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ENRICO ACQUARO LA SARDEGNA FENICIA E PUNICA: FRA STORIA E ARCHEOLOGIA L a valutazione del ruolo della Sardegna nella dinamica di frequenza e di colonizzazione fenicia nel Medi- terraneo ha costituito e costituisce indubbiamente, insieme a quello dell'Iberia, un punto di riferimento qualificante per ogni lettura storica volta a tale fenomeno. 'l La finora mancata individuazione di insediamenti stabili " ellenici " nell'isola e l'affermazione della cultura fenicia come pri- mo, organico, elemento allogeno di reagente storico del- l' ethnos protosardo offrono alla ricostruzione dello storico indubbi vantaggi e suggestioni sia per valutare le inci- denze in un sostrato "preistorico " isolano dell'impatto · della frequenza fenicia, sia per individuare i caratteri e la natura del successivo impegno cartaginese nell'ecumene fenicio d'Occidente. Tuttavia, proprio la Sardegna come laboratorio di tale riscontro storico ha provveduto più di una volta a smentire valutazioni basate troppe volte su elementi ex silentio. Da un monopolio fenicio della Sardegna, che vedeva marginale o del tutto estraneo all'isola ogni fenomeno esorbitante tale cultura, dall' orientalizzante alla koiné tirrenica prima etrusca e poi attica della cultura materiale, si è giunti progressivamente all'acquisizione di parametri più meditati in cui la periodicizzazione storica ha fatto giustizia di luoghi resi comuni dalle sintesi, forse troppo spesso assunte senza il necessario equilibrio e la doverosa problematicità pur presenti al momento della loro compi- lazione. Da qui il recupero per la cultura protosarda di contatti vicino-orientali, egei e ciprioti materiati da ben precisi riscontri monumentali, da qui la frequenza fenicia che emerge in progressione da questa dinamica per assurgere con i primi stanziamenti di Nora (TAv. VIII, a), Tharros, Sulcis, Bitia (TAv. VIII, c), Cagliari a interlocutrice prima- r ia di tali contatti. Che i moduli di questa progressione fenicia siano da ricercarsi sulla rotta dei metalli e del commercio originato dalla loro ricerca e distribuzione è dato ormai certo, come è da ritenere che l'assunzione di questo ruolo non dovette essere così unitariamente rap- presentativo e sostitutivo di quel flusso vicino-orientale ed egeo (TAv. XI, e) che sino alla fine del X secolo aveva così capillarmente investito l'Occidente minerario. Indubbiamente il vettore privilegiato fenicio costituisce una cesura nella protostoria mediterranea alterando in un certo senso quella koiné fra Occidente ed Oriente così culturalmente pluralistica e che aveva tanto influito nella formazione ed evoluzione della stessa cultura protosarda. 2 > A tale azione dovette conseguire una scelta di filtri e di mercati di approvvigionamento e di smistamento da Oriente ad Occidente che portò alla necessaria definizione di zone di influenze con i Greci e gli Etruschi e all'unico modo che nell'antichità poteva costituire sicuro presidio e naturale evoluzione di tali scelte, la deduzione di colonie. In tal modo dalla problematica di interferenze e pre- senze vicino-orientali in Occidente si passa all'impianto di esperienze cittadine etnicamente qualificate e al rap- porto che queste ebbero con le preesistenti sistemazioni territoriali. E l'esperienza cittadina fenicia ebbe sempre a confrontarsi e ad integrarsi con i più vivi ecosistemi del- l'Occidente (TAv. IX, c, d) . Dove i documenti di questa integrazione mancano, affiora il legittimo dubbio di tro- varsi di fronte alla registrazione di valutazioni che non sempre tengono conto del già ricordato argumentum ex silentio, così presente nella sua ammonizione di prudenza nella dinamica della ricerca fenicia e punica. Dal confronto e dalla riconversione in un sistema eco- nomico mirato agli interessi fenici hanno origine le prime esperienze " cittadine " della Sardegna. Lo sviluppo e il felice integrarsi delle vocazioni protosarde e fenicie, 3) che dovettero avere nei singoli centri un'articolazione ed un 'autonomia che spesso ci sfugge, furono i presupposti di quella floridezza economica che registrerà l'elogio for- mulato dal tardo compilatore dell'Expositio totius mundi et gentium: " Sardinia, et ipsa ditissima fructibus et iumentis et est valde splendidissima ". 4) E Cartagine volle racco- gliere e inserire nei cardini del proprio dominio mediter- raneo tale floridezza, portata a prima maturazione dai traffici e dalla ricalibrata sistemazione territoriale delle colonie fenicie di Sardegna. In linea con la propria strategia tirrenica la città di Didone dalla seconda metà del VI se - colo a.C. " rivisita e ristruttura l'intero flusso commerciale dei centri fenici di Occidente sia gettando sui mercati degli stessi il peso di un 'emergente originale produzione nord-africana di cultura punica sia aprendo gli stessi a nuove importazioni allogene. " 5l È per la Sardegna l'ini- zio di una costante lettura africana della propria cultura: la dimensione tirrenica in cui essa alloca le ampie espe- rienze mediterranee della sua protostoria graviterà dalla conquista cartaginese in poi in un ambito più africano che " italiano ". L'imponente documentazione sulla presenza fenicia e punica in Sardegna raccolta nel corso delle ricerche con- dotte in collaborazione fra la Soprintendenza di Cagliari e l'Istituto per la Civiltà Fenicia e Punica del Consiglio Nazionale delle Ricerche 6 > costituisce un considerevole apporto al quadro storico che si è voluto in breve ripro- porre. Ne emerge la lettura di una Sardegna inserita atti- vamente nel divenire delle civiltà pre-romane del Medi- terraneo. Le città che hanno restituito monumenti della cultura fenicia e punica proiettano da un'epoca di poco poste- riore a quella della fondazione di Cartagine l'immagine dell'isola oggetto di un'avanzata urbanizzazione. 7l La normalizzazione di Cartagine dovette investire centri già caratterizzati nel proprio impianto e nella propria attività sia da componenti etniche fra loro diverse sia da speci- fiche vocazioni di mercati volti a soddisfare differenti strategie economiche. Di tali aspetti le ultime ricerche hanno evidenziato termini prima insospettabili e per diversi versi validi a proiettare le loro valenze per l'insieme del fenomeno 49 ©Ministero per beni e le attività culturali-Bollettino d'Arte

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ENRICO ACQUARO

LA SARDEGNA FENICIA E PUNICA: FRA STORIA E ARCHEOLOGIA

L a valutazione del ruolo della Sardegna nella dinamica di frequenza e di colonizzazione fenicia nel Medi­

terraneo ha costituito e costituisce indubbiamente, insieme a quello dell'Iberia, un punto di riferimento qualificante per ogni lettura storica volta a tale fenomeno. 'l La finora mancata individuazione di insediamenti stabili " ellenici " nell'isola e l'affermazione della cultura fenicia come pri­mo, organico, elemento allogeno di reagente storico del­l' ethnos protosardo offrono alla ricostruzione dello storico indubbi vantaggi e suggestioni sia per valutare le inci­denze in un sostrato "preistorico " isolano dell' impatto

· della frequenza fenicia, sia per individuare i caratteri e la natura del successivo impegno cartaginese nell'ecumene fenicio d'Occidente.

Tuttavia, proprio la Sardegna come laboratorio di tale riscontro storico ha provveduto più di una volta a smentire valutazioni basate troppe volte su elementi ex silentio. Da un monopolio fenicio della Sardegna, che vedeva marginale o del tutto estraneo all'isola ogni fenomeno esorbitante tale cultura, dall' orientalizzante alla koiné tirrenica prima etrusca e poi attica della cultura materiale, si è giunti progressivamente all 'acquisizione di parametri più meditati in cui la periodicizzazione storica ha fatto giustizia di luoghi resi comuni dalle sintesi, forse troppo spesso assunte senza il necessario equilibrio e la doverosa problematicità pur presenti al momento della loro compi­lazione.

Da qui il recupero per la cultura protosarda di contatti vicino-orientali, egei e ciprioti materiati da ben precisi riscontri monumentali, da qui la frequenza fenicia che emerge in progressione da questa dinamica per assurgere con i primi stanziamenti di Nora (TAv. VIII, a), Tharros, Sulcis, Bitia (TAv. VIII, c), Cagliari a interlocutrice prima­ria di tali contatti. Che i moduli di questa progressione fenicia siano da ricercarsi sulla rotta dei metalli e del commercio originato dalla loro ricerca e distribuzione è dato ormai certo, come è da ritenere che l'assunzione di questo ruolo non dovette essere così unitariamente rap­presentativo e sostitutivo di quel flusso vicino-orientale ed egeo (TAv. XI, e) che sino alla fine del X secolo aveva così capillarmente investito l'Occidente minerario.

Indubbiamente il vettore privilegiato fenicio costituisce una cesura nella protostoria mediterranea alterando in un certo senso quella koiné fra Occidente ed Oriente così culturalmente pluralistica e che aveva tanto influito nella formazione ed evoluzione della stessa cultura protosarda. 2 >

A tale azione dovette conseguire una scelta di filtri e di mercati di approvvigionamento e di smistamento da Oriente ad Occidente che portò alla necessaria definizione di zone di influenze con i Greci e gli Etruschi e all'unico modo che nell'antichità poteva costituire sicuro presidio e naturale evoluzione di tali scelte, la deduzione di colonie.

In tal modo dalla problematica di interferenze e pre­senze vicino-orientali in Occidente si passa all'impianto di esperienze cittadine etnicamente qualificate e al rap-

porto che queste ebbero con le preesistenti sistemazioni territoriali. E l'esperienza cittadina fenicia ebbe sempre a confrontarsi e ad integrarsi con i più vivi ecosistemi del­l'Occidente (TAv. IX, c, d) . Dove i documenti di questa integrazione mancano, affiora il legittimo dubbio di tro­varsi di fronte alla registrazione di valutazioni che non sempre tengono conto del già ricordato argumentum ex silentio, così presente nella sua ammonizione di prudenza nella dinamica della ricerca fenicia e punica.

Dal confronto e dalla riconversione in un sistema eco­nomico mirato agli interessi fenici hanno origine le prime esperienze " cittadine " della Sardegna. Lo sviluppo e il felice integrarsi delle vocazioni protosarde e fenicie, 3)

che dovettero avere nei singoli centri un'articolazione ed un'autonomia che spesso ci sfugge, furono i presupposti di quella floridezza economica che registrerà l'elogio for­mulato dal tardo compilatore dell'Expositio totius mundi et gentium: " Sardinia, et ipsa ditissima fructibus et iumentis et est valde splendidissima ". 4) E Cartagine volle racco­gliere e inserire nei cardini del proprio dominio mediter­raneo tale floridezza, portata a prima maturazione dai traffici e dalla ricalibrata sistemazione territoriale delle colonie fenicie di Sardegna. In linea con la propria strategia tirrenica la città di Didone dalla seconda metà del VI se­colo a.C. " rivisita e ristruttura l'intero flusso commerciale dei centri fenici di Occidente sia gettando sui mercati degli stessi il peso di un'emergente originale produzione nord-africana di cultura punica sia aprendo gli stessi a nuove importazioni allogene. " 5l È per la Sardegna l'ini­zio di una costante lettura africana della propria cultura : la dimensione tirrenica in cui essa alloca le ampie espe­rienze mediterranee della sua protostoria graviterà dalla conquista cartaginese in poi in un ambito più africano che " italiano ".

L'imponente documentazione sulla presenza fenicia e punica in Sardegna raccolta nel corso delle ricerche con­dotte in collaborazione fra la Soprintendenza di Cagliari e l'Istituto per la Civiltà Fenicia e Punica del Consiglio Nazionale delle Ricerche 6

> costituisce un considerevole apporto al quadro storico che si è voluto in breve ripro­porre. Ne emerge la lettura di una Sardegna inserita atti­vamente nel divenire delle civiltà pre-romane del Medi­terraneo.

Le città che hanno restituito monumenti della cultura fenicia e punica proiettano da un'epoca di poco poste­riore a quella della fondazione di Cartagine l'immagine dell'isola oggetto di un'avanzata urbanizzazione. 7l La normalizzazione di Cartagine dovette investire centri già caratterizzati nel proprio impianto e nella propria attività sia da componenti etniche fra loro diverse sia da speci­fiche vocazioni di mercati volti a soddisfare differenti strategie economiche.

Di tali aspetti le ultime ricerche hanno evidenziato termini prima insospettabili e per diversi versi validi a proiettare le loro valenze per l' insieme del fenomeno

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I - CAGLIARI, NECROPOLI DI TUVIXEDDU: PARTICOLARE DI UN IPOGEO

coloniale fenicio d'Occidente. Tra questi ne evidenziamo alcune suscettibili di modificare in parte non poche letture date della cultura fenicia d'Occidente. In primo luogo si ricorderà il recupero del patrimonio pittorico d'impegno funerario che in particolare le tombe ipogeiche di Cagliari (Tuvixeddu) stanno evidenziando (fig. I). 8l È questo un aspetto, spesso sottaciuto, che sta rivelando un intero capitolo dell'arte p unica. L'impiego della pittura, già notato nelle stele votive, 9) si sta rivelando per tecnica, vivacità d'impostazione e per policromia funzionale una delle più esaltanti e impreviste caratteristiche della cultura materiale fenicia.

I documenti che stanno venendo in luce in Sardegna, per i quali si aspetta un soddisfacente inquadramento cronologico, si muovono tutti nell'ambito dell'escatologia funeraria, ambito del resto già impegnato nelle realizza­zioni ipogeiche della Fenicia, e in particolare dell'area di Sidone. Le indicazioni tuttavia di tale ricca policromia delle camere funerarie della Fenicia sono sempre accom­pagnate dalla riserva che, riferendosi a monumenti di età ellenistica, sia stata l'influenza greca a determinarne l'esecuzione. 10) Né valeva certamente ad attenuare tale riserva le poche pur significative tracce pittoriche note dagli ipogei nord-africani di Jebel Mlezza (TAv. IX, a), Diebel Behalil, Sidi Bou-Aziz, Hajna Korbi. n' Le pit­ture di Tuvixeddu, insieme a quelle segnalate di Monte Luna (Senorbì), 12) di Sulcis l3) e alla rilettura di alcuni dati maltesi, '4) ripropongono in autonomia una categoria artistica per il mondo punico finora intesa sostanzial­mente come intervento sussidiario su stele e su altri prodotti di artigianato minore, come i gusci di uova di struzzo. ' 5l

Accanto al recente recupero della statuaria nuragica dell'isola (fig. g), 16l il repertorio recentemente scoperto della pittura funeraria punica di Sardegna, che apre per un aspetto insospettato la via al problema della trasmis­sione e della recezione di cartoni e moduli figurativi greci, etruschi e anellenici d'Occidente '7), costituisce dunque una delle novità più interessanti della civiltà pre-romana di Sardegna.

Carattere di analoga novità rivestono le sculture sul­citane con leoni seduti presentate in questa sede da Fer­ruccio Barreca. ' 8l In attesa di una loro edizione e di un loro particolareggiato rilievo non ci si può esimere da connettere le sculture a strutture pertinenti a .porte ur-

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biche d 'impianto vicino-orientale: analoga lettura sembra doversi dare ai noti leoni in arenaria di Tharros. '9) I monumenti, insieme ai rinvenimenti della statua dal sa­celio del mastio di Monte Sirai (fig. 12 e TAv. IV, c), 20l della statua acefala dello stagnone di Marsala e del gruppo scultorio con due leoni e toro di Mozia 2 ') e a quello ancora moziese qui riproposto da Vincenzo Tusa, 22) restitui­scono, con la scultura egittizzante della tomba di Sulcis (fig. 8), 23) l'immagine di una cultura punica che conosce la statuaria e che ad essa arriva con l'importazione o con l'esecuzione in loco. 24)

Le ricerche che in modi diversi hanno interessato i tofet della Sardegna, Sulcis, Monte Sirai, Tharros (fig. 2), costituiscono, in assenza quasi totale di documenti urbani e nella predominante testimonianza delle necro­poli (TAvv. VIII , be IX, b; figg. 4 e 5), punti di sicuro riferimento per la lettura differenziata della genesi e dello sviluppo delle comunità urbane fenicie dell'isola. Mentre, infatti, i documenti delle necropoli, che ci sono giunti per massima parte disancorati da ogni riferimento di corredo e privi anche nelle loro sistemazioni museali di riferimenti al centro di appartenenza (figg. 10, II, 13; TAVV. IV, a -b e XI, a, c, d, f), e, ove questo sia segnalato, di ogni specifica afferenza all'una o all'altra area cimiteriale che servivano lo stesso centro (figg. 6 e 7), 25) hanno contri­buito a fornire un' immagine spesso impropria della cultura fenicia di Sardegna, con livellamenti, valutazioni globali e proiezioni in termini di economia e di commerci che non sempre tengono conto del particolare documento che è quello tombale e dei limiti che in esso si esprimono.

I santuari del sacrificio dei fanciulli individuati con certezza nell'isola, come ebbero negli anni Sessanta il merito non piccolo di contribuire alla messa in luce del fenomeno coloniale fenicio in una delle sue manifesta­zioni cultuali più etnicamente qualificanti, hanno oggi con la lettura più attenta della loro polivalente documen­tazione fornito i dati più storicamente interessanti. Dati che fanno di ogni centro un modulo di frequentazione e di conversione urbana diverso per evoluzione, ma sempre legato ad una matura esperienza comunitaria protosarda. E il riferimento a tale esperienza, ove indagata e inserita nell'ecosistema del territorio di riferimento grazie ad un'indagine programmata, come a Tharros, indica il pro­gressivo piano di riconversione economica di cui le colo­nie fenicie si fanno portatrici nel loro hinterland.

Mentre il tofet di Monte Sirai, con il suo impianto di qualche secolo successivo alla prima frequentazione fe­nicia del monte, 26l testimonia il carattere di servizio civico del tofet che è attivato solo quando il centro che se ne serve raggiunge dignità " urbica ", le ricerche condotte nel Sinis indicano in modo esemplare il dive­nire di una colonia fenicia a confronto con le realtà am­bientali paleosarde e i possibili riflessi che tale divenire implica per il culto comunitario del tofet cittadino.

Nel rapporto degli scavi condotti a Tharros nel 1g8o si auspicava la raccolta e l'edizione dei numerosi inse­diamenti prenuragici e nuragici del Sinis al fine di affron­tare correttamente la lettura dell'ecosistema tharrense nella sua evoluzione preistorica, protostorica e storica. 27l Due erano le nuove realtà di ricerca operanti nel Sinis cui l'auspicio si volgeva in particolare: lo scavo di Monte Prama, due chilometri a Nord-Est dello stagno di Cabras, e lo scavo di Cuccuru S' Arriu, sulle rive sud-occidentali dello stesso stagno.

Entrambe le ricerche avevano già contribuito, con la recezione dei dati più significativi in opere d'assieme sulle antichità sarde o in opere volte a singole categorie

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a) CAPO BON, NECROPOLI DI JEBEL MLEZZA: PARTICOLARE DI UNA PITTURA TOMBALE

b) THARROS, LA PENISOLA DI CAPO SAN MARCO VISTA DA SUD : IN PRIMO PIANO LA NECROPOLI IPOGEICA

THARROS, TEMPI ETTO K:

c) PARTICOLARE

d) PROPOSTA DI RESTITUZIONE

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TAv. IX

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2- THARROS, TOFET : AMBIENTE /3 CON LE DEPOSIZIONI

artigianali o a problemi di nv1s1tazione culturale, a far progredire in modo sostanziale la letteratura archeologica sarda. Tuttavia, la mancanza di rapporti di scavo che restituivano ai complessi esplorati la loro più completa valenza documentativa nell'ambito del Sinis rendeva par­ticolarmente preziosa ogni nota volta a significare la con­sistenza e la natura delle ricerche eseguite. 28l

Le consonanze culturali fra il centro di Tharros e il suo territorio emergono ora dalla lettura del rapporto di Cuccuru S'Arriu, edito nel rg82 nell'ambito di Tharros VIII, 29) in tutta la loro evidenza. Quanto indicato dal­l'indagine paleoecologica riceve in quella sede l'attenta seriamente culturale che solo la corretta indagine di scavo è in grado di restituire.

Il Sinis rivela in particolare la propria evidenza di razionalità produttiva in quel periodo che si pone fra l' oc­cupazione punica e quella romana, in cui i latifondi del basso Tirso dovettero essere il fulcro della rivolta del 215 a.C. Scelte stanziati e produttive che ricalcano e si con­frontano con precedenti parametri di utilizzazione del territorio.

In attesa delle precisazioni e delle analisi che derive­ranno dall'edizione definitiva degli scavi di Cuccuru S' Ar­riu, due elementi già in questa fase s' impongono fra gli altri all'attenzione degli studi di antichità puniche di

3- THARROS, TOFET: ALTARE A GRADINO INSERITO NELLA STRUTTURA ORIENTALE.

Sardegna : la presenza di monumenti vot1v1 p unici in connessione con le strutture del pozzo sacro e la sostan­ziale corrispondenza per alcuni valori più tardi dei ritro­vamenti monetali di età romana del nuovo sito con quelli già noti da Tharros e dal suo territorio

4 e 5 -OLBIA, NECROPOLI DI SAN SIMPLICIO (SCAVI 1978): TOMBE 6 E I.

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6 - CAGLIARI, MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE - AMULETO: HORO-RA CORONATO A TESTA DI FALCONE

7 SASSARI, MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE - AMULETO: PLACCHETTA CONFIGURATA

8 - SUL CIS, NECROPOLI - SCULTURA IN CAMERA IPOGEICA (PAR­TICOLARE DEL TORSO)

9 - CAGLIARI, MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE - TESTA DI GUERRIERO DA MONTE PRAMA

IO e I I - CAGLIARI, MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE - PRO­TOME E MASCHERA FITTILI DA THARROS

I2 - CAGLIARI, MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE - STATUA DA MONTE SIRAI

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Le stele votive puniche rinvenute a Cuccurru S' Arriu ripropongono in più puntuale e senz'altro più complesso contesto archeologico la problematica già adombrata da Sabatino Moscati per la stele di Monte Prama. 3ol La lettura che in quella sede si diede del fenomeno, presenza di una stele con il cosiddetto simbolo di Tanit in un con­testo di cultura nuragica, escludeva la lavorazione in loco del monumento e privilegiava l'ipotesi di un suo trasfe ­rimento in funzione cultuale da Tharros. Ora i ritrova­menti di Cuccuru S' Arriu, le cui connessioni con le botteghe lapidee che servirono il tofet di Tharros (figg . 3, 15 e 16) sono puntualmente rilevabili, consentono di ampliare il ventaglio delle ipotesi proponibili con riflessi per converso sul fenomeno della stele di Monte Prama.

Se, infatti, rimane sempre possibile l'ipotesi per la presenza negli scavi dello scolmatore di un trasferimento dei monumenti in nuova funzione rituale presso il com­plesso tardo del pozzetto nuragico (TAv. X, b), non si ritiene che sia da escludere del tutto la loro pertinenza ' ' primaria " a un qualche luogo sacro frequentato in tarda epoca dalla comunità rurale punica. Le connessioni rituali che questo luogo sacro ebbe con le valenze religiose portate dalle stele saranno definite dall'edizione e dalla prosecuzione degli scavi: non sarebbe motivo tuttavia di stupore se il rito mlk, praticato con ogni probabilità a Tharros come servizio per l'intero territorio ad esso riferentesi, abbia subìto in epoca tarda un progressivo decentramento in connessione con la centripeta diffusione di nuove comunità rurali. Comunità la cui organizzazione in autonomia avrebbe ben potuto determinare quelle strutture civiche, anche se ridotte e periferiche, che si ritengono sottendere all'impianto del tofet.

È evidente che tale dinamica d'insediamento adom­brata per Tharros potrà avere, se l'indagine ivi condotta si estenderà ad altre aree dell'isola, conferme o diverse ri­sposte: del resto la stessa situazione già citata di Monte Sirai con l'impianto di un culto ftofet successivo alla prima frequenza dell'area sembra indicare una dinamica analoga a quella tharrense. In questo caso Sulcis avrebbe servito con il suo tofet anche il proprio hinterland, sino poi a cedere parte del suo " servizio " alle nuove autonomie emergenti che esigenze militari e di più capillare pene­trazione imponevano. Autonomie comunitarie emergenti che, come già a Tharros, traevano non poco motivo di sviluppo dallo stesso ethnos protosardo.

Ancora Tharros, con un rinvenimento del 1983 nelle adiacenze del tofet (fig . 14; TAv. X, a) sembra fornire il primo documento archeologico della fine del culto ftofet nella città del Sinis, il suo implicito perdurare in epoca romana pur con ogni possibile evoluzione e il suo definitivo disuso con il Cristianesimo. 3! )

Il rinvenimento consiste in una terracotta (T AV. X, c e d), conservata dall'inguine in su, che riproduce un perso­naggio leontocefalo con lingua sporgente e pendenti a croce ansata (d'oro e d'argento) alle narici. Le braccia aperte dovevano con ogni probabilità portare nelle mani attributi anch'essi di terracotta ; due !ance in miniatura e due anelli, in argento e in oro, sono apparsi in chiara connessione con il personaggio a testa leonina.

A nostra conoscenza il riscontro più prossimo alla terra­cotta tharrense sembra porsi con la serie di statuette fittili africane di dea leontocefala rinvenuta a Siagu, 32 1

di ambientazione neopunica e databili verso la seconda metà del II secolo a.C. Riscontro che tuttavia non può andare oltre la comune connotazione leontocefala e la realizzazione fittile . All'acconciatura a klaft delle statue di Siagu, alle fauci serrate, alla lunga veste con le ampie ali

13- CAGLIARI, MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE SCARABEI IN DIASPRO VERDE DA THARROS

np1egate, alla posiZione delle braccia rientranti nella sagoma della figura, in una parola alla " monumentalità " quale che siano le dimensioni delle figure di Siagu si contrappongono la realizzazione più libera del personaggio tharrense, la nudità del busto, la natura maschile, la resa più libera e meno cultualmente stati ca: a ciò si aggiungano le coppie in oro e in argento dei pendenti, delle !ance e degli anelli, che connotano l'esemplare sardo e ne indi­cano, in particolare nei pendenti a croce ansata (TAv.

14- THARROS, GLI SCAVI SULLA COLLINA DI << SU MURU MANNU >>

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15 - THARROS, TOFET : STELE VOTIVA

XI, b) , l'ascendenza culturale punica. 33) Fin qui gli scarsi dati monumentali che è possibile anticipare in atte­sa della restituzione operata dal gabinetto di restauro di Cagliari e che si propongono alla lettura archeologica e all'esame comparativo più approfondito che seguirà.

In quest'ambito preliminare non sembra di poterei esimere dalla suggestione di una proposta di lettura del personaggio. Si ricordava in sede di riscontri figurativi come gli unici monumenti che consentano, a nostra co­noscenza, un certo riscontro di massima con la terracotta tharrense siano le statue leontocefale di Siagu. Femminile e drappeggiato nelle proprie ali, il personaggio di Siagu raffigura secondo A. Merlin il Genius Terrae Africae, frutto di una contaminazione avvenuta in epoca antica fra una divinità libica con la dea egiziana " Sokhit " e da qui chiamata ad assolvere il ruolo di " parèdre de Baal-Hammon " ( = Sa turno) . 34)

È alle statue di Siagu, insieme alle raffigurazioni simi­lari di Bir-Derbal e Tiddis, che si riferisce M . Leglay quando legge nel dio Frugiferius di Arnobio (VI, 10) 35)

non già " Saturne lui-meme ", bensì " sa parèdre, repré ­sentée en déesse léontocéphale ". 36l Viene a questo punto di chiedersi, visti il luogo di rinvenimento e le connessioni con l'area del tofet da sempre legato al successivo culto di Saturno, vista la natura maschile del personaggio leonto­cefalo, 37) se nella terracotta sarda non sia da 'ledere il

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16 - THARROS, TOFET: STELE A TRONO

misterioso Frugiferius 3S) a testa di leone ricordato da Arnobio. Ultimo esito di un culto punico che si perpetua in Sardegna, da epoca cartaginese inserita in un perdu­rante ambito di cultura africana, la damnatio della terra­cotta (Sa turno Frugiferius ?) ancora connotata da elementi di tradizione punica, come i pendenti in oro e in argento, potrebbe ben indicare la fine irreversibile del tofet, anche nelle sue più tarde evoluzioni di culto e di politica cultuale, davanti al Cristianesimo. Lo stesso luogo del rinvenimento, immediatamente al di fuori dell'area del tofet, fra il battuto di arenaria per cui si propone come data di messa in opera il II secolo a.C. e i livelli di calpestio di epoca tardo-antica individuati già nel 1982, nonché la volon­taria rottura in violenta combustione, 39) sono elementi che ben si accorderebbero con l'ipotesi interpretativa pro­spettata e l'ambientazione cronologica che le compete.

Un'ambientazione cronologica che indica una sopravvi­venza cultuale punica sino ad avanzata epoca romana. Sopravvivenza tenace anche nelle equivalenze e muta­zioni cui fu sottoposta, che in quello che fu il Mediter­raneo punico trova analoga modalità di documentazione nei soli regni neopunici di Numidia e di Mauretania, 4o)

ancora a sottolineare il perdurare per l'isola di quelle consonanze africane che la ricolonizzazione o colonizza­zione cartaginese impresse alle consorelle fondazioni fe­nicie di Sardegna.

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TAv. X

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a) THARROS, LA COLLINA DI << SU MURU MANNU >>: GLI SCAVI DELLA CAMPAGNA 1983, VISTI DA SUD-OVEST

b) CUCCURRU S'ARRIU : TEMPIO A POZZO

c) THARROS: PARTICOLARE DELLA TESTA DELLA STATUA FITTILE THT 83/59/ I, RINVENUTA NEL TOFET

d) THARROS, TOFET: STATUA FITTILE THT 83/59/1 ANCORA IN SITU AL MOMENTO DEL RITROVAMENTO

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CAGLIARI, MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, DA THARROS:

a) PENDENTE D' ORO

b) ORECCHINI D'ORO A CROCE ANSATA

d) MANICO IN AVORIO

f) PLACCHETTA IN AVORIO

c) SASSARI, MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE: SCARABEO IN CORNALINA, DA THARROS

e) THARROS, TOFET: FRAMMENTO DI ANFORA CIPRIOTA DELLA CLASSE BICHROME III

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TAv. XI

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I) Sul tema cfr. da ultimo, Fenici e Arabi nel Mediterraneo (Roma, 12-13 ottobre 1982), Roma 1983.

2) Cfr. da ultimo, G. LILLIU, La civiltà nuragica, Sassari Ig82. 3) Cfr. da ultimo, E . ACQUARO, recensione a F. BARRECA, La

Sardegna fenicia e punica, Sassari I974, in Rivista storica dell'anti­chità, 4, I974, pp. 225 e 226.

4) Cfr. M. GIACCHERO, Sardinia ditissima et valde splendidissima, in Sandalion, 5, 1982, pp. 223-232 .

5) Cfr. E . AcQUARO, P . BARTOLONI, 1nteraz ioni fenicie nel Medi­terraneo centrale: l'Africa e la Sardegna, in Gli interscambi culturali e socio-economici fra l'Africa settentrionale e l 'Europa . mediterranea. Amalfi, 5-8 dicembre 1983 (in corso di stampa) .

6) Cfr. F. BARRECA, L'archeologia fenicio-punir.a in Sardegna, infra, p. 57·

7) Cfr. E. AcQUARO, Strutture urbane della Sardegna punica, in 1mportaci6n, producci6n colonia/, imitaci6n indigena en la colonizaci6n fenicio-punica del Mediterraneo Occidental. Madrid, reunion de tra­bajo CS1C-CNR, 22-23 noviembre 1982 (in corso di stampa).

8) Cfr. F. BARRECA, L'archeologia fenicio-punica in Sardegna. Un decennio di attività, in Atti del I Congresso Internazionale di studi fenici e punici (Roma, 5-10 novembre 1979), II, Roma 1982, p. 293, tav. LXVI; IDEM, Nuove scoperte sulla colonizzazione fenicio-punica in Sardegna, in Phonizier im Westen, Mainz a. Rh. I982, p. I82, tav. 2I a-b; IDEM, L'archeologia fenicio-punica in Sardegna, infra, pp. 57 e 58, TAv. XII.

La necropoli non è nuova ai ritrovamenti pittorici del tipo ora segnalato : cfr. F. ELENA, Scavi nella necropoli occidentale di Cagliari, Cagliari I868, p. 12, fig. 2; A. TARAMELLI, La necropoli punica di Predio Ibba a S . Avendrace, Cagliari, in MonAL, 21, I9I2, coli. 70 e 71.

g) Cfr. S. MoscATI, M .L. UBERTI, Scavi a Moz ia - Le stele, I, Roma rg8r, pp. 22-24.

Io) Cfr. S. MosCATI, I Fenici e Cartagine, Torino 1972, p. 451. II) Cfr. fra gli altri, P . CINTAS, Manuel d'archéologie punique, II,

Paris 1976, tavv. LIX, 2; LXX-LXXI. 12) Cfr. A.M. CosTA, Santu Teru-Monte Luna (campagne 1977-

79), in RSF, 8, Ig8o, p. 266. I3) Cfr. G. PESCE, Sardegna punica, Cagliari Ig6I, fig. 53· I4) Cfr. W. CuucAN, Some Phoenician Masks and other Terra­

cottas, in Berytus, 24, I975-I976, p. 73, fig. 30. I5) Cfr. da ultimo, E. AcQUARO, Uova di struzzo dipinte da Bilia,

in OA, 20, Ig8I, pp. 57-65. I6) Cfr. G. LILLIU, Dal " betilo " aniconico alla statuaria nuragica,

Sassari I 977. I7) Cfr. da ultimo S. MoscATI, Gli italici. L'arte, Milano I983,

pp. II9-I2I.

I8) Cfr. F . BARRECA, L'archeologia fenicio-punica in Sardegna, infra, pp. 73 e 74, fig. 26.

19) Cfr. da ultimo, S. MosCATI, Il mondo punico, Torino rg8o p. 172, fig. 2.

20) Cfr. da ultimo, IDEM, ibidem, p. I70. 21) Cfr. da ultimo V. TusA, La presenza fenicio-punica in Sicilia,

in Ph6nizier im Westen, cit., p. I04, tav. 13, a, d. 22) Cfr. V. TusA, Stato delle ricerche e degli studi fenicio-punici

in Sicilia, supra, p. 40, figg . 1- 3. 23) Cfr. F. BARRECA, La Sardegna fenicia e punica, Sassari 1974,

tav. LI. 24) Per un'impostazione riduttiva anche della potenziale docu ­

mentazione della statuaria nella cultura materiale punica, cfr. fra gli altri, C.G. PICARD, Catalogue du Musée Alaoui. Nouvelle série, Tunis 1957, p. r8.

25) Cfr. quanto notato in E . ACQUARO, S. MoscATI, M .L. UBERTI, Anecdota Tharrica, Roma 1975, passim.

26) Cfr. da ultimo, Monte Sirai 1982, in RSF, II , 1983, pp. 183-222.

27) Cfr. Tharros VII, ibidem, g, rg8r, pp. 44 e 45 · 28) Cfr. Tharros VIII, ibidem, ro, rg82, pp. 38-40. 29) Cfr. Tharros VIII, ibidem, Io, rg82, pp. 103-127. 30) Cfr. Tharros IV, ibidem, 6, I978, pp. 97-99. 31) Cfr. Tharros X, ibidem, 12, rg84, pp. 49- 51. 32) Cfr. A. MERLIN, Le sanctuaire de Baal et de Tanit près de

Siagu, Paris Iglo, pp. 44-47. 33) L 'intento " cultuale " dei pendenti non si esaurisce nella

riduzione delle dimensioni, ma va ricercato anche nel ritaglio dei bracci della croce ansata da un'unica sottilissima lamina quadrango­lare, come appare con evidenza nell'esemplare aureo. Per il tipo del pendente a croce ansata in esemplari con funzione di orecchini, cfr. G. QuATTROCCHI PISANO, I gioielli fenici di Tharros nel Museo Nazio­nale di Cagliari, Roma 1974, nn. r6, 44·

34) Cfr. MERLIN, op. cit. 35) Inter deos videmus vestros leonis torvissimam faciem mero oblitam

nimio et nomine Frugiferio numcupari. Per la validità della testimonian­za di Arno bio sui culti pagani, cfr. da ultimo, H . LE BoNNIEC, Arnobe. Contre /es gentils, livre I, Paris rg82, pp. Bo-85.

36) Cfr. M . LEGLAY, Saturne Africaine. Histoire, Paris Ig68, pp. 7 e 8.

37) LEGLAY, op. cit., p. 8, fa espressamente notare a proposito della lettura Frugijerius fGenius Terrae Africae delle statue di Siagu che il nome " au masculin ne do i t pas étonner " .

38) Cfr. LE BONNIEC, op. cit., p. 81. 39) Cfr. Tharros X, in RSF, 12, I984, pp. 62 e 63. 40) Cfr. da ultimo, H .G. HoRN, C.B. RtiGER (edd.), Die Numider,

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I - GLI INSEDIAMENTI FENICIO-PUNICI IN SARDEGNA (da F. BARRECA, La Sardegna e i Fenici, in Ichnussa, Milano 1981) .

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