ML Focus Ristrutturazioni Aziendali pt 1 - Apr 2014

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CULTURA D’IMPRESA E DINTORNI FOCUS RISTRUTTURAZIONI AZIENDALI - Parte 1 - A CURA DEL GRUPPO SIDA

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CULTURA D’IMPRESA E DINTORNI

FOCUS RISTRUTTURAZIONIAZIENDALI- Parte 1 -

A CURA DEL GRUPPO SIDA

Gent.mo imprenditore,

nelle Marche si è costituito un gruppo di lavoro sulla crisi

d’impresa, che si propone di offrire all’imprenditore uno

strumento con cui confrontarsi per cercare soluzioni di

superamento della crisi o interventi di miglioramento.

Questo team di professionisti è a disposizione per un incontro

conoscitivo.

Ringraziando per l’attenzione, porgo cordiali saluti.

LETTERA ALL’IMPRENDITORE

Flavio GuidiGruppo Sida

Via I Maggio, n. 156Tel. 071.28521 [email protected]

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SOMMARIO

Con la presente prefazione inten-diamo illustrare le motivazioni che stanno alla base della costituzione

di un “gruppo di lavoro” tra specialisti di settore e di ambito, resa ormai indispen-sabile in un momento di crisi industriale come quello che stiamo attraversando da troppo tempo. Una squadra di quali-ficati professionisti, questa, competente ad affrontare situazioni di crisi e in grado di operare per la soluzione dei proble-mi delle imprese. La crisi aziendale può essere caratterizzata da una situazione patologica che richiede cambiamenti ra-dicali e sostanziali, misure energiche ed urgenti, comunque tali da delineare una situazione straordinaria che richiede una gestione che esige competenze specifi-che, uscendo dalla routine giornaliera.La stessa crisi può avere un carattere fisiologico, legato alla ricerca di un mi-

glioramento generale o organizzativo, al fine di poter affrontare le veloci dinami-che di cambiamento richieste dal mutato contesto nel quale opera l’azienda. Tutto ciò per cogliere le nuove opportunità e gestire gli eventuali rischi che il cambia-mento medesimo comporta. Quando si parla di crisi in generale e in particolare di quella individuale, occorre innanzitut-to compiere una premessa: non esiste una standardizzazione di intervento con-sulenziale volto a ripristinare gli equili-bri aziendali, chiave fondamentale del successo dell’impresa. La crisi aziendale va configurata per quello che è, cioè un “virus mutante” che proprio per questa sua caratteristica dev’essere “isolato” caso per caso. Soltanto con tale inter-vento “personalizzato”, il “virus” può es-sere sconfitto. Tra gli obiettivi informativi che il neo-costituito gruppo di lavoro si è

dato, vi è quello di comunicare le cogni-zioni che i partecipanti al gruppo possie-dono in materia e di raccogliere queste considerazioni in tre distinte raccolte. Nella prima parte – sviluppata nelle pa-gine che seguono – si esamina l’aspetto di diagnosi, facendo riferimento all’a-zienda e al contesto. La seconda, che sarà pubblicata in allegato al prossimo numero di Mondo Lavoro, sarà dedicata alla prognosi, nonché agli strumenti e alle opportunità che al momento posso-no aiutare l’azienda a migliorare, a cam-biare la prospettiva. Nella terza parte, infine, la terapia: le strade, le modalità operative che possono essere adottate per uscire dalla crisi o migliorare il pro-getto aziendale.

L’AZIENDA IN CRISICostituito nelle Marche un gruppo di specialisti

L’AZIENDA IN CRISI di F. Guidi PAG 3

L’OPINIONE di G. Ciotti PAG 4

“FORMAZIONE ED INFORMAZIONE PER MIGLIORARE LE CAPACITA’ DI ANALISI ED AZIONE IN AZIENDA” di F. Guidi PAG 4

GESTIRE IL CAMBIAMENTO IN UNA SITUAZIONE DI CRISI di O.Fanella PAG 5

RISTRUTTURAZIONE AZIENDE IN CRISI: LA DIMENSIONE FINANZIARIA di A. Stecconi PAG 6

PRODUCO - VENDO - INCASSO di M. Sasso PAG 7

LA TUTELA DEL PATRIMONIO: ATTENZIONE AGLI INDICI DI SOLIDITÀ PATRIMONIALE di E. Veroli PAG 9

LA TUTELA DEL PATRIMONIO AZIENDALE: LA NORMATIVA di G. Sallustro PAG 9

L’IMPATTO DELLA CRISI SUL CONTO ECONOMICO di F. Passamonti e C. Tortolini PAG 11

INNOVAZIONE, FORMAZIONE ED EVOLUZIONE di M. Barchiesi PAG 11

INTERNAZIONALIZZAZIONE DEL MADE IN MARCHE: FATTORE CRITICO DI SUCCESSO O SOPRAVVIVENZA? di A. Cannella PAG 13

LA DIMENSIONE DIGITALE DELL’AZIENDA IN CRISI di R. Mataloni PAG 13

Flavio GuidiFondatore del Gruppo Sida

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Dottor Guidi, Lei ha affermato che “attraverso le attività di formazione e di informazione

dobbiamo migliorare le capacità di analisi ed azione in campo aziendale”. Posta questa premessa, quali sono i passi da compiere?“Li indico schematicamente:1. sviluppare maggiormente la visione

del contesto;2. prendere consapevolezza dei pun-

ti di forza e di debolezza del soggetto “azienda” in funzione di esso;

3. rideterminare gli obiettivi strategici; 4. individuare le risorse economiche, or-

ganizzative e finanziarie necessarie per perseguire i nuovi obiettivi;

5. revisionare, attraverso iniziative con-crete, gli aspetti che risultano non co-erenti rispetto al sistema;

6. pianificare e controllare il processo delle attività”.

In che misura è importante l'analisi del contesto?"Compiuto un opportuno arricchimento informativo e conoscitivo, si deve riflet-tere attorno ai nuovi e futuri scenari che caratterizzano il contesto all’interno del quale l’azienda opera, al fine di individua-re i rischi e le opportunità che esso offre. Il contesto economico, sociale, tecnolo-gico e politico è profondamente mutato: da qui l’importanza di impegnarsi al fine

"FORMAZIONE ED INFORMAZIONE PER MIGLIORARE LE CAPACITÀ DI ANALISI ED AZIONE IN AZIENDA"L'analisi di Flavio Guidi, fondatore del Gruppo Sida, si fonda sulle quattro "dimensioni" che caratterizzano l'azienda: economica, finanziaria, patrimoniale ed organizzativa

Dottor Ciotti, qual è l’obiettivo di questo nuovo gruppo di lavoro?“Quello di rimettere il comparto

industriale marchigiano nella condizio-ne di gestire un progetto, un’aspettativa di futuro funzionale - vuoi per le inizia-tive assumibili nel mercato estero, se la struttura è già dedicata, vuoi nel mercato interno - in funzione dei primi segnali ri-venienti dagli indicatori macroeconomici e più che mai in funzione del Jobs act ap-pena varato, da cui deriveranno maggio-ri risorse nel mercato tutto. Gli esperti chiamati a farne parte hanno come sco-po quello di gestire un progetto di rivita-lizzazione dell’azienda nella sua interez-za e di esaltare la sua offerta industriale. Il gruppo, appena costituito, è capace di gestire situazioni “normali” o di “emer-genza” che si siano verificate in ambiti diversificati: strutturale/societario, giu-diziale–contenzioso, giudiziale–concor-suale, giudiziale–penale, organizzativo interno/esterno, commerciale, delle risorse umane, del mondo del lavoro, nell’ambito di organizzazione aziendale ed industriale, e può permettersi di ope-rare world-wide, avendo alle spalle una struttura storicamente deputata alla ge-stione delle risorse aziendali, societarie, del mondo del lavoro, di gestione delle

risorse, complessive, disponendo di per-sone di esperienza in grado di operare in ambiti e in settori i più diversi e i più qualificati”.

I punti di forza della struttura.“La struttura vanta dalla sua l’esperien-za della ristrutturazione di aziende di di-mensione e caratura regionale ed ultra-regionale; da qui la decisione di iniziare ad operare in maniera continua nell’at-tuazione di progetti di riorganizzazione aziendale anche in operazioni di natura concorsuale, avendo ottenuto la colla-borazione funzionale di soggetti di espe-rienza ultradecennale nel settore”.

Cosa intende fare il gruppo di lavoro?“Le operazioni alla base del lavoro “Pro-getto Impresa” che si intendono realiz-zare sono le seguenti:1. Ceck –control aziendale completo2. Analisi della/e soluzioni adottabili3. Predisposizione di un progetto e indi-

viduazione dei tempi e dei termini di attuazione relativi

4. Simulazione delle soluzioni adottate/adottabili ed accertamento dei risultati raggiungibili

5. Accertamento dei costi dell’intera ope-razione di riorganizzazione aziendale

6. Accertamento della finanza necessaria alla riorganizzazione aziendale com-plessiva

7. Reperimento dei fondi relativi, finan-ziamenti strutturali, reperimento di partner per la sottoscrizione dei mini bond di progetto di riorganizzazione

8. Trattamento delle operazioni di riorga-nizzazione del mondo del lavoro, nelle sue accezioni complessive, anche alla luce delle nuove misure previste dalla legge delega del Governo.

Si è dunque pronti ad incontrare ogni imprenditore interessato ad accertare se la proposta di lavoro che scaturisce da questo gruppo possa fargli immaginare una soluzione che non quella prefigura-ta nell’ambito della sua attuale struttura ed organizzazione aziendale e verifica-re se le esperienze di lavoro di soggetti dedicati e di esperienza, possano fargli immaginare una diversa soluzione per il superamento della fase contingente che l’azienda sta attraversando e alla quale si intende fornire un progetto e un pro-gramma di riorganizzazione e sviluppo”.

L’OPINIONEdi Gianni Ciotti, esperto professionista in materia di crisi aziendali

Gianni CiottiArea Ristrutturazioni aziendali e del debitoGruppo Sida

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"La diagnosi consente di

individuare i punti di forza

e di debolezza, correlandoli con

le nuove o future condizioni"

di comprendere bene chi siamo e come si posiziona il nostro sistema aziendale rispetto alla nuova situazione, caratteriz-zata da profonde novità sia sotto il profilo delle mutate condizioni di mercato, sia per quanto attiene ai fattori produttivi. Dal contesto si individuano le azioni da intra-prendere per migliorare il funzionamento della macchina aziendale; in tal modo, alla luce dei cambiamenti intervenuti sarà possibile individuare e “misurare” i rischi e le opportunità che, verosimilmen-te, attraverseranno l’azienda".

Soffermiamoci appunto sull'azienda."Il soggetto "azienda" è fondamental-mente caratterizzato da quattro distinte dimensioni, seppur fortemente intercon-nesse, tant’è che tra esse deve costan-temente sussistere un preciso equilibrio: economica, finanziaria, patrimoniale ed organizzativa".

Iniziamo con la dimensione patrimoniale.“Essa ci dice se le risorse che abbiamo impiegato, o stiamo o andremo ad impie-gare, sono sufficientemente correlate al momento economico-finanziario che sta

vivendo l’azienda”.

Quella economica?"Produce risorse reali e finanziarie tali da generare una crescita del patrimonio e del valore aziendale, oppure al fine di salvaguardarne la sopravvivenza. Atten-zione, però: l’attività economica, peral-tro, è anche in grado di distruggerlo, il patrimonio aziendale".

Infine, le dimensioni finanziaria ed or-ganizzativa."La struttura delle fonti finanziarie è adeguata per sostenere l’attività azien-dale in termini di funzionamento e di svi-luppo, cioè di investimenti. La diagnosi organizzativa mira invece a monitorare e verificare l’adeguatezza delle risorse e strutture organizzative rispetto ai nuovi obiettivi, ed è finalizzata all’individuazio-ne delle azioni da intraprendere. In con-clusione: la pianificazione strategica ed operativa nonché il controllo economico, finanziario ed organizzativo costituisco-no elementi fondamentali".

Qual è il rapporto tra queste quattro di-

mensioni e il tema della ristrutturazio-ne aziendale?"Ristrutturare significa verificare se le suddette quattro dimensioni dell’azienda siano in equilibrio".

LA CRISI AZIENDALELa crisi aziendale è un fenomeno po-liedrico e denso di sfaccettature per la complessità delle molteplici variabili che ne rendono difficoltosa la comprensione e l’analisi all’interno di una realtà multi-forme. Altri diranno delle variabili econo-miche, finanziarie e giuridiche; a noi pia-cerà riflettere sugli ambiti propriamente strategico-organizzativi all’interno di un necessario piano di ristrutturazione e ri-sanamento aziendale.

IL PIANO DI INTERVENTO ORGANIZZATIVOIl piano di ristrutturazione, risanamen-to e rilancio di un’azienda tende a ri-

pristinare quelle condizioni di equilibrio economico-patrimoniale-finanziario che sono venute meno per effetto del verifi-carsi di uno o di alcuni degli accadimenti sopra descritti e che sono alla base del-la permanenza dell’azienda stessa sul mercato. Un piano efficace di ristruttu-razione organizzativa dell’azienda deve articolarsi in tre fasi fondamentali:

1. ANALISI2. DIAGNOSI3. CURA

L’analisi ha come obiettivo l’accertamen-to delle cause della crisi e l’approfondi-ta conoscenza dell’azienda in tutti i suoi

aspetti, attraverso la lente dell’adegua-tezza , della coerenza e dell’efficienza/efficacia. In particolare:• la governance e la strategia (sono ade-

guate ed efficaci rispetto alla mission e alla vision?);

• il sistema di management e la strut-tura organizzativa (sono coerenti alla strategia?);

• le componenti patrimoniali, econo-miche e finanziarie (dati storici) (sono considerati, valutati e misurati nella loro effettiva dinamica nel tempo?);

• l’impianto contabile e le procedure di controllo (è adeguato l’uno? Sono effi-caci le altre?);

GESTIRE IL CAMBIAMENTO IN UNA SITUAZIONE DI CRISILa felicità della tua vita dipende dalla qualità dei tuoi pensieri (Marco Aurelio)

Flavio GuidiFondatore del Gruppo Sida

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RISTRUTTURAZIONE AZIENDE IN CRISI: LA DIMENSIONE FINANZIARIATutte le aziende, nel corso del loro ciclo di vita, possono attraversare una o più fasi di crisi, che se non affrontate adeguatamente comportano sempre una progressiva distruzione di valore per azionisti e creditori. In assenza di opportune soluzioni ogni crisi, qualunque sia la sua origine, è destinata a diventare irreversibile e a degenerare in insolvenza. La dimensione finanziaria nei processi di ristrutturazione è di fondamentale importanza strategica per il buon esito dell’operazione di revisione nel suo complesso

Qui di seguito le principali fasi ope-rative del processo di rivisitazione finanziaria dell’azienda in difficol-

tà.

1) CONTINUITÀ AZIENDALE SÌ O NO? È la decisione di base per capire se ha senso pensare a una ristrutturazione fi-nanziaria dell'azienda. Dipende prima di tutto dalla volontà dell'imprenditore (ba-sata sia su valutazioni psicologiche ed emotive che oggettive) e dall'esistenza di condizioni oggettive per la continui-tà. La decisione è dunque prima di tutto dell'imprenditore che può essere assisti-to in questa fase da professionisti esterni per una stima delle reali prospettive di mercato dell'azienda, una migliore va-lutazione degli asset e dei costi impliciti delle due ipotesi (cessazione dell'attività d'impresa/continuazione), per valutare le possibilità di successo delle richieste di finanziamento al sistema bancario e le condizioni perché vengano accolte.

2) QUANTIFICARE LE RISORSE PERSO-NALI DISPONIBILI PER L'IMPRESA Una volta deciso (almeno come orienta-mento di massima) di proseguire nell'at-tività, l'imprenditore deve analizzare quali sono le risorse che può ed è dispo-sto ad investire per il rilancio dell'impre-

sa. Non si tratta ancora di pensare come trovare nuovo credito, ma di capire quan-te di queste risorse l'imprenditore ha già nella sua disponibilità. Questa fase è necessaria per capire le prospettive rea-listiche di intervento e anche per raffor-zare (o, al limite, ribaltare) la decisione di cui al punto 1. In una fase successi-va si valuterà se e quanto patrimonio dell'imprenditore è necessario mettere a disposizione per il rilancio dell'azienda e qual è il modo più efficace per "valoriz-zarlo" nei confronti delle banche. Rica-pitalizzazioni effettuate al di fuori di piani finanziari strutturati, rischiano di essere un rimedio temporaneo che non è pos-sibile far valere in termini negoziali nei confronti del sistema bancario.

3) MAPPARE LE GARANZIE PRESTATE A BANCHE, FORNITORI, CLIENTI A complemento della fase 2, è necessa-rio rilevare quali e quante garanzie sono state prestate dall'imprenditore, da terzi o dall'azienda stessa alle banche, ai for-nitori, ai clienti e quali altri condiziona-menti gravano sui rapporti con questi ul-timi (per esempio le posizioni finanziarie dei soci con le banche coinvolte nell'a-zienda). Questa attività è fondamentale per due motivi: stimare quanto del patri-monio dell'imprenditore è effettivamen-

te disponibile e capire quanto i creditori dell'azienda (le banche in primis) sono motivati alla sua sopravvivenza per recu-perare il loro credito.

4) ATTREZZARSI PER LA SOPRAVVI-VENZA L'azienda deve mettersi in condizioni di sopravvivere anche se la crisi dovesse prolungarsi. Si tratta di rivedere il pro-cesso di gestione finanziaria dell'impre-sa per renderlo compatibile con la si-tuazione di credito e di mercato attuale. Difficilmente torneranno le condizioni di "credito facile" che si sono verificate fino al 2007 e il business aziendale per "stare in piedi" deve avere un equilibrio finanziario maggiore che in passato. La gestione finanziaria è dunque parte in-tegrante del business e condizione di sopravvivenza dell'impresa. Gli inter-venti urgenti sono: ridurre i costi che si possono effettivamente tagliare, ridurre il magazzino, sia delle materie prime che dei prodotti finiti; selezionare i debiti scaduti da pagare in funzione della con-tinuità aziendale gestendo in modo attivo i rapporti con i fornitori; evitare sconfi-namenti prolungati con la stessa banca; operare una gestione continuativa del cash-flow; operare una gestione antici-pata del credito commerciale.

• il ciclo produttivo (è efficiente?);• le caratteristiche del prodotto/dei pro-

dotti e dei mercati di sbocco (sono in-novative e capaci di catturare il clien-te?);

• le politiche commerciali (sono in grado di produrre un’offerta di valore ade-guata alla competitività richiesta dal mercato?);

• il sistema informativo (è adeguato al

modello organizzativo –gestionale ed è capace di servire le particolari esigen-ze operative aziendali?).

Ad un’analisi siffatta ed alle domande poste, le cause possono rivelarsi:A - interne (disfunzioni del sistema, e quindi scarsa produttività, costi troppo elevati, carenze organizzative, incapaci-tà di programmare e rinnovare, errori di marketing, investimenti sbagliati) , o

B - esterne (variabili ambientali, quali caduta dei prezzi, decadimento del pro-dotto, improvviso immobilizzo di crediti consistenti, aumento repentino dei costi delle materie prime).

Osvaldo FanellaArea Strategia e Organizzazione Gruppo Sida

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5) FARE UN PIANO INDUSTRIALE CRE-DIBILE E SOSTENIBILE Nel rapporto banca-impresa ha sempre più importanza la definizione da parte dell'azienda di un business plan, ovve-ro di un documento finalizzato a deter-minare e fissare gli impegni delle parti. Con il business plan viene costituito un vincolo contrattuale trasparente tra ban-ca e impresa, e un impegno reciproco a realizzare un piano di azioni strategiche ed operative e a sostenerlo finanziaria-mente. Un business plan efficace deve essere: a) credibile: gli obiettivi fissati devono es-sere raggiungibili; b) sostenibile: finanziariamente, ma an-che sotto il profilo della gestione mana-geriale degli obiettivi;c) verificabile: il grado di dettaglio dei fattori determinanti (driver) dei ricavi e dei costi dev'essere sufficiente per ren-dere comprensibili le variazioni di alcuni parametri rispetto agli anni precedenti;d) motivato: il raggiungimento degli obiettivi fissati dev'essere conseguente ad azioni chiaramente identificate.

6) DEFINIRE LE RICHIESTE DA SOTTO-PORRE ALLE BANCHE ED EVENTUAL-MENTE AI FORNITORIA questo punto l'imprenditore deve defi-nire cosa chiedere alle banche, le condi-

zioni commerciali da chiedere ai fornitori (ad esempio con riguardo ai tempi di pa-gamento dei debiti scaduti) e da conce-dere ai clienti nell'ambito di una gestione del piano stesso. Non è opportuno fare una "stima approssimativa" di cosa e quanto richiedere alla banca, perché le valutazioni si concentrano all'inizio del piano e spesso è particolarmente lungo e faticoso ottenere variazioni in corso di piano, senza giustificati motivi.

7) AGIRE IN FRETTA NELLA RISTRUT-TURAZIONE La tempestività dell'azione di ristrut-turazione dell'azienda e del debito è un elemento chiave. Dal momento della de-cisione a quello della "messa in moto" del meccanismo di ristrutturazione del debito prevista dal piano non devono passare più di tre mesi. Perché aspet-tare significa deteriorare ulteriormente la situazione finanziaria e patrimoniale dell'impresa.

8) CONTROLLARE CON ASSIDUITÀ CO-STI E FLUSSI DI CASSA (MONITORAG-GIO)La banca finanzia il piano secondo clau-sole ben precise. Se queste clausole non vengono soddisfatte, ovvero "saltano" i parametri aziendali che la banca tiene sotto osservazione, anche il piano rischia

di saltare, e con lui la continuità azienda-le. L'imprenditore deve tenere sotto con-trollo i dati sensibili ai fini contrattuali, perché solo lui ha interesse ad interve-nire prima che questi possano registrare sbilanci "pericolosi".

9) ATTREZZARSI PER PIANIFICARE E GESTIRE LE RISORSE FINANZIARIE AZIENDALI Se gestire la finanza in passato non è mai stata una priorità, oggi lo è diventata. L'imprenditore deve ristrutturare o crea-re ex novo una funzione di gestione della finanza aziendale. Troppo costoso avere all'interno un esperto di questi temi? L'esperto può essere anche esterno, così come di solito lo sono il consulente fiscale e tributario, l'esperto di paghe e contributi, chi supporta il sistema infor-mativo, il legale e altre figure di profes-sionisti che assistono l'azienda. Chi deve fare questo mestiere? È un nuovo tipo di professionista. È bene che l'imprenditore sia certo che la persona che "prende in mano" la finanza aziendale abbia com-petenze effettive in merito.

PRODUCO - VENDO - INCASSOChe la strategia aziendale sia guidata dalla convenienza economica, dalla profittabilità del mercato, dalle inclinazioni ed intuizioni dell’imprenditore, è cosa acclarata; quello che proprio contravviene alla storica volontà di fare impresa, è che l’imprenditore guidi le proprie strategie solo in funzione di “chi paga” e chi non lo fa

Chiariamo un aspetto: da sempre l’attenzione alle tematiche della solvibilità del cliente sono sta-

te centrali per l’impresa, ma mai come negli ultimi tre anni si è sentita forte la necessità di rivedere le proprie strategie aziendali in funzione del grado di certez-za dell’incasso. La spinta a tale cambia-mento è venuta da due macrosistemi. Il primo è il sistema “mercato”: i dati Cerved Group (ultimo aggiornamento a

dicembre 2013) mostrano un fenomeno preoccupante in termini di solvibilità del mercato, su una scala continua da 1 (mi-nimo rischio) a 100 (massimo rischio), La regione Marche si attesta su valori molto elevati (74,1) – (vedi figura).L’inadempienza cronica, che dapprima si manifesta con richieste di dilazione del debito, consolidamento del pregresso e richiesta di un simil-piano di rimborso, sfocia troppo spesso nell’impossibilità

di onorare il debito contratto, dando il via a veri e propri fenomeni di insolven-za. Il 2013 si è confermato un anno ad alto rischio per le imprese italiane, e il 2014 si manterrà a livelli molto elevati. Il secondo è il sistema finanziario. L’o-biettivo attuale del mondo bancario, è di poter rintracciare aziende con rapporti commerciali sani, ovvero dilazioni me-die di incasso non superiori a 120 giorni, basso livello di insoluti, ridotto utilizzo

Alessandro StecconiDivisione Corporate Finance Gruppo Sida

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Michele SassoArea Finanza Gruppo Sida

delle linee di smobilizzo. Davanti a tale pressioni l’imprenditore ha dovuto rive-dere il proprio orientamento al mercato, passando da logiche guidate dalla cre-scita ad ogni costo, a strategie di crescita sostenibile finanziariamente, risegmen-tando il mercato non più e non solo tra Italia ed estero, alta o bassa marginalità, alta o bassa strategicità del cliente, ma tra alta o scarsa probabilità di insolven-za. Ad oggi si rende necessario rivede-re l’approccio aziendale, orientandolo alla ricerca di quel mercato/canale, che possa garantire un incasso sul venduto. L’imprenditore è chiamato a “barattare” marginalità per giorni di incasso. A cosa serve vendere un prodotto realizzando differenziali elevati, se questi generano

costi indiretti? Un esempio è dato dai co-sti bancari necessari per concedere una dilazione (forzata) al nostro cliente, che spesso eccede i 120 giorni di pagamen-to. Come non promuovere quindi questo orientamento, che vede l’approccio fi-nanziario al business come punto cru-ciale per la gestione aziendale? Infatti il paradigma “produco – vendo” deve poter lasciare il posto a “produco – vendo – in-casso”, derogando talvolta alle necessità di crescita a tutti i costi, prediligendo una liquidità sana che rientra in azienda e la autoalimenta. Con ciò è necessario pro-muovere una politica di decongestione dal sistema del credito, utilizzando stru-menti esistenti sul mercato, che tutelino dal rischio di insolvenza. Credito a cui

troppo spesso le imprese ricorrono, uti-lizzando quell’autoliquidante che è sem-pre di più un anticipo su crediti inesigibili e che per scarsa cultura imprenditoria-le viene utilizzato per sostenere tutte le esigenze aziendali, anche quando non idoneo alle fasi di ristrutturazione e ri-presa. Tale strategia attiene innanzitutto alla sopravvivenza, senza sottovalutare che potrebbe rappresentare la strada maestra per poter ritornare a guardare all’azienda come un sistema economico sano e sostenibile nel tempo.

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E’ necessario, nell’approcciare il problema, mantenere nettamente distinti il patrimonio personale dal

patrimonio aziendale dell’imprendito-re: il primo rappresenta le disponibilità immesse dall’imprenditore nella propria azienda, e in quanto tale soggiace al ri-schio di impresa, il secondo è riferito, al contrario, alle disponibilità personali dell’imprenditore, “fuori” dal rischio di impresa. Nella realtà, soprattutto in contesti economici di medio-piccole dimensioni (Pmi) e in periodi di profonda crisi e di credit crunch, anche il patrimonio per-sonale dell’imprenditore soggiace al ri-schio di impresa laddove sia stato utiliz-zato per garantire, presso il sistema del credito, il funzionamento dell’attività. E’ evidente la pericolosità di una tale con-dizione: la crisi dell’impresa è in grado di compromettere non solo quanto diret-tamente investito nell’attività economica, ma anche ciò che è “esterno” ad essa, e in prospettiva è in grado di minare qualunque possibilità di ripresa dell’at-

tività. Un’adeguata tutela del patrimonio dell’imprenditore passa quindi, in primo luogo, nel porre in essere tutte quelle azioni che consentano di mantenere il patrimonio personale svincolato dal ri-schio d’impresa.Vi è poi la necessità di salvaguardare il patrimonio aziendale; questo concet-to, evidentemente, non è circoscritto al solo patrimonio netto, cioè alle risorse finanziarie conferite dall’imprenditore per il funzionamento della sua azienda, ma si allarga a tutti quegli elementi, an-che intangibili, che costituiscono il valore di un’azienda: il suo know how, l’adde-stramento del personale, la sua capa-cità di distinguersi sul mercato, la sua tecnologia, ecc… In tal senso, tutelare il patrimonio aziendale significa essere in grado di garantire il buon funzionamento dell’azienda e la sua capacità di produrre reddito ed autofinanziamento. E’ evidente che questo obiettivo potrà essere perse-guito soltanto laddove l’azienda evidenzi una struttura patrimoniale equilibrata, che non poggi esclusivamente su risorse

esterne e su un’elevata leva finanziaria, ma che sia in grado, grazie alle risorse prodotte o apportate dall’imprenditore, di sopportare anche prolungati periodi di credit crunch. E’ necessaria, in sintesi, una certa solidità patrimoniale.Al fine di verificare il grado di solidità pa-trimoniale di un’azienda si è soliti ricor-rere all’analisi di alcuni indici (gli “Indici di Solidità Patrimoniale”), che misurano la solvibilità dell’azienda nel medio-lun-go termine e quindi la sua la capacità di ottenere dai creditori il rinnovo dei finan-ziamenti in scadenza e la concessione di nuovi prestiti. Tra gli altri, assume una particolare importanza il rapporto tra il patrimonio netto e il totale passivo, in quanto per convenzione gli esperti se-gnalano che il 30 per cento sia un valore soddisfacente di tale indicatore per evi-tare la sottocapitalizzazione e la conse-guente esposizione al rischio finanziario.

Enrico VeroliArea Fiscale e Societaria Gruppo Sida

LA TUTELA DEL PATRIMONIO: ATTENZIONE AGLI INDICI DI SOLIDITÀ PATRIMONIALEIn un periodo caratterizzato da una profonda recessione economica, la tutela del patrimonio dell’imprenditore risulta di fondamentale importanza. Questo costituisce la “ricchezza” accumulata nel corso degli anni e la base su cui fondare lo sviluppo futuro

Nel 2006, infatti, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il   D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5  (Riforma or-

ganica della disciplina delle procedure concorsuali), normativa che ha spinto gli “addetti ai lavori” a parlare di una vera e propria “rivoluzione copernicana” che

pone finalmente l’Italia “al passo con l’Europa” nella disciplina delle procedu-re concorsuali. Intervenuta dopo diversi tentativi e disor-ganiche soluzioni legislative, la riforma ha colmato una lacuna da tempo avver-tita nel panorama giuridico italiano: la

necessità di un adeguamento della di-sciplina alle nuove esigenze del mercato e soprattutto al contesto europeo.Principio generale della riforma può rite-nersi l’abbandono della prospettiva “per-sonal-sanzionatoria” che ha caratteriz-zato il precedente impianto fallimentare,

LA TUTELA DEL PATRIMONIO AZIENDALE: LA NORMATIVAIl requisito dimensionale dell’azienda è diventato negli ultimi anni il criterio scriminante in ordine alla possibilità di intervenire anticipatamente, con strumenti ad hoc, su un’impresa in crisi, allo scopo di operare il salvataggio della stessa

10 FOCUS

in un’ottica di salvataggio dell’impresa, intesa come valore economico da tute-lare. Il fallimento, dunque, diventa or-mai l’extrema ratio, in un sistema che abbandona i datati aspetti sanzionatori della procedura (salvo quelli strumentali alla stessa) e privilegia la soluzione con-cordataria, che consente un intervento anticipato sull’impresa in crisi (e non più insolvente) e finalizzato alla ripresa del business e alla sopravvivenza del com-plesso aziendale nel mercato.

Uno dei meriti della riforma, a parere di chi scrive, consiste altresì nel conferma-re l’esclusione dal fallimento del piccolo imprenditore ma, soprattutto, nel preci-sare le soglie entro le quali è ammissibi-le tale esenzione.

L’art. 1 della nuova legge fallimentare stabilisce, infatti, che devono essere con-siderati piccoli imprenditori gli esercenti un’attività commerciale in forma indivi-duale o collettiva che abbiano realizzato investimenti in azienda non superiori a 300.000 euro e ricavi lordi non superiori ai 200.000 euro negli ultimi tre esercizi o dall’inizio dell’attività, se di durata infe-riore. I limiti indicati nel richiamato art 1 così riformato possono essere aggiorna-ti ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia sulla base della media delle variazioni degli indici Istat dei prez-zi al consumo per le famiglie di operai e impiegati intervenute nel periodo di rife-rimento. Come sottolinea la Relazione illustrativa alla riforma, “si è inteso risol-vere nel senso dell’esclusione la vexata quaestio concernente la fallibilità delle piccole società commerciali”.

La riforma prevede anche la disciplina degli effetti del fallimento della società su eventuali patrimoni e finanziamenti destinati. L’introduzione di queste due figure - con la riforma del diritto socie-tario del 2003 – aveva evidenziato nume-rose difficoltà di coordinamento con la disciplina fallimentare.  Difficoltà rap-presentate non solo dalla problematica configurazione di una procedura concor-suale autonoma per i patrimoni destinati (sostenuta da autorevole dottrina), ma anche dall’esigenza di completare la la-cunosa disciplina codicistica relativa agli effetti del fallimento della società sulle entità patrimoniali separate e sui finan-

ziamenti destinati.La riforma del 2006 è stata poi oggetto di numerosi, seppur limitati ad alcune nor-me della legge fallimentare, interventi legislativi successivi. Uno dei più impor-tanti è costituito dalla Legge n. 134 del 7 agosto 2012.

L’art. 33 di tale provvedimento modifica alcune norme della Legge Fallimentare e ne introduce di nuove, intervenendo in prevalenza sulla disciplina del concor-dato preventivo e degli accordi di ristrut-turazione. I potenziamenti riguardano, oltre ai tre già conosciuti strumenti per la gestione negoziale (piano attestato, accordo di ristrutturazione, concordato preventivo) un’ulteriore sotto-figura ine-dita, ovvero il cosiddetto “concordato in continuità”, in modo da favorire la con-tinuità aziendale implementando la pro-tezione del patrimonio del debitore e la possibilità di finanziare l’impresa in crisi.Le nuove previsioni, secondo l’intenzione del legislatore, avrebbero: a. da una par-te, la finalità di permettere alle imprese in crisi un accesso più rapido alle pro-cedure di risanamento, consentendo tra l’altro l’accesso a nuovi mezzi finanziari e garantendo talune tutele già nella fase preliminare di negoziazione con i credi-tori; b. dall’altra, l’intenzione di garantire maggior rigore (con correlate sanzioni anche penali) in materia di attestazioni del professionista.

La normativa, anche al fine di conte-nere se possibile i costi per le società che debbono intraprendere il processo di ristrutturazione, prevede inoltre (art. 182-sexies L.F.) che dalla data del depo-sito del ricorso per l’ammissione al con-cordato preventivo ovvero dalla domanda per omologa dell’accordo di ristruttura-zione e sino all’omologazione della stes-sa, non si applichino le disposizioni del codice civile relative alle cause di scio-glimento della società per riduzione del capitale sociale per perdite oltre il terzo ovvero al di sotto del limite legale (arti-coli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto e 2482-ter del codice civile). Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per ridu-zione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, n. 4 e 2545-duodecies del codice civile. 

Rimane comunque impregiudicata, per il periodo anteriore al deposito della do-manda di concordato o della proposta di accordo, l’applicazione dell’articolo 2486 c.c., in relazione ai poteri degli ammini-stratori nel periodo compreso tra il veri-ficarsi di una causa di scioglimento e la nomina dei liquidatori.

Sempre in un’ottica di conservazione dell’impresa va interpretata la previsio-ne che introduce anche dei vantaggi di carattere fiscale. In primo luogo si sta-bilisce l’esenzione dalla tassazione delle sopravvenienze attive dipendenti dalle riduzioni dei debiti dell’impresa per ef-fetto del concordato o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (ai sensi del novellato art. 88 del D.P.R. n. 917/86); quindi si prevede la possibilità attribu-ita al creditore di portare in deduzione le perdite su crediti se il debitore è as-soggettato a procedure concorsuali, tra cui dev’essere incluso anche l’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (ex art. 101, comma 5, del D.P.R. n. 917/86, come riformato).

Gerardo SallustroArea Legale Gruppo Sida

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Ma questo status di insolvenza è sempre la conseguenza di una crisi che ha le sue origini nella

gestione economica dell’azienda. E’ per-ciò indispensabile che l’analisi delle dif-ficoltà aziendali sia sincera, approfondita e completa in quanto l’evidente manife-stazione di carenza monetaria nasconde spesso molteplici cause non sempre tut-te di facile individuazione.Sovente i fenomeni negativi sono ampli-ficati anche da inefficienze di processo ed organizzative, magari sempre esisti-te, che ora però, in questa complicata situazione, diventano intollerabili. Diven-ta perciò fondamentale diagnosticare e scoprire rapidamente e correttamente le vere cause, per avere il tempo di interve-nire con le necessarie strategie di risa-namento, le quali devono in primo luogo mirare al riequilibrio economico.Il processo che generalmente si attiva nelle aziende in crisi parte spesso da una diminuzione degli ordini e quindi del fatturato.Come agisce d’impulso l’imprendito-re per sostenere le vendite e cercare di mantenere la propria quota di mercato? Ecco alcuni esempi classici:• diminuzione dei prezzi di vendita;• sconti quantità;• dilazioni di pagamento;

• ricerca di nuova clientela anche tra quella meno solida ed affidabile.

E’ inevitabile che queste strategie com-portino le seguenti conseguenze:• diminuzione del margine di contribu-

zione (prezzo di vendita meno i costi variabili diretti);

• incremento dell’incidenza percentuale dei costi fissi di struttura sul totale del valore prodotto;

• aumento degli oneri finanziari;• crescita delle perdite su crediti e delle

insolvenze;• riduzione del risultato economico (o

aumento delle perdite).A questo punto l’imprenditore, non ve-dendo risultati positivi dalle strategie commerciali attuate, decide di effettuare sostanziosi tagli sui costi più facilmen-te governabili, eliminando giustamente i costi inutili, ma anche tagliando attività strategiche, quali ad esempio:• lo sviluppo di nuovi prodotti;• l’innovazione tecnologica;• la ricerca di nuovi mercati;• gli investimenti in risorse umane.Sono così eliminate, per il futuro, le basi per la costruzione di un’azienda econo-mica e competitiva.La successiva fase del “disordine” azien-dale in atto è caratterizzata da azioni che l’imprenditore effettua per tentare di “ri-

manere a galla” in attesa di un miracolo-so recupero. Al fine di ottenere i neces-sari fidi finanziari, si tenta di nascondere a banche e fornitori la crisi aziendale fornendo bilanci caratterizzati essenzial-mente dai seguenti elementi:• supervalutazione delle rimanenze;• mancate svalutazioni dei crediti;• immotivate capitalizzazioni di costi.L’ultimo stadio è contraddistinto dal tentativo di recuperare risorse finan-ziarie evitando di pagare le imposte e i contributi previdenziali, confidando nei tempi lunghi dello Stato e in improbabili condoni. Con queste premesse è razio-nale e saggio per l’imprenditore inse-guire soluzioni e strategie confidando non solo sull’efficacia del proprio ma-nagement, ma ricercando aiuto da pro-fessionisti d’impresa, i quali vedono tan-ti casi aziendali e in più sono abituati a vivere parallelamente sia i successi che le grandi difficoltà e perciò sanno come rassicurare il team aziendale ed allenta-re il tasso di ansietà, riuscendo in tempi brevi a delineare la giusta diagnosi ed utilizzare i necessari strumenti indispen-sabili al risanamento.

L’IMPATTO DELLA CRISI SUL CONTO ECONOMICOIl segnale, chiaro e forte, che arriva oggi a moltissime aziende è la mancanza di liquidità correlata alla difficoltà di rispettare gli impegni finanziari assunti. In queste situazioni spesso si commette l’errore di inseguire il rimedio ricercando nuova finanza, spesso molto onerosa, con l’effetto di aggiungere debiti ai debiti, aggravando la situazione fino al dissesto definitivo

Di fronte a mali complessi, articola-ti, tentacolari ed eterogenei come la conclamata e longeva crisi che

attanaglia il nostro Paese da quasi un de-cennio, purtroppo non esiste una ricetta

speciale e totalmente risolutiva, non esi-ste una formula che agisca tempestiva-mente e in modo indolore. Anzi, forse è una fortuna, perché qualora ci fosse sta-ta davvero, sarebbe stato mortificante il

constatare che dopo anni non siamo an-cora stati in grado di individuarla. Tanto più che natura ed espressioni della crisi sono da considerare non solo come un virus di estrema pericolosità e resisten-

INNOVAZIONE, FORMAZIONE ED EVOLUZIONEPer innovare realmente occorre avere una chiara visione del futuro. Per evolversi occorre capitalizzare le innovazioni e il valore che esse sono in grado di creare, per far sì che si possa operare con senso della prospettiva. Una delle principali cause della crisi sistemica italiana è radicata nella mancanza di un adeguato humus culturale verso la “capacità di intraprendere”

Fabrizio PassamontiCarlo TortoliniArea Economica Gruppo Sida

12 FOCUS

za, ma anche rapidamente in mutazione, il che rende spesso impraticabile qual-siasi schema risolutivo che sia troppo rigido e legato al passato. Nei prossimi numeri verranno trattati gli strumenti di correzione e risanamento delle condizio-ni di crisi aziendale, ma qui mi limiterò a sottolineare alcune mancanze fin trop-po frequenti nelle nostre imprese e che potrebbero influenzare notevolmente lo sviluppo degli eventi verso le situazioni di grave deficit competitivo che di solito sono la base imprescindibile dell’ago-nia di un progetto imprenditoriale. Gli strumenti di pianificazione sono spesso assenti dal nostro concetto di “gestio-ne ordinaria”. Ovviamente, un semplice budget di vendite non è sufficientemente approfondito e scientificamente creato, per sua stessa natura, per essere con-siderato adeguato, né lo sono i cosiddet-ti “business plan” che possono essere forniti alle banche, ad esempio, nel caso di richiesta di finanziamenti. Discorso simile va fatto per le documentazioni descrittive e numeriche da compilare nel caso di partecipazione a vari bandi inerenti a fonti di finanziamento agevo-late. Normalmente si tratta di elaborati che hanno una visione troppo settoriale o parziale dell’argomento complessivo, o che nascono finalizzati ad uno scopo tal-mente preciso e circoscritto da non esse-re da soli in grado di individuare tutte le variabili del sistema e a trarre delle con-clusioni adeguate. In altre parole, non si tratta (quasi) mai di strumenti gestionali

dotati di una corretta efficienza ed effi-cacia. Il mercato non è un’entità astratta e/o passiva, che crea solo i presupposti per una strategia senza ipotizzare che le sue stesse componenti reagiscano poi nel tempo alla stessa, cambiando almeno in parte le variabili in gioco. Il mercato incarna il cambiamento delle mentalità, delle politiche, delle strategie e delle tecnologie, è quindi un organi-smo cangiante e reattivo, che tra l’altro in parte segue percorsi razionali (l’eco-nomia politica, l’innovazione scientifico-tecnologica) ma che d’altra parte deve rispondere poi ad esigenze emozionali e non pienamente prevedibili (il comporta-mento d’acquisto dei clienti finali): basta partire da questo presupposto per vanifi-care una parte di credibilità a numerosi piani industriali (quando sono presenti in azienda e vengono utilizzati come leve gestionali). Inoltre, può capitare che ven-ga ignorata (magari anche solo parzial-mente) l’importanza del capitale umano nelle pianificazioni, l’importanza della qualità culturale del progetto in sé e di chi ne fa parte in carne ed ossa (cervello e motivazione). Quindi, se vogliamo to-glierci lo sfizio di avere la presunzione di tracciare una linea e cercare una sorta di “teorema della competitività”, si può affermare che la crisi è agevolata e am-plificata da una sistematica mancanza di senso della prospettiva (e a volte proprio di “senso della realtà”) nella progetta-zione e conduzione aziendale, che a sua volta radica saldamente in una serie di

lacune formative, anche fosse solo in termini di aggiornamenti, che tendono ad allontanarci da una percezione reali-stica dei mercati di domani, andando in questo modo anche a condizionare gli stessi concetti di “innovazione”, “crea-zione di valore”, “evoluzione del progetto imprenditoriale”. Si sbagliano, di conse-guenza, molto spesso anche le unità di misura di quelli che sono i traguardi da raggiungere e gli ostacoli da affrontare. Perché se da una parte nella mancanza di formazione adeguata e di vera innova-zione vanno ricercate le cause scatenan-ti di alcune condizioni di crisi, le stesse carenze si mostrano fatali nel momento della ristrutturazione: uscire dal panta-no è principalmente e strumentalmente una questione di danaro, ma per ottene-re i finanziamenti occorre avere progetti solidi e ben ponderati a propria disposi-zione. Per parlare con banche, istituzioni e fornitori occorre solidità, lungimiranza, completezza, visione, argomentazioni, progetti, analisi e numeri: in altre paro-le, credibilità. E la credibilità, moneta di scambio fondamentale e unica per ot-tenere la finanziabilità della propria ri-strutturazione, si costruisce con una cul-tura che va necessariamente rinnovata e portata a livelli qualitativi ben più elevati di quanto non si disponga ora, poiché se fosse già agli standard adeguati, non staremmo (ancora) qui a parlare di crisi.

Qualche anno fa valeva ancora la distinzione tra mercato Italia ed estero; oggi ormai tale scelta è per

tutti obbligata. Internazionalizzare. Una scelta scontata con un’unica sostanziale differenza a seconda della situazione con-tingente della singola impresa: per alcuni

è un fattore critico di successo, per altri purtroppo è un fattore critico di sopravvi-venza. Parliamo di quelle realtà che me-diamente hanno un fatturato compreso tra 2 e 15 milioni, con un numero mas-simo di 50 addetti, e che sono sopravvis-sute allo tsunami del 2008 quasi esclusi-

vamente per il valore intrinseco che i loro prodotti hanno e che viene sintetizzato nel concetto - brand ”Made in Italy”. Aziende che faticosamente operano sul territo-rio e producono il “made in sotto casa”, come argutamente ci ha controbattuto un famoso imprenditore della calzatura

INTERNAZIONALIZZAZIONE DEL MADE IN MARCHE: FATTORE CRITICO DI SUCCESSO O SOPRAVVIVENZA?L’internazionalizzazione è per le aziende italiane e, significativamente, per quelle marchigiane uno status da esprimere, che va considerato come la cornice in cui inserire la foto della situazione attuale delle imprese del nostro territorio

Michele BarchiesiArea Strategia ed Innovazione Gruppo Sida

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(soprannominato “il Re del Micam” per i suoi successi in Russia) ad una domanda sul Made in Italy. Il “made in sotto casa” esprime con orgoglio sia la filosofia del distretto che lo sdegno per i brand che fanno il Made in Italy fuori d’Italia, ac-compagnato da un diffuso sentimento di disorientamento che viene espresso in domande e considerazioni quasi stereo-tipate: “Da dove inizio?”, “Come?”, “Quali mercati?”, “Assumere oggi un direttore commerciale è da pazzi”, e cosi via … I settori con cui abbiamo una frequenta-zione quotidiana - abbigliamento, calza-tura, arredo, componentistica, edilizia ed agroalimentare - evidenziano la presenza di un consistente numero di realtà omo-genee quanto a addetti, fatturato, caratte-ristiche societarie ma soprattutto qualità di prodotti, che si trovano di fronte questa scelta e che sentono di non avere molto tempo per decidere. Il comune denomi-natore che unisce queste identità e che ha evitato la debacle totale del “sistema Pae-se” sotto i colpi del mutato contesto com-plessivo è la qualità del prodotto che non trova riscontro in produzioni di altri Paesi. Tali prodotti hanno le caratteristiche di-stintive peculiari dell’expertise italiana, fatta di vari componenti come il pensare e far bene il prodotto, l’innovazione, la sensibilità al mondo, l’heritage stratifica-to nei secoli, che permette il loro posizio-namento per i vari settori nello spazio di mercato medio-alto. Quello su cui posso-no e devono ancora lavorare è appunto un allargamento della cornice operativa, uno spazio più ampio che non è solo geogra-fico o doganale ma è in primis operativo e strategico, e importa l’evoluzione di una

serie di schemi organizzativi e lo svilup-po di processi interni e di talenti giovani focalizzati sulla comunicazione in lingua, sull’aplomb relazionale, sulla flessibilità culturale e su un ruolo commerciale che evidenzi e comunichi i plus di prodotto e di servizio che possono spostare l’ago della bilancia di un fornitore o di un cliente finale verso i nostri prodotti. Tale spazio è quello dove ancora oggi, appunto, è possibile, in-ternazionalizzando la presenza, avere un discreto successo ed uscire dalla guerra tra poveri del prezzo, che ha già falcidiato chi si muoveva nella fascia di mercato più economica sotto i colpi dei produttori del Far East, del Maghreb o della Turchia. La ricetta appare semplice ma può divenire semplicistica se ci limitiamo allo sfondo, alla cornice, senza focalizzare l’attenzio-ne sulla figura in primo piano, cioè sullo chef che dovrebbe preparare la pietanza. Restando al paragone culinario tanto caro a noi italiani, le aziende che quotidiana-mente frequentiamo (non ce ne vogliano) sono ancora dei buoni cuochi ma non de-gli chef, in quanto non hanno sviluppato negli anni sensibilità ad una serie di fat-tori salienti per il successo nel business che oggi è internazionale, quali la brand identity, la selezione delle risorse umane competenti linguisticamente e dal punto di vista relazionale, uno studio del con-testo competitivo complessivo e più in generale una visione larga all’orizzonte mondo che sostituisca quella più limitata dei propri confini aziendali o nazionali. Il riferimento è all’assenza molte volte di un ufficio estero che si occupi della politica di comunicazione integrata con il marketing più schietto per dialogare con i mercati,

individuarli, adattare i prodotti, sedurli con politiche di comunicazione raffinate, presidiarli con eventi non banali, parlan-do la lingua di quei mercati.Un esempio su tutti? Le fiere, strumento banalizzato dalla logica della promozione territoriale se non preparato adeguatamente, segui-to con gli opportuni follow up e quindi da molti abbandonato senza sostituto. Inter-net senza ombra di dubbio rappresenta uno strumento utilissimo per agevolare le comunicazioni ma abbiamo riscontra-to che in alcuni casi sterilizza i rapporti commerciali limitandoli dal punto di vi-sta relazionale ad un freddo scambio di richiesta, preventivo, ordine, privando la relazione della dimensione qualitativa del contatto umano, delle domande di mar-keting strategico, degli orientamenti del mercato. La diagnosi quindi è abbastanza semplice: ci sono dei passaggi che il no-stro cuoco deve fare per divenire uno chef e posizionarsi laddove oggi dev’essere per marginare quel plus che non solo supera la crisi ma riapre gli scenari economici e occupazionali altrimenti destinati a dive-nire sempre più foschi. Molti lamentano la mancanza di un brand che aggiunga valore emozionale alla percezione della equity di prodotto, ma questo è un falso mito poiché da un lato il brand vale quan-to in termini di media strategy il titolare vi ha investito e dall’altro esistono tecniche e metodi che magari limitatamente al ca-nale distributivo possono essere utilizza-te per ottenere gli stessi benefici a basso costo.

LA DIMENSIONE DIGITALE DELL’AZIENDA IN CRISIIl 2008 sarà un anno difficile da dimenticare. Lo ricorderemo nei prossimi decenni come l’anno in cui è nata una crisi mondiale devastante, perdurante e sempre più pervasiva. Iniziata con la faccia di una crisi finanziaria originatasi negli Stati Uniti, con la crisi dei subprime, si è poi diffusa come un virus letale in tutto il mondo

Ma mentre un virus della salute si riesce a combattere con medici-ne, cure, antidoti e un virus in-

formatico viene debellato con programmi software specifici (antivirus) che riescono

ad intercettare e rimuovere l’infezione informatica che provocherebbe un dan-no irreparabile, questo virus finanziario invece si è attecchito negli ultimi anni in ogni angolo del mondo e si è rafforzato,

potenziato, trasformato, attaccando l’e-conomia reale di quasi tutti i Paesi occi-dentali. Questa crisi viene considerata da molti economisti come una delle peggio-ri della storia, seconda solo alla grande

Alessandro CannellaArea Internazionalizzazione Gruppo Sida

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depressione iniziata del ‘29. Possiamo ricorrere alla memoria scritta di alcuni libri che la raccontano, come il best sel-ler di John Kenneth Galbraith “Il grande crollo, 1929”: anche in quella occasione, da un periodo di prosperità e di progresso socio-economico trainato soprattutto dal settore industriale e da una visione positi-va di speranza e ottimismo sconfinati de-gli anni precedenti, si è passati al crepu-scolo dell’illusione e all’aggravarsi della situazione, fino al crollo. Dal 2008 ad oggi abbiamo vissuto un periodo in cui lenta-mente, anno dopo anno, questa maledet-ta crisi ha avuto effetti sconvolgenti: au-mento incontrollato della disoccupazione, soprattutto giovanile, incremento della povertà, riduzione della fiducia in genere nel singolo individuo, elevata inflazione globale, pesanti recessioni e vertiginosi crolli di Pil in numerosi Paesi del mondo occidentale, riduzione della produzione industriale, crisi creditizia con conse-guente crollo di fiducia dei mercati borsi-stici, riduzione dei consumi, forte contra-zione della produzione e degli ordinativi, riduzione di fatturati e dei margini delle imprese con inevitabili crisi o mortalità delle stesse. Le aziende hanno quindi do-vuto affrontare aspetti non solo di compe-titività di settore nel quale hanno sempre operato, ma fronteggiare anche la lenta erosione dei risultati aziendali che han-no avuto effetti devastanti sulla riduzione dei costi. Ogni azienda, privata o pubblica, può essere considerata come un sistema socio-tecnico-economico costituito da tre variabili fondamentali - i processi, la tec-nologia e le risorse umane - che devono “convivere” in perfetta sinergia ed assolu-ta simbiosi. Il comportamento aziendale, rivolto al raggiungimento degli obiettivi e quindi al conseguimento della produzione di risultati, deriva dall’interazione di pro-cessi, risorse umane e tecnologie. Pur-troppo è proprio su queste tre componen-ti che la crisi ha avuto effetti dirompenti. Una delle principali ed immediate azioni che sono state condotte è stata la ridu-zione dei costi del personale, non solo su attività operative produttive, ma anche su alcuni processi fondamentali, “destabiliz-zando” la loro corretta esecuzione, in ter-mini di produttività, efficienza, qualità dei risultati ed infine perdita della conoscenza degli stessi, ovvero il Corporate Knowled-ge. I processi sono i principali attori nella catena di produzione del valore, costitu-

ita dall’insieme delle attività, primarie e di supporto, dal cui svolgimento deriva la soddisfazione finale di bisogni del cliente. Ho vissuto un’esperienza personale nella quale la Direzione Aziendale decise una riduzione del personale, anche drastica, di funzioni quali la Customer Satisfaction e addirittura il Controllo Qualità. La pri-ma determinò un’evidente riduzione delle performance di relazione con il cliente in termini di attenzione e ascolto, mentre la seconda evidenziò un impatto fortemente negativo sulle prestazioni qualitative del prodotto. Un successivo passaggio che gli amministratori delegati hanno assunto in questi anni di crisi, che personalmen-te considero come errore gravissimo, è stato quello di ridurre i costi e gli inve-stimenti in Information & Communica-tion Technology, in totale controtendenza rispetto ai cambiamenti intervenuti nel contesto globale secondo il quale le tec-nologie informatiche possono giocare un ruolo determinante (strategico) in ciascu-na delle attività individuate nella catena di produzione del valore. I responsabili IT hanno dovuto ridurre i costi fissi, sia del personale che di gestione ordinaria, con riflessi negativi sull’erogazione del ser-vizio interno, ma soprattutto si sono visti bloccare gli investimenti in ICT. I progetti di soluzioni tecnologiche informatiche si

sono fermati, non permettendo quel na-turale supporto ai processi fondamentali per contrastare la crisi aziendale e tentare un rilancio nella crescita in adeguamento alla nuova rivoluzione del web. Lo dimo-strano i dati che Assinform (associazione nazionale di aziende IT operanti in Italia) presenta ogni anno come “fotografia” del mercato italiano ICT. Il primo quadrime-stre 2013, rispetto allo stesso periodo del 2012, ha visto un decremento del 4,2 per cento del mercato IT e del 9,4 per cento del mercato TLC. Pertanto l’ulteriore ef-fetto sconvolgente di questa crisi è stato “il blocco” dell’innovazione tecnologica nelle aziende, innovazione che invece è considerata da tutti come leva abilitante per la crescita e quindi unico antidoto effi-cace per combattere quel virus della crisi diffusosi in maniera letale in gran parte del mondo.

Romano MataloniArea ICT & Organization Gruppo Sida

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