Momenti storici della ricerca matematica · 6.3 L’infinito e gli insiemi infiniti ... ad...

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Momenti storici della ricerca matematica di Renato Del Monte (appunti) Sommario 0.Introduzione 1. La prematematica 2. La nascita della matematica 3. Linguaggio e conoscenza 4. La nascita della matematica moderna 5. Gli sviluppi della geometria analitica 6. Momenti della matematica moderna 6.1 Le geometrie non euclidee 6.2 La geometria proiettiva 6.3 L’infinito e gli insiemi infiniti 6.4 Il calcolo delle probabilità 6.5 Aspetti e problemi della matematica del 900 0. Introduzione La dimensione matematica è connaturale all’uomo e ad ogni realtà materiale. Infatti, fin dai tempi più antichi, gli uomini hanno colto tale aspetto di se stessi e del mondo che li circondava e hanno cominciato una ricerca che non ha mai avuto fine e, anzi, nello scorrere dei secoli si è estesa e approfondita smisuratamente. Le brevi annotazioni che seguono vogliono fermare l’attenzione su alcuni momenti di questa ricerca e sulle scoperte più importanti a cui essa è pervenuta. 1. La prematematica La matematica, come disciplina organizzata e indipendente non esisteva prima del 600 a.C. e della civiltà greca. Tuttavia molti popoli antichi svilupparono notevoli interessi e osservazioni sugli aspetti matematici del mondo, fino ad avvertire la necessità di un linguaggio specifico che li ha portati ad inventare nuovi simboli e mettere a punto nuovi metodi per il calcolo. Alla loro ricerca mancavano due caratteristiche specificamente matematiche: l’astrazione e la generalizzazione. I documenti sui loro lavori testimoniano che le soluzioni ai problemi matematici erano noti solo in casi particolari e concreti (bastoni, campi, bestiame, eserciti, costruzioni ecc.) e danno l’impressione di nozioni matematiche afferrate a spizzichi, senza un metodo generale, come osservazioni utili a risolvere problemi pratici se non addirittura raggiunte in modo accidentale. Le ricerche matematiche più antiche di cui si ha traccia risalgono a Egiziani e Babilonesi (2000 a.C), Maya (1500 a.C.) e Cinesi (1000 a.C.) Di questo momento che si potrebbe indicare come prematematico fissiamo l’intuizione di partenza e una delle idee più geniali.

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Momenti storici della ricerca matematica

di Renato Del Monte

(appunti)

Sommario

0.Introduzione

1. La prematematica

2. La nascita della matematica

3. Linguaggio e conoscenza

4. La nascita della matematica moderna

5. Gli sviluppi della geometria analitica

6. Momenti della matematica moderna

6.1 Le geometrie non euclidee

6.2 La geometria proiettiva

6.3 L’infinito e gli insiemi infiniti

6.4 Il calcolo delle probabilità

6.5 Aspetti e problemi della matematica del 900

0. Introduzione

La dimensione matematica è connaturale all’uomo e ad ogni realtà materiale. Infatti, fin dai

tempi più antichi, gli uomini hanno colto tale aspetto di se stessi e del mondo che li circondava

e hanno cominciato una ricerca che non ha mai avuto fine e, anzi, nello scorrere dei secoli si è

estesa e approfondita smisuratamente.

Le brevi annotazioni che seguono vogliono fermare l’attenzione su alcuni momenti di questa

ricerca e sulle scoperte più importanti a cui essa è pervenuta.

1. La prematematica

La matematica, come disciplina organizzata e indipendente non esisteva prima del 600 a.C. e

della civiltà greca.

Tuttavia molti popoli antichi svilupparono notevoli interessi e osservazioni sugli aspetti

matematici del mondo, fino ad avvertire la necessità di un linguaggio specifico che li ha portati

ad inventare nuovi simboli e mettere a punto nuovi metodi per il calcolo. Alla loro ricerca

mancavano due caratteristiche specificamente matematiche: l’astrazione e la

generalizzazione. I documenti sui loro lavori testimoniano che le soluzioni ai problemi

matematici erano noti solo in casi particolari e concreti (bastoni, campi, bestiame, eserciti,

costruzioni ecc.) e danno l’impressione di nozioni matematiche afferrate a spizzichi, senza un

metodo generale, come osservazioni utili a risolvere problemi pratici se non addirittura

raggiunte in modo accidentale.

Le ricerche matematiche più antiche di cui si ha traccia risalgono a Egiziani e Babilonesi (2000

a.C), Maya (1500 a.C.) e Cinesi (1000 a.C.)

Di questo momento – che si potrebbe indicare come prematematico – fissiamo l’intuizione di

partenza e una delle idee più geniali.

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L’intuizione di partenza, il primo concetto astratto è stato quello di numero. Esso infatti fu

intuito fin dall’inizio come qualcosa di slegato da tutte le realtà fisiche cui lo si potesse riferire.

Un’idea geniale fu poi l’invenzione della scrittura posizionale dei numeri; la base era 60 per

i Babilonesi, 20 per i Maya e 10 per i Cinesi. Il metodo fu talmente buono che lo usiamo

ancora noi del 3° millennio d.C.

Stretta necessità di questo modo di rappresentare i numeri fu lo 0; era necessario per tenere una

posizione inequivocabilmente libera. I Babilonesi non utilizzarono lo 0 ma solo una maggiore

spaziature tra le cifre. Lo 0 fu concepito e usato, sia pur con simboli diversi, sia dai Maya

(conchiglia) che dai Cinesi . (cerchietto).

2. La nascita della matematica

Le conoscenze matematiche accumulate da egizi e babilonesi erano come un castello di

sabbia. Bastava toccarlo perché si sbriciolasse. I greci ne fecero un palazzo costruito di un

marmo indistruttibile, eterno.1

La matematica è una pianta viva, che ha avuto periodi di grande fioritura e di appassimento

in coincidenza con l’ascesa o la caduta di civiltà. Lottò per l’esistenza per lunghi secoli nella

preistoria e nella storia documentata. Riuscì finalmente a imporsi nel terreno, che le era molto

congeniale, della Grecia ed ebbe un periodo di grande rigoglio. In questo periodo produsse un

fiore perfetto, la geometria euclidea. Cominciarono lentamente a dischiudersi anche i bocci di

altri fiori e, guardando con molta attenzione si potrebbero discernere le linee principali della

trigonometria e dell’algebra; ma questi fiori avvizzirono col declino della civiltà greca e la

pianta rimase allo stato quiescente per un migliaio di anni. Nel 600 la pianta, trasportata nel

continente europeo ritrovò un suolo fertile e riacquistò il vigore che aveva posseduto nel

periodo aureo della Grecia…1

Nel 387 a.C. Platone istituì in Atene una scuola che chiamò Accademia. Tutto l'insegnamento in

Accademia fu influenzato dalla filosofia idealista e dal pitagorismo.

E' celebre una osservazione che Platone scrisse in La Repubblica: E quindi sai pure che essi [i

matematici] si servono e discorrono di figure visibili, ma non pensando a queste, sì invece a quelle di

cui queste sono copia: discorrono del quadrato in sé e della diagonale in sé, ma non di quella che

tracciano, e così via; e di quelle stesse figure che modellano e tracciano, figure che danno luogo a

ombre e riflessi in acqua, si servono a loro volta come di immagini, per cercar di vedere quelle cose in

sé che non si possono vedere se non con il pensiero2

Ecco dunque emergere la prima caratteristica del pensiero “scientifico”: l’astrazione.

Oltre, ma sarebbe più corretto dire “dentro”, la realtà sensibile la tensione di ricerca della cultura greca

coglie l’esistenza di un’altra realtà, la realtà astratta: la realtà cioè di tutto ciò che non è percepibile

dall’uomo con i suoi sensi. Si trattava di un nuovo orizzonte, con suoi concetti, sue leggi e suoi metodi;

tutti aspetti non visibili agli occhi del corpo ma visibilissimi agli “occhi della mente”, alla razionalità.

1 da La matematica nella cultura occidentale” di Morris Kline 2 Platone, Respublica VI, 510-511

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Aristotele ed Euclide furono allievi in Accademia.

Successivamente Aristotele insegnò in Accademia e poi se ne distaccò aprendo una sua scuola: il liceo.

Ad Aristotele il pensiero umano deve moltissimo. Per quanto riguarda la storia della matematica fu

d'importanza capitale la raccolta “Organon”: sei opere di logica con le quali Aristotele delineò non una

nuova scienza, bensì un organo di supporto e sviluppo del pensiero razionale in ogni campo della

conoscenza.

In tali opere l’autore introduce gli elementi costitutivi di ogni trattato razionale: i concetti o termini, le

proposizioni e le argomentazioni.

Sempre in questo contesto vengono distinti i 3 metodi di argomentazione: illazione, induzione e

deduzione.

Per quanto riguarda la matematica, quest'ultimo metodo fu l'ossatura portante di tutta la nascente

ricerca.

E' proprio legato a tale metodo argomentativo l'emergere della seconda caratteristica, l’universalità. A

partire da assiomi dichiarati, grazie alla deduzione si possono trarre ad evidenza proprietà del mondo

astratto in modo incontrovertibile, universale e definitivo. L’esempio più famoso di tale novità è

rappresentato dal teorema di Pitagora: il primo teorema della storia.

Molti, prima dei pitagorici si accorsero delle singolari proprietà dei lati di un triangolo rettangolo, ma

nessuno concepì la possibilità di dimostrare la validità di quelle proprietà per gli infiniti triangoli

rettangoli della geometria.

Verso il 300 a.C. l'imperatore Tolomeo 1° istituì la Biblioteca di Alessandria d'Egitto e chiamò ad

insegnare alla biblioteca le personalità più prestigiose del mondo culturale di allora che aveva la sua

espressione massima ad Atene. Tra gli altri chiamò anche Euclide e gli affidò l'insegnamento della

matematica. Poichè non c'erano libri di testo, ma solo vecchi manoscritti portati in grecia dai mercanti

che giravano il mediterraneo, l'Africa, l'India e la Cina, decise di scrivere una “dispensa” per i suoi

corsi. Furono i 13 libri degli Elementi di Euclide: il 1° testo scientifico della storia umana.

Tutti i testi successivi lo assunsero come modello di impostazione e sviluppo del pensiero. Fu copiato e

ricopiato in decine e decine di copie da molti traduttori, compresi gli Arabi. Nel 1482 uscì a Venezia la

prima edizione stampata. Da allora si conta che solo la Bibbia ha avuto un maggior numero di edizioni.

Euclide fu alunno di Platone, compagno di Aristotele. La sua formazione fu decisiva per strutturare il

suo nuovo testo.

Esso infatti fu costruito sui 3 livelli logici di concetti, proposizioni e argomentazioni.

I concetti, prevalentemente figure (dal punto ai solidi) e relazioni (congruenza, similitudine,

equivalenza ..) furono idee astratte e perfette, ideali e universali, secondo Platone.

Le proposizioni furono afferamazioni o giudizi universali o particolari, affermativi o negativi; con

necessità di dimostrazione oppure no; come scritto nella logica di Aristotele

Le argomentazioni furono condotte secondo la rigosità del metodo deduttivo; sempre secondo la

logica Aristotelica.

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L'intera opera fu come una carta geografica dell’astrazione matematica, capace di farne emergere le

forti oggettività, vincolate agli assiomi di base, e di esplicitarne le problematiche e le prospettive di

apertura per i posteri.

N.B.1 Tale potenza: provare una volta per tutte la validità di una relazione tra grandezze, per tutti gli

infiniti valori che queste grandezze possono assumere, è stata concepita senza il linguaggio simbolico,

che oggi ce la rende così facile da pensare (c2 + C2 = I2).

N.B.2 Questa seconda caratteristica del pensiero matematico, l’universalità, è abbinata alla scoperta del

metodo deduttivo come unico metodo logico per passare da affermazioni notoriamente vere ad altre, sia

pur molto diverse dalle prime, ma non meno inequivocabilmente e definitivamente vere. Ciò che si

poteva dimostrare vero con il metodo deduttivo restava vero per sempre; ciò che si poteva

dimostrare falso, restava falso per sempre. Non c’era autorità in grado di modificare la struttura e le

leggi della logica astratta. Chiunque se ne occupava doveva piegarsi alla sua struttura, al suo ordine,

alle sue armonie, ai suoi enigmi e paradossi.

Ciò che era reperibile in quell’ambito di realtà aveva le caratteristiche di perfezione (purezza) e

definitività (eternità).

Scrive Platone in Repubblica VII,77: Questo penso: che essi [i matematici] parlano di ciò che si può

solo concepire con l’intelletto e non si può trattare in nessun altro modo. E poco più avanti: Vedi

dunque caro amico che forse questa disciplina ci è davvero necessaria, poiché è evidente che costringe

l’anima a far uso del puro intelletto per giungere alla pura verità?

In Repubblica VII,78 scrive: Pertanto, se la geometria costringe a contemplare l’essere è utile, se

costringe a contemplare il divenire, no. (…) si tratta della conoscenza di ciò che eternamente è, non di

ciò che nasce e perisce.

E’ facile convenire – disse – che la geometria è effettivamente la conoscenza di ciò che eternamente è.

Un altro aspetto che ha fatto emergere il periodo classico della Grecità sull’orizzonte della conoscenza

umana e che, anche in questo caso, ha anticipato di molti secoli una consapevolezza recondita nelle

profondità del pensiero, è attribuibile ad Archimede. Egli ebbe la genialità di intuire lo stretto legame

tra l’astratto e il concreto; tra l’astrazione e la materialità; tra ciò che non poteva essere soggetto ai

sensi e ciò che invece era facilmente percepibile con essi; tra la matematica e la fisica. Più precisamente

Archimede seppe indagare l’astratto nel concreto fino a cogliere l’ordine astratto come intelaiatura,

legge, anima del concreto fisico, meccanico, materiale. Egli dunque si pose come sintesi tra la

matematica di Euclide (e perciò la logica e l’idealismo) e la materialità fisica degli oggetti, dei

fenomeni e delle macchine.

La genialità e “modernità” del suo metodo emerge in particolare nel trattato “Sui teoremi meccanici”,

nel quale dimostra teoremi riguardanti aree di figure a contorno curvo e volumi di solidi delimitati da

superfici curve usando un metodo meccanico basato sulle proprietà della leva (che lui stesso aveva

inventato).

Possiamo perciò indicare Archimede come il più grande precursore del pensiero scientifico moderno.

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Problemi e limiti della matematica greca

- Il problema dell’esistenza di numeri non razionali fu aperto dai Pitagorici e rimase senza

soluzione fino al 1872.

- L’idealizzazione ha avuto meriti enormi (scoperta della realtà astratta, scoperta del metodo di

deduzione) ma ha portato ad un diffuso disinteresse per le problematiche di carattere fisico,

commerciale e sociale che necessitavano di un’aritmetica più semplice e solida. I greci, forse

proprio per l’insormontabile problema della diagonale del quadrato furono inclini a tradurre

tutti i problemi con la geometria (infatti la somma di due segmenti era facile, anche se uno o

entrambi erano diagonali di quadrati, invece la somma di due numeri irrazionali era

incalcolabile). Ciò porto, del resto, a complicazioni enormi di problemi semplici, addirittura

all’impossibilità di risolvere problemi semplici come il prodotto di 4 numeri (…).

- I problemi aritmetici, oltre all’inconveniente dei numeri irrazionali, furono molto condizionati

(e trascurati) anche per la mancanza di simboli e motodi di scrittura e calcolo efficaci. I greci

rappresentavano i numeri con lettere dell’alfabeto e non utilizzarono la scittura posizionale.

- Le problematiche connesse all’infinito furono solo sfiorate da Euclide con l’assioma 2 degli

Elementi (una retta terminata può essere prolungata continuamente, per diritto) e da Eudosso

e Archimede con il metodo di esaustione: i greci concepirono solo un infinito potenziale, non

un infinito attuale. I paradossi di Zenone restarono un macigno sul cammino della matematica.

Quindi in definitiva la cultura matematica greca fu geometrica e finita.

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3. Linguaggio e conoscenza

Astrazione e universalità furono dunque scoperte dagli antichi greci, che però si accorsero ben presto

della impossibilità ad esprimerle in molti casi per la mancanza di un linguaggio adeguato.

La cultura matematica greca fu di carattere prevalentemente geometrico: ogni grandezza era interpretata

con un segmento di lunghezza proporzionale e le operazioni tra grandezze così rappresentate erano

svolte come costruzioni e trasformazioni geometriche: ad esempio un prodotto era l’area di un

rettangolo avente i fattori della moltiplicazione come misure dei suoi lati.

7 x 2 = 14

E’ proprio questa l’origine del nostro attuale modo di leggere x2 come “il quadrato di x”, ovvero x3

come “il cubo di x”.

(a+b)2=a2+b2+2ab negli Elementi di Euclide è scritto così: Se si divide a caso una linea retta, il

quadrato di tutta la retta è uguale alla somma dei quadrati delle parti e del doppio del rettangolo

compreso dalle parti stesse

Questo tipo di linguaggio, geometrico, aveva due grandi limiti, che contraddicevano proprio la

caratteristica di universalità.

Ad esempio Euclide non avrebbe potuto trattare l’equazione che oggi scriviamo così: ax + x2= b.

Infatti, se a, x e b sono segmenti, ax è un rettangolo, x2 un quadrato mentre b è un segmento; e non ha

senso che la somma di un quadrato e un rettangolo sia un segmento, perché sono grandezze

disomogenee.

Così pure non sono risolvibili problemi che abbiano soluzioni negative, come ad esempio trovare un

numero che addizionato a 7 dia per somma 1. Infatti non sono concepibili segmenti di lunghezza

negativa.

Già in questi semplici esempi emerge lo stretto legame tra concetti e linguaggio.

La mancanza di un linguaggio adeguato e la stretta necessità di appoggiarsi all’interpretazione

geometrica ha bloccato per secoli lo sviluppo del pensiero scientifico.

Il matematico inglese Keith Devlin scrive che La matematica si può vedere solo con gli occhi della

mente 3Infatti la matematica è della stessa natura astratta della musica e, come la musica, necessita di

un linguaggio che le è proprio. La musica però si può suonare e così, il suo linguaggio che può essere

incomprensibile a molti, diviene “leggibile” a tutti mediante l’udito.

La matematica invece non può essere udita; l’unico “senso” in grado di sentirla è la ragione dell’uomo.

Dunque per la matematica il linguaggio è di importanza insostituibile e la capacità di comprenderlo è

indispensabile per intendere le sue affermazioni e le sue armonie.

3 Il linguaggio della matematica – Keith Devlin Saggi- Boringhieri

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Storicamente l’invenzione e l’uso di una parola, di un simbolo o disegno, per indicare un’entità astratta

è andato di pari passo con il riconoscimento di quell’entità come tale. Disporre di un termine/parola o di

un simbolo o di una figura ha reso possibile afferrare e manipolare il concetto col pensiero.

La matematica dunque occupandosi specificamente della parte astratta della realtà ha avuto, tra le prime

sue necessità, quella di nominare gli enti che popolano questa realtà. E’stato perciò necessario forgiare

pazientemente un nuovo tipo di linguaggio, con caratteristiche particolari.

Le parole di questo nuovo linguaggio sono state a volte inventate ad hoc (ad es. “semiretta” o

“segmento circolare” o “quadrato” ), altre volte prese dal linguaggio ordinario e reinterpretate,

ridefinite (ad es. “potenza” o “relazione” o “funzione”).

Un passo verso lo svincolamento dell’algebra dalla geometria fu fatto da Erone di Alessandria, nel I

sec. d.C. Egli, pur usando ancora un linguaggio tradizionalmente geometrico, osa sommare grandezze

disomogenee come aree e lunghezze. Ad esempio uno dei problemi trattati in un suo scritto recita così:

Dato un quadrato tale che la somma della sua area e del suo

perimetro sia uguale a 896 piedi, trovare il lato.

In notazione moderna il problema può essere tradotto con l’equazione x2 + 4x = 896. E’ evidente che le

parole “quadrato”, “area” e “perimetro” hanno per Erone solo una valenza nominale, cioè appunto sono

svincolati dai significati geometrici – che renderebbero priva di senso la somma – e utilizzati in

mancanza di un simbolismo più appropriato ad indicare le operazioni numeriche astratte del problema.

In altri termini, in epoca Alessandrina (primi secoli dopo Cristo) maturano i concetti di un’algebra a sé

stante, indipendente dalla geometria, ma mancano le parole e le forme del linguaggio adatti a

esprimerne i concetti. In attesa di una evoluzione al riguardo, si utilizzano ancora le parole della

geometria, svincolate però dal loro significato geometrico.

Il linguaggio matematico di quest’epoca “prealgebrica” è comunemente indicato con “algebra retorica”,

con ovvia motivazione.

I secoli dal 250 d.c.fino al XVI sono secoli transitori nei quali si balbettano forme nuove di linguaggio

abbreviato che preludono all’algebra simbolica che ha nel matematico francese Francoise Viete (1540-

1603) il suo fondatore. Il linguaggio matematico di tale periodo transitorio è detto “algebra sincopata”.

Ecco una breve tabella in cui sono messi a confronto i 3 livelli di linguaggio (retorico, sincopato e

simbolico) su alcuni concetti di base.

Alg. retorica Alg. sincopata Alg. simbolica

Cosa co x

Censo ce x2

Censo di censo cece x4

Et et +

Minus m -

Isos is =

Il passaggio dall’algebra sincopata alla simbolica è stato progressivo e talvolta indotto da necessità

pratiche. Così ad esempio numeri e operazioni venivano largamente usati per tutte le attività

commerciali e amministrative. I simboli adibiti a rappresentare meno “m” e più “et” venivano scritti

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decine e decine di volte in registri e libri contabili, spesso di fretta. Così, piano piano, si deformarono,

m in un trattino – una m scritta di fretta – et in una crocetta. Questa è stata l’origine dei segni – e + che

oggi utilizziamo comunemente. E’ del 1557 l’assunzione definitiva dei due trattini paralleli per

rappresentare l’uguaglianza: scrive in proposito l’astronomo/matematico gallese Robert Recorde, a cui

si deve il passaggio linguistico ..per evitare la noiosa ripetizione di queste parole: "è uguale a", userò

un paio di linee parallele della stessa lunghezza, perché non ci sono due cose uguali tra loro più di due

rette parallele.

Alcune osservazioni aiutano a fissare il potere sei simboli:

Talvolta un cambiamento di notazione apparentemente modesto può suggerire un cambiamento di

prospettiva ben più radicale (Barry Mazur – matematico statunitense secnda metà 1900)

Esempi: P è un punto del piano euclideo; P è un punto improprio, ovvero una direzione del piano

proiettivo. f(x) è una funzione; f’(x) è una derivata (…). ∫ 𝑓(𝑥)𝑑𝑥𝑏

𝑎 è un numero; ∫𝑓(𝑥)𝑑𝑥 è una

famiglia di funzioni.

Alleggerendo il cervello di tutto il lavoro non necessario, una buona notazione lo rende libero di

concentrarsi sui problemi più complessi A.N. Whitehead - filosofo e matematico britannico fine 800)

Esempi:

- i=√−1

- log𝑎 𝑏 è l’esponente da dare alla base per avere l’argomento

- f’(x)=lim𝑥→𝑐

𝑓(𝑥+∆𝑥)−𝑓(𝑥)

∆𝑥

- ∫ 𝑓(𝑥)𝑑𝑥 = lim𝑛→∞

∑ 𝑓(𝑥𝑖)∆𝑥𝑛1

𝑏

𝑎

- ….

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Tavola riassuntiva dell’evoluzione del linguaggio matematico

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4. La nascita della matematica moderna (rinascimento)

..la civiltà romana fu improduttiva nel campo della matematica perchè era tanto interessata ai risultati

pratici da non riuscire a vedere oltre la punta del suo naso. Il periodo medievale fu invece

improduttivo perchè non si occupò della civitatis mundi bensì della civitatis dei e della preparazione

all'altro mondo. L'una civiltà era troppo legata alla terra, l'altra al cielo. La praticità dei Romani

generò sterilità mentre il misticismo della Chiesa ebbe come effetto un totale disinteresse per la natura

e il suo dogmatismo limitò l'intelletto e impedì lo spirito creativo. Ci sono prove storiche sufficienti per

vedere che la matematica non può fiorire in nessuno di questi due climi. Come si verificò nel periodo

greco, la matematica può prosperare nel modo migliore in una civiltà desiderosa di allearsi al mondo

della natura e, nello stesso tempo, di permettere alla mente una libertà di pensiero illimitata, prometta

essa o no soluzioni immediate ai problemi dell'uomo e dell'universo.4 (Morris Kline - 1976)

L’evoluzione del pensiero scientifico procede per lunghi periodi (che spesso durano diversi secoli) con

piccoli e graduali incrementi, apportati da ricercatori diversi, operanti in diverse parti del mondo. Poi

però, tali piccoli progressi concorrono alla maturazione di un’idea geniale nella mente di una persona

che segna un salto notevole e improvviso della conoscenza. L’ideazione della geometria analitica da

parte di Renè Descartes, nel XVII secolo è stato un momento di questo tipo.

Come astrazione e universalità sono state le caratteristiche della matematica nascente, così il

legame fra geometria e algebra e l’intendere la matematica come linguaggio di ogni scienza esatta

sono le nuove caratteristiche della matematica moderna.

Prima del XVII secolo la matematica era concepita in due rami nettamente distinti e separati: la

geometria e l’aritmetica-algebra. Con la geometria analitica viene stabilito una specie di parallelismo

tra le due scienze, grazie al quale grandezze e proprietà geometriche vengono tradotte con il linguaggio

algebrico; e risultati algebrici vengono interpretati geometricamente.

E’ qui evidente che senza i progressi linguistici dell’algebra simbolica questo nuovo passo sarebbe stato

impossibile.

Oltre all’aspetto imprescindibile del linguaggio, altri due aspetti maturarono nel 1600 in modo da

rendere pensabile la geometria analitica.

A) I numeri negativi, ancora nel 1500 erano guardati con sospetto e considerati “numeri absurdi”

dai matematici europei. Nella seconda metà del 1500 Rafael Bombelli – matematico italiano –

scrive un volumetto nel quale mostra l’utilizzo dei numeri negativi, ancora indicati con m5 (-5).

B) La corrispondenza biunivoca.

Quando Descartes scrive il suo libretto erano già stati accettati i numeri negativi, ma non erano

ancora stati definiti i numeri irrazionali. Si poteva dunque pensare ad una corrispondenza

biunivoca tra punti di una retta e n° razionali. L’idea della corrispondenza biunivoca fu di

Galileo Galilei, che la utilizzò per primo al fine di mostrare che un insieme può essere messo in

corrispondenza biunivoca con una parte propria.

4 La matematica nella cultura occidentale – Morris Kline – Feltrinelli 1976

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Dunque, a parte la continuità e i numeri irrazionali, Descartes ebbe tutto il necessario per

formulare la sua teoria.

Nel 1596, a Le Haye en Tauraine, località vicino a poities (sud-ovest di Parigi) nasce Renè Descartes,

3° e ultimo figlio di un avvocato. Sua madre muore pochi giorni dopo il parto.

Descartes cresce col padre e i fratelli fino all’età di 8 anni: intelligente, riflessivo e gracile di salute. Poi

viene affidato alle cure del collegio dei gesuiti di La Fleche dove, proprio a causa delle sue frequenti

malattie, matura l’abitudine di rimanere a letto fino a tardi immerso in pensieri e riflessioni. Fu in una

delle sue convalescenze da adulto che lasciò viaggiare il pensiero mentre, costretto a letto, guardava

una mosca volare entro la stanza. Egli pensò che se avesse trovato il modo di indicare la posizione

dell’insetto, momento per momento, rispetto ad un punto del locale scelto come riferimento, avrebbe

potuto descriverne, anche numericamente la traiettoria del suo volo, nello spazio che lo circondava.

Il punto di riferimento avrebbe potuto essere uno qualsiasi degli angoli del locale e le direzioni di

riferimento gli spigoli dei muri.

Fu quello il momento in cui iniziò la concezione della geometria analitica. Da lì in poi la matematica

non sarebbe stata più la stessa, tanto che da lì in poi fu chiamata matematica moderna, per

distinguerla da tutte le epoche matematiche precedenti.

N.B. Un uomo malato, infastidito da una mosca che vola sul suo letto, avrebbe potuto cercare di

dormire, oppure imprecare sulla propria condizione e quel punto sarebbe rimasto muto e morto per tutta

l’umanità. Descartes invece vi ha estratto un mondo nuovo, la matematica moderna.

In seguito egli sviluppò questa idea e nel 1637, all’età di 41 anni, pubblico un volumetto (in forma

anonima) intitolato “Discorso sul metodo per ben condurre la ragione tra le varietà delle scienze”.

Questo libro (scientifico – epistemologico) fu corredato di 3 brevi appendici, proposte ai lettori a titolo

esemplificativo dei contenuti trattati: la geometria, la diottrica e le meteore.

L’appendice dedicata alla geometria conteneva tutta la geometria analitica (circa 80 pagine).

Fu l’unico testo di matematica che scrisse Renè Descartes.

Il nuovo aspetto che lega geometria e algebra come due facce di una stessa medaglia, è dovuto quasi

interamente a Renè Descartes (francese, 1596-1650) e forse anche a Pierre Fermat, (francese, suo

contemporaneo) e si ricollega agli antichi pilastri posti da Pitagora ed Euclide.

In questo momento di grandi cambiamenti culturali c’è però anche un secondo aspetto, non meno

importante del primo, dovuto a Galileo Galilei (1564-1642) e riconducibile alle idee e ai metodi di

Archimede. La trattazione di problemi meccanici ha posto a Galileo la necessità di sottolineare

l’indispensabilità della matematica e la necessità di inventarne di nuova.

Galileo non fu principalmente un matematico; fu fisico e filosofo della scienza, ma anche cultore di

matematica applicata. Ebbe delle intuizioni acutissime nel campo della matematica pura (forse la più

celebre è la corrispondenza biunivoca fra due insiemi, che mise definitivamente in crisi il 5° assioma

Euclideo – Tutto è maggiore di ogni sua parte – e aprì la prospettiva sugli insiemi infiniti.) I suoi

contributi più importanti al progresso del pensiero scientifico sono però legati al metodo e al

linguaggio: il metodo della scienza del 1500 era lo stesso degli antichi greci, basato sulla metafisica

aristotelica; egli invece reclamò il primato della sperimentazione sulle spiegazioni filosofiche. Ogni

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fatto doveva essere attentamente osservato, misurate tutte le grandezze coinvolte, espresse con formule

matematiche le leggi che le legavano, condotte con calcoli e costruzioni geometriche le deduzioni.

Inoltre ogni conclusione doveva passare il vaglio di nuove misurazioni che ne attestassero o

confutassero la validità.

Tale nuovo metodo era basato su una convinzione profonda contenuta nella semplice affermazione che

“il linguaggio della scienza è la matematica”.

La filosofia (cioè la filosofia naturale, ovvero la scienza) è scritta in un grandissimo libro che

continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi – io dico l’universo- ma non si può intendere se prima

non s’impara a intender la lingua e i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica 5

Emerge, proprio in queste righe, la sintonia con le concezioni e la ricerca dell’antico Archimede.

A Galileo Galilei non si devono soltanto le invenzioni e le scoperte che tutti noi conosciamo (il

cannocchiale, i satelliti di Giove, le macchie solari, le leggi del moto), ma anche la creazione di una

lingua scientifica moderna ed efficace, attenta sia alla precisione argomentativa sia alla divulgazione

delle idee.6

Galileo non è il primo scienziato a scrivere in italiano (tra i suoi predecessori Leonardo da Vinci,

Niccolò Tartaglia, Agostino Ramelli), ma è il primo a farlo realizzando un equilibrio tra l'esigenza

empirica e dimostrativa e quella più squisitamente letteraria.

5. Gli sviluppi della geometria analitica

Tra le tante conseguenze scaturite dall’idea della geometria analitica c’è la maturazione del concetto di

funzione, che arriva ad una rigorosità solo nel XIX secolo e la soluzione al problema di determinare la

tangente ad una curva in un suo punto. E’ questo uno dei problemi alla base del calcolo infinitesimale

che ha condotto Newton alla nozione di derivata di una funzione.

Si può dire che la geometria ha condotto l’algebra verso la soluzione di un problema concettualmente

enorme: la continuità.

Infatti per la geometria la continuità è sempre stata una nozione evidente, tanto che neppure Euclide

sente la necessità di definirla o di postularla, ma la usa con disinvoltura e sicurezza fin dal primo

teorema dei suoi elementi. Per l’algebra invece il problema è grave e irrisolto: svelato dai pitagorici con

quella spinosissima 2, si trascina per secoli e secoli senza spiegazioni soddisfacenti. L’affiancamento

della geometria all’algebra insinua nella mente di Newton (e Leibniz) l’intuizione di qualcosa di fluido,

in movimento, come un punto che descrive una traiettoria, e di grandezze che rimpiccioliscono o

ingrandiscono senza limiti: gli infinitesimi e gli infiniti.

E’ proprio su questa idea maturata dalla vicinanza geometria-algebra che prende forma tutto il calcolo

infinitesimale e l’analisi matematica.

L’analisi matematica è una disciplina relativamente recente; essa si struttura nei secoli XVII – XVIII e

XIX ed ha il suo punto centrale nel concetto di infinitesimo e nei metodi del calcolo infinitesimale.

4 Galileo Galilei, Il saggiatore

6 Flavio Santi, docente di Tecniche espressive all'Università di Como

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Il secolo XVII è stato chiamato il secolo del genio; in esso infatti hanno vissuto Descartes. Keplero,

Pascal, Leibniz, Newton, Cavalieri, Desargues, Rolle e altri grandissimi. Il XVIII potrebbe essere

chiamato il secolo dell’ingegno; non vi furono intuizioni o invenzioni clamorose, ma un costante

progresso nello sviluppo e nelle applicazioni delle grandi idee emerse il secolo precedente.

Nel XIX secolo si raggiunse il livello rigoroso di quanto concepito ed elaborato in precedenza; si

potrebbe perciò definire il secolo del rigore.

Morris Kline, uno dei maggiori storici della matematica, scrive L’invenzione del calcolo infinitesimale,

accanto alla geometria euclidea è la più grande creazione di tutta la matematica

Ovvero, geometria euclidea e analisi sono le due teorie complete della matematica.

Teorie complete significa strutture rigorosamente fondate dal punto di vista logico e dotate di un

apparato di teoremi completo ed esaurientemente dimostrato.

Così come evidenziato a suo tempo riguardo alla geometria euclidea, anche l’assetto dell’analisi è

organizzato su 3 livelli:

- I concetti

- Le proposizioni

- Le dimostrazioni.

A fronte di questa analogia strutturale sta una differenza qualitativa di contenuto: i concetti della

geometria euclidea sono primitivi, elementari, di base; i concetti dell’analisi sono scoperte raffinate di

2 millenni di pensiero razionale, quindi notevolmente più complessi.

I concetti principali dell’analisi matematica

- Funzione

- Intervallo e intorno

- Limite

- Continuità

- Derivata

- Integrale

A questi concetti seguono la dichiarazione delle proposizioni e le dimostrazioni dei teoremi.

Ognuno di questi concetti principali ha collegati grappoli di altri concetti che sarebbe inutile elencare

ora.

NB1. Due modalità di sviluppo della ricerca matematica

L’evoluzione del pensiero e della ricerca porta a diversificare sempre maggiormente i campi

d’interesse e d’indagine.

Percorrendo anche solo il ramo della geometria troviamo:

500 a.C. Pitagorici - matematica – filosofia – misticismo.

300 a. C. Euclide - geometria razionale e aritmetica.

1600 Descartes - Geometria analitica.

1650 Desargues - Geometria proiettiva.

1700 Saccheri - geometria non euclidea.

1800 Riemann - geometria non euclidea ellittica.

1800 Lobacevskij - geometria non euclidea iperbolica.

1975 Mandelbrot - geometria frattale.

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Ci sono alcuni filoni di ricerca che si aprono d’improvviso, nella genialità di qualcuno; quelli citati ne

sono esempi chiari.

Sono come fiumi di conoscenza che iniziano dalle misteriose sorgenti nello spirito di un genio.

Ci sono però altri filoni che maturano lentamente, grazie a molteplici contributi, a volte anche minimi.

Sono come fiumi che si formano dalla confluenza di numerosissimi rivoli che scendono da ghiacciai

montani diversi e anche lontani, più o meno estesi e, nel tempo formano un grande corso d’acqua che

attraversa e irrora pianure, e campi di conoscenza molto diversi.

E’ questo il caso dell’analisi che non è attribuibile ad un singolo autore, ma alla comunità scientifica

internazionale dei secoli XVII, XVIII e XIX. Ci sono stati alcuni rappresentanti di spicco (Isaac

Newton – inglese - e Gottfried Leibnitz - tedesco) che, grazie a doti straordinarie di immaginazione e

sintesi, hanno portato la teoria al passo culminante e definitivo; ma il traguardo è stato comunque frutto

di un grande lavoro comunitario a molte teste e mani.

NB2. Il duplice motore che ha mosso la ricerca matematica

Da una parte ci sono state esigenze di carattere pratico; dalla costruzione delle piramidi, alle leve per

sollevare grandi pesi; dalle traiettorie delle palle di cannone alle orbite dei pianeti; dalle statistiche sui

censimenti al gioco d’azzardo.

D’altra parte ci sono state esigenze di chiarezza e rigorosità concettuale, logica e linguistica.

Le prime sono state sollecitate dal bisogno di risolvere problemi emergenti nello sviluppo delle civiltà.

Le seconde sono di natura più fine, spirituale (nel senso dello spirito dell’uomo, della sua capacità

infinita di pensiero e di astrazione. Quel pensiero e quell’astrazione di cui è impregnato ogni oggetto,

ogni costruzione materiale, ogni progetto; senza la possibilità di tracciare un confine netto tra la

materia e lo spirito) simile al bisogno della bellezza, dell’ordine, della purezza, della ineccepibilità,

della universalità. Gli uomini non sono stati appagati finchè non hanno saputo dare definizioni e

dimostrazioni chiare, inequivocabili e definitive, nelle quali ogni singolo termine, a volte coniato ad

hoc, ogni singola deduzione, occupava un posto preciso, inamovibile, perfetto. Un po’ come le grandi

opere musicali, o nella poesia: ogni nota, ogni parola o congiunzione occupa un posto preciso;

spostarla o sostituirla, farebbe crollare l’intera composizione.

Del resto era già successo in passato: l’esame della realtà fisica/materiale ha portato ad intuizioni

giuste che però hanno dovuto attendere secoli, se non millenni, per trovare il loro assetto

concettualmente, logicamente e linguisticamente rigoroso.

Al riguardo si hanno casi clamorosi:

- Euclide fu costretto a usare la continuità della retta senza saperla definire. Così tutti i

matematici dopo di lui, fino al 1858, quando Dedekind intuì ed enunciò l’assioma di

continuità.

- Archimede usò il “metodo meccanico” e il metodo di esaustione per dare una valutazione delle

aree di figure con contorni curvilinei e volumi di solidi non poliedrici. Occorre aspettare fino al

1821 per raggiungere la rigorosità sul concetto di limite ad opera di Canchy.

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Dunque storicamente le cose sono avvenute così:

- esigenze di carattere pratico;

- ricerca di soluzioni;

- necessità di indagare aspetti teorici sempre più astratti;

- raggiungimento del livello rigoroso;

- soluzione pienamente soddisfacente del problema.

Normalmente si è tentati di partire dalla fine, dal concetto rigoroso scoperto, in quanto risultato

compiuto.

(Questo è il motivo per cui sui libri si trovano spesso definizioni rigorose che appaiono del tutto

incomprensibili; non si sono ripercorse le tappe di avvicinamento che hanno consentito agli uomini,

nell’arco di secoli, di concepire e formulare tali definizioni.)

Va anche qui fatta una sottolineatura sul linguaggio.

L’algebra simbolica di Viete ha reso possibile parlare di tanti concetti, aspetti e problemi algebrici,

come ad esempio i cubi e la soluzione di equazioni di grado maggiore di 2.

Ora i nuovi enti (limite, derivata, integrale) e i nuovi concetti (continuità, derivabilità, integrabilità)

intuiti dalle genialità di Newton avevano bisogno di un linguaggio nuovo fatto di simboli e sintassi

adatte e chiare. Leibniz è stato l’inventore di tale linguaggio; la sua fantasia e intraprendenza hanno

reso possibile parlare e calcolare con infinitesimi e infiniti, derivate e integrali. Sua è ad esempio

l’invenzione del simbolo 𝑑𝑦𝑑𝑥

per la derivata.

Egli scrive:

Questo soltanto mi crea imbarazzo: che senza aver presenti nella mente vocaboli o altri segni non si

possa conoscere, scoprire e provare nessuna verità. Anzi, se mancassero i caratteri non potremmo

pensare niente in modo distinto, né potremmo ragionare…7

Vediamo, a titolo di esempio come è maturato, sull’arco di 3 secoli, un concetto cardine della

matematica moderna, il concetto di funzione.

Tappe di avvicinamento

• Fin dall’inizio della sua opera, nel 1655, Isaac Newton usò il termine “fluente” per indicare

una qualsiasi relazione tra variabili. Newton abbandonò quindi una definizione statica (quale

quella algebrica Cartesiana) degli enti geometrici per una definizione dinamica. Questa

concezione delle grandezze geometriche come generate da moti continui, e quindi tutte

dipendenti dal tempo — piuttosto che come aggregati di elementi infinitesimi — è alla base

del "Methodus fluxionum et seriarum infinitarum" (1671). In quest'opera si introducono i

concetti di fluente e di flussione; fluente é una quantità generata da un moto continuo: si pensi

ad un'area che si accresce nel tempo, oppure alla curva descritta dal moto di un punto, ecc.

Flussione é la velocità con cui é generata la fluente.

• Si deve a James Gregory (matematico e astronomo scozzese) la prima definizione esplicita

del concetto di funzione, nel 1667. Egli la definì come “Una quantità ottenuta da un’altra

6 Leibniz e la logica simbolica di Massimo Mugnai – 1677

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quantità mediante una successione di operazioni algebriche o con qualsiasi altra operazione

immaginabile”.

• In un manoscritto del 1673 Leibniz (Gottfried Wilhelm matematico e filosofo tedesco) usò il

termine “funzione” per denotare una qualsiasi quantità che vari da punto a punto di una curva;

la curva poteva essere associata ad una equazione. Leibniz introdusse anche i termini

“costante”, “variabile” e “parametro”, associando quest’ultimo ad una famiglia di curve.

• Nel 1697 Bernoulli (Jakob, matematico e scienziato svizzero) parlò di una quantità formata, in

maniera qualsiasi, da variabili e costanti. Fu anche il primo ad introdurre la dicitura “funzione

di x”.

• La notazione f(x) è attribuita a Eulero (Leonhard, matematico e fisico svizzero) nel 1734.

Tuttavia ancora agli inizi del 1800 non c’era una definizione chiara e rigorosa del concetto di

“funzione”.

Il concetto rigoroso

Fu Dirichlet (matematico tedesco), nella prima metà del 1800, a definire in modo rigoroso il

concetto di funzione (a un solo valore): “y è funzione di x se a ogni valore di x, compreso in un

dato intervallo, corrisponde un unico valore di y”. Secondo Dirichlet non aveva alcuna importanza

il fatto che in tale intervallo (dominio della x) la dipendenza della y fosse stabilita da una o più

leggi, fosse rappresentabile graficamente, e nemmeno se la dipendenza di y da x potesse essere

espressa mediante operazioni matematiche.

Per illustrare in modo inequivocabile tale concetto definì una funzione inesprimibile

algebricamente e graficamente, che passò alla storia come la funzione di Dirichlet:

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6. Momenti di ricerca della matematica moderna

La matematica è una scienza molto viva e quando incontra uomini aperti che la sanno ascoltare

mostra le sue molteplici sfaccettature e introduce a nuovi mondi, a volte nemmeno immaginabili.

6.1 Le geometrie non euclidee

Come ben si sa tutta la geometria euclidea si regge sul fondamento dei suoi 5+5 assiomi, l’ultimo

dei quali afferma l’esistenza e unicità di una parallela ad una retta data passante per un punto esterno

alla retta. Questo postulato suscitò perplessità nello stesso Euclide, a causa della sua non

ineccepibile evidenza (a differenza degli altri assiomi); tant’è che, prima cercò di dimostrarlo, poi

cercò di dimostrare il maggior numero possibile di teoremi senza utilizzarlo (si tratta della

cosiddetta geometria assoluta che annovera i primi 28 teoremi degli elementi). In tutti i secoli

successivi molti matematici si sforzarono di trovare una dimostrazione di questa proposizione; ma

nessuno vi riuscì.

Verso la fine del 1600 il Gesuita Giovanni Gerolamo Saccheri ebbe l’originale idea di procedere per

assurdo, ovvero di provare a costruire una nuova geometria a partire dai 9 assiomi euclidei e da una

negazione dell’ultimo. La sua convinzione era infatti quella di trovare ben presto una

contraddizione, dato che era opinione diffusa che una sola fosse la geometria vera.

La cosa sconcertante fu che la contraddizione non si trovò e con questo il problema del postulato

delle parallele rimase aperto, ma cominciò ad insinuarsi l’idea della possibilità di geometrie

alternativa alla euclidea.

Seguirono i lavori di molti altri matematici tra i quali spiccano il tedesco Friedrich Gauss (1777-

1855), il russo Nikolaj Lobacevkij (1792-1856) e il tedesco Bernhard Riemann (1826-1866). Essi

portarono alla costruzione di due diverse geometrie non euclidee, basate sulle due possibili

negazioni del 5° postulato. La geometria iperbolica basata sull’esistenza di più parallele ad una retta

data per un punto ad essa esterno (esposta da Gauss e Lobacevskij) e la geometria ellittica, basata

sulla non esistenza di rette parallele, sviluppata da Riemann.

Per verificare la coerenza e rendere in qualche modo visibili le due

nuove geometrie, furono messi a punto due modelli in grado di

collegare le nuove geometrie a quella euclidea, provatamente non

contraddittoria.

Per la geometria iperbolica, il modello fu proposto da Poincarè:

L’intero piano è confinato entro un cerchio e le rette sono ridefinite

come archi di circonferenze perpendicolari alla circonferenza di

confine del piano (limitazione all’infinito). Mentre è facile verificare

la validità dei primi 9 assiomi euclidei, in questo modello è evidente

che per un punto esterno ad una retta, passano almeno due (in realtà

infinite) altre rette senza alcun punto in comune con essa, e dunque parallele. Le due rette

aventi in comune con quella fissa i punti della circonferenza furono definite “parallele”; tutte le

altre rette non aventi alcun punto in comune con r “iperparallele”.

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Per la geometria ellittica, il modello fu quello sferico che

dispone il piano su una superficie sferica e ridefinisce le rette

come circonferenze di raggio massimo di tale superficie. Anche

qui sono verificati i primi 9 assiomi; resta invece evidente che

per un punto esterno ad una retta passano solo rette ad essa

incidenti; e dunque non ci sono parallele.

Con questi due modelli si ancorano le nuove geometrie alla

euclidea e pertanto si prova anche la loro non contraddittorietà.

Con le geometrie non euclidee si compie un passo molto importante

nell’indagine del dominio dell’astrazione: là dove si credeva esistesse un solo

ambito geometrico, se ne sono scoperti ben 3, ugualmente completi e coerenti, ma affatto diversi tra

loro.

Si apre così un nuovo capitolo di conoscenza nel quale evidenza ed intuizione, criteri di riferimento

nei secoli precedenti, sono messi in secondo piano. I metodi della ricerca e della conoscenza

propendono ora per la rigorosità logica e formale, in cui la deduzione è cardine.

Si aprirono così grandi domande sulla verità di una teoria oltre che avviare un acceso dibattito su

fondamenti e natura della matematica.

Gli studi astratti sulle geometrie non euclidee furono successivamente utilizzati da Albert Einstein per

geometrizzare lo spazio cosmico della sua teoria della relatività generale, del 1915.

6.2 La geometria proiettiva

Dai tempi di Euclide la geometria non ebbe alcuna evoluzione fino al 1600, con le geometrie non

euclidee e la geometria proiettiva.

Poi, nel decennio 1830-1840, dominò sugli interessi e le ricerche dei matematici, fino al punto da

smorzare persino il dibattito, pur avvincente, sulle geometrie non euclidee.

I primi studi sulla geometria proiettiva risalgono al matematico francese, Girard Desargues (1591-

1666), che si interessò delle osservazioni dei pittori rinascimentali sulla prospettiva.

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L’aspetto geometrico innovativo risiede nel fatto di considerare non solo punti e rette al finito ma anche

punti e rette all’infinito: denominati impropri. Così due rette parallele hanno in comune la loro

direzione, che può essere interpretata come il punto all’infinito a cui convergono in prospettiva.

L’insieme di tutte le direzioni, e perciò di tutti i punti all’infinito di un piano costituisce poi una nuova

retta: la retta all’infinito o impropria. Il piano euclideo completato con punti e retta impropria diviene

un nuovo ente geometrico: il piano proiettivo.

Ma dopo un paio di secoli segnati dalla nascita e dalla diffusione della geometria analitica, August

Ferdinand Mobius (matematico e astronomo tedesco, 1790-1868) ebbe la brillante idea di dotare i punti

del piano proiettivo di 3 coordinate dette omogenee, anziché le due cartesiane.

Così ad esempio un punto cartesiano P(xp,yp) nel piano proiettivo ha coordinate omogenee

(x0, x1, x2). La corrispondenza tra coordinate cartesiane e omogenee è fissata dalle seguenti relazioni: xp

= x1/x0; yp=x2/x0 .

Ciò comporta che mentre un punto cartesiano ha una sola coppia di coordinate, lo stesso punto nel

piano proiettivo ha le infinite terne (kx0, kx1, kx2), che corrispondono tutte alle medesime coordinate

cartesiane xp,yp. Qual è il vantaggio della terza coordinata? E’ proprio quello di permettere la

rappresentazione algebrica dei punti all’infinito, i punti impropri: sono tutti quelli con x0=0.

Così una generica retta ha nel piano cartesiano equazione ax + by + c = 0 e in quello proiettivo

ax1 + bx2 + cx0 =0. Ad esempio la bisettrice del 1° quadrante: retta cartesiana di equazione y – x = 0

viene ad avere equazione proiettiva x2 - x1 = 0 e il punto improprio di coordinate (0, k, k) la soddisfa,

dunque le appartiene (secondo il principio fondamentale della geometria analitica) ma tale punto non è

proprio in quanto i rapporti x1/x0 e x2/x0 non danno luogo a valori reali. Lo stesso punto improprio (0, k,

k) appartiene anche a tutte le parallele alla bisettrice: y = x + q ovvero x2 = x1 + qx0.

Con l’introduzione delle coordinate omogenee si può riformulare lo studio di tutti gli enti della

geometria analitica. Ciò è particolarmente illuminante riguardo alle coniche delle quali si possono

“vedere” i comportamenti all’infinito che la geometria analitica poteva solo intuire e supporre.

Rette parallele ad una retta s con un punto comune all’infinito S

.

Punto all’infinito fascio s

.

Punto all’infinito fascio r

retta all’infinito

(impropria)

r

Rette parallele ad una retta r con un punto comune all’infinito R

S

R

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6.3 Infinito e insiemi infiniti

Il tema dell’infinito è sempre stato presente nelle ricerche degli uomini. Scrive al riguardo Aristotele:

Poiché la scienza della natura studia le grandezze, il movimento e il tempo, ciascuna di queste cose

deve essere necessariamente o infinita o limitata quando anche accade che non ogni cosa sottostà a

questa alternativa di essere infinita o limitata, come ad esempio una affezione o un punto (poiché

queste cose non sono necessariamente l’una o l’altra), sembra conveniente, per chi si occupa della

natura, esaminare il problema dell’infinito, se è o non è e, se è, che cosa è (δεωρηοαι περι απειρον, ει

εστιν η μη, και ει εστι, τì εστιν) (Aristotele - Fisica, 202 b, 30-36)

All’epoca “aurea” della cività greca nel Mediterraneo emerse presso i Pitagorici, che si trovarono in

difficoltà cercando la misura della diagonale di un quadrato rispetto al suo lato. Capirono che si

potevano trovare infiniti rapporti di numeri interi che approssimavano il valore esatto, senza mai

uguagliarlo; ne rimasero sconcertati.

Euclide sfiorò l’argomento con il suo 2° postulato, nel quale scrisse che una retta terminata può essere

prolungata per diritto, continuamente.

Fu sempre Aristotele a scartare la possibilità di un infinito attuale, come documentano queste citazioni.

ma è impossibile che l’infinito sia in atto ('Aλλ'δαυνατον τò εντελεχεια ov απειρον).

Lo stesso numero è in potenza ma non in atto (Ωστε δuvαμει μεv εστιv εvεργεια δ'ou).

(Fisica, 207 b 11-12)

E’ impossibile che un continuo sia formato da indivisibili come ad esempio una linea possa essere

composta di punti se è vero che la linea sia un continuo e il punto un indivisibile

(Fisica, 231 a 24-25)

Del resto osserva:

La teoria [dell’infinito nel tempo e nel movimento] non sopprime le considerazioni dei matematici

sopprimendo l’infinito in atto (τò απειρον ωστε εvεργεια) che non potrebbe essere percorso nel senso

dell’accrescimento; poiché in realtà essi non ne hanno bisogno e non fanno uso dell’infinito, ma

solamente di grandezze così grandi quanto si vuole, ma limitate (Fisica (207 b, 28-33)

Anche Archimede si cimenta con le problematiche connesse all’infinito quando si pone il problema di

calcolare l’area di superfici delimitate da contorni curvi; usa il metodo di esaustione, escogitato da

Eudosso da Cnido e conclude che anche per calcolare lunghezza circonferenza e area del cerchio (nb:

entita’ finite ) occorre ipotizzare un procedimento con infiniti poligoni e passi. Le differenze tra i valori

approssimati e quelli cercati diventano infinitesimi (nb: mai esattamente zero).

Me è Zenone a metter il dito nella piaga con i suoi famosi paradossi.

Il problema dell’infinito resta insoluto e aperto per i secoli successivi.

Nel 1600 Galileo Galilei osserva che è possibile mettere in corrispondenza biunivoca un insieme

infinito, come quello dei numeri Naturali e una sua parte, piccola, come i quadrati di tali numeri. Con

questa semplice osservazione scardinò uno degli assiomi che Euclide pose alla base della sua

geometria: il tutto è maggiore della parte, e mise a disposizione di tutti il metodo della corrispondenza

biunivoca, come grimaldello per scardinare i problemi sulla cardinalità degli insiemi, finiti e infiniti.

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Egli stesso dimostrò l’esistenza dell’infinito attuale mettendo in corrispondenza gli indiscutibilmente

infiniti punti di una retta con i punti di un segmento (corto a piacere); utilizzò la seguente costruzione.

Si accorse anche di inspiegabili paradossi come quello delle ruote concentriche:

Consideriamo due ruote concentriche

incollate una sull’altra, di raggi 0.5 ed 1 e

supponiamo di far fare alla più grande un

giro completo in modo che rotolando tracci

un segmento CD. Nel frattempo anche la

ruota più piccola avrà fatto un giro

completo ed avrà tracciato un segmento

AB della stessa lunghezza. Ma questo è assurdo perché i due segmenti rappresentando lo

“srotolamento” di due circonferenze di lunghezza p e 2p dovrebbero essere uno minore dell’altro. Ecco

quello che dice Galileo:

Or come dunque può senza salti scorrere il cerchio minore una linea tanto maggiore della sua

circonferenza ?.

La conclusione a cui Galileo pervenne fu che la comprensione dell'infinito attuale forse era al di fuori

delle portata dell'essere umano; ecco le sue parole:

«Quando siamo tra gli infiniti (come la retta) e gli indivisibili (come il segmento CD), quelli sono

incomprensibili dal nostro intelletto finito per la loro grandezza, e questi per la loro piccolezza.»

tratto da "Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze"

Bernard Bolzano (Boemo-Cecoslovacchia 1781-1848) fu il primo a compiere un passo decisivo. Egli

osservò che la corrispondenza tra il tutto e una sua parte non valeva tra insiemi finiti, mentre aveva

validità tra due insiemi infiniti. Così, ad esempio, i n° reali compresi tra 0 e 5 possono essere messi in

corrispondenza biunivoca con i n° reali compresi tra 0 e 12, mediante la formula y=12/5x.

Dopo qualche decennio Richard Dedekind riprese l’osservazione iniziale di Galileo e la utilizzò per

dare (finalmente) la definizione di insieme infinito:

“Un insieme è infinito se può essere messo in corrispondenza biunivoca con una sua parte propria”.

P

2

Q

1

Q

3

Q

4

P

3

PQ

2

C

D

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Momenti storici della ricerca matematica – appunti per la 5K del L.C. Alexis Carrel

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E così fu risolto il problema di definire un insieme infinito.

Il passo successivo fu il confronto tra insiemi infiniti. Erano tutti uguali o c’era un ordine gerarchico

anche tra essi?

Cantor introdusse le nozioni di potenza o cardinalità di un insieme infinito e di equivalenza tra insiemi.

Dichiarò equivalenti o equipotenti due insiemi tra i quali sia possibile stabilire una corrispondenza

biunivoca.

Stabilì poi che ogni insieme che poteva essere messo in corrispondenza

biunivoca con i numeri naturali aveva la potenza o cardinalità del

“numerabile”; con ovvio significato del termine.

Dimostrò poi che i numeri razionali erano, contrariamente all’intuito, un

infinito di questo stesso tipo (dimostrazione in appendice 1). Mentre

successivamente dimostrò che i numeri reali erano un insieme infinito di

potenza superiore (dimostrazione in appendice 2). Con ciò stabilì che gli

infiniti non sono tutti uguali, ma alcuni sono più potenti di altri.

Cantor si spinse fino a definire dei nuovi numeri

cardinali per questi insiemi; li chiamò transfiniti,

da aggiungere a quelli finiti. Con questi ultimi si

indicava la cardinalità degli insiemi finiti, mentre

con i transfiniti la cardinalità degli insiemi infiniti.

Chiamò 0 (aleph zero) il primo di questi numeri,

indicativo della potenza del numerabile. 1 quello

associato all’infinito continuo, quello dei numeri

Reali. Così si capì che le potenze degli insiemi

infiniti … erano infinite, oltre ogni

immaginazione.

Ecco la sintesi di cantor sugli insiemi infiniti:

L’infinito attuale si presenta in 3 contesti:

1° - Quando viene realizzato nella forma più completa in un essere ultraterreno pienamente

indipendente, in Dio, nel qual caso lo chiamo infinito assoluto.

2° - Quando si manifesta nel mondo contingente, creato.

3° - Quando la mente lo afferra in abstracto nella forma di una grandezza matematica, di un numero o

di un tipo d’ordine.

Voglio distinguere nettamente tra l’assoluto e ciò che chiamo transfinito, cioè gli infiniti attuali degli

ultimi due tipi, che sono chiaramente limitati, soggetti a ulteriore incremento, e quindi correlati col

finito.

(G. Cantor - Gesammelte Abhandlungen - p. 378)

Ma l’insieme dei numeri transfiniti è a sua volta un insieme? Quale sarebbe la sua potenza?

6.4 Il calcolo delle probabilità

Fino al 1600, ad opera principalmente di Galileo Galilei (1564-1642) e Isaac Newton(1642-1727),

dominava un modo di vedere la realtà, detto determinismo meccanicistico secondo il quale, ogni

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fenomeno fisico nel mondo reale doveva seguire leggi matematiche e che non ci si poteva fermare alla

descrizione di come era fatto il mondo, ma si doveva capire anche come funzionava. Nasceva così la

convinzione che poche leggi governavano i fenomeni del mondo fisico e permettevano di prevederne

ogni evoluzione, compresa quella generale dell'universo. Possiamo schematizzare il successo del

determinismo meccanicistico con la seguente affermazione:

(Dati)+ (Leggi) = (Conoscenza)

Ciò significa essere in grado, per esempio, di prevedere in quale istante e in quale luogo un corpo

lanciato, con una certa velocità iniziale e una certa direzione, toccherà terra.

Nel 1654 un giocatore d'azzardo, il cavaliere De Merè, chiese consiglio al matematico francese Blaise

Pascal (1601-1665) suo conoscente, sul modo di ripartire le sue puntate in denaro in un gioco di dadi.

Pascal discusse il problema con un altro eminente matematico, Pierre Fermat (1623-1662); il loro

dialogo diede origine alla teoria della probabilità.

Una delle questioni proposte, considerata un paradosso, è la seguente: secondo il giocatore d'azzardo, la

probabilità di avere almeno un 6 su quattro lanci di un dado e almeno un doppio 6 su ventiquattro lanci

di due dadi doveva essere la stessa; questa sua convinzione, però, non era confermata dall'esperienza.

Aveva ragione l'esperienza. (Il ragionamento in appendice 3).

I due matematici francesi avevano quindi discusso su un fenomeno che in matematica era

completamente nuovo. Essi si resero conto che il meccanicismo deterministico non riusciva a risolvere

tutti i problemi che la ricerca poneva: certi fenomeni non si verificavano con certezza ma avevano una

evoluzione casuale non univocamente prevedibile. Per essi quindi vale la seguente affermazione:

(Dati)+(Leggi)=(Conoscenza non completa)

Per esempio quando si lancia un dado, pur conoscendo tutte le leggi fisiche relative al moto dei corpi,

non si riesce a prevedere che numero uscirà.

Il calcolo delle probabilità, nato per gioco, ha trovato sempre nel gioco uno dei più noti terreni di

applicazione. Ciò ha determinato anche la prima interpretazione del termine "probabilità", che è stata

formalizzata dal grande matematico francese Pierre Simon Laplace ed è conosciuta come definizione

classica: la probabilità di un evento è il rapporto fra il numero dei casi favorevoli ed il numero dei

casi possibili, supposti tutti ugualmente possibili.

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6.5 Aspetti e problemi della matematica del 900

I fatti più rilevanti della fine del secolo XIX

Nel 1872 Dedekind (matematico tedesco 1831-1916) pubblica un articolo intitolato

«Continuità e numeri irrazionali» in cui dà la definizione di numero irrazionale,

come sezione dei numeri razionali (o elemento separatore di due classi contigue -

cioè separate e indefinitamente ravvicinate - di numeri razionali); ed è sorprendente

notare come un’incomprensione che durava dal 400 a.C. sia stata risolta con la

semplicità di un nuovo punto di vista (Cfr. Marcel Proust: Il vero viaggio di

scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi)

Successivamente Cantor a introduce una nuova classe di numeri, oltre a N, Z, e Q: la

classe dei numeri Reali (R), contenente razionali e irrazionali

L’intenso sviluppo di algebra e analisi utilizzava moltissimo i numeri reali (e la

continuità). Eppure ancora alla fine del 1800 i numeri razionali e i nuovi numeri

reali non avevano un assetto logico definito e chiaro; non erano state fissate nemmeno le loro proprietà

più semplici. I matematici si accontentavano di una loro comprensione intuitiva, che era sufficiente per

tutte le applicazioni.

Il XIX sec. segna anche una ripresa delle dimostrazioni rigorose. Infatti, dopo il lontano periodo della

matematica greca, quasi tutti i matematici persero di vista l’impostazione assiomatico deduttiva di

Euclide, a vantaggio di metodi non rigorosi, basati su intuizioni e pragmatismi vari; in questo si fecero

molti passi indietro nel metodo di ricerca. Furono proprio le necessità sulla rigorizzazione dell’analisi e

gli studi sulle geometrie non euclidee a riportare alla ribalta l’importanza degli assiomi e della

deduzione per costruire teorie fondate e solide.

Fu Weierrstrass ad osservare per primo che per stabilire accuratamente le proprietà delle funzioni

continue era necessaria una teoria del continuo aritmetico.

In controtendenza fu la teoria “ingenua” – ovvero intuitiva - degli insiemi, scritta negli

ultimi anni del 1800 da Georg Cantor (matematico tedesco 1845-1918). Fu subito

assunta da tutti i matematici, sia nei suoi aspetti concettuali, sia nei suoi aspetti

linguistici, come reinterpretazione di tutti gli ambiti matematici.

Georg Cantor

Nel 1899, David Hilbert pubblica il suo Grundlagen der Geometrie, in cui dà una

sistemazione assiomatica definitiva alla geometria euclidea, colmando le lacune su

ordinamento e continuità e liberandola da ogni riferimento a evidenza ed intuizione.

Ai 10 assiomi/postulati di Euclide ne sostituisce 21 così suddivisi: assiomi di

appartenenza (8), di ordinamento (4), di congruenza (6), parallelismo (1) e continuità

(2).

Richard Dedekind

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David Hilbert

A partire dal XIX sec. non si trovano più matematici con una visione globale della materia, come

Cauchy o Gauss, Poincarè o Hilbert, ma studiosi che si occupano di un particolare del sapere

matematico, spesso considerandolo unilateralmente come il più importante.

L’inizio del 1900

Il XX secolo si apre con la grande esposizione internazionale di Parigi che sembra preludere ad un

secolo di pace, progresso e definitive conquiste in campo scientifico e tecnologico (corrente elettrica e

illuminazione; trasmissioni radio; areoplani e dirigibili).

Anche la matematica celebra il nuovo secolo con un convegno all’interno dell’EXPO di Parigi,

presieduto da David Hilbert, il più autorevole matematico del mondo. Era l’8 agosto 1900.

Se vogliamo immaginarci lo sviluppo presumibile della conoscenza matematica nel prossimo futuro,

dobbiamo far passare davanti alla nostra mente le questioni aperte e dobbiamo considerare i problemi

che sono posti dalla scienza attuale e la cui soluzione attendiamo dal futuro. Questi giorni, che stanno

a cavallo tra due secoli, mi sembrano ben adatti per una rassegna dei problemi ....8

Hilbert propone quindi una lista di 23 problemi (dei quali, in quel contesto, ne illustra solo 10) che sono

passati alla storia come i 23 problemi di Hilbert. Eccoli

Problema 1 L’ipotesi del continuo, cioè determinare se esistono insiemi la cui cardinalità è

compresa tra quella dei numeri interi e quella dei numeri reali.

Problema 2 Si può dimostrare che l’insieme degli assiomi dell’aritmetica è consistente?

Problema 3 Dati due poliedri dello stesso volume, è possibile tagliare entrambi nello stesso

insieme di poliedri più piccoli?

Problema 4 Costruire tutte le metriche in cui le rette sono geodetiche.

Problema 5 Tutti i gruppi continui sono automaticamente gruppi differenziali?

Problema 6 Assiomatizzare tutta la fisica.

Problema 7 Dati a ≠ 0,1 algebrico e b irrazionale, il numero a b è sempre trascendente?

Problema 8 Dimostrare l’ipotesi di Riemann.

Problema 9 Generalizzare la legge di reciprocità in un qualunque campo numerico algebrico.

Problema 10 Trovare un algoritmo che determini se una data equazione diofantea in n incognite

abbia soluzione.

Problema 11 Classificare le forme quadratiche nel caso di coefficienti in un campo di numeri

algebrico.

Problema 12 Estendere il Teorema di Kronecker-Weber sulle estensioni abeliane dei numeri

razionali a estensioni abeliane di campi numerici arbitrari.

Problema 13 Risolvere l’equazione generale di settimo grado utilizzando funzioni con due soli

argomenti.

Problema 14 Determinare se l’anello degli invarianti di un gruppo algebrico che agisce su un

anello di polinomi è sempre finitamente generato.

Problema 15 Fondazione rigorosa del calcolo enumerativo di Schubert.

Problema 16 Topologia delle curve e superfici algebriche.

8 Inizio del discorso introduttivo di D. Hilbert, 8 agosto 1900, Expo di Parigi

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Problema 17 Determinare se le funzioni razionali non negative possono essere espresse come

quozienti di somme di quadrati.

Problema 18 Esiste un poliedro non-regolare che può tassellare lo spazio? Qual è il più denso

impacchettamento di sfere?

Problema 19 Le soluzioni dei problemi variazionali regolari sono sempre analitiche?

Problema 20 Tutti i problemi variazionali con determinate condizioni al contorno hanno

soluzione?

Problema 21 Dimostrazione dell’esistenza di equazioni differenziali lineari aventi un prescritto

gruppo di monodromia.

Problema 22 Uniformizzazione delle relazioni analitiche per mezzo di funzioni automorfe.

Problema 23 Sviluppare ulteriormente il calcolo delle variazioni.

Uno dei giudizi esplicitati da Hilbert in un passaggio successivo della sua prolusione è il seguente:

Invero il metodo assiomatico è e rimane l’unico sussidio indispensabile e appropriato dello spirito per

ogni ricerca esatta, non importa in quale dominio; esso è inattaccabile dal punto di vista logico ed è al

tempo stesso fecondo; garantisce perciò una piena libertà di ricerca. .. Mentre prima, senza il metodo

assiomatico, si procedeva ingenuamente, il metodo assiomatico rimuove questa ingenuità e tuttavia

permette i vantaggi della fede.

….

Mediante il metodo assiomatico possiamo penetrare sempre più profondamente nel pensiero scientifico

e apprendere l’unità del sapere. Soprattutto in virtù del metodo assiomatico la matematica sembra

chiamata a svolgere un ruolo trainante per tutto il sapere. 9

A seguito del discorso di Hilbert prese forma il movimento assiomatico, che mirava ad assiomatizzare

ogni settore della conoscenza matematica.

Nel 1902 Giuseppe Peano (matematico italiano, 1858-1932) assiomatizza l’aritmetica con 5 assiomi.

1. Esiste un numero naturale, 0

2. Ogni numero naturale ha un numero naturale successore

3. Numeri diversi hanno successori diversi

4. 0 non è il successore di alcun numero naturale

5. Ogni sottoinsieme di numeri naturali che contenga lo zero e il successore di ogni proprio

elemento coincide con l'intero insieme dei numeri naturali (assioma dell'induzione)

Nel 1908 Ernst Zermelo e Abraham Fraenkel assiomatizzano la teoria “ingenua” degli insiemi,

enunciata da Cantor.

1. Assioma di estensionalità: Due insiemi sono uguali se e solo se hanno gli stessi elementi.

2. Assioma dell'insieme vuoto: Esiste un insieme privo di elementi. Useremo {} per indicarlo.

3. Assioma della coppia: Se x, y sono insiemi, allora lo è anche {x,y}, cioè un insieme contenente x e y

come unici elementi.

9 Seminario matematico università di Amburgo, 1922

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Momenti storici della ricerca matematica – appunti per la 5K del L.C. Alexis Carrel

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4. Assioma dell'unione: Ogni insieme ha un'unione. Cioè, per ogni insieme x esiste un insieme y i cui

elementi sono esattamente gli elementi degli elementi di x.

5. Assioma dell'infinito: Esiste un insieme x tale che {} è in x e ogni volta che y è in x, lo è anche

l'unione y U {y}.

6. Assioma di specificazione (o di separazione): Dato un insieme qualsiasi e una generica proposizione

P(x), esiste un sottoinsieme dell'insieme originale contenente esattamente gli elementi x per cui vale

P(x).

7. Assioma di rimpiazzamento: Dato un qualsiasi insieme e un'applicazione generica, formalmente

definita come una proposizione P(x,y) dove P(x,y) e P(x,z) implicano y = z, esiste un insieme

contenente precisamente le immagini degli elementi originali dell'insieme.

8. Assioma dell'insieme potenza: Ogni insieme ha un insieme potenza. Cioè, per ogni insieme x esiste

un insieme y, tale che gli elementi di y sono esattamente i sottoinsiemi di x.

9. Assioma di regolarità (o assioma della fondatezza): Ogni insieme non vuoto x contiene un certo

elemento y tale che x e y sono insiemi disgiunti.

10. Assioma della scelta (versione di Zermelo): Dato un insieme x di insiemi non vuoti mutuamente

disgiunti, esiste un insieme y (un insieme scelta per x) che contiene esattamente un elemento per

ogni insieme contenuto in x.

L’attività più profonda dei matematici del XX secolo è stata la ricerca sui fondamenti: la sua natura e la

validità della matematica deduttiva.

Molti iniziarono a pensare che la matematica dovesse fondarsi sulla logica; ma fin dai primi anni

emersero delle contraddizioni preoccupanti, come il Paradosso/contraddizione di Bertrand Russel, che è

spesso citato nella versione divulgativa del barbiere

“In un villaggio vi è un solo barbiere, che rade tutti e solo gli uomini del villaggio che non si radono

da soli. Chi rade il barbiere?”

In una lettera a Dedekind, Cantor osserva che non si può parlare di insieme di tutti gli insiemi senza

cadere in una contraddizione.

L’insieme di tutti gli uomini, non è un uomo, mentre l’insieme di tutte le idee è un’idea.

Alcuni insiemi sono membri di se stessi, altri no.

In analisi il limite inferiore di un insieme di numeri non appartiene all’insieme; e questo è un

paradosso/contraddizione.

Queste osservazioni turbarono profondamente i matematici, mettendo in crisi l’ipotesi di fondare la

matematica sulla logica.

In ogni caso

NON

può radersi!

U= abitanti del villaggio

A = Coloro che NON si radono da soli

B = Coloro che si radono da soli

x= ?

Generalizzando si può

esprimere l’antinomia così:

L'insieme di tutti gli insiemi

che non appartengono a se

stessi appartiene a se stesso se

e solo se non appartiene a se

stesso

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Momenti storici della ricerca matematica – appunti per la 5K del L.C. Alexis Carrel

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Nella prima metà del 1900 prendono piede 3 diverse impostazioni di pensiero e ricerca: la scuola

logicista, la scuola intuizionista e la scuola formalista.

• La scuola logicista che voleva rifondare la matematica sulla logica. I principali fautori di

questa corrente di pensiero furono Frege, Russell e Whitehead.

Secondo questa scuola le verità matematiche sarebbero riconducibili a verità logiche.

I significati geometrici (e fisici) non farebbero parte della matematica.

La principale critica a questa scuola è che riduceva la matematica ad un livello puramente

formale, logico-deduttivo. L’azzeramento dell’intuizione immaginativa priva la matematica

della scoperta di novità; la deduzione infatti non fa che portare ad evidenza la verità delle

premesse. Inoltre sarebbe inspiegabile come un puro prodotto del pensiero sappia interpretare e

descrivere tanti fenomeni naturali, dall’acustica alla meccanica e all’elettromagnetismo.

La scuola intuizionista sosteneva che l’intuizione naturale fosse precedente alla struttura

assiomatica del pensiero e che ogni dimostrazione dovesse essere di tipo costruttivo. Iniziatore

di questa corrente fu il matematico tedesco Kronecker nel secolo XIX; Henri Poincarè e

Brouwer (Olandese morto nel 1966) nel XX.

La vera matematica, quella che serve a qualche utile scopo, può continuare a svilupparsi

[nonostante il Logicismo] secondo i propri principi senza prestare

attenzione alcuna alle tempeste che infuriano intorno a lei, e proseguirà, passo dopo passo le

sue consuete conquiste, che sono definitive e che non sarà mai necessario abbandonare

(Science and method - H. Poincarè)

Le idee matematiche sono immerse nella mente umana prima di linguaggio, logica ed

esperienza. L’intuizione, non la logica o l’esperienza, determina la validità e l’accettabilità

delle idee. (E. Brouwer)

La terza scuola di pensiero fu quella formalista, che ebbe come capo lo stesso Hilbert.

L'idea base del formalismo è che i numeri non sono entità né astratte né di altro genere. Non ci

dobbiamo impegnare ontologicamente nei loro confronti. Essi sono segni e ciò che importa è il

sistema formale della logica che si usa.

Le dimostrazioni sarebbero così una specie di meccanismo di necessità che applicando regole a

segni giunge «automaticamente» a formule conclusive interpretabili e vere per il formalismo

delle regole che le ha ricavate.

Gli oggeti del pensiero matematico sono i simboli stessi. I simboli sono l’essenza. …

Le formule possono implicare intuitivamente enunciati significativi, ma queste implicazioni

non fanno parte della matematica. (da un articolo del 1926 - D. Hilbert)

(Sviluppi futuri del formalismo.

• 1936 - Alan Turing (matematico britannico 1912-1954) concepisce la «Macchina di

Turing»: una macchina ideale in grado di svolgere infinite operazioni di calcolo logico,

come fossero ragionamenti meccanici svolti secondo regole di formalismo programmate.

• 1950 - Sul modello della macchina di Turing vengono realizzati gli elaboratori elettronici.

• 1956 – Iniziano gli studi sull’intelligenza artificiale.

Il programma di Hilbert.

A cominciare dal 1904 Hilbert si dedicò a rifondare l’aritmetica in modo coerente, senza fare uso della

teoria degli insiemi. Era questo il sogno di Hilbert, dichiarato come programma di lavoro nel 1920:

provare la consistenza (non contraddittorietà) e completezza (ogni affermazione dimostrabile)

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Momenti storici della ricerca matematica – appunti per la 5K del L.C. Alexis Carrel

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dell’aritmetica facendo uso solo di un sistema logico-formale; senza necessità di intuizione e riferimenti

esterni alla teoria.

La coerenza di ogni altro sistema assiomatico, compreso quello della geometria sarebbe poi stato

ricondotto a quello dell’aritmetica; e l’aritmetica sarebbe stata così la teoria perfetta a cui ricondurre

ogni altra teoria.

Si aprì dunque il problema di stabilire la coerenza di un sistema

assiomatico.

La coerenza delle geometrie non euclidee fu provata in

dipendenza dalla coerenza della geometria euclidea, grazie ai

modelli proposti da Pointcarè (per le geometria iperbolica) e da

Riemenn (per la geometria ellittica).

Hilbert poi riuscì a provare la coerenza della geometria euclidea

in riferimento all’aritmetica, mediante i metodi della geometria

analitica.

Ma la dimostrazione della coerenza dell’aritmetica si mostrò un

problema di difficile soluzione. Nel congresso internazionale del

1900 Hilbert aveva indicato questo come il problema n°2, basilare

per la fondazione della matematica.

Hilbert e la sua scuola, proprio in forza delle loro convinzioni sulla

validità del metodo assiomatico, riuscirono a dimostrare la coerenza di semplici sistemi formali e

credettero di essere sul punto di raggiungere la meta: la dimostrazione della coerenza dell’aritmetica.

Kurt Gödel

Ma poi entrò in scena Kurt Gödel (austriaco naturalizzato

statunitense, 1906-1978).

Egli dimostrò due teoremi che cambiarono completamente

lo scenario matematico del XX secolo.

Ogni teoria matematica, di complessità almeno pari

all’aritmetica, contiene almeno una proposizione che

non può essere né dimostrata né confutata.

In ogni teoria matematica T, di complessità almeno pari

all’aritmetica, non è possibile provare la coerenza di T all’interno di T .

Ovvero ogni teoria matematica è incompleta.

Le conseguenze di questi due teoremi furono enormi.

Le conclusioni di Godel infersero un colpo mortale al movimento assiomatico e al suo sogno di una

teoria perfettamente autosufficiente.

Una nuova concezione dell’astrazione

Tutta la storia della matematica fino al XVII secolo è pervasa dalla convinzione che la matematica sia il

linguaggio della realtà fisica. Gli stessi Greci, nella scoperta dell’astrazione si appellarono all’ evidenza

(cfr. gli assiomi euclidei) e all’intuizione (cfr. Congruenza per il movimento rigido). Evidenza ed

intuizione si riferiscono ad esperienze di carattere fisico, sensibile: è evidente ciò che io vedo con gli

Geometrie non euclidee

Geometria euclidea

Aritmetica

modelli Poincare e Riemann

geometria analitica

?

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occhi o con la mente, come ovvietà riconducibile ad esperienze pratiche. Ad esempio non ho difficoltà

ad accettare che per due punti passi una e una sola retta perché lo constato con un disegno.

Così pure intuisco la congruenza appoggiandomi all’esperienza di un semplice esperimento materiale di

ritaglio e sovrapposizione di due oggetti rigidi.

I Greci, Descartes, Galileo, Newton e molti altri grandi ritennero la matematica come il linguaggio

dell’universo, la sua trama costruttiva. Al riguardo è molto istruttiva la storia dell’astronomia che ha

sempre cercato di interpretare i moti celesti secondo armonie matematiche di traiettorie e di leggi

orarie: circonferenze o ellissi, moti uniformi o regolati da leggi algebriche ferree.

Fino all’800 la matematica si occupava sì di astrazioni, ma queste non erano altro che la forma ideale

degli oggetti e degli eventi fisici. Persino concetti molto profondi e nuovi come quello di funzione e di

derivata erano pretesi dai fenomeni fisici e indispensabili per descriverli.

Nel trattato De coelo Aristotele scrive: La retta ha grandezza in una direzione, il piano in due direzioni

e il solido in 3 direzioni. Al di là di queste non ci sono altre grandezze, perché il 3 è tutto. Non si può

passare ad un’altra specie, così come si passa dalla lunghezza all’area e dall’area al solido. Nessuna

grandezza può trascendere il 3, perché non ci sono più di 3 dimensioni, in quanto il 3 è il numero

perfetto.

Nel suo testo Algebra, John Wallis (matematico inglese 1616-1703) considera uno spazio di

dimensione maggiore di 3 definendolo “un mostro della natura, meno possibile di una chimera o di un

centauro”; egli scrive ancora lunghezza, larghezza e spessore assorbono l’intero spazio. Né può la

fantasia immaginare come dovrebbe essere una quarta dimensione locale oltre queste tre”. Anche

Descartes, Pascal e Leibniz avevano preso in considerazione la possibilità di una quarta dimensione e

l’avevano scartata in quanto assurda. Ciò prevalse fino al primo decennio del 1800. Tuttavia,

gradualmente e involontariamente, i matematici cominciarono ad introdurre concetti con significati

fisici scarsi o nulli: ad esempio i numeri negativi e i numeri complessi, anche se tali numeri venivano

comunque guardati con sospetto per la loro innaturalità (finchè non si riuscì ad associarli ad una

rappresentazione intuitiva geometrica: i numeri negativi come n° segnati su una retta orientata in una

direzione opposta a quelli positivi e i n° complessi come punti o vettori di un piano complesso ideato da

Gauss).

Fu a partire dalla fisica, in particolare dalla meccanica e delle sue esigenze di rappresentare

analiticamente leggi orarie di moti nello spazio che iniziò a pensarsi il tempo come una quarta

dimensione, alla stregua (matematica) delle tre spaziali.

Il primo studio completo di una geometria n-dimensionale, pur non implicando uno spazio fisico a n

dimensioni, fu pubblicato nel 1844 da Hermann Grassman (tedesco 1809-1877) col titolo Teoria

dell’estensione. Al riguardo egli scrisse in un articolo Il mio calcolo dell’estensione costituisce i

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fondamenti astratti della teoria dello spazio; cioè esso si svincola da tutta l’intuizione spaziale e

diviene pura scienza matematica; solamente le particolari applicazioni allo spazio fisico costituiscono

la geometria. Comunque i teoremi del calcolo dell’estensione non sono una mera traduzione di risultati

geometrici in un linguaggio astratto; essi hanno un significato molto più generale, perché mentre la

geometria ordinaria rimane confinata alle 3 dimensioni dello spazio fisico, la scienza astratta è libera

da questa limitazione.

L’opera di Grassman è rappresentativa della nuova concezione che sta maturando secondo cui il

pensiero puro può edificare costruzioni “arbitrarie” che possono essere o non essere fisicamente

applicabili.

A partire dal 1850 cominciò ad essere accettata l’idea che la matematica potesse concepire e sviluppare

concetti e teorie indipendenti da una immediata interpretazione fisica ma che, ciò nonostante, possono

essere utili.

Nel 1883 Cantor disse in una conferenza che La matematica è completamente libera nel suo sviluppo e

i suoi concetti trovano una limitazione soltanto nella necessità di non essere in contraddizione e di

essere coordinati ai concetti introdotti in precedenza da precise definizioni… L’essenza della

matematica sta nella sua libertà

La graduale accettazione che la matematica non abbia un’immediata controparte nel mondo reale, rese

necessario riflettere sul tema della verità di concetti e assiomi. Verso la fine del XIX secolo prevalse la

concezione che alle precedenti pretese di verità della matematica andassero sostituite quelle di studio

sulle conseguenze necessarie (che non possono non essere).

Charles Hermite (francese 1822-1901) scrisse al matematico olandese Thomas Stieltjes:

Io credo che i numeri e le funzioni dell’analisi non siano prodotti arbitrari delle nostre menti; io credo

che essi esistano al di fuori di noi con gli stessi caratteri di necessità degli oggetti della realtà

oggettiva; e noi li troviamo o li scopriamo e li studiamo come fanno i fisici, i chimici e gli zoologi

Godfrey Hardy (britannico 1877-1947) disse ad un convegno del 1928: I teoremi matematici sono veri

o falsi; la loro verità o falsità è del tutto indipendente da ciò che noi sappiamo su di essi. In un certo

senso la verità matematica è parte della realtà oggettiva. … Io credo che la verità matematica risieda

al di fuori di noi, che la nostra funzione sia di scoprirla e osservarla e che i teoremi che noi

descriviamo ampollosamente come nostre <<creazioni>> siano semplicemente gli appunti delle nostre

osservazioni.

Nel XIX secolo per la prima volta i matematici non solo portarono il loro lavoro al di là dei bisogni

della scienza e della tecnologia, ma sollevarono e risolsero questioni che non avevano, all’epoca, alcuna

rispondenza nei problemi tecnico-fisici. Era andata in frantumi la bicentenaria convinzione che la

matematica fosse verità sulla natura. Del resto ci si rese conto che le stesse teorie matematiche, ritenute,

in un primo tempo arbitrarie, erano assai utili per lo studio di alcuni notevoli problemi della natura.

Proprio in quegli anni prese forma uno scisma fra una matematica definita pura e un’altra matematica,

definita applicata. Con ciò riemerse anche se in termini molto rinnovati e approfonditi l’antica

contrapposizione tra le due scuole di Atene: l’Accademia di Platone e Aristotele, dove si formò Euclide

e che privilegiava la filosofia e la scuola di Isocrate che invece privilegiava la retorica. Molto

interessante al riguardo un testo attribuito a Gemino, matematico del 1° sec. a.C. molto citato da Proclo:

L’intera matematica (presso la biblioteca di Alessandria) venne separata in due principali divisioni

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con la seguente distinzione: una parte riguardava i concetti intellettuali, l'altra i concetti materiali. In

generale, nel periodo alessandrino la matematica sciolse gli stretti legami con la filosofia e ne strinse di

nuovi con l’ingegneria.

Ma la rinnovata consapevolezza del legame tra astrazione e applicazioni (che detto all’antica è legame

tra filosofia e ingegneria) è ben stigmatizzato da un matematico del XX secolo, Alfred Whitehead

(1861-1947), nel suo libro La scienza e il mondo moderno

... via via che la matematica si ritirava in misura crescente nelle regioni superiori del pensiero astratto

sempre più spinto, tornava alla terra con un'importanza sempre crescente nell'analisi del fatto

concreto...

E' ora pienamente stabilito il paradosso secondo cui le astrazioni più spinte sono le vere armi con cui

controllare il nostro pensiero del fatto concreto.

Le rivoluzionarie teorie della fisica del XX secolo, in particolare la teoria della relatività e la teoria dei

quanti hanno costretto a forgiare nuovi strumenti, concetti e metodi della matematica per interpretare,

descrivere e sviluppare le nuove concezioni del mondo fisico. Concetti, strumenti e metodi più raffinati

e astratti di tutti quelli studiati in precedenza.

Ciò ha mostrato che la realtà ha in sé un livello altissimo di astrazione, che la matematica deve

inseguire e imparare a descrivere e trattare. Cioè in certo senso è la realtà più astratta della matematica;

e se quest’ultima vuole continuare ad essere il linguaggio descrittivo della realtà, deve innalzare il suo

livello di astrazione.

In definitiva, dopo 2500 anni, la matematica è tornata alle sue origini: nata su base empirica ed

intuitiva, ha avuto una interpretazione rigorosa con i Greci. Poi il rigore è stato trascurato per parecchi

secoli, ma è infine tornato con rinnovata consapevolezza e determinazione nel secolo XIX. Sembrò che

l’uso del rigore logico, con il movimento assiomatico, potesse portare ad una teoria perfetta, così

sperava Hilbert. Gli sforzi per portare a termine questo tentativo hanno però raggiunto un impasse nel

quale non è chiaro cosa s’intenda con rigore. La matematica resta viva e vitale, ma solo su base

pragmatica!

Herman Weyl (tedesco 18851955) scrisse in una sua pubblicazione del 1944:

La questione dei fondamenti ultimi e del significato ultimo della matematica rimane aperta; noi non

sappiamo in quale direzione troverà la sua soluzione finale e neppure se ci si possa aspettare una

risposta definitiva obiettiva. La matematizzazione può ben essere un’attività creativa dell’uomo, come

il linguaggio o la musica, di originalità primaria, le cui decisioni storiche sfuggono a una completa

razionalizzazione oggettiva.

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Appendice 1: La cardinalità di Q è l’infinito numerabile

A prima vista sembra molto strano che l’insieme Q, possa essere messo in corrispondenza biunivoca

con N. In verità, non si possono disporre in ordine di grandezza i numeri razionali positivi (come invece

si può fare per i numeri interi) dicendo che a è il primo numero razionale, b il seguente in grandezza e

così via, perché tra due qualsiasi numeri razionali assegnati ce ne sono infiniti e perciò non esiste un

numero razionale “seguente a” in grandezza.

Ma, trascurando la relazione di grandezza tra elementi successivi, è possibile ordinare tutti i numeri

razionali in una sola successione, analoga alla successione dei numeri interi. Ogni numero razionale

può essere scritto nella forma a/b, dove a e b sono numeri interi e tutti i numeri razionali possono essere

disposti in un quadrato in cui a/b occupa la a-esima riga e la b-esima colonna.

Tutti i numeri razionali positivi possono venire, quindi, ordinati secondo il seguente schema.

Percorrendo la spezzata disegnata otteniamo la successione S1={1/1; 2; 1/2; 1/3; 2/2; 3; 4; 3/2; 2/3; 1/4;

1/5; 2/4; 3/3; 4/2; 5; ....} In questa successione cancelliamo ora tutti i numeri a/b dove a e b hanno un

fattore comune, in modo che ogni numero razionale vi figuri una sola volta nella sua forma più

semplice. Si ottiene così una successione S2={1; 2; 1/2; 1/3; 3; 4; 3/2; 2/3; 1/4; 1/5; 5; ..} che contiene

ogni numero razionale positivo una e una sola volta. Questo dimostra la numerabilità dell’insieme Q.

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Appendice 2: La cardinalità del continuo

L’indagine si spostò dunque su R e viene attribuita proprio a Cantor la scoperta di un altro tipo di

cardinalità e dunque di infinito. Ecco il suo ragionamento:

Ammettiamo per assurdo che i numeri Reali possano essere enumerati (cioè siano un insieme

numerabile). Ciò significa che deve essere possibile metterle in corrispondenza biunivoca un qualsiasi

loro intervallo con i numeri Naturali; se questo intervallo non è numerabile a maggior ragione non potrà

esserlo l’intero insieme R. Consideriamo allora tutti i numeri Reali compresi nell’intervallo (0,1), con

tutte le loro cifre decimali, e mettiamo in corrispondenza ognuno di essi con un numero Naturale. L’

elenco potrebbe presentarsi così:

Ora generiamo un nuovo numero decimale prendendo la prima cifra dopo la virgola del primo numero,

la seconda cifra del secondo numero, e così via all'infinito. Le cifre da usare come cifre del nostro

nuovo numero sono quelle sottolineate. li nuovo decimale comincia quindi così 0,273292 …. Adesso

ricaviamo da questo un ulteriore nuovo decimale aggiungendo 1 a ciascuna delle sue infinite cifre.

Otteniamo 0,384303 ….. Quest'ultimo numero non può comparire in nessun punto dell' originario

elenco ordinato di tutti i decimali che abbiamo ammesso debba esistere. Infatti deve sempre differire da

ciascun numero dell'elenco per almeno una delle sue cifre poiché è stato costruito esplicitamente con

questo criterio. Pertanto l’intervallo (0,1) di R non è numerabile e dunque, a maggior ragione, non lo e

l’intero R. Tale insieme è infinitamente maggiore di quelli dei numeri Naturali o dei Razionali.

La scoperta di Cantor - che vi sono infiniti di differenti “dimensioni” e che possono essere distinti in

modo totalmente privo di ambiguità - fu una delle grandi scoperte della storia della matematica. Fu

anche un passo in aperto contrasto con l'opinione prevalente.

Questo secondo tipo di infinito, cioè la cardinalità di R è stata definita “Continuo” e indicato con la

lettera

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Appendice 3.

Problema:

E’ più probabile avere almeno un 6 su quattro lanci di un dado e almeno un doppio 6 su

ventiquattro lanci di due dadi?

Il Cavalier di Méré aveva in mente un suo proprio ragionamento che dava ai due giochi la stessa probabilità.

Più o meno questo: "L'uscita di un 6 lanciando quattro dadi dovrebbe avere la stessa probabilità di avere almeno

una coppia di 6 lanciando per 24 volte una coppia di dadi. Perché allora il primo evento sembra verificarsi con

maggiore frequenza del secondo?"

Il Cavaliere aveva ragionato in questi termini: la probabilità di fare 6 con un solo dado è 1/6. Con quattro dadi

avrò 4 ∙ (1/6) = 2/3. Una coppia di 6 nel lancio di due dadi ha invece probabilità 1/36. Ripetendo per 24 volte il

lancio di due dadi avrò 24 ∙ (1/36) = 2/3. Quindi la probabilità dei due eventi è la stessa.

Il Cavaliere aveva commesso un errore: quello di sommare 4 volte o 24 volte la probabilità di un singolo evento,

come se si trattasse di eventi incompatibili.

Viceversa, l'uscita di un sei o di una coppia di 6 in un lancio non è incompatibile con le successive uscite del 6 o

della coppia di 6 nei successivi lanci.

Per risolvere il problema, Pascal ricorre a un piccolo trucco: poiché l’evento "Esce almeno una volta" è l'opposto

di "Non esce neppure una volta", se riesco a trovare la probabilità di quest'ultimo, basterà calcolare il

“complemento” <sottrarlo cioè dal numero 1> per ottenere il risultato.

Per il primo gioco, la non uscita del 6 in un lancio ha probabilità 5/6. La non uscita per 4 lanci consecutivi, sarà

(5/6)4 = 625/1296 = 0,482253 … La probabilità dell'evento opposto "Esce almeno una volta un sei" è pertanto (1-

0,482253) = 0,517746.

Per il secondo gioco, la non uscita di una coppia di 6 nel lancio di due dadi ha probabilità 35/36. La non uscita

per 24 volte di fila ha probabilità (35/36)24 = (0,97222...) 24 » 0,52. La probabilità dell'evento opposto "Esce

almeno una volta una coppia di sei" ha perciò probabilità circa (1-0,52) = 0,491403. Vediamo la tabella con la

soluzione.

dadi lanci

uscite

del 6

comb.

Possibili

prob di

non

ottenere

esito f=prob(n°lanci) g=comb(n° lanci) p=1-f/g

1 4 1 6 5 625 1296 0,517747

2 24 2 36 35 1,14191E+37 2,24523E+37 0,491404

Conclusione: ha probabilità maggiore il gioco con un solo dado.