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Metalogicon (2001) XIV, 2 181 Mondi possibili e calcolo divino in Leibniz Giuseppe Giannetto 1. Dall'idea di un super mondo all'identità metafisica Un aspetto di certo rilevante della Corrispondenza fra Leibniz e Arnauld riguarda - tenendo presente l'esempio di Adamo che appare in alcune lettere fra i due filosofi 1 - l'interpretazione del rapporto Adamo-mondi possibili, dove le possibili interpretazioni sono: o Adamo non fa parte di alcun mondo o Adamo appartiene ad un ambito che è entro l'intelletto divino e da cui l'Essere supremo combina gli infiniti mondi possibili. Se, infatti, Adamo, considerato in senso generale, facesse parte di un mondo, la genesi dei mondi p o s sibili verrebbe messa sullo sfondo dal mondo in cui Adamo in genere rientra che renderebbe le diverse serie delle cose determinazioni differenti di uno stesso ambito che, diversamente articolato nei molteplici rimandi, starebbe a loro fondamento. I mondi possibili così sarebbero subordinati a un mondo fondante di cui costituirebbero solo diverse delimitazioni; ciò comporterebbe l'esistenza di un super mondo e di infiniti mondi ideati a partire da questo super mondo che, per conto suo, sarebbe staticamente presente nell'intelletto divino. Il super mondo avrebbe la consistenza di un abbozzo, di uno schema essenziale, che potrebbe essere determinato in modi diversi a seconda dei predicati aggiunti da Dio, che, intesi in serie ordinate, rappresenterebbero gli infiniti mondi. Questa idea di un super mondo essenziale tradurrebbe l'infinità dei mondi più in uno schema orizzontale che verticale, tale da mettere sullo sfondo la 1 C. GERHARDT, Die philosophischen Scriften von G . W. Leibniz, 7 voll. Berlin 1857, repr Hildesheim, 1960-61, II, 25-58.

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Mondi possibili e calcolo divino in Leibniz

Giuseppe Giannetto 1. Dall'idea di un super mondo all'identità metafisica

Un aspetto di certo rilevante della Corrispondenza fra Leibniz e Arnauld riguarda - tenendo presente l'esempio di Adamo che appare in alcune lettere fra i due filosofi1 - l'interpretazione del rapporto Adamo-mondi possibili, dove le possibili interpretazioni sono: o Adamo non fa parte di alcun mondo o Adamo appartiene ad un ambito che è entro l'intelletto divino e da cui l'Essere supremo combina gli infiniti mondi possibili. Se, infatti, Adamo, considerato in senso generale, facesse parte di un mondo, la genesi dei mondi possibili verrebbe messa sullo sfondo dal mondo in cui Adamo in genere rientra che renderebbe le diverse serie delle cose determinazioni differenti di uno stesso ambito che, diversamente articolato nei molteplici rimandi, starebbe a loro fondamento. I mondi possibili così sarebbero subordinati a un mondo fondante di cui costituirebbero solo diverse delimitazioni; ciò comporterebbe l'esistenza di un super mondo e di infiniti mondi ideati a partire da questo super mondo che, per conto suo, sarebbe staticamente presente nell'intelletto divino.

Il super mondo avrebbe la consistenza di un abbozzo, di uno schema essenziale, che potrebbe essere determinato in modi diversi a seconda dei predicati aggiunti da Dio, che, intesi in serie ordinate, rappresenterebbero gli infiniti mondi. Questa idea di un super mondo essenziale tradurrebbe l'infinità dei mondi più in uno schema orizzontale che verticale, tale da mettere sullo sfondo la

1 C. GERHARDT, Die philosophischen Scriften von G . W. Leibniz, 7 voll. Berlin 1857, repr Hildesheim, 1960-61, II, 25-58.

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raffigurazione geometrica della piramide2 che, secondo Leibniz, nella Teodicea, individua l'infinità dei mondi: al sopra e al sotto propri di una visione verticale, che fa leva sui differenti livelli di perfezione appartenenti ai mondi, al cui vertice sta il mondo più perfetto che viene scelto da Dio, alla luce del criterio del meglio, fa contrasto una teoria che interpreterebbe il mondo più perfetto come una delimitazione di un disegno essenziale che costituirebbe il suo vero fondamento.

Dio, in questa prospettiva, sceglie una determinata con-nessione di cose che rinvia a una struttura essenziale, comune a tutti i mondi: la genesi dei mondi possibili, in tal modo, non avrebbe tanto un valore dinamico, quanto statico e farebbe pensare all'esempio, portato da Leibniz nei Nuovi saggi sull'intelletto umano, dove la statua di Ercole è sbozzata dal soggetto3 che fa emergere quanto era già presente, seppure in modo avviluppato, 2 Nella Teodicea Leibniz afferma: "Gli appartamenti erano disposti a piramide: diventavano via via più belli, a mano a mano che si saliva verso il vertice, e rappresentavano mondi migliori. Si giunge, infine, al supremo, che pone termine alla piramide, ed è il più bello di tutti. Infatti la piramide aveva un inizio, ma non se ne vedeva la fine; essa aveva un vertice, ma non aveva basi: andava crescendo all'infinito. Ciò avviene (spiega la dea) perché, tra un'infinità di mondi possibili, c'è il migliore di tutti, altrimenti Dio non si sarebbe affatto determinato a crearne uno; ma non c'è n'è nessuno che non ne abbia altri, ancora meno perfetti, ai di sotto di sé. Per questo la piramide scende sempre all'infinito". G. W. LEIBNIZ, Teodicea, a c. V. Mathieu, Bologna 1973, p. 438. (GERHARDT, Phil Schr, VI, 363). 3 Leibniz nella prefazione ai Nuovi Saggi scrive: "Mi sono servito anche del pagone di un blocco di marmo che abbia delle venature, piuttosto che di un blocco di marmo uniforme o di vuote tavolette, ovvero di ciò che i filosofi chiamano tabula rasa. Poiché se l'anima somigliasse a queste tavolette vuote, le verità sarebbero in noi come la figura di Ercole in un blocco di marmo, quando il marmo è del tutto indifferente a ricevere questa figura o un'altra. Ma se ci fossero venature nel blocco che segnassero la figura dì Ercole a preferenza di altre figure, questo blocco sarebbe più disposto a riceverlo ed Ercole vi sarebbe in certo modo innato, per quanto si rendesse necessario del lavoro per scoprire queste venature e per metterle in evidenza con la politura, togliendo via ciò che impedisce loro di mostrarsi. E' così che le idee e le verità sono innate in noi, alla stregua di inclinazioni, disposizioni, abitudini o virtualità naturali, e non come della azioni" G. W. LEIBNIZ, Nuovi saggi sull'intelletto umano, a c. M. Mugnai, Roma 1982, p. 47 (GERHARDT), Phil. Schr., V., 45).

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nel marmo. Il rapporto fra il super mondo i mondi possibili assumerebbe l'aspetto del nesso fra ciò che è potenzialmente determinato e ciò che viene attualizzato, a partire da quanto contenuto in un disegno essenziale che porrebbe in rilievo non ciò che è possibile, ma ciò che è in potenza e consente una determinata serie di delimitazioni; queste, poi, se non seguissero ciò che è schematicamente presente, anche se in modo indeterminato, non farebbero passare all'esistenza un disegno virtualmente delineato, seppure in modo solo in parte chiaro al soggetto finito.

Abbiamo affermato che il super mondo è, come schema essenziale, un concetto che fa pensare al virtuale perché, anche se può essere individuato in differenti modi, non può essere determinato in maniera incondizionata visto che, se non venissero tenute in vista certe note essenziali, tipiche delle nozioni - per Adamo, ad esempio, quella di primo uomo, posto da Dio nel Paradiso terrestre -, non si avrebbe alcun mondo possibile: le nozioni complete, aggiungendo note particolari a quelle generali, le individuano, senza che sorga alcuna contraddizione fra queste ultime e quelle particolari che valgono a dare uno spessore più definito a quelle generali. Il nesso fra il super mondo e i mondi possibili, segue, in parte, come appare, il principio di non contraddizione che non consente, tenendo presente l'esempio di Leibniz, che Adamo sia, ad un tempo, primo uomo, posto da Dio nel Paradiso terrestre4 e primo uomo, non posto da Dio nel Paradiso terrestre: l'estensione della nozione primo uomo può essere diversamente delimitata, aggiungendo note non logicamente opposte, che, in tal modo, possono coesistere con la nozione essenziale che assume il significato di un ambito entro cui rientrano le note non fondamentali, senza negarla.

Il super mondo, secondo la prospettiva indicata, verrebbe caratterizzato da un insieme di sfere nozioni concepite sub ratione generalitatis5 - fra loro compatibili che rendono possibili molteplici e, ad un tempo, limitati predicati non essenziali che non possono andare oltre le sfere cui appartengono, per non cadere in 4 GERHARDT, Phil. Schr., II, 42. 5 Ibid.

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contraddizione e attuare un mondo privo di senso. L'aspetto inventivo dei mondi possibili rispetto al super mondo, incontra, come appare evidente, dei limiti ben precisi posti dall'esistenza, nell'intelletto divino, delle nozioni generali che possono essere individuate in modi diversi, a partire da un nucleo immutabile che non esclude taluni predicati non essenziali entro una definita sfera, mentre ne esclude altri.

A questa considerazione, però, è opportuno aggiungerne un'altra: se è vero che i predicati non essenziali appartengono alle nozioni generali, che rappresentano un'estensione diversamente definibile, è anche vero che alcuni predicati, siano essi essenziali o non essenziali, possono riguardare più di una nozione generale che, per questa via, rende problematica l'affermazione di un super mondo, definito da un insieme di nozioni compatibile, entro il cui ambito ricadono gli altri predicati non essenziali. Alla struttura del super mondo che ha un insieme di nozioni generali fra loro compatibili, che hanno il molteplice - i predicati essenziali - entro il loro ambito, si contrappone una visione diversa che coglie la dimensione comune - un insieme di predicati - alle differenti nozioni generali, entro cui possono rientrare molteplici nozioni concepite sub ratione generalitatis: le nozioni generali, che sembrano sfere che hanno il molteplice entro, rinviano a un'altra sfera ancora più generale che sta a loro fondamento. Questo discorso, poi, non vale solo per le nozioni generali, visto che possiamo pensare a più predicati non essenziali che appartengono a nozioni generali fra loro differenti - si pensi, ad esempio, all'affermazione che Cesare è un cittadino romano che riguarda anche Pompeo e molti altri soggetti -.

Per superare la difficoltà emersa sulle nozioni generali, a proposito di quello che denominiamo super mondo, è il caso di tener presente che le nozioni caratterizzate da note generali, che poi valgono per tutte le altre nozioni complete dei mondi possibili, sono collegate in un determinato modo; ciò vuol dire che non è tanto l'affermazione di predicati generali che vale a renderli intelligibili, quanto la loro stretta combinazione - Adamo, ricordando l'esempio di Leibniz, non è solo caratterizzato dal

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predicato uomo, ma dai predicati primo uomo che è scelto da Dio nel Paradiso terrestre e così via -.

La struttura comune alle nozioni generali, che non tendono all'individuazione pensate fuori della scelta divina, non li rende comprensibili, salvo a sostenere che il processo dell'intelletto divino che produce i mondi possibili non inizia dalle nozioni generali, che devono essere individuate nei vari mondi - Adamo in genere -, ma da nozioni ancora più universali, come ad esempio, uomo da cui, poi, - anche se il termine poi va inteso a partire dall'essere finito che cerca di intendere il procedere dell'Essere perfettissimo - Dio porrebbe Adamo in genere, Pompeo in genere, Cesare in genere ecc. per arrivare alle diverse nozioni complete che fanno parte dei mondi possibili, rappresentati dall'intelletto divino e, in fine, alle nozioni complete poste in essere nel mondo esistente.

Sennonché, prendendo in considerazione la risposta di Leibniz ad Arnauld, si vede che il filosofo non passa, nel procedere del suo discorso, da nozioni universali a nozioni meno universali per arrivare alle nozioni complete del mondo scelto, cioè non passa, ad esempio, da uomo a primo uomo, ma da primo uomo a questo Adamo possibile e, poi, a questo Adamo reale nel mondo attuato da Dio. Si può sostenere, per cercare di superare la difficoltà, che uomo, per Leibniz, significa un'essenza eterna dell'intelletto divino, mentre Adamo in genere e gli Adami possibili, pur essendo eterni, in quanto pensati dall'intelletto divino, manifestano un diverso significato ontologico rispetto all'essenza uomo: le essenze eterne sono diverse dai possibili eterni, le prime non consentono alcuna attività dell'Essere supremo, i secondi consentono l'azione di Dio che, combinando diversamente i predicati e collegandoli fra loro, sceglie infiniti possibili in infiniti mondi. Le essenze, infatti, sono come una struttura immutabile dell'intelletto divino che, se la cambiasse o potesse cambiarla, finirebbe col mutare il contenuto del suo stesso intelletto6.

6 Sulle verità eterne come contenuto dall'intelletto divino, nella Monadologia, Leibniz scrive. "Tuttavia non bisogna figurarsi, come fanno alcuni, che, essendo le verità eterne dipendenti da Dio, esse siano arbitrarie e soggette alla volontà di

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Questo, da dimensione eterna e immutabile, a partire dalla quale è pensabile l'operare divino che fonda il mutamento dei possibili, diventerebbe ciò che è mutato da un'attività divina onnipotente che creerebbe anche il contenuto del suo stesso intelletto.

Il timore di cadere in posizioni volontaristiche - che su-bordinano l'intelletto e l'ambito del pensato alla volontà divina7 - può spiegare in Leibniz la concezione che intende le essenze come eterni, essendo entro l'intelletto divino e non poste dall'intelletto divino che non può mutare la sua natura, mentre la mutabilità dei possibili, che, da nozioni generali, passano a nozioni complete, pur dando un carattere dinamico all'intuizione suprema che non si limita a rappresentare le essenze, non porta alla subordinazione dell'intelletto alla volontà: i possibili sono combinati dall'intelletto divino che, operando entro se stesso, rinvia alla volontà che attua il miglior mondo rispetto ai tanti ideati.

Se i possibili, d'altra parte, fossero, allo stesso modo delle essenze, da sempre dati nell'intelletto divino che li contemplerebbe, non sarebbe comprensibile la risposta di Leibniz ad Arnauld che rivela, a nostro avviso, una concezione genetica dei mondi possibili volta ad attribuire a Dio e al suo intelletto una capacità non solo contemplativa, ma produttiva, dove, però, è da notare che la distinzione tra essenze immutabili e possibili, rappresentati dal principio assoluto divino, rende spiegabile, ad un tempo, la Lui, come pare abbia sostenuto Cartesio, e poi il Poiret. Ciò non è vero che delle verità contingenti, il cui principio è la convenienza o scelta del meglio, non delle verità necessarie, che dipendono unicamente dall'intelletto divino, e ne sono l'oggetto interno". G. W. LEBNIZ, Saggi filosofici e lettere, a c. V. Mathieu, Bari 1963, p. 376 (GERHARDT, Phil. Schr, VI, 614). 7 Sul rapporto e sulla distinzione fra intelletto e volontà in Dio e sulla negazione della subordinazione dell'intelletto alla volontà cf. le annotazioni di Leibniz alla lettera inviatagli da Eckhard nel maggio 1667, dove respinge le argomentazioni di Eckhard volte ad accentuare, seguendo Cartesio, la volontà sull'intelletto divino. (GERHARDT, Phil. Schr, I, 228). Su questa lettera e sulle annotazioni di Leibniz cf. anche A. BAUSOLA, A proposito del perfezionamento leibniziano dell'argomento ontologico: il Carteggio Leibniz Eckhard, in "Rivista di filosofia neoscolastica", 53, 1961, e S. LANDUCCI, La teodicea nell'età cartesiana, Napoli 1986, pp. 197-206.

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diversità tra le facoltà - intelletto e volontà -, la non subordinazione della prima alla seconda e l'attribuzione di un compito dinamico all'intelletto divino che, non solo vede i possibili, ma anche agisce sul loro campo per produrre le infinite serie di cose.

La produzione dei possibili che, come visto, non equivale alla loro creazione è concepita da Leibniz come combinazione di predicati e attribuzione di determinate note alle nozioni generali; questa concezione del filosofo si può spiegare sia con l'intento di ribadire la teoria dell'inerenza, nell'ambito dei mondi possibili, che constano di nozioni complete compatibili, entro cui rientrano molteplici predicati essenziali e non essenziali, sia con l'intento di dare dinamicità ai mondi possibili, senza cadere nel volontarismo, ritenuto caratteristico di un Essere supremo, che, facendo leva su un agire onnipotente, accentua un procedere incondizionato, non necessariamente limitato dall'intelletto e per questo motivo trascendente ogni possibile spiegazione intelligibile da parte dell'uomo. Dalla inerenza dei predicati ai soggetti si passa, così, alla posizione dell'inerenza dei predicati ai soggetti8, cioè alla teoria dell'infinità dei mondi prodotti dall'intelletto divino, combinando i possibili fra loro con i diversi predicati, che diventano tutti egualmente essenziali per caratterizzare le nozioni complete che non possono passare da un mondo possibile a un altro, nonostante sia teoreticamente pensabile l'esistenza ideale di mondi che hanno aspetti simili, al di là della loro diversità.

Giova ricordare, a questo proposito, che Leibniz, nei Nuovi saggi sull'intelletto umano, ipotizzando la possibilità di due mondi che non differiscono in modo evidente fra loro, così da essere apparentemente sostituibili l'uno con l'altro, afferma: “Vi saranno allora contemporaneamente più di cento milioni di coppie di persone simili, vale a dire coppie di persone con le medesime apparenze e coscienze, e Dio potrebbe trasferire i soli spiriti, o anche i loro corpi da un globo all'altro, senza che se ne accorgessero. Ma, sia che vengano trasferiti, sia che si lascino dove sono, che si dirà delle loro persone o del loro sé, secondo voi? si 8 Sulla diversità tra inerenza e posizione dell'inerenza ci permettiamo di rinviare a G. GIANNETTO, Pensiero e Disegno, Leibniz e Kant. Napoli, 1990.

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tratta di due persone o della medesima? poiché la coscienza e le apparenze interne ed esterne degli uomini dei due pianeti non potrebbero dar luogo a distinzioni”.9

La risposta di Leibniz - che esclude la possibilità che esi-stano due mondi simili, abitati da coppie di persone corrispondenti che siano trasferibili da un mondo all'altro, senza che nulla cambi - si basa sulla distinzione tra prospettiva umana, prospettiva divina e conoscenza, propria di spiriti non limitati come gli uomini, e sulla differenza tra la coscienza, da un lato, e l'identità metafisica, dall'altro. Dio in modo assoluto e gli spiriti in modo sempre limitato, avendo una parziale conoscenza chiara e distinta, comprenderebbero che persone simili, poste nei due mondi, a prima vista non differenti, in realtà non sono possibili perché ci sono sempre tra i due mondi differenze di tempo e di luogo, di leggi fisiche scelte da Dio - anche se le verità eterne rimangono valide in tutti i mondi possibili - e di nozioni complete che, includendo tutti i predicati attribuibili nel passato, nel presente e nel futuro alle sostanze individuali, non possono coerentemente essere trasferite da un mondo all'altro, senza che lo stesso mutamento di mondo non faccia parte delle nozioni complete che, così, contraddittoriamente non apparterrebbero a un mondo, ma a due mondi10.

Se fosse possibile trasferire una nozione completa da un mondo all'altro, ciò significherebbe che questa nozione è come una 9 G. W. LEIBNIZ, Nuovi saggi sull'intelletto umano, cit. p. 233 (GERHARDT, Phil. Schr, V, 288). 10 Sull'impossibilità di mutare le nozioni complete si tenga conto di quanto Leibniz sostiene nella lettera ad Arnauld del giugno 1686: "Del resto, se nella vita di qualche persona, ed anche in tutto questo universo, qualcosa andasse altrimenti da come va, nulla ci impedirebbe di dire che Dio ha scelto un'altra persona o un altro universo possibile. Si tratterebbe, quindi effettivamente di un altro individuo; d'altro canto occorre che vi sia una ragione a priori (indipendentemente dalla mia esperienza) per cui si possa dire, con verità, che proprio io sono stato a Parigi, e ancora io mi trovo ora in Germania: e, di conseguenza, occorre che la nozione di me leghi o comprenda i diversi Stati. Altrimenti si potrebbe dire che non si tratta più dello stesso individuo, sebbene sembri esserlo". G. W. LEIBNIZ, Corrispondenza con Arnauld, in Saggi filosofici e lettere, cit., p. 159 (GERHARDT, Phil. Schr, II, 51).

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parte che non ha in sé il rinvio al tutto, cioè che non è strutturata secondo un nesso parte-tutto, dove il mondo è il vero soggetto cui tutto ciò che riguarda un determinato insieme inerisce. La possibilità di sostituire una nozione completa con un'altra, apparentemente simile, esclude la teoria dell'inerenza che ha, concepita in rapporto al mondo, un significato organico e non astratto che dà rilievo all'omogeneità e mette sullo sfondo l'eterogeneità. La prospettiva divina e quella raggiunta da spiriti superiori pongono in risalto che una parte non è un elemento omogeneo con le altre, cioè che ogni parte è strettamente situata nel mondo cui appartiene e, come tale, è insostituibile e non modificabile: la teoria della identità metafisica non consente di sostituire una sostanza individuale di un mondo con un'altra, illusoriamente simile, e di spostare una sostanza individuale da un mondo a un altro, senza che ciò porti a una contraddizione tra l'inerenza dei predicati essenziali a un soggetto e la nozione completa che comprende l'insieme di tutti i predicati attribuibili, noti e non noti, all'ente finito. Questo, non possedendo l'intuizione intellettuale, ha bisogno di ricorrere ai documenti e al tempo, concepito come successione, per cercare di raggiungere, anche se in una maniera sempre incompleta, quanto Dio possiede immediatamente nella sua trascendente visione.

Lo scarto tra prospettiva divina e prospettiva umana, da tale aspetto, rivela anche la diversità tra la considerazione di una parte che rinvia a un tutto, che rimane nascosto ai poteri conoscitivi dell'uomo, e la conoscenza del tutto a cui ogni parte è legata e che rappresenta il vero soggetto dell'inerenza. L'uomo e Dio manifestano, in tal modo, due aspetti diversi dell'inerenza: il primo, fa leva su un tipo di inerenza che inevitabilmente inizia dal soggetto indagato e attribuisce sempre più predicati a quest'ultimo in un processo che non giunge mai a compimento, il secondo, accentua una visione adeguata che coglie completamente l'inerenza, tanto che alla parte che ha come sfondo un mondo, non compreso nell'insieme dei suoi rimandi, fa contrasto il mondo in cui ogni parte, con suoi molteplici rapporti, rientra.

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La teoria dell'inerenza che, in realtà, essendo fondata dall'Essere supremo, diventa teoria dell'identità metafisica viene riaffermata nella considerazione di Leibniz, in parte già ricordata, riguardante i mondi possibili: "ma secondo le vostre ipotesi, dal momento che la sola coscienza discerne le persone, senza che occorra darsi pena dell'identità o diversità reale delle sostanze, o anche di ciò che apparirebbe agli altri, come impedirsi di concludere che queste due persone che sono nel medesimo tempo nei due pianeti simili, ma separate l'una dall'altra da una distanza inesprimibile, non sono che una sola e la stessa persona? Il che, però, è un'assurdità manifesta. Del resto, parlando di ciò che è possibile da un punto di vista naturale, i due pianeti simili e le due anime simili dei due pianeti, non rimarrebbero tali che per un certo tempo. Poiché, dal momento che vi è una diversità individuale, bisogna che tale differenza consista almeno nelle costituzioni insensibili, che si devono sviluppare nel corso del tempo" 11.

L'identità metafisica, nondimeno, che collega una sostanza individuale a un mondo e che, come visto, non rende possibile il passaggio di una sostanza individuale da un mondo a un altro, senza far perdere il riferimento al mondo cui appartiene ed entro cui è strutturata, fa diventare problematica la genesi dei mondi possibili; essa, infatti, tenendo presente la teoria della nozione intesa sub ratione generalitatis, pone in luce la diversità tra le varie sostanze individuali, a partire da una diversa combinazione di predicati attribuiti alla nozione generale che rimane l'aspetto costante cui far riferimento. I mondi, possibili, poi, interpretati mediante una concezione genetica, presentano, ad un tempo, dinamismo, perché prodotti dall'intelletto divino, e staticità, perché ogni nozione completa è connessa in modo strutturale a un mondo che risulta immutabile, nonostante sia posto geneticamente dall'Essere supremo.

D'altra parte, per superare questo contrasto tra interpre-tazione dinamica e interpretazione statica, genesi delle nozioni complete e immutabilità delle stesse, nell'ambito del mondo cui 11 G. W. LEIBNIZ, Nuovi saggi sull'intelletto umano, cit., pp.233-34 (GERHARDT, Phil. Schr., V, 288).

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fanno parte, tra produzione delle nozioni complete e insieme dei mondi e impossibilità che queste passino da una serie di cose a un'altra, non è sufficiente rinviare alla distinzione tra prospettiva divina e prospettiva umana, l'una assoluta e incondizionata, l'altra limitata e condizionata dalla conoscenza di un definito numero di predicati, dal momento che - a parte il fatto che Dio non può produrre le essenze, le quali, costituendo il contenuto immodificabile del suo intelletto, sono eterne - l'impossibilità di trasferire una nozione completa da un mondo a un altro vale tanto per l'intelletto finito dell'uomo, quanto per l'intelletto infinito di Dio che finisce col palesare delle condizioni che egli stesso non può non seguire, quasi limiti posti alla sua trascendente attività.

2. Adamo in generale e i mondi possibili

La precisazione di Leibniz ad Arnauld, in base alla quale gli Adami possibili vanno intesi, tenendo presente una nozione generale Adamo che contiene alcuni predicati essenziali, comuni a tutti gli Adami possibili, in realtà, come abbiamo già avuto occasione di indicare, metteva sullo sfondo che gli Adami possibili fanno parte, ognuno per conto proprio, di un mondo possibile diverso in cui - visto che vale il nesso parte-tutto, che esclude una visione che accentua l'omogeneità, di tipo aritmetico o geometrico, che astrae dalle qualità secondarie e dalle diverse relazioni, proprie degli enti possibili - ciascun Adamo assume la veste di una parte così legata al tutto, cioè, in questo caso, a un mondo possibile, da non essere mutabile, anche per lo stesso Essere supremo che aporeticamente, per un verso, pone gli Adami possibili, per un altro, non li può modificare, se non perdendo il riferimento all'idea di mondo che guida, invece, la sua azione.

Quando, del resto, Dio pone gli Adami possibili, pone, a ben intendere, i mondi possibili che, avendo precise caratteristiche, connesse anche a un determinato ambito, internamente articolato, oltre a rivelare i decreti trascendenti di Dio, non danno luogo ad alcun mutamento, ad esempio, di un Adamo possibile in un altro Adamo, saldamente situato in un certo mondo e non in un altro.

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Ciò significa che la posizione degli Adami possibili, a partire dalla nozione generale Adamo che vale per tutti gli Adami, solo in apparenza riguarda una parte, laddove, come notato, essendo connessa a un determinato insieme che comporta molteplici caratteristiche e relazioni, palesa l'agire di una visione organica che ha, come soggetto, non una parte che rinvia a un mondo, ma un mondo che ha entro di sé una parte, insieme con molte altre che cadono nella sua sfera: Dio non pone un Adamo possibile in un mondo possibile, ma un mondo possibile entro il quale rientra un Adamo possibile.

Il limite notato, in base al quale Dio non può portare una nozione completa da un mondo a un altro, è comprensibile con il procedere dell'Essere supremo che non pone e sceglie parti entro un tutto, ma determinate totalità entro cui ogni parte viene situata e individuata12. A ciò si può obiettare che se è vero che Dio, seguendo una visione-produzione caratterizzata in modo organico, dopo quanto visto, non può mutare una parte se non mutando il tutto cui la parte si riferisce, è anche vero che, una volta concepito in modo assoluto, ribadendo posizioni cartesiane, non è limitato, essendo onnipotente, alle regole da Lui stesso scelte che sono vincolanti per l'uomo e non per l'Essere supremo.

Il discorso sembra così spostarsi al contrasto tra l'agire di un Essere che, pur libero, non è assolutamente libero, da negare improvvisamente le regole scelte, e un agire, proprio di un Essere, che, essendo incondizionato, non solo non è determinato da condizioni finite, ma anche da condizioni legate a una visione-

12 Sul concetto di organismo si veda la Monadologia: "Così il corpo organico di ogni vivente è una specie di macchina o d'automa naturale, che sorpassa infinitamente qualunque automa artificiale. Infatti una macchina costruita dall'arte umana non è macchina in ciascuna delle sue parti; per esempio, il dente di una ruota d'ottone consta di parti o frammenti che non sono più nulla di artificiale, e non hanno più alcuna cosa che conservi i caratteri della macchina, relativamente all'uso a cui la macchina era destinata. Ma le macchine della natura, cioè i corpi viventi, sono ancora macchine nelle loro minime parti, fino all'infinito. In questo è riposta la differenza tra natura ed arte, cioè tra l'arte divina e la nostra". G. W. LEIBNIZ, , Scritti filosofici e lettere, cit., pp.379-80. (GERHARDT, Phil. Schr., VI, 618).

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produzione che rimane libera dalle regole originariamente scelte e seguite liberamente. Il contrasto tra le due concezioni manifesta anche un conflitto tra un soggetto apparentemente assoluto, che non può non seguire certe regole, se non vuole cadere in contraddizione e far perdere un senso intelligibile alle sue operazioni, e un soggetto, veramente assoluto, che può non seguire lo stesso principio di non contraddizione e fare una nozione individuale che appartiene a un mondo e contemporaneamente spostarla in più mondi che sembravano, essendo, come considerato, strutture organiche intimamente collegate, impedire questa possibilità.

Eppure tra queste due concezioni che accentuano o un Essere che segue certi criteri o un Essere che non è costretto a seguire alcun criterio, anche se originariamente scelto, si fa strada una visione differente che, fra staticità delle nozioni complete, riferite a un solo mondo, e affermazione di un dinamismo assoluto che rischia di sfociare nell'arbitrio e in ciò che è inintelligibile, presenta una nozione generale - Adamo, secondo l'esempio di Leibniz - che, non facendo inizialmente parte di alcun mondo, può rendere intelligibile gli Adami possibili, propri di mondi differenti, unendo, in tal modo, dinamismo e staticità che sembravano fra loro termini opposti, non spiegabili da una stessa concezione e, come tali, inconciliabili. La genesi dei mondi possibili, del resto, rinvia una nozione generale che non è situata in alcun mondo e che, nondimeno, proprio per questa caratteristica di non appartenere ad alcun modo, consente di dare un carattere dinamico ai mondi possibili che, diversamente, se concepiti come contenuti dell'intelletto divino che si limiterebbe a conoscerli in tutti i loro complessi rimandi, rappresenterebbero strutture statiche, da sempre date all'intelletto divino, che, per conto suo, non andrebbe oltre una mera visione, seppure immediata e penetrante.

La non situabilità di Adamo in genere che, inizialmente considerata, sembrava contrastare la concezione di tipo organico, presente in Leibniz con l'idea dei mondi concepiti alla luce del rapporto parte-tutto, dove ogni parte, per mantenere la salda struttura del tutto, è immutabile, finisce col rappresentare una

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nozione, non contrastante con la teoria che il filosofo ha dei mondi possibili, che riesce, così, a superare il conflitto tra immutabile identità dei mondi, solo rappresentati e già compiuti nell'intelletto divino, anche se solo per Dio e non per l'uomo, e incomprensibile combinazione che rischia di cadere nell'arbitrarismo di un Essere non condizionato, anche di fronte alle sue libere scelte, nella misura in cui non è costretto a seguirle: fra l'idea del Dio onnipotente e dell'Essere che nell'agire segue quanto l'intelletto si limita a rappre-sentare, Leibniz pare seguire una terza via che, ponendo insieme permanenza e mutamento, tende a uscire dal conflitto indicato, presentando un'altra soluzione.

Il superamento dell'opposizione tra arbitrarismo divino e inintelligibilità delle scelte di Dio, che, tenendo presente quanto rappresentato dall'intelletto supremo, non crea, diversamente da Cartesio, le verità eterne13, appare anche nel Carteggio con Arnauld quando il filosofo, alle stringenti obiezioni di Arnauld sul significato dei possibili, afferma: “Son d'accordo con voi, contro i cartesiani, che i possibili sono tali prima di tutti i decreti attuali di Dio, ma non senza che presuppongano qualche volta gli stessi decreti intesi come possibili. Infatti le possibilità degli individuali o delle verità contingenti racchiudono nella loro nozione la possibilità

13 Sulle verità eterne Cartesio, in una lettera inviata a Mersenne il 15 aprile 1630, sostiene: Non mancherò di accennare nella mia fisica a parecchie questioni metafisiche e, particolarmente, a questa: le verità matematiche, che voi dite eterne, sono state stabilite da Dio e ne dipendono interamente, al pari di tutto il resto delle sue creature. Sarebbe infatti parlare di Dio come di un Giove o di un Saturno ed assoggettarlo allo Stige o al Destino, sostenere che queste verità sono indipendenti da Lui. Non abbiate timore - vi prego - di assicurare e di pubblicare ovunque che è Dio che ha stabilito queste leggi in natura, come un re stabilisce leggi nel suo regno. Non ve n'é nessuna in particolare che non possiamo comprendere se la nostra mente si pone a considerarla, ed esse sono tutte mentibus nostris ingenitae, nello stesso modo in cui un re stamperebbe le sue leggi nel cuore di tutti i suoi sudditi, se ne avesse effettivamente il potere. Al contrario non possiamo comprendere la grandezza di Dio, per quanto ne siamo consapevoli". R. DESCARTES, Opere filosofiche, voll.2, a c. E. Loiacono, Torino 1994, I, p.365. Oeuvres de Descartes, publiées, par C. Adam et P. Tannery 12 voll., Paris 1987-1913. I, 144).

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delle loro cause, e cioè liberi decreti di Dio. In ciò differiscono dalle possibilità delle specie, o verità eterne, che dipendono dal solo intelletto di Dio, senza presupporne la volontà, come già ho spiegato più sopra”14. All'idea che i possibili non siano prodotti da Dio, Leibniz aggiunge una distinzione tra decreto attuale e decreto possibile, dove il primo rinvia all'esistenza dei possibili, il secondo qualche volta, sostiene Leibniz, viene prima degli stessi possibili: i possibili sono in funzione dei decreti possibili, cioè i possibili, sono decretati da Dio, diversamente dalle verità eterne che, essendo rappresentate eternamente da Dio, non possono essere mutate perché non richiedono l'agire divino. Le verità, eterne sono i possibili immutabili, mentre i possibili, come, ad esempio, Adamo, Cesare ecc., sono in relazione all'operare divino, non essendo concepibili alla luce del solo intelletto divino che vede, senza mutare, le verità eterne.

Come si vede, il termine possibile riguarda sia le verità eterne, sia le nozioni possibili, solo che, nel primo caso, possibile significa ciò che può essere rappresentato in modo immutabile dal soggetto, sia esso finito o infinito, nel secondo caso, ciò che, pur non essendo prodotto in modo univoco da Dio, è intelligibile mediante i decreti divini. Con ciò non si vuole affermare che Leibniz, nonostante sembri criticare l'arbitrarismo divino, finisca col cadere in concezioni da lui stesso criticate, ma si vuol sostenere che il filosofo teorizza, in merito ai possibili e ai mondi possibili, una terza posizione che esclude tanto l'arbitrarismo, quanto una visione che ritiene che Dio rappresenti solo in modo chiaro e distinto, oltre che in modo adeguato, per il tramite dell'intuizione divina, quanto è presente nel suo intelletto.

L'emergere, poi, del decreto divino non significa l'accentuazione della volontà a scapito dell'intelletto, visto che Leibniz, quando si riferisce ai decreti divini"15, adopera anche i termini disegno o scopo che pongono in luce non solo un aspetto volitivo, ma anche intellettivo, unendo insieme rappresentazioni e

14 G. W. LEIBNIZ, Carteggio con Arnauld, in Scritti filosofici e lettere, cit., p.156. (GERHARDT, Phil. Schr., II, 51). 15 Ibid.

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attuazione delle rappresentazioni, che, in tal modo, non sono staticamente date all'intelletto divino che non andrebbe oltre una penetrante visione, volta a cogliere la diversa complessità dei possibili, senza modificarli in alcun modo.

La precisazione di Leibniz ad Arnauld chiarisce che i pos-sibili non si identificano sempre con le verità eterne e che sono posti da Dio da un intelletto, ad un tempo, rappresentativo e attivo: "ma per farmi meglio capire, aggiungerò che io ammetto un'infinità di modi possibili di creare il mondo, secondo i diversi disegni che Dio poteva formare: e che ciascun mondo possibile dipende da qualche disegno principale, o scopo di Dio, ad esso proprio: vale a dire, da qualche decreto libero primitivo (concepito sub ratione possibilitatis), o leggi dell'ordine generale di tale universo possibile, a cui queste convengono, e di cui determinano la nozione, così come la nozione di tutte le sostanze individuali che devono entrare in quello stesso universo. Poiché tutto rientra nell'ordine, compresi gli stessi miracoli, nonostante che essi siano contrari a qualche massima subalterna, o legge di natura"16.

L'unione, nella stessa frase, di termini quali decreto, disegno, scopo palesa che l'idea che Leibniz ha di Dio supera la distinzione tra l'intelletto divino che rappresenta e la volontà che pone in essere quanto rappresentato dall'intelletto: dalla separazione e dal rapporto di queste due facoltà Leibniz passa all'attribuzione allo stesso intelletto divino di una capacità, nello stesso tempo, contemplativa e attiva che accomuna il vedere al fare, evitando tanto l'arbitrarismo, quanto l'idea di un operare divino fuori dei limiti di qualsiasi criterio e, come tale, espressione di un'onnipotenza assoluta e intrascendibile.

La risposta di Leibniz ad Arnauld, pur nell'inevitabile complessità della precisazione del filosofo tedesco, chiarisce due punti: c'è differenza tra essenza ed esistenza, perché quest'ultima richiede un decreto divino che la caratterizza rispetto alla mera essenza c'è, inoltre, distinzione tra necessità metafisica, e che segue un criterio logico, e necessità fisica17 che comporta alcune leggi 16 Ibid. 17 Ibid., 49.

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fisiche, scelte da Dio, che avranno validità per l'Adamo attuato e la sua storia e non per Dio stesso che le ha poste nel mondo esistente. Resta, ad ogni modo, saldo un punto, in base al quale Dio sceglie l'Adamo concreto, a partire da un'essenza possibile Adamo che è comune all'Adamo reale nel mondo decretato e agli Adami possibili, appartenenti ai diversi mondi possibili: dalla nozione possibile Adamo si arriva agli Adami possibili, dall'adamità, che sembra una proprietà comune, si hanno gli Adami possibili, da una nozione astratta si passa alle nozioni complete, a seconda del mondo cui fanno parte, e alla nozione completa del mondo esistente. Il passaggio dalla nozione possibile Adamo agli Adami possibili segue, per un verso, la teoria dell'inerenza dei predicati al soggetto, per un altro, intende il soggetto come somma o moltiplicazione di predicati che sono essenziali - primo uomo, ad esempio, a proposito di Adamo - e non essenziali per tutti i mondi, laddove l'essenza possibile Adamo è sullo sfondo dei mondi possibili che, per questo motivo, hanno una struttura comune, legata all'unione di certi predicati essenziali che non possono mancare in questi mondi. 3. Le nozioni generali e la visione parte-tutto

Oltre alla teoria dell'inerenza dei predicati ai soggetti e alla teoria che considera il soggetto come somma o prodotto di predicati, è opportuno indagare se in Leibniz c'è, anche se non immediatamente in primo piano, un'altra concezione che condiziona il procedere del discorso riguardante il modo con cui da una nozione generale si procede ai diversi mondi possibili e al mondo esistente in cui quella nozione viene diversamente determinata.

La nozione generale - Adamo, seguendo l'esempio di Leibniz - include in sé predicati essenziali e non essenziali in altri mondi e solo essenziali in quei mondi cui si riferiscono: dall'Adamo in genere si hanno i differenti Adami per somma o sottrazione di predicati, operazioni queste che non possono mutare le caratteristiche essenziali, salvo a passare ad un'altra nozione. I

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predicati essenziali ineriscono ai soggetti in modo differente rispetto ai predicati non essenziali che sono propri dei soggetti in modo necessario solo rispetto ai mondi entro cui questi sono situati e in modo non necessario rispetto agli altri mondi, mentre i predicati essenziali, che appartengono a una nozione in tutti i mondi, sono note comuni che non possono mancare, tranne a non riferirsi alle stesse nozioni generali.

Ciò significa che la somma e la sottrazione di predicati incontra un limite, rappresentato dalle note caratteristiche, anche se generali, di una nozione concepita sub ratione generalitatis: dalla determinazione di predicati, che attribuiscono sempre più note a una nozione generale, si ottiene, inversamente, con un processo di soppressione di predicati, non l'indeterminazione, ma la generalità di una nozione generale.

Da quanto detto, l'aspetto che va compreso è legato al-l'interpretazione delle nozioni generali che svolgono un ruolo rilevante nella genesi dei mondi possibili e che, essendo concepite in rapporto alla teoria dell'inerenza e a quella che considera il soggetto come somma o prodotto di predicati, presentano difficoltà interpretative non trascurabili se si pone in rilievo che, da un lato, il soggetto è uguale a una somma o prodotto di predicati, dall'altro, i predicati rientrano nel soggetto che, per suo conto, non è equivalente alla somma o al prodotto dei predicati in quanto è il loro fondamento.

Al di là di questa difficoltà, connessa all'interpretazione della sostanza come somma e moltiplicazione di predicati o come fondamento trascendente tutti i predicati attribuiti, la nozione concepita sub ratione generalitatis può assumere un significato diverso, quando si intende per generale il prodotto di un'operazione astraente che, da taluni Adami possibili, ad esempio, coglie alcune note comuni che diventano così essenziali in rapporto a questa operazione. Adamo in genere, secondo la prospettiva indicata, lungi dall'essere una nozione precedente gli Adami possibili, fra cui Dio sceglie il più perfetto, seguendo il criterio del meglio, in realtà sarebbe logicamente successivo agli Adami possibili di cui rappresenterebbe una mera astrazione.

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Leibniz, secondo questa interpretazione, muterebbe il prodotto di un'astrazione, che tiene presente le note comuni di una nozione e non considera quelle diverse, in una nozione originaria che fonderebbe le stesse nozioni possibili, poste nei diversi mondi: è presente, anche in questo caso, come appare, il contrasto tra visione che accentua la trascendenza della sostanza e visione che coglie la sostanza come insieme equivalente di predicati ad essa sostituibile. Se si segue la seconda concezione, ogni nozione generale è ottenuta con la combinazione di più predicati da parte del-l'intelletto divino; se, invece, si segue la prima, che pone in rilievo l'originarietà delle nozioni generali rispetto a ciò che da esse deriva aggiungendo predicati, queste manifestano uno spessore ontologico che va ben oltre ogni mera attività combinatoria o astrattiva: le nozioni generali, in quest'ultimo caso, pur essendo diverse dalle immutabili verità eterne, fanno parte dell'intelletto divino non come risultati di un procedimento astrattivo o di una combinatoria divina, che opererebbe collegando in tutti i modi possibili i predicati ideati dallo stesso essere supremo, ma come strutture essenziali.

Tenuto presente il contrasto indicato tra le due visioni, che, pur non ben distinte dal filosofo tedesco, appaiono con la nozione generale che fa da sfondo ai mondi possibili, è il caso di tentare di dare un'interpretazione, che, unendo in modo diverso strutture fondanti, da un lato, e processo combinatorio di addizione e sottrazione di predicati, dall'altro, riesca a spiegare la sostanza come fondamento dei predicati, insieme con il soggetto considerato quale risultato di un'operazione combinatoria.

Le nozioni generali, alla luce di quanto emerso dalla nostra indagine, non appartengono a un mondo e, come note comuni a più mondi, rivelano un'attività divina che, mediante accrescimento o diminuzione di taluni predicati attribuiti alle nozioni generali, produce più serie di cose fra loro collegate, ma non compresenti se non nel suo intelletto: ogni serie di cose è come una sfera compiuta che non entra in rapporti con le altre serie di cose che sono

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indipendenti le une dalle altre e che solo l'Essere supremo vede immediatamente in tutti i loro molteplici rimandi.

L’accrescimento e la diminuzione di predicati, ferme restando le note comuni delle nozioni generali, hanno un significato ideale-ontologico nell'intelletto divino: l'attribuzione di un predicato, oltre quelli essenziali, a una nozione generale e la sottrazione di un predicato palesano un'attività produttiva che dà vita a mondi possibili fra loro differenti. In tale ambito, i mondi possibili, fra i quali Dio sceglie, per il tramite del criterio del meglio, il più perfetto per farlo passare all'esistenza, richiedono il riferimento al campo delle nozioni generali che, sebbene non costituiscano alcun mondo, contribuiscono a spiegare la genesi degli infiniti mondi.

Ogni mondo possibile ha un legame parte-tutto che non consente il mutamento di qualsiasi parte, anche quella appa-rentemente più accidentale, se non perdendo l'identità e le strutture caratteristiche di un mondo in riferimento agli altri che, oltre a una dimensione comune, rappresentata dalle verità eterne, hanno aspetti diversi, quali le leggi fisiche18 che, essendo come massime subalterne rispetto al disegno divino, non sono necessarie in ogni mondo e come i decreti particolari di Dio che individuano un mondo nei confronti degli altri.

I mondi, secondo questa prospettiva, manifestano più serie di cose fra loro connesse in modo organico – dove ogni parte è entro un tutto e si riferisce al tutto - come totalità fra loro indipendenti e autosufficienti in cui una parte non può passare da 18 Riguardo alle massime subalterne Leibniz ritiene: “Poiché, dunque, non può fare nulla che non sia nell'ordine, possiamo dire che i miracoli non sono meno nell'ordine che le operazioni naturali, chiamate così perché conformi a talune regole subordinate, che chiamiamo natura delle cose. Di questa natura si può dire che non è altro che un'abitudine di Dio, di cui egli si può dispensare in vista di una ragione più forte di quella che l'ha spinto a servirsi di quelle regole. Quanto al carattere generale, o particolare della volontà si può dire, a seconda di come si consideri la cosa, che Dio fa tutto secondo la sua volontà più generale. che è conforme all'ordine perfettissimo da Lui scelto, oppure anche che Egli ha volontà particolari, che sono eccezioni a quelle regole subordinate di cui si è detto: perché la più generale delle leggi di Dio, che regola il tutto dell’universo, non soffre eccezioni". G. W. LEIBNIZ, Discorso di metafisica, in Saggi filosofici e lettere, cit., p.109. (GERHARDT, Phil. Schr., IV, 432).

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un mondo a un altro e ogni totalità non può accogliere entro di sé qualsiasi parte, come se fosse una struttura indifferente a qualsiasi cambiamento e, come tale, indeterminata e diversamente individuabile. L’impossibilità di una parte di passare da un mondo a un altro non vale solo per il pensiero finito che comprende, seguendo una concezione che fa leva su un nesso parte-tutto, che ogni parte è entro il tutto che, per conto suo, non è indipendente dalle parti, anche se non ad esse riducibile, ma anche per l'intelletto divino non in grado, allo stesso modo di quello finito, di portare una parte, saldamente legata a un mondo, in un altro mondo che ha differenti legami caratterizzanti.

L’impossibilità notata, anche per l'Essere supremo, di spo-stare un elemento di un mondo in un altro, va, ad ogni modo, illuminata, al fine di capire se essa rivela più che una limitazione, una caratteristica essenziale al procedere divino che segue un determinato criterio che non contrasta con quanto osservato considerando il legame fondamentale di ogni mondo il quale, come visto, ha un significato organico. In tal modo, l'impossibilità di non agire alla luce di un criterio organico - spostare un elemento da un mondo, definito da una certa totalità, in un altro mondo, caratterizzato da una diversa totalità – può diventare intelligibile se si pone in luce che ciò che vale per ogni mondo, vale anche per Dio che opera in modo ordinato; sennonché, fra il procedere organico di Dio e la strutturazione organica, anche se differente, di ogni mondo, è opportuno fare una distinzione che spieghi il nesso parte-tutto, proprio di ogni mondo, e l'agire, secondo un rapporto parte-tutto, dell'Essere supremo che, per tale via, rivela non una limitazione, ma una caratteristica costante che lo individualizza, al di là di ogni riconosciuta trascendenza del creatore rispetto alle creature.

Volendo chiarire questo aspetto della teoria leibniziana riguardante l'Essere assoluto e i mondi possibili, torniamo a riconsiderare le nozioni generali che, come indicato, pur essendo propri dei mondi possibili, non fanno parte di alcun mondo. Quest'affermazione, che esclude l'appartenenza delle nozioni generali ai diversi mondi possibili che manifestano un nesso parte-

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tutto, non esclude, però, che le strutture organiche, immanenti in ciascun mondo, coesistano con il modo di fare complesso, seguito dall’Essere supremo, a proposito delle nozioni generali, che, secondo tale prospettiva, lungi dall'essere il prodotto di un'attività astrattiva che muta il prima - gli Adami possibili - nel poi - Adamo, inteso in senso generale, come dotato di attributi essenziali - palesano un agire che opera secondo un nesso parte-tutto.

Con questa affermazione, vogliamo porre in rilievo che le nozioni generali hanno una struttura internamente connessa, nonostante possano, ad una prima considerazione, essere interpretate come risultati raggiunti da un procedimento che coglie ciò che è comune e astrae da ciò che è diverso. Le nozioni generali, che consentono, con l'aggiunta di predicati non essenziali in ogni mondo ed essenziali in un solo mondo, molteplici nozioni complete, vanno interpretate come se fossero modelli originari, rappresentati dall'Essere supremo, che, con l'aggiunta di ulteriori tratti, - che sono, nel caso della teoria leibniziana dei mondi possibili, i predicati non essenziali in ogni serie di cose e propri di un solo mondo – produce le nozioni complete che, oltre ai predicati essenziali, hanno predicati accidentali nei confronti degli altri mondi, tranne in quello cui appartengono.

Nell'ambito di questa interpretazione, ciò che rimane co-stante al variare, con l'aggiunta di predicati non essenziali, delle nozioni generali, è il legame con il piano divino che caratterizza tanto le nozioni generali, quanto le nozioni complete da esse otte-nute combinando in modo differente i predicati, senza mutare quelli essenziali che sono immutabili, se non si vuole passare ad altre nozioni generali che presentano un diverso insieme di predicati immutabili.

L’Essere supremo, da questo aspetto, mostra un criterio che segue il rapporto parte-tutto e che pone in essere strutture organiche immanenti, cioè i mondi possibili, fra quali fa passare all'esistenza il più perfetto; sennonché, anche l'Essere supremo non può modificare, come notato, un elemento di un mondo e farlo passare in un altro mondo, cioè non può, visto che ogni elemento è

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strutturato in rapporto a una determinata totalità, inserire una totalità, presente anche in un singolo elemento, in un'altra totalità.

Questa impossibilità attribuita a Dio può suscitare meraviglia al soggetto finito perché sembra un limite che Dio non può superare e che occorre, da tale aspetto, interpretare per vedere se, sotto questo limite, si nasconde una caratteristica, propria dell'Essere supremo, e non dell'ente finito. Dio non può, ad esempio, inserire un soggetto, Cesare, che in un mondo passa il Rubicone e conquista il potere a Roma in un altro mondo in cui Cesare non passa il Rubicone e non ottiene il potere a Roma; Dio, cioè, sembra seguire il principio di non contraddizione che non consente di affermare e negare insieme uno stesso predicato di un determinato soggetto: l'onnipotenza dell’Essere assoluto non è incondizionata, tale da rendere possibile, seppure teoricamente, l'assurdo.

Il limite, nondimeno, attribuito a Dio è, in questo senso, il segno non di una mancanza - assolutezza incondizionata -, ma di un'azione fondata e, come tale, intelligibile, anche per i limitati poteri conoscitivi dell'uomo che non può ammettere la possibilità dell'assurdo e del non senso. Dopo quanto visto, cerchiamo, nondimeno, di andare oltre la caratteristica individuata, propria anche dell'Essere supremo, e chiediamoci se l'affermazione del principio di non contraddizione, valido anche per Dio, riveli un principio assoluto o se, invece, vi sia un altro aspetto fondante che lo spieghi.

Nell'ambito della prospettiva indicata, è da considerare che la visione divina e il procedere divino, diversamente da quanto avviene per l'uomo, escludendo il tempo come successione di prima e dopo, fanno leva sull'immediatezza e sulla coesistenza simultanea di passato, presente e futuro: pensare un soggetto come Cesare che passa il Rubicone e, ad un tempo, non passa il Rubicone significa vedere immediatamente uno stesso soggetto che fa e non fa una determinata azione.

In tal modo, non è il principio di non contraddizione a fondare il procedere divino, ma l'immediatezza della sua visione e della sua azione che impediscono la coesistenza di azioni opposte

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e l'inserimento di un elemento di un mondo in quello di un altro mondo che ha un diverso sviluppo e differenti nessi essenziali. La diminuzione di potenza, attribuita anche a Dio, manifesta, come appare, accentuando il rinvio del principio di non contraddizione alla visione immediata divina, una caratteristica essenziale: la capacità dell'Essere assoluto di rappresentare, senza mediazioni, ciò che al soggetto finito appare con la storia, come successione collegata di eventi, dove il prima condiziona il dopo e il dopo è connesso al prima in un processo successivo.

Il non inserimento di un elemento di un mondo in quello di un altro mondo non toglie, tuttavia, che Dio sia in grado di vedere immediatamente un Cesare che non passa il Rubicone e un Cesare che passa il Rubicone, purché non sia la stessa nozione completa di Cesare che opera in un solo mondo, ma due nozioni complete di Cesare fra loro diverse, sebbene abbiano note comuni essenziali, che si trovano in mondi differenti. In quest'ultimo caso, la contraddizione non sorge non perché Dio, così come è inteso da Leibniz, da un lato, segue il principio di non contraddizione e, dall'altro, non lo segue, causando difficoltà interpretative legate all'affermazione, a seconda degli ambiti, e alla negazione dello stesso principio, ma perché la visione e l'azione divina sono immediate, sicché Dio non può fare coesistere in uno stesso mondo un Cesare che passa e che non passa il Rubicone, mentre può vedere, sempre in modo immediato, un Cesare che in un modo attraversa il Rubicone e in un altro non lo attraversa, quando i mondi sono concepiti come coesistenti nella rappresentazione divina.

La contraddizione riguarda un solo mondo, qualora si pensi di inserirvi elementi di un altro mondo che sono diversamente strutturati, nonostante le somiglianze, nei confronti dell'altro mondo, non più mondi, contemplati contemporaneamente dall'intelletto divino che è in grado di abbracciarli tutti con un solo sguardo, senza cadere, in tal modo, in contraddizione19.

19 Si tenga conto dei paragrafi 14 e 15 della Causa Dei: nel primo, Leibniz afferma che la "scienza dei possibili è quella che viene chiamata scienza di pura intelligenza e che si occupa delle cose e dei loro rapporti, sia che le une e gli

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La capacità, inoltre, di rappresentare gli infiniti mondi immediatamente richiede altre due caratteristiche, già presenti nella esclusione di un elemento di un mondo in un altro mondo, cioè l'indipendenza dei mondi fra loro e la loro autosufficienza, tale che ogni mondo sembra una sfera compatta che opera e agisce, senza essere condizionata dal fatto che altre sfere sono egualmente compatte e fondate in se stesse e ordinate secondo un nesso parte-tutto, proprio, come visto, di tutti i mondi.

In aggiunta alle caratteristiche individuate che valgono per tutti i mondi, è il caso di metterne in rilievo un'altra: tutti i mondi, quantunque abbiano note comuni fondamentali, - verità eterne immutabili, leggi fisiche, decreti divini, anche se fra loro differenti, e nozioni complete tutte compatibili - non comunicano fra loro, come se ogni mondo fosse l'unico, tranne che per la visione divina la quale è in grado di comprenderli insieme immediatamente nella loro individualità e nella loro apparente assolutezza. 4. Le nozioni generali come modelli essenziali

Le nozioni generali, poi, non essendo termini comuni raggiunti dopo un procedimento astrattivo, volto a cogliere l'identico e a non tener conto del diverso, fanno pensare a schemi essenziale che, variamente definiti, consentono differenti determinazioni. Ciò significa che Leibniz, con le nozioni generali che sono strutturate in un modo internamente connesso, anche se non fanno parte di alcun mondo, ma stanno a fondamento dei mondi possibili, intende porre in luce non tanto il tema delle proprietà essenziali e accidentali espresse dalle nozioni complete, altri siano necessari o contingenti”, nel secondo, che “i possibili contingenti possono essere considerati sia separati che coordinati in una infinità di mondi possibili e completi, ciascuno dei quali é stato perfettamente conosciuto da Dio, anche se poi egli ne ha fatto esistere uno solo. Non serve a nulla allora tentare di immaginarsi l’esistenza di più mondi: per noi ce n’è uno solo che abbraccia la totalità delle cose create in ogni luogo e in ogni tempo, e in ogni modo questo è il senso che si dà al termine mondo”. G. W. LEIBNIZ, Monadologia, Causa Dei, a G. Tognon, Bari., 1991, pp.130-131. (GERHARDT, Phil. Schr., VI, 440).

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proprie dei mondi e fra loro compatibili alla luce del disegno divino, quanto il processo di determinazione che rende possibile, a partire dalle nozioni generali, comuni a più mondi, le nozioni complete dei vari mondi.

La validità di questa posizione leibniziana sta nell'intendere in modo dinamico gli infiniti mondi che, in tal modo, non sono solo rappresentati dall'intelletto divino che non si limita a vederli entro la regione dei possibili come già da sempre dati e immutabili: fra la staticità di un intelletto che vede i mondi possibili, da sempre compiuti e costituiti da una serie di rimandi e di nessi fondamentali che sono ordinati secondo il nesso parte-tutto, e un agire divino, privo di regole, che dà rilievo all'onnipotenza divina, incomprensibile per l'uomo, Leibniz sceglie una via intermedia che, da una parte, evita di affermare l'assolutezza incondizionata dell'Essere, che porta, estremizzata, alla negazione di un senso intelligibile e della stabilità del mondo esistente, dall'altra, impedisce di sostenere una concezione solo riproduttiva, volta a cogliere ciò che è contenuto nell'intelletto divino in modo eterno e immodificabile.

La teoria di Leibniz, che non cade mai in queste due po-sizioni estreme, mette in rilievo le nozioni generali possibili che, non essendo identificabili con le verità eterne, valide in tutti i mondi possibili, rendono comprensibile, conservando un nucleo immutabile, rappresentato da alcune note essenziali attribuite a determinati modelli, un'attività divina che va oltre un semplice vedere ciò che è entro il proprio intelletto: Dio non rappresenta nozioni complete, già definite nei loro differenti predicati e posti negli infiniti mondi possibili, perché compie un'attività che le pone in essere.

Il vedere divino, anche in questo caso, rimane, solo che è un vedere ciò che Dio stesso fa nel suo processo rivolto a determinare le nozioni generali che, lungi dall'essere il risultato di un processo astrattivo che rinvia alla rappresentazione delle nozioni complete dei diversi mondi, sono in rapporto a un operare divino intento a delimitarle: le nozioni complete dei vari mondi sono fatte da Dio,

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combinando in diverse maniere taluni predicati cori quelli essenziali, attribuiti alle nozioni generali.

Alla luce di tale prospettiva, si spiega anche per quale motivo le nozioni generali, pur essendo internamente collegate, non fanno parte di alcun mondo, quantunque appaiano determinate nei mondi possibili: Leibniz, allorché si riferisce alle nozioni generali mette sullo sfondo i mondi cui poi esse faranno parte, una volta definite, aggiungendo ai predicati essenziali predicati non essenziali in tutti i mondi, perché individua una condizione, propria di tutti i mondi, che, nondimeno, non appartiene esclusivamente ad alcuna serie di cose rispetto alle altre.

Alla dimensione immutabile in ogni mondo, rappresentata dalle verità eterne, e alle leggi che, come massime subalterne rispetto al piano divino, sono scelte da Dio, si aggiungono le nozioni generali che, differentemente compiute, sono presenti nei mondi possibili: l'attività divina non sta solo nello scegliere certe leggi fisiche, tipiche dei mondi e non comuni a tutti i mondi, ma anche nel porre le nozioni complete, tenendo in vista le nozioni generali.

L’agire divino, in virtù di tale interpretazione, per quanto non sia assoluto, visto che non crea l'essenza, ad esempio, uomo come animale razionale, che per Leibniz è una verità eterna dell'intelletto divino20, è in grado, determinando una nozione generale, di situare diverse nozioni complete in vari mondi possibili 20: “ Gli antiche ravvisavano nella materia, che essi consideravano increata e indipendente da Dio, la causa del male: dove dobbiamo trovare questa causa noi, che facciamo derivare ogni essere da Dio? La risposta suona: essa è da ricercarsi nella natura ideale della creatura. in quanto detta natura è contenuta nelle verità eterne che si trovano nell’intelletto di Dio, indipendentemente dalla sua volontà. Si deve, infatti, considerare che, già prima del peccato, c'è nella creatura una imperfezione originaria, perché la creatura è essenzialmente limitata; né quindi, può sapere tutto, anzi, può ingannarsi e commettere altri errori. Platone dice, nel Timeo, che il mondo ha la sua origine nell'intelligenza congiunta con la necessità; altri collegarono Dio e la natura. A ciò si può dare un senso accettabile: Dio è l’intelletto, e la necessità - cioè la natura essenziale delle cose - è l'oggetto dell'intelletto, in quanto tale oggetto consiste nelle verità eterne. Ma quest'oggetto è interiore e si trova nell'intelletto divino". (GERHARDT, Phil. Schr., VI, 104).

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che hanno certe note essenziali. La genesi delle nozioni, poste nei differenti mondi, avviene tramite un processo che aggiunge e sottrae predicati non essenziali alle nozioni generali che diventano una dimensione non in primo piano, propria di ogni mondo, pur non essendo entro alcun mondo, diversamente dalle nozioni complete.

L’impossibilità di riferire le nozioni generali ad un mondo, che sembra porre uno iato nella teoria dei mondi possibili, dopo le considerazioni fatte, assume un significato diverso se viene intesa come genesi delle nozioni complete. Le nozioni generali che non fanno parte di alcun mondo e che, tuttavia, stanno a fondamento di ogni mondo e che spiegano le nozioni complete fra loro compatibili, svolgono, in tal modo, nel discorso di Leibniz, un ruolo fondamentale, come schemi essenziali determinabili in differenti modi dall'Essere supremo che, oltre a rappresentare il contenuto immutabile del suo intelletto, pone le nozioni complete nei mondi possibili, componendo più predicati non essenziali con quelli essenziali, propri delle nozioni generali.

Con ciò non si vuole affermare che la posizione di Leibniz sia esente da difficoltà ermeneutiche e risolva tutti gli aspetti problematici, emersi con la teoria dei mondi possibili, solo che con tale posizione il filosofo dà rilievo a una concezione che, quantunque sostenga l'agire dell'Essere supremo, non cade nell'arbitrarismo, tipico di un Essere che non è tenuto a seguire alcun criterio comprensibile, e, allo stesso modo, per quanto ribadisca l'immutabilità delle verità eterne, presenta, con le nozioni generali concepite come fondamento delle nozioni complete, un processo produttivo che, sebbene ancora sia concepito nell'ambito di un'operazione combinatoria compiuta da Dio, come addizione e sottrazione di predicati, va oltre sia una visione contemplativa del fondamento, sia una teoria che vede nel principio assoluto un incomprensibile creatore.

Quanto, poi, alla difficoltà di interpretare il significato delle nozioni complete situate nei mondi possibili, è opportuno ricordare che l'idea di un Essere supremo in grado, tenendo presenti talune nozioni generali, di porre in essere le nozioni complete,

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presenta non poche analogie con l'agire di un soggetto finito che, nei suoi processi ideativi, individua in modo diverso uno stesso progetto generale, al fine di scegliere la soluzione migliore: le determinazioni possibili di uno stesso progetto non sono fra loro in contraddizione, dal momento che il soggetto ne sceglie una, fra le tante possibili rappresentate, che farà passare all'esistenza. La contraddizione sussisterebbe se più di una soluzione passasse all'esistenza, laddove, se una sola di esse diventa reale, non c'è contraddizione: con termini diversi, per Leibniz la contraddizione non concerne il possibile ideato, ma l'esistente attuato che esclude la contemporanea presenza e apparizione nel reale degli altri possibili non compatibili.

La nozione generale, in tal modo, fa pensare a un piano essenziale che, pur non essendo completamente definito, consente diverse determinazioni, ottenute aggiungendo alcune note, non presenti nel piano originario, che si limita a porre in luce alcuni tratti o predicati - cercando di tradurre questo discorso nella teoria leibniziana - che possono essere meglio definiti, con la combinazione di altri tratti, - predicati non essenziali per Leibniz -: i tratti aggiunti individuano il piano generale, senza che alcuni di essi siano esclusivi rispetto ad altri tratti collegati, cioè una stessa nozione - piano originario - può essere definita con note diverse, tutte egualmente possibili, se si tengono in vista gli elementi o tratti o predicati originari secondo Leibniz. Questi, infatti, fissano i limiti entro cui può operare il processo di individuazione, compiuto da un soggetto che, in tal senso, non è segno di creazione assoluta, ma di progressiva specificazione, sulla base di nozioni generali per il filosofo tedesco, che diventano schemi essenziali da definire in modo diverso nel processo ideativo-produttivo.

In tale concezione i tratti originari sono fra loro in stretto rapporto, sicché, se si toglie un tratto e si lasciano immutati gli altri, tutto lo schema originario muta: si può aggiungere e sottrarre note non essenziali e non si può mutare quelle essenziali che sono come una dimensione immutabile entro la quale può riferirsi una molteplice - taluni tratti non essenziali - e non al di là della quale, visto che condiziona il processo volto a determinarla in modi

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sempre diversi: l'attribuzione di nuove note o tratti è, come si vede, chiaramente limitata, nonostante ammetta differenti possibili combinazioni di aspetti non originari con quelli originari.

Le nozioni generali, inoltre, fanno apparire, rispetto alle verità eterne, caratteristiche diverse, individuate sia da un modello essenziale che può essere variamente compiuto, tenendo conto delle note essenziali non modificabili, sia da un concetto che è meno esteso nei confronti delle essenze eterne - si pensi, ad esempio, all'essenza uomo concepito come animale razionale e a Cesare come nozione generale che, pur avendo le note tipiche dell'essenza uomo, presenta anche altre note, proprie di Cesare, e non, poniamo, di un altro cittadino romano -, sia da un termine medio che fa da tramite fra l'essenza universale immutabile e, poniamo, i diversi singoli Cesari dei mondi possibili, fra i quali Dio sceglie questo Cesare del mondo esistente.

Al di là delle caratteristiche considerate riguardanti le nozioni generali, ad ogni modo, queste vanno interpretate in rapporto a un'attività svolta dall'Essere supremo che, tenendo presente l'essenza immutabile uomo, seguendo l'esempio sopra fatto, per rendere intelligibili i singoli uomini che operano nei mondi possibili, si rappresenta una nozione che ha note tanto dell'essenza universale - uomo secondo l'esempio portato -, quanto di ciò che è comune a diverse nozioni, che fanno parte dei mondi possibili, e a questo uomo, situato in un determinato mondo attuato. Le nozioni generali, come rappresentazioni divine, esprimono una capacità dell'Essere supremo che ha un valore ontologico, in quanto l'intelletto divino appare non solo come attività combinatoria, in grado di separare e unire predicati di un soggetto, ma anche come attività che pone vedendo e vede ponendo, sicché una nozione generale assume più l'aspetto di una figura essenziale delineata, che potrà essere ulteriormente determinata, a seconda delle note aggiunte, che di un concetto su cui si esercita un'operazione generalizzante eseguita dall'intelletto divino.

L’intelletto divino, secondo la prospettiva esaminata, pone in rilievo, in Leibniz, una capacità che pensa e vede, ad un tempo, cioè che accomuna le funzioni attribuite in genere al-

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l'immaginazione21 che, in questo senso, non è un segno di limitazione e finitezza, ma di pienezza e creatività, dove il vedere è un raffigurare e il pensare è un pensare raffigurante: le nozioni generali, sono concetti essenziali e insieme figure che fanno pensare a un modello dinamico mediante il quale, con la delineazione di alcuni tratti fondamentali, sono ideate diverse possibili determinazioni che, poi, per Leibniz, sono proprie dei mondi possibili entro cui Dio sceglie il migliore, portandolo all'esistenza.

La mediazione, espressa dalle nozioni generali, fra essenza universale e immutabile e rappresentazione degli esseri finiti, situati nei vari mondi, non avendo un significato statico, non è ottenuta a partire, da un lato, dall'essenza universale ed eterna e, dall'altro, dai singoli esseri possibili, in quanto è posta dall'Essere supremo che si rappresenta un elemento essenziale, anche se non dotato dello stesso valore delle verità eterne, che assume la veste di schema fondante per le nozioni complete dei mondi possibili.

Se, poi, si vuole indagare il motivo che spinge Leibniz a teorizzare le nozioni generali come schemi che stanno alla base delle nozioni complete, è opportuno far presente che Leibniz, con le nozioni generali, trova un elemento in grado tanto di ribadire l'idea di un Essere che sceglie, nell'ambito di infinite possibilità, questo mondo a preferenza di altri, quanto di dare una spiegazione che intende geneticamente i mondi possibili, rappresentati dall'intelletto divino: le nozioni generali, come modelli essenziali, sono concepite dal filosofo quale origine, anche se non assoluta - visto che occorre sempre considerare la validità immutabile delle verità eterne e la scelta delle massime subalterne nei mondi possibili - delle nozioni complete che, dopo le considerazioni fatte, non sono da sempre date in modo immutabile nell'intelletto divino

21 Sull'immaginazione in Leibniz cf. una lettera del filosofo alla regina Sofia Carlotta successiva ai Nuovi Saggi, dove l'immaginazione comprende sia le nozioni dei diversi sensi che sono chiare e confuse, sia le nozioni del senso comune che sono chiare e distinte. L’immaginazione, tuttavia, in Leibniz ha anche un significato ontologico quando si pone in luce la concezione di un Dio che rappresenta e combina infiniti mondi possibili. (GERHARDT, Phil. Schr., VI, 501).

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si limiterebbe solo a rappresentarle in modo chiaro e distinto e anche adeguato in tutte le loro complesse relazioni.

Oltre ai due motivi indicati, che cercano di dare un'in-terpretazione del significato, nel pensiero di Leibniz, delle nozioni generali, è anche il caso di rilevare che queste nozioni, essendo, ad un tempo, concetti visti e figure essenziali pensate, palesano la presenza, nell'Essere, di una dimensione intellettivo-ideativa che rinvia all'agire di una capacità pensante, visiva e produttiva che, in tal modo, non è comprensibile come un modo di operare solo astrattivo e meramente combinatorio di predicati compatibili. 5. Calcolo metafisico ed espressività divina

Del resto, se si considera la nota frase di Leibniz, scritta dal filosofo in margine al manoscritto, pubblicato dal Gerhardt con il titolo Dialogus, che è stato composto nel 1677, secondo la quale “cum Deus calculat et cogitationem exercet, fit mundus”22, si vede che il termine calculat è in rapporto ai termini cogitationem exercet che fanno pensare a un'attività espressivo-rivelativa dell'Essere, non spiegabile solo nell'ambito di una mera capacità combinatrice di predicati attribuibile a un soggetto, seppure incondizionato. Una semplice combinazione di predicati, poi, richiede il soggetto che dovrebbe spiegare, cioè, per un verso, il soggetto è il prodotto di determinati predicati fra loro combinabili, senza cadere in contraddizione, per un altro, i predicati vengono riferiti a un soggetto che è loro preesistente. Le due concezioni, che pongono in luce o la trascendenza del soggetto rispetto ai predicati che pure gli vengono attribuiti, o l'equivalenza del soggetto con determinati predicati ad esso riferiti, che danno rilievo a una considerazione aritmetica, dove, ad esempio, un numero può essere concepito

22 GERHARDT, Phil. Schr., VII, 191. Sull'interpretazione di questa frase si veda D. MAHNKE, Leibnizens Synthese von Universalmathematik und Individualmetaphysik, Halle, 1925, p.43. Heidegger così interpreta la frase di Leibniz: “Quando Dio gioca si genera il monido”. M..HEIDDEGGER , Il principio di ragione, a c. F. Volpi, Milano. 1991, p. 191.

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come equivalente alla somma di altri determinati numeri in esso compresi, rivelano o la trascendenza di un'attività espressiva rispetto a quella combinatoria o la trascendenza di un'attività espressiva nei confronti di quella combinatoria che rinvia a un nucleo che, pur a fondamento delle combinazioni, non è ad esse equivalente. Ciò significa, con termini diversi, che non c'è identità - a parte il problema o di accentuare il calcolare sull'esprimere il pensiero, in questo caso proprio di Dio, seguendo la nota di Leibniz, o, inversamente, l'esprimere sul calcolare - fra il calcolare e l'esprimere che palesano due attività compiute dall'Essere supremo che, sebbene siano in rapporto, non sono fra loro sostituibili.

Oltre a questa considerazione, se ne può fare un'altra che, tenendo presente la difficoltà di intendere il calcolare divino come una combinazione di predicati che richiedono un soggetto che vi stia a fondamento, problematizzi ciò cui si rivolge il calcolare. Il calcolare, infatti, non è solo interpretabile come quantità di predicati in relazione a un soggetto che viene sempre più determinato, ma anche come combinazione di possibili che, in tal modo, consentono infiniti mondi, tutti fra loro diversi, nell'ambito di una struttura immutabile, data dalle verità eterne, valide in tutti i mondi.

Anche in questo caso, non c'è equivalenza fra il calcolare e l'esprimere visto che Leibniz, nella frase ricordata, dà risalto al processo che porta al mondo reale e mette sullo sfondo gli infiniti mondi possibili fra cui Dio decreta il migliore, facendolo passare all'esistenza. Se vi fosse equivalenza fra il calcolare e l'esprimere, si perderebbe la concezione, tipica di Leibniz, di un Dio che rappresenta infiniti mondi possibili fra i quali sceglie: dalle infinite combinazioni di possibili che danno vita a infiniti mondi ideali, il filosofo passa a dilucidare il mondo esistente che, così, è la determinazione di un'estensione più ampia che sta a fondamento del mondo esistente, senza essere ad esso riducibile.

Intendere la combinazione dei possibili come espressione compiuta del pensiero divino significa identificare il possibile con il reale, laddove per Leibniz il possibile non equivale al reale, che è solo una determinazione di un campo più ampio che è alla base

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della scelta divina. L’espressione del pensiero divino non riguarda solo il mondo reale, ma anche i mondi possibili che non diventano esistenti alla stessa stregua del mondo scelto, essendo meno perfetti di quello reale; questo, del resto, non comprende l'intera attività espressivo-rivelativa dell'Essere supremo, che sta a fondamento del reale e del possibile, che è concepito come regione delle verità eterne, identiche all'intelletto divino inteso in senso oggettivo.

Da tale aspetto, se i mondi possibili, come combinazioni di nozioni, esprimono il pensiero divino e se il mondo reale, come combinazioni di possibili che diventano esistenti, rivela, parimenti, il pensiero divino, è da considerare per quale motivo Leibniz privilegi il mondo reale rispetto a quelli possibili che palesano anche - visto che tanto i mondi possibili, quanto quello reale richiedono l'agire dell'Essere supremo - il fondamento assoluto nell'operare con l'insieme delle sue facoltà.

Si potrebbe a ciò obiettare che il mondo reale presenta, nei confronti dei mondi possibili, la nota dell'esistenza che ha qualche caratteristica non propria dei mondi possibili, una volta che non è concepita come mero predicato che rimane nell'ambito del pensiero: il mondo reale rinvia non solo all'intelletto divino, che combina possibili e li rappresenta immediatamente in modo distinto e adeguato, ma anche alla volontà che pone in essere il possibile. L’esistenza, secondo la prospettiva considerata, è il frutto di una volontà che, pur seguendo la rappresentazione dei possibili, attua quelli più perfetti: il possibile, a sua volta, rinvia all'intelletto che rappresenta ed esclude l'agire della volontà che è esistentificante.

Tale concezione, tuttavia finisce, nel tentativo di cogliere ciò che in più presenta l'esistenza23 rispetto all'essenza, col negare l'agire della volontà, per quanto riguarda il possibile, e con l'affermare la presenza attiva, ad un tempo, di intelletto e volontà per quanto concerne il reale. All'idea di un Essere che vede e

23 Riguardo al nesso possibilità - esistenza in rapporto al principio di ragione sufficiente cf. lo scritto senza titolo di Leibniz che si trova in GERHARDT, Phil. Schr., VII, 289-291.

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rappresenta i possibili e le loro combinazioni fa contrasto un Essere che contempla e attua talune combinazioni di possibili, nell'ambito di una determinata serie di cose scelte.

Da quanto già notato, invece, anche il Dio di Leibniz, che rappresenta i possibili e le loro serie, manifesta l'operare della volontà che non è solo limitabile al campo dell'esistenza. Le combinazioni possibili, del resto, che producono gli infiniti mondi possibili, ideati dall'intelletto divino, se non sono concepite come staticamente date entro la natura dell'intelletto divino, che si limiterebbe a vederle nelle loro complesse relazioni, palesano l'operare di un'attività che coglie sia gli enti ideali, sia le loro combinazioni, ottenute mettendole in serie complesse, fra loro diverse, ma tutte compatibili entro le singole combinazioni: i mondi possibili non sono solo contemplati in modo distinto e adeguato, oltre che immediato, ma anche prodotti da un Essere supremo che, in tal modo, vede sia le verità eterne immutabili del suo intelletto, sia le combinazioni dei possibili raggiunte collegandoli, visto che, come indicato, questi hanno un significato più ampio rispetto al campo delle verità eterne immodificabili.

Dio, secondo l'interpretazione proposta, vede i risultati del suo intelletto rappresentativo e attivo che non è assolutamente altro dalla volontà, condizione essenziale per spiegare l'esistenza nei confronti dell'essenza. L'esistenza, poi, che comporta il rinvio all'intelletto e alla volontà di Dio, attua la serie più perfetta combinata e ideata da Dio, cioè l'esistenza è concepita in funzione di un criterio che non è solo logico, come massima compatibilità di possibili che passano all'esistenza, ma anche assiologico che tiene conto, seguendo quest'ultima prospettiva, della distinzione. ad esempio, tra uomo e animale, tra anima e spirito.

Tornando all'interpretazione della frase, già citata, del Dialogus, non si può, a nostro avviso, cogliere l’intero senso del pensiero di Leibniz rendendolo così: quando Dio calcola e manifesta i suoi pensieri, sorge il mondo, perché, dopo ciò che abbiamo detto, il pensiero divino si esprime anche con la combinazione infinita dei possibili e non solo con l'attuazione di una determinata serie di possibili che diventa reale. Se, invece,

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proviamo ad interpretare il termine exerceo non tanto come manifestare, quanto come tenere in esercizio, far muovere e lo sostituiamo a manifestare, si ha che quando Dio calcola e fa muovere il suo pensiero, sorge il mondo: il mondo richiede l'agire divino, cioè la negazione di un possibile stato di “riposo” che viene superato con il dinamismo del principio divino.

Seguendo la sostituzione del termine exerceo con far muovere al posto di manifestare, emerge un aspetto essenziale dell'Essere supremo che ha in sé la possibilità di agire - così si attua il mondo reale - o di non agire, tanto da non porre in essere il mondo reale.

L'attribuzione di una duplice possibilità all'Essere supremo, che può agire o non agire, pone all'interprete il problema di intendere non tanto il significato dell'operare che appare con l'attuazione della serie più perfetta delle cose, quanto il senso da attribuire al non agire divino che sembra, se accentuato, ridurre l'Essere ad uno stato di quiete e identica immobilità.

Nel caso dell'Essere supremo, a nostro avviso, la quiete e identica immobilità non va intesa come eternità statica e assenza di vita, ma - seppure parzialmente, come meglio vedremo nel seguito del nostro discorso - come stato di autocontemplazione che non produce ciò che è nuovo e diverso rispetto allo stato iniziale, cioè Dio vede e rappresenta se stesso immediatamente nel complesso della sua natura, dove l'intelletto divino svolge un ruolo fondamentale, essendo concepito da Leibniz in senso soggettivo, come attività rappresentativa, e in senso oggettivo, come insieme delle verità eterne, regione dei possibili pensati dall'intelletto, considerato in modo soggettivo.

Dio, da questo aspetto, vede con l'intelletto il suo stesso contenuto che riguarda le verità eterne immutabili e i possibili, senza mutarli o porli in rapporto fra loro come, al contrario, comporta il combinare, espresso dal termine calcolare, che produce un'infinita serie di cose fra loro diverse in relazione ai diversi gradi di perfezione: il vedere divino non è mera riproduzione di quanto è già presente nella sua natura, in quanto esprime, pur nell'ambito di una compiuta rappresentazione, un'attività che, però, - e questo è un aspetto essenziale che diversifica la rappresentazione intuitiva

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divina da quella intuitivo-combinatoria, svolta dallo stesso Essere - non collega i possibili fra loro per produrre gli infiniti mondi possibili.

Facendo agire tale considerazione, il calcolare divino significa il far muovere i possibili, solo che, anche in questo caso, il far muovere, proprio dell'Essere, ha un significato più ampio rispetto alla posizione del mondo reale che è in relazione a una estesa combinazione e rappresentazione dei possibili e dei mondi da essi costituiti.

Resta non spiegata, intendendo exerceo con far muovere, la corrispondenza fra calcolare e far muovere, visto che il far muovere è presente anche nella combinazione delle serie possibili che non passano all'esistenza, tranne che exerceo significhi - e non ci pare di poterlo sostenere – mettere in atto, come passaggio all'esistenza, che dà rilievo al reale e mette sullo sfondo la più vasta sfera del possibile: il calcolare produce il reale solo se rinvia a un calcolare ideale che non rimanda necessariamente a ciò che esiste che, da questo aspetto, è solo una determinazione di un campo più vasto.

E' vero, comunque, che Leibniz, con il termine exerceo, vuole porre in luce un aspetto dinamico, che porta alla scelta del mondo reale fra i tanti possibili, e il passaggio del possibile all’esistente, sicché é, a nostro avviso, quanto meno riduttivo, interpretare il calcolare come sinonimo dell’attività espressa dal termine exerceo, sia esso inteso come mettere in movimento o come porre in atto nell'esistenza: Leibniz, con la frase del Dialogus già indicata, non mira a dare rilievo ai risultati - mondo esistente - rispetto alle condizioni che consentono la sua attuazione, ma al processo che, stando a fondamento degli stessi risultati, rende possibile il superamento del conflitto tra staticità rappresentativa e dinamicità volitivo-ideativa, tra essenza ed esistenza, mondi possibili e mondo reale.

In tal modo, è come se Leibniz sostenesse, cercando di interpretarlo: con il processo del calcolare si mette in movimento il pensiero divino e sorge il mondo reale.

Questa interpretazione ha la caratteristica di evitare che il calcolare ponga immediatamente il mondo esistente perché pone in

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risalto l'estensione dei mondi possibili che rinviano, a loro volta, all'agire delle combinazioni fatte dall'Essere supremo che non diventano attuali: fra il combinare divino e la scelta del mondo migliore che passa all'esistenza, ci sono i mondi possibili che sono, anch'essi, il risultato di un calcolo divino che abbraccia, così, sia il reale che il possibile.

Si potrebbe a quanto detto aggiungere che il calcolo divino, pur essendo più esteso rispetto al reale e riguardando anche il possibile, è in funzione del mondo reale da decretare, cioè che il calcolo divino, sebbene non sia immediatamente esistenzializzante, nella misura in cui fa leva sulle molteplici serie di possibili, intende i possibili, combinati come sfondo per l'esistenza che, da tale aspetto, ha sempre una priorità rispetto agli stessi possibili che non solo la preparano, ma sembrano anche predisposti ad attuarla. La considerazione fatta, nondimeno, che intende i possibili in relazione all'esistenza da attuare, non trova completa rispondenza nel pensiero dì Leibniz che, nella Monadologia, per quanto affermi che il mondo esistente è intelligibile, mediante l'agire del principio di ragion sufficiente, seguito da Dio nel porlo in essere - dove il principio di ragion sufficiente è concepito come criterio della convenienza, legato ai diversi gradi di perfezione, propri dei vari mondi possibili - sostiene il rapporto fra mondi possibili e mondo esistente, alla luce della serie migliore attuata da Dio nel passaggio dal possibile all'esistente. Leibniz, del resto, così esprime il suo pensiero: “Ora, poiché v'è un'infinità di universi possibili nelle idee di Dio, e non può che esisterne uno solo, è necessario che vi sia una ragion sufficiente della scelta di Dio, la quale lo determini a scegliere l'uno piuttosto che l'altro” 24.

Gli universi possibili sono rappresentati dalle idee di Dio, indipendentemente dal problema posto dall'esistenza del mondo decretato da Dio, che, per questo motivo, non spiega la più vasta estensione dei mondi ideati, oggetto del pensiero divino; oltre a ciò, se si interpretasse l'estensione dei mondi possibili in rapporto di 24 G. W. LEIBNIZ, Monadologia, in Saggi Filosofici e lettere, cit., p.377 (GERHARDT, Phil. Schr., VI, 615-116).

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dipendenza da quello reale, si cadrebbe in una posizione di tipo antropomorfico - pur presente in Leibniz - che considererebbe l'operare divino alla stessa stregua dell'agire di un essere finito, quale è l'uomo, visto che è proprio di un essere finito, che procede in modo razionale e non istintivo, prospettare varie soluzioni possibili, prima di agire, a un determinato problema da risolvere per scegliere, poi, per mezzo di una rappresentazione il più possibile chiara e distinta, quella soluzione che appare più opportuna a risolvere un problema. Dio, accentuando tale impostazione che spiega il possibile in funzione del reale da scegliere, assumerebbe anche, ad esempio, l'aspetto di un abile artigiano che si rappresenta varie soluzioni ideali per l'esecuzione di un'opera, prima di seguire quella che ritiene più idonea a porre termine alla sua visione intellettuale25. Se i mondi possibili dipendessero da quello reale, si perderebbe sia lo spessore ontologico dei possibili pensati da Dio - che verrebbero concepiti come differenti finzioni significative fino a quando non fossero superati dal mondo reale che li ridurrebbe a mero prodotto di una capacità immaginativa, non dotata di un valore ontologico autonomo rispetto alla soluzione scelta dal soggetto assoluto fra le tante possibili ideate -, sia la distinzione tra possibile, compossibile ed esistente, posto che tutti i mondi possibili, non diventando esistenti, tranne uno, sarebbero intelligibili e non contraddittori anche se restassero ideali.

In questo ambito, l'affermazione che Leibniz fa nella Confessio philosophi quando intende distinguere possibilità da verità, necessità da contingenza, è significativa per il nostro discorso: "L’Argenide di Barclay è possibile, ovvero immaginabile in modo chiaro e distinto, anche se certamente ella non è mai vissuta, né credo vivrà mai. A meno che non si propenda per quella dottrina secondo la quale tutti i possibili esisteranno nell'infinito decorso dei tempi futuri e non si può sognare alcuna favola che non abbia prima o poi a verificarsi nel mondo, sebbene in un amplissimo lasso di tempo. Ma, anche se lo concedessimo, resta il 25 Su Dio come artigiano si veda il Discorso di metafisica, S 22 (GERHARDT, Phil. Schr., VI, 615-116).

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fatto che Argenide non era impossibile in passato e tuttavia non è ancora esistita. Coloro che sostengono il contrario fanno necessariamente cadere ogni discrimine tra possibile e vero, tra necessario e contingente, e, servendosi di un distorto significato dei termini, si oppongono all'uso invalso presso il genere umano"26.

Il romanzo l'Argenide di Barclay è possibile in quanto pre-senta personaggi e vicende fra loro non in contraddizione sia singolarmente intesi, sia nell'insieme dei loro rapporti e, in questo senso, rappresenta un insieme compatibile, anche se non passerà mai all'esistenza; l'esistenza, in tal modo, non svolge una funzione egemone nei confronti della possibilità la quale, per conto suo, è dotata di uno stato autonomo rispetto all'esistenza: il possibile e il suo campo non vanno concepiti alla stessa maniera di molteplici tentativi fatti da un essere ragionevole prima di raggiungere un determinato scopo - soluzione di un romanzo o azione scelta dopo una lunga deliberazione - perché, seguendo una tale interpretazione, si finirebbe col ridurre all'immaginario le diverse possibilità ideate dal soggetto.

Fra l'esistenza del mondo e la possibilità di infiniti mondi che non giungono all'esistenza c'è una differenza: il mondo reale è il più perfetto rispetto ai mondi possibili che mostrano diversi gradi di perfezione fra i quali Dio sceglie. La diversità tra i mondi possibili e quello reale è, come si vede, ad un tempo, ontologica - i mondi possibili sono idee dell'intelletto divino increato - e assiologica, cioè fra i mondi possibili vale il criterio verticale dell'alto e del basso cui fa pensare l'immagine che Leibniz usa, nella Teodicea”27, della piramide che ha un vertice - il mondo più perfetto - e una base non definita che, fra l'altro, consente di non ridurre gli infiniti mondi possibili a un numero determinato di serie possibili comprese fra la base e il vertice.

Quanto Leibniz sostiene, negli Elementi della vera pietà, a proposito dei mondi possibili, riconferma, a nostro avviso, queste

26 G. W. LEIBNIZ, Confessio philosophi e altri scritti a c. F. Piro, Napoli 1992, p. 35 (G. W. LEIBNIZ, Confessio philosophi. La profession de foi du philosophe, texte, traduction et notes par Y. Belaval, Paris, 1961, p.55). 27 GERHARDT, Phil. Schr., VI, 432.

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distinzioni indicate: “Altrimenti detto, se così non fosse, non si potrebbe rendere ragione del perché esiste questa serie di cose e non piuttosto un'altra qualsivoglia. Almeno finché possono immaginarsi diverse serie di cose e finché non è da ritenersi che tutti i possibili esistano. Chi, infatti, crederà che non può immaginarsi nessuna favola che non sia esistita di fatto in qualche tempo o che non esisterà in futuro? E d'altronde è necessario che tra le diverse serie una sia eminente rispetto alle altre, altrimenti perché sarebbe questa ad esistere piuttosto che un'altra qualsivoglia? Sarà dunque eminente per perfezione e sarà scelto ciò che è più perfetto perché Dio, che è l'autore delle cose, è perfettissimo”28.

L'esistenza del mondo reale non è concepita in funzione della compatibilità dei possibili, visto che anche i mondi possibili sono compatibili, ma non per questo esistenti: il mondo esistente attua la serie di cose più perfetta e i mondi possibili presentano diversi livelli di perfezione, sebbene siano tutti egualmente compatibili, al di là di una maggiore o minore complessità di relazioni ad essi sottesa.

Il principio di ragion sufficiente29 fonda il mondo reale più perfetto, quando per perfezione non si intende la quantità di essenza concepibile con le altre essenze, proprie del mondo scelto, ma la perfezione morale che dà rilievo non tanto alla quantità dei possibili fra loro compossibili, seguendo il principio della coerenza logica, quanto al valore complessivo dei possibili passati all'esistenza.

Il Dio di Leibniz, in questo caso, non assiste a un conflitto di possibili che si svolge nell'ambito della sua trascendente visione, senza aggiungere o modificare ciò che avviene nel suo stesso intelletto, che, per tale concezione, finirebbe quasi con l'essere uno

28 G. W. LEIBNIZ, Confessio philosophi e altri scritti cit., p. 104 (G. W. LEIBNIZ, Textes inéditis d’apres les manuscrits de la Bibliothèque provinciale de Hanovre, publies et annotés par Gaston Grua, 2 voll., Paris 1948, I, p. 17) 29 Sul principio di ragion sufficiente in Leibniz con la relativa letteratura rin-viamo al nostro G. Giannetto, Principio di ragione e metafisica in Leibniz e Kant, Napoli, 1996.

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specchio neutrale che rappresenterebbe quanto si compie nella sua natura, in quanto è in grado non solo di vedere i possibili nelle loro interne complessità, ma anche di metterli fra loro in relazione. Ciò richiede l'agire di un criterio qualitativo che mira alla serie più perfetta, indipendentemente dall'insieme dei possibili che sono concepibili, seguendo un principio meramente logico che si basa sulla maggiore o minore compossibilità, senza cadere in contraddizione: alle relazioni logiche si oppongono le relazioni di valore, dove l'estensione non è sinonimo di perfezione, la quantità di qualità. la dimensione orizzontale, cioè più possibili fra loro in rapporto, di dimensione verticale, vale a dire più possibili dotati di diverso grado di elevazione morale, al di là di una semplice considerazione aritmetica volta a porre in luce la quantità e non il valore dei possibili fra loro collegati. 6. Piano divino e calcolo

Dopo aver notato che il termine exerceo della frase leibniziana del Dialogus non può essere solo individuato dalle operazioni legate al mostrare e al porre in movimento, intendendo il possibile in funzione dell'esistente, proviamo a interpretare exerceo con non lasciare in riposo, tener vivo, far muovere, dove è da rilevare che il significato del termine "riposo" non è in grado di spiegare il mondo esistente.

Operando la sostituzione di significato indicata, la nota frase di Leibniz assumerebbe questo senso: quando Dio calcola e non lascia in riposo il suo pensiero, sorge il mondo; tale sostituzione, però, finirebbe col ricadere nelle interpretazioni già considerate che mettono in rilievo l'esistente e pongono in ombra il ruolo del possibile, ampiamente presente nel pensiero di Leibniz.

Se, infatti, riteniamo che calcolare sia sinonimo di non lasciare in riposo e di mettere in movimento i possibili, si ha che quando Dio calcola, sorge il mondo esistente, cioè il calcolo è rivolto a porre in essere il mondo migliore, mettendo sullo sfondo la complessità dei mondi ideati che, pur diversamente perfetti, a

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seconda dei gradi di elevazione, sono rappresentati dall'intelletto divino che combina i possibili fra loro, al di là della tendenza all'esistenza.

Per cercare di risolvere il complesso rapporto possibilità-esistenza, presente nella considerazione di Leibniz. è anche opportuno intendere che cosa significa, per il filosofo tedesco, il termine cogitatio che può essere inteso non solo con pensiero, idea, riflessione, meditazione, ma anche con piano e progetto, sicché quando Dio calcola e non lascia in riposo il suo piano, sorge il mondo. Il mondo reale è, da questo aspetto, l'attuazione del piano divino, senza che il calcolare sia sempre sinonimo di porre in essere, come passaggio all'esistenza del mondo migliore rappresentato, visto che, fra le tante combinazioni possibili fra loro compatibili e dotate di diversa altezza di livello, solo quella più perfetta diventa reale: il calcolare, in tal modo, non è identificabile completamente con il porre in movimento, allorché si considera che solo uno, fra i tanti calcoli, essendo più perfetto, passa all'esistenza.

Tale interpretazione, poi, oltre a far emergere la più ampia estensione del possibile rispetto all'esistente, che è solo una sua determinazione, seppure più perfetta nei confronti delle altre, spiega quello che, su un piano metafisico, appare come un contrasto, entro l'Essere supremo, tra "riposo" e "movimento": il "riposo" non indica soltanto uno stato contemplativo dell'Essere, che è in grado di cogliere i possibili in tutti i loro diversi e più o meno complessi aspetti, in quanto va sempre compreso in rapporto al piano divino che esclude una visione meramente rappresentativa dell'intelletto divino che sta pago della sua eterna e immutabile quiete.

Con termini diversi, solo quando Dio calcola e mette in movimento il suo piano, si ha il mondo decretato, dove il calcolare non ha necessariamente una portata esistenzializzante e il possibile non è inevitabilmente proiettato verso l'esistenza: solo se la combinazione dei possibili è ottenuta in rapporto al piano divino che procede secondo il criterio del meglio, sorge il mondo reale, diversamente si ha un'infinità di mondi possibili coesistenti

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nell'intelletto divino che, nondimeno, non passano all'esistenza, anche se sono combinati e immediatamente visti nei loro specifici nessi.

Con tale discorso intendiamo sostenere che il calcolo compiuto da Dio è più esteso del calcolo che porta al mondo reale, in virtù del criterio del meglio: il "riposo" del piano divino non esclude il calcolo eseguito dall'Essere che continua ad agire nell'ambito dei possibili. Abbiamo, alla luce di questa interpretazione, due tipi di calcolo: uno porta all'esistenza un altro non porta all'esistenza e avviene entro l'intelletto divino, vale a dire il "riposo" del piano significa un'attività combinatoria assoluta e infinita, propria del principio incondizionato, priva del limite o della guida, a seconda della prospettiva seguita, del criterio che si basa sulla perfezione che non ha come fine il mondo passato all'esistenza. La difficoltà di comprendere la concezione leibniziana che cerchiamo di interpretare, che lascia sullo fondo, nella frase già citata, il problema se calcolare significa combinare per porre in essere i possibili o combinare, al di là del passaggio dei possibili dell'esistenza - problema già apparso, nell'ambito dell'ermeneutica leibniziana, a proposito della delucidazione teoretica del termine exerceo che può essere diversamente reso -, è anche legata all'individuazione del ruolo svolto da Dio nel pensiero del filosofo tedesco.

L'Essere, infatti, se combina i possibili, mediante il criterio della perfezione. richiama alla mente il Dio perfetto che decreta il mondo migliore - dove la volontà è guidata dall'intelletto, senza che una facoltà escluda l'apporto dell'altra -, se collega, invece, i possibili al di là di ogni criterio di perfezione, che finirebbe col rappresentare un limite alla sua natura, fa pensare al Dio onnipotente, privo di qualsiasi condizionamento, sia esso anche rappresentato dall'idea del bene che ispira la sua azione.

La potenza assoluta di Dio spiega la non identificazione del calcolo con la combinazione dei possibili che porta al mondo reale; la perfezione divina, al contrario, finisce con l'orientare la più ampia estensione dei possibili verso l'esistenza, rischiando di

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vanificare lo stesso campo dei possibili che verrebbero concepiti come condizioni che preparano il mondo esistente.

Questo, una volta attuato, li renderebbe non più validi, come rappresentazioni proprie di un soggetto, quasi soluzioni diverse a un determinato problema che, se fosse risolto, attuando una fra le tante soluzioni ideate, finirebbe col relegarle a ricordi o elementi preparatori, non più agenti nel pensiero di un essere che rappresenta e opera in funzione del reale.

Ad ogni modo, in base al significato attribuito al pensiero come piano o disegno, dove piano non vuol dire progetto migliore che fonda l'esistenza del mondo, si ha che quando Dio calcola e mette in movimento il piano migliore, sorge il mondo, mentre, quando Dio calcola e mette in movimento un piano che non è il migliore, anche se richiede una visione comprensiva che mette in rapporto una serie di possibili rispetto ad altre, non sorge il mondo esistente che è il risultato non di un piano, quale che sia, che segue un nesso parte-tutto, ma di un piano che ha in vista la maggiore perfezione attuabile fra le diverse serie di possibili fra loro compossibili.

L'interpretazione proposta della concezione leibniziana che, a nostro avviso, riesce a distinguere e a porre in rapporto l'estensione dei possibili con il mondo decretato, vedendo in Dio non solo la capacità di porre in essere, con il mondo scelto, la serie più perfetta di possibili, ma anche la capacità di fare combinazioni infinite di possibili - che, tuttavia, pur non diventando reali, rivelano l'onnipotenza di un Essere supremo in grado tanto di attuare ciò che è più perfetto, nell'ambito delle diverse serie di possibili, quanto di combinare e rappresentare serie fra loro connesse che rinviano a differenti piani che vi stanno a fondamento, anche se non tutti egualmente perfetti - finisce, però, col mettere sullo sfondo che Leibniz attribuisce un senso chiaramente dinamico a quel piano che porta al mondo esistente, senza escludere, nondimeno, che i piani che stanno alla base degli altri mondi possibili che non diventano reali manifestano, anche essi, un valore dinamico, dato che richiedono, allo stesso modo del mondo reale, una determinata combinazione di possibili.

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Riappare, in sede di interpretazione, il tema del “riposo” e quello del “movimento” attribuiti all'Essere e che abbiamo spiegato in senso relativo e non assoluto - considerando che la rappresentazione dei mondi possibili, da parte di Dio. non rimane su un piano contemplativo, come visione di ciò che si svolge nella natura divina, indipendentemente dallo stesso soggetto assoluto che si limiterebbe a cogliere, con il suo intelletto, quanto avviene entro la regione dei possibili che, come è noto, costituiscono l'intelletto divino in senso oggettivo - una volta concepiti in funzione di un'attività combinatoria che progetta le diverse serie di possibili.

Se la spiegazione del concetto del “riposo” dell'Essere su-premo è sostenibile, come noi riteniamo, resta ancora da con-siderare ulteriormente il senso dinamico riconosciuto da Leibniz al piano divino che dà esistenza a un determinato mondo in rapporto agli infiniti mondi ideati, rappresentati dall'intelletto divino, e tutti dotati, secondo la nostra interpretazione, di dinamicità, come manifestazioni di un'originaria attività combinatrice svolta da Dio.

In base a questa prospettiva, che accentua l'attività del-l'Essere supremo che collega e pone in essere la serie più perfetta, la complessa dinamicità del piano divino non è comprensibile contrapponendo l'intelletto divino, solo rappresentativo della regione dei possibili, alla saggezza divina che sceglie e attua il miglior mondo ideato, come opposizione tra piano migliore e mancanza di un piano, visto che ogni mondo manifesta un piano, come accordo di molteplici relazioni, anche se ciascun piano, da tale aspetto, è diverso dagli altri, propri dei diversi mondi possibili. Il piano migliore che si concretizza con il mondo più perfetto scelto, è differente dagli altri piani dei vari mondi, anche se conserva alcune note caratteristiche, tipiche di ogni mondo possibile, come, ad esempio, la presenza di un certo numero di relazioni che rinviano a più sostanze individuali. Le sostanze, a loro volta, non sono riducibili a predicati inclusi in altre sostanze, cioè le sostanze hanno una tale struttura ontologica che esclude, in questo senso, la loro implicazione, come predicati di un altro soggetto.

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Ogni mondo comporta, in tal modo, più relazioni che tengono ferma la distinzione tra le sostanze, solo che le relazioni che rinviano a un fuori delle sostanze escludono la possibilità che ciascuna di esse se ne stia in modo indipendente dalle altre: ogni mondo richiede rapporti30 che non diventano implicazioni, alla luce della teoria dell'inerenza dei predicati al soggetto, e rapporti che non rimangono assolutamente esterni.

Nel primo caso, si avrebbe una super sostanza che inclu-derebbe tutte le altre entro la sua natura, nel secondo, più sostanze che, non entrando in rapporto fra loro, è come se fossero tanti mondi, ognuno autosufficiente e chiuso in se stesso, privo di nessi con gli altri. Fra l'inclusione che, in realtà, finisce con l'annullare ogni mondo e l'assoluta esteriorità, che pone in luce una concezione in cui ogni sostanza è indipendente, essendo chiusa in se stessa, dalle altre, e che, parimenti, toglie la possibilità di un mondo, anche se solo ideale, come nesso fra sostanze, è il caso di porre in rilievo alcuni limiti che fondano la possibilità di ogni mondo e che consistono, considerati in modo essenziale, in relazioni che non diventano inclusioni e in inclusioni che fanno posto alle relazioni, come se queste fossero state progettate col piano divino e fossero propri di un mondo e non, poniamo, degli altri mondi ideati. Quest'ultimo limite mette insieme due aspetti che, anche da quanto già notato, sembrano, a una prima considerazione, non poter coesistere, cioè, da un lato, la teoria dell'inerenza dei predicati al soggetto che non lascia spazio alle relazioni. dall'altro, la presenza di relazioni che non consentono la teoria dell'inerenza. 30 Cf., ad esempio, quanto Leibniz sostiene nel carteggio con Arnauld, nella lettera del giugno 1686: “tutti gli avvenimenti umani non potevano fare a meno di accadere come sono effettivamente accaduti, supposta fatta la scelta di Adamo; ma non tanto a causa della nozione individuale di Adamo, per quanto tale nozione li racchiude, bensì a causa dei disegni di Dio, che entrano anche in tale nozione individuale di Adamo, e determinano quella di tutto questo universo, e conseguentemente tanto quella dl Adamo, quanto quella di tutte le altre sostanze individuali di questo universo, dato che ogni sostanza individuale esprime l'universo intero, di cui, fa parte secondo un certo rapporto, per la connessione che vi é fra tutte le cose in virtù del legame tra le decisioni o disegni di Dio” . G. W. LEIBNIZ, Scritti Filosofici e lettere, cit., pp.156-157 (GERHARDT Phil. Schr., II, 51).

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Per superare l'opposizione tra la teoria dell'inerenza dei predicati al soggetto e la concezione che dà rilievo alle relazioni che richiedono sostanze fra loro differenti, ma in connessione, è il caso di porre in evidenza che, da una parte, ogni mondo manifesta una teoria dell'inerenza, nella misura in cui nessun avvenimento, anche quello che sembra meno essenziale, è mutabile se non modificando lo stesso mondo, dall'altra, ogni mondo consta di una certa serie di relazioni, viste da Dio nella sua onnisciente rappresentazione; ciò significa, con termini diversi, che in ogni insieme di cose vale la teoria dell'inerenza dei predicati ai diversi soggetti che non esclude però, una serie di relazioni, tutte essenziali, per individuare un mondo rispetto agli altri.

L'inerenza, da quanto notato, non vale fra le relazioni che comportano sostanze distinte che non diventano mai le une predicati delle altre, ma per un soggetto che, non dato dalle diverse sostanze, è individuato dallo stesso mondo che rappresenta ciò che rende intelligibile la predicazione entro la quale tutto inerisce. Tale prospettiva è in grado di far coesistere le relazioni fra le sostanze con l'inerenza dei predicati ai soggetti, perché le relazioni non sono ideali, come espressioni soggettive di un soggetto considerante e, nello stesso tempo, non sono ridotte all'inerenza: l'inerenza, se mai, non è fra le sostanze, ma fra il vero soggetto - il mondo - che tutto comprende entro di sé e che, per la presenza delle relazioni, risulta articolato al suo interno.

Alle relazioni ideali, come si vede, Leibniz contrappone relazioni ontologiche che, lungi dall'esprimere un punto di vista mentale - proprio di chi coglie le sostanze dall'esterno e non riduce le une alle altre, come predicati propri di un soggetto, tali da rientrare in esso -, costituiscono la struttura di un mondo - insieme con le immutabili verità eterne che valgono per tutti i mondi possibili - che viene, così, diversificato da tutti gli altri che hanno relazioni strutturali diverse.

Le relazioni ontologiche rimandano ad un Essere assoluto che rappresenta e sceglie un mondo rispetto agli altri e che è in grado di andare oltre l'opposizione tra teoria dell'inerenza dei predicati al soggetto e visione solo mentale e soggettiva delle relazioni che non

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diventano predicati di sostanze. Questa caratteristica, tuttavia, riguardando tutti i mondi possibili, oltre al mondo reale decretato dall'Essere supremo, non è in condizione di spiegare la dinamicità del piano, caratteristico del mondo possibile posto in esistenza: la coesistenza di inerenza dei predicati ai soggetti e pluralità delle relazioni vale in ogni mondo, posto che il soggetto non è dato dalle diverse sostanze, ma dall'insieme strutturato, individuato da ciascun mondo, che, come sappiamo, non comunica con gli altri inondi, tutti egualmente rappresentati, anche se diversamente complessi, alla luce del criterio del meglio e della scelta divina più conveniente.

La dinamicità del piano attuato con il mondo esistente non è, da questo aspetto, tanto spiegabile con le note consistenti nell'inerenza di tutti i predicati al soggetto - in questo caso, ogni mondo è un soggetto diverso dagli altri mondi - e nella molteplicità di relazioni, dove ogni mondo manifesta una certa serie di relazioni differente dalle altre, proprie degli altri mondi, quanto con molteplici caratteristiche che, all'interno di una identità di base, tipica di ogni connessione di cose, sono in grado di diversificare un mondo dagli altri.

L'inerenza e la pluralità di relazioni, strutture comuni ad ogni mondo, assumono significati particolari se si pone in rilievo il numero e la qualità delle relazioni e l'estensione dell'inerenza, che può essere più o meno ampia, a seconda dei diversi mondi, sicché, se è vero che è possibile affermare di ogni mondo le note strutturali dell'inerenza e della pluralità di relazioni, è anche vero che l’inerenza di un mondo, concepita come insieme di predicati che sono impliciti in un soggetto - il mondo -, è altra dall'inerenza di un altro mondo che palesa un altro insieme di predicati, proprio di quel mondo.

Allo stesso modo, la pluralità di relazioni ontologiche che riguarda ogni mondo, va individuata prendendo in considerazione i differenti insiemi che richiedono serie di relazioni non comuni in tutti i mondi, ma solo in ciascun mondo. La maggiore o minore estensione di relazioni ontologiche, a sua volta, fa assumere un valore diverso all'inerenza, che può essere più o meno complessa in

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rapporto ai mondi in cui appare: ai mondi semplici, dotati di un numero limitato di relazioni, si contrappongono i mondi complessi individuati da molteplici relazioni.

La semplicità o complessità dei mondi è legata, ad ogni modo, concludendo in modo seppur parziale, alla semplicità o complessità dei piani divini che vi stanno a fondamento e che comportano, dopo ciò che abbiamo notato, una originaria capacità combinatrice dell'Essere supremo che, decretando di porre in essere il piano più perfetto, che è dotato di una maggiore articolazione rispetto agli altri piani che sono a fondamento dei diversi mondi - dove per articolazione si intende sia complessità di relazioni, sia corrispondente maggiore estensione dell'inerenza di un mondo rispetto agli altri - finisce sempre più col manifestare la sua continua attività che opera tanto nel possibile, quanto nel reale.