Monografia di Laboratorio - labpaesaggio.polimi.it · Altri strumenti urbanistici di recupero...
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Scuola di Architettura e società
Dipartimento di Architettura e studi urbani
Via Bonardi, 3
20133 Milano
Corso di perfezionamento in Sistemi informativi e governo integrato del territorio
IX ciclo 2014/2015
Direzione (prof. Pier Luigi Paolillo, [email protected])
Segreteria didattica (dott.ssa Marina Bonaventura, [email protected])
Monografia di perfezionamento
Perfezionando: Egli Hamitaj, matr. 839507
Relatore: prof. Massimo Rossati
Le aree di futura rigenerazione e strumenti urbanistici
1
Indice
0.1. Introduzione
0.1.1 Consumo di Suolo nell’area milanese
0.1.2 Trend demografico del comune di Milano
0.1.3 Previsione della crescita del PIL nazionale e ricadute sulle transizioni immobiliari
pag. 2
pag. 3
pag. 4
0.2. La rilevanza dello studio normativo nella comprensione del fenomeno della dismissione pag. 5
Parte I
Quadro Normativo
1. Incentivi normativi di livello nazionale al recupero delle aree dismesse
1.1. La nascita dei Piani Integrati di Intervento pag. 6
1.2. Altri strumenti urbanistici di recupero urbano pag. 6
1.3.
1.4.
L’inefficacia del D.L. n°152
Il Decreto Sviluppo 78/2011: un nuovo approccio legislativo
pag. 7
pag. 7
2. La Regione Lombardia e il fenomeno della dimissione: consistenza e strumenti urbanistici
2.1. Il censimento delle aree dismesse pag. 9
2.2.
2.3.
2.4.
3.
3.1.
3.2.
3.3.
La legge n°9 del 12/1999: I Piani Integrati di Intervento
La legge regionale n°12 del 2005
La definizione di area dismessa
Il comune di Milano tra direttive dall’alto e dinamiche territoriali
Sovrapposizione di strumenti urbanistici diversi
Il Documento di Inquadramento e i P.I.I.
“Timeline” di processi urbanistici/normativi
pag. 11
pag. 12
pag. 14
pag. 14
pag. 15
pag. 17
Parte II
La Milano Dismessa
1. Il censimento e la raccolta delle banche dati
1.1. Gli Ambiti di Trasformazione Urbana ATU pag. 18
1.2. Monitoraggio ricognitivo del Comune di Milano pag. 19
1.3. Censimento aree dismesse della Regione Lombardia
pag. 23
2. Approfondimento e riorganizzazione degli strati informativi
2.1. Coerenziazione e spazializzazione dei dati economici pag. 25
2.2.
2.3
Network Analyst e il calcolo dei fattori di accessibilità
Calcolo del SLP degli edifici dismessi e stima economica dei corpi edilizi
pag. 27
pag. 29
Riferimenti Bibliografici
pag. 32
2
0.1 Introduzione
0.1.1 Le previsioni del PIL e le ricadute sulle transazioni immobiliari
Tav. 1 – Stime del Prodotto Interno Lordo dei principali paesi europei nel 2015.1
Tab. 1 – Ntn trimestrale e variazione % tendenziale annua.2
Secondo le stime dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OSCE) stima
una crescita del PIL italiano dello 0.22 %. Questo dato, se messo a confronto con le altre realtà eco-
nomiche europee dello stesso livello, indica una previsione non positiva dell’abilità di rigenerazione
dell’economia italiana dalla crisi economico - finanziaria recente. Infatti basti notare come le previ-
sioni della crescita del prodotto interno lordo dei paesi OECD (paesi tendenzialmente dotati di un
economia di mercato ad alta prestazione industriale simile a quello Italiano) sia del 2,30 %.
La tendenza di una crescita fiacca provoca un impatto forte sulle transazioni immobiliari, soprattutto
in un contesto metropolitano come quello Milanese, principale motore di sviluppo e crescita impren-
ditoriale. Impatto di cui ne risente anche il campo immobiliare. I dati sulle transazioni immobiliare a
livello nazionale seguono il trend negativo dell’economia italiana.
1 FONTE: Statistiche OECD http://stats.oecd.org/ 2 FONTE: Agenzia delle Entrate, Osservatorio Mercato Immobiliare e Servizi Estimativi, Settembre 2014 (MI)
3
0.1.2 Trend demografico del Comune di Milano
Tav. 2 – Andamento della popolazione residente, Milano.3
Tab.2 – Numero e composizione delle famiglie per anno.4
Il grafico dell’andamento della popolazione residente nel Comune di Milano considera i dati raccolti
per un periodo che parte dal 2001 al 21 dicembre 2013.
Dalla rappresentazione dei dai si nota una lieve crescita relativa della popolazione milanese, se si tiene
in considerazione la variazione percentuale media annua per il periodo 2007 - 2013. I dati relativi al
periodo 2010 - 2013 invece mostrano una crescita nulla, confermando la tendenza ormai nota nelle
grandi città occidentali europee e statunitensi. I dati cosi rappresentati mostrano però soltanto un lato
della medaglia. Sempre secondo i dati ISTAT, a popolazione invariata, il numero delle famiglie ha
3 FONTE: Comune di Milano - Dati ISTAT al 31 dicembre di ogni anno. 4 FONTE: Comune di Milano - Dati ISTAT al 31 dicembre di ogni anno.
4
conosciuto un’espansione continua. Ciò avviene come conseguenza della rimodulazione della struttura
famigliare e del numero minore di componenti che caratterizza ormai le società occidentali da anni.
0.1.3 Il consumo di suolo dell’area milanese
Fig. 1 – Consumo di suolo nel territorio comunale nel periodo tra 1954 – 2014.5
Fig. 2 – Consumo di suolo 1954 - 2014 nella Regione Lombardia.
Il monitoraggio del consumo di suolo per il periodo a partire dal 1954 fino al 2014 mostra dati signifi-
cativi. Dopo il boom del dopoguerra, il consumo di suolo ha incontrato una forte decelerazione. Se per
il periodo che parte dal 1954 al 1999, il consumo di suolo ha subito un aumento del 41.6%, nell’arco
5 FONTE: Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio, Urbanistica e difesa del suolo; DATI DUSAF
5
di 20 anni esso ha conosciuto un incremento modesto del 3.1 punti percentuali. Nonostante il momento
economico non dei migliori, nonostante la crescita minima della popolazione comunale milanese, il
consumo di suolo presenta sempre valori positivi. Il dato mostra le dinamiche che interessano il terri-
torio comunale. Se si espande lo sguardo verso la situazione provinciale o addirittura regionale, lo
scenario si presenta ancora più negativo.
0.2 La rilevanza dello studio normativo nella comprensione del fenomeno della dismissione
Lo studio del fenomeno della dismissione non può prescindere dal contesto nel quale esso si verifica.
Essa è una conseguenza del processo di progressiva trasformazione del sistema economico produttivo
del Paese, che dopo fasi di espansione, è soggetto a fenomeni di organizzazione determinati dalle suc-
cessive modifiche normative, dall’evoluzione tecnologica, dai mutamenti delle esigenze dei consuma-
tori e soprattutto dalla ridefinizione delle relazioni economiche internazionali. Nonostante le influenze
sovranazionali, il fenomeno della dismissione rimane comunque fortemente legato alla sua dimensione
locale e alla sfera normativa che ne regola i processi. Essa caratterizza fortemente la fisionomia, defi-
nisce i suoi limiti e le sue potenzialità. Per cui la costruzione del quadro normativo è particolarmente
utile alla comprensione del campo di azione che la legislazione urbanistica permette e/o obbliga nei
contesti di siti urbani dismessi. A questo proposito, non si può procedere allo studio di una possibile
azione progettuale di riciclo urbano trascurando le definizioni urbanistiche e gli strumenti che ne rego-
lano la conservazione, l’uso e la trasformazione dei siti abbandonati. Per questo motivo, il capitolo a
seguire, propone l’individuazione delle principali azioni legislative che la Repubblica Italiana ha pro-
mosso per far fronte all’emergenza dismissione, scandita in periodi differenti e in azioni che abbrac-
ciano aspetti di diversa natura. Se da un lato possiamo notare l’adozione di leggi “generali “, possiamo
altresì individuare azioni che intendono affrontare questo tema con un approccio che affonda su que-
stioni particolari, nati come conseguenza diretta del fenomeno dismissione. Di particolare importanza
nello studio del sistema normativo risulta l’impatto che esso genera nello spazio fisico della città. Quali
sono gli effetti che le azioni legislative urbanistiche hanno provocato nel territorio urbano?
Per rispondere a questa domanda è necessario ricostruire quella catena che lega le azioni generatesi dal
governo centrale alle istituzioni territoriali di dimensioni minori (Regioni e Province) per poi confluire
nell’amministrazione locale comunale. Alcune leggi nazionali prevedono infatti l’intervento delle Re-
gioni come enti primi nella regolarizzazione degli strumenti urbanistici previsti dalla legge. Ne risulta
un quadro di relazioni “causa ed effetto” di difficile lettura, difficoltà che rende ancora più complesso
una semplificazione schematica di tali processi relazionali.
6
Parte I
Quadro Normativo
1 Incentivi normativi di livello nazionale al recupero delle aree dismesse
1.2 La nascita dei Programmi Integrati di Intervento
La risposta del governo centrale alle numerose dismissioni industriali dalle principali metropoli italiane
(un fattore economico e occupazionale da non sottovalutare) può identificarsi nella proposta di legge
del 17 febbraio 1992 n°179 sulle Norme per l’edilizia residenziale pubblica. Questa legge, entrata in
vigore il 15 marzo 1992, introduceva nel articolo 16 i “Programmi Integrati di Intervento” (spesso
indicati con l’acronimo P.I.I.). Tale strumento urbanistico era inteso come una soluzione alle aree in-
dustriali ormai ferme nel contesto urbano. Come tali esse rappresentavano dei fattori di degrado e cri-
ticità che bisognava affrontare. L’articolo 16 della legge n°179 introduceva numerose novità per
l’epoca: prevedeva infatti un attivismo sia pubblico che privato, la responsabilità finanziaria veniva
pure condivisa sia da fonti pubbliche che private, prevedeva la creazione di consorzi e/o associazioni
formate da operatori misti in modo tale da agevolare il processo di accumulo di capitale finanziario e
decisionale, l’iniziativa non era soltanto posta nelle mani dell’amministrazione pubblica, anche le as-
sociazioni di operatori privati potevano di loro spontanea iniziativa presentare al Comune programmi
integrati di Intervento. Inoltre alle Regioni veniva indicato di destinare parte dei loro fondi alla forma-
zione di programmi integrati. Le conseguenze che l’approvazione di questa legge ha comportato sono
di un importanza notevole. Il territorio urbano e le aree industriali negli anni novanta hanno subito una
trasformazione tanto rapida quanto radicale. Uno dei motivi principali per cui un tale strumento urba-
nistico era diventato necessario se non fondamentale per il contesto di cui stiamo trattando, risiede
nella rigidità del piano regolatore generale “tradizionale “. Essa era diventato infine un elemento ana-
cronistico, un ingranaggio pesante, una macchina che faticava a seguire la rapidità con cui si sussegui-
vano cause e conseguenze di fenomeni territoriali ormai al di fuori della sua portata. Nell’impossibilita
di costruire un modello più adatto alle necessità del tempo, i piani integrati di intervento sembravano
una soluzione relativamente “facile “e di immediata operatività, attraverso la quale si potesse almeno
deviare (ma non eliminare) il peso della burocrazia dei piani regolatori generali comunali.
1.3 Altri strumenti urbanistici di recupero urbano
Nella stessa logica funzionale si inseriscono nel quadro normativo anche i Programmi di Recupero
Urbano (P.R.U.), introdotti dall’articolo 11 della legge n°493 del 1993 e i Programmi di Riqualifica-
zione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio (P.R.U.S.S.T.) introdotti con il D.M. 1169 del
1998. Essi differiscono in molte caratteristiche rispetto ai P.I.I. ma vengono accomunati a quest’ultimi
in quanto rappresentano i strumenti più utilizzati al fine di recuperare le aree dismesse urbane. Le
conseguenze che questa iniziativa legislativa ha riversato sul territorio saranno trattate nei capitoli av-
venire; va tuttavia ricordato, come espresso anche in precedenza, che numerose aree dismesse indu-
striali sono state oggetto di trasformazione in questo periodo. Molte altre invece hanno faticato ad
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accedere al mercato immobiliare, non hanno suscitato appetibilità sufficiente ad attrare investitori pub-
blici o privati, erano caratterizzate da una locazione meno favorevole o addirittura presentavano pro-
blematiche relative alla bonifica di scorie industriali che hanno comportato un ostacolo troppo oneroso
sia per le amministrazioni pubbliche, sia per gli operatori privati. Il problema è ancora lungi dal essere
risolto.
1.4 L’inefficacia del D.L. n°152
La situazione raggiunge un nuovo livello di criticità quando al problema di questi spazi urbani in de-
grado si affianca un fenomeno parallelo: il consumo eccessivo di suolo. Nonostante la recente sensibi-
lizzazione da parte delle amministrazioni pubbliche, i dati raccolti nei ultimi cinquanta anni presentano
un quadro non positivo. Il problema rappresenta una gravità tale che il governo centrale si vede di
nuovo costretto ad intervenire: si tratta dell’articolo 252-bis del decreto legislativo n°152 del 2006 che
intende favorire ancora una volta il recupero delle ex aree industriali. Questo provvedimento prevede
norme ad hoc per la messa in sicurezza di aree precedentemente contaminate e loro riutilizzo. Nono-
stante gli obbiettivi dichiarati, lo strumento risulta a) troppo rigido e b) poco allettante economicamente
per gli investitori. Infatti, viene riconfermata a priori la nuova destinazione industriale/produttiva degli
interventi che interesseranno queste aree (comma 2b), senza tenere in considerazione i cambiamenti
sociali, economici e tecnologici che hanno mutato le preferenze di locazione e i metodi di logistica di
molte attività produttive contemporanee. Le imprese produttive di 30 anni fa hanno sicuramente diverse
esigenze delle imprese produttive di oggi, per cui ciò che ha reso un luogo attrattivo ai fini produttivi
30 anni or sono, non può garantire lo stesso fascino decisionale imprenditoriale anche ai giorni nostri.
Inoltre i costi di bonifica vengono interamente riversati a carico della proprietà dell’immobile. Infatti
nel comma 2g viene specificato che la messa in sicurezza e di bonifica, controllo e gestione degli
interventi di messa in sicurezza restano a carico del soggetto interessato, ossia del soggetto che propone
il recupero dello stabile che in un questo caso detiene anche la proprietà dell’area. Non soltanto questo
documento riversa questo carico oneroso totalmente nelle responsabilità dei proprietari, stringendo già
l’identità del soggetto interessato da questo compito, ma quest’ultimo non deve essere ritenuto legal-
mente responsabile della contaminazione del sito oggetto degli interventi di messa in sicurezza e boni-
fica, riconversione industriale e di sviluppo economico produttivo, tenuto conto anche dei collegamenti
societari e di cariche direttive ricoperte nelle società interessate o ad esse collegate. Diventa ancora più
complesso in questo modo individuare soggetti interessati alla trasformazione dell’area ex industriale,
quando già nella fase delle predisposizioni alla bonifica ambientale sorgono i primi importanti ostacoli,
lo spettro dei possibili investitori poderosamente ristretto e la loro azione limitata sotto diversi aspetti.
Si comprende come questo documento legislativo non poteva meritare l’appellativo di “incentivo “,
troppi erano i limiti e pochi i vantaggi che un potenziale investitore ne avrebbe giovato.
1.5 Il Decreto Sviluppo 78/2011: nuovo approccio legislativo
Dato i scarsi frutti raccolti, il parlamento italiano prepara una nuova proposta legislativa per ricorrere
ai ripari. Il contesto era maturato, una nuova azione legislativa era necessaria. La crisi economica aveva
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colpito in una maniera relativamente imponente le casse dell’amministrazione pubblica, il settore
dell’immobiliare si presentava paralizzato, le transazioni economiche ridotte al minimo. È in questo
momento che fa il suo ingresso in scena il Decreto Sviluppo 78/2011. Esso ha il merito di semplificare
le procedure relative all’attività edilizie e alla trasformazione del territorio, cosi come mira anche a
favorire il recupero delle aree dismesse attraverso il riconoscimento di incentivi e semplificazioni pro-
cedurali. L’articolo 5 del decreto (comma 9 e seguenti), punta sulla razionalizzazione del patrimonio
edilizio esistente attraverso il recupero di aree urbane degradate ed edifici non residenziali dismessi.
Esso sembri riconoscere che le aree urbane dismesse e il loro recupero rappresentano un problema
sempre più attuale e di non facile soluzione, dal momento che la recente crisi economica e la chiusura
di stabilimenti produttivi ha determinato il sorgere di nuove are industriali dismesse oltre a quelle già
dismesse a inizio anni 90. Problemi ambientali e urbanistici, intreccio di disposizioni non sempre coor-
dinate, tempi incerti, costi potenzialmente maggiori rispetto ai nuovi sviluppi sono tutte incognite che
gravano sul progetto. E questo vale in particolare per la bonifica e il ripristino ambientale, che possono
rappresentare un onere eccessivo per gli investitori. Rispetto a D.lgs. 152/2006 (art. 252-bis), il Dl
78/2011 sembra compiere un passo in più, tanto da catturare l’attenzione del Sole 24 Ore, il quale ne
ha dedicato un articolo puntiglioso. Quest’ultimo infatti descrive come il DL chieda alle regioni di
emanare specifiche leggi che incentivino il recupero delle aree industriali dismesse attraverso il rico-
noscimento di premi volumetrici, trasferimento di volumetrie e inserimento di nuove destinazioni d’uso
con interventi di demolizione e ricostruzione. L’articolo 5 recita infatti che:
Al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere e
agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti
edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di
dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell’ef-
ficienza energetica e delle fonti rinnovabili, le Regioni, approvano entro sessanta giorni dall’entrata in
vigore del presente decreto specifiche leggi per incentivare tali azioni anche con interventi di demoli-
zione e ricostruzione che prevedano:
a) il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale
b) la delocalizzazione delle relative volumetrie in aree diverse
c) l’ammissibilità delle modifiche di destinazione d’uso, purché si tratti di destinazioni tra loro com-
patibili e complementari
d) le modifiche della sagoma necessarie per l’armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi
esistenti.
Secondo il calendario fissato dalla norma, le regioni hanno 60 giorni per emanare le leggi specifiche
(periodo di tempo sicuramente troppo breve perché venga rispettato), dopodiché – decorso tale termine
– i privati avranno comunque facoltà di procedere al cambio d’uso delle proprie aree attraverso un
premesso a costruire in deroga allo strumento urbanistico, previsto dall’articolo 14 del Dpr 380/2001,
che potrà essere usato anche per effettuare il cambio d’uso, ma dovrà comunque garantire il rispetto
delle norme ambientali. Il che significa, nel caso delle aree industriali dismesse, che dovranno essere
programmate le opportune verifiche ambientali e le eventuali bonifiche. Non vi sono mancate sforzi in
questa direzione anche da parte di altre istituzioni di governo, come la Regione Lombardia, ma una
previsione di legge a livello nazionale è di un peso più importante.
9
2. La regione Lombardia e il fenomeno della dismissione: consistenza e strumenti urbanistici
2.1 Il censimento delle aree dismesse
Al fine di contestualizzare il fenomeno della dismissione (industriale) e di definire l’entità che tale
problematica presenta per la Regione Lombardia, è necessario confrontarsi con i dati pubblici raccolti
e pubblicati dalla Regione stessa. A tal proposito la Regione, grazie alla cooperazione con alcuni enti
privati e Provincie, ha promosso un censimento (nel periodo 2008-2010) delle aree dismesse che inte-
ressano il territorio regionale. La “Banca dati geografica per il censimento e il marketing territoriale
delle aree dismesse” per la conoscenza e la valorizzazione delle aree dismesse ha come obbiettivo, tra
gli altri, quello di ridurre al minimo il consumo di nuovo territorio nel proprio ambito territoriale. Que-
sto censimento rappresenta un successo a livello nazionale, conferendo alla Regione Lombardia un
ruolo guida e degna di emulazione rispetto alle altre regioni italiane. Per questo motivo a livello nazio-
nale non è tutt’ora possibile attuare un confronto di dati tra diverse Regioni. Tuttavia, considerando
che la Lombardia rappresenta storicamente una delle regioni che ha conosciuto maggiormente lo svi-
luppo industriale in Italia, la probabilità che essa rappresenti anche la regione con il numero maggiore
di aree dismesse è una conclusione non del tutto azzardata.
Fig. 3 – Localizzazione delle aree dismesse nella Regione Lombardia e consistenza per provincia.6
6 Fonte: Regione Lombardia, Direzione Generale: Territorio, Urbanistica e Difesa del Suolo
10
Tab. 3 – Diagrammi sulle superfici delle aree dismesse e distribuzione percentuale per provincia.
11
Dai dati del censimento si può come il fenomeno della dismissione sia diffuso in tutte le Provincie
della Lombardia. Il numero dei siti abbandonati raggiunge il suo massimo con la Provincia di Milano
(139 aree dismesse), seguita poi dalla Provincia di Como (93), Brescia (93) e Varese (86). La provincia
di Milano si distingue nel quadro territoriale lombardo, lontana dalla seconda provincia di ben 46 lun-
ghezze.
La supremazia del capoluogo lombardo viene confermata anche se si tiene conto della superficie (km2)
delle aree dismesse: la superficie nella Provincia di Milano supera i 6 km2 con la Provincia di Brescia
che segue con meno di 4 km2. La superficie di aree dismesse nelle altre provincie lombarde non è
paragonabile alle due appena menzionate, presentando valori che per lo più non superano di molto i 2
km2. Nella provincia di Milano si concentrano infatti 1/3 della superficie totale di aree dismesse pre-
senti nella Regione Lombardia. Data la consistenza del problema, confermata anche dal censimento
della Regione Lombardia, risulta di notevole importanza completare il quadro normativo nazionale con
le azioni legislative e urbanistiche regionali in modo tale da chiarire i risvolti che i primi hanno origi-
nato nei secondi.
2.2 La legge n°9 del 12/1999: I Piani Integrati di Intervento
La regione Lombardia prende subito la palla al balzo. La legge nazionale n°179 del 17 febbraio 1992
(Norme per l’edilizia residenziale pubblica) prevedeva la nascita dei Programmi Integrati di Intervento
(art.16), invitando le regioni a regolare l’uso di questo strumento urbanistico entro i rispettivi ambiti
territoriali. Nasce così la legge regionale n°9 del 12 aprile 1999 - Disciplina dei programmi integrati di
intervento - che si inserisce nella “catena” normativa verso ambiti territoriali sottostanti. Esso rappre-
senta il primo contributo cronologico della Regione Lombardia alla questione delle aree dismesse in
ambito urbano.
Per molti aspetti la legge regionale riprende per conciso quelli che sono i dettati della legge nazionale,
come per esempio l’insistenza nella compresenza di tipologie e modalità d’intervento integrate e rile-
vanza territoriale tale da incidere sulla riorganizzazione dell’ambito urbano (art.2). Per altri aspetti la
legge regionale introduce alcuni aspetti interessanti per la comprensione di altri fenomeni che verranno
trattati successivamente. La legge regionale prevede infatti interventi su aree agricole (art.4), nono-
stante la presenza di limiti e restrizioni che ne regolano l’attuazione. Una novità molto importante di
questa legge è la previsione di un Documento di Inquadramento (DIU) allo scopo di definire gli scopi
generali e gli indirizzi della propria azione amministrativa nell’ambito dalla programmazione integrata
d’intervento sull’intero territorio comunale. La catena normativa continua ad espandersi chiamando
l’amministrazione comunale all’azione nella costruzione dei piani integrati di intervento. Oltre al do-
cumento di Inquadramento, la legge regionale invita i comuni della Lombardia ad approvare i P.I.I.
anche in variante al piano regolatore generale. Datata ormai nel lontano 1942, la legge urbanistica
nazionale rappresenta ormai un “dinosauro “che si trova costretto a navigare in un contesto temporale
che non gli appartiene più. La possibilità di intervenire nel territorio tramite variante al PRG è stata
una svolta importante del mondo dell’urbanistica applicata. I soggetti pubblici e/o privati che intende-
vano promuovere i Piani integrati di intervento dovevano allegare alla deliberazione di approvazione
12
copia della tavola di azzonamento del PRG recante l’individuazione dell’ambito compreso nel P.I.I. e
l’indicazione delle funzioni, della capacità insediativa ed edificatoria ecc. in modo tale da aggiornare
il documento del piano regolatore generale.
2.3 La legge regionale n°12 del 2005
Tuttavia, bisognerà aspettare la legge regionale 12/2005 per vedere trattare il recupero delle aree di-
smesse con delle regole ad hoc. Il contesto temporale si presenta ormai maturo, tante riflessioni hanno
avuto luogo nell’analizzare le problematiche emerse e le modalità attraverso le quali affrontarle. Nuove
questioni sono entrate nell’ordine del giorno e molte alte variabili analizzate: quali sono i motivi che
hanno portato alla dismissione di queste aree urbane; perché alcune sono riuscite ad attivarsi più facil-
mente rispetto ad altre; quali sono le caratteristiche che un’area deve avere affinché diventi attrattiva
per gli investitori; quali potrebbero essere le funzioni/destinazioni potenziali di queste aree. Le città
d’oggi sono attraversate da una molteplicità di categorie di popolazioni, nuove forme di “business” e
di comunicazione, i fattori decisionali sono ormai stravolti, ciò che rendeva un area un nodo strategico
di produzione industriale (vicinanza alle infrastrutture su ferro, prossimità ad una manodopera qualifi-
cata in senso qualitativo e quantitativo, possibilità di mezzi di trasporto a lunga distanza). La molle di
queste domande fa capire l’imponenza di questa problematica la cui soluzione non è di facile indivi-
duazione. L’articolo 97-bis (recupero delle aree non residenziali dismesse) della legge regionale
12/2005 tenta tuttavia di definire alcune azioni in questa direzione, che per la loro sostanza meritano
di essere trascritte:
1. La dismissione di aree non residenziali costituisce grave pregiudizio territoriale, sociale ed econo-
mico-occupazionale.
2. Le disposizioni del presente articolo si applicano in riferimento alle aree non aventi destinazione
residenziale e già interessate da attività economiche, individuate come aree degradate o dismesse nel
documento di piano del PGT, ai sensi dell’articolo 8, comma 2, lettera e - bis.
3. Il recupero delle aree dismesse, in quanto concorre agli obiettivi di contenimento del consumo di
suolo costituisce attività di pubblica utilità ed interesse generale, perseguibile secondo le modalità di
cui al presente articolo, qualora la dismissione comporti pericolo per la salute e la sicurezza urbana e
sociale, ovvero di degrado ambientale e urbanistico.
4. Il Comune, in seguito all’approvazione del PGT, accertata la sussistenza delle condizioni di cui ai
commi 2 e 3, può invitare la proprietà dell’area a presentare una proposta di riutilizzo della stessa in
attuazione delle previsioni del PGT, con possibilità di incrementare fino al 20 per cento la volumetria
o la superficie ammessa, assegnando un termine da definirsi in ragione della complessità della situa-
zione riscontrata e comunque non inferiore a mesi quattro e non superiore a mesi dodici.
5. La proposta di riutilizzo deve indicare:
a) le attività e le funzioni che si intendono insediare;
b) gli interventi urbanistico-edilizi, infrastrutturali e per l’accessibilità coerenti e connessi con le
funzioni che si intendono insediare;
c) le modalità, i tempi e le risorse da impiegarsi per la risoluzione delle implicazioni eventualmente
derivanti dalla dismissione con specifico riferimento alla eventuale presenza di inquinamento dei
suoli, nel rispetto delle norme vigenti;
d) il cronoprogramma degli interventi previsti;
e) il piano finanziario-imprenditoriale che sostiene il progetto.
13
6. La proposta di riutilizzo integra le istanze di permesso di costruire ovvero di piano attuativo, alle
quali si applicano le discipline procedurali dettate, rispettivamente, agli articoli 38 e 14.
7. Decorsi dodici mesi dall’invito di cui al comma 4, senza inoltro al comune di istanza di intervento o
proposta di piano attuativo, finalizzato al recupero dell’area da parte del proprietario, cessa l’efficacia
del piano delle regole relativamente all’area stessa, con il conseguente venir meno di qualsiasi previ-
sione che produca effetti diretti sul regime giuridico dei suoli. La cessazione d’efficacia è attestata dal
comune con atto meramente dichiarativo, comunicato alla proprietà e pubblicato all’albo pretorio.
8. Il comune avvia il procedimento per la variante urbanistica finalizzata al recupero dell’area, anche
mediante attivazione di strumenti urbanistici di iniziativa pubblica, tenuto conto della mancata attua-
zione delle precedenti previsioni, nonché delle disposizioni inerenti alla riqualificazione paesaggistica
di aree ed ambiti degradati o compromessi, di cui al piano paesaggistico regionale.
9. Fino all’approvazione della nuova destinazione urbanistica, sull’area sono ammessi esclusivamente
interventi di demolizione e bonifica, fermo restando quelli obbligatori posti, che restano in capo al
soggetto responsabile, secondo la disciplina vigente, ovvero quelli finalizzati alla tutela della incolu-
mità o salute pubblica.
La singolarità di questa legge regionale consiste nel dichiarare esplicitamente la dismissione come un
problema, addirittura un grave pregiudizio territoriale che si riflette anche nelle sfere socio-economi-
che. [1]
Già l’articolo di apertura individua quindi il nucleo della questione, proponendo la sua definizione di
problema. Il trattamento di quest’ultimo si intreccia anche con altre tematiche, che per la Regione
Lombardia risultano di grande importanza, come quello del consumo di suolo. La soluzione del primo
costituisce una sollievo per la seconda. Per questo motivo il recupero delle aree dismesse, non soltanto
viene definito come problema, ma esso stesso costituisce un attività di pubblica utilità ed interesse
generale [3]. La novità di questa legge consiste nell’invito alla proprietà dell’area a presentare una
proposta di riutilizzo della stessa in attuazione delle previsioni del PGT, con possibilità di incrementare
fino al 20 per cento la volumetria o la superficie ammessa [4]. La stessa tipologia di incentivazione
proposta dal DL 78/2011 art. 5 comma 9, già trattato in precedenza ma che in linea cronologica non
era ancora stato preparato dagli organi di governo centrale. In questo caso la Regione Lombardia si
presenta come motore all’innovazione, anticipando il governo centrale nelle politiche del recupero
delle aree dismesse di 6 anni, offrendo una guida e un referenza al lavoro di altre istituzioni. Questo
invito alla proprietà dell’area dismessa rappresenta un importante primo passo all’instaurazione di un
rapporto di collaborazione tra pubblico e privato che, in una situazione di scarsa liquidità a livello
globale, rappresenta un importante colonna di supporto di ogni azione pubblica che miri a raggiungere
risultati reali. Tale approccio risulterà l’opposto di quello promulgato dal governo nazionale con il
D.lgs. 152/2006 (art. 252-bis) che nella linea immaginaria temporale dovrà ancora aspettare un anno
alla sua pubblicazione. Quest’ultimo presentava un approccio, come sopracitato, del tutto negativo alla
proprietà dell’area dismessa, riconoscendo spesso in essi un soggetto reo di contaminazione del sito,
piuttosto che riconoscere in esso il primo interessato al recupero di un area che precedentemente pre-
sentava un vanto alla sua carriera professionale. Manca quindi una approccio al problema che cerchi
di immedesimarsi nella posizione di un investitore qualsiasi interessato ad investire nella trasforma-
zione di queste aree, siano essi proprietari e non proprietari dell’area. Una volta decorsi i dodici mesi
dall’invito ai proprietari, senza inoltro al comune di istanza di intervento o proposta di piano attuativo,
il comune procede secondo le regole prefissate dalla variante urbanistica. [7] Viene dato quindi prece-
denza al fattore privato, intervenendo la mano pubblica in un secondo tempo.
14
2.4 La definizione di area dismessa
I sforzi della regione Lombardia vanno identificati poi nella legge regionale 1/2007 denominata “Stru-
menti di competitività per le imprese e per il territorio della Lombardia” e nella legge regionale 10/2009
“Disposizioni in materia di ambiente e servizi di interesse economico generale”. La prima introduce
un primo ma importante tentativo di definizione di area dismessa. L’articolo 7 (Recupero delle aree
industriali dismesse), comma 1 della codesta legge recita infatti che: la dismissione di aree industriali
costituisce grave pregiudizio territoriale, sociale ed economico-occupazionale. Si intendono per aree
industriali dismesse, ai fini del presente articolo, le aree: a) che comprendano superficie coperta supe-
riore a duemila metri quadrati; b) nelle quali la condizione dismissiva, caratterizzata dalla cessazione
delle attività economiche su oltre il cinquanta per cento delle superfici coperte nelle aree di cui alla
lettera a), si prolunghi ininterrottamente da oltre quattro anni. La seconda invece porta ad un livello
superiore la cooperazione con il fattore privato in quanto l’articolo 21 (Bonifica e ripristino ambientale
dei siti inquinati) prevede uno scomputo di parte (50 per cento del relativo ammontare) dei costi di
bonifica dagli oneri di urbanizzazione secondaria.
3. Il comune di Milano tra direttive dall’alto e dinamiche territoriali
Il comune di Milano si trova davanti ad una situazione molto complessa. Se da un lato le grandi indu-
strie che avevano tradizionalmente legato la loro storia al capoluogo lombardo erano in fase di deloca-
lizzazione (o localizzazione) produttiva, i strumenti per affrontare tale fenomeno apparivano inappro-
priati. Va tuttavia ricordato che il fenomeno della dismissione industriale non sia un problema ristretto
all’ambito milanese. Si tratta in realtà di un vento di cambiamento che ha interessato tutte le parti del
pianeta che avevano conosciuto nei ultimi secoli un rapido processo di industrializzazione. Parliamo
quindi degli Stati Uniti, Europa Occidentale (Inghilterra, Francia, Germania) ma anche Orientale. La
complessità del problema faceva sì che la maggior parte delle città si trovassero di fronte ad un feno-
meno mai incontrato prima, i risultati del quale erano del tutto sconosciute agli amministratori del
tempo.
3.1 Sovrapposizione di strumenti urbanistici diversi
Occorre quindi chiedersi con quali strumenti il Comune di Milano abbia affrontato un cambiamento
epocale che nel giro di poco più di un trentennio ha portato a dismettere e riutilizzare circa sette milioni
di metri quadrati di terreni in precedenza occupati da industrie, vale a dire il 4,5% della superficie
comunale urbanizzata.
Luca Mocarelli (2010) individua alcune fasi salienti che hanno contraddistinto questa fase sperimentale
della città di Milano (Le aree dismesse milanesi o della cancellazione del patrimonio industriale: il
caso di Bicocca, Rivista AIPAI).
Va sottolineato quindi come questa domanda sia cruciale perché, come l’autore sottolineerà, diversi
degli esiti poco soddisfacenti che si sono ottenuti dipendono proprio dagli strumenti che si sono, o
15
meglio, che non si sono adottati. Tanto più che quello delle aree dismesse non può certo essere ritenuto
un fulmine a ciel sereno se già nel 1975 si osservava come circa metà dei 17 milioni di metri quadrati
allora occupati dalle fabbriche fossero “da ristrutturare”. Si è dovuto però attendere il 1989 per assistere
alla promulgazione del “Documento Direttore” delle aree dismesse che faceva riferimento a 164 aree
industriali da riconvertire, per un totale di circa 461 ettari, e tra queste erano comprese anche l’area di
Pirelli-Bicocca e quella della Montedison di Morsenchio, già in corso di trasformazione sulla base di
varianti urbanistiche specifiche adottate dal Comune nel 1987. Nel 1995 è stata la volta dei Piani di
riqualificazione urbana (P.R.U.), previsti dall’articolo 2 della legge n. 79/1992, che comportavano la
presentazione di progetti relativi a parti della città da riqualificare, di fatto svincolati dal piano regola-
tore vigente perché per la loro approvazione era sufficiente rispettare i criteri fissati dall’amministra-
zione. Nel 1998, quando sono partiti i lavori per i cinque P.R.U. allora approvati relativi ad aree indu-
striali dismesse che il Comune aveva selezionato sulla base dei criteri e delle procedure definiti nel
1995, la situazione dei terreni da riconvertire appariva ancora molto fluida. Circa due milioni di metri
quadrati stavano già subendo profonde trasformazioni in quanto oggetto di varianti del piano regolatore
che, oltre alla Bicocca e a Montecity, avevano nel frattempo interessato anche l’area del Portello, per
la realizzazione dell’ampliamento della Fiera, e una porzione di circa 400.000 metri quadrati alla Bo-
visa destinata all’insediamento del secondo polo del Politecnico. A questa rilevante porzione del terri-
torio comunale andavano poi aggiunti gli 1,65 milioni di metri quadrati dei cinque P.R.U. allora ap-
provati: ex Innocenti-Maserati in via Rubattino (611.200 metri quadrati), Fina di Quarto Oggiaro
(453.800 metri quadrati), OM in via Pompero Leoni (313.800 metri quadrati), SCAC di via Lorenteg-
gio (166.300 metri quadrati), Tecnomasio di piazzale Lodi (68.600 metri quadrati). Restava tuttavia
ancora da decidere del destino di oltre un milione di metri quadrati di proprietà delle ferrovie, un nodo
poi affrontato con il Piano Generale del Territorio (PGT) del 2011, e di altri 2,5 milioni di metri qua-
drati appartenuti a imprese che avevano fatto la storia industriale di Milano e che avevano già chiuso,
o si avviavano a chiudere, gli impianti: dalla Magneti Marelli, alla Carlo Erba; dalle cartiere Binda alla
Motta. Nel 1999, quando il Comune, ha risposto al bando per i Programmi di riqualificazione urbana
per lo sviluppo sostenibile del territorio queste aree industriali non sono state però prese in considera-
zione. L’amministrazione ha dato infatti avvio al programma di recupero dell’area della ex stazione di
Porta Vittoria, mentre veniva presentata anche l’ennesima variante per il Garibaldi-Repubblica, un’in-
compiuta pluridecennale visto che dell’utilizzo dell’area in questione si era iniziato a discutere già
negli anni Cinquanta quando era stata avviata la realizzazione del centro direzionale.
3.2 Il Documento di Inquadramento e i P.I.I.
La situazione è cambiata l’anno successivo dopo l’approvazione, nel giugno del 2000, del Documento
di inquadramento delle politiche urbanistiche (D.I.U.) da parte del Consiglio Comunale, che ha aperto
la stagione dei Programmi Integrati d’Intervento (P.I.I.). Quest’azione (normativa) del comune di Mi-
lano prosegue quella “catena “di ordinamenti legislativi che ha conosciuto il suo inizio con la legge
nazionale del 1992 (Norme per l’edilizia residenziale pubblica) che introduce per la prima volta i Piani
Integrati di Intervento e conferiva alle Regioni il compito di regolarne l’operatività nei rispettivi ambiti
territoriali. La Regione Lombardia rispondeva alla chiamata promulgando sette anni dopo la legge
regionale numero 9 del 12 aprile 1999 (Disciplina dei programmi integrati di intervento) ordinando ai
16
Comuni lombardi la realizzazione di un Documento di Inquadramento Urbanistico (D.I.U.). Nono-
stante i P.I.I. non siano degli strumenti ad hoc finalizzati alla trasformazione e recupero delle aree
dismesse, esse assumono una rilevanza particolare in quanto sono stati negli anni a seguire uno dei
principali strumenti attraverso i quali l’amministrazione del Comune di Milano ha fatto fronte al de-
grado delle aree urbane abbandonate. Il D.I.U. individuava 9 grandi aree da ristrutturare: tra queste le
ex aree industriali erano tre, Marelli, Bicocca e Montecity (già da tempo oggetto di intervento), e ve-
nivano affiancate, o da porzioni della città che attendevano da tempo una ridefinizione, come il Gari-
baldi-Repubblica, la ex stazione di Porta Vittoria e la Bovisa, o che nel frattempo erano state rese libere
dalla demolizione delle strutture esistenti, come nel caso della Fiera o dell’Istituto sieroterapico. L’uso
estensivo che è stato fatto dei P.I.I. (147 proposte presentate tra 2000 e 2008) ha consentito anche di
riconvertire molte altre aree industriali dismesse. Così, il grande intervento compiuto sull’area dell’ex
Marelli in via Adriano (oltre 300.000 metri quadrati), una riconversione quasi esclusivamente residen-
ziale, è stato affiancato, solo per fare qualche esempio, dalla trasformazione dell’ex Motta in viale
Campania (32.000 metri quadrati) dall’avvio della ristrutturazione della ex Manifattura Tabacchi di
viale Fulvio Testi (80.000 metri quadrati), dal recupero dell’ex cartiere Binda sul naviglio pavese
(126.000 metri quadrati) e dalla realizzazione del Maciachini business park sull’area ex Carlo Erba di
via Imbonati (100.000 metri quadrati). Solo con il recente e molto contestato PGT, approvato il 4 feb-
braio 2011, si è cercato di presentare, trent’anni dopo l’ultimo piano regolatore del1980, un ridisegno
complessivo della città guidato dalla volontà di recuperare e ridestinare l’esistente piuttosto che con-
sumare ulteriore suolo. A occupare il centro della scena in termini dimensionali per quanto riguarda il
riuso non sono però tanto le ancora numerose aree industriali dismesse o in via di dismissione, quanto
piuttosto gli scali ferroviari ormai in disuso, a cominciare da quello di via Farini (oltre 600.000 metri
quadrati) e alcune grandi caserme. L’attenzione posta verso questi elementi urbani viene ribadita anche
dal PGT del Comune di Milano quando definisce tali aree come ATU (Ambiti di Trasformazione Ur-
bana). La complessità dell’attivazione di queste aree sarà approfondita successivamente. Va ricordato
comunque che le negoziazioni tra Comune di Milano e Ferrovie dello Stato, attori principali coinvolti
nel processo, ha allungato molto le tempistiche e non ha prodotto i risultati attesi. In riferimento a ciò,
si colloca il lavoro del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani DASTU del Politecnico di Milano,
il quale ha promosso un’indagine esplorativa e un azione di ascolto attivo, promosso grazie alla colla-
borazione con il Comune di Milano, Direzione Centrale del Territorio. L’obbiettivo del rapporto è
quello di investigare sulle esigenze, necessità e aspettative delle comunità locali a seconda della loca-
lizzazione dello scalo ferroviario; necessità che vengono poi declinate secondo tre comuni denomina-
tori: spazi aperti, bordi e connessioni, servizi; i materiali cosi costruiti avranno come funzione quello
di accompagnare e arricchire il processo di riuso e recupero degli scali abbandonati. Sino a oggi si è
dunque assistito, con riferimento alle ex aree industriali, a interventi, in particolare i PRU e i PII, che,
pur guidati da regole migliori rispetto al passato con riferimento alla densità edilizia e alle cessioni
pubbliche, hanno dovuto scontare il fatto di applicare le stesse direttive in contesti della città anche
molto differenti e per di più in assenza di un disegno strategico complessivo. Il risultato è stato che,
rispetto ad altre realtà urbane europee che hanno subito un analogo processo di deindustrializzazione,
la riutilizzazione degli spazi lasciati liberi è andata in minima parte in direzione della promozione di
nuove funzioni urbane, quelle necessarie per reggere la competizione sul piano europeo (Mocarelli
Luca, 2010). Se in effetti si guarda a quanto si è fatto negli ultimi trent’anni sui giganteschi terreni
abbandonati dalle attività produttive è difficile negare che si sia assistito al proliferare, più o meno
incontrollato, di residenze e uffici, con una inevitabile saturazione del mercato, soprattutto nella se-
conda direzione.
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3.3 Il timeline dei processi urbanistici in corso
Fig. 4 – Schema cronologico dei processi normativi e urbanistici
18
Parte II
La Milano Dismessa
1. Il censimento e la raccolta delle banche dati
1.1 Gli Ambiti di trasformazione urbana ATU
Il volume di trasformazioni che la città di Milano ha cambiato profondamente il suo profilo urbano.
Come è stato descritto nei paragrafi precedenti, numerose e importanti aree che hanno conosciuto il
fenomeno della dismissione sono state oggetto di trasformazione radicale diventando, in alcuni casi,
nuove centralità metropolitane ed a volte nuovi simboli di Milano città globale, ridefinendo radical-
mente lo skyline del capoluogo lombardo.
Vi sono ancora presenti tuttavia nel tessuto territoriale altre aree “dimenticate “le quali per dimensioni
non saranno imponenti come gli ambiti individuati durante gli anni ‘80 - ‘90, ma che rientrano in quella
categoria di pezzi di città abbandonati e/o sottoutilizzati descritti finora. Vi si annoverano diversi ten-
tativi di individuare questi “frammenti“ urbani, anche attraverso strumenti di partecipazione attiva bot-
tom up, intraprese dal Comune di Milano che ha costruito un portale web dove i cittadini stessi (cono-
scitori della realtà pratica che vivono ogni giorno) potessero denunciare la presenza di immobili privati
che sono contraddistinti da inutilizzo, degrado di interi immobili e aree o interruzioni dei lavori di
cantieri che rappresentano situazioni note, spesso in essere da anni e di impatto sul quartiere e sui
cittadini che vi abitano. Gli esiti di questa ricognizione sono ancora in fase di verifica sul campo da
parte degli operatori comunali; tuttavia un’analisi dei risultati fino ‘ora (2014) raggiunti sarà proposta
nel paragrafo successivo.
Un altro tentativo di censimento delle aree dismesse è stato effettuato dalla Regione Lombardia, già
citato nel secondo capitolo dove vengono altresì presentati alcune riflessioni (su scala regionale e pro-
vinciale) sui dati raccolti. Risulta interessante tuttavia focalizzare lo sguardo su quelle aree che rica-
dono all’interno del perimetro municipale di Milano.
Si può riscontrare una lieve sovrapposizione delle aree individuate dai due censimenti, il numero dei
casi rimane tuttavia scarso.
Fig. 4 – Ambiti di Trasformazione Urbana, Pgt Milano
19
Una categoria a parte è rappresentato invece dagli scali ferroviari e dalle caserme militari distribuite
all’interno del territorio urbano milanese. Con la nascita del Piano del Governo del Territorio, queste
aree guadagnano l’attenzione degli esperti e dell’opinione pubblica come elementi di potenziale qualità
urbana, un ultima opportunità di ridefinire il tessuto consolidato e occasione di ripensare (sia a livello
qualitativo che quantitativo) quelle lacerazioni del tessuto urbano o strappi come li definisce Bernardo
Secchi, volgendo lo sguardo verso le comunità locali interessate dalla loro trasformazione. Nella rap-
presentazione grafica sopra collocata, vengono individuati questi ambiti di trasformazione previsti dal
PGT, il quale conferisce a ciascuna un indice di utilizzazione territoriale diverso a seconda del contesto
e delle vocazioni funzionale che saranno chiamate ad ospitare. Va sottolineato come le aree ATU non
siano delle isole indipendenti, ma facenti parte di un sistema di elementi. Questo carattere è visibile
non soltanto nella definizione delle vocazioni assegnate poi alle aree, ma anche nei rapporti instaurati
dai diversi strumenti urbanistici. Un esempio è rappresentato dalla perequazione urbanistica attuata nei
confronti della volumetria prevista nell’ambito di San Cristoforo, la quale viene trasferita nell’ambito
di Farini Lugano permettendo alla prima di ottenere un forte profilo ambientale. Particolare attenzione
è stata inoltre posta nei confronti del housing sociale, designando una quota vantaggiosa della nuova
volumetria a questa categoria abitativa.
1.2 Monitoraggio ricognitivo del Comune di Milano
Fig. 6 - Edifici e aree in stato di degrado o inutilizzo.7
7 Fonte: Comune di Milano, Direzione Centrale Sviluppo del Territorio.
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Il Comune di Milano intraprende un azione di monitoraggio ricognitivo delle aree dismesse e/o inuti-
lizzate presenti all’interno del suo ambito territoriale. L’azione, conclusasi nel 03/06/2014, ha prodotto
i risultati rappresentati al di sopra, dove ciascuna area è contraddistinta per tipologia funzionale. La
maggior parte delle aree identificate appartengono alla categoria produttiva, seguita dalla categoria
residenziale e terziaria. Gli altri gruppi seguono con valori più modesti.
Fig. 7 - Aree suddivise per fasce di prezzo immobiliare al mq, Milano.8
Essendo le aree censite di proprietà privata, esse sono rapportate ai valori immobiliari nelle diverse
zone di Milano onde sono localizzate. I dati sui prezzi degli immobili si riferiscono al primo semestre
del 2014 (fonte: Camera di Commercio di Milano - O.S.M.I. Borsa Immobiliare Pubblica). Come l’im-
magine mostra, le aree più centrali (all’interno della cerchia dei Bastioni) sono quelle caratterizzate da
una fascia di prezzo più alta che varia fra 5.450,00 € e i 11.000,00 €. La seconda fascia dei prezzi
immobili è rappresentata dalle aree subito adiacenti a quelle centrali, caratterizzate da un prezzo che
varia tra i 3.725,00 € e i 5.450,00 €. La terza categoria presenta (3.150,00 € - 3.725,00 €) una disten-
sione più varia, fortemente influenzata da molteplici fattori infrastrutturali e di qualità urbana che la
contraddistinguono rispetto alle categoria meno pregiata (2.255,00 € - 3.150,00 €) presente all’interno
dei confini comunali del capoluogo lombardo. Va sottolineato che i valori cosi espressi sono oggetto
di variabili molte complicate e dinamiche sull’asse temporale. Al fine dello studio individuato esse
8 Fonte: O.S.M.I. Borsa Immobiliare Pubblica.
21
tuttavia presentano un carattere importante e spunti interessanti al fine di comprendere la fisionomia
della questione delle aree dismesse urbane.
Fig. 8 – Rapporto fra le aree abbandonate e le zone di prezzo al mq in cui ricadono.
Da questo confronto si può notare come solo il 3% delle aree totali si trova nelle zone immobiliari di
maggior pregio (con prezzi che raggiungono gli 11.000,00 €/mq), mentre la maggior parte delle aree
abbandonate si trovano nelle zone di valore minimo, ossia nelle zone caratterizzate da una fascia di
prezzo 2, 555.00 – 3, 150.00 €. Questo dato risulta importante in quanto può indicare uno dei motivi
per cui tali aree non sono riuscite ad attivarsi: il profitto basso che esse potenzialmente potrebbero
restituire non attrae possibili investitori interessati. Inoltre, questo confronto permette di identificare
come la maggior parte delle aree produttive abbandonate siano localizzate nella fascia D, un dato im-
portante rispetto al numero totale delle aree individuate dal monitoraggio. Inoltre va sottolineato come
le aree dismesse ricadenti nelle aree meno pregiate siano riconducibili principalmente alle funzioni
produttive, le quali si presentano soltanto in una quantità limitata nelle aree più pregiate.
22
Fig. 9 - Suddivisione delle aree per tipologia e per fascia di prezzo su cui ricadono.
1.3 Censimento aree dismesse della Regione Lombardia
23
1.3. Censimento aree dismesse della Regione Lombardia
Fig. 10 - Localizzazione delle aree dismesse
Regione Lombardia, attraverso la Direzione Generale Territorio e Urbanistica, tra il 2008 e il 2010, ha
effettuato con Assimpredil Ance e le Province il rilievo delle aree dismesse presenti su tutto il territorio
lombardo. Alcune di esse ricadono nel perimetro comunale di Milano, localizzate nei perimetri so-
praindicati. Per ogni area dismessa, il gruppo di lavoro ha prodotto una carta di identità dove vengono
specificati i dati identificativi dell’area, estensione, accessibilità, informazioni specifiche relative allo
stato e alle previsioni di riutilizzo futuro, eventuali vincoli ed eventuale stato di contaminazione e bo-
nifica dell’area. I dati sopra presentati sono accompagnati da valori tabellari scritti in ambiente GIS
che ne permette una ulteriore analisi. Essi sono resi possibili dagli uffici tecnici della Regione Lom-
bardia.
Va sottolineato come, in questo caso, nonostante lo sforzo di poter implementare strumenti di pianifi-
cazione integrati ed avanzati, i dati presentano una scarsa qualità.
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2. Approfondimento e riorganizzazione degli strati informativi
2.1 Coerenziazione e spazializzazione dei dati economici Camera di Commercio di Milano
Fig. 12 – Tabella degli attributi delle aree dismesse pubblicate dalla Regione Lombardia
La raccolta dei dati sulle aree dismesse offre una quantità di informazioni molto utili. Come dimostra
la fig. 11, l’indirizzo completo dell’area/immobile, la destinazione dell’area secondo il piano regola-
tore, la superficie fondiaria e la superficie coperta, il mappale in cui tale area si trova. Allo stesso tempo
presenta anche delle lacune di alcune informazioni che possono essere giudicate rilevanti: ossia la su-
perficie lorda di pavimentazione. In essa si possono trovare dei campi in cui è costruito un collegamento
online con le schede identificative di ciascuna area in modo tale da permettere un approfondimento
ulteriore di informazioni non presenti in essa.
Altre informazioni di particolare interesse sono rappresentate dall’accessibilità delle aree/immobili
censiti. L’accessibilità può essere rappresentata dalla prossimità dei corpi edilizi nei confronti delle
principali infrastrutture pubbliche di mobilità su ferro e su gomma, cosi come in relazione alle infra-
strutture di maggiore capienza come gli aeroporti nazionali ed internazionali. La prossimità o la di-
stanza importante di un area rispetto a queste infrastrutture rappresenta un carattere di forte pregiudizio
nei confronti dell’area stessa. Un potenziale attore privato o pubblico si dimostrerà più favorevole ad
intervenire con investimenti (siano essi di carattere pubblico, privato o di cooperazione pubblico/pri-
vato) in quelle aree che più probabilmente siano in grado di restituire un profitto in termini di tempo
breve/medio. Le aree invece che si trovano in posizioni non favorevoli troveranno delle difficoltà sem-
pre maggiori per poter attivarsi in una prospettiva futura di medio termine.
Vale in questo caso agire come precedentemente descritto nella fig. 8 e fig. 9 a pagina 21, spazializ-
zando in ambiente GIS i valori economici delle al mq degli immobili censiti dalla Camera di Commer-
cio di Milano. Questo risultato è stato raggiunto creando un nuovo “shapefile” poligonale, georeferen-
ziando l’immagine della mappa del Comune di Milano, utilizzata precedentemente nell’analisi delle
aree private censite dal Comune di Milano, con le aree censuarie spazialmente delimitate. Ciascuna
geometria è caratterizzata da due campi in cui vengono specificati la fascia di appartenenza e i prezzi
che la contraddistinguono.
26
Fig. 13 – Le fasce di prezzo al mq. e localizzazione delle aree dismesse del censimento regionale
Ne risulta un quadro di chiara lettura che indica come la grande maggioranza dei siti censiti ricada nelle
fasce di prezzo al mq. D. Ciò potrebbe rappresentare un vantaggio per un futura riattivazione di tali
aree, in quanto il prezzo al mq. della zona in cui risultano ricadere non supera i 3.150,00 €/mq.
Il nuovo database cosi creato è stato relazionato, attraverso il commando di joint spaziale, con le aree
dismesse censite dalla Regione Lombardia partendo ad queste ultime.
Fig. 14 – L’aspetto della tabella attributi delle aree dismesse con i due campi aggiunti grazie al joint
spaziale
27
Con questo primo passaggio ha inizio l’arricchimento e la perfezione delle banche dati sulle aree di
futura rigenerazione.
2.2 Network Analyst e il calcolo dei fattori di accessibilità
Una successiva questione emergente nelle banche dati sono l’imperfezione di alcune informazioni im-
portanti nel calcolo dell’accessibilità dei siti individuati.
Come dimostra la fig. 15, i campi che contribuiscono alla definizione del carattere di accessibilità delle
aree censite, ossia la distanza rispetto alle infrastrutture più importati di mobilità, presentano dei dati
errati.
Fig. 15 – Campi che presentano valori errati
Come la figura 15 mostra, i campi DIS_FERR, DIS_AER, DIS_CAS, e DIS_PROV contengono valori
che non corrispondono alla realtà, oltre all’incertezza dell’unità di misura. Per affrontare questa pro-
blematica, è stato deciso di procedere attraverso l’utilizzo dello strumento “Network Analyst”. Un im-
portante presupposto per compiere l’operazione di calcolo dei fattori di accessibilità è la costruzione
del grafo stradale, dati che sono stati recuperati dal portale online del Comune di Milano.
Le aree poligonali dello shapefile delle aree dismesse vengono trasformate in geometrie puntuali attra-
verso l’applicativo ET Geowizard.
Vengono caricate nella finestra di lavoro, come geometrie puntuali, le stazioni ferroviarie urbane di
Milano, in base alle quali si riferiscono i dati contenuti nella banca dati. Una volta organizzati i dati
necessari all’operazione, nella finestra di Network Analyst viene selezionata l’opzione New Closest
Facility: ossia la distanza minima che intercorre tra due punti o gruppi di punti. Questa applicazione
diventa molto utile in contesti urbani quali: trovare l’ospedale più vicino rispetto ad un incidente, l’auto
della polizia più vicina rispetto ad una scena del crimine, il servizio più vicino rispetto ad una certa
tipologia di utenza. Nel nostro caso, utilizzeremo tale strumento per capire, basandoci sul graffo stra-
dale, la stazione ferroviaria più vicina rispetto alle aree dismesse.
Nella finestra di lavoro cosi aperta vengono caricati i dati necessari al funzionamento dell’operazione:
le 26 aree dismesse comprese all’interno dei confini comunali, il grafo stradale e le stazioni ferroviarie.
28
Nella sezione Facillities saranno caricate le geometrie puntuali delle stazioni ferroviarie urbane, mentre
nella sezione Incidents saranno caricate le geometrie, sempre puntuali delle, aree dismesse. Una volta
caricati i dati in questo modo, l’applicazione è in grado di produrre i Routes, ossia il percorso più breve
che connette ciascuna geometria del gruppo x a qualunque geometria del gruppo y.
Fig. 16 – Risultato dell’applicazione di New Closest Facility (Network Analyst).
Come si può facilmente dalla fig. 16, i percorsi che connettono i due gruppi di geometrie puntuali sono
indicati con le linee blu. Nella rispettiva tabella degli attributi vengono indicate anche il tempo di per-
correnza (a piedi) del percorso tracciato e altre informazioni utili nel caso di utenza che dispone di
veicolo automobilistico. Il risultato così raggiunto viene esportato in formato shapefile.
Il calcolo della distanza geometrica diventa così un commando di facile esecuzione. Costruendo un
nuovo campo nella tabella degli attributi del nuovo shapefile dei percorsi, attraverso il commando Cal-
culate Geometry è possibile individuare la lunghezza della geometria nelle unità di misura preferita.
La stessa tipologia di azione verrà poi ripetuta anche nel caso delle distanze rispetto agli aeroporti,
caselli autostradali e strade provinciali. In questo modo si completano i fattori che nel loro insieme
contribuiscono a creare la caratteristica di accessibilità dei siti precedentemente censiti.
I risultati cosi raggiunti verranno successivamente relazionati con la banca dati di partenza ottenuta
dalla Regione Lombardia, alla quale è stato aggiunto il campo dei prezzi immobiliari pubblicati dalla
Camera di Commercio.
29
2.3 Stima del SLP degli edifici dismessi e stima economica dei corpi edilizi
Fig. 17 – Individuazione della superficie lorda di pavimentazione dei corpi edilizi dismessi
Un ulteriore questione emergente dalle banche dati raccolte è rappresentato dal campo “SLP”, ossia la
superficie lorda di pavimentazione, definita come la somma della superficie (mq) di tutti i piani fuori
terra, seminterrati ed interrati, misurati al lordo degli elementi verticali quali muri perimetrali e tra-
mezzi interni, vani scale e/o scale esterne anche scoperte, vani ascensori; restano esclusi i gradini di
accesso ai piani rialzati, i vani scala ed ascensori di tipo condominiale; la superficie dei vani scala
interna dovrà essere conteggiata una sola volta in caso di rampe sovrapposte.
La procedura utile al conseguimento di questo dato tiene in considerazione dell’altezza dei corpi edilizi
presenti all’interno del perimetro che individua ciascuna area selezionata. Il dato è reso disponibile dal
Geoportale della Regione Lombardia, denominato come unità volumetriche dei corpi edilizi. Esso con-
tiene il dato altezza relativa al suolo. L’operazione prevede quindi la comprensione degli intrecci tra lo
shapefile delle unità volumetriche (un’area dismessa è composta da più unità volumetriche) e lo shape-
file delle aree dismesse (perimetro che comprende le stesse).
Il primo passaggio richiede il calcolo delle superficie lorda di pavimentazione per ciascun corpo edili-
zio. Avendo a disposizione l’altezza di ciascuno corpo e la superficie (assumendo teoricamente ogni
piano a 2,7 m) il calcolo viene completato con l’inserimento di un nuovo campo e field calculator.
Successivamente il procedimento richiede un join spaziale tra le aree dismesse (poligoni) e gli edifici
che ricadono al loro interno. In questo modo ad ogni area dismessa vengono associati gli edifici carat-
terizzati da una certa superficie lorda di pavimentazione. Lo step successivo prevede un operazione di
Summerize sul campo “Codice_Dismissione” specificando di sommare le SLP. Il risultato finale con-
siste in un file dbf che indica per ciascuna area dismessa (contraddistinte dal codice di dismissione) la
somma totale delle superfici lorde di pavimentazione.
Non rimane che eseguire un ulteriore join tabellare tra la tabella così ottenuta e lo shapefile della banca
dati generale utilizzando come campo chiave “Codice_Dismissione”. Il campo esistente SLP (che ri-
cordiamo presenta valori nulli) verrà quindi campito con i valori presenti nel nuovo campo SLP, eli-
minando i campi nuovi che invece non aggiungono altre informazioni importanti.
30
Questo campo gioca un ruolo importante nel calcolo del valore economico delle aree dismesse: co-
struendo un nuovo campo è possibile moltiplicare i dati derivanti dalla Camera di Commercio (€/mq)
con la superficie lorda di pavimentazione (mq) per ciascuna area dismessa. La fig. 18 mostra alcuni
risultati di una possibile rappresentazione grafica dei dati finora elaborati.
Fig. 18 – Valutazione economica degli edifici dismessi censiti
In questo modo, i dati della Camera di Commercio di Milano divengono interattivi, utili a varie analisi
territoriali e di impatto economico di potenziali investimenti di recupero urbano.
32
Bibliografia
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