degli errori da evitare e delle cautele da adottare nella copertura giornalistica del fenomeno migratorio e dell’asilo – nella previ-sione esplicita di:• un glossario di riferimento che servisse da strumento di

lavoro per gli operatori dell’informazione e li sostenesse nella ricerca di un linguaggio adeguato alla descrizione delle varie figure che compongono il variegato fenomeno

18 Cfr. i siti internet dei soggetti coinvolti e il sito creato ad hoc: www.cartadiroma.org. La Carta di Roma è stata presentata, ricevendone l’apprez-zamento, anche al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

19 Chi scrive, avendo partecipato al percorso come ricercatore fin dall’inizio, è in grado di sottolineare il clima di collaborazione di tutti i sog-getti coinvolti, pur molto eterogenei, e lo spirito costruttivo e molto attento proprio a questa dimensione pragmatica.

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delle migrazioni (migranti economici, rifugiati, richieden-ti asilo, vittime di tratta, minoranze, etc.);

• specifici percorsi di formazione per i giornalisti per una migliore comprensione dei processi migratori e delle ca-ratteristiche delle società multiculturali;

• una rete di soggetti che coinvolgesse la società civile e che, insieme ai firmatari e ai rappresentanti della profes-sione giornalistica, diffondesse sul territorio e alimentasse lo spirito della Carta;

• un osservatorio scientifico che monitorasse l’evoluzione dell’informazione giornalistica in tema di immigrazione e asilo, evidenziasse le criticità nel coverage del tema nella quotidiana rappresentazione mediale, fornisse esempi e materiali per interventi formativi e di sensibilizzazione sul tema.

Rispetto a quest’ultimo punto, la costituzione dell’Osservato-rio “Carta di Roma” ha consentito di mettere in rete i principali studiosi della rappresentazione mediale dei fenomeni migrato-ri20 e di avviare un percorso di indagine vasto e articolato su cui si tornerà poco oltre.

Un’ultima notazione riguardo al tema della responsabilità deontologica del giornalismo può essere fatta a partire dalla constatazione dell’esistenza di numerose iniziative che, sui temi più svariati, prevedono la formulazione di una carta di intenti e di principi. Il termine di paragone più appropriato ci sem-

20 L’Osservatorio, attualmente diretto da Mario Morcellini, direttore del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza Univer-sità di Roma (coordinato da chi scrive, da M. Binotto, da G. Gianturco, G. Peruzzi e da V. Lai), coinvolge una rete di ricercatori provenienti, tra le altre, dalle Università di Roma Sapienza, Roma Lumsa, Firenze, Torino, Bologna, Bergamo, Verona, Palermo, Roma Tre, Pisa, Milano Bicocca, nonché da varie organizzazioni non profit che pure si occupano di ricerca, tra queste segnalia-mo Cospe, Paralleli - Istituto Euromediterraneo del Nord Ovest, Redattore Sociale e Lunaria.

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bra – anche per l’effettivo riscontro che ad alcuni anni dalla sua introduzione è possibile attribuirle – la Carta di Treviso, rela-tiva al trattamento dei minori; la disponibilità di un insieme di documenti deontologici che non sostituiscono le norme etiche generali della professione, ma le integrano su base “tematica”, è stata vista dalla maggior parte dei professionisti con grande fa-vore. È significativo inoltre che esse siano sempre il frutto di una autoriflessione dei giornalisti sul proprio lavoro, siano diventate parte dei materiali che “ufficialmente” preparano gli aspiranti professionisti e, soprattutto, appaiono indicativi del riconosci-mento diffuso che quella del giornalismo è una professione ad alto tasso di responsabilità sociale in una società che dovrebbe avere nella comunicazione uno dei luoghi privilegiati di costru-zione della stessa dimensione etica del vivere civile21. Il tutto, ovviamente, nella piena consapevolezza che non è sufficiente la sola enunciazione dei principi, né che il tema venga posto in termini semplicemente “sanzionatori” nei confronti delle pra-tiche giornalistiche giudicate scorrette; si tratta piuttosto del-la costruzione di un percorso di responsabilizzazione di tutti i giornalisti – non solo di quelli già “sensibili” – e di attivazione di un processo di cambiamento culturale che, soprattutto attraver-so la formazione dei giornalisti più giovani, inneschi meccanismi virtuosi e che agiscano in profondità e nel medio-lungo periodo.

Tornando alla dimensione più strettamente scientifica del la-voro condotto intorno alla Carta di Roma, l’Osservatorio si è in-caricato di declinare gli obiettivi generali previsti dal Protocollo in obiettivi più specifici, l’insieme delle ricerche, infatti, hanno inteso:

21 Sul tema, di per sé vasto, ci limitiamo a rimandare a r. silverstone, Media and Morality. On the rise of the Mediapolis, Polity Press, Cambridge, 2007, tr. it. di E.D. midolo, Mediapolis. La responsabilità dei media nella civiltà globale, Vita e Pensiero, Milano, 2009. Si veda anche v. roidi, Cattive notizie: dell’etica del buon giornalismo e dei danni da malainformazione, Cen-tro di Documentazione Giornalistica, Roma, 2008.

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• costruire l’apparato di tecniche e riflettere sui metodi e sulle pratiche di ricerca da sviluppare, necessari al funzio-namento dell’Osservatorio “Carta di Roma”;

• verificare, attraverso analisi del contenuto dell’informa-zione giornalistica, la copertura informativa del tema dell’immigrazione e dell’asilo;

• analizzare le modalità di rappresentazione dei fenomeni migratori per cogliere gli elementi che evidenziano esclu-sione, pregiudizio e stereotipo;

• analizzare il linguaggio giornalistico e gli stili utilizzati nelle notizie sull’immigrazione per individuare eventuali devianze rispetto alle previsioni dei codici deontologici;

• fornire analisi qualitative e quantitative dell’immagine rappresentata dei migranti nella stampa e in televisione alle istituzioni nazionali e internazionali che si occupano di discriminazione, xenofobia ed intolleranza;

• offrire materiali di riflessione e di confronto ai Consigli regionali dell’Ordine dei Giornalisti, ai responsabili ed agli operatori della comunicazione e dell’informazione ed agli esperti del settore sullo stato delle cose e sulle ten-denze in atto;

• promuovere e realizzare, con la collaborazione di gruppi di ricerca e ricercatori universitari impegnati nello studio di tematiche riguardanti l’informazione sull’immigrazio-ne, corsi di formazione ed aggiornamento per giornalisti finalizzati ad arricchire la crescita professionale;

• segnalare agli organi competenti eventuali comportamen-ti discriminatori ai danni di richiedenti asilo, rifugiati e migranti che possano ingenerare artificiosamente nell’o-pinione pubblica sentimenti di ostilità nei loro confronti.

Il percorso di ricerca fin qui compiuto è composto da dif-ferenti direttrici di indagine, tra loro intrecciate per cogliere – anche a partire dagli specifici interessi e competenze dei centri

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partecipanti – il portato multidimensionale dell’immagine del fenomeno migratorio nei media. Nella Ricerca nazionale su immigrazione e asilo22, ad esempio, è stata esplorata a fondo la sovrapposizione tra immigrazione e cronaca (come detto, se-gnalato da tutta la letteratura in materia) indagando non solo le notizie con protagonisti immigrati, ma anche quelle di cronaca in cui fossero coinvolte solo persone di nazionalità italiana, per cogliere eventuali differenze nelle modalità di trattamento. Si è trattato non solo di quantificare e analizzare come si costruisce questa sovrapposizione tra i frames criminalità-insicurezza-imm-igrazione, ma anche, diremmo per la prima volta, quali sono le caratteristiche dello stesso frame cronaca nera e di come esso in-cide sulle rappresentazioni e percezioni dell’Altro e sui discorsi sull’insicurezza e sull’emergenza come cifre caratterizzanti del-lo scenario informativo contemporaneo. Accanto e successiva-mente a questo sforzo di analisi sistematico – caratterizzato da un approccio standard, vale a dire con metodi prevalentemente quantitativi volti alla raccolta ed elaborazione delle informazio-ni – sono stati sviluppati un’indagine sull’agenda dei quotidiani nell’anno 2010, sempre di tipo standard (o quantitativa) e spe-cifici percorsi con metodi non standard – in cui a prevalere sono tecniche di analisi qualitativa delle informazioni raccolte – fo-calizzati su alcuni case studies, tra questi è opportuno segnalare il “caso Rosarno” (la rivolta e successiva cacciata di lavoratori stagionali nella cittadina calabrese) e il “caso Brescia” (la prote-sta culminata nell’occupazione di un cantiere con la salita su una gru di lavoratori irregolari contro le procedure e l’applicazione

22 L’indagine, svolta sotto la direzione scientifica di Mario Morcelli-ni, ha costituito la ricerca “pilota” del percorso scientifico dell’Osservatorio Carta di Roma. Il rapporto di ricerca – m. binotto, m. bruno, v. lai (a cura di), Ricerca nazionale su immigrazione e asilo nei media italiani, Roma, 2009 – è disponibile in sintesi al sito: www.unhcr.it/news/download/131/733/91/sintesi-ricerca.html.

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della sanatoria)23.L’insieme di queste indagini ha consentito di raccogliere

spunti ed evidenze, alcuni dei quali saranno oggetto della suc-cessiva sezione di questo contributo, insieme ad altri risultati e considerazioni relative al più generale patrimonio di risultanze di ricerca raccolto sul tema dal Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza.

3. Immigrati nei media tra cronaca e sicurezza

3.1 Il “ghetto” della cronaca

Le ricerche fin qui condotte hanno confermato che la rap-presentazione del fenomeno migratorio è schiacciata sulla sola dimensione della cronaca. In particolare l’analisi quanti-quali-tativa condotta sui quotidiani e sui tg del 2008 e sui quotidiani del 201024 ha mostrato come l’associazione con i temi della cri-

23 Alcuni dei risultati di queste indagini sono in Notizie da Babele. Bol-lettino di informazioni dell’Osservatorio Carta di Roma, presentato a Roma il 20 luglio 2010 (www.cartadiroma.org). Le indagini condotte da altre uni-versità si sono concentrate anche su altre direttrici, comunque tutte comple-mentari all’insieme del percorso di ricerca della Carta di Roma; ad esempio il team dell’Università di Firenze ha concentrato la sua indagine sulla stampa locale (cfr. il documento Giornalismo toscano e Carta di Roma. Strumenti di lavoro per un’informazione corretta sui temi dell’immigrazione, a cura di Co-spe e Regione Toscana, disp. al sito http://www.mmc2000.net/wp-content/uploads/2011/06/Vademecum-Toscana.pdf); oppure l’Università di Verona con il team diretto Maurizio Corte ha analizzato il ruolo delle agenzie di no-tizie.

24 Quando possibile si forniranno i riferimenti per ogni specifica se-zione del percorso di ricerca, come detto, molto articolato. In questo caso il riferimento è principalmente alla Ricerca Nazionale su Immigrazione e Asilo 2008 e all’indagine su Agenda dei quotidiani 2010. I dati sono disponibili nei

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minalità e della marginalità sia una costante: il dato può apparire prevedibile o “vecchio”, ma da un punto di vista quantitativo resta purtroppo incontrastato. Già nell’indagine condotta nella stagione 2002-200325 questa associazione risultava consistente, in particolare in riferimento alla grande attenzione delle pagine locali e al formato “breve di cronaca”. Nelle indagini più re-centi il tentativo, diremmo riuscito, è stato quello di indagare la quantità e le modalità di questa sovrapposizione tra dimensione della cronaca nera e dimensione dell’immigrazione, attraverso la selezione e l’analisi di tutte le notizie che, non necessariamen-te presentando protagonisti stranieri, erano catalogabili come relativi alla cronaca o al tema sicurezza: in questo senso è stato possibile individuare le aree di sovrapposizione e, soprattutto, eventuali differenze nel modo in cui eventi di cronaca potessero ricevere diversa attenzione o presentare diverse caratteristiche secondo la presenza o meno di soggetti di provenienza straniera.

La ricerca ha scelto, quindi, due luoghi paradigmatici per l’osservazione dell’informazione italiana: la rappresentazione mediale dell’immigrazione e dell’asilo da un lato, e la cronaca nera dall’altro con lo scopo di analizzare le “zone grigie” della narrazione giornalistica, quelle in cui il tema immigrazione in-tercetta il dibattito sulla sicurezza e la cronaca nera.

La sovrapposizione appare netta: nel 2008 solo 25 servizi di tg su circa 5000 andati in onda nel periodo di rilevazione si oc-cupava di immigrazione o aveva per protagonisti immigrati sen-za trattare, contemporaneamente, il tema “sicurezza” o un fatto di cronaca nera: vale a dire che solo in queste poche notizie si scorgono tracce di una copertura attenta, ad esempio, esclusiva-mente alla dimensione economica, culturale, sociale, religiosa e così via; in tutte le altre l’immigrazione è tirata in ballo per un

rapporti di ricerca accessibili al sito www.cartadiroma.org.25 I cui risultati sono in m. binotto, v. martino (a cura di), Fuoriluo-

go. L’immigrazione nei media italiani, cit.

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reato compiuto (o, in alcuni casi, subito) da un immigrato oppu-re, anche quando esso viene tematizzato, il fenomeno migratorio appare come un sottoinsieme dell’emergenza sicurezza, di per sé uno dei leitmotiv di una stagione culminata nel 2008 con una forte politicizzazione del tema, anche in funzione elettorale26.

Confinata nel “ghetto” della cronaca nera, l’immagine dell’immigrato assume così quella connotazione patologica, di minaccia, e l’intero fenomeno migratorio diventa in primo luogo un problema: da governare, arginare, espellere.

Va detto che, proprio per questo suo essere “ritagliata” sugli stilemi della notizia di cronaca, la notizia con protagonista un immigrato riproduce una tendenza alla stereotipizzazione dei protagonisti comune a tutte le notizie di cronaca nera, anche quelle con soli protagonisti italiani: tipizzazione del nemico, toni drammatizzanti, scarsa attenzione sulle cause sociali del crimine o del disagio e focalizzazione individuale sul colpevole e lettura psicologica e morale dell’atto (il colpevole è tale in quanto “cat-tivo”, contro un noi di “buoni”, che disturba e mette a rischio una condizione di ordine sociale per la sua indole). Quindi la figura del migrante è tipizzata perché tipica è la trattazione del-la stragrande maggioranza di notizie in cui compare, quelle di cronaca nera. Si tratta spesso di un fatto di microcriminalità nel quale egli è molto spesso l’autore, talvolta la vittima, soprattutto nel caso in cui il reato avvenga tra immigrati. Il frame implicito del discorso unisce immigrazione e criminalità, nelle soluzioni esplicitate si rimanda piuttosto a un’idea di insicurezza che ne-cessita di un intervento normativo, che argini e contrasti questa visione caotica27 del mondo.

26 Sul tema si vedano anche i dati, molto eloquenti, dell’Osservatorio di Pavia e di Demos. Sull’esplosione della Cronaca nei tg italiani, interessanti anche le analisi del Centro d’Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva.

27 J. Young, Oltre il paradigma consensuale: una critica del funziona-lismo di sinistra nella teoria delle comunicazioni di massa, in R. Grandi, M. Pavarini, M. Simondi (a cura di), I segni di Caino. L’immagine della devianza

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Emergono tuttavia anche peculiarità delle notizie di cronaca i cui protagonisti sono immigrati rispetto a quelle in cui vi sono soltanto italiani, a dimostrazione che anche all’interno delle sole “cattive notizie” sono rintracciabili stili e temi diversi di tratta-zione.

Nell’informazione (cfr. fig. 1) gli immigrati sono col-ti solo nel momento dell’atto criminale, sovraesposti nel-la cronaca nera, ma la loro visibilità si affievolisce net-tamente nel racconto processuale, a differenza degli italiani, contesto nel quale potrebbero emergere le effettive responsabilità penali e i tratti umani.

Fig. 1- Contenuto del servizio di telegiornale, distinto per Fatto di cronaca e Fatto con soli migranti come protagonisti.

Fonte: Ricerca nazionale su immigrazione e asilo nei media italiani, 2009.

Sono molto diversi anche i tipi di reati per cui “fanno noti-zia” (cfr. fig. 2) e queste disparità ricalcano solo marginalmen-te le effettive differenze in termini di reati commessi, reperibili

nella comunicazione di massa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1985, pp. 141-172. Cfr. anche m. binotto, v. martino (a cura di), Fuoriluogo. L’immigrazione nei media italiani, cit.

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nelle statistiche criminali: si notino le fattispecie “violenza ses-suale” (è noto che la stragrande maggioranza di esse avviene tra le mura domestiche, spesso ad opera di uomini italiani, quelle notiziabili sono invece quelle “di strada”, da aggressione) op-pure quella “oltraggio a pubblico ufficiale” che invece appare chiaramente sottorappresentata.

Fig. 2 - Reati rappresentati nei telegiornali, distinti per protagonisti Italiani o Migranti.

Italiani

Italiani

Italiani

Italiani

Italiani

Italiani

Italiani

Italiani

Italiani

Italiani

Italiani

Italiani

Migranti

Migranti

Migranti

Migranti

Migranti

Migranti

Migranti

Migranti

Migranti

Migranti

Migranti

Migranti

0,0% 10,0% 20,0% 30,0% 40,0% 50,0%

Tratta di esseri umani

Sfruttamento e favoreggiamento dellaprostituzione

Contraffazione

Sequestro

Minaccia

Oltraggio a un pubblico ufficiale

Corruzione e concussione

Violenza sessuale (compresa suminori)

Furto + rapina + borseggio + scippo

Associazione per delinquere

Lesioni dolose

Violazioni codice della strada

Omicidio

Fonte: Ricerca nazionale su immigrazione e asilo nei media italiani, 2009.

Il fenomeno migratorio, relegato nel “ghetto” della cronaca nera, si caratterizza (quindi per i media e di conseguenza per i pubblici) come elemento patologico, minaccioso, ansiogeno, che attenta alla sicurezza dei cittadini; la sovrapposizione delle aree tematiche (fatti di cronaca / fatti con protagonisti immigra-ti oppure immigrazione come tema / tema sicurezza) oppure le catene esplicative che si fondano sulle associazioni argomenta-tive reato compiuto da immigrato – immigrazione come problema di ordine pubblico, rappresentano un frame interpretativo in sé coerente che, costruito attraverso la selezione e gerarchizzazio-ne di alcuni fatti o sue componenti, l’enfasi su alcuni aspetti e

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l’omissione di altri, relega l’immigrazione a problema sociale: da gestire, governare e arginare. È attraverso un meccanismo del genere che si legittima e si sostanzia la necessità e, in qualche misura, l’“inevitabilità” di provvedimenti legislativi di chiara impronta securitaria (il “pacchetto sicurezza”) che “disegnano” e stabiliscono anche giuridicamente l’associazione immigrazione = reato.

Infine, una notazione va fatta sulla prevalenza, nettissima delle figure maschili di immigrati rispetto alle donne: anche se attualmente è possibile affermare una presenza equamente di-stribuita tra i due sessi negli stock di stranieri soggiornanti in Italia (dato che conferma ulteriormente il carattere strutturale e, per così dire, “normale” della presenza immigrata) gli immigrati presenti nei media sono invece sostanzialmente maschi (e giova-ni): ad esempio i soggetti protagonisti delle notizie sono maschi nel 72% dei 660 casi, dato che sale all’81,5% se si considera la sola televisione28.

Con la parziale eccezione di figure femminili provenienti dal-la categoria delle vittime (di sfruttamento della prostituzione, di tratta o riduzione in schiavitù, di reati commessi da connazionali maschi); sia chiaro, il tema è di per sé rilevante e meritevole di attenzione, tuttavia ancora una volta è utile rilevare come queste figure di donne immigrate – oltre a rispondere a precisi cano-ni di stereotipizzazione ampiamente documentati dallo studio dell’immagine della donna nei media, riferibili al ruolo di vitti-ma e, talvolta, di madre – sono largamente prevalenti su figure altrettanto importanti che, però, scompaiono dall’orizzonte me-diale e, quindi, non contribuiscono a definire la rappresentazio-

28 Dati riferiti a un altro filone di ricerche da noi condotto, vale a dire l’indagine MiSTERMedia L’immagine delle minoranze sulle reti televisive e radiofoniche nazionali italiane. La ricerca, attualmente in corso, è realizzata dal Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza Uni-versità di Roma in collaborazione con il Centro d’Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva: cfr. www.mistermedia.org.

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ne più generale – e che sarebbe tutt’altro che ansiogena – del fenomeno migratorio. Si pensi, ad esempio, alle migliaia di lavo-ratrici straniere, spesso impiegate in funzioni di cura, nei servizi alla persona o nel piccolo commercio.

3.2 Gli sbarchi e l’eterna sindrome dell’assedio

Esiste poi una seconda dimensione in cui è confinato il feno-meno migratorio nei media: si tratta della questione dell’irre-golarità e della cosiddetta “clandestinità”29, strettamente legata alla grande attenzione che i media ripongono al tema dell’arrivo, in particolare attraverso lo sbarco, quello che potremmo defini-re una vera figura iconica dell’immigrazione nella sua versione mediale30.

Infatti, al di là di una oscillazione nella quantità di notizie do-vuta sia a cicli stagionali (ad esempio la ricerca da noi condotta nel 2008 mostrava un affievolirsi dell’attenzione anche in riferi-mento al periodo, invernale, di rilevazione) sia al peso che deter-minate politiche, si pensi ai respingimenti, hanno nel modificare le caratteristiche dei flussi, l’immagine di migranti appena ap-prodati sulle coste del sud Italia e di soccorritori e forze dell’or-dine intenti a rifocillarli è una delle autentiche icone dell’immi-grazione nella rappresentazione mediale. Insieme all’attenzione, proporzionalmente inferiore a quanto si potrebbe auspicare, ai naufragi che negli anni hanno provocato migliaia di vittime, si è di fronte a una situazione che nella percezione del pubblico rappresenta in maniera immediata molti degli elementi di pro-

29 Questo tema assume particolare rilievo in riferimento agli aspetti lessicali della “definizione” dello straniero. Cfr. infra.

30 Sul tema si rimanda anche a M. Bruno, “L’ennesimo sbarco di clan-destini”. La tematica dell’arrivo nella comunicazione italiana, in m. binotto, v. martino (a cura di), Fuoriluogo. L’immigrazione nei media italiani, cit., pp. 95-107.

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blematicità del fenomeno migratorio, quando addirittura non lo esaurisce discorsivamente. E ciò anche se in realtà solo una minima parte degli ingressi di migranti che avvengono in Italia segue il canale dell’arrivo via mare.

Una rinnovata attenzione al tema si è poi avuta nei primi mesi del 2011 con l’esplodere delle rivoluzioni nella sponda sud del Mediterraneo e il costituirsi di una emergenza umanitaria rispetto all’arrivo di profughi sulle coste di Lampedusa. Non è possibile soffermarsi oltre sul tema; è però utile porre l’accento da un lato sulla politica prima attendista e poi allarmistica delle autorità italiane di fronte a flussi largamente prevedibili ma nel complesso inferiori a quelli che hanno interessato altri paesi; e, inoltre, del tutto gestibili. Dall’altro lato, la dinamica – anche di polemica e conflitto politico e sociale – che si è innescata in riferimento al tema dell’accoglienza e al fatto che una piccola porzione di territorio italiano, l’isola di Lampedusa, sia da tem-po crocevia di quote significative di flussi di portata globale. Si tratta della dimostrazione (che abbiamo già avuto modo di segnalare altrove31) di come il fenomeno migratorio costituisca un paradigmatico esempio di processo glocale: flussi di portata transnazionale e globale si intrecciano, “attraversano” e hanno conseguenze su dimensioni strettamente locali, diremmo micro, nel momento in cui una piccola isola e i suoi abitanti sono coin-volti in processi chiaramente macro.

Dal punto di vista del tono della trattazione e rispetto ai si-gnificati complessivi che formano i discorsi sull’immigrazione, in particolare in riferimento agli sbarchi, le analisi fin qui con-dotte mostrano come la copertura mediale delinei un atteggia-mento – che almeno in parte possiamo considerare comune alla percezione di larghi strati dell’opinione pubblica, ma anche del panorama degli attori politici – singolarmente polarizzato intor-

31 m. bruno, Istantanee di un Islam glocale. Materiali per una socio-logia dell’Islam in Europa, tra identità e rappresentazioni, Nuova Cultura, Roma, 2009. Cfr. anche id., L’Islam immaginato… cit.

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no a due schemi rappresentativi a loro volta legati alla riuscita o meno dei diversi tentativi di approdo sulle coste meridiona-li italiane. La prospettiva oscilla, senza vie intermedie, tra una presentazione allarmistica e ampiamente negativa verso la cosid-detta “invasione dei clandestini” e, dall’altro lato, uno sguardo compassionevole e spesso velato da atteggiamenti di tipo pater-nalistico, verso “poveretti infreddoliti”, in difficoltà o in perico-lo, che sono “alla ricerca di un porto amico”32.

Vale la pena evidenziare almeno due conseguenze dello schiacciamento del discorso mediale sulle migrazioni alla sola dimensione dell’arrivo.

1) Sovrarappresentare il momento dell’ingresso nel territorio italiano relega in un cono d’ombra impenetrabile per lo sguardo del sistema mediale e del discorso pubblico la storia dell’immi-grato e del suo percorso migratorio; in questo modo non vi è alcuna attenzione alle cause che lo hanno spinto a partire dal luogo di origine: la povertà, l’insoddisfazione e la ricerca di una condizione migliore, a volte la paura e le guerre sono al massi-mo uno sfondo lontano. D’altro canto, resta invisibile qualsiasi forma di progettualità nella scelta di migrare, elemento invece tutt’altro che secondario se si pensa che spesso la scelta di un tale percorso è sostenuta dalla famiglia o dalla comunità di rife-rimento e che questa dimensione di progetto migratorio potreb-be aumentare non solo la comprensione dei flussi migratori ma anche “umanizzare”, agli occhi del pubblico la stessa figura del migrante.

2) L’appiattimento sulla dimensione dell’arrivo comporta che il discorso mediale eluda del tutto una possibile riflessione sia sulle cause strutturali del fenomeno, sia sui legami e sulle con-nessioni che le migrazioni internazionali presentano con proble-matiche quali i processi di globalizzazione, le crisi politiche e i conflitti internazionali, oppure la critica condizione economica,

32 m. binotto, v. martino (a cura di), Fuoriluogo. L’immigrazione nei media italiani, cit., p. 12.

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demografica, alimentare e sanitaria di parti significative del pia-neta: si tratta, infatti, di macrofenomeni rispetto ai quali, per certi versi, i flussi migratori transnazionali globali costituiscono solo uno degli aspetti.

3.3 Il racconto e le parole. La figura del migrante e la questione del linguaggio giornalistico

Il tema degli sbarchi è molto significativo anche perché rap-presenta quasi plasticamente un’ulteriore questione che incide trasversalmente nel trattamento mediale dell’immigrazione: si tratta della sovrapposizione e confusione delle migrazioni di na-tura economica con il tema dei rifugiati e dei richiedenti asilo; in questo senso è possibile introdurre la questione della dimensio-ne lessicale e terminologica del racconto dei fenomeni migrato-ri e, in particolare dell’“etichettamento” e della definizione dei soggetti coinvolti.

Il ruolo rivestito dal linguaggio e, nello specifico, le parole utilizzate per definire i protagonisti di questo tipo di notizie, gli sbarchi e gli arrivi, appaiono davvero centrali nel tracciare i contorni del discorso pubblico intorno all’immigrazione. Gli operatori dell’informazione usano definizioni quali immigrato, clandestino, irregolare, migrante, extracomunitario, profugo, rifu-giato, richiedente asilo, etc. molto spesso come sinonimi, anche se in realtà ogni termine definisce situazioni e contesti molto differenti33. Ad esempio, i migranti sono presentati come “ri-chiedenti asilo” in pochissimi casi nei telegiornali e praticamen-te mai nei quotidiani (addirittura un solo caso riscontrato nel periodo campione della ricerca sul 2008), eppure nel 2008, ri-

33 Sull’accuratezza del linguaggio si richiama all’importanza che è sta-ta riservata proprio nella Carta di Roma ad un glossario che fornisse ai gior-nalisti un punto di vista chiaro e univoco sulle scelte da operare al momento della costruzione dei testi informativi.

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spetto al 13% complessivo dei migranti giunti in Italia via mare, quindi attraverso sbarchi e arrivi, ben il 73% era costituito da “richiedenti asilo”, vale a dire da persone ritenute in grado ri-chiedere la protezione internazionale ai sensi della Convenzio-ne di Ginevra del 1951, poiché vittime di guerre, persecuzioni o altre simili situazioni. Anche se giunte in maniera “illegale” (come nel caso dello sbarco) e senza documenti, questo tipo di persone non sono per nulla riconducibili alla categoria dei migranti irregolari. A ciò si aggiunga che dato l’attuale sistema delle quote (e del legame con il contratto di lavoro) anche per i cosiddetti migranti economici il percorso più comune di arrivo e insediamento (in termini di status giuridico) è un ingresso re-golare – spesso via terra o via aerea, con visto magari turistico – un successivo periodo di irregolarità e poi eventualmente una successiva regolarizzazione.

Ancora più significativo è riflettere sulla parola “clandestino” che resta uno dei termini più frequentemente utilizzati da tg e quotidiani34. Il termine è in realtà adoperato – anche implici-tamente – come equivalente di “criminale” attraverso l’affian-camento di parole, espressioni, infografiche viene a crearsi una stretta associazione tra la criminalità di origine straniera e la stes-sa condizione di irregolarità. Così, non solo il discorso sulla de-linquenza straniera confluisce, e talvolta si esaurisce, nelle pro-poste di espulsione degli stranieri non in regola con il permesso di soggiorno, ma concorre a delineare una dicotomizzazione tra un’immigrazione “buona” ed una “cattiva”, dove nella prima rientrano coloro che possono entrare (anche se solo teoricamen-te) a far parte del noi e della nostra comunità, e nella seconda confluiscono, in maniera indistinta, criminali e clandestini, da

34 Nei dati più recenti da noi raccolti (si veda il bollettino Notizie da Babele… cit., disponibile al sito www.cartadiroma.org; si vedano anche le anticipazioni della ricerca MiSTERMedia: www.mistermedia.org) sembra possibile evidenziare una flessione dell’utilizzo del termine “clandestino”, tuttavia è ancora presto per poter affermare un’inversione di tendenza che andrebbe sicuramente salutata positivamente.

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allontanare, escludere, espellere35. E questo anche al di là della recente introduzione del reato di immigrazione clandestina che, in pratica, reifica e salda anche normativamente la percezione e lo stereotipo diffuso che sostiene pienamente il frame di una im-migrazione di per sé patologica. In questo caso è la legge stessa a congiungere automaticamente la figura dell’immigrato al più generale tema dell’immigrazione e al crimine36.

Un altro esempio altamente indicativo è quello delle etichette di nazionalità, usate spesso nella titolazione dei testi mediali (si-ano essi scritti o audiovisivi) come principale o unica definizione del soggetto protagonista dell’evento. La dinamica è tanto più significativa quando la nazionalità assume una funzione denota-tiva, presentata quindi come sostantivo (il rumeno, il marocchi-no) piuttosto che come qualificazione, come aggettivo (operaio rumeno, giovane albanese).

Si pensi alla tipica notizia breve di cronaca, di poche righe, in cui la nazionalità costituisce un elemento chiave della titola-zione. La semplice disponibilità dell’informazione relativa alla nazionalità del protagonista – in questo senso determinante ri-sulta il ruolo delle fonti istituzionali e l’uso giornalistico delle informazioni così raccolte – talvolta unita alla carenza di altri elementi, trasforma la nazionalità e magari lo status giuridico (irregolare, clandestino, etc.) in notizia.

L’etichetta nazionale assorbe in sé la definizione stessa dell’immigrato e, in qualche modo, si incarica di spiegare per il

35 Cfr. p. laurano, Arrivi, sbarchi, rimpatrio, in m. binotto, m. bru-no, v. lai (a cura di), Ricerca nazionale su immigrazione e asilo … cit., pp. 59-63.

36 “Una definizione normativa (è considerato straniero chi non è cit-tadino di uno Stato membro della Comunità Europea) dà luogo a una classi-ficazione che comporta uno status giuridico di pericolosità sociale che le di-verse norme dovranno specificare nella figura soggettiva dell’indesiderabile, del segnalato ai fini della non ammissione. Il migrante non commette reati: il migrante diventa un reato” (a. de giorgi, Zero tolleranza, DeriveApprodi, Roma 2000, p. 60).

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lettore a partire da quali elementi (in questo caso l’alterità, la di-versità, il nemico che arriva dall’esterno) andrebbe interpretato il singolo fatto-notizia e quindi come esso debba essere inserito nel più generale frame interpretativo:

“La somma di queste due etichette – nazionalità e immi-grazione – costituisce la piena congiunzione tra i due universi simbolici, non è quindi in discussione la «gradevolezza» o la intrinseca natura ingiuriosa dei termini – che siano «extracomu-nitario» o «clandestino» – a rappresentare un processo discri-minatorio, ma il modo in cui queste etichette combinano diversi livelli di descrizione e spiegazione. Da una parte trasformano i singoli stranieri, e i singoli reati compiuti dagli stranieri, in epife-nomeni dell’immigrazione in quanto tale. Dall’altra offrono una specifica visione del “tema immigrazione”37.

Fig. 3 - Meccanismi di estensione dello stigma

Fonte: m. binotto, v. martino (a cura di), Fuoriluogo. L’immigrazione nei media italiani, cit.

L’uso di determinate etichette, l’“ossessione” per la naziona-lità e altre dinamiche rappresentative sembrano assumere una

37 m. binotto, v. martino (a cura di), Fuoriluogo. L’immigrazione nei media italiani, cit.

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precisa funzione di riassorbimento del nuovo, del mutamento delle società contemporanee, attraverso la ricomprensione degli elementi che caratterizzano i fenomeni sconosciuti (purtroppo, per i media, ancora oggi lo sono i processi migratori e la loro complessità) o quelli più delicati in termini di proiezioni e di visioni del mondo (ad esempio sull’asse apertura/chiusura del-la società, progresso/conservazione, pluralità/omogeneità, etc.) all’interno della categoria della devianza.

In questo senso, è indiscutibile il ruolo svolto dalla comu-nicazione nel rappresentare il binomio normale/anormale, co-struendo esplicite forme di etichettamento (labelling) delle de-vianze secondo a partire da una “rappresentazione consensuale del mondo, dove le violazioni vengono considerate atipiche (e formano il piano implicito delle notizie) e messe in contrasto con la maggioranza ipertipica della popolazione (che forma lo sfondo implicito o meno cospicuo delle notizie)”38. Lo stereo-tipo sull’Altro, così, inserisce il soggetto “deviante” all’interno di categorie altrettanto tipizzate (il criminale, lo straniero, ma anche “il rumeno”), che formano una struttura di significato apparentemente coerente, stabile e immediatamente (anche nel senso di im-mediato, non mediato esplicitamente ma per il quale la funzione di mediazione della comunicazione di massa assume un ruolo implicito nella costruzione delle coordinate interpreta-tive del mondo) riconoscibile.

I media moltiplicano i migranti, ne accentuano a dismisura la caratterizzazione di “minaccia”, costruendo una asimmetria tra

38 J. Young, Oltre il paradigma consensuale: una critica del funziona-lismo di sinistra nella teoria delle comunicazioni di massa, in R. Grandi, M. Pavarini, M. Simondi (a cura di), I segni di Caino: l’immagine della devianza nella comunicazione di massa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1985. Cfr. anche S. Cohen, J. Young (eds.), The manufacture of the news. Social problems, Deviance and the Mass Media, Constable, London, 1973; S. Cohen, Folk Devils and Moral Panics, MacGibbon and Kee, London, 1972.

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esperienza simbolica e esperienza reale, in questo modo soste-nendo un atteggiamento di diffidenza e sospetto che certo non favorisce la gestione o il superamento dei conflitti, né facilita la ricerca di soluzioni. L’insieme di queste immagini mediali, pur muovendosi su un piano simbolico e, per l’appunto, strettamen-te rappresentativo, preparano e generano conseguenze reali sulle persone, in particolare su quelle fasce svantaggiate almeno nel senso che – al di là dei lodevoli tentativi di acquisizione auto-noma di voice39 – non sono in grado di competere in termini di forza espressiva e di effettivo potere di agenda nell’arena conflit-tuale delle rappresentazioni mediali.

39 Sul tema, di per sé vasto, si veda tra gli altri m. maneri, a. meli (a cura di), Un diverso parlare. Il fenomeno dei media multiculturali in Italia, Carocci, Roma, 2007.

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Patrizia Angelini*

la comunicazione per gli italiani all’estero: l’esperienza del premio globo triColore

Oggi sono presente al Convegno “Le parole per dirlo” come Presidente del Globo Tricolore, una rete di volontari italiani nel mondo. Nasce con l’associazione delle donne dell’emigrazione italiana, IWW - Italian Women in the World.

Incontro per cui volentieri le amiche Mina Capussi e Tiziana Grassi, quest’ultima premiata con il Globo Tricolore così come anche la neovincitrice di quest’anno Flavia Cristaldi con cui mi complimento ancora e che ringrazio per l’invito. Cosi come rin-grazio questa Università per aver concesso il patrocinio all’ini-ziativa.

Il Globo Tricolore nasce come progetto di comunicazione globale rivolto ai nostri amici oltre oceano. Un Premio ricono-sciuto a coloro che lavorano nel campo dell’emigrazione italia-na, a coloro che promuovono l’immagine dell’Italia nel mondo e ai nostri connazionali eccellenti le cui storie sono sconosciute in Patria.

Il GT e’ soprattutto uno sportello di servizio on line rivolto ai nostri connazionali.

Contiene, infatti, un database internazionale: una banca dati professionale dei connazionali nel mondo.

Siamo dunque un network: una rete internazionale dedicata agli italiani all’estero.

Perchè la scelta del web per comunicare con gli italiani all’e-stero?

* Presidente Premio Globo Tricolore

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Patrizia Angelini

Oggi il web è uno strumento indispensabile per diffondere la cultura italiana all’estero, per consolidare i rapporti fra l’Italia e i suoi emigrati, per promuovere la conoscenza reciproca e il dialogo fra le popolazioni dei vari continenti; è veloce ed è utiliz-zato da tutta la stampa italiana all’estero e dall’associazionismo.

L’esperienza del Globo Tricolore, nella sua dimensione inter-nazionale e nell’ampia diffusione che ha assunto in tutto il mon-do, permette d’individuare sette punti sui quali investire energie per rendere la comunicazione sempre più efficace e capillare.

1. Banche dati e social network: identificare gli utenti

I nostri interlocutori all’estero sono rappresentati:· dalla componente più tradizionale dell’emigrazione italiana

che chiede un filo diretto con la terra di origine e l’accesso ad uno spaccato dell’Italia attuale con le principali informazioni riguardanti: economia, politica ed attualità, indispensabili per esercitare in particolare il diritto di voto;

· dalle nuove generazioni (nate all’estero);· dal pubblico straniero interessato all’Italia.Dunque non basta informare attraverso il web: occorre iden-

tificare il target ed offrire una comunicazione differenziata, così come occorre pubblicare on line in diverse lingue per informare gli utenti stranieri e quelli di origine italiana (che però non par-lano italiano).

La maggioranza dei connazionali residenti all’estero svolge spesso attività imprenditoriale e dunque e’ interessata a un certo ritorno di immagine del proprio Paese per promuovere l’Italia all’estero. Diviene indispensabile una programmazione sul web in più lingue dal momento che oltre la metà degli italiani resi-denti fuori dei confini nazionali sono nati all’estero.

Al fine di costituire effettivamente una rete, un network, è

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necessario, inoltre, Progettare una Banca dati suddivisa per Na-zione e professionalità.

2. La comunicazione innovativa

La comunicazione dinamica ed innovativa e’ capace di pro-gettualità e di fare rete per promuovere il Sistema Italia nel Mon-do. Occorre per questo ampliare la platea italofona attraverso la costruzione di portali fruibili anche da zone del globo dove la trasmissione dati è ancora a 15 Kb/s.

L’informazione per gli italiani all’estero non può reggersi eco-nomicamente da sola, se non viene inserita nel contesto del Si-stema Italia nel Mondo che consenta di valorizzare sia il nostro paese che i connazionali all’estero.

Oggi bisogna differenziare la comunicazione per renderla un veicolo atto a diffondere l’immagine dell’impresa italiana nel mondo.

3. I network

L’immenso patrimonio culturale italiano viene veicolato oggi attraverso le scuole italiane all’estero, gli Istituti di cultura, la stampa italiana all’estero, le associazioni di corregionali.

L’esperienza della community dunque è basata sull’idea di fa-cilitare la comunicazione e l’interazione fra i residenti all’estero con personaggi di rilievo in Italia. Quindi il network è una rete finalizzata allo scambio di contatti, alla creazione di rapporti professionali ed al reciproco aiuto in campo lavorativo.

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Patrizia Angelini

4. La stampa in lingua italiana

E’ pubblicata principalmente in Italia e nella Svizzera italia-na, come anche a San Marino e nella Città del Vaticano. Oltre a questi, esistono quotidiani pubblicati in altri paesi del mondo e redatti in lingua italiana a beneficio delle varie comunità italo-fone all’estero.

5. I Media Club

Sono associazioni di giornalisti di lingua italiana che operano all’estero.

Attualmente sono oltre 400 gli organi di stampa italofoni di-stribuiti in tutti i continenti e censiti da Ministero degli Affari Esteri e dall’Ordine dei Giornalisti.

Il percorso dei Media Club europei è da mettere in relazione a percorsi simili che i giornalisti italiani in altre realtà geografi-che stanno compiendo, come in Brasile con l’ASIB: associazione stampa italiana in Brasile, partner del Globo Tricolore.

6. Le associazioni

A parte l’informazione della stampa italiana all’estero e degli enti (Università, Istituti di cultura, etc.), le associazioni di corre-gionali (attraverso il web) consentono ai nostri connazionali di mantenere un fortissimo legame culturale e morale con le Re-gioni e le Provincie di appartenenza, oltre che mantenere vive le tradizioni e la lingua italiana all’estero.

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7. Informazione di ritorno

Parliamo di informazione circolare perché gli italiani in Pa-tria capiscano quanto l’Italia nel mondo sia importante per la vita del paese.

Per questo il GT ha avviato questa comunicazione con le comunità all’estero promuovendo un coordinamento tra i vari soggetti che si rivolgono agli italiani all’estero.

Abbiamo avviato momenti di formazione e interscambio tra giornalisti che si trovano all’estero e giornalisti italiani. Tornia-mo quindi all’idea del network: cioè fare rete con i giornalisti corrispondenti all’estero e quelli in Patria.

Abbiamo creato dunque un network non solo con i nostri colleghi giornalisti residenti all’estero, con la stampa estera (come ad esempio in Brasile attraverso l’ASIB-Associazione stampa italiana in Brasile) ma anche con le associazioni che rap-presentano i nostri connazionali, gli enti universitari, gli Istituti di cultura e le Camere di Commercio italiane nel mondo.

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Folco Cimagalli*

verso un sistema cittadino di accoglienza. poli-tiche e processi di integrazione nella capitale

1. Migrazioni e politiche sociali

Le politiche locali dei paesi occidentali in tema di immi-grazione hanno conosciuto impostazioni differenti all’interno dei diversi contesti nazionali. Secondo Ambrosini1, si possono considerare in tale ambito quattro macro-tipi: quello “tempo-raneo”, quello “assimilativo”, quello “multi-culturale” e quello “implicito”.

Il primo assetto – quello “temporaneo” - caratterizza l’ap-proccio tradizionalmente intrapreso in Germania. Fino alla ri-forma del 1999, in tale paese il permesso di soggiorno è infatti collegato all’esistenza di un contratto regolare di lavoro, e la presenza di cittadini immigrati è considerata provvisioria e con-nessa all’attività lavorativa del soggetto. Non è agevole scorgere all’interno di tale contesto una prospettiva di integrazione: gli immigrati costituiscono un bacino di forza-lavoro e, semplice-mente, la loro presenza non rappresenta un tema o un problema di tipo culturale. L’impianto complessivo tende a segregare le minoranze e a non prevedere pratiche di incontro. Così, proprio per la provvisorietà dell’inclusione, non pare frequente la realiz-zazione di percorsi di integrazione stabili: per fare un esempio,

* Dipartimento di Scienze Umane, Lumsa, e Fondazione Roma Soli-dale.

1 M. ambrosini, Le politiche sociali verso l’immigrazione, in P. basso, f. perocco, Immigrazione e trasformazione della società, Franco Angeli, Mi-lano, 2000.

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Folco Cimagalli

i figli dei nuovi arrivati seguono percorsi scolastici autonomi, sconnessi da quelli praticati dai cittadini autoctoni. Coerente-mente con tali principi, l’immigrato che per qualche ragione non si trova più nelle condizioni di lavoratore perde il diritto a soggiornare e viene pertanto espulso.

Nel modello “assimilativo” - che caratterizza primariamente il caso francese e la prima esperienza degli Stati Uniti – l’enfasi è posta sul processo di inclusione dell’immigrato all’interno del sistema di cittadinanza. Tale approccio si innesta sulla convin-zione della superiorità dei principi che regolano il sistema de-mocratico e sulla considerazione che gli ordinamenti giuridici delle società accoglienti sono in grado di integrare anche perso-ne provenienti da esperienze radicalmente diverse. Si tratta di un’impostazione sorretta da un marcato ottimismo per la forza del modello democratico occidentale (e proprio per questo non privo di elementi etnocentrici), il quale favorisce l’inserimento dei migranti in un contesto nazionale solitamente bisognoso di nuova forza-lavoro. Se dunque per un verso il processo di in-tegrazione appare significativamente promosso da un assetto giuridico orientato all’apertura (si ricordi che in tale contesto vige solitamente il principio dello jus soli, che agevola la pie-na inclusione nella cittadinanza delle seconde generazioni), oc-corre tuttavia considerare come tale approccio, universalistico e monodirezionale, stenti a riconoscere la differenza culturale quale valore da proteggere e valorizzare. Le specificità culturali tendono a essere annullate o progressivamente orientate a una confluenza verso il modello nazionale.

Diversamente, il terzo tipo di approccio – il modello “mul-ti-culturale”, diffuso in anni più recenti negli Stati Uniti, e prima ancora rintracciabile in Olanda e in Svezia – persegue invece una piena considerazione della dignità delle diverse culture e promuove la valorizzazione delle differenze, in un’ottica di coa-bitazione e di pari riconoscimento dei diritti sociali. In tale con-

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testo, com’è noto, proprio per il riconoscimento e la tutela delle diverse identità, tendono a svilupparsi comunità culturalmente omogenee e al tempo stesso, tuttavia, tendenzialmente autono-me e talvolta impermeabili: in questo caso, il limite che l’espe-rienza mette in rilievo è dato proprio dalla scarsità di rapporti reciproci tra gruppi sociali conviventi nel medesimo territorio.

L’ultimo modello, quello che Ambrosini2 denomina “impli-cito”, caratterizza più da vicino il caso italiano. Secondo tale interpretazione, all’interno di alcuni ambiti nazionali l’immigra-zione non pare essere stata inquadrata alla luce di una visione chiara, consapevole e coerente. Si tratta di un fenomeno che, al pari di altri temi caratterizzanti le politiche sociali del nostro paese, ha conosciuto una serie di provvedimenti successivi che hanno affrontato i problemi di volta in volta più urgenti, senza tuttavia che venisse implementato un sistema organico e consa-pevole. Molti elementi sembrano influenzare tale assetto debo-le e destrutturato. E’ utile ricordare, tra l’altro, come l’Italia, a differenza di altri grandi paesi occidentali, sia giunta soltanto in un periodo recente a porsi come territorio di immigrazione e a relegare le precedenti esperienze di emigrazione a un passa-to ormai lontano. Gli italiani sembrano faticare ad assumere in pieno il nuovo ruolo di paese ospite e paiono oscillare tra com-prensione solidaristica (“gli altri” sono come noi, proprio come erano i nostri nonni) e fenomeni di non accettazione (anche noi siamo poveri e “gli altri” acutizzano problemi annosi della no-stra società). Di fatto, per ragioni imputabili per un verso a ra-gioni connesse alla storia della politica sociale del nostro paese3 e per l’altro ad atteggiamenti diffusi in ampi settori della società italiana, sul fronte oggettivo delle politiche e degli interventi si osservano alcune caratterizzazioni prioritarie.

2 Op. cit., p. 167.3 Nel senso indicato da M. ferrera, Modelli di solidarietà, Il Mulino,

Bologna, 1993.

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Anzitutto, si registra una marcata tendenza al volontarismo. Le organizzazioni attive nel settore delle politiche migratorie – siano esse istituzioni, siano organizzazioni del non profit – sem-brano operare in ragione di una propria motivazione ad agire piuttosto che per conformarsi a un quadro di politica sociale organico e sedimentato. Per questo motivo, gli interventi non paiono ispirati da un assetto ordinatore generale e neppure, per altro verso, dalle domande specifiche che provengono dai ter-ritori. Così, nota ancora Ambrosini4, si osserva frequentemente una mancata corrispondenza tra impegno e qualità dell’offerta e la domanda reale: vi sono numerosi comuni fortemente attivi in materia di immigrazione, operanti con prassi innovative e buona disponibilità di mezzi, i quali non devono tuttavia far fronte a situazioni di particolare pressione migratoria; altri territori al contrario, pur interessati da fenomeni vasti e penetranti, paio-no stentare a mettere in campo incisive politiche di accoglienza. Ciò che sembra caratterizzare con grande frequenza le azioni osservabili nei diversi contesti è il loro dipendere dai valori, dal-le visioni del mondo e dalle motivazioni degli attori che le pon-gono in essere.

Come seconda caratteristica, occorre rilevare come l’accen-tuato volontarismo che caratterizza il sistema italiano si rifletta anche sul piano delle azioni: sia operando un confronto tra di-verse aree del paese, sia concentrando l’attenzione su un unico contesto locale, si registra un’elevata frammentarietà di inter-venti e politiche. L’assenza di un quadro organico e stabile, unito allo spontaneismo delle azioni, produce lo svolgersi di interventi singoli – più o meno numerosi – raramente coordinati e dun-que non sempre coerenti. Ciò vale sia per quel che realizzano le organizzazioni del volontariato e della cooperazione sociale, le quali operano secondo una propria peculiare motivazione, sia anche per ciò che viene realizzato nei diversi livelli istituzionali.

4 M. ambrosini, op. cit., p. 168.

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Pure su questo piano, infatti, l’approccio volontaristico appare evidente e incapace di produrre una ottimale utilizzazione delle risorse. Il tema della gestione coordinata delle azioni figura con sempre maggiore forza all’ordine del giorno.

2. Il caso romano: dal modello implicito a una nuova visione di sistema

L’esperienza di Roma si inscrive pienamente in tale dinamica. Si tratta di un tema che assume crescente consistenza all’inter-no degli scenari demografici della capitale. Complessivamente, si contano a Roma 320.409 cittadini immigrati5, pari a circa il 10% della popolazione residente. Si calcola che negli ultimi die-ci anni, la quota di popolazione immigrata a Roma è aumentata di quasi il 90%: si tratta di cittadini provenienti dalla Romania (oltre 67.000 persone), dalle Filippine (quasi 33.000), dalla Po-lonia (quasi 15.000), dal Bangladesh (oltre 14.000).

Le politiche locali in tema di immigrazione poste in essere nell’area romana riflettono in modo paradigmatico le caratte-ristiche del modello nazionale sopra ricordato. Volontarismo e frammentazione sembrano caratterizzare fortemente il caso con-siderato, per il modo in cui questo si è nel tempo sedimentato. Le politiche e gli interventi in tema di immigrazione sembrano rifuggire da una visione di sistema ampia, organica, multidimen-sionale. Ancora una volta, pare induttivamente costituirsi un sistema a posteriori, implicitamente costruito senza una logica programmatoria consapevole, ma sviluppato sulla base di azio-ni, pur assolutamente pregevoli, nate dall’iniziativa dei singoli attori in gioco. La volontà scollegata dal sistema.

Si possono ricordare a questo proposito due elementi che ca-

5 I dati si riferiscono alle rilevazioni dell’Ufficio Statistica di Roma Capitale e sono aggiornati al 1 gennaio 2010.

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ratterizzano il modello locale di accoglienza6.In primo luogo, proprio in ragione dell’assenza di una logi-

ca di pianificazione, è possibile constatare come l’architettura delle politiche e degli interventi in argomento sia caratterizzata da un respiro temporale limitato. I servizi operanti nell’ambito dell’accoglienza degli immigrati appaiono concepiti in un’ottica emergenziale, tendente a far fronte a domande specifiche poste dagli stessi cittadini migranti, da organizzazioni di mediazione o dalla comunità dei cittadini italiani, e raramente sembrano col-locabili all’interno di una visione più ampia. L’assenza di una prospettiva di programmazione medio-lunga si riflette sul com-plesso delle azioni innescate che – scaturite come sono da una prospettiva emergenziale – appaiono provvisorie e spesso poco efficaci verso i cittadini migranti che dovrebbero sostenere.

In secondo luogo, l’approccio al problema non sembra poter garantire una gestione razionale delle risorse: l’assenza di ele-menti di coordinamento e, in modo collegato, la mancanza di pratiche di monitoraggio fanno sì che alcune offerte non siano proporzionate alle reali domande del territorio. Non solo: come detto, tutto questo comporta alcune conseguenze sulla qualità degli interventi erogati. L’irrazionalità complessiva del sistema si riflette anche sul versante della domanda, cosicché non sono rari i casi in cui si assiste a processi di sovrapposizione e ridondan-za. Così come è possibile che vi siano individui o gruppi sociali verso i quali non si attivino strumenti adeguati di accoglienza; non è raro neppure il caso in cui uno stesso utente sia in grado, ad esempio, di accedere a diversi servizi del territorio anche per la medesima tipologia di domanda, senza che questi riescano a coordinare le azioni e monitorare quanto erogato.

6 Per una riflessione più puntuale sul sistema cittadino operante nei confronti dei rifugiati, cfr. F. cimagalli, m. saggion (a cura di), Mete urba-ne, paesaggi umani, Aracne, Roma, 2009.

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Il Piano Regolatore Sociale della Capitale – varato nell’autun-no 2011 a distanza di sette anni dal precedente – ha inteso inter-venire anche in tale materia. Il piano nasce sulla base di quanto prescritto dalla legge 328/2000, che, com’è noto, ha impresso una nuova specifica attenzione al tema della pianificazione terri-toriale dei servizi alla persona7. La legge affida ai comuni il com-pito di programmare gli interventi sociali, implementando un “sistema integrato” di servizi capace di coordinare le azioni dei diversi livelli istituzionali e queste con quanto svolto dagli attori del terzo settore, anche in un’ottica di confronto e cooperazione con i servizi sanitari locali. Si ricorda ad esempio, nel testo di legge, come il piano di zona debba “favorire la formazione di sistemi locali di intervento fondati su servizi e prestazioni com-plementari e flessibili, stimolando in particolare le risorse locali di solidarietà e di auto-aiuto, nonché responsabilizzare i cittadi-ni nella programmazione e nella verifica dei servizi”8.

A Roma, il primo documento di programmazione sociale è stato predisposto nel 2004 – dopo un complesso processo di riorganizzazione dei servizi e di armonizzazione territoriale – proprio a seguito degli impulsi apportati dalla sopracitata legge 328/2000: precedentemente, nel 2002, erano stati approvati i Piani Locali di Zona, uno per ciascun Municipio.

Non è questa la sede per soffermarsi in modo dettagliato sui contenuti del documento di programmazione recentemente va-rato dalla Giunta capitolina: nella presente occasione è opportu-no rimarcare alcuni elementi di interesse, relativi sia al metodo della sua composizione che al merito delle innovazioni proposte.

Anzitutto, è utile rimarcare come la stesura di tale documen-to di programmazione abbia seguito – in modo non tradizionale

7 Cfr. ad esempio: C. gori (a cura di), La riforma dei servizi sociali in Italia. L’attuazione della legge 328 e le sfide future, Carocci, Roma, 2004.

8 Legge 328/2000, art. 19.

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– un percorso di apertura e di confronto ampio con le realtà presenti nel territorio. Si tratta di un’impostazione chiaramente prevista in sede teorica, ma di difficile e non frequente attuazio-ne sul piano pratico9. Nel caso in esame, il processo di costru-zione del Piano ha previsto da subito l’affiancamento del Nu-cleo Direzionale (direttamente afferente alla struttura tecnica dell’Assessorato e del Dipartimento) con una Commissione di piano, composta anche da tecnici esterni all’Amministrazione. Tali organismi hanno guidato lo svolgimento delle attività pre-paratorie e, in particolare, hanno coordinato l’organizzazione di cinque gruppi di lavoro, ciascuno indirizzato a uno specifico tema di intervento10. I gruppi di lavoro – questo è il punto che si intende sottolineare – hanno previsto la realizzazione di “Tavoli di confronto e proposta”, alla cui composizione partecipavano persone e organizzazioni provenienti dalle realtà municipali, dalla società civile, dal mondo delle professioni e dalle diverse sfere sociali chiamate a prendere parte a un grande processo di programmazione concertata. Secondo una logica di ascolto, confronto e sintesi progressiva, ciascun gruppo di lavoro ha poi elaborato una serie di linee programmatiche prioritarie e alcuni percorsi operativi di intervento. Le proposte sono state poi confrontate in successivi incontri, realizzati sia all’interno dei diversi tavoli, che con ulteriori interlocutori del territorio. A differenza di molte precedenti esperienze, si può osservare come quella considerata rappresenti realmente il risultato di un processo multi-stakeholder, condotto sì alla luce di linee teori-co-strategiche ben definite, ma aperto, trasparente e fattivamen-te disponibile ad accogliere le sollecitazioni del territorio.

9 a. battistella, u. de ambrogio, e. ranci ortigosa, Il piano di zona. Costruzione, gestione, valutazione, Carocci, Roma, 2004.

10 I cinque gruppi erano: Povertà, disagio ed emergenze sociali; Im-migrati e richiedenti asilo; Salute, disabilità e disagio psichico; Famiglie e minori; Persone anziane.

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Un secondo elemento di interesse riguarda una chiave di let-tura che trasversalmente coinvolge l’intero documento. I pro-dotti tradizionali della pianificazione sociale tendono a stabilire un’associazione netta tra la domanda di servizio e il soggetto che la esprime: si individua in tal modo una platea di destinata-ri delle azioni rigidamente suddivisa in relazione alle classiche “aree del bisogno”. Diversamente, il Piano Regolatore capitoli-no si sforza di adottare una visione dell’utente come “persona”, e dunque a scollegarlo dalla relazione biunivoca bisogno-presta-zione e inserirlo invece in un contesto più ampio, composto di esperienze individuali e dinamiche sociali, di fragilità e di risorse di tipo economico, fisico o relazionale.

Il riferimento teorico posto al concetto di persona non pare una mera questione terminologica e non è esente da conseguen-ze sul piano operativo11: in questo senso, ad esempio, una nuo-va attenzione al “migrante come persona” comporta un ribal-tamento della prospettiva tradizionale dei servizi. Anzitutto si antepone il momento dell’ascolto a quello dell’erogazione della prestazione: l’altro non è riducibile a un tipo, non è collocabile agevolmente in una categoria generica, ma è un portatore di una storia individuale e di una domanda che non può non essere unica. Per questo, precondizione di un servizio così imposta-to è la rilevazione autentica delle specificità dell’altro, condotta attraverso un ascolto autentico, flessibile, capace di riorientare costantemente il sistema dell’offerta. Non si tratta di un pro-cesso agevole, perché comporta una revisione copernicana delle modalità di organizzazione dei servizi: dalla prestazione stan-dardizzata per domande uniformi e prevedibili si passa all’ero-gazione di un servizio multidimensionale, che coinvolge molti attori e che, esercitando una fattiva presa in carico del soggetto,

11 Per una riflessione specifica attorno a tale tema, e in special modo per un collegamento tra “persona”, cittadinanza e sussidiarietà, cfr. S. rizza, Sociologia per la persona e politica sociale, Franco Angeli, Milano, 2007.

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ne favorisce un’autentica autonomia. In terzo luogo, il modello organizzativo ora promosso all’in-

terno della città opera per la costruzione di una visione sistemica degli interventi verso le persone vulnerabili, e quelle migranti in particolare. Concretamente, ciò appare realizzato non solo mediante ciò che sopra si evidenziava relativamente alla revi-sione dei modi di erogazione del servizio, ma anche attraverso un’attenzione nuova agli elementi di connessione tra attori e tra sottosistemi. Operativamente, ciò comporta una cura non sol-tanto dei “prodotti in uscita” erogati dal complesso dei servizi di accoglienza, ma anche di quelli che sono i processi e le relazioni attivate. In altri termini, questo significa che i molti interlocutori operanti sulla scena vengono sistematicamente coinvolti in atti-vità “orizziontali” di raccordo e razionalizzazione; inoltre, ciò comporta che le azioni non operano più all’interno di un sistema “a canne d’organo” – e quindi suddiviso per aree di competenza tra loro impermeabili – ma fluttuano tra le diverse aree che le vulnerabilità sociali sollecitano. Così, per fare un esempio, l’in-tervento su un soggetto migrante può coinvolgere il tema del lavoro, ma congiuntamente interessa quello della formazione, quello della casa, quello della salute. Così facendo, in un’otti-ca “a matrice” dei servizi alla persona, l’azione operata per un soggetto migrante va ad unirsi a quella sviluppata rispetto ad altre categorie sociali (ad esempio, quella dei padri separati); ali-mentando in tal modo le possibili sinergie ed evitando di creare contraddizione tra azioni e possibili percezioni di concorrenza fra i soggetti deboli.

Secondo tale prospettiva, si apre un ruolo nuovo a soggetti che operano non solo e non tanto nello sviluppo di servizi e azioni direttamente rivolte alle fasce svantaggiate, ma ad attori che intendono muoversi per la facilitazione delle relazioni all’in-terno del sistema, per la fluidificazione delle azioni e la moltipli-cazione delle connessioni e, per ciò stesso, delle risorse in gioco.

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Valentina Fabbri*

il territorio del comune di roma fra acco-glienza e integrazione:

l’esperienza di programma integra

Introduzione

Seppur non sia geograficamente una terra di approdo Roma è spesso definita “terra di secondo sbarco”; perché è da sempre punto di arrivo e passaggio per molti processi migratori, per-ché spesso è l’unica città conosciuta dal paese di origine, perché spesso si ritiene che nelle grandi città si abbiano maggiori possi-bilità di trovare un lavoro e di ricongiungersi con la propria co-munità. Programma Integra nasce proprio da questa vocazione territoriale in risposta alle necessità di quanti giunti a Roma da paesi stranieri, in particolare i più vulnerabili, hanno deciso di farne la loro casa.

Roma è il Comune italiano con il maggior numero di resi-denti stranieri: secondo dati del 2010 sono in totale 268.996, provenienti da 182 Stati diversi (compresi 9 cittadini vaticani), quasi il 10% del totale della popolazione.

Le comunità più numerose sono quelle provenienti dalla Ro-mania (67.366), dalle Filippine (32.932), dalla Polonia (14.674), dal Bangladesh (14.039), dal Perù (11.968), dalla Cina (11.919), dall’Egitto (9.765), dall’Ucraina (9.380), Sri Lanka (7.352) e dall’Ecuador (7.274). Sono in prevalenza di sesso femminile, hanno una media di età di 37 anni e oltre il 50% è celibe/nubile.

* Coordinatrice Programma Integra

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Valentina Fabbri

Territorialmente i cittadini di nazionalità straniera si concentra-no nei municipi I, XX e VIII.

1. I due approcci

Il cittadino migrante che fa ingresso in Italia solitamente en-tra a seguito di “chiamata” dall’Italia del familiare, in caso di ricongiungimento, o del datore di lavoro nel caso del decreto flussi. Tale tipologia di ingresso, che fa presupporre una parten-za premeditata con certezza sul futuro, solitamente garantisce almeno la soddisfazione dei bisogni essenziali per intraprendere il percorso di integrazione a Roma. Il tipo di approccio che si ha dunque con “gli immigrati” tout court non è dunque di tipo socio-assistenziale ma si tratta maggiormente di un approccio che ne faciliti l’integrazione, che li supporti nell’apprendimen-to della lingua italiana, che li aiuti nel dialogo con la pubblica amministrazione attraverso la mediazione e tenti di evitare la formazione di enclave comunitarie isolate. Il sostegno socio-assi-stenziali resta demandato alle autorità locali al pari dei cittadini.

Diverso è il caso di un’altra tipologia di migranti, i richiedenti e titolari di protezione internazionale per i quali è necessario un approccio olistico di tipo assistenziale all’inizio del percorso, e di integrazione e autonomia successivamente.

2. I Rifugiati

Proprio per usare “le parole per dirlo”, come suggerisce il titolo del convegno, la dicitura corretta in riferimento a questa particolare categoria di migranti è “richiedente e titolare di pro-tezione internazionale”.

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Le parole per dirlo. Migrazioni, Comunicazione e Territorio

Tale categorizzazione è intervenuta alla fine del 2007 con l’e-manazione di un decreto legislativo che, in applicazione di una direttiva comunitaria, ha introdotto una nuova forma di prote-zione detta “sussidiaria” – che si affianca allo status di rifugiato e alla raccomandazione per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

I rifugiati giungono in Italia in fuga dai propri paesi: paesi in guerra, dove non è possibile esercitare libertà democratiche, che abitualmente usano l’arma della persecuzione e della repressio-ne. Giungono quindi al termine di un viaggio “di speranza” e non hanno certezze del futuro guidati spesso solo dalla volontà di salvezza.

E’ appunto il caso di coloro che giungono sulle coste del sud Italia provenienti da paesi dell’Africa sub sahariana, dal Medio Oriente o dall’Afghanistan non di rado vittime di torture e vio-lenze.

Varie motivazioni li spingono a cercare a Roma riparo: la conoscenza della Città; la presenza fino a 5 anni fa dell’unica Commissione per l’esame della domanda di asilo; la specificità di molte associazioni del settore e dei percorsi di accoglienza; la presenza di connazionali.

Per dare dimensione al fenomeno dei rifugiati in Italia si con-sideri che le richieste di protezione internazionale presentate nel 2010 sono state 10.000, nel 2009, 17.603, nel 2008, 31mila. Secondo stime dell’UNHCR sono 56.000 i rifugiati in Italia ( la Germania ne accoglie 600.000, il Regno Unito 240,000, la Fran-cia 200mila).

Secondo una stima fatta nel corso dei lavori preparatori del Piano Regolatore Sociale di Roma Capitale sono circa 8.000 i ri-chiedenti e titolari di protezione internazionale presenti a Roma.

Non è attualmente possibile avere un quadro statistico dei ri-fugiati e titolari di protezione internazionale residenti in quanto

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Valentina Fabbri

al momento della registrazione anagrafica dei cittadini stranieri non viene indicato il motivo del soggiorno e in molti non hanno la residenza nella capitale per mancanza di un’abitazione stabile.

Il dato di circa 8.000 presenze è stato elaborato osservando la media di accessi agli sportelli e ai centri ascolto dedicati a questa particolare categoria di migranti - ad esempio il Centro Astalli e la Caritas che danno anche la possibilità di utilizzare il proprio domicilio per la richiesta di protezione internazionale presso l’ufficio immigrazione della Questura di Roma - il numero delle domande di asilo avanzate in Questura e la capacità del circuito di accoglienza comunale.

In merito alle presenze registrate dal Comune all’interno dei servizi di accoglienza si rileva che Roma ospita circa 1.800 richiedenti e titolari di protezione internazionale dislocati in centri di prima accoglienza, centri per emergenza casa e centri di seconda accoglienza. Nello specifico 1.003 posti suddivisi in 18 strutture a cui devono sommarsi: 340 posti suddivisi in tre centri di accoglienza che, sebbene destinati all’emergenza abi-tativa, vengono messi a disposizione dell’Ufficio immigrazione; 100 posti del centro di accoglienza autogestito dalla comunità sudanese; 400 posti del centro Enea, un centro di seconda ac-coglienza nato da un accordo tra il Gabinetto del Sindaco e il Ministero dell’Interno nel 2007.

Una considerazione: sull’intero territorio nazionale i posti a disposizione del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati sono circa 3.000, poco meno della metà. A Roma – per l’esattezza in Provincia a Castelnuovo di Porto - insiste inoltre il CARA – un centro di accoglienza per richiedenti protezione internazionale istituito nel 2008 a seguito dell’”emergenza sbar-chi”– che secondo la normativa deve accogliere per un periodo non superiore ai 35 giorni i richiedenti protezione internaziona-le in alcuni casi stabiliti per legge in attesa di sostenere l’esame

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Le parole per dirlo. Migrazioni, Comunicazione e Territorio

innanzi alla Commissione per il riconoscimento della protezione internazionale. Il CARA ha una capienza di 700 posti, accoglie i richiedenti sovente oltre i termini previsti per legge, e gli ospiti del CARA beneficiano, spesso, delle strutture socio sanitarie di-slocate sul territorio di Roma Capitale.

I richiedenti e titolari di protezione internazionale hanno na-zionalità in generale che non corrispondono a quelle dei citta-dini migranti tout court. Provengono dall’Afghanistan, Eritrea, Etiopia, Somalia, Iran, Costa d’Avorio.

Il ruolo di crocevia di storie e di persone della Città ha fatto emergere la necessità di dotarsi di strutture di accoglienza e ser-vizi ad hoc per tale particolare categoria di migranti e in generale per i migranti in difficoltà. Già nel 1992 il Comune ha istituito l’Ufficio Immigrazione che gestiva, e tuttora gestisce, il sistema di accoglienza comunale attraverso strutture convenzionate. L’accoglienza dell’Ufficio Immigrazione – UO Popolazione Mi-grante e Inclusione Sociale - è in generale dedicata a cittadini migranti ma oltre il 90% degli accolti è richiedente e titolare di protezione internazionale. Da tale dato che ha reso la città labo-ratorio di esperienze è nata la necessità di creare servizi specifici, centri ascolto, servizi medici, servizi socio legale, servizi destina-ti alla riabilitazione e la cura delle vittime di tortura. Ciò ha fatto sì che Roma nel corso di meno di 20 anni diventasse un punto di riferimento e di specializzazione sul tema.

3. Le emergenze continue

Tale predisposizione di servizi e risorse non corrisponde ov-viamente alla rimozione degli ostacoli e dei conflitti che sorgo-no nelle differenti aree territoriali. Roma ha sempre affrontato emergenze, soprattutto abitative, che hanno portato migranti appartenenti a stesse comunità ad occupazioni abusive sparse su

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Valentina Fabbri

Si tratta di una sfida teorica ed operativa che le fondazioni di partecipazione possono contribuire a raccogliere. tutto il territorio. Esemplari sono i casi di interi stabili fatiscenti e abbandonati occupati da titolari di protezione internazionale provenienti dall’Eritrea, dall’Etiopia, dalla Somalia o il caso dei cittadini afghani che hanno occupato una parte della stazione ferroviaria di Ostiense. Tali situazioni vengono a crearsi anche per i lunghi tempi di attesa per l’ingresso nel circuito di circa di accoglienza comunale.

La questione non è ovviamente nel numero dei posti – che come visto rispondono a più della metà del fabbisogno naziona-le - ma nella velocità del ricambio delle presenze nei centri; tale passaggio presuppone infatti l’uscita dal circuito di accoglienza in 12 mesi per l’avvio di percorsi di integrazione sul territorio. Si presuppone dunque un lavoro stabile e una casa in affitto. Ma tale presupposizione spesso si scontra con la realtà romana ca-ratterizzata da lavori precari, spesso in nero, e affitti altissimi. Il turn over dunque può essere possibile solo agevolando i percorsi di integrazione e di autonomia con interventi mirati. Adottan-do quindi un nuovo approccio non più in termini di posti letto ma di opportunità. Non è aumentando i posti letto che si potrà porre fine a molte emergenze ma ragionando in una logica di sistema volta all’integrazione territoriale.

4. Un nuovo approccio

Tale nuovo approccio ha avuto uno dei suoi primi esempi nel 2005 con l’esperienza comunitaria del progetto Integrarsi (Fondi Equal) che ha finanziato la sperimentazione di possibili percorsi e strumenti per l’integrazione sociale dei rifugiati. Il Comune di Roma – partner del progetto – ha sperimentato l’attivazio-ne di corsi di formazione e tirocini per oltre 300 rifugiati nei settori della meccanica, termoidraulica, informatica, turismo. Tale progettualità era stata avviata con la collaborazione di due

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Le parole per dirlo. Migrazioni, Comunicazione e Territorio

dipartimenti del Comune: oltre quello delle Politiche sociali, il Dipartimento Lavoro e Formazione Professionale dando vita ad uno scambio di pratiche interassessorile.

Rifugiati e titolari di protezione erano dunque co-protagoni-sti dei loro percorsi di integrazione. Quell’esperienza ha inne-scato un cambio di approccio al fenomeno, al passo con le nuo-ve difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro e con la necessità di dare ai rifugiati gli strumenti adeguati per l’acquisizione di professionalità spendibili in città.

5. Programma Integra

Da questa eredità e da questo nuovo approccio nasce nel 2005 Programma Integra per volontà dell’Assessorato alle Po-litiche Sociali del Comune di Roma e realizza attività volte alla promozione dei processi d’integrazione dei cittadini migranti e richiedenti protezione internazionale.

Integra eredita quel nuovo punto di vista nell’affrontare il fenomeno: non più nell’ottica di un intervento ma nell’ottica dell’attivazione di un processo nell’ambito di un sistema più grande con obiettivo ultimo l’integrazione e l’autonomia al di fuori dei circuiti assistenzialistici dei rifugiati e dei migranti. Sede di Programma Integra è il Centro Cittadino per le Migra-zioni, l’Asilo e l’Integrazione Sociale che ha tra le sue funzioni anche quella di spazio integrato di iniziative (mostre, convegni, seminari) proposte alla cittadinanza dalle numerose realtà del privato sociale operanti nell’ambito dell’immigrazione.

Partendo dall’ osservazione delle necessità del territorio, Programma Integra ha sviluppato quindi servizi e progettualità innovative a fianco delle istituzioni sempre più in grado di ri-spondere a tali necessità:

Dal 2005 Programma Integra gestisce servizi rivolti ai benefi-ciari e realizza progetti di formazione e di inserimento lavorativo

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Valentina Fabbri

con l’erogazione di corsi di formazione professionalizzanti. Ha contribuito inoltre alla nascita del Registro Pubblico dei Media-tori Interculturali nel 2006, idea e progetta nuovi interventi da mettere a disposizione del sistema cittadino, cura un sito web www.programmaintegra.it a disposizione della cittadinanza che fornisce informazioni su quanto accade nel mondo delle migra-zioni e l’asilo.

L’attività di Programma Integra si indirizza dunque all’inte-grazione dei migranti cercando di mettere in atto entrambi gli approcci prima descritti: approccio olistico per l’integrazione socio-economica dei più vulnerabili realizzabile attraverso l’in-serimento lavorativo e la professionalizzazione e l’approccio di mediazione e inserimento sul territorio per i migranti.

In particolare i servizi sempre attivi sono: Un servizio di consulenza “socio-legale” che si occupa di for-

nire informazioni sulle tematiche legate alle migrazioni e all’asi-lo e soprattutto della presa in carico dei più vulnerabili fra cui richiedenti e titolari di protezione internazionale.

un servizio di orientamento al lavoro per cittadini migranti, un servizio di counseling, un servizio di consulenza telematica e telefonica sulle temati-

che legate alle migrazioni e all’asilo.Dal 2005 abbiamo realizzato principalmente in partenariato

con il Comune di Roma corsi di formazione in cameriere di sala e ai piani in collaborazione con l’Ente Bilaterale del Turismo del Lazio per titolari di protezione. Al termine del corso di for-mazione integrato i destinatari sono stati avviati in percorsi di tirocinio che hanno dato buoni esiti in termini di ricadute oc-cupazionali.

Abbiamo realizzato un corso per donne migranti altamente professionalizzate che prevedeva l’insegnamento delle tecniche di progettazione e degli strumenti informatici al fine di promuo-vere la creazione di figure di agenti di cambiamento nell’ambito delle rispettive comunità.

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Le parole per dirlo. Migrazioni, Comunicazione e Territorio

Fra le ultime progettualità di Programma Integra a fianco del Comune segnaliamo La Fabbrica dei mestieri e Programma Retis.

La Fabbrica dei Mestieri - settembre 2008 a ottobre 2009- è un progetto sperimentale - frutto di un Accordo di Programma siglato nel dicembre 2007 tra il Ministero del Lavoro, della Sa-lute e delle Politiche sociali e il Comune di Roma – Assessorato alle Politiche Sociali - che si è posto l’obiettivo di individuare processi, metodologie e strumenti per promuovere ingresso e permanenza nel mondo del lavoro di cittadini rom rumeni adulti.

Al progetto hanno partecipato 30 cittadini di nazionalità ru-mena ed etnia rom, di età compresa tra i 18 e i 35 anni e residen-ti nei campi attrezzati di Roma in Via Candoni, nel territorio del Municipio XV, e in Via di Salone nel Municipio VIII. I ragaz-zi sono stati inseriti in percorsi di formazione come muratore, idraulico e elettricista. Per 20 dei 30 ragazzi, grazie al sostegno di finanziamenti della Provincia di Roma, è stato possibile con-seguire la qualifica di installatore e manutentore di pannelli so-lari.

Programma Retis che ha preso avvio nel febbraio 2010 e si è concluso il 30 giugno 2011 è un programma di Roma Capi-tale - Assessorato Promozione dei Servizi Sociali, coordinato da Programma Integra e dedicato alla promozione dei processi d’inclusione sociale delle persone che vivono in condizione di marginalità che ha l’obiettivo di connettere i bisogni e i fabbi-sogni delle persone più vulnerabili in termini di accesso e per-manenza nel mondo del lavoro con il sistema delle opportunità territoriali.

Nell’ambito di tale progettualità sono stati realizzati micro-progetti che hanno portato all’inserimento prevalentemente in tirocinio formativo di 110 persone di cui 82 di nazionalità stra-niera. Sono state coinvolte numerose aziende che hanno ospi-tato e poi a volte contrattualizzato tirocinanti provenienti dal Programma Retis.

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Valentina Fabbri

In tutte le sue progettualità Programma Integra opera cercan-do di mettere a disposizione del territorio risorse nuove oltre i servizi ordinari del Comune. E’ il caso del progetto LIA- La-boratori per l’Integrazione e l’Autonomia, finanziato dal Fondo Europeo per i Rifugiati (Periodo: 3 settembre 2010- 30 giugno 2011) che ha previsto l’attivazione di interventi di integrazio-ne socio-economica rivolti a minori stranieri non accompagnati – “msna” – richiedenti e titolari di protezione internazionale a carico dei servizi sociali comunali.

Per la specificità e la vulnerabilità dei destinatari si è inteso fornire, attraverso l’attività progettuale, differenti risposte a se-conda dell’esigenza del minore, della sua età, dello status, del grado di integrazione. LIA ha previsto azioni di supporto co-stante e di assistenza sviluppatesi durante tutto il periodo pro-gettuale e un periodo formativo di 4 mesi volto all’inserimento lavorativo di un gruppo di beneficiari.

Alla stessa logica risponde il Progetto POST- Persone Opera-tori Sistemi Territoriali che ha preso avvio lo scorso luglio 2011 con l’obiettivo di favorire l’integrazione socio economica di ri-chiedenti e titolari di protezione internazionale vittime di tortu-ra e violenza.

Nell’ambito della mediazione interculturale Programma Inte-gra partecipa alle attività di supporto del registro pubblico dei mediatori interculturali e grazie alle ultime progettualità in av-vio nelle quali è partner del Comune di Roma sta contribuendo alla creazione del Sistema Cittadino della Mediazione Culturale che prevede interventi di mediazione a distanza per i Municipi di Roma Capitale.

In ultima sintesi le offerte di Programma Integra cercano di direzionarsi avendo bene in mente i due differenti approcci e le differenti esigenze all’interno della categoria dei migranti. Cercando di stare al passo con i tempi e di adattare le riposte alle difficoltà del momento, alle necessità dei territori. Cercando

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Le parole per dirlo. Migrazioni, Comunicazione e Territorio

quindi di porsi in una logica di innovazione e soprattutto di si-stema e non più di singolo progetto svincolato e isolato.

6. Risultati

Nel corso di questi 5 anni di attività Programma Integra ha seguito 1.500 persone fra migranti e rifugiati per pratiche relati-ve a problematiche legali amministrative, oltre 300 persone per l’inserimento lavorativo. I contatti al sito in media sono 14.000 al mese e la newsletter raggiunge 3.000 persone circa. Si è cer-cato di adattare le progettualità alle nuove criticità, alle nuove esigenze, cercando di dotare il territorio di risorse nuove.

Purtroppo il benessere non è finanziabile e non è misurabile con i dati. Non si può trasformare il denaro in benessere. Noi lo desumiamo dalle testimonianze che ci regalano i nostri bene-ficiari.

Un giovane ragazzo rifugiato proveniente dall’Afghanistan inserito in un corso professionalizzante tenutosi nel 2010 ha de-scritto il giorno in cui ha iniziato il corso “un giorno fortunato, perché dal quel momento quando sono entrato, sono stato bene per sempre”.

I progetti che abbiamo realizzato e realizzeremo prendono linfa vitale e energia da testimonianze come questa dalla consa-pevolezza che anche se per poco tempo abbiamo potuto essere di supporto e dare una possibilità per il futuro.

7. Osservatori privilegiati

Questo approccio integrato/sistemico al territorio permette di essere osservatori privilegiati del fenomeno delle migrazioni, di leggerne, osservarlo, intervenire. E ci permette di dire che l’immigrazione – qualunque accezione si decida di dare – è un

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Valentina Fabbri

processo naturale, di normale tendenza alla ricerca del “me-glio”, del migliore. Che mentre i processi migratori si solidifica-no crescono le aspettative per i propri figli.

Se vogliamo usare il termine “fenomeno”, esso riteniamo debba essere governato in termini di offerte e di opportunità perché il benessere sociale generalmente genera la sicurezza più duratura.

La realtà che osserviamo ci dice ancora che siamo circondati da stereotipi che ci impediscono di guardare alla realtà anche e soprattutto per gli errori delle parole usate per dirlo: clandesti-no, immigrato irregolare.

Abbiamo appreso che il significato della parola integrazione deve andare oltre i progetti. L’integrazione è una classe delle elementari dove sono tutti bambini e un posto di lavoro dove sono tutti colleghi e probabilmente i primi a fare integrazione, se messi nelle condizioni di relativo benessere, sono i cittadini, i coinquilini, i negozianti, le persone del quartiere.

E l’interazione deve passare per forza dalla corretta comuni-cazione lontana da allarmismi e stereotipi.

Da osservatori privilegiati possiamo arrivare alla conclusione che in un mondo perfetto servizi per l’integrazione – nelle due accezioni – non dovrebbero esistere. Ma la perfezione non è di questo mondo e abbiamo ancora tanto lavoro da fare.

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Carlo Brusa*

riflessioni suggerite dal progetto di rilevante interesse nazionale:

“migrazioni e processi di interazione culturale. forme di integrazione e di organizzazione

territoriale in alcune realtà italiane”

1. Le migrazioni “fenomeni costantemente in evoluzione” Il Progetto coinvolge studiosi di vari atenei italiani organiz-

zati in cinque Unità di ricerca che fanno capo all’Università del Piemonte Orientale (sede del coordinatore nazionale) e a quelle di Catania, Firenze, Sapienza Università di Roma e Trieste.

Attraverso l’esame di casi regionali e locali si vogliono met-tere in luce vari problemi incontrati dai migranti e dalle loro fa-miglie nei territori di arrivo. I nodi da sciogliere sono complessi e noti: l’integrazione economica, sociale e culturale, l’appren-dimento della lingua italiana, l’inserimento scolastico, la sanità, l’alloggio, l’occupazione e la crisi, le donne e i minori ecc.

Nella stesura del Progetto è stata ricordata l’importanza di offrire “una panoramica dei processi territoriali correlati ai flus-si di immigrazione ed alle pratiche di integrazione e di contatto multiculturale in atto nell’Italia contemporanea”. Si è sottoline-ato altresì che “l’oggetto di studio è relativo a fenomeni costan-temente in evoluzione” i quali, come emerge anche in questa sede, non si collegano solo a dinamiche del tutto prevedibili.

È comunque assodato che “l’immigrazione straniera in Italia, pur con le diversità che caratterizzano le varie realtà regionali, è ormai un processo consolidato”. Si tratta infatti di un fenomeno

* Università del Piemonte Orientale

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Carlo Brusa

strutturale i cui protagonisti non potranno fare a meno di inte-grarsi progressivamente - ovviamente non senza difficoltà, resi-stenze ed incertezze - nel tessuto economico, sociale e culturale della nostra società.

Su questi argomenti esiste una vasta serie di contributi della letteratura geografica italiana che vanta un’importante tradizio-ne di ricerche sui fenomeni migratori.

Gli studi sono iniziati fin dal I Congresso Geografico Italiano del 1892 durante il quale si trattò diffusamente dei numerosis-simi nostri connazionali che, in quel periodo, raggiungevano le Americhe sulle orme di Colombo. Le ricerche sono continuate nei decenni successivi, compresi quelli del periodo fascista, e si sono sviluppate particolarmente nel secondo dopoguerra gra-zie a vari studi sulle migrazioni interne. Dagli inizi degli anni Novanta del Novecento, in concomitanza con quanto avveniva nella Penisola, l’interesse si è spostato alle ricerche sull’immigra-zione straniera1.

Le ricerche dei geografi sulle migrazioni straniere di questi ultimi anni hanno avuto spesso importanti interazioni con altri saperi legati allo studio della mobilità umana. Tutto questo non viene evidenziato solo dai contenuti del presente volume, ma è emerso nei proficui scambi di esperienze sviluppatisi durante i

1 Per una rassegna che risale al I Congresso Geografico Italiano si veda c. brusa, La ricerca geografica italiana e i problemi delle migrazioni e della formazione di una società multiculturale, in E. bianchi (a cura di), Un geografo per il mondo. Scritti in onore di Giacomo Corna Pellegrini, “Qua-derni di Acme”, 81, 2006, pp. 107-121. Un ampio resoconto critico della ricerca geografica italiana sull’immigrazione straniera è contenuto in F. Kra-sna (a cura di), Alla ricerca della identità perduta. Una panoramica degli stu-di sull’immigrazione straniera in Italia, Patron, Bologna, 2009. Si segnalano inoltre gli importanti lavori di F. cristaldi, Immigrazione e territorio. Lo spa-zio con/diviso, Pàtron, Bologna, 2012, di M. L. gentileschi, Geografia delle migrazioni, Carocci, Roma, 2009 e di M. samers, Migration, Routlgedge, New York-Londra, 2009, tr. it. a cura di L. stanganini, Carocci, Roma, in corso di stampa.

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Le parole per dirlo. Migrazioni, Comunicazione e Territorio

lavori del Convegno “Le parole per dirlo”. Si tratta di confronti di opinioni e di conoscenze che, pur non potendosi formalizzare negli atti, hanno dato luogo a utili spunti di lavoro che sfoce-ranno anche in iniziative di collaborazione tra i partecipanti al meeting.

Parlare di questo Progetto all’interno di una manifestazio-ne sul tema: “Le parole per dirlo. Migrazioni, Comunicazione e Territorio” è stato particolarmente significativo. Il Progetto, infatti, non si limita all’analisi quantitativa, ma dedica ampio spazio alle “parole”. La ricerca qualitativa, infatti, è ritenuta indispensabile per “completare la conoscenza dei fenomeni di immigrazione e di integrazione che avvengono nei diversi ambiti territoriali”.

Ci si riferisce agli aspetti socio-culturali della mobilità geogra-fica e alle loro rappresentazioni (stampa, immagini, nuovi media ecc.), alle dinamiche di accettazione-repulsione dei migranti (di-verse in funzione dei vari gruppi etnici), ai rapporti con le ammi-nistrazioni e con le istituzioni pubbliche (non per nulla in questo volume Franco Pittau e Delfina Licata trattano del “Glossario Migrazione e Asilo”), a quelli con le realtà economiche (in qualità di utenti, addetti, imprenditori ecc.) e con la popolazione autotc-tona e di origine immigrata appartenente a diversa nazionalità2.

2. Crisi economica e sbarchi dalla sponda sud del Mediterra-neo: due variabili intervenute dopo la stesura del Progetto

Il Progetto di Ricerca è stato elaborato tra la fine del 2008

2 Qui si apre il discorso dell’apprendimento dell’Italiano come se-conda lingua e delle differenze tra chi è arrivato in Italia già adulto e chi vi è nato o è arrivato nel nostro Paese in tenera età e non ha problemi di integra-zione scolastica v. C. brusa, Immigrati e allievi dall’Est Europa alla complessa realtà multietnica della scuola italiana, in D. gavinelli, A. pagani (a cura di), Europa Orientale geografie e storia, CUEM, Milano, 2009, pp. 35-42.

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Carlo Brusa

e l’inizio del 2009. In quel periodo la situazione presentava al-cune diversità rispetto all’attuale. Innanzi tutto la crisi econo-mica, già in atto a livello globale, nel nostro Paese non appariva così grave come si è manifestata nella seconda metà del 2011, con pesanti conseguenze sul tenore di vita dei ceti socialmente più vulnerabili ai quali appartiene la maggioranza dei migranti. Ovviamente non era neppure prevedibile l’adozione di pesanti misure di riequilibrio finanziario imposte a livello europeo, così come non lo erano le conseguenze politiche di questa situazione di dissesto dei conti pubblici che, a fine 2011, ha portato alla nascita del cosiddetto “governo dei professori”. In quel perio-do, infatti, la coalizione di centro-destra che aveva vinto le ele-zioni della primavera del 2008, godeva di una larga maggioranza in entrambi i rami del Parlamento e non erano prevedibili i pro-cessi di logoramento che hanno portato alla caduta del governo Berlusconi e alla rottura della maggioranza con la Lega Nord, diversamente dal Pdl, passata all’opposizione del governo Mon-ti. Ciò potrebbe anche avere conseguenze più favorevoli sulle politiche migratorie e di accoglienza degli stranieri.

Tempestivamente la Commissione Globility dell’Unione Geografica Internazionale - presieduta da Armando Montanari che ha aderito a questo Progetto di Ricerca - ha dedicato il me-eting 2010 (Haifa, 9-11 luglio) al tema “Human Mobility in the Time of a Global Economic Crisis”3.

Un altro importante cambiamento, al momento della stesura del Progetto forse ancora meno prevedibile del precedente, è

3 In quella sede è stato presentato un contributo da parte dello scri-vente e di Davide Papotti sul tema: The Weak Ring of the Chain: Immigrants Facing the Economic Crisis in Italy, http://130.54.245.7/geo/globility. L’ar-ticolo è in stampa su un numero monografico di Belgéo curato da Armando Montanari. Inoltre Carlo Brusa ha approfondito questi argomenti nel saggio Migranti, crisi economica e problemi dell’alloggio in corso di pubblicazione nel volume, curato da Marcello Tanca, in onore del geografo dell’Università di Cagliari Antonio Loi.

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stata la crisi dei regimi che governavano molti Paesi della spon-da Sud del Mediterraneo. Ci si riferisce in particolare al crollo del governo libico con il quale si erano da poco stipulati accordi per il blocco delle partenze irregolari di migranti verso l’Italia. In quasi tutto il 2011 tali cambiamenti hanno generato flussi di decine di migliaia di persone, principalmente profughi in fuga dalla guerra o dalla fame, sbarcate soprattutto a Lampedusa. Ciò ha sollevato gravi problemi di accoglienza prima di tutto a que-sta piccola isola - che per la sua vicinanza e la facile accessibilità rispetto alle coste africane viene definita “Porta d’Europa” - poi all’Italia, facendo insorgere anche non poche difficoltà politiche fra il nostro Paese e l’Unione Europea4.

3. Diffusione dei risultati e confronti con altre iniziative

Il Progetto di ricerca si rivolge innanzi tutto alla comunità scientifica, in particolare a quella dei geografi che in buon nu-mero hanno partecipato con interesse al convegno di cui questo volume ospita le relazioni.

Alla scala nazionale ciò avviene soprattutto tramite il Gruppo di lavoro sulle Migrazioni dell’Associazione dei Geografi Italia-ni. Si tratta di un gruppo che vanta una prestigiosa tradizione scientifica e che, prima dello scrivente, è stato coordinato dal prof. Pio Nodari dell’Università di Trieste e, prima ancora - fin dal tempo delle migrazioni di ritorno degli Italiani all’estero - dal suo grande maestro: il prof. Giorgio Valussi.

Alla scala internazionale la diffusione dei risultati del Proget-

4 Su questo tema lo scrivente, con Davide Papotti, ha presentato due contributi intitolati: Migration Networks, Critical Issues and the Resurgence of Borders in the Contemporary Migratory Flows to Italy e Italy Between Stable Immigration and Migratory Emergencies, rispettivamente al III Congresso di EUGEO (Londra, 29-31agosto 2011) e alla Annual International Conference 2011 della Royal Geograpical Society (Londra, 31 agosto-2 settembre 2011).

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Carlo Brusa

to avviene - oltre che tramite pubblicazioni di articoli su riviste e con la partecipazione a convegni – attraverso la Commissione (Global Change and Human Mobility) dell’Unione Geografica Internazionale. Di essa attivi componenti sono molti partecipan-ti al Progetto di ricerca, oltre al già citato presidente Armando Montanari. Non per nulla il convegno “Le parole per dirlo” è stato programmato alla vigilia del meeting Human Mobility, En-trepreneurship, Education and Culture della Commissione Glo-bility (Sapienza, Università di Roma, 23-24 settembre 2011)5.

Val la pena ancora ricordare che i partecipanti alla ricerca “Migrazioni e processi di interazione culturale. Forme di inte-grazione e di organizzazione territoriale in alcune realtà italia-ne” intendono discuterne i risultati anche con enti e istituzioni pubbliche e private che uniscono l’attività di studio all’impegno diretto nella soluzione dei problemi dei migranti. Si tratta di uno scambio di informazioni e conoscenze che - come è avvenuto al convegno “Le parole per dirlo. Migrazioni, Comunicazione e Territorio” - arricchisce reciprocamente. Per aver favorito que-sto utile scambio di idee e di saperi siamo grati a Flavia Cristaldi la quale ha organizzato un incontro qualificante non solo per il lavoro dell’Unità di ricerca da lei coordinata, ma anche per le altre Unità facenti parte del Progetto.

5 L’importante convegno internazionale ha visto la presentazione di comunicazioni scientifiche da parte di alcuni partecipanti al Progetto illu-strato in queste pagine: http://130.54.245.7/geo/globility.

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Donata Castagnoli*

conclusioni

Il fenomeno migratorio è oggi studiato in Italia sotto una plu-ralità di aspetti e punti di vista, giustificati dallo stadio di matu-rità che esso ha ormai in poco tempo raggiunto.

Da un lato si riflette, più accuratamente che un tempo, su quello che ha potuto significare per il nostro Paese una lunga storia di emigrazioni, causa sia di un impoverimento demografi-co che dell’instaurarsi di un rapporto ambivalente con i Paesi di destinazione, intriso di amore e odio e mai comunque obiettivo nei confronti di territori l’occupazione dei quali avveniva con caratteri di subalternità.

Essere divenuti in un attimo luogo di immigrazione ha visto l’Italia impreparata ad affrontare sotto ogni aspetto un fenome-no per certi versi naturale, per altri spesso erroneamente vissuto, anche sotto l’aspetto legislativo.

Trovarsi a studiare, ad esempio, il radicamento territoriale delle seconde generazioni è a tale proposito motivo di sicuro interesse. Analizzare la presenza e l’incidenza dei bambini nati in Italia da genitori stranieri negli istituti scolastici di più basso grado porta a scoprire in alcune realtà – soprattutto al Nord - un’assoluta prevalenza di essi sull’utenza complessiva, talora efficace e funzionale, oltretutto, al mantenimento in essere di interi complessi educativi.

Chi è nato in Italia ma, in base al principio vigente dello jus sanguinis è considerato legalmente straniero, è portatore almeno di una doppia cultura, di più visioni del mondo; ha in ogni caso una conoscenza della realtà più tridimensionale e sfaccettata.

* Università di Perugia-DUT

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Lo studio dell’inserimento-integrazione-interazione scolasti-ca è quindi oggi particolarmente interessante, anche in questo caso sotto molteplici punti di vista. L’approccio pedagogico da parte del corpo insegnante è cambiato in poco più di un decen-nio e si è arricchito di competenze geografiche, storiche, lingui-stiche che non avevano in precedenza rappresentato un passo obbligatorio nell’aggiornamento e nella formazione stessa del docente1.

Vi sono bambini che viaggiano di più, che comprendono e parlano più lingue, ma nonostante ciò possono risultare cultu-ralmente inadeguati di fronte ad una società di accoglienza lenta e restia a cambiare.

Le riflessioni appena fatte mutuano da una serie di studi da me compiuti sull’argomento, non direttamente connessi cioè al tema del convegno organizzato da Flavia Cristaldi ma che sor-gono spontanee nel momento in cui si avvia una disquisizione terminologica su concetti anche apparentemente semplici e in-genuamente dall’univoco significato (italiano, straniero, di se-conda generazione, studente di italiano L2 ...).

Venendo dunque al convegno, gli interessanti interventi pro-posti nella giornata del 22 settembre 2011 hanno riguardato tan-to le emigrazioni quanto le immigrazioni.

Si è detto di un interessante Dizionario dell’Emigrazione Ita-liana (nell’intervento di Mina Capussi e Tiziana Grassi) dove l’importanza delle parole e dei segni provenienti dalle comunità di italiani insediati all’estero è insita nella fondamentale diffe-renza concettuale che esse possono assumere, variando il conte-sto. L’esempio del termine “valigia” è sintomatico, quando non va più a riferirsi ad un semplice oggetto funzionale a viaggiare ma rappresenta un legame con il territorio dal quale si è partiti o verso il quale si ha un progetto di ritorno o di approdo.

1 Si pensi ai corsi di italiano come lingua seconda (L2), che in alcuni casi devono essere improvvisati da un corpo docente privo di finanziamenti aggiuntivi all’uopo destinati.

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L’entità degli oriundi equipara, in pratica, la popolazione di uno Stato come la Germania, e dunque può far emergere una cultura dell’emigrazione che differisce fortemente sia da quella del Paese d’origine che da quella del territorio ospitante. Si trat-ta di una porzione dell’identità italiana di difficile collocazione territoriale, al pari di quella propria ai migranti che vivono nel nostro Paese.

Il patrimonio lessicale contenuto nel Dizionario può costitu-ire allora realmente uno strumento per capire e gestire meglio il fenomeno migratorio di oggi – che si presenta nei suoi meccani-smi basilari identico a quelli del passato.

Anche Luca Di Sciullo, Franco Pittau e Antonio Ricci pro-pongono un Glossario, in questo caso intitolato a Migrazioni e asilo.

Si tratta di un testo che presenta sotto forma di schede de-finizioni terminologiche in più lingue, a partire dal riferimento normativo. La parola “accoglienza”, ad esempio, nell’accezione di “condizioni di...”, come indicato dalla direttiva comunitaria che la definisce nel 2003, è riportata nella diversa forma assunta nelle diciannove lingue interessate; la relativa scheda compren-de anche una breve descrizione esplicativa.

Il Glossario citato è definito nell’indice “un sussidio per evi-tare gli equivoci”. L’edizione italiana ha avuto il supporto del Ministero dell’Interno; se ne comprende l’utilità proprio in rap-porto a contenziosi di tipo giuridico, a vantaggio della sicurezza di tutti. La questione terminologica è giudicata dunque non solo formale ma sostanziale.

L’uso che si fa delle parole ne può cambiare il significato (si pensi al termine extracomunitario, che acquisisce suo malgrado una connotazione dispregiativa). Altre voci sono: cittadino non comunitario, espulsione, frontiera, lavoro, migrante, popolazio-ne... con un numero più o meno ampio di aggettivazioni. Sono in tutto trecento i vocaboli considerati; essi, una volta chiarito il

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significato, possono diventare di utile, immediato utilizzo nelle relazioni interpersonali, ufficiali e non.

Anche Delfina Licata definisce il migrante come portatore di cultura. Nel suo intervento riporta alcuni tra i tanti stereotipi che accompagnano l’aggettivazione del migrante: gli italoameri-cani continuano ad esempio ad essere etichettati come mafiosi, nonostante questi costituiscano una percentuale irrisoria del to-tale.

Marco Bruno, sociologo dei processi culturali e comunicati-vi, ci fa riflettere sulla funzione svolta dai media nell’essere tra-mite tra il potere e la società. Riguardo le migrazioni, sembra si voglia mantenere uno stato di emergenza, individuato con tecniche miranti a far persistere pregiudizi e a contrapporre i “buoni” ai “cattivi” comportamenti. Interessante è la riflessione su come sia difficile cambiare il linguaggio usato, nonostante l’ormai avvenuta stabilizzazione del processo migratorio (che di fatto di emergenziale non ha più niente).

Da parte dell’apparato giornalistico, è in pratica più facile etichettare fatti e persone guidando così facendo l’interlocutore verso un’univoca, semplice e immediata interpretazione.

La comunicazione ha la capacità di creare rappresentazioni sociali. Il tema dell’immigrazione continua ad essere abbinato al termine “sicurezza” (non è un caso che nei media sembri esista quasi esclusivamente la componente maschile dell’immigrazio-ne). Altro termine ricorrente a livello mediatico è “clandesti-nità”, mentre i “richiedenti asilo” sembrano invece essere una quantità irrisoria rispetto al totale dei migranti.

Sempre in termini di ricerca terminologica si cita l’intervento di Patrizia Angelini, ideatrice di una banca dati professionale degli italiani nel mondo. L’operazione ha una utilità altamente operativa, che coinvolge esperti afferenti diverse branche scien-tifiche.

Per superare gli stereotipi e le incomprensioni terminologi-che si ricorre dunque al web, in modo che l’opportunità offerta

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da una comunicazione più veloce, diretta e personalizzata - non-ché sempre mutevole - contribuisca al superamento di resisten-ze e pregiudizi altrimenti non estranei alla tecnica giornalistica. Il network si fonda anzitutto sulla presenza di giornalisti italiani all’estero ma va oltre, coinvolgendo anche università ed istituti di cultura.

Folco Cimagalli, Presidente della Fondazione Roma Solidale, ci ha fatto quindi riflettere su come, nei diversi Paesi, l’approc-cio alla questione migratoria cambi. Mentre in Francia è data grande importanza all’assimilazione, in Germania non è nem-meno percepito un “problema immigrazione”, non sussisten-do fondamentalmente una reale disoccupazione, e rimanendo però la presenza straniera strettamente connessa al permanere di un’occupazione lavorativa.

L’assimilazione ha comunque dei risvolti negativi, non con-ferendo più di tanto importanza alla questione delle diversità culturali. Tali preoccupazioni appaiono invece accolte dall’ap-proccio multiculturale sperimentato nei Paesi Bassi e in Svezia.

In Italia sembra infine essere perseguito un metodo cosid-detto “implicito”, intriso di inesperienza e di contraddizioni. Prevale comunque nel nostro Paese un approccio volontaristico, pur valido ma soggettivo, privo di una comune norma ispiratri-ce, che sia dotata di un’efficacia attuativa. E si ricorda in merito l’esempio di Roma, dove non esiste una logica programmatoria, nonostante gli immigrati siano ormai al 2010 il 10% della po-polazione (avendo come nazionalità più rappresentate romeni, filippini, polacchi e bengalesi).

Poco efficaci risultano le pur diversificate politiche messe in atto, sorte sporadicamente da richieste dei cittadini stessi, agenti su areali ed orizzonti temporali limitati, non dotati in pratica di una contestualizzazione a lunga scadenza.

Il Piano Regolatore Sociale varato dall’amministrazione nel 2011 cerca di porre rimedio a tale disordine. Per ovviare agli errori pregressi, sintomatici di una situazione multiforme e di

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difficile gestione, si è dunque in modo innovativo deciso di con-centrare l’intervento sui servizi alla persona; il migrante è visto come singolo individuo, e le esigenze che possono in tale offerta avere risposta si intersecano con quelle dedicate ad altre tipolo-gie di utenti (ad esempio i padri separati). Si supera in tal modo lo stereotipo dell’immigrato, rivolgendosi il servizio ad un sog-getto potenzialmente privo di caratteristiche univoche, su cui agire a livello di aiuti sociali.

Anche Valentina Fabbri (Programma Integra) riporta la sua esperienza su Roma.

Date, anche, le grandi dimensioni comunali, Roma è l’am-ministrazione italiana con il maggiore numero di stranieri. Va distinto il migrante che arriva a Roma per lavorare o per ricon-giungersi alla famiglia - per il quale il più appropriato servizio da erogare sarà una facilitazione verso l’integrazione attraverso corsi di lingua italiana, mediazione nel rapporto con la burocra-zia - e i richiedenti protezione internazionale. Previsti dal 2007, questi ultimi sono notevolmente concentrati nella città, che non a caso offre gli strumenti più idonei al riconoscimento di tale status. E’ dunque esposta l’interessante esperienza del Program-ma Integra, attivato nel 2005 dal Comune di Roma per l’inseri-mento lavorativo e la qualificazione professionale delle diverse tipologie di migranti.

Carlo Brusa parla infine di analisi qualitativa, quando l’ap-proccio allo studio delle migrazioni inizia a dare importanza al linguaggio usato, che sottintende rappresentazioni mentali, di-namiche sociali, economiche e istituzionali.

Menzionando l’attuale grave crisi politico-economica dell’I-talia, il Coordinatore nazionale del Prin 2008 intitolato “Migra-zioni e processi di interazione culturale. Forme di integrazione e di organizzazione territoriale in alcune realtà italiane” lascia di fatto aperta la questione relativa all’evoluzione futura dei flussi migratori.

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Di lui si vuole citare anche gli approfondimenti compiuti in altra sede sul tema linguistico, meritatamente allo studio dell’i-taliano come lingua seconda, che sollecita una molteplicità di riflessioni sull’uso di linguaggi diversificati (i testi semplificati, metodi di insegnamento differenziati per lo scritto e il parlato, il linguaggio infantile, i linguaggi specialistici ...).

E’ decisamente questo il luogo per ricordare, in conclusione, anche il più recente volume “Comunicare l’immigrazione: guida pratica per gli operatori dell’informazione”, realizzato in tempi più recenti, nel febbraio 2012, da Lai-momo/Idos per conto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nell’ambito del progetto Co.In., che attinge al Fondo europeo per l’Integrazio-ne di Cittadini di Paesi Terzi. Si fa riferimento alla misura rivolta ad “Azioni di sensibilizzazione, formazione e comunicazione”.

Riprendendo il monito lanciato con la Carta di Roma nel 2008 dall’Ordine dei giornalisti2 anche qui è presente un glossario, a riprova dell’attuale importanza della questione; esso costituisce l’ultimo capitolo dell’opera. Di esso ci vuole citare alcune del-le quarantaquattro voci presentate: interessante è ad esempio la disamina delle “Fonti statistiche sull’immigrazione in Italia”, che invita ad effettuare sempre una comparazione tra dati, onde superare le forti variazioni dovute a difformità di reperimento3.

Il Glossario è anche un’occasione per fornire dati aggiornati quando riporta, ad esempio, informazioni sui “Minori stranieri non accompagnati” al 2011. Alcune voci offrono un rimando agli altri capitoli, come nel caso dell’imprenditoria.

2 Nel giugno 2008 veniva approvato il documento suddetto, impron-tato sulla necessità di un’informazione responsabile e dunque su un monito ai giornalisti di trattare con accortezza e precisione di linguaggio – anche in termini giuridici – i temi all’ordine del giorno. Allo scopo, il testo riportava anche un glossario.

3 Si ricorda, a questo proposito, che nel più recente Censimento della popolazione (2011), l’Istituto Nazionale di Statistica per la prima volta dedi-ca al fenomeno una sistematizzazione a sé.

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Riguardo il tema del convegno, di questo testo è utile citare anche il capitolo dedicato a I media italiani e l’immigrazione, nel quale si individuano come spunti più innovativi l’attenzione alla voce degli immigrati, ufficiale e non, da far comunque emer-gere a livello di comunicazione, e inoltre l’idea di una nuova informazione mirata a chi ha difficoltà a comprendere l’italiano e vertente soprattutto su temi istituzionali.

In conclusione, l’importanza del linguaggio sottintende interi ambiti di approfondimento, di natura politica, amministrativa, sociale. Il contributo del geografo può essere quello che abbia-mo visto espresso nella giornata interdisciplinare attivata da Fla-via Cristaldi, che ha visto il contributo di giornalisti ma anche di accademici della comunicazione e (ovviamente) di geografi.

Questi ultimi possono avere da tali interventi un aiuto in più a contestualizzare i propri strumenti di indagine, nell’affrontare temi caratterizzati anche nel tempo breve da estrema mutevolez-za (di approccio, giudizio, impatto territoriale). Si veda a pro-posito anche il recente volume della Cristaldi dal titolo “Immi-grazione e territorio. Lo spazio con/diviso”, dove la questione terminologica è affrontata sia all’inizio, nel cercare di definire le diverse tipologie di stranieri sia alla fine, quando ritagliando un capitolo dedicato a “migrazioni e poesia” essa invita ancora una volta a riflettere sulla pluralità di linguaggi offerta dall’ar-gomento.

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