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1 1 MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE DELLA BASILICATA Direzione Generale “Il Nodo - Scuole in rete” - n. 34 - Anno XI IL DIRETTORE GENERALE FRANCO INGLESE Da più tempo, ormai, mentre il pubblico svela i limiti della frammentarismo dei centri decisionali, mentre sul piano culturale si afferma la dimensione dello spettacolo, dell’immagine che fa notizia, si consuma in un giorno e lascia sempre meno spazio all’analisi e alla riflessione, si impoverisce e degrada la qualità della vita e delle persone, il quotidiano scade spesso nella violenza. Violenza in alcuni spettacoli e nella pubblicità, nelle proteste di piazza, nelle miserevoli condizioni delle periferie, sull’ambiente; violenza della velocità sfrenata su strada, dell’intolleranza e del razzismo. Sintomo di questi e altri mali profondi della società postmoderna, della frattura nella continuità con il passato e le sue regole e del non averle saputo rinnovare, adeguandole alle nuove necessità sociali a valenza universale, il bullismo individuale e di gruppo, il bullismo a scuola. La scuola – e la famiglia dalla struttura destabilizzata – ha risentito in particolare dei legami sociali deboli, dell’inconsistenza dell’autorità, della riduzione del senso civico, delle riforme continue e trova difficoltà ad orientarsi e ad orientare, mentre il problema serio e grave del bullismo, del misconoscimento delle regole per il tutto lecito ci richiama alle responsabilità di una situazione di emergenza. Emergenza che chiama in campo tutte le istituzioni ad un ruolo di umanizzazione e civilizzazione credibili ed efficaci e, in particolare, la scuola: per la ricerca delle cause, per il controllo degli effetti perversi, la condivisione del disagio. E, passo dopo passo, per percorrere il cammino del diritto dovere di educare e recuperare le capacità comunque presenti in ogni alunno, con responsabilità, speranza e fiducia nelle sue risorse e nel proprio impegno e stabilendo il necessario equilibrio tra libertà e disciplina. Le pagine che seguono di questo numero del “Nodo - Scuole in rete” offrono tematiche al centro dell’attuale dibattito pedagogico, mettendo a fuoco le misure comuni per prevenire e emendare fenomeni marcatamente antisociali e promuovere maturazione e cultura per la società e la convivenza civile.

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M I N I S T E R O D E L L ’ I S T R U Z I O N ED E L L ’ U N I V E R S I T À E D E L L A R I C E R C A

U F F I C I O S C O L A S T I C O R E G I O N A L E D E L L A B A S I L I C ATAD i re z i o n e G e n e ra l e

“Il Nodo - Scuole in rete” - n. 34 - Anno XI

IL DIRETTORE GENERALEFRANCO INGLESE

Da più tempo, ormai, mentre il pubblico svela i limiti della frammentarismo deicentri decisionali, mentre sul piano culturale si afferma la dimensione dellospettacolo, dell’immagine che fa notizia, si consuma in un giorno e lascia sempremeno spazio all’analisi e alla riflessione, si impoverisce e degrada la qualità della vitae delle persone, il quotidiano scade spesso nella violenza. Violenza in alcuni spettacolie nella pubblicità, nelle proteste di piazza, nelle miserevoli condizioni delle periferie,sull’ambiente; violenza della velocità sfrenata su strada, dell’intolleranza e delrazzismo.

Sintomo di questi e altri mali profondi della società postmoderna, della fratturanella continuità con il passato e le sue regole e del non averle saputo rinnovare,adeguandole alle nuove necessità sociali a valenza universale, il bullismo individualee di gruppo, il bullismo a scuola.

La scuola – e la famiglia dalla struttura destabilizzata – ha risentito in particolaredei legami sociali deboli, dell’inconsistenza dell’autorità, della riduzione del sensocivico, delle riforme continue e trova difficoltà ad orientarsi e ad orientare, mentre ilproblema serio e grave del bullismo, del misconoscimento delle regole per il tuttolecito ci richiama alle responsabilità di una situazione di emergenza. Emergenza chechiama in campo tutte le istituzioni ad un ruolo di umanizzazione e civilizzazionecredibili ed efficaci e, in particolare, la scuola: per la ricerca delle cause, per ilcontrollo degli effetti perversi, la condivisione del disagio. E, passo dopo passo, perpercorrere il cammino del diritto dovere di educare e recuperare le capacità comunquepresenti in ogni alunno, con responsabilità, speranza e fiducia nelle sue risorse e nelproprio impegno e stabilendo il necessario equilibrio tra libertà e disciplina.

Le pagine che seguono di questo numero del “Nodo - Scuole in rete” offronotematiche al centro dell’attuale dibattito pedagogico, mettendo a fuoco le misurecomuni per prevenire e emendare fenomeni marcatamente antisociali e promuoverematurazione e cultura per la società e la convivenza civile.

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sommario

il nodo

Circolare Prot. n. 2123/A39 - 5 Dicenbre 2008

anno 11°

MINISTERO DELL’ISTRUZIONEDELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA

Ufficio Scolastico Regionale della BasilicataDirezione Generale

F. BLEZZA, Contro il bullismo per la socialità

A. CHIONNA, Educazione e bullismo: gover-no di sé e maturità umana

SCUOLE IN RETE

L. CORRADINI, Cittadinanza e Costituzione:per una legalità che si radichi nella coscienzae nel costume

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S. S. MACCHIETTI, Il coraggio di educare26

Il Bullismo tra valori e regole

M. FERRACUTI, A. GRANATAPresentazione5

Editoriale

S. CHISTOLINI, Bullismo in Classe. Rappre-sentazione della scuola europea e riscattodella professione docente

29

F. MATTEI, Bulimia della formazione, ano-ressia dell’educazione34

P. CALIDONI, Confrontarsi con ragazzi in rete31

A. PORTERA, Bullismo: emergenza educativa(interculturale) a scuola9

dalle Università di…

V. IORI, Analfabetismo sentimentale ed edu-cazione del cuore17

F. INGLESEPremessa1

G. ACONE, Una “scintilla divina” den-tro la postmodernità6

C. MONZONE, Bullismo verbale: una realtàsiciliana49

C. DI AGRESTI, Celebrazione di una vocazio-ne: Edda Ducci, luoghi e tempi di un servi-zio

40

F. NACCI, G. RODIA, A, CILIBERTI, L’evo-lozionismo. Una questione aperta55

G. D’AGOSTINO, Lupi e agnelli: educare a ri-conoscere e riconoscersi52

M. BORTOLOTTO, L’adolescenza: età del ri-schio educativo65

CALENDARIO 20094

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F. FASOLINO, Le contraddizioni del sistema

Dall’Ufficio Scolastico Regionaledella Basilicata - Direzione Generale

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M. CORRAO, La scuola si attiva anche attra-verso il progetto “SANI e SICURI”78

Contributi

L. MASI, I giovani d’oggi e i fantasmi del nul-la111

M. AMORIGI, Il bullismo tra “Teoria e Prati-ca”80

G. CORSI, Eufonia e dialogo, disarmonia e vio-lenza, la musica e il bullismo83

Dalle Istituzioni scolastiche

M. DE CARLO, Educare all’incontro autenti-co. Riflessioni “con” Martin Buber87

All’Ufficio Scolastico Regionale dellaBasilicata - Direzione Generale

A. GRANATA, “Smonta il Bullo”. Campagnaper la prevenzione e la lotta al Bullismo nel-le scuole di Basilicata

73

Dall’Ufficio Scolastico Regionale del FriuliVenezia Giulia - Direzione Generale

M. GONNELLA SCHETTINI, Violenza: chefare?

75

F. P. CALVARUSO, Sintomi di ripresa sul cam-mino della scuola92

V. GALIZIA, La via pedagogica per affrontareil bullismo90

M. R. ARDIZZONE, Il bullismo. Un fenome-no in crescita?98

G. FUXA, Bullismo a scuola: che fare?100

A. RUBINI, Conoscersi per educare106

P. COLETTA, Bullismo: forza o insicurezzadell’adolescente?103

R. SANTARSIERO, Un pensiero positivo

G. LA MORTE, Bullo... giovane arrogante, vio-lento, teppista, bravaccio116

M. COLANGELO, Aspetti psicologici delbullismo120

A. SMALDONE, Disagio giovanile e nuove for-me di dipendenza118

M. NICOLANGELA, La Fidapa per la preven-zione del disagio giovanile122

Dalle Istituzioni extrascolastiche

110

L. CLAPS - G. MARMO, Un intervento di psi-cologia dell’emergenza a scuola

V. FILIPPELLI, Profili penali del bullismo123

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L. ALBANO, La cartolina “Smonta il bullo”77

A. M. ROSPO, Il bullismo e il sistema delleresponsabilità112

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Calendario 2009

Elenco delle scuole partecipanti al concorso Unicef - Direzione GeneraleUna scuola amica - Calendario 2009

Anche per il prossimo anno, questo numero del “Nodo” di dicembre offre ai suoi lettoriil Calendario 2009, con gli elaborati prescelti, tra i numerosi eseguiti dagli alunni

che hanno partecipato al concorso dal tema:

Una scuola amica

L’iniziativa che ha avuto inizio con il calendario 2001, si riconduce al Protocollo d’intesa tra UNI-CEF di Basilicata e l’Ufficio Scolastico Regionale per la Basilicata, Direzione Generale. È uno deimodi per porgere gli auguri, mese per mese, attraverso i fogli del calmendario da tavolo. Alcunielaborati, che non hanno trovato spazio nei fogli di esso, sono stati riprodotti nelle immagini di

questo numero della rivista.

Scuola Primaria “A. Gramsci” - Marconia (Matera)Scuola Primaria, 2° Circolo - MateraScuola Primaria “Don Liborio Palazzo” - Montescaglioso (Matera)Scuola Primaria “Luigi Lavista” - Venosa (Potenza)Scuola Primaria, Istituto Comprensivo - Bella (Potenza)Scuola Primaria, Istituto Comprensivo - Marconia (Matera)Scuola Primaria, Istituto Comprensivo “Padre Pio da Pietrelcina” - Pisticci (Matera)Scuola Secondaria di I grado, Istituto Comprensivo “Giuseppe Garibaldi”- Accettura (Matera)Scuola Secondaria di I grado, “Aldo Moro” - Policoro (Matera)Scuola Secondaria di I grado, “Giacomo Leopardi” - PotenzaScuola Secondaria di I grado, “Nicola Sole” - Senise (Potenza)Scuola Secondaria di I grado, Istituto Comprensivo - Bella (Potenza)Scuola Secondaria di I grado, Istituto Comprensivo “Ten. Pil. Piero Berardi” - Melfi (Potenza)Scuola Secondaria di I grado, Istituto Comprensivo - San Mauro Forte (Matera)Scuola Secondaria di I grado, Istituto Comprensivo “O. Albanese” - Tolve (Potenza)Istituto d’Istruzione Superiore “F. Cassola” - Ferrandina (Matera)Istituto d’Istruzione Superiore “Pitagora” - Policoro (Matera)

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Cari amici del Nodo,

con una notevole dilatazione dello spazio temporale, riprendiamo il nostro cammino culturaleperché il Nodo, come da consuetudine di oltre dieci anni, rimane lo strumento che ci consente diconseguire gli importanti obiettivi di conoscenza.

Questo Numero 34 presenta il problema del bullismo.Scriviamo questo saluto mentre il mondo della scuola, in tutte le sue componenti, dai bambini

delle elementari ai genitori, dai professori e maestre ai Dirigenti scolastici e Rettori Universitari, èin grande ebollizione: occupazioni di scuole e di università, sfilate, comizi e qualche randellata cire-immergono nel clima del ’68, anche se del ’68, in queste sfilate 2008, manca il sottofondo forte-mente ideologizzato e politicizzato. Oggi gli studenti, figli della postmodernità, pur con notevo-lissime capacità cognitive, si ritrovano privi di forza progettuale politica e le loro (non) proposteappaiono incapaci di mordere, per trasformare, la realtà dell’impianto politico. La loro rivoluzio-ne è più all’insegna di un cameratismo con scambi di foto e messaggini da cellulare che non anima-ta da ideali coagulanti ed elettrizzanti. Essi sono i figli “ritagliati” sul nostro tempo.

È sotto gli occhi di tutti, per parafrasare Spengler, il tramonto o la deriva della società occidentale(Apriamo una grande parentesi, ma dovremmo scriverci un trattato: si pensi ai fiumi di alcoole di droga che attraversano la Penisola, alla forza corruttiva dei media morbosizzati, alla “cultura”delle variegate isole dei famosi, delle veline e delle 10.000 cubiste dai 12 ai 14 anni, alla dimensioneeconomicista della vita, alla “liquidità” dei rapporti umani e sociali, alla corruzione dei luoghiistituzionalmente educativi, alla debole e secolarizzata rappresentazione di Dio... et aliter) dove icomportamenti e le richieste dei giovani sono in piena sintonia con lo spirito del tempo.

Allora è lecito domandarsi: quali sono i veri soggetti chiamati “bulli”? dove abita il terribile esorgivo bullismo? Viene in mente quel grande buco di ozono, o quel buco nero, nelle estenuazionistellari, che tutto attrae a sé e voracemente divora. Non ci sono forse in moltissimi segmenti dellasocietà, che noi adulti abbiamo costruito, segni di bullismo che poi tentiamo di raccogliere edenucleare in “cisti” circoscritte per farne bersagli mirati ed esorcizzare la nostra adultità? Non sitratta piuttosto di metastasi di decomposizione di un impianto di società insostenibile? Lasciamoagli esperti la risposta a questi interrogativi così decisivi.

Noi tuttavia né vogliamo assolvere i comportamenti sgradevoli degli studenti né pensare che lasocietà manchi di risorse culturali per trasformare il suo “tramonto” in motivi di rinascita. Ancheper questo volgiamo lo sguardo al Natale con la speranza sul futuro che suscita ogni bambino chenasce, alle risorse della natura che sospinge verso l’alto, verso il sole ogni vivente, alla fede in unDio che nasce come un bambino per ri-nascere con e per l’uomo.

Questo numero del Nodo 34 è, eccezionalmente, voluminoso per la gravità dell’argomento matutti i prossimi numeri saranno riportati a dimensioni sostenibili.

Come per ogni fine anno, questo Nodo è arricchito dal calendario 2008/2009 opera dei bambi-ni delle Scuole di Basilicata dal titolo Verso una scuola amica: ci aiuterà a scandire bene e felicemen-te il tempo del nuovo anno. Inoltre le Scuole della Basilicata ci offrono il dossier: Quando il bullismoè di “classe” per offrirci i loro pensieri ed esperienze in proposito.

Un saluto caldo e augurale per il Natale, per il Capodanno e... per la vita nella consapevolezzadi rappresentare una comunità di amici che insieme navigano verso orizzonti di senso e di signi-ficato.

Angela GranataMario Ferracuti

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Una “scintilla divina”dentro la postmodernitàGIUSEPPE ACONEProfessore Ordinario di Pedagogia generaleDirettore del Dipartimentodi Scienze dell’Educazione - Università di Salerno

Il bullismo tra scuola e società

ullismo è parola impropria per designare alcuni comportamenti che ormaicontrassegnano l’ordinaria vita quotidiana delle scuole in Italia (prevalentementele scuole secondarie, ma si registrano episodi sconcertanti anche nella scuola

elementare).Sul finire degli anni Novanta del Novecento il fenomeno cominciò ad essere registratoda studiosi di scienze umane. Mi pare di poter segnalare il libro della psicologa AdaFonzi, Il bullismo in Italia (Giunti, Firenze, 1997), quale una delle prime ricerchecomplete e interessanti sul debordare della violenza nelle scuole, alla quale veniva inqualche modo attribuita l’etichetta di bullismo. Si tratterebbe di un complesso dicomportamenti, atteggiamenti e di atti improntati ad una violenza che si esercitasoprattutto nella sopraffazione di soggetti frequentanti le scuole, nei confronti di soggettiprevalentemente deboli o comunque di individui segnalati e schiacciati nel ruoloscomodo di capri espiatori. Altre concomitanti forme di comportamento deviantecompletano una sindrome che finisce per convincere gli esperti a formulare una sorta dicategoria separata di tipo antropologico e psicologico che si può chiamare bullismo. Aben guardare, la difficile ricerca di caratteri specifici e di una costellazione dicomportamenti violenti e devianti, che sia una forma intermedia tra la trasgressionecostante della convivenza scolastica e la vera e propria violenza delinquenziale, a cui dareil nome di bullismo, è sempre avventurosa, collocandosi comunque in un’oscillazioneentro la quale è facile sbattere dalla minimizzazione alla criminalizzazione.Il termine bullo risale agli anni Cinquanta del Novecento. Esso è in America utilizzatoper denotare comportamenti e stili di vita, che vengono ritualizzati e sublimati nellacinematografia di quel decennio e trovano nelle icone cinematografiche di MarlonBrando, di Paul Newman e di James Dean l’indicatore del cambiamento di stimmung e ilsegnale dell’avvento di un nuovo stile di vita e di cultura.In Italia, quelli della mia età ricordano il film Bulli e pupe, nel quale i bulli erano un po’guasconi e spacconi e le pupe erano belle ed adorabili svampite, ma gli uni e le altreerano mille miglia lontani dalla vera e propria violenza che il termine bullismo evoca

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Editoriale

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oggi, anche alla minima percezione di osservatori superficiali. Ricordare qui le figurecinematografiche di Maurizio Arena, Renato Salvatori e Marisa Allasio serve solo astabilire la distanza tra due tempi storici radicalmente diversi e a richiamare unastagione culturale assai lontana.Probabilmente i ragazzi della nostra epoca, bulli compresi, ignorano anche i nomi deipersonaggi sopra richiamati, sicuramente rappresentati come soggetti un po’ carognetti,un po’ spacconi qualche volta simpaticamente protervi, ma erano tutti assai lontani dallepunte estreme di violenza, puntualmente riprese con i video-cellulari ultramoderni eimplacabilmente immortalate anche su you tube. Richiamare qui qualche episodioagghiacciante riportato dalle cronache è mero scrupolo di precisione: professoresseriprese in condizioni scarsamente educative, atti di bestiale violenza filmati in direttasulle cattedre e nelle aule, vere e proprie aggressioni nei confronti di insegnanti, diallievi diversamente abili, di soggetti particolarmente deboli, tutte regolarmente filmatee trasmesse su migliaia di monitor.Quest’ultima forma di particolare perversione è emblematica del fatto che il passaggiodalla Galassia Gutenberg alla Galassia elettronica abbia conosciuto nell’ultimo decenniovie diverse e non tutte commendevoli. Se si pensa che qualcuno ritiene una concausadella sindrome bullistica, con tutta la sua interna violenza, il fatto proprio che il filmaresia più importante ancora dell’atto del violentare, e che il tutto sia appunto guidato dallacompulsione dell’apparire e del rappresentare, allora vien fuori la parziale verità chec’era in posizioni meno squilibrate di quelle che ritenevano potersi addirittura tradurreper intero la paideia tradizionale (Galassia Gutenberg) in paideia informatica e telematica(Galassia elettronica). Della Galassia elettronica fa parte, a quanto pare, anche l’aspettoche induce a replicare il vecchio e mitico complesso di Erostrato, il personaggio dellanarrazione classica greca che incendia il tempio di Giove perché in Atene possanoparlare di lui.Tuttavia, la violenza debordante, che emerge ormai da tutte le pieghe di una società lacui complessità indubbia non può spiegare tutto, ha un appiglio limitato e parzialenella sua parte indotta dalla replicazione mimetica dei mass-media e dei new media.Bisogna rendersi conto che la situazione è grave e che questo non troppo stranofenomeno, stranamente denominato bullismo, è una mera risposta riflessa dell’interaviolenza che emerge dal complessivo ‘testo-contesto’ entro cui è inserita la scuola delnostro tempo, la quale non può essere (come potrebbe?) un giardino fiorito in mezzoalla desertificazione di senso generalizzata, entro cui gli atti di delinquenza giovanile sicollocano e prendono ineluttabilmente vita e forma.A questa analisi descrittiva, abbastanza preoccupata e allarmata, spesso si risponde checi sono milioni di bravi ragazzi, e che non bisogna esagerare. È certamente vero questo;è certamente indubitabile che la stragrande maggioranza dei ragazzi è lontana millemiglia non solo dal clima ma anche dalla percezione e dall’immaginazione entro lequali si concepiscono e si attuano atti di inusitata violenza. Tuttavia, non è solo unamarginale zona d’ombra della società buona e funzionale l’area di umanità giovanile,che, nella scuola e nei suoi dintorni, mette in atto i comportamenti di ferocia chepassano sotto la metafora del bullismo. La società violenta esprime una rete di relazioni

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violente in uno dei suoi sottosistemi di massa qual è la scuola del nostro tempo.Mentre scrivo questa nota, ho sotto gli occhi la pagina delCorriere della sera che riporta la sanguinosa sparatoria avvenuta a Secondigliano(Napoli), nella quale sono stati più o meno gravemente feriti cinque ragazzi dai dodici aisedici anni. Dall’articolo del Corriere emerge che questi ragazzi, i quali pur semprevivono ai margini della terza città d’Italia, parlano solo un dialetto incomprensibile, sidefiniscono “indifferenti totali”, sono già tutti consumatori e spacciatori di crack e dicocaina, probabilmente hanno perduto da tempo tutta la loro infanzia e tutta la loroinnocenza. A Secondigliano ci sono anche tutte le scuole possibili (fatta eccezionedell’Università). A bruciapelo si può dire che esse non sono servite a nulla, almeno nonsono servite a tenerli distanti da tanta violenza. Essi sono figli di quella nera miseriadella periferia, la quale è insieme miseria materiale assoluta e lontananza siderale da ogniforma di spirito, in cui l’ethos non è mai comparso, e nella quale si manifestaradicalmente ciò che passa sotto l’indicazione pedagogica di emergenza educativa.Ritenere questa realtà una forma applicativa dell’iper-realtà, la cui traduzione invideogioco della violenza è forma specifica, mi pare una modalità di sottovalutazionepericolosa della situazione complessiva. Questa violenza è figlia della società difficile ecomplessa, ma anche della fine di ogni narrazione; tale esaurirsi di ogni raccontoeducativo è comunque il paradigma entro il quale si può inscrivere qualsiasi percorso didevianza e di perdita di umanità. La scarsa dotazione di risorse di senso di cui disponeattualmente l’intero sociale, entro il quale pur sempre vive la scuola, impedisce aquest’ultima di mettere in atto anche le residue possibilità di risposta in terminispecificamente pedagogici e in dimensioni più strettamente educative.Certamente non aiuta la liquidazione di qualsiasi forma di ordine e di una minimadisciplina (cfr. B. Bueb, Elogio della disciplina, trad. it. Rizzoli, Milano 2007; P. Hahne,La festa è finita, trad. it. Marsilio, Firenze 2006; N. Postman, La fine dell’educazione, trad.it. Armando, Roma 1998; D. Novara - L. Regogliosi, I bulli non sanno litigare, Carocci,Milano 2007; M. Bontempi - R. Pocaterra, I figli del disincanto, Mondatori, Milano 2007;L. Ricolfi, Le tre società, Guerini, Milano 2007; E. Rosci, Fare male, farsi male, FrancoAngeli, Milano 2003). Altrettanto certo è il fatto che interpretazioni pedagogichegenerali, ispirate all’assoluto permissivismo, servono a gettare benzina sul fuoco, e nonsi rendono conto (quel che è peggio) che la crisi complessiva della paideiacontemporanea è più una crisi di degenerazione permissivista che una forma residuale ecompulsiva del vecchio autoritarismo.In definitiva, e dovendo semplificare in un’estrema sintesi imposta dallo spazio di unbreve intervento, la fenomenologia desolante e amara del bullismo (parola parzialmenteeufemistica nel cui involucro sono compresi atteggiamenti di inaudita disumanità)dipende da fattori contingenti ed occasionali e da più profondi movimenti strutturali esovrastrutturali la cui origine è fuori dall’istituzione scuola. Quello del bullismo è unfenomeno in cui, come accade spesso nelle questioni pedagogico-educative, il cattivocontesto finisce per cancellare anche il miglior testo (specie allorché esso è fattoprevalentemente di buone intenzioni).

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asta sfogliare le pagine di cronaca dei quo-tidiani o sentire le notizie di radio o tele-giornali, per cogliere l’entità del dilagantefenomeno del bullismo in Italia, soprattut-

to a scuola. Da un recente sondaggio il 18% deigiovani italiani asserisce di aver subito violenze oangherie da compagni di scuola, mentre il 48% haassistito a episodi di bullismo. Complessivamen-te, il 38% del campione ammette che il bullismosia molto più diffuso che in passato e il 26% hapaura di esserne vittima. (La Repubblica, 25 set-tembre 2008).

I fatti di cronaca sono fra i più disparati e ri-guardano tutte le scuole italiane. Molto spesso talifenomeni si rivolgono verso coloro ritenuti infe-riori, deboli, indifesi, diversi: a) in una scuola diMilano cinque baby-rapinatori sono stati ricono-sciuti dalle vittime alle quali avevano rapinato te-lefoni cellulari e I-pod (una ventina di coetanei oancora più giovani); b) due ragazzi di 18 anni han-no trasformato la linea ferroviaria Bracciano-Viterbo in un incubo per decine di studenti cheogni giorno la frequentavano: prima disegnavanobarba e baffi con un pennarello indelebile sul visoai ragazzi al primo anno delle superiori; poi po-nevano loro domande sul paese in cui fermava iltreno, ad ogni risposta sbagliata scrivevano su partidel corpo il nome della stazione e un voto con un

Bullismo: emergenza educativa(interculturale) a scuola

AGOSTINO PORTERAOrdinario di Pedagogia interculturale, Direttore

Dipartimento di Scienze dell’educazione Università di Verona

Direttore Centro Studi Interculturali

B pennarello indelebile; c) in una scuola in provin-cia di Salerno uno studente ha riscaldato una mo-neta con un accendino e l’ha gettata, rovente, nel-la camicia del compagno seduto davanti a lui; peril ragazzo, che ha riportato ustioni di primo gra-do, è stata stabilita una prognosi di 10 giorni; d)in un istituto professionale di Palermo due stu-denti istigano un ragazzo disabile a scagliarsi con-tro un compagno del primo anno. In tanti casi sitratta di minori stranieri: e) uno studente rumenodi 13 anni presso la terza media a Civitavecchiaera continua vittima di aggressioni e percosse daparte di un gruppetto di suoi coetanei (specie unripetente di 15 anni) che per paura ha denunciatosolo nell’ambito di intervento chirurgico alla spal-la; ma l’aggressività è incanalata anche verso chi siritiene “superiore”: f) presso il liceo artistico Ma-rio Mafai, nel quartiere Eur di Roma, sei ragazzehanno insultato e picchiato una loro compagna di16 anni, perché “troppo carina”; g) a Porto Ercole(Grosseto) un ragazzo di 12 anni è stato umiliato(mettendogli la testa in un water, facendo poi scen-dere l’acqua) perché in pagella aveva ottimo in tuttele materie e ostentava la sua bravura. Non sonorari i casi in cui le vittime sono proprio gli inse-gnanti: h) in un liceo di Genova una studentessadi 15 anni ha tentato di bruciare con un accendi-no i capelli di una professoressa di matematica,

Dalle Università di...

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che per difendersi è fuggita nel bagno della scuo-la; i) nell’istituto tecnico professionale FerrarisPacinotti di Milano un professore finite le lezioniesce da scuola, gli studenti riuniti in capannellodavanti all’ingresso, lo insultano con cori da sta-dio: “sei un buffone”. Lui, un uomo di 50 anni,abbassa lo sguardo e affretta il passo. Lo minaccia-no: “Sei un coniglio, dove scappi?”.

A fronte dell’aumento della diversità, a seguitodella globalizzazione e della vita in società sem-pre più multietniche e multiculturali, è necessa-rio e urgente riflettere seriamente sul fenomenodel bullismo, riconoscendone le origini (spessosituazioni di crescente disagio non solo fra le vit-time, ma soprattutto nella vita dei “carnefici”) eper elaborare programmi pedagogico-educativi tesia contrastarlo e a gestirlo adeguatamente.

Origini del bullismo: cos’è? Chi sono? Cosa fare?

Il bullismo è frequentemente ed erroneamenteassimilato o confuso con altre manifestazioni didisagio o di aggressività. Chiariamo perciò subitoche il termine bullismo rimanda ad una relazionedi abuso di potere in cui avvengono dei comporta-menti di prepotenza in modo ripetuto e continuatonel tempo, tra ragazzi non di pari forze, dove chisubisce non è in grado di difendersi da solo. Per-ciò il bullismo più che un comportamento isola-to descrive una relazione, un susseguirsi di azionidi prevaricazione, continuate nel tempo. Per esem-pio, i giochi di lotta tra ragazzi, ricorrenti tra imaschi, non sono bullismo ma confronti alla pari.Nel bullismo invece esiste uno squilibrio di forzetra il bullo e la vittima, che non possono scam-biarsi i ruoli. Inoltre esso avviene in un contestodi gruppo: chi fa le prepotenze o chi le subiscepuò essere un gruppo; gli eventi avvengono incontesto di gruppo (classe, cortile della scuola,autobus) in presenza di spettatori.

Movendo da una simile definizione, è facile ri-scontrare fenomeni di bullismo nel passato e inaltri ambiti della vita (nelle caserme prende il nomedi «nonnismo»; nel mondo del lavoro si parla di«mobbing»). A scuola il bullismo si manifesta sulpiano verbale, psicologico o fisico, in forme legge-re: prese in giro ripetute, minacce, offese, esclu-sioni dal gruppo, maldicenze (modalità tipiche delbullismo femminile); o pesanti: aggressioni, scherzigrevi, furti grandi o piccoli, estorsioni, danneggia-menti degli oggetti personali o del materiale sco-lastico ecc. Fra le varie manifestazioni, le prese in

giro sono le forme meno riconosciute, spesso frain-tese come gioco o scherzo (l’insegnante spesso noncomprende la gravità per chi subisce, chi è chia-mato tutti i giorni con un nomignolo odioso o èpreso in giro per l’aspetto o un difetto fisico, perun modo di parlare; specie per l’adolescente chenecessita di sentirsi parte del gruppo e di ricevereapprovazione). Per quanto attiene alle aggressionifisiche, generalmente tra ragazzi machi e più facilida riconoscere, l’insegnante dovrebbe prestare at-tenzione non solo alle forme più eclatanti, maanche a “tormenti” ripetuti, dispetti riproposti(come punzecchiare, pizzicare, dare uno scap-pellotto, tagliare una ciocca di capelli, picchiarecon la penna continuamente nella schiena). Ascuola, particolare attenzione va data a furti edestorsioni, anche se di entità ridotta (come il ra-gazzo che deve portare a scuola ogni giorno qual-che euro al compagno che lo minaccia).

A scuola il bullismo è osservabile dalla mater-na fino alle superiori. Rispetto alle modalità diintervento, è chiaro che occorre tenere conto delcontesto, dell’atto stesso (differenziando i feno-meni occasionali, da quelli continuati nel tempo),della gravità e dell’età dei soggetti. Uno degli er-rori comuni consiste nello stigmatizzare di adole-scenti o bambini con l’etichetta di bullo o di vitti-ma. Il rischio maggiore è di identificare rigidamen-te un soggetto in evoluzione con il ruolo attribu-ito. Tali atteggiamenti potrebbero portare a defi-nizioni rigide sul piano dell’identità, che condur-rebbero i ragazzi “prepotenti” ad avere problemicon la giustizia nell’età adulta, nonché i “ragazzivittima” a depressione anche dopo il periodo sco-lastico, a difficoltà nei luoghi di lavoro, nella co-stituzione della famiglia elettiva.

Prima di qualsiasi forma di intervento occorrericordare che, nel caso di bulli e vittime, si tratta diruoli, non di personalità. Si tratta di ragazzi che inun dato contesto o periodo di tempo agiscono osubiscono prepotenze, ma ognuno di essi detieneenormi possibilità di cambiamento.

Per calibrare meglio le modalità operative è fon-damentale guardare da vicino chi sono. Tra chi su-bisce, le ricerche scientifiche distinguono le vitti-me passive dalle “provocatrici”: la vittima passivasubisce i comportamenti di altri, la vittima pro-vocatrice invece è quella che – direbbero i ragazzi– «se le cerca», cioè stuzzica il bullo e sembra faredi tutto per riuscire ad essere oggetto di attenzio-ne (negativa) dal compagno più forte. Fra i duecasi la vittima provocatrice è la più difficile da aiu-tare perché non desta simpatia né nei compagni

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né negli insegnanti. A volte ragazzi vittime pro-vocatrici ammettono di preferire le prepotenze allatotale disattenzione dei compagni. Evidentemen-te, per alcuni, indossare i panni della vittima ècomunque un modo per guadagnarsi un ruolo ri-conosciuto nel gruppo, meglio dell’essere ignora-ti. Rispetto al cosiddetto bullo occorre innanzituttodistinguere fra colui che è anche un leadernell’ideazione delle prepotenze e quello che losostiene e lo aiuta nella loro realizzazione (fa il«lavoro sporco»). Si distinguono così i leader daigregari. È raro trovare un prepotente che non siacircondato da un gruppo di sostenitori attivi e c’èpersino chi, abile mandante, riesce a non esporsimai direttamente di fronte agli insegnanti, grazieal fascino che esercita sui compagni. In molte ri-cerche e fra gli insegnanti è poco nota anche lafigura del «bullo vittima»: colui che subisce pre-potenze da parte di alcuni e le esercita verso altri.Per esempio il ragazzo di prima media, vittimadei ragazzi delle classi alte, che fa il bullo nella suaclasse. Magari perché già proiettato verso i piùgrandi ai quali vorrebbe assomigliare per entrarenel loro gruppo; respinto, preso in giro,prevaricato, riproduce lui stesso quel comporta-mento con i coetanei ai quali dimostra di esseregià grande, riversando su qualcuno più debole dilui la propria aggressività e frustrazione (spiraledella violenza). Esiste poi anche una terza figura:quella del sostenitore. Si tratta del ragazzo o ragaz-za che sta a guardare, non agisce prepotenze inprima persona però ridacchia, incita, approva, sidiverte. Alcuni autori inseriscono anche loro tra ibulli, per mettere in luce la loro responsabilità nelfar sì che le prepotenze ci siano e continuino neltempo.

Per capire meglio i singoli attori del fenome-no bullismo è necessario ricorrere anche alla psi-cologia sociale e dei gruppi. Il gruppo classe fun-ziona come ogni altro gruppo umano: individuail proprio leader e costruisce gerarchie internesecondo le quali qualcuno è incluso nel gruppo ealtri restano ai margini; qualcuno è molto im-portante e altri lo sono di meno. Tale processodi riconoscimento, evoca un senso di appartenen-za (alcuni sono «noi»; altri sono «loro») seguen-do le regole di un «processo di categorizzazione»:il soggetto affronta il nuovo mettendolo in rela-zione con ciò che già conosce, ricercando somi-glianze e differenze. Il simile diviene amico, com-prensibile; il diverso resta lontano, incompresoe nel tempo anche rifiutato. Nella classe si costi-tuisce un sottogruppo coeso, di soggetti accomu-

nati da almeno una caratteristica importante allaquale tutti aderiscono, e si identificano come«noi»; mentre restano fuori altre persone: coloroche non vogliono o non possono diventare comeloro (in genere, i marginali, i meno amati). Inforza di tale processo, all’interno del gruppo,mentre ai membri del «noi» (ingroup) viene rico-nosciuta la possibilità di una differenziazione, diuna personalità individuale, i «loro» (outgroup),sono percepiti come una folla sfocata e informe.Progressivamente la distanza aumenta e la comu-nicazione peggiora, confermando o accrescendogli ostacoli di relazione: un circolo vizioso che siautoalimenta. Tale meccanismo spiega perché lavittima di prepotenze non è solo il ragazzo piùdebole fisicamente. In ogni caso la vittima è di-verso dalla maggioranza e questa sua diversità lorende debole all’interno del gruppo (ragazzo chestudia molto è vittima in una classe dove tuttistudiano poco, mentre il ragazzo che trascura lascuola può essere vittima per compagni che re-putano lo studio un valore; una ragazza moltosportiva può essere leader o vittima delle compa-gne, a seconda del gruppo in cui si trova).

In forza di ciò, il bullismo può essere intesocome strumento funzionale al sistema-gruppo: ave-re nemici rafforza i gruppi, li fa sentire più coesi.Le prepotenze si radicano perché hanno una fun-zione sociale di mantenimento della coesione al-l’interno del gruppo, specie quando attraversanomomenti di incertezza. Per esempio, a scuola, nellafase iniziale di vita di un gruppo, all’inizio delprimo anno, quando i ragazzi si incontrano in clas-se e ancora non si conoscono, capire chi tra loro(o tra gli insegnanti) è il più debole, scagliarsi con-tro di lui o lei, darà agli altri un motivo per sentir-si uguali, per costituirsi come gruppo. Avrannoin comune il fatto di essere contro. Il conflitto (ela coesione del gruppo) continua mediante la ri-petizione delle prepotenze (elemento costitutivodel bullismo), dalla tendenza a semplificare l’altroe ad interrompere la comunicazione.

Globalizzazione bullismo educazione interculturale

Movendo da tali teorie (che sicuramente non spie-gano tutte le forme di bullismo riscontrabili a scuo-la, ma sicuramente una buona parte), si potrebbeconcludere che in futuro, nella società sempre piùcomplessa e multiculturale, con l’aumento delledifferenze, dovremmo assistere un crescente au-mento di bullismo.

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Di fatto, le diverse caratteristiche somatiche, ledifferenze sul piano religioso, assiologico e com-portamentale sembrano fornire più spunti sia peril ruolo di vittima che di bulli. Rispetto alle vitti-me, nelle scuole si assiste a casi in cui il bullismo hauna chiara base di razzismo; vi sono dei ragazzi stra-nieri vittime perché non rinunciano alla loro diffe-renza; talvolta la vittimizzazione scaturisce da ca-ratteristiche della persona non legate alla provenien-za (ad esempio per l’odore); spesso a scuola si divie-ne vittima per il modo differente di vedere il mon-do (modo di vestirsi, di atteggiarsi, di parlare, dipensare). Rispetto ai bulli, i casi in cui ragazzi stra-nieri agiscono prepotenze verso altri compagni, imotivi potrebbero essere molteplici: per marcarela propria differenza o per nasconderla; per far ca-pire al gruppo (al più forte) che meritano di essereaccolti, proteggendosi dal ruolo di vittime; comerivalsa dalle umiliazioni subite; per vicinanza cul-turale della modalità aggressive o violente (uso del-la forza per la risoluzione dei conflitti).

Al di là dei numeri statistici (i giornali spessonon ci danno dati di comprensione: metodologia,ricerca, campione, intervistatori), degli allarmismiinfondati o eccessivi, dell’effettivo rischio di au-mento, sicuramente il bullismo a scuola rimane unproblema serio e grave da affrontare.

Di aiuto potrebbe essere capire che il bullismonon rappresenta una malattia ma un sintomo. Sitratta della punta dell’iceberg; una cartina al torna-sole che consente di rilevare dei mali profonda-mente radicati nella società postmoderna in cuiviviamo. Da uno sguardo ravvicinato ci si accorgeche ragazzi e giovani si trovano a crescere e costru-ire la loro identità in un tempo caratterizzato dalegami sociali deboli, forte individualismo, derivadelle autorità, dei limiti e delle leggi, relativismoassiologico, diminuzione del senso civico, dellapartecipazione democratica e della correspon-sabilità, con forte aumento del senso del “nonm’importa”. Le istituzioni educative, prime fratutti la famiglia e la scuola, sono esse stesse atta-nagliate da profonda crisi e non riescono a fornireorientamenti stabili. A scuola si susseguono con-tinui cambiamenti e riforme, dove spesso i rimedisono peggiori dei mali. La famiglia è lasciata sola:non riceve sostegno né sul piano economico nésu quello politico (tranne ai proclami preelettorali),né su quello pedagogico. In generale, il mondodei cosiddetti adulti sembra essere in profonda crisi:

la ricerca del piacere e della felicità immediata eassoluta, il crescente narcisismo, il ripiegamentosul proprio ombelico, portano molti a disattende-re ai doveri verso il mondo ecologico, la società, ipropri simili, gli amici, i parenti, i figli. Il bullismopotrebbe e dovrebbe essere letto non solo come ilmale della scuola, ma come il sintomo di una so-cietà malata che ha deciso (o subisce le decisionidi alcuni: nell’era della globalizzazione paionoessere le economie o le lobby a governare) di inve-stire nel profitto economico, mettendo in secon-do piano non solo la natura ma anche la personaumana. In forza di ciò, è necessario e urgente inve-stire nell’educazione (e nella pedagogia). L’istintodi sopraffazione, l’aggressività persino la distrut-tività che lega l’essere umano alle specie animalinon potranno mai essere estirpati completamente(anzi talvolta può essere indispensabile per la so-pravvivenza di un singolo o del gruppo). Allora ènecessario ricorrere all’educazione, intesa comemodalità di gestione, come opportunità di incana-lamento positivo di queste forze. A tal fine occor-re mettere in gioco tutte le risorse, le intelligenzee i mezzi disponibili nella società civile. Specie ascuola, dopo averlo riconosciuto nella sua giustaentità, dopo averne compreso l’aspetto dinami-co-evolutivo e il rischio della stigmatizzazionedei ruoli di bullo o vittima, dopo averne capitomotivi e conseguenze, occorre attuare interventieducativi idonei.

Per contrastare e gestire tali fenomeni (anchese a volte ineludibile) non basta il ricorso alle au-torità di stato (è noto come alcune scuole hannodemandato il compito alle forze dell’ordine) o amisure repressive (escludere gli alunni dalla scuo-la), è necessario che l’insegnate e la scuola siano con-sapevoli (accanto alla famiglia) del loro precipuoruolo educativo, oltre a quello istruttivo e forma-tivo, prospettando le risposte pedagogiche più ido-nee ed efficaci. Alla luce della complessità del pro-blema, diviene necessario e urgente agire in ma-niera sinergica tra scuola e famiglia (prevedendomomenti di vero incontro e dialogo, stabilendoun’alleanza autentica, supportati da valide rifles-sioni pedagogiche). Di grande aiuto potrebberoessere le competenze educative interculturali, comel’ascolto empatico, la comprensione profonda, losviluppo del pensiero autonomo e divergente, ilcooperative learning, la capacità di dialogo e diinterazione con l’alterità, le abilità nella gestioneinterculturale dei conflitti.

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risi, nausea e insieme rinascita della politi-ca sono sotto i nostri occhi. Apatia ed ero-ismo si confrontano con situazioni nuove,sul piano nazionale e internazionale. La pa-

rola cittadino possiede una magia nuova, comeluogo d’incontro fra la persona e il lavoratore, ilcredente e il miscredente, il vicino e il lontano, ilconnazionale e lo straniero. Qualcuno la intendecome baluardo di difesa da coloro che cittadininon sono, perché non hanno le carte in regola:qualche altro come diritto umano.

La legalità alla quale la scuola dovrebbe educa-re, anche sulla base di più o meno recenti circolariministeriali, non è una cappa di piombo che sicala sulla testa della gente, ma l’aspirazione almassimo di giustizia che sia umanamente possibi-le, in un determinato ambiente e contesto stori-co, sulla base di regole il più possibile certe, effica-ci e condivise. Questa aspirazione va coltivata ecresce non solo con la conoscenza della storia, deldiritto, dell’economia, della filosofia, della religio-ne e dell’arte, ma anche con la partecipazione allavita di una comunità; e cala con l’appannarsi dellacoscienza e con l’indebolirsi della cultura.

Inteso come servizio pubblico alla persona ecome istituzione protesa a diventare “comunitàche interagisce con la più vasta comunità sociale ecivica”, il singolo istituto scolastico acquista, so-prattutto da quando l’art.117 della Costituzionene ha riconosciuto l’autonomia, le caratteristichedi quelle “formazioni sociali” in cui, secondo laCostituzione (art. 3), gli individui sviluppano laloro personalità.

Credo che sia giusto parlare, in proposito, di“cittadinanza scolastica”: ciò comporta non solouna serie di diritti e di doveri, ma, ancor più pro-fondamente, un’identità e un’appartenenza, che lascuola è tenuta a sviluppare e a elaborare.

Cittadinanza e Costituzione:per una legalità che si radichinella coscienza e nel costume

LUCIANO CORRADINIOrdinario di Pedagogia

Presidente di gruppo ministeriale per la Cittadinanza

Se si considera che i ragazzi compiono nellascuola le prime rilevanti esperienze di vita socialee che la scuola stessa è la prima istituzione pubbli-ca in cui si faccia l’esperienza del valore e dei limi-ti della legalità, si può convenire facilmente quan-to importante sia l’elaborazione di questa identitàe di questa appartenenza per lo sviluppo dei sin-goli e della società; in particolare per la ricostru-zione di quell’ethos civile che sembra ogni giornopiù compromesso.

La problematica “comunanza” del bene e delmale e la fatica dell’educazione

Molti si chiedono se la scuola debba o possa im-pegnarsi in quest’opera di ricostruzione.

Che il problema sia grave, è sotto gli occhi ditutti: tanto è vero che il valore più invocato e for-se meno praticato è quello della solidarietà. Se in-tendiamo questa come la determinazione perse-verante d’impegnarsi personalmente per il benecomune, non si fatica molto a comprendere quan-to malfermo sia, nella coscienza collettiva e neicomportamenti dei singoli, il concetto di bene co-mune. La stessa cosa si può dire per il meno citatoma ugualmente importante concetto di male co-mune. Bene e male si riducono ad aspetti dellapropria individuale esistenza: la comunità, il co-mune sembrano sfumare nella nebbia.

Gettare le carte per terra, non mettere casco ecinture di sicurezza durante la marcia, fumare do-v’è proibito (ma anche dov’è consentito, non èinnocente divertimento), bere superalcolici senzacurarsi delle conseguenze, sporcare i muri con lebombolette, buttare sassi dai cavalcavia e marciarea fari spenti contromano, investire e non soccor-rere il malcapitato, rubare, non pagare le tasse,

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prestare denaro a usura, scaricare nei fiumi e nelmare sostanze inquinanti, estorcere il cosiddetto“pizzo”, sequestrare e violentare un innocente,tutti questi sono comportamenti di diversa gravi-tà, che segnalano però la medesima eclissi non solodel senso della legalità, ma di quel sole che è ilsenso della comunanza, nei due risvolti del bene edel male comune. E segnalano lo spegnersi dellaluce della vita e dell’essere, in molte coscienze.Non è solo bullismo, che è violenza per lo piùpsicologica fra pari, in un contesto di gruppo.

Diversi sono gli ambiti di questa comunanza:si va dal nucleo familiare alla classe scolastica, dalcondominio al quartiere, dalla città alla regione,dalla nazione all’Europa e al mondo. Comunan-za significa appartenenza, partecipazione, storia eprogetto di gruppi umani che condividono digni-tà, diritti e doveri, sentimenti e interessi.

L’identificazione in un gruppo dipende damolti fattori, oggettivi e soggettivi, che hanno ache fare anche col riconoscimento di un comunenemico, sul quale proiettare le proprie paure.Mentre la coscienza del valore fondativo e univer-sale dei diritti umani si va diffondendo, almeno alivello delle solenni dichiarazioni e dei documen-ti normativi di livello internazionale, i vissuti e icomportamenti di molti individui e di molti po-poli si assestano su orizzonti di valori e su codicidi tipo nazionalistico, localistico, tribale, mafio-so, individualistico.

Mentre la parolanemico sparisce dalvocabolario di alcuneculture, che ricono-scono ogni uomocome potenziale alle-ato nella lotta peruna più giusta e mi-gliore qualità dellavita, ogni vicino dicasa può diventare ilproprio carnefice ecerti rappresentantidelle culture con cuisi vuole dialogaresgozzano nostri fra-telli. La cronaca cipresenta quasi ognigiorno comporta-menti ispirati a intol-leranza e a razzismo.Le difficoltà rela-zionali, non più

canalizzate o frenate da ideali e da autorità supre-me condivise, tendono a scadere nel pregiudizio enella violenza.

Mentre il volontariato internazionale dimostra,con la testimonianza individuale e talora con ilmartirio, che la comunanza con l’umanità interaci interpella non meno di quella con la propriaterra d’origine, interi popoli si lasciano travolgeredalla follia del genocidio e della “pulizia etnica”.Per non voler perdere nulla, si perde tutto. Perfare del mondo un paradiso privo di conflitti e dinemici, si finisce per farne un inferno. Basti pen-sare al libro Gomorra, bestseller internazionale diRoberto Saviano.

L’eclissi della comune umanità, che significarazionalità e ragionevolezza, lascia le coscienze inbalia di quella luce spettrale che va sotto i nomi dipaura, di odio, conseguenza di quei frutti avvele-nati che sono, in quanto assolutizzati, il denaro, ilpiacere, il potere: tutti sentimenti e valori umani,che si disumanizzano quando restano da soli a do-minare il campo della vita. Come e perché avven-ga questa eclissi della comune umanità, è questio-ne che chiama in causa tutte le scienze, le tecni-che, le istituzioni e le dimensioni della vita.

La biologia, l’antropologia, la psicologia, l’eco-nomia, con le loro articolazioni, aiutano a com-prendere alcune dinamiche, ma non danno rispo-ste risolutive: in altri termini non autorizzano népessimismi cosmici, né ottimismi rinunciatari.

La scuola per unire, Arianna Romano, IV A. Istituto Professionale di Stato, Policoro (Matera)

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Le radici etico-cul-turali dello Stato

L’etica, il diritto, la po-litica, la pedagogia nonsono né delegittimatedai fatti “duri e testar-di” della cronaca nera,né garantite di effica-cia storica dai valori“deboli e ragionevoli”con cui si cerca di ri-pensare e di riorganiz-zare l’umana convi-venza, in termini di ve-rità, di giustizia, di spe-ranza di futuro.

E tuttavia, se si re-gistra per esempio idisastri del Ruanda,dell’ex Jugoslavia, delDarfur, dovuti alla cri-si, in quelle regioni,dello Stato, della sua legittimità super partes e delsuo potere, non si può dimenticare che, in altreparti del mondo, come nel nostro Paese, le istitu-zioni statuali svolgono un ruolo di civilizzazionee di umanizzazione, in virtù dell’impegno etico,culturale, politico di molti cittadini e di molti uo-mini di governo, che contribuiscono a renderle inqualche modo credibili, efficaci, efficienti.

Ma lo Stato non si regge sul nulla di conoscen-za e di coscienza morale e civile. E questa coscien-za non si forma a caso. Noi parliamo di solito didiritto all’educazione e prendiamo meno volen-tieri coscienza del dovere di educare, in ogni istitu-zione, ma anche in ogni ambiente dove la respon-sabilità e la prudenza ci consentano di tenere sot-to controllo gli effetti perversi che potrebberovenire da un intervento inopportuno. Sono forseresponsabile di mio fratello? si chiedeva Caino. Pertimore di risultare scomodi e di suscitare reazioninegative, finiamo per tacere, per farci “i fatti no-stri”, come se l’aria inquinata dalle polveri sottili,dalla paura e dall’odio non attaccasse anche i no-stri polmoni e il nostro cuore.

L’insegnante-scrittore Domenico Starnone,spesso ironico e talora scettico sulla possibilità disalvare una scuola afflitta da tante patologie, isti-tuzionali, psicologiche e culturali, qualche tempofa ha lanciato un messaggio: “Dobbiamo scenderenei piccoli inferni delle nostre aule”. E dice, par-lando della solita collega Passamaglia: “Non ser-

vono granché i pistolotti buonsensai che fa dallacattedra... Bettin fa altro da decenni. Lui e quellicome lui attraversano l’inferno, vi sprofondano,si mettono a rischio per solidarietà umana, glistrappano metro dietro metro uno spazio del soc-corso, uno spazio dell’intelligenza come bene co-mune. Occorre, dice Passamaglia, studiare Bettin,insegnare Bettin”.

Gianfranco Bettin è un personaggio politico,consigliere regionale del Veneto, già vicesindacodi Venezia, minacciato di morte per aver combat-tuto la mafia locale. Potremmo aggiungere: inse-gnare Ambrosoli, insegnare Falcone e Borsellino,ossia tutti quegli eroi civili che il nostro Paese con-tinua a produrre, a uccidere ma anche a venerare,nonostante le incoerenze e le sordità diffuse, comeicone da cui ricavare forza e speranza; e da mostra-re a coloro che li hanno uccisi, perché capiscanoche li hanno tolti dalla vita fisica, non dalla lorocoscienza e dalla coscienza della gente che vorreb-bero terrorizzare e dominare.

L’“adozione” dell’ItaliaSe qualcuno si ritrae nel suo privato, chiudendo lepersiane e fingendo di non vedere il male che cicirconda, qualche altro apre le finestre e si occupadei “fatti comuni”. Pensiamo alla adozioni, for-mule gentili con cui molte scuole hanno preso adinteressarsi e a prendersi cura di persone e di cose.

La scuola per rispettare gli altri, Francesca Magno, III C. Scuola Secondaria di I grado “Aldo Moro”, Policoro (Matera)

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L’adozione implica una scelta di qualcuno o ver-so qualcuno, come suggerisce l’etimologia dell’ adoptare: questa scelta può essere debole, come quan-do si adotta un libro di testo, per tenerlo come cosapropria, o forte, come quando si adotta un bambi-no per tenerlo come figlio, per inserirlo in una re-lazione di paternità/maternità/figliolanza. A manoa mano che le relazioni sociali, i rapporti di appar-tenenza, i legami familiari si allentano, per lo svi-luppo di uno spirito individualistico-consumistico,si notano da un lato l’impoverimento della qualitàdella vita, dall’altro il degradarsi di persone e cose.Di qui la necessità di attirare entro l’orbita degliaffetti e degli interessi fondamentali della propriavita persone o cose con le quali intrattenere rap-porti di elevata qualità affettiva, d’interesse e di cura.Le città cercano di “gemellarsi”, tentando di lavora-re sul codice fraterno, che però appare più debole eprecario di quello paterno/materno.

Fiorisce così l’adozione a distanza di bambiniabbandonati, ma fiorisce anche, da parte di bam-bini e ragazzi di diverse scuole, l’adozione di “non-ni”, che si vogliono sottrarre alla malinconia e allasolitudine, di animali in pericolo di vita, di alberie monumenti abbandonati all’incuria, e addirit-tura delle città, come suggerisce Legambiente airagazzi delle scuole elementari e medie.

È questo un modo per combattere la disaf-fezione, la solitudine, il degrado: è un modo perscoprire la formidabile energia della cura parenta-le, che protegge e alimenta chi si trova in più omeno gravi difficoltà, come i bambini quandoperdono i genitori.

Si riscopre, per questa via, la Terra, come ilbiblico giardino da custodire e da coltivare e l’al-tro come membro di una famiglia con cui averparte, da figli o da genitori. Ciò vale per le perso-ne, per i beni naturali e ambientali, per le istitu-zioni. Se si tratta di sviluppare quel senso di ap-partenenza che si va pericolosamente smarrendo,altrettanto importante è sviluppare quel sentimen-to di cura, di protezione, di adozione filiale chepuò consentire a tutti di vedere gli altri, le cose ele istituzioni con occhi paterni e materni.

Ecco allora, per estensione analogica di questafondamentale categoria affettiva, la proposta diadottare l’Italia, che rivolgiamo a tutti coloro cheda un lato riescono a riconoscersi figli di questaterra, della sua storia e della sua gente, dall’altro lavedono impoverita e imbruttita da troppi com-

portamenti di rapina e di abbandono e vorrebbe-ro fare qualcosa per sottrarla al peggio.

La proposta di adottare l’Italia significa cercaredi mettere il nostro Paese e la nostra Repubblica,fatta di persone e di istituzioni, di beni naturali,culturali e spirituali, nel circuito dei nostri affetti,nel mezzo dei nostri pensieri, nel novero dei no-stri impegni di vita e di lavoro.

Se si scopre che il nostro paese è afflitto daldegrado ambientale, da quello morale e da quelloeconomico, usare per lui la metafora dell’adozio-ne, da parte di chi dispone di qualche ricchezza diaffetti, di cultura, di tempo e di volontà di parte-cipazione, significa impegnarsi a procurargli unpo’ di questi beni, per metterlo in condizioni mi-gliori da tutti i punti di vista.

L’inquinamento e il degrado ambientale, ladelinquenza, la disoccupazione, la droga sono al-cuni dei mali che deturpano visibilmente il voltodella nostro Paese e dei nostri figli: la disaffezione,dispongono perciò di un forte impatto emotivo ehanno già mobilitato validissime energie sul pia-no dell’impegno istituzionale e volontario.

La critica acida e indiscriminata di chi vede soloi mali della convivenza nazionale e non anche ibeni, deve provocare un impegno straordinario diriflessione, per mettere in luce le ragioni religiose,morali, culturali e politiche che giustificano lavalorizzazione dell’unità del nostro Paese, nell’im-pegno a dilatare coscienza e relazioni sociali epolitiche, non a immiserirle nella ricerca di vieseparate al proprio illusorio benessere.

È a quest’ordine di pensieri che pensiamo allaintroduzione della materia Cittadinanza e Costi-tuzione nella nostra scuola. Il decreto legge non èforse lo strumento più convincente per far com-piere questa conquista storica al nostro ordinamen-to scolastico. Resta il fatto che dai sondaggi fattida due istituti di ricerca, quello diretto da Man-nheimer e quello diretto da Pagnoncelli, risultache gli italiani esprimono un alto consenso a que-sta introduzione, nella misura dell’89%.

Che non bastino una norma, una materia, unvoto, un esame per fare un deciso passo avanti allacoscienza civile, è di comune evidenza. Si può peròconsiderare la norma introdotta dal decreto tra-sformato in legge come quel grido ritmato chegettano insieme gli operai per incitarsi a vicenda aprodurre insieme lo sforzo che serve a vincerel’inerzia e la sfiducia nelle proprie forze.

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sercitare il diritto-dovere di educare è di-venuto oggi sempre più complesso per iprofondi cambiamenti che stanno inve-stendo l’intero sistema formativo. Con-

cepire l’educazione come un bene comune cheriguarda simultaneamente famiglia e scuola si èfatto più urgente che in passato.

Questa emergenza educativa assume caratteriparticolarmente rilevanti nell’adolescenza, quan-do i comportamenti dei ragazzi sembrano a volteincomprensibili. “Non lo riconosco più!” affer-mano allarmati i genitori che, di fronte a questicambiamenti, si sentono impreparati o inadeguatio addirittura colpevoli (“dove sto sbagliando?”).Gli atteggiamenti dei ragazzi diventano più tra-sgressivi e, attraverso l’abbigliamento, il taglio deicapelli, il piercing, i tatuaggi ed altri dati esteriori,essi rimarcano le loro differenze dagli adulti. Que-sti modi di proporsi accrescono le difficoltà dimantenere un canale comunicativo intergenera-zionale. Nei genitori è frequente un tono di passi-va rassegnazione (“passerà”) o di benevola ironia(“ci siamo passati tutti”). Di fronte a ostentate di-chiarazioni di autonomia e indipendenza (che inrealtà nascondono fragilità e bisogno di essere an-cora guidati e accompagnati), occorre che genito-ri e insegnanti riescano a trovare un linguaggio eun orientamento comuni per continuare a comu-nicare con i ragazzi.

È molto importante che gli adulti si sforzinodi essere meno distratti e permissivi e di proporsicome “guide” autorevoli e affettuose. La strutturadestabilizzata della famiglia di oggi, diminuendole attenzioni e gli atteggiamenti di cura e control-lo nei confronti dei figli, li rende di fatto più vul-nerabili rispetto a varie forme di comportamenti“a rischio” tipici dell’adolescenza. La famiglia deverimanere il riferimento educativo, anche nelle suemutate condizioni, e non deve venir meno il so-stegno di un adulto forte che sia in grado di affian-

Analfabetismo sentimentaleed educazione del cuore

VANNA IORIOrdinario di Pedagogia

Università Cattolica Milano - Piacenza

care i ragazzi in questo particolare momento dellaloro crescita.

Nei forti cambiamenti biologici ed emotivi gliadolescenti e i giovani vivono travolgenti altaleneemozionali, legate certamente alla crescita ed alprocesso di transizione verso un’età adulta daicontorni ancora indefiniti. Una questione di gran-de rilevanza riguarda perciò la vita emotiva, unterreno sul quale gli adulti stessi sono spessoimpreparati a legittimare emozioni e sentimentiche, anche quando sono negativi (rabbia, invidia,paura), devono essere riconosciuti e nominati, perevitare un loro uso distorto e dannoso per i ragaz-zi stessi. Fenomeni in preoccupante aumento, qualiil bullismo o l’uso di sostanze (ma anche l’indiffe-renza verso l’ambiente, verso la politica, versol’umanità sofferente, verso la vita dei sentimenti)sono il risultato di un modello (dis)educativo fon-dato sull’assenza di norme, su una pretesa libertàdi comportamenti che insinua nei giovani l’ideache tutto possa essere lecito.

L’educazione della vita affettiva

Educare i sentimenti significa innanzitutto essereposti nelle condizioni di saper ascoltare, ricono-scere, esprimere la vita emotiva. E soprattuttoimplica la possibilità di assumere la responsabilitàdelle scelte che si compiono in conseguenza di ciòche si prova. Il vero nodo non è quello di provareun sentimento, ma quello di riuscire ad ascoltar-lo, di riconoscerlo, di viverlo, di cercare di sco-prirne il senso e di scegliere il comportamento con-seguente. L’educazione sentimentale è indispen-sabile per diventare più consapevoli di sé, per ri-servare un ruolo significativo ai sentimenti nellapropria esistenza. Non si tratta quindi di “aboli-re” le pulsioni, ma di assumere la responsabilitàdella scelta conseguente.

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L’educazione dei sentimenti nasce primaria-mente dalla capacità di coltivare la propria inte-riorità, di prendersi cura della propria anima, dicoltivare l’educazione morale. Oggi si tende a tra-scurare questa componente decisiva dell’esistenzaumana: la vita emotiva. La società attuale attribu-isce a determinate situazioni il ruolo di “luoghideputati” per emozioni collettive e condivise. Sipensi alle suggestioni che si consumano negli sta-di, nei concerti rock, nelle discoteche, nei video-giochi, nel gioco d’azzardo, nelle Chat, nei luoghidove si contagiano pubblicamente emozioni, piùo meno artificialmente procurate, anche con l’usodi sostanze euforizzanti, dell’alcool, dello “sbal-lo”, dell’adrenalina a tutti i costi.

Né si può ignorare il ruolo artificioso di “pale-stra delle emozioni” costituito dai cosiddetti realityshow; dalla fiction, dalla spettacolarizzazione deisentimenti che risponde alla domanda di misurar-si con la vita emotiva in modo “protetto”, a casapropria, attraverso un coinvolgimento fatuo chepuò essere interrotto spegnendo il telecomando.

I giovani si trovano quindi fortemente disorien-tati tra messaggi contrastanti da parte della socie-tà che, da un lato, sembra incentivare la ragione, ildistacco, il controllo, e persino l’indifferenza o ladurezza di cuore davanti alle sofferenze altrui, dal-l’altro propone un vero e proprio “culto delle emo-zioni”, nonostante la radicata contrapposizione tra

“cuore” e “mente” abbiamostrato da tempo la suainsostenibilità ed espri-ma l’esigenza di una nuo-va antropologia nonrazionalista.

Il preoccupante anal-fabetismo sentimentalediffuso si accompagna alforte credito assegnatoalla ragion tecnica, allaproduttività, all’efficien-za. La scuola assegna unindiscusso primato allecompetenze scientifiche,ignorando le competen-ze emotive. Ciò che“non serve” è ritenutoinutile ed estromesso daiprogetti formativi. Leemozioni sono addirittu-ra ritenute un’interferen-za negativa nei processidi apprendimento che,

secondo Piaget, vedono il loro apice nel pensieroastratto-formale e logico-deduttivo.

Ma anche nella famiglia la vita emotiva è con-siderata meno importante della vita razionale.Nell’antinomia cuore-cervello si tende a conferi-re un indiscusso primato alle attività della mentecon un conseguente screditamento del versanteemotivo della formazione. I genitori stessi sonomolto più attenti e preoccupati dei successi scola-stici dei figli e della loro intelligenza che della lorocrescita emotiva. La sopravvalutazione della di-mensione intellettiva induce a trascurare di inse-gnare ai figli l’importanza dell’ascolto, del dialo-go con se stessi, di capire cosa stanno provando.

L’intelligenza del cuore

L’obiettivo di diventare sensibili, che può appari-re inattuale per i giovani, si esprime nel cercare undifficile equilibrio tra la morbosa avidità di sensa-zioni forti e la chiusura che estromette la vitaemotiva in nome di una razionalità onnicompren-siva. Come scrive Roberta De Monticelli, il senti-re è onnipresente e non è “opaco” e “irrazionale”,ma è apertura alla verità, ai valori, alle risposteetiche, al volere. Per questo nella complessità del-la vita affettiva riveste un ruolo prioritario l’edu-cazione del sentire. L’esercizio del sentire è “il cuo-

Non è un film … è proprio la realtà, Rosanna Cappiello, III C. Istituto Comprensivo “Piero Berardi”. Melfi(Potenza)

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Educazione e bullismo:governo di sé e maturità umana

ANGELA CHIONNAOrdinario di Pedagogia

Università di Bari

l problema del bullismo, più spesso tratta-to nelle implicazioni di maggiore analisi ediscernimento sociale e/o psicologico, ren-de attuale la riflessione pedagogica sui di-

namismi educativi che accompagnano e caratteriz-zano l’interiore processo di miglioramento, per-fezionamento, arricchimento delle capacità per-sonali, della partecipazione alla vita comunitariae dell’interazione con la realtà storica in cui si tro-va a vivere.

Anche riguardo alle complesse questioni cuirimanda la diffusa presenza di comportamentisocialmente disturbati, sono basilari le indicazio-ni di un processo integrato di maturità globale, strut-turato e articolato nelle differenziate forme dimaturità morale, etica e sociale e culturale, pro-gressivamente sostenute dalla capacità di relazio-nare il sistema di valori personali e culturali con ifini delle attività e degli impegni, di adeguare l’agirea tali fini e con la responsabilità inerente all’agirestesso. Vi è un processo educativo globale che inogni situazione di vita, anche nelle situazioni dimaggiore disagio personale e sociale, si dispieganel tempo, agisce su piani articolati e diversi, in-terpretati nelle molte dimensioni dell’esistenza edella coesistenza, e vi è una consapevolezza dellacapacità di governare se stesso che è traguardoformativo obbligato, strutturato in relazione allediverse esperienze di maturità responsabile in cuiciascuno si fa “maestro” di se stesso fissando obiet-tivi, decidendo ritmi e mezzi da usare nella rela-zione critica e selettiva con le risorse e gli stru-menti, nella crescente capacità di mettere in rela-zione la responsabilità con la via quotidiana.

È perciò corretto dire che riguardo il difficileproblema del bullismo occorre ricentrare l’atten-zione su azioni educative caratterizzate come ap-prendimento del difficile “mestiere d’essere uo-

re stesso della formazione”. Se ci si attiene al valo-re del sentire sarà possibile gettare un nuovo sguar-do sul mondo emotivo che spalanca inesploratipercorsi pedagogici.

È opportuno segnalare che lo sviluppo delleneuroscienze ripropone oggi l’importanza di unapresenza delle emozioni nelle dimensioni norma-li della vita psichica, mostrando che separare mentee sentimenti, coscienza ed emozioni, è impossibi-le. Antonio Damasio in L’errore di Cartesio, 2002,afferma che “la capacità di esprimere e di sentiredelle emozioni è indispensabile per attuare deicomportamenti razionali”.

Come aiutare i ragazzi disorientati e bersagliatida messaggi contradditori a perseguire un’educa-zione del cuore? a cogliere il caleidoscopio dei sen-timenti autentici che colorano l’esistenza e dannosapore alla vita? Il rischio è quello di una genera-zione sovrastimolata da un eccesso di provocazio-ni emotive, generatrice di confusione interiore.Cogliere le sfumature delle emozioni significa pre-disporsi ad ascoltare e ad apprendere anche queisentimenti più pacati quali la tenerezza, la nostal-gia, la compassione, l’empatia.

Per ridare dignità ai sentimenti occorre pren-dersi cura delle parole: non solo delle parole chespiegano, ma anche delle parole che parlano il lin-guaggio della condivisione e della solidarietà. Leparole sussurrate sono forse in grado di colmarequel vuoto interiore che i giovani cercano invecedi riempire tramite la ricerca di sensazioni forticontro la noia (i sassi gettati dal cavalcavia), di pa-role gridate contro l’indifferenza.

Il tema dell’ascolto e dell’ascolto del silenzio èoggi difficile per gli adolescenti che sono educatipiuttosto al non-ascolto, nel tempo della sorditàaffettiva, della diffidenza, della paura. Ascoltarecon il cuore, il cuore dell’altro, è quanto mai diffi-cile poiché il dialogo si trasforma in monologo e,in questo isolamento, si fa strada la ricerca delleemozioni del branco: ribellioni condivise di cui lemode dettano i linguaggi, gli atteggiamenti, le“posture” emotive (V. Iori, Il disagio dei genitori,2002.

La costruzione di una società che si prenda curadell’educazione come bene comune, ha bisogno,anche nelle situazioni apparentemente più rischio-se e degradate, di educatori che sappiano essere,secondo l’espressione di Etty Hillesum “cuori pen-santi”.

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scono e si strutturano culturedella soggettività, tra un indi-vidualismo, più o meno radi-cale, in cui ciascuno è solo nelconfronto con l’incerto, e unsoggettivismo indifferente alleregole, chiuso in un solipsi-smo etico, nella cura esclusivadel proprio “particolare”.

Anche per le situazioni li-mite, la visione pedagogicacontinua a sostenere che ilbullo è persona, “fonte origi-naria di decisioni fondate nel-la visione di situazioni di va-lore, capace di realizzare ancheciò che essa stessa ha deciso”.Come ben ha detto Ricoeur,la sintesi e il radicamento del-l’intera presenza della perso-na a sé e agli altri è nella re-sponsabilità delle decisioni,

nell’obbligo di “fare” qualcosa, nell’intenzione diprodurre efficaci cambiamenti nel corso delle cose,nella consapevolezza della continua dialettica fraciò che di sé permane e ciò che attacca e minaccial’identità personale e sociale. Essere responsabile edavere responsabilità sono le condizioni di attuazio-ne del rapporto che ciascun bullo ha con se stessoe con gli altri: un rapporto necessariamente fattodi decisioni fra più possibilità compresenti, di scel-te, di azioni conseguenti che acquistano senso esignificato proprio in relazione a continue e suc-cessive interpretazioni e valutazioni. Di qui il ri-ferimento pedagogico ad un soggetto che vive lasua identità storicamente: “è in quanto diviene”,non per necessità, ma nella possibilità di realizza-re tutto ciò che può essere secondo scelta e liber-tà; costruisce il suo esserci, si fa e si realizza, inuna progettualità che è continua tensione verso ilpieno significato della singola esistenza.

2. Il “governo di sé” e la capacità di agire

L’analisi appena condotta, sia pure nella sua bre-vità, apre alla rinnovata attenzione educativa ver-so la promozione della capacità di decisioni auto-nome e consapevoli, per un’educazione in grado dicomporre l’esercizio della “professione umana”attraverso l’apprendimento della libertà, il rico-noscimento del farsi personale nei fatti, nelle si-tuazioni, nelle proiezioni valoriali dell’agire.

mo”: un apprendistato ad essere umani, sottol’aspetto personale e comunitario; un esercizio dimaturità riferita non solo agli aspetti istruttivi o aquelli della formazione, ma alla totalità della vitapersonale e all’insieme della vita sociale, con lesue istanze storiche di liberazione e promozioneintegrale.

1. Una necessaria analisi storico-culturale

Non vi è dubbio che i comportamenti di disagioabbiamo come riferimento il venir meno degliorizzonti morali, in un tempo staccato dalla con-tinuità con il passato, privo di un sistema di aspet-tative per il futuro, in una discontinuità che ob-bliga a riformulare in maniera incessante ogni ri-ferimento ai significati del vivere. Non diversamen-te incidono le molte norme che intessono la so-cietà, i segnali contraddittori in cui ciascuno è chia-mato a scegliere possibilità divergenti, il caratterefortemente differenziato del modo di pensare e distrutturazione delle convinzioni, in un presentesguarnito di credenze e valori in cui subentranoatteggiamenti pragmatici: una vita senza modellie progetti, vissuta per “meccanica implicazione”;ragazzi protagonisti passivi di quanto va cambian-do, di fuori e oltre l’impegno personale e socialenella quale l’esperienza personale e sociale sidestoricizza, con un basso e incerto orizzonte diattese, in situazioni più subite che orientate. Cre-

Chi rispetta la scuola, rispetta se stesso, Lucia Perrone, II C. Istituto Secondario di I grado “G. Leopar-di”. Potenza

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Tali indicazioni, sviluppate nella necessariacoerenza cui rimanda il nesso governo di sé/perso-na/educazione, danno valore a specifiche dimen-sioni educative, quali l’estensività della capacità digovernarsi, la qualità e le condizioni di esercizio del-l’agire consapevole e responsabile, operando strate-gicamente una distinzione fra un’abilità di auto-governo estesa ad ogni aspetto della vita e un go-verno di sé esercitato nella scelta di azioni coeren-ti con un ordine etico-morale.

Il “governo di sé”, inteso come specificazionepratica dell’autonomia, è “sovranità” di sé a se stes-si, capacità di agire secondo quanto è “buono” persé e per gli altri, facendosi sensibili a ciò che èbene e ciò che è male, ricercando ciò che convie-ne e ciò che sia giusto evitare. Prendere possessodi se stessi significa guadagnare la singolarissimaabilità di imporre direzioni all’agire, di valutare lestesse direzioni in maniera forte; è saper risponde-re della propria persona, saper scegliere, sapersidare delle regole per conoscere e per agire, esserecapaci di avere responsabilità delle proprie azioni.La descrizione di se stessi è inseparabile dalla ca-pacità e volontà di decidere in uno spazio di que-stioni, in un confronto continuo fra ciò che è buo-no, è giusto, è realmente degno di essere fatto.

Il dibattito contemporaneo, che elabora distin-zioni fra modalità di auto-governo relative ad ogniespressione di vita del soggetto e questioni del go-verno di sé legate all’obbligo morale, concentral’attenzione ora sulla più ampia considerazione“globale” di una personalità capace di auto-rego-

lamentarsi attraverso il dominio di sé, della propriavolontà, dei desideri e dei progetti, ora sulla conce-zione “qualitativa” dell’agire e perciò stesso sull’im-prescindibile interpretazione non neutrale dell’azio-ne e delle esperienze. Tali orientamenti, diversi nellafilosofia di fondo su cui si costruiscono, implicita-mente condividono il carattere intersoggettivo del-l’agire, per una nozione “sociale” del governo di sésviluppata nelle connessioni costitutive fra agire con-sapevole e relazioni sociali e, quindi, nelle implica-zioni di un sé capace di autocontrollo in ogni for-ma di vita di appartenenza.

In questa direzione, il governo di sé si leggecome un comportamento rappresentativo del sog-getto che accompagna il progressivo strutturarsidi molte dimensioni del sé, quali l’autocontrollo,la capacità di deliberazione e scelte razionali, l’in-teriorizzazione delle norme della realtà di vita, laricerca di autenticità. In termini di pratica edu-cativa, assumono rilevanza le dinamiche di svilup-po e le relative procedure che accompagnano ildominio di sé e consolidano l’io governante, ren-dendo stabile la funzione di utile sintesi delle di-verse dimensioni dell’io, riconciliazione e gover-no dei comportamenti, organizzazione dei pro-cessi di introiezione delle norme esterne, di iden-tificazione con le stesse norme. Le dimensioni, lestrutture che lo compongono sono il risultato didiversi processi psicologici, intrapersonali,interpersonali dinamicamente strutturati nella co-noscenza di se stessi, nella consapevolezza dellescelte, nel discernimento e perseguimento di un

compito, nell’attribuzione e/o ristrutturazione dei significa-ti dell’esperienza, verso le fun-zioni più alte del poter essere,nel tirocinio della libertà,nell’incentivazione della re-sponsabilità, nell’opzione peril valore dell’autenticità.

3. L’autorità del governo di sé

Il governo di sé ha una sua au-torità, si impone a chi lo eser-cita con una necessità cui nonè possibile sottrarsi e con unruolo speciale che fa da guidanelle scelte, interviene nelle va-lutazioni delle proprie e altruiazioni. Domandarsi se e comela regolazione di desideri, sen-L’indifferenza fa male, Carlotta Lapolla, II B. Istituto Secondario di I grado “F. Torraca”. Potenza

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timenti, affezioni, la fedeltà a regole e principicostituenti lo spazio morale della propria interio-rità abbiano autorità su di noi non è come chie-dersi se e perché conviene essere dentro ad unmodello di regolazione del proprio crescere: ildominio di sé non deriva la propria autorità e giu-stificazione dall’interesse, da ciò che conviene; sipropone come necessario e incondizionato, vin-cola quasi fosse un obbligo morale, un compitodella dignità propria e altrui. È così che l’uomodiventa autore di se stesso, si interroga, delibera perunificare la propria volontà, prova soddisfazionedi sé, approva i propri progetti. Come Frankfurtsottolinea, i fenomeni di frammentazione del vo-lere sono accompagnati da un dissidio interiore,da una volontà divisa che costringe a combatterecontro se stessi entro una perplessità morale nellaquale si rinuncia al ruolo attivo d’essere padronidi sé.

Raggiungere il dominio di sé, avere competen-za della propria potenza non è qualcosa di datooriginariamente, una dote naturale; al contrario,si diventa capaci di governo di sé, e quindi di indi-pendenza, per apprendimento. Questa è la ragio-ne per cui educare il governo di sé, al governo di sésono scelte di forte qualità pedagogica dell’interoprocesso educativo, contenuti di tutte le età e deivari soggetti istituzionali, confluenza di vari itine-rari formativi, direzione di qualità delle prassieducative che guardano alla prospettiva di un uomodisposto a vivere con responsabilità tra esigenzeempiriche del mondo e interrogativi sul valore delproprio agire.

Il primo riferimento progettuale va alla libertà,carattere dell’esistenza personale, aspetto fonda-mentale della decisione, possibilità di valutazionedelle scelte, premessa e condizione di responsabili-tà che nel dinamismo del suo esercizio si esprimecome potere di discriminazione, capacità di ini-zio, autopossesso del proprio agire, modalità del-l’identità soggettiva nella sua distinzione dall’al-terità. Nell’autonomia di scelte e decisioni, la li-bertà è il potere che autodetermina, guida la vo-lontà, risponde del valore delle scelte, si pone al-l’origine dell’esperienza di autosufficienza, espri-mendo contemporaneamente limiti e possibilità:il soggetto libero vive il suo cammino di maturitàimparando a non giustificare qualunque contenu-to di scelta, a confrontarsi con i vincoli esterni, a

spendersi per sintesi nuove e superiori. La libertànon finalizzata, totalmente libera da condizionistoriche e valutazioni del bene necessario contrad-dice se stessa e inibisce ogni opzione per la respon-sabilità: la libertà come potere non educato è “an-che il crinale del suo abisso”, dentro all’accaderestorico fra condizionamenti e possibilità, nelladifficoltà di riconoscere e gestire vincoli e compo-sizione con la necessità.

Un secondo riferimento progettuale riguardal’attenzione alla dinamica maturativa della coscien-za, centro di percezione del mondo, di elabora-zione di tutti i messaggi interni ed esterni, di deci-sione e di avvio di tutti i comportamenti attraver-so i quali ognuno costruisce la propria identità.La coscienza si attua continuamente nella libertàdecisionale, chiama a realizzarsi attraverso sceltee decisioni: la sua funzione interessa tutta l’esi-stenza e, in quanto dominio dei contenuti psichici(pensieri, sentimenti, emozioni, …) non è mai pas-siva, è attiva, dinamica, elabora i dati dell’esperien-za, orienta nelle possibilità di esistenza.

Un ulteriore riferimento progettuale riguardale virtù, disposizioni stabili di chi mostra d’esserecompletamente presente in quello che fa, di chistabilmente impara a ricondurre gli aspetti dellapropria persona a convivere il più possibile in ar-monia. Da Aristotele abbiamo imparato che levirtù entrano a pieno titolo nel processo decisio-nale del singolo, appartengono all’uomo che, inaccordo con se stesso, non reagisce d’impulso al-l’accaduto, orienta il suo mondo emotivo verso laragione. Non sono abitudini automatiche, spon-taneità irriflessa, semplici abilità ma atteggiamen-ti interiorizzati ad agire, a sentire in un determi-nato modo: non si acquisiscono immediatamen-te, sotto la spinta di un dovere urgente, implicanoun lungo e continuo esercizio, si perfezionanonella capacità di avere pieno possesso di sé e deldesiderio di autorealizzarsi. Di qui il recupero del-l’educazione alla virtù, in un itinerario di responsa-bilizzazione di sé e per gli altri, ove l’intenzionalitàbuona si coniuga con il mondo dei valori e si aprecreativamente alla complessità dei vissuti: averepieno possesso di sé è anche formarsi come uomovirtuoso, capace di orientarsi positivamente e inmodo autonomo verso il bene, capace di farsi esem-pio ad agir bene, rendendo trasparente lo stile divita da seguire.

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impiego corrente del termine “bullismo” ètanto plurivoco da suonare spesso generico,troppo spesso. Vi si ascrivono accezioni chevanno dalle varie forme di molestie, verba-

li, fisiche psichiche e fini sessuali, alla formazionedi bande che confliggono con le norme dell’am-biente nel quale si formano – e qui ci interessa ilcaso particolare della scuola – agli eccessi per man-canza di autocontrollo che possono sfociare in attimateriali di violenza più o meno accentuata e piùo meno simbolica, a tanti altri fenomeni ancorache l’esperienza dei nostri lettori saprà certamen-te portare, e all’interno dei quali basta un invitoper operare quel sano discernimento che in edu-cazione è una norma inderogabile.

La stessa origine del termine, la quale pure do-vrebbe essere chiara, finisce per perdersi in neb-bie proiettate dall’attuale. In inglese il termine sirende con Bullying, che è participio presente ocomponente del presente continuo del verbo tobull il quale a sua volta rimanda al toro. Prescin-dendo da un altro versante di accezioni che riguar-da l’operare in borsa, il discorso a questo puntosembrerebbe chiarissimo e anche fondamental-mente univoco: il toro in quanto tale non è ani-male da branco, e certamente animale non adde-strabile né addomesticabile che va controllato construmenti coercitivi pesanti, ma che d’altra partesi distingue dagli altri componenti la stessa comu-nità per aver conservato unico tra tutti la sua ma-scolinità in tutti i sensi, con una leggibile contrap-posizione rispetto a quegli esempi di disciplina,pazienza, applicazione, capacità di lavoro e di sop-portazione e addestrabilità che sono i buoi, eviratiprima della pubertà, e che in questi sensi vengo-no spesso presi anche come metafora.

Invece, il termine “bullo” c’entra poco o nulla,anche se molte accezioni rimandano ad esso. Evi-dentemente ci si dimentica di quando il termineapparve in Italia nel secondo dopoguerra, con unamericanismo grottesco che Alberto Sordi seppe

mettere nel giusto ridicolo, ma nel quale alle Dollso pupe o bambole corrispondevano quelli che noichiamavamo bulli, ma i cineasti americani chiama-vano Guys.

Nomina sunt consequentia rerum è norma giu-ridica ma non è mai stata né può essere normapedagogica, lo sappiamo. Sappiamo anche benequanto l’equivoco terminologico venga impiega-to per ingarbugliare i problemi anziché darsi lapena di tentare di risolverli, e non solo a scuolaod in educazione. Proprio in questo caso la con-fusione che si manifesta nell’uso plurivoco del ter-mine impedisce di porre correttamente il proble-ma e, di conseguenza, di studiare possibili solu-zioni. Un conto è, infatti, che si abbia a che farecon un fenomeno che riguarda una persona sin-gola la quale manifesti comportamenti asociali,incivili ed anche violenti in contrapposizione atutti gli altri, considerati e forse anche etichettaticome “buoi”, il che sarebbe coerente con l’etimoautentico del termine. Tutto un altro discorso vafatto se parliamo invece di fenomeni di branconei quali si può anche individuare un capobranco,ma tutti i componenti si identificano in un com-portamento analogamente asociale, incivile edanche violento che trova senso solo nel contestodel branco stesso e nell’appartenenza ad esso e nonavrebbe alcun senso a livello individuale. E non èneppure detto che con questo abbiamo esaurito imodi possibili di porre il problema del bullismocon riferimento alla scuola; un primo passo staproprio nel rimarcare la necessità, imprescindibi-le, di chiarezza preventiva.

Quello che poi si può fare, anche nei limiti diuna nota, è individuare non tanto un nucleo pro-blematico comune, quanto un complesso di mi-sure necessarie comuni atte a prevenire e a repri-mere tutti questi complessi di fenomeni ed altriancora nel loro carattere antisociale. Un discorsosul nucleo problematico ci porterebbe molto lon-tano, in una critica ad una società che da decenni

L’

Contro il bullismo per la socialità

FRANCO BLEZZAOrdinario di Pedagogia

Università di Chieti

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si è scrollata di dosso le regole dello spirito bor-ghese otto-novecentesco, figlio delle rivoluzioniborghesi di fine ’700, in particolare della rivolu-zione industriale, ma che a quell’apparato norma-tivo che pure era ormai decrepito e non più fun-zionale non ha saputo sostituire alcunché di ade-guato alle necessità sociali di oggi come di sem-pre. Si capisce, allora, che il nostro obiettivo su-bordinato, di individuare le misure necessarie, hain sé implicito anche lo svolgimento del tema prin-cipale: si tratta infatti proprio di parlare di regole,di regole comuni e di comune ottemperanza, sen-za delle quali non si dà vita sociale, come dovreb-be essere ben noto e sempre chiaro a tutti.

Da che parte stai? Una domanda la risposta allaquale non è banale.

Parliamo di scuola come esempio-guida, ma ildiscorso si potrebbe riproporre tale e quale peraltre occasioni sociali ed educative. Semmai, no-tiamo come a scuola abbia maggiore incidenza ladimensione deontologica rispetto ad altre occasionisociali di elezione e di frequentazione sostanzial-mente libere.

Il pregiudizio dal quale è necessario liberarsi,nell’esperienza di chi scrive, consiste nel propor-re a scuola schemi classistici che non hanno piùsenso neppure dove sono nati e si sono sviluppati,cioè nell’economia, nel mondo del lavoro, nellapolitica in senso stretto. Si tratta del pregiudizioche vorrebbe il corpo discente da una parte, comeuna sorta di classe sociale subordinata, come unmetaforico proletariato che va a scuola come allavoro, e dall’altra il corpo docente e le istanzesuperiori della scuola come una replicazione delcapitalismo che sfrutta ed opprime i lavoratori-proletari-discenti per fini propri, per realizzare unprofitto che poi rimarrebbe a propria disposizio-ne della stessa classe capitalistica-docente.

Solo ad esplicitare la metafora ne appare il ca-rattere irrealistico e sin grottesco. Se si possono, emagari si debbono, individuare due fronti contrap-posti, questi vedono correttamente da una parte isoggetti in età di sviluppo o che comunque deb-bono conquistare un complesso di attitudini, stru-menti, competenze, conoscenze e quant’altrod’analogo che allo stato non sono ancora a lorodisposizione; e, dall’altra, la società latrice di cul-tura, regole, conoscenze, competenze e quant’al-tro la caratterizzi come obiettivo in senso genera-le ed anche dinamico sul quale regolare la propriaeducazione.

A questo punto, appare chiaro che gli insegnanti

in quanto tali possono anche rappresentare percerti aspetti la società, e la rappresentano senz’altroper quanto di deontologico essa investa nella scuolae nelle generazioni in avvicendamento, non fos-s’altro. Ma rispetto a quello che chiameremmo“l’altro versante” l’insegnante, come singolo ecome collegialità, non può che essere collocato dauna parte: da quella stessa nella quale si trovano idiscenti.

Si badi bene: nessuno intende confondere idocenti con i discenti, né indulgere a quella visio-ne sbagliata e pericolosa più che non riduttiva deldocente, quando questi afferma di essere per i pro-pri allievi prima di tutto un amico e solo seconda-riamente o per nulla qualche cosa di sostanzial-mente diverso; diremmo lo stesso del genitore e diqualunque figura adulta di riferimento che abbiaun significato educativo in quanto tale, che se sidefinisce amico e compagno e non educatore, ge-nitore ed adulto sbaglia e fa mancare qualcosa disostanziale. L’insegnante non è uno dei discenti:il che non toglie che la sua funzione riguardi unaforma particolare di relazione d’aiuto nei confrontidei discenti stessi, i quali mirano a conseguire, operlomeno a perseguire, i risultati che la societàpone di fronte ad essi, che sono gli stessi degli in-segnanti.

Torniamo quindi alla domanda di partenza: dache parte stai, da quella dei tuoi compagni o daquella degli insegnanti? La domanda è perfetta-mente sinnlos o priva di senso, in quanto si riferi-sce ad un’alternativa all’interno della stessa iden-tica parte. Come dire: stai di qua, o di qua? Di làdovresti cercare di arrivare.

Il fraintendimento o l’inganno alla base del pro-blema.

Quale che sia, a questo punto, l’accezione nel-la quale si prenda il termine “bullismo”, e più omeno propria che essa sia, non è difficile cogliervialla base proprio un’idea priva di senso: quella se-condo la quale i discenti costituiscano una “clas-se”, socialmente antagonista ad una classe padro-nale e capitalistica che con qualche fraintendimen-to e molta colpevole ignoranza viene identificatanella categoria dei docenti, più o meno allargataai DS e ad altre istanze scolastiche.

In qualche caso, si può anche trattare di un in-ganno, più o meno deliberato, da parte del bulloche richiama a sé omertà e impunità: ipotizziamoanche un comportamento deliberato, in conside-razione della grossolanità e della incultura di que-sto costrutto mentale, certamente più adatto ad

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un soggetto che la cultura e la maturità le deveancora conquistare che non ad un adulto. Il chenon toglie che simili spropositi si sentano a volteanche presso gli adulti, e perfino presso gli stessiinsegnanti, o perlomeno questa è l’esperienza pro-fessionale di chi scrive.

“Da che parte stai?”, quindi, può avere una solarisposta: dalla parte degli studenti, dall’infanziaper lo meno fino a tutta l’istruzione pre-universi-taria, dalla mia, che è la stessa degli insegnanti”,che poi significa “dalla parte di chi agisce per lacultura e la maturazione, per la società civile e laconvivenza in essa, alla socializzazione, e controtutto ciò che al perseguimento di questo possa es-sere di ostacolo.”.

Il discorso sembrerebbe semplice e fin banale.Diciamo pure che lo è. I fraintendimenti di co-modo, i nostri doveri. Allora, siamo in grado dileggere correttamente nel loro carattere anti-socia-le, anti-discente ed anche fondamentalmente ca-pita di sentire, purtroppo anche presso i genitorie gli insegnanti che una consapevolezza al riguar-do dovrebbero pur averla.

Cominciamo con il più semplice: “non fare laspia!” detto non per mettere in cattiva luce un even-tuale comportamento di un compagno bisogno-so, ma proprio e precisamente per rendere esplici-to un comportamento di un compagno contrarioalle regole delle attività scolastiche e alle regoledella società che quella scuola ha espresso. Spia?Spia è chi tradisce i propri per cooperare con ilnemico, ma in tutta evidenza non è questo il caso,a meno che non si voglia considerare l’insegnanteche suda le proverbiali sette camicie per farti ma-turare ed evolvere culturalmente e socialmentecome... il nemico! Al contrario, l’alunno che por-ta a conoscenza delle autorità scolastiche compor-tamenti comunque da bullismo, socialmente de-vianti, è un esempio da imitare e da additare inquanto tale come il cittadino che esercita il suodiritto-dovere nell’interesse di tutti.

Non c’è bullismo, comunque lo si intenda se-condo quanto abbiamo premesso, che non si co-pra di omertà e complicità deplorevoli e da repri-mersi, che non giochi sull’equivoco in tal senso.Il dovere dell’insegnante e dell’operatore scolasti-co, come quello del genitore e di qualunque altrafigura adulta di riferimento ogni volta, è in fin deiconti semplice: squarciare il velo che copre questaautentica impostura nella sua disumanità. Che poi

il bullismo si eserciti da singolo, e questo sarebbeil bullismo propriamente detto, oppure mediantela costituzione di un branco, e qui parlare di bul-lismo è un po’ improprio però è nell’uso comu-ne, cambia sostanzialmente per un suo aspetto:che nel primo caso basta fare il proprio dovere neiconfronti delle malefatte di uno, mentre nel se-condo caso possono essere implicate relazioniinterpersonali più complesse che richiedono unacerta cautela e molta umanità. Ma questo è unproblema dell’insegnante, dell’adulto: il diritto-dovere dell’allievo non cambia di un ette.

D’altra parte, quella stessa impostura compliceed omertosa copre anche fatti ben più gravi diquelli che si potrebbero chiamare o ricondurre albullismo: per esempio atti di molestia sessuale, siaetero che omo, o peggio; ovvero taglieggiamentimateriali che non sono dissimili da quelli per iquali va tristemente nota nel mondo la mafia an-che nelle sue manifestazioni diversamente etichet-tate in una pluralità di regioni d’Italia.

Eppure, capita ancora di sentire docenti cherimproverano l’allievo il quale lamenti atti chiara-mente di parassitismo, anche culturale, di qualchecompagno nei propri riguardi, o di altri. L’inse-gnante non può invece aver dubbi a proposito:deve reprimere nel modo opportuno tali atti unavolta accertati, ed elogiare chi ha dato prova diessere sulla buona strada per diventare un sogget-to sociale e un cittadino esemplare.

“Ma quello/i mi emargina/no!”. Come noncapire che emargina/no sé/loro stesso/i?

Vedete quindi qualche allievo che durante unaprova scritta non solo non dà ascolto ai compagniche gli chiedono sostituti alla necessaria prepara-zione, non prende bigliettini e perfino copre colbraccio e la spalla ciò che sta scrivendo? Comin-ciate, insegnanti e genitori, a leggere correttamen-te questo comportamento non solo nella sua eleva-tissima positività, ma proprio come un qualchecosa la cui mancanza patiamo tutti nella società enella cultura di oggi. Fate lo sforzo di rimetterviin discussione. Il bullismo si combatte anche co-minciando così.

E ricordate sempre all’allievo che si affida aibigliettini, o magari ad un abuso del cellulare conl’esterno, il sempre attuale “Non oportet studere,sed studuisse”:

Più facile: “unicuique suum”. E il proprium so-ciale e personale dello studente è studiare.

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I l coraggio di educare

SIRA SERENELLA MACCHIETTIOrdinario di Pedagogia

Università di Siena- Arezzo

ggi possiamo agevolmente constatare chetutti parlano, anche se spesso impropria-mente, di educazione e denunciano la dif-ficoltà dell’educare, lanciando frequente-

mente accuse nei confronti dei giovani e delle isti-tuzioni educative, particolarmente della famigliae della scuola. Molto raramente si fa riferimentoalla responsabilità educativa personale e comuni-taria e alle questioni di fondo e quindi al significa-to dell’educare.

Questa abbondanza di accuse e di denunce, tal-volta accompagnate da proposte generiche, nonlegittimate, non adeguate alle situazioni, in cui nonfigurano mai le parole ‘impegno’, ‘dovere’, ‘co-raggio’, ‘testimonianza’, ‘disponibilità’, ‘corre-sponsabilità’ e ‘speranza’, mettono in evidenza unascarsa fiducia nell’uomo e una scarsa attenzioneper l’uomo e per il futuro dell’umanità.

Questa mancanza di premura nei confrontidell’educazione e dell’umano è dovuta oltre che aposizioni pragmatiche legate al costume anche adalcune concezioni, che sembrano consolidate dalpunto di vista teoretico, e ad alcune antropologie‘scientifiche’ contemporanee che tendono a nega-re o a ‘ridimensionare’ le categorie di un Io ‘cen-trale’ e di una soggettività automa rispetto alle suematrici materiali le quali si rivelano insufficientia comprendere la ‘complessità dell’uomo’.

Gli educatori (e con essi i genitori) sono spessoinfluenzati da questa ‘cultura’ che i media diffon-dono quasi con accanimento, rischiando di diven-tare il megafono di queste nuove, presunte e pre-suntuose ‘verità’ sull’uomo. Inoltre sono semprepiù smarriti e sfiduciati anche a causa degli insuc-cessi ai quali vanno incontro i loro sforzi e della‘messa in discussione’ della loro autorità e delmisconoscimento della loro autorevolezza, tantoche, pur essendo premurosi nei confronti dellegiovani generazioni, finiscono con l’accettare glistereotipi ricorrenti. Di conseguenza la loro azio-ne diventa debole, incerta e provvisoria, incapace

Odi sorreggere e di orientare i bambini, i fanciulli egli adolescenti…, i quali, a loro volta, spesso nonhanno significative figure di riferimento.

Una proposta e un messaggio di speranza

Alla difficoltà ed alla necessità di educare e diricomprendere il significato e il senso dell’educa-zione fa frequentemente riferimento BenedettoXVI nei suoi discorsi e nei suoi messaggi in cuiriflette sull’emergenza educativa del nostro tem-po. In questa prospettiva si colloca la Lettera alladiocesi e alla città di Roma del 21 gennaio 2008, incui il Papa organizza e propone un pensoso e chia-ro discorso pedagogico, attento al presente, all’uo-mo, ai suoi doni e alle sue fragilità e ricco di sug-gerimenti concreti.

Il discorso del Pontefice pertanto non indulgealle accuse, alle denunce e alle condanne e si col-loca nella prospettiva della comprensione, dellacondivisione e della proposta.

La sua premura per l’educazione e la sua vo-lontà di ‘essere con’ è testimoniata anche dallostile della Lettera che inizia con queste parole: «Carifedeli di Roma, ho pensato di rivolgermi a voi…per parlarvi di un problema che voi stessi senti-te…: il problema dell’educazione». Infatti «abbia-mo tutti a cuore il bene delle persone che amia-mo, in particolare dei nostri bambini, adolescentie giovani» e non possiamo «non essere sollecitiper la formazione delle nuove generazioni, per laloro capacità di orientarsi nella vita e di discerne-re il bene dal male, per la loro salute non soltantofisica ma anche morale…». Oggi, però, come «san-no bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tut-ti coloro che hanno dirette responsabilità edu-cative, sembra diventare sempre più difficile edu-care».

A questo avvio, segue un invito implicito a nonattribuire la responsabilità della difficoltà dell’edu-

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giunge là dove siamo e così come siamo, con lenostre miserie e debolezze, per offrirci una nuovapossibilità di bene».

In un certo senso si può affermare che il Ponte-fice invita a non rinunciare alla libertà (che è undono di Dio e un attributo essenziale della perso-na) e ad impegnarsi per costruirsi come persone.

Inoltre per rendere ‘più concrete’ le sue rifles-sioni chiarisce che cosa intende per ‘autentica edu-cazione’, precisando che la vera educazione è ca-pace di aiutare ogni persona a diventare se stessaed a conquistare la vera libertà. Pertanto il Papaindica agli educatori alcune esigenze e alcune pro-spettive, in cui non può non collocarsi il loro im-pegno educativo, ed afferma che l’autentica edu-cazione ha bisogno anzitutto di quella fiducia e diquella vicinanza che sono dettate dall’amore.

Successivamente si richiama «a quella prima efondamentale esperienza dell’amore che i bambi-ni fanno, o almeno dovrebbero fare, con i lorogenitori» e scrive che «ogni vero educatore sa cheper educare deve donare qualcosa di se stesso eche soltanto così può aiutare i suoi allievi a supe-rare gli egoismi e a diventare a loro volta capaci diautentico amore».

L’amore ‘pedagogico’ infatti, secondo Benedet-to XVI, chiede agli educatori di non limitarsi asoddisfare «il grande desiderio di sapere e di capi-re», che è già presente nella prima infanzia e che ibambini esprimono nelle continue domande enella richiesta di spiegazioni, precisando che sa-rebbe «una ben povera educazione quella che silimitasse a dare delle nozioni e delle informazio-ni, ma lasciasse da parte la grande domanda ri-guardo alla verità, soprattutto a quella verità chepuò essere di guida nella vita».

E sarebbe ancora più povera un’educazione checercasse di tenere «al riparo i più giovani da ognidifficoltà ed esperienza del dolore». Questa edu-cazione rischierebbe «di far crescere, nonostantele nostre buone intenzioni, persone fragili e pocogenerose»… infatti la capacità di amare corrispon-de «alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme».

A questa riflessione, la quale vuole ricordareche la sofferenza «fa parte della verità della nostravita», seguono alcune realistiche considerazionisulla necessità di «trovare un giusto equilibrio trala libertà e la disciplina…» cioè su un classico pro-blema pedagogico ed educativo. A questo propo-sito il Papa afferma che «senza regole di compor-tamento e di vita, fatte valere giorno per giornoanche nelle piccole cose, non si forma il caratteree non si viene preparati ad affrontare le prove che

care soltanto ai giovani, agli adulti e alla fratturaintergenerazionale perché questa difficoltà è do-vuta anche ad ‘un’atmosfera diffusa’, ad una ‘men-talità’ e a «una forma di cultura che portano adubitare del valore della persona umana, del signi-ficato stesso della verità e del bene, in ultima ana-lisi della bontà della vita».

È quindi comprensibile il disorientamento de-gli adulti che rischiano di non capire quale è illoro ruolo e talvolta rinunciano a proporsi ed arealizzarsi come educatori perché forse hanno per-duto le loro certezze e il loro coraggio e, quindi, sisentono incapaci di indicare ai giovani «obiettivicredibili intorno ai quali costruire la loro vita».

Il Papa esorta a non ‘temere’, ricordando cheeducare non è stato mai facile, affermando che ledifficoltà non sono insormontabili e proponendoimplicitamente una riflessione sulla ‘natura’ diqueste difficoltà, le quali in effetti sono «piutto-sto, per così dire, il rovescio della medaglia di queldono grande e prezioso che è la nostra libertà, conla responsabilità che giustamente l’accompagna».

Si tratta di una libertà sempre nuova, che si eser-cita in situazioni sempre diverse e soprattutto neiconfronti di esseri umani, i quali, pur avendo paridignità, hanno diverse identità e quindi chiedonomodalità relazionali personalizzate e postulanol’assunzione di decisioni e di responsabilità diffe-renziate. A questo proposito opportunamente ilPapa ricorda che «nell’ambito della formazione edella crescita morale» «i più grandi valori del pas-sato» e i modelli educativi «non possono sempli-cemente essere ereditati», infatti «vanno fatti no-stri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scel-ta personale».

Però il Pontefice rileva che, anche se, «sonoscosse le fondamenta e vengono a mancare le cer-tezze essenziali», il bisogno «di quei valori torna afarsi sentire in modo impellente: così, in concre-to, aumenta … la domanda di un’educazione chesia davvero tale».

Questa educazione è richiesta dai genitori, da-gli insegnanti e dalla «società nel suo complesso,che vede messe in dubbio le basi stesse della con-vivenza…», e dagli stessi ragazzi e dai giovani «chenon vogliono essere lasciati soli di fronte alle sfi-de della vita».

Pertanto Benedetto XVI invita tutti coloro chehanno a cuore il futuro dell’umanità ad impegnarsiper soddisfare questa domanda, ricordando che«chi crede in Gesù Cristo ha … un ulteriore e …forte motivo per non avere paura: sa infatti cheDio non ci abbandona, che il suo amore ci rag-

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non manche-ranno in futu-ro».

Giova perònon dimenti-care che ‘il rap-porto educati-vo’ è anzitutto«l’incontro didue libertà» eche «l’educa-zione ben riu-scita è forma-zione al rettouso della liber-tà». Gli educa-tori sono per-tanto chiamatiad accettare ilrischio dellalibertà, senzamai rinuncia-re, però, ad essere disponibili e attenti ad aiutare igiovani senza mai assecondarli negli errori, senzafingere di non vederli…, senza condividerli e sen-za considerarli come «le nuove frontiere del pro-gresso umano».

All’educatore quindi Benedetto XVI domandail possesso di quell’autorevolezza che è frutto dicompetenza e di esperienza e che «si acquista so-prattutto con la coerenza della propria vita e conil coinvolgimento personale, espressione dell’amo-re vero».

L’educatore è quindi chiamato a proporsi cometestimone della verità e del bene, testimone forsenon perfetto ma sempre disposto a mettersi e arimettersi in sintonia con la sua missione, e a nonrinunciare mai all’esercizio della sua responsabili-tà. Il Papa chiede anche di educare alla responsabi-lità, in misura che cresce con l’età, il figlio, l’alun-no, il giovane che entra nel mondo del lavoro, af-fermando che «chi crede cerca inoltre, e anzitut-to, di rispondere a Dio che lo ha amato per pri-mo». A proposito di responsabilità è comunqueopportuno tener presente che il fatto che essa «èin primo luogo personale» non può far dimenti-care che c’è anche una responsabilità da condivi-dere «come cittadini di una stessa città e di una

nazione, co-me membridella famigliaumana», co-me “creden-ti”…, «comefigli di un uni-co Dio» ecome «mem-bri della Chie-sa». È quindiindispensabilecomprendereche la societànon è un’a-strazione eche poi, «allafine, siamonoi stessi, tut-ti insieme»,anche se ab-biamo ruoli e

responsabilità diverse. Ognuno di noi può quindioffrire un contributo per la realizzazione della veraeducazione, onorando la vocazione comunitariache è propria della persona.

A conclusione della Lettera, infine, il Papa pro-pone una riflessione sulla speranza, rilevando cheessa è insidiata da molte parti e che proprio dallamancanza di speranza nasce la difficoltà più pro-fonda per una vera opera educativa.

La speranza che il Papa propone trova il suofondamento in Dio ed è legata alla fede ma il con-fronto con questa speranza non interessa soltantogli educatori cristiani perché «l’anima dell’educa-zione come dell’intera vita può essere solo unasperanza affidabile».

Inoltre, come scrive il Pontefice, «la speranzache si rivolge a Dio non è mai speranza solo perme, è sempre anche speranza per gli altri: non ciisola, ma ci rende solidali nel bene, ci stimola adeducarci reciprocamente alla verità e all’amore…».

A questo proposito è opportuno ricordare chel’educatore autentico non spera soltanto per sé maper i suoi figli e, se è un professionista dell’educa-zione, per coloro che incontra ‘nell’esercizio del-la sua professione’…, per il loro futuro e per quel-lo dell’umanità.

Paura della violenza, Lorenzo Leone, III A. Istituto Secondario di I grado I. C. “Padre Pio da Pietrelcina”.Pisticci (Matera)

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Bullismo in ClasseRappresentazione della scuola europea e

riscatto della professione docente

SANDRA CHISTOLINIOrdinario di Pedagogia generaleUniversità degli studi “Roma Tre”

a scuola che viviamo è davanti ai nostriocchi. La guardiamo, la fotografiamo, lariproduciamo con parole ed immagini. Diessa cerchiamo di dare una bella rappresen-

tazione, ma poi improvvisamente una voce escedal gruppo e ci dice che il re è nudo.

“– Professore, lei ce l’ha Souleymane?– Sì, in terza A. Ti fa ridere?– Lo sa cos’ha fatto a Hinda?Ho fatto no aggrottando la fronte. Le sue mani

capovolte afferravano il bordo della cattedra.– Non sa niente?– Be’, no.– Le ha fatto uscire il sangue.– Apposta?– Be’ sì, ha fatto tipo una vendetta perché cre-

deva che Hinda lo prendesse in giro, e invece nonera vero.

Gli altri tardavano a sedersi, aprivano le fine-stre mostrando che c’era puzza lì dentro. Effetti-vamente Hinda non c’era. Ho alzato la voce perfarmi sentire da Sandra.

– E come ha fatto a farle uscire il sangue?– Le ha aperto qua.Un dito tra la tempia e l’occhio.– L’arcata sopracciliare?– Esatto.Lasciava qualche funzione interna in stand by

ma non vedeva l’ora di riaccenderla.– Ascolta, ho l’impressione che sia una cosa

piuttosto grave, allora non capisco perché sorridi.– Non sorrido.– Sì, sorridi.– No, non sorrido.

L– È molto divertente una bella zuffa a scuola

eh?Poggiava un piede sulla pedana poi lo riappog-

giava a terra, così continuava a scoprire e nascon-dere l’ombelico.

– Accidenti, c’era sangue dappertutto, era orri-bile da vedere.

– Ok, vai a sederti” (pp.155-156).

La narrazione del fatto specifico continua die-ci pagine più avanti.

“Per far entrare un po’ di fresco, il presideha chiesto che lasciassimo aperta la porta della salariunioni risistemata per la circostanza.

– Oggi siamo riuniti perché Souleymane è chia-mato a comparire davanti a questo consiglio disci-plinare.

Spettava solo al preside il posto di fronte a quel-lo di Souleymane, a sua volta affiancato dai duerappresentanti degli studenti, marsupio a penzo-loni.

– Vorrei insistere sul fatto che, senza voler an-ticipare niente sulla decisione che sarà presa, qual-siasi provvedimento ha un valore educativo. Se ilconsiglio disciplinare chiede oggi l’espulsione de-finitiva, è per dare a Souleymane la possibilità dirifarsi da qualche altra parte. È rendergli un servi-zio oltre che ricordargli le regole.

Siamo tornati sull’incidente. Ognuno ha dettociò che pensava. Che era inammissibile. Che eraun peccato ma era inammissibile. Il medico scola-stico ha tenuto a precisare che l’arcata è una partenotoriamente fragile e che la quantità di sanguefuoriuscita non era per forza dovuta a un colpo

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violento. Danièle ha detto tre punti di sutura co-munque. Grossa croce d’oro finto al collo,l’educatrice ha riferito che a più riprese lei avevavisto Souleymane manifestare una certa etica, unacerta correttezza.

Invitato a concludere in assenza della madre,Souleymane ha detto che non aveva niente da diresolo che non avrebbe voluto far sanguinare Hin-da. L’abbiamo pregato di uscire per farci delibera-re. Lettere rosse di Redskins che circondavano ilcopricapo di piume di un indiano sul retro delgiubbotto.

Abbiamo votato per l’espulsione definitiva”(pp. 164-165).

I due brani sopra riportati sono tratti dal librodi François Bégaudeau, La classe, Einaudi, Torino2008 (t. o.Entre le murs,G a l l i m a rd ,Paris, 2006), re-c e n t e m e n t epremiato aCannes nellatrasposizionecinematografi-ca che già sem-bra raccoglieremolti consensida parte delpubblico italia-no. Come sipuò ben com-prendere, an-che da questepoche battute,siamo in pre-senza di unnuovo rapporto sulla scuola europea scritto dal-l’interno della situazione, da un insegnante, gior-nalista e scrittore, che si guarda allo specchio eproietta in esso la vita scolastica che scorre impla-cabile davanti ai suoi occhi. Nel libro c’è espres-sionismo ed impressionismo. Velatamente com-pare una certa intenzionalità educativa che tutta-via il lettore non riesce a collocare da nessuna par-te e non riesce neanche a capire se l’educazione siconcretizza e si esaurisce nell’espulsione di chi nonrispetta le regole. Dove sta l’educazione se anche iprofessori rinunciano ad essa come processo dilunga durata ed abbracciano la tesi del rimediosanzionatorio?

Sulla copertina del libro c’è scritto “Il roman-zo che ha fatto disperare i professori e divertito

fino alle lacrime gli studenti”. Sì, in effetti nel te-sto ci sono molti brani nei quali il professore e laprofessoressa si trovano sull’orlo dell’esaurimen-to nervoso. Altro che passione per l’insegnamen-to e convinzione professionale! Mentre dall’altraparte, gli studenti, sembrano crudelmente impe-gnati a far cadere ogni buona intenzione educativadegli adulti. Sulla scena ci sono anche i genitoriche appaiono come figure di passaggio nella vitascolastica dei figli: anche loro guardano allo spec-chio un figlio, una figlia che in fondo non cono-scono né, talvolta, sembrano interessati a cono-scere.

La scuola che emerge dalla proiezione nellospecchio è un campo di battaglia nel quale i pro-fessori entrano con corazza, scudo ed arma in pu-

gno e nellaquale i ragazzi,qualche volta siricordano chequel l ’adultoforse può darloro qualcosadal punto divista umano.Tra un alterco el’altro il profes-sore riesce a farpassare una le-zione di france-se e a ricevereun poco di at-tenzione.

Dopo averletto le primepagine del li-bro, se si è un

professore si viene assaliti dallo sconforto, oltreche dalla disperazione. Se si è un ragazzo, si sentela soddisfazione di saper trattare il professore sen-za limiti nel linguaggio, nell’abbigliamento, nel-l’atteggiamento. D’altra parte un genitore forse sipotrebbe cominciare ad interrogare su quel mododi essere visto dai professori dei figli. Mentre uncittadino qualunque potrebbe addirittura chiedersise un luogo come quello descritto sia veramenteda chiamare “scuola”.

Dal punto di vista metodologico, gli scenari delpiccolo ed incisivo volume possono essere mate-ria di ampia discussione tra docenti e studenti del-la scuola secondaria e dell’università.

Viceversa, dal punto di vista pedagogico, c’è dachiedersi perché quei professori non abbiano nes-

Il rifiuto dell’altro, Alessia Alvaro, V C. Scuola Primaria 2° Circolo, Matera

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Confrontarsi con ragazzi in rete

PAOLO CALIDONIOrdinario di Pedagogia Università di Sassari

Pubblicista

Il ‘cuore’ della scuola sono i ragazzi/giova-ni che frequentandola assumono il ruolodi alunni (scolari, studenti). L’esplorazio-ne dell’immaginario scolastico dei ragazzi

è assai articolata e pressoché inesauribile perchécontinuamente evolve da una leva all’altra. Le for-me ‘tradizionali’ dell’autobiografia nella letteratura(ad esempio: E. Brizzi, Jack Frusciante è uscito dalgruppo, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2006), nel-la musica pop, nel cinema (es. l’ormai classico L’at-timo fuggente ed il recente Notte prima degli esa-mi) ne offrono versioni ‘elaborate’ e sempre unpo’ datate (e superate) già nel momento della lorodiffusione. Più ‘aggiornate’, invece, sono le rap-presentazioni dell’esperienza scolastica da partedegli studenti che si sviluppano nel ‘privato’ delleagende scolastiche e dei diari personali, nelle nar-razioni ‘epiche’ tra pari, nei ‘graffiti’ nei bagni dellescuole e – soprattutto – oggi, nei blog on-line enei siti che consentono di ‘esibire’, commentare ediscutere video e documentazioni di eventi chepunteggiano la vita scolastica, spesso riprese nellepubblicazioni di agende scolastiche che divengo-no così strumento di ‘trasmissione’ dell’esperien-za e dell’immaginario scolastico da una leva all’al-tra di studenti.

Esemplificativa ed emblematica, al riguardo, èla storia di ‘notadisciplinare’; vediamola somma-riamente. www.notadisciplinare.it è l’URL del sito‘sette in condotta’, nato qualche anno fa per ini-ziativa di John Beer, pseudonimo di maschio pa-dovano il cui profilo (v. http://www.blogger.com/profile/19391436) è tutto un programma, per pub-blicare le ‘note disciplinari’ comminate dai pro-fessori o ‘meritate (nel senso di ‘conquistate’, nellessico del sito) dagli studenti’, documentate dafoto dei testi autografi ripresi con il telefonino, ecommentarle. In pochi mesi l’iniziativa si è rive-lata un successo, un fenomeno di costume tra glistudenti, successivamente evoluta nella pubblica-

sun desiderio di mostrare un impegno che vadaoltre la lezione e la visita al museo. I diritti uma-ni, studiati nella storia e forse anche nella geogra-fia, sembrano essere quasi per nulla praticati inclasse e nella scuola. Quando qualcuno ne parla,introduce il tema su un terreno di vuotanegoziazione subito assopita dalla forza del piùforte e dalla voce del più autorevole. La voglia dinarrare dello scrittore è certamente più avvincen-te del desiderio di far comparire un credo pedago-gico che resta il problema aperto nelle nostre scuo-le. Il dibattito può allora cominciare dal guardarsiallo specchio, ed interpretare quella immagine chevediamo, per capire se la direzione nella quale stia-mo andando sia effettivamente quella che abbia-mo scelto con ragione e convinzione.

Il bullismo contro la scuola è l’aggressione ver-so una istituzione della quale si vuole far perdereil senso. L’immagine di Bégaudeau risveglia il no-stro amor proprio ed invece di farci piangere, comeprofessori, ci invita a ripensare al nostro lavoroeducativo con i ragazzi con i quali possiamo ride-re, scherzare, stare al gioco, ma ai quali vanno datidei valori importanti nei quali la scuola non hamai smesso di credere, pur nelle difficoltà che lavita quotidiana ci presenta.

Torna a questo punto la questione del rapportotra quello che crediamo sia ineliminabile nell’edu-cazione e quello che possiamo considerare margi-nale e meno rilevante. I buoni sentimenti, il com-portamento volto alla verità, la ricerca del giusto,l’apprezzamento del bello sono le luci che illumi-nano il nostro cammino umano di persone impe-gnate a realizzare un piccolo frammento ditrascendenza. Ognuno può accogliere la sfida econtinuare la strada in salita che conduce alla libe-razione della nostra più profonda umanità.

Il bullismo è la negazione della dignità umana.Sia quando esso è rivolto contro la persona, siaquando esso è rivolto contro le istituzioni, ilbullismo rappresenta una occasione di critica eripensamento del nostro essere educatori, oltre chemaestri e professori. Riprendendo il nostro po-sto, ammesso che in qualche momento esso siastato lasciato vacante, con coraggio è possibile af-fermare l’unicità e l’importanza dell’impegno cheanche il docente più sconfortato riesce alla fine arecuperare, quasi come segno e testimonianza delriscatto, socialmente atteso, della propria condi-zione professionale.

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plesse) … solleva dubbi circa la sua compatibilitàcon l’esigenza di approfondimento …i ragazzi congrande facilità, grazie ai tools multimediali delcellulare, divengono …produttori di media … incui ci si racconta in rete, ci si offre alla valutazionedegli altri visitatori, si costruiscono reti sociali …».

Le ‘note disciplinari’ (et similia) che John Beer,il suo sito, i suoi nobili editori (Rizzoli pubblicaanche opere dei Papi) ed altri mettono in circola-zione sollecitano le reazioni dei benpensanti, tra-sformano in ‘gag’ eventi di tensione relazionale eli sdrammatizzano ma anche svuotano gli strumen-ti di potere dei docenti, sono occasione di ilaritàper molti studenti ma in alcuni (pochi) casi sonoanche le prime occasioni di percorsi d’incontrocon la ‘giustizia’ (scolastica) a cui seguono sospen-sioni, voti in condotta ed altri provvedimenti di-sciplinari. Qualcuno finisce anche nei circuiti del-la Giustizia Minorile ed anche da quest’osservato-rio arrivano segnali su cui riflettere.

Nel quadro concettuale dell’educazione e dellescienze/discipline che ne fanno il proprio campodi ricerca e riflessione (pedagogia e didattica), ilrapporto tra le generazioni – anche nella scuola –è concepito come inter-azione e rel-azione, che‘cambia’ tutti gli interlocutori, di cui i professio-nisti/adulti sono mediatori.

In questa prospettiva l’istruzione non è aggiun-gere o omologare ma mettere in relazione, in dia-logo anzitutto i giovani e la loro cultura, che oggiè molto infuenzata da quella veicolata dai mass edai net-personal media, con i saperi formali. Que-sto significa partire da un riconoscimento di valo-re e di potenzialità con l’intento di creare le con-dizioni per farlo attualizzare e crescere, grazie alconfronto (reciprocamente) curioso. Certo l’inse-gnante che scrive ‘la classe ostenta ignoranza’ cosìfacendo certifica la propria, almeno quanto a cri-teri dell’azione didattica ed a comune buon sensoeducativo che – fin dalle cure materne – accreditaall’educando la possibilità di crescere e sviluppar-si grazie all’accoglienza – cosi com’è – in un con-testo di relazioni culturali e di accompagnamentopersonale. Ma lo stesso si può dire della scuola odell’istituzione che affrontano in termini solo oprincipalmente ‘regolamentari’ quel comporta-mento. La cultura dei giovani e dei media, checomunque vanno avanti per la loro strada, posso-no essere riconosciute dalla cultura scolastica e aquel punto può avvenire anche, reciprocamente,il riconoscimento dei saperi scolastici come op-

zione su http://www.youtube.com di video di vitascolastica ripresi con i telefonini. Quello che for-se all’inizio era nato per gogliardia ha fatto ‘scuo-la’ e si è consolidato e sviluppato con ritmi di cre-scita esponenziali, un vero business reso possibiledalla gratuita cooperazione degli studenti (e degliinsegnanti). Oltre alle note disciplinari vengonoora pubblicate giustificazioni e (novità) ‘foto deicessi’ e ‘versioni di latino’, insieme a link agli sto-rici siti degli studenti italiani (appunti e tesine ecc.),inoltre dal febbraio 2006 è attivo il blog ’7 in con-dotta’. Le parti più consolidate (e ‘trash’) del sitosono poi diventate pubblicazioni; le note discipli-nari nel libro La classe fa la ola mentre spiego,Rizzoli, 2006 e le giustificazioni nel testo L’alun-no è stato assente causa assedio dei testimoni diGeova, sempre Rizzoli, 2007. E nell’anno scola-stico 2007-2008 c’erano anche l’agenda scolastica‘La classe ostenta ignoranza’ e quaderni ed altrocorredo di cancelleria scolastica che all’interno edin copertina riportano note di classe e giustifica-zioni ed accompagnano la vita scolastica quoti-diana di molti alunni.

Il medesimo lemma: ‘disciplina’, che nell’etimo– è noto – rimanda al seguire regole, per i docentisi associa soprattutto ad un campo di studi (la di-sciplina d’insegnamento) mentre per gli studentirichiama anzitutto il sistema di sanzioni che san-cisce i comportamenti, i ruoli generazionali e dipotere nella scuola.

‘La classe che ostenta ignoranza’ (secondo i do-centi) utilizza internet, ‘uploada’ nei siti file diimmagini, interviene con commenti scritti e se-gnala il significato personale e sociale (assai piùche strumentale e di professionalizzazione) chel’esperienza scolastica ha nella ‘cultura’ delle gio-vani generazioni.

Come ben descrive Rivoltella, «nella loro ca-mera i ragazzi hanno sul piano della scrivania unlibro di scuola; davanti a loro un documento diWord in cui, a partire da quello che stanno leg-gendo, organizzano un testo; ma nello stesso tem-po sono aperte sullo sfondo altre finestre: il clientdella posta elettronica, messenger dove stannochattando con un compagno di scuola, e-mule dacui stanno scaricando musica; intanto il cellulareè acceso sul tavolo e riceve e invia SMS; tutto men-tre ascoltano musica in cuffia dal loro i-pod …questo implica l’acquisizione di nuove competen-ze (velocità di esecuzione, flessibilità cognitiva,adattabilità, propensione a gestire situazioni com-

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portunità ‘aperte al futuro’ quanto voglionoesserlo le nuove generazioni.

La costruzione di contesti di relazione tra cul-ture di diverse generazioni investe anzitutto la re-sponsabilità dei docenti nella gestione della classein aula. Le aule disadorne e impersonali nelle qua-li i ragazzi con graffiti murali o sottobanco ‘rac-contano’ storie (oggi filmate e messe su you-tube)e l’unico segno del passaggio degli insegnanti è ilregistro di classe – con le relative note disciplinari– sono l’emblema della mancanza d’inte(g)razionetra culture e generazioni. Sono ‘non luoghi’ attra-versati frettolosamente dai docenti, in cui gli alunnicostruiscono comunque una loro storia di cui re-sta qualche segno, non sono ‘luoghi terzi’ d’in-contro e scambio, come sarebbe nell’etimo di‘scholè’. La scuola nel suo complesso si configura– comunque – come ‘ambiente di apprendimen-to’. Può indurre la percezione che in essa c’è spa-zio ed attenzione solo o principalmente per i saperiformali, la loro trasmissione certificata, le genera-zioni adulte-anziane e chi vi si conforma precoce-mente; ma può anche essere un ambiente in cui cisono spazi e tempi riconosciuti e valorizzati dia-logo – non solo nelle aule – tra le culture genera-zionali, formali e pop, lineari e reticolari, non sem-plicemente come ‘sommatoria’ di progetti.

Ma fare attenzione solo al contesto ‘scuola’ puòessere limitat(iv)o. Ad esempio, la ‘comunità dipratiche’ dei ragazzi che ascoltano e fanno rap puòessere assai esigua in una scuola ma va riconosciu-

ta – anche negli insegnamenti formali di ogni scuo-la – ed è opportuno abbia l’opportunità di inter-agire con chi (ragazzi e proff) segue altri tipi dimusica. Ad esempio la lirica, come suggerisce PierAndrea Canei quando scrive: “… ogni angolo divita vissuta dal Mondo Marcio di casa nostra aivari eroi locali nelle Americhe, ha il suo rap nar-rante di riferimento. Quasi un’odissea al contra-rio, un ritorno alle radici della lirica: un ritmo,una voce, un racconto. Senza l’obbligo dell’unitàdi tempo e di luogo: una volta c’erano i quartieri,adesso ci sono i server”. Allora, se si pensa che iserver non bastino – come pare –, diventa impor-tante anche la rete delle opportunità che il terri-torio può presentare; ben al di là di quelle scola-stiche ed istituzionali. Con la conseguenza di re-ciproca curiosità, apertura e riconoscimento trascuola ed extra-scuola (logora formula scuo-lacentrica).Continuando a considerare alunni,docenti e scuola come soggetti da ‘curare’ o risor-se da ‘rendere redditizie’, ad usare metafore medi-che ed economiche, invece, perderemo le parole equindi l’idea stessa che la mediazione edinte(g)razione tra culture, saperi e generazioni staa fondamento dell’esperienza dell’istruzioneeducativa e si configura come dono/benerelazionale, mondo della vita. In prospettiva di-dattica ed educativa, si tratta di riprendere (per icapelli) dimensioni dell’esperienza della scuola chel’egemone schematismo input-output fa perdere;impoverendola a ‘macchina’.

A scuola per…, Lavoro di gruppo, III D. Scuola Primaria “Don Liborio Palazzo”. Montescaglioso (Matera)

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Bulimia della formazioneanoressia dell’educazione

FRANCESCO MATTEIOrdinario di Filosofia dell’Educazione

Università degli Studi Roma Tre

criveva Hegel che, quando la sostanza è scis-sa, sorge il bisogno della filosofia. Quandola storia e la vita sono in situazione di scis-sione e di lacerazione, il pensiero “pensa”

la frattura e ricompone, nel pensiero, ciò che nellarealtà è in situazione di contraddizione e di anti-tesi. È il destino, in Hegel, come tutti sanno, cheincombe sul filosofo e sullo “storico pensante”,figura intellettuale in cui pochi storici accettereb-bero oggi di riconoscersi. Lo storico contempora-neo che ricostruisce e compone – tramite rigorosadocumentazione –, un fatto, un evento, un perso-naggio, un partito, un periodo storico… non aspi-ra a “pensare” in accezione hegeliana l’oggetto delsuo studio. Andrebbe fuori tema. Eserciterebbeun altro mestiere. Giocherebbe un gioco con re-gole inappropriate. Non sarebbe figura intellettua-le seria e credibile.

Il fatto e l’interpretazione del fatto vivono in-fatti di relazioni complesse. Il passaggio dal fattoal concetto non è mai semplice traduzione specu-lare. Sarebbe bello, semplice, comodo. Purtrop-po, particolare non trascurabile, sarebbe anche nonvero, cioè falso. Il passaggio stretto e necessariodalla cosa al concetto è invero presidiato da tramecomplesse, trame che si chiamano volta a volta – aseconda del contesto in cui si tenta quella tradu-zione –, religione, poesia, scienza, letteratura, fi-losofia, arte… Le molte lingue, insomma, in cui èscritta la parola verità.

È l’inizio, questo, dell’avventura del pensierooccidentale, un inizio che debutta con il tentati-vo, da parte della parola, di dire la cosa, del logosdi esprimere l’essere (einai). E quanto questa sem-plice relazione essere-parola abbia interrogato einquietato l’uomo che pensa, non vale nemmenola pena sottolineare. Quella interrogazione la chia-miamo filo-sofia; la storia di quella millenaria in-terrogazione prende il nome di storia della filo-sofia. Ma già filosofia dice amore, passione, ricerca

Sdella sophia. Qualcosa che non si dà in manieraevidente, ostensiva, assoluta. Perciò dice anchemancanza, movimento, approssimazione, disvela-mento, uscita dall’ombra, chiarore. Tutti terminiche alimentano una convinzione: quel legame es-sere-parola, einai-logos, è maledettamente comples-so. E la verità, quando attingibile, necessita dimolto lavoro, di molto scavo, di molta quotidianafatica del pensiero.

Quella relazione la chiamiamo dunque verità.Ma verità è detta dall’uomo greco alètheia eorthòtes. E i due termini non hanno esattamentelo stesso significato. Alètheia, fortemente conno-tata da quell’alfa privativa che la introduce, signi-fica uscire dal nascondimento, far indietreggiarel’ombra, esporsi alla luce. E il soggetto di questaesposizione o auto-esposizione è l’essere: quel-l’einai che ha come “destino” il rivelarsi, e dun-que l’essere conosciuto e interpretato. Tale luce èdetta verità, e il concetto-logos traduce quella espo-sizione. Perciò dirà Heidegger che l’uomo abita illinguaggio. Conosce cioè l’essere che si è svelato orivelato nella parola. Orthòtes significa invece cor-rispondenza, la latina adaequatio di Tommaso odi parte dell’empirismo inglese. La verità è la cor-rispondenza della cosa al concetto, della realtà al-l’intelletto. Una corrispondenza impossibilenell’accezione della verità come alètheia, e che giu-stamente Heidegger denuncia come tradimento,travisamento, tramonto dell’essere (e l’Occidenteè la terra del tramonto, perché già da Aristotele inpoi l’essere ha finito con l’essere identificato conl’ente e gli enti).

Perché questa premessa (troppo seria) a propo-sito del tema su cui volevo brevemente soffer-marmi? Per svariati motivi. Intanto, il legame cosa-parola ha conosciuto stagioni molto discontinue,fino ad avventurarsi in divorzi insanabili. La pa-rola ha conquistato una autonomia tale da ignora-re completamente la cosa: diventando così, la pa-

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rola, la cosa stessa. La parola ha finito per parlaresolo di sé. Si è finiti in un mondo di parole: ciòche Heidegger ha tradotto dicendo che l’uomo èfinito nel mondo della inautenticità, nel mondodella chiacchiera, nell’impersonale “si”. Ma la cosa,quella che traduce l’essere, la realtà, che fine hafatto in questa prospettiva? Per chi ha frequen-tazioni filosofiche, sarebbe facile dire che siamonell’impossibilità della metafisica, nel tramontodella conoscibilità della realtà. Situazione felice,questa, per quanti si muovono festosi e festantinel mondo del pragmatismo autentico: per chigiudica, alla stregua dei primi neopositivisti delNovecento, i problemi metafisici, etici o religiosicattiva poesia. (Per gli ultimi eredi del marxismo: laprassi è diventata cieca e sorda? Per gli ultimifisicalisti: le teorie descrivono e spiegano il mondoo descrivono e spiegano soltanto se stesse? Per gliultimi personalisti: la parola è parola di uomo oessa parla solo di sé e da sé si origina?).

Si potrebbe continuare all’infinito, ma il pro-blema è troppo serio e importante per lasciarloagli chansonniers delle diverse scuole. Sembra in-somma di poter dire che questo problema del rap-porto parola-realtà va assolutamente messo in que-stione, riportato in prima pagina, perché l’enfasidella parola e sulla parola ha finito per logorare laparola stessa. La bulimia della parola ha prodottola sua insignificanza. La sua profondissima crisinon si risolverà che con la riconquista del suo rap-porto con la realtà. La parola, altrimenti, sarà con-dannata all’insignificanza. In questa prospettiva,allora, quale sarà il significato di verità? Che cosasarà vero e che cosa sarà falso?

Tornerò sull’argomento, ma il problema misembra di evidente rilievo. Se si esce dalla relazio-ne parola-cosa, logos-einai, la parola rischia di nontrovare più la realtà, rischia di muoversi in unmondo di sole parole. E non è, questo, uno scena-rio oggi tanto peregrino e immaginario. La bulimiadella parola sta de-realizzando il rapporto con ilmondo. L’esperienza si sta svuotando del suo pro-fondo significato. Essa perde l’esperire e la parolache lo connota diventa insignificante.

Torno allora all’osservazione iniziale. Se il biso-gno della filosofia nasce in tempi di scissione, se lostorico pensante “pensa” una frattura storico-socia-le e tenta di ricomporla nella comprensione stori-ca, quale sarà la condizione storica in cui sorge ilbisogno dell’educazione? E la riflessione critico-concettuale su di essa? La domanda non mi sembraperegrina, e connota gran parte del lessico pedago-gico oggi tanto diffuso. Sarebbe facile osservare,

ironizzando sull’impostazione hegeliana, che po-trebbe capitare alla formazione-educazione quelloche accade alla comunicazione. In tempi di raraincomunicabilità fra gli individui, si assiste al proli-ferare impazzito dell’enfasi della comunicazione edella scienza della comunicazione, fino a veder pro-liferare i corsi universitari di Scienze della comuni-cazione. Accade lo stesso anche per la formazione-educazione e per i relativi corsi di laurea?

È su questo che vorrei soffermarmi. Perché sela domanda è lecita e pertinente, essa comportache si rifletta anche sul destino della verità in edu-cazione. Si pone cioè il problema del rapporto trala parola (educativa) e la realtà (educativa). Nondimenticando, ma come potrebbe accadere, chequando tra la parola e la realtà si consuma unascissione profonda e reale, si aprono i vasti pratidell’ideologia, e la parola si muove in un mondodi fantasmi de-realizzati lontani dalle cose e dagliuomini. Un destino non nuovo per la parolaeducativa, date le innumerevoli occasioni in cuiessa si è prestata a fare da strumento giustificativodella realtà storico-sociale. La parola è diventataallora, in quelle circostanze, esortazione, adatta-mento, giustificazione, parenesi… travisamentoideologico del reale. E la verità è diventata consa-pevole apparenza, vaga e opinabile doxa, giustifi-cazione di ciò che si dà, hegelianamente e genti-lianamente, come immediato. Lo è diventata inpassato, ma ancor oggi è condannata a diventarlo.Un destino apparente, dunque. Uno sbocco inef-ficace e depotenziato della parola. Il logos abban-dona l’einai e da esso è abbandonato. Una situa-zione di radicale sfibramento e consumazione dellogos in tutte le sue dimensioni.

Siamo a questo punto? Siamo alla scissione traparola educativa e realtà educativa? Siamo al pun-to in cui l’enfasi sulla formazione nasconde unarealtà della formazione “povera e nuda”, ma proli-fica e infestante? La dinamica della formazione èun tessuto costitutivo degli individui (e connettivodella società) o assume la voracità di una proli-erazione impazzita delle cellule individuali e so-ciali? La domanda non mi sembra impertinente efuori luogo. Anzi, la sensazione si dimostra perti-nente e piuttosto diffusa. E non esplicito questeinterrogazioni partendo da fortunati casi editoria-li. Giesecke o Postman hanno conosciuto successieditoriali fiutando l’aria, cogliendo disagi diffusi,ragionando su derive concettuali e paradigmi edu-cativi mutanti. Il problema è rappresentato dallosbocco di queste derive: dalle parole ultime a cuiapprodano queste infinite convulsioni; dalla su-

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perficialità disarmante in cui si accomodano gliinnovatori sempre esultanti, sempre riformanti,sempre (all’alba e al tramonto) vincenti.

Ma cominciamo dal lessico, perché gli antipodiche abbiamo colto tra bulimia e anoressia, forma-zione ed educazione a questo rimandano. Tutta lariflessione pedagogica ha sempre giocato le tre car-te lessicali: istruzione, educazione, formazione.Sono termini a volte coincidenti a volte distinti (edistanti), a seconda dei tempi mutanti e dei relativiparadigmi storico-culturali. La letteratura è stermi-nata, in proposito, e perciò non vi faccio riferimen-to. Ma alcune connotazioni le devo tracciare.

Il concetto di istruzione è legato alle conoscen-ze e ai saperi: dai livelli di alfabetizzazione prima-ria fino alle elaborazioni concettuali più comples-se e raffinate. E su questo aspetto poche sono lebaruffe concettuali e le polemiche aperte. Se nonquella, certo non irrilevante dal punto di vista te-orico, sulla reale dimensione filosofico-politica delconcetto di istruzione. Non è un caso, infatti, cheogni tanto la facciata di viale Trastevere sia sotto-posta a stress da cambio di titolazione e ne con-servi traccia sotto le lettere cubitali. Il vecchio

ministero, già dell’Educazione Nazionale duranteil ventennio, è diventato nel dopoguerra della Pub-blica Istruzione. L’ultimo governo lo ha trasfor-mato semplicemente in ministero dell’Istruzione,decurtandolo (per alcuni defraudandolo) della fun-zione di “pubblico”. Il presente gli ha restituito lavecchia denominazione di Pubblica Istruzione. Imutamenti lessicali, dunque, non sono del tuttoneutrali. La Francia conserva senza scandalo il suoministero dell’Education Nationale e non è afflit-ta da mutazioni genetico-lessicali. E il perché ap-pare ovvio: lo spirito francese, nonostante un’an-tica tradizione ottocentesca di istruzione pubblica,gratuita e obbligatoria, non teme di attribuire al-l’istruzione un carattere di educazione. Anzi, nesollecita e incoraggia l’attuazione, essendo, il si-stema di istruzione, parte considerevole della co-stituzione dello spirito del popolo francese. L’Ita-lia guarda invece all’istruzione come ad un dirittofondamentale sancito dalla carta fondamentale, mane teme le pieghe ideologico-educative. Perciò èsempre attenta a delimitarne i confini.

Le esitazioni e le oscillazioni non sono pere-grine. Le vicende dei due grandi partiti popolari

Il bullismo nella fiaba, Rossana Straziuso, III B. Scuola Secondaria di I grado I. C. 2O. Albanese”, Tolve (Potenza)

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del secondo Novecento italiano, l’essersi lo Statounitario formato contro la volontà del Vaticano,hanno lasciato sul terreno politico (educativo) ma-trici ideologiche dure e fortemente caratterizzate.Quella marxista ha fatto dell’egemonia in sensogramsciano una filosofia di vita politica emetapolitica; quella liberale ha coltivato un sensodella statualità radicalmente e rigidamente laica,temendo le intrusioni della Chiesa cattolica e al-lontanandosi così dalla liberalità di altri liberalismi;quella cattolica ha giocato sull’istruzione una par-tita dura e sempre aperta, non raramente forzan-do i confini del diritto-dovere all’istruzione emuovendosi sul terreno dell’educazione. Comedimostrano, d’altronde, le travagliate vicende del-l’insegnamento della religione (cattolica) nellescuole e i continui richiami ai vincoli concordatari.

Come si vede, la neutralissima istruzione è sot-toposta continuamente a stress semantici. Anzichélimitarsi semplicemente a connotare le lettere e inumeri del sapere, essa è percepita come terreno discontro, come il campo aperto in cui subdolamen-te si combatte la battaglia degli spiriti per la con-quista delle anime. E appare allora lontana e sbiadi-ta la figura di quel Socrate che vede nella conoscenzala strada della coscienza e dell’essere. Il suointellettualismo (etico) è soltanto un ricordo scola-stico, non una pagina fondamentale della culturaoccidentale. Ad esso si rifanno, in questo giocopolitico, quegli attori che, avendo perso la partitapolitico-ideologica, cercano di limitare l’avversarioe sostengono, con qualche ragione, che il sapere èquanto basta per conoscere e decidere. Il resto spet-ta alla libertà dell’individuo e alla sua libera deter-minazione. Che è, come si vede, una lezione altaed assai poco appresa. Perché, altrimenti, tanto di-battere sull’educazione e sulla formazione?

Veniamo allora agli altri due termini – forma-zione e educazione –, perché di essi vogliamoevidenziare il forte squilibrio attuale. Formazio-ne è parola augusta e carica di storia. La classicitàgreca parlava di paideia, quella romana di institutio,quella tedesca di Bildung. Una sequenza lessicaleda far rabbrividire. E tale da indurre a pronuncia-re sempre la parola formazione con grande rispet-to, perché carica di una genealogia storico-seman-tica davvero densa. Paideia è l’atto di accompagnareil bambino, dal cui etimo essa trae origine, allacostituzione di una adultità etico-conoscitiva au-tonoma. E quel tragitto ha termine quando il sog-getto ha conosciuto ed appreso il bello e il buono.Il paradigma della calocagathìa, paradigma alto eaustero che implica una visione-partecipazione del

bello e del buono, non è per il greco questione discuola o di solo intelletto. L’ascesa a queste idee,così come Platone ce l’ha descritta nel libro VIIdella Repubblica o nel Fedro e nel Simposio, è uncontinuo volgersi con tutta l’anima (syn òle tepsychè) verso il bene, un continuo trasformarsi-identificarsi in una visione faccia-a-faccia, comedirà Paolo, con esso. C’è dunque in quel paradigmauna pienezza umana da realizzare, un compito daportare a termine, una costruzione di sé nondelegabile. E questo sfondo etico sempre rimarrànel pensiero greco. Anche quando, più tardi, i le-gami con la polis si saranno fatti più labili e lostoico cercherà nella coltivazione di sé la ragione(morale) per vivere (o per morire). Epitteto ne èesempio alto e conseguente.

Una pari densità semantica permane nel-l’institutio romana e nella Bildung tedesca. Per ilprimo termine basta rileggere poche pagine dellaInstitutio oratoria di Quintiliano. Il vir boni dicendiperitus non ha l’accezione verbosa e formalisticache la successiva retorica decaduta e decadente gliha poi portato in dote. Il vir traduce e porta su disé il senso e la necessità dell’humanitas, e quellospessore umanistico ha fatto per molti secoli, diquell’opera, il “romanzo di formazione” di interegenerazioni. Lo stesso spessore semantico è pre-sente nella Bildung della tradizione tedesca.Bildung dice infatti costruire, dare forma, innal-zare. Traduce un senso di pienezza umana da rea-lizzare, una interezza potenziale da portare a com-pimento, perché Bild è imago – l’anima come imagoDei –, ed è stata depositata nella tradizione tede-sca dalla vena mistica neoplatonica di MeisterEckhart. Il romanticismo riprenderà il termine ecosì pure il neoclassicismo tedesco. Ma compitodella Bildung sarà sempre quello di ricostruire unintero, una pienezza da porre in atto, anche se laframmentazione e la particolarità sempre insidie-ranno quel tutto. La Provincia pedagogica goe-thiana ben traduce quell’ideale di umana pienez-za, ma documenta anche, con rara lucidità,l’affacciarsi, nello Zeitgeist, di un orizzonte in cuil’uomo “strumentale” sta avviandosi verso unaderiva di frammentazione.

Alcuni studiosi scorgono già nelle critichekantiane il primo segno della scissione del soggettonella modernità. E da qui la sua tragicità, come fi-nemente interpreta Goldman. L’uomo che conoscee l’uomo che vuole – la ragion pura e la ragion pra-tica – demarcano già una frattura che troverà nel-l’alienazione, prima hegeliana e poi marxiana, unaferita non rimarginabile. Nonostante tutti i tenta-

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tivi, naturalmente, e da parte di Hegel e da parte diMarx, di riportare ad identità e unità dialettica unospirito soggettivo sempre in movimento e mairitrovantesi. Fallirà, storicamente, la ri-composizio-ne hegeliana nel sapere o nello spirito assoluto, enon miglior sorte toccherà all’immane sforzomarxiano della trasformazione del mondo e dell’in-dividuo come genere o classe. Il positivismo ogget-tiverà e serializzerà il soggetto e da allora in poisarà sempre vano il tentativo di trovare fondamen-to al soggetto. Altro sarà il luogo in cui cercare con-sistenza al soggetto. Ma è, questo, un altro capito-lo, e sarà scritto nelle vicende filosofico-politichedel travagliatissimo Novecento. Il che fa pensare chela secolarizzazione teologica che ha attraversato ilsecolo, trovi un corrispettivo nella secolarizzazionefilosofica, là dove l’assenza del fondamento teolo-gico, di un Dio assente e silente, sembra trovare unanalogo nell’assenza di una radice metafisico-sostan-ziale per il soggetto.

Se questo tragitto culturale ha una qualche cor-rispondenza con la realtà, è facile immaginare qualie quanti problemi si pongano per i termini di cuici stiamo occupando. Che cosa diventerà la Bil-dung? Che cosa vorrà dire paideia? A che cosa sieducherà o ci si educherà? La perdita dello sfondometterà molte parole in libertà e queste infeste-ranno irrimediabilmente il lessico pedagogico.L’istruzione rappresenterà un indolore rifugio, unluogo in cui depositare frammenti di un discorsopaideutico forte ma ormai impossibile da pronun-ciare a cielo aperto. Sarà, l’istruzione, l’anfratto incui le molte varianti dell’ideologia troveranno si-curo riparo. E se è così, ma forse è così, la storiapedagogica del Novecento finirà con il rappresen-tare una storia dell’ideologia pedagogica. Di certo,molte pagine (cattoliche o marxiste) non si sono,in realtà, troppo allontanate da questo scenario.

Così facendo, l’istruzione viene di fatto ad as-similarsi al concetto di educazione, sia che questaderivi il suo significato dalla radice latina dell’e-ducere, del trarre fuori da, richiamando la paginae la figura socratico-platonica del Teeteto, sia cheessa tragga il suo significato dal latino edere, chedice mangiare, consumare, nutrire (e dunque farcrescere, allevare) e che trova il suo corrispettivonel greco troféo (nutro, allevo, educo). È questo ilbinomio che attraversa il Novecento. Istruzione eeducazione saranno i termini, a volte coincidentia volte conflittuali, con cui si scriverà nel secolola storia e la pratica della formazione. Sul termineformazione (o paideia o Bildung) calerà invece, perlo più, un velo di cosciente o inconsapevole rimo-

zione. Ma la difficoltà, forse, sta proprio nel fattoche un orizzonte forte o rotondo, come si dicedelle filosofie che si sentono (o si sono sentite)legittimate a descrivere i grandi significati indivi-duali o collettivi, non si può più dare, e la (ri)co-stituzione dell’intero del soggetto appare operavana e impossibile. Il fondamento ha perso il suocentro, la sua radice metafisica, e persa la Bild si èpersa anche la Bildung.

Ricordava Manno, citando Gadamer, che la Bild(immagine) eckhartiana ha avuto la prevalenza,nella storia, sulla “forma” (si immagina aristo-telica). E dunque, la Bildung sulla formazione. Essaappariva più ambigua, e perciò meno determina-ta e più ricca per quel grande lavoro che era rap-presentato dallo sforzo di ricostituire, nell’indivi-duo, l’immagine di Dio (e più tardi i suoi analoghifilosofici). Sfumata la dissolvenza su Dio, scrittala grande pagina sulla secolarizzazione, la forma-zione (Bildung o paideia) ha conosciuto stagionidure da attraversare. E ha ceduto il passo allasinonimia di educazione e istruzione, inabissandosiin un fragoroso silenzio. Quella formazione nonha potuto camminare indenne per le strade delnichilismo. L’orizzonte si è fatto più incerto. Laforma da dare, e soprattutto da darsi, se si vuoleintendere l’autoformazione del soggetto e celebrar-ne l’insopprimibile libertà, è apparsa difficile dadeclinare. Il nietzschiano Dio morto ha aperto lastrada al weberiano politeismo dei valori, giacchéla morte di Dio ha anche ridisegnato il profilo delsoggetto e le dinamiche della sua identità e dellasua formazione (costituzione-costruzione).

Che cos’è rimasto sul terreno di gioco? Comemuoversi tra tante macerie? Oppure, per chi inquell’orizzonte caduto ha scorto un cielo finalmenteripulito da molti falsi idoli, che cosa rimane sui sen-tieri dell’uomo dopo l’abbandono degli dei andati?Non so se sia questo il vero proscenio in cui si de-termina la fatica dell’uomo nell’opera di costruzio-ne di sé. Ma come negare che questo quadro è partesignificativa dell’odierna commedia umana? Lapostmodernità ha preso atto di un mondo che si èrotto, di una società che ha allentato i vincoli uma-no-sociali, di una soggettività che si è indebolita, diun circolo sistemico in cui la soggettività è stataridotta a parte funzionale (e intercambiabile) di untutto che la sovrasta. E se così è, quale può essere lospazio – in questa radura arsa di una società in cuiciò che conta si chiama efficacia e efficienza – del-l’educazione e della formazione? Basterà tutto ciòa restaurare un’antica nobiltà della formazione?Quale sarà il nuovo ruolo dell’educazione?

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Domande banali e più volte poste. Ma se ripen-siamo alle battute iniziali da cui queste veloci con-siderazioni hanno preso le mosse, resta il dubbio:l’hegeliana scissione della sostanza storico-socialeconosce oggi una nuova versione nella forma dellasocietà liquida, o postmoderna, o postideologica?E questa frammentazione storico-sociale che è sot-to gli occhi tutti, di quale educazione o formazioneha bisogno? Quale educatore o formatore invoca?Chi o che cosa è stato chiamato a interpretarla,ripensarla o ricomporla? Perché tanto proliferaredi “formazione”? Dai libri bianchi comunitari aicorsi di formazione organizzati da università ed entilocali, agenzie (ahinoi!) pubbliche e private, sinda-cati e chiese, partiti e libere associazioni, è tuttouno scintillio di formatori intenti a formare:formatori che si autoformano, formatori che pro-gettano corsi, formatori che formano formatori,formatori che formano bambini, giovani, adulti,anziani… È il tripudio della formazione. E ci sidovrebbe trovare – se le “buone pratiche” (uscitedal lessico religioso-devozionale ed entrate oggi pre-potentemente nel lessico social-aziendal-formativo)mantenessero le loro promesse –, nel bel mezzo diuna società ben formata.

Ma ahimé!, qualche perplessità è lecito nutrir-la. Questa bulimia della formazione rischia di per-dere il cuore della formazione, quella Bild o for-ma o paideia o institutio che hanno rappresentatoi paradigmi dell’educazione. Un’educazione sem-pre più negletta, asfittica, afona, denutrita, anores-sica. Se educazione diceva il latino edere o il grecotroféo, oggi su quale verbo va essa coniugata? Qualè il suo nutrimento? Perché appare tanto de-nu-trita? Perché le scienze dell’educazione sono oggile scienze dell’educazione e della formazione? Èun’endiadi pleonastica? Si tratta di un rafforzati-vo o di una distinzione di campo semantico? Qualeil senso dei due termini?

In questa situazione, chi non ha problemi giu-ridici è l’istruzione. E pour cause. Almeno fino aquando essa riesce a stare nel suo, a non invaderei territori che si disputano l’educazione e la for-mazione. E nei suoi spazi, come sappiamo, moltoc’è da lavorare, visti i risultati non proprio lusin-ghieri dei livelli internazionali delle conoscenzedei giovani scolarizzati italiani. La grande enfasidella formazione, invece, ha necessità urgente didefinire i suoi spazi semantici e di mantenere lepromesse che annuncia. Ha bisogno di credibili-tà, di quella credibilità che segue soltanto allafattualità, alle attese realizzate. Perché le delusio-ni della concretezza, l’hegeliana Wirklichkeit, non

faranno che gettare discredito su tutto il sistemadella formazione-educazione.

Che cosa compete invece all’educazione? Per-ché la sua diffusa afasia? Perché ha essa bisognooggi, sempre più spesso, di farsi accompagnaredalle credenziali, in verità deboli, della formazio-ne? Perché una società rinuncia al dovere-dirittodi educare?

Mi sembra una domanda legittima, anche se dei“distinguo” sono certamente plausibili, viste leindefinizioni dei rapporti istruzione-educazione-formazione. Per tornare ai verbi cui sopra accen-navo, sarebbe forse giunto il momento di portarein superficie la grammatica essenziale del proces-so educativo: chi educa, perché educa, a che cosaeduca. E ancora: chi è educato, perché è educato, ache cosa è educato. Perché il gioco educativo è ungioco di relazione, un gioco di relazione simme-trica o asimmetrica. È un gioco di società, un gio-co in cui si struttura la relazione io-società-statoin tutte le sue possibili varianti. E l’enfasi sull’unoo sull’altro degli attori in gioco marca significati-vamente l’orizzonte educativo e le sue sintonicheo distoniche declinazioni. I molti dolori dell’at-tuale fase educativa sono legati alle dinamiche in-terne dei tre protagonisti: l’io è perplesso, attoni-to, stordito, in cerca d’autore; la società è incontinuo travaglio, lacerata, mutante e in cerca diequilibrio; lo Stato ha necessità di darsi un profiloaccettabile e di legittimarsi di fronte ad una socie-tà in continua trasformazione sussultoria.

Se questo è il quadro verosimile, c’è posto perl’educazione? Quale il suo ruolo? Come recupe-rare una dignità al soggetto-in-educazione? Perchédi questo si tratta, di riscoprire un valore all’indi-viduo. Di restituirgli la consapevolezza della suaumanità, la sua dignità, la cura della sua libertà eresponsabilità. Senza cadere, e il pericolo è sem-pre in agguato, nella insensatezza della facile esor-tazione o nell’indistinzione mercatoria del doveressere (a buon mercato). Ciò detto, appaiono cer-tamente vere e dure da rimuovere le molte analisisullo stato attuale della problematicità del sogget-to, analisi che le scienze sociali, psicologiche, pe-dagogiche, filosofiche dettano con serietà e fre-quenza. E che forniscono su di esso squarci difondata preoccupazione. Pur tuttavia, resta il pro-blema: è possibile educare? e come? e a che cosa?

Non vorrò qui risolvere il problema. Per oravoglio soltanto porlo e reclamarne la legittimità.E ricordare e rendere omaggio a quanti, tra ipedagogisti (spesso trascurati), sono andati al cuo-re del problema e hanno messo al centro della loro

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riflessione l’interrogativo sull’uomo, sulla libertàda costruire, sui valori da illuminare e da far vale-re. Una pedagogia obsoleta, questa, per i cultori-scienziati à la page. Una pedagogia troppo legataall’antica tradizione della filosofia morale, per chiconosce le vicende dell’accademia al passato pros-simo. Una pedagogia che tutto sommato non midispiace, devo dire. Perché in quella tradizione, ledomande sull’uomo e sul suo costituirsi uomo (ecome) rappresentavano il cuore della riflessioneteorica. Una riflessione che oggi manca, e mi man-ca. Perché, dopo tutto, la filosofia morale ponevalo sguardo interrogativo sull’uomo che agisce esui valori che determinano la sua azione. Vale al-trettanto dopo le innumerevoli analisi psico-socio-pedagogiche? L’uomo “educato” non è quello chedà determinazione alla sua libertà? Quello chedecide e si decide per qualcosa a cui si dà valore oha in sé valore? La scomparsa dell’educazionemorale, sopraffatta dalle mille educazioni oggi dimoda, è forse il sintomo di un soggetto adiaforo eindecidente. Il millepiedi perplesso è forse meta-fora adeguata dello stato dell’educazione: educa-zione afona e perplessa che non sa più aiutare acercare la strada. Ma senza Maestri che indicanola via non si dà educazione, e la scuola di oggi staforse perdendo la sua ragione sociale.

Qui chiudo, ricordando un amico con cui homosso i primi passi in accademia e che molto hariflettuto, con serietà e ironia, sulla natura dell’edu-cazione: «Per me educazione non è soltanto trasmis-sione di cultura. È anche questo. Ma è anche for-mazione della personalità». (...) E consente conGentile quando questi afferma che «se l’educazio-ne è l’arte di insegnare qualcosa a qualcuno, nonesiste migliore educatore di un ladro che insegna alproprio figlio la nobilissima arte del rubare. Volen-do intendere, naturalmente, che l’educazione nonè soltanto acquisizione di determinati elementi, maè anche maturazione dell’individuo. È anche, indefinitiva, accostamento dell’individuo a valori».

Sono le ultime lezioni di Broccoli, prematura-mente scomparso nell’ormai lontano 1987, e dicui ho curato l’ultimo corso accademico. In que-gli stessi anni, aggiungo, appariva un volumettodi Edda Ducci, L’uomo umano, al cui centro lapedagogista casentinese poneva la riflessione sul-l’uomo. Un modo di intendere la pedagogia, peril pedagogista marxista e per la pedagogista catto-lica, che si configurava come riflessione sullapaideia. Una tradizione alta, pur nella varietà del-le posizioni, maxima cura servanda. Naturalmen-te, per chi vuole ed è all’altezza del compito.

E

Celebrazione di unavocazione: Edda Ducci

luoghi e tempi di un servizio

CARMELA DI AGRESTIOrdinaria di Pedagogia

Preside LUMSA - Università di Roma

La consegna

sattamente un anno fa, alla vigilia della suamorte, Edda, essendo ormai impossibilita-ta a scrivere per le conseguenze delle pe-santi cure a cui era stata sottoposta, mi chie-

de di prendere un quaderno di appunti che porta-va sempre con sé nelle frequenti e lunghe degenzein ospedale, e mi prega di scrivere sotto dettatura.

Riporto letteralmente quanto scrissi un annofa. “Il percorso recente di un antico sapere: la paideiala morte il dolore in un primo momento legata allafilosofia morale, poi con la pedagogia”. Rapidi cen-ni al tema su cui aveva lavorato assiduamente ne-gli ultimi mesi e di cui rimangono ampie traccenel brainstorming del suo computer: la ricerca disenso per filosofare sull’educativo. E ancora: Montedi lezioni, ma la mia scelta è stata determinata: siadal permanere nel mondo greco sia dall’accostaremomenti nevralgici del mondo moderno e contem-poraneo e sia dalla chiarezza dei destinatari: edu-catori sul campo. Per chi ha vissuto accanto ad Eddaper più di quattro decenni, come la sottoscritta,non era difficile intuire, anche senza sua esplicitamotivazione, che con quelle poche e scarne frasil’interessata intendeva consegnare una sintesi deisuoi veri interessi, sintesi rivelatrice di che cosaaveva animato e alimentato la sua vita di studiosae di docente. Lo ha fatto in un momento in cui,lucidamente consapevole della prossima fine, av-vertiva il bisogno di esprimere un sentire scevroda qualunque interesse di tipo accademico.

Una vocazione

La vita di Edda è stata la celebrazione di una voca-zione all’insegnamento maturata già negli anni gio-

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vanili a cui è rimasta sempre caparbiamente fede-le. Per attuare tale vocazione ha saputo mettere afrutto doni di natura non comuni. Vocazione cheè stata primariamente scelta di vita e secondaria-mente scelta professionale. Ma prima di tracciar-ne un brevissimo profilo umano scientifico e pro-fessionale, vorrei ancora una volta lasciarle la pa-rola per farci dire come ha cercato di vivere e diprepararsi a tale altissimo compito.

Edda era solita trascrivere nelle sue agende enei suoi quaderni di appunti pagine belle e pen-sieri che la colpivano, presi dagli autori più dispa-rati, e su cui amava successivamente sostare e ri-flettere a lungo. Tra questi un posto di onore oc-cupa Gregorio Nazianzeno, un autore a lei moltocaro. Una pagina rivelativa, tratta da Poesie a sestesso (LXXXVIII, PG, 1425-1426) l’aveva messa trale cose più preziose. Riporto questa bellissima pre-ghiera che mi sembra essere specchio del suo ane-lare verso l’alto: “Hai un compito, anima mia; /un grande compito, se vuoi: / Scruta seriamente testessa, / il tuo essere, il tuo destino; / donde vieni edove dovrai posarti; / cerca di conoscere se è vita quel-la che vivi / o se c’è qualcosa di più. / Hai un compi-to, anima mia, / purifica, perciò la tua vita; / consi-dera, per favore, Dio e i suoi misteri; / indaga cosac’era prima di questo universo / e che cosa esso è perte, / da dove è venuto e quale / sarà il suo destino. /Ecco il tuo compito, anima mia, /purifica, perciò, latua vita”.

I due aspetti che ho voluto evidenziare mi sem-brano essere due facce della stessa medaglia cheesprimono al meglio la vita di Edda Ducci. En-trambi ci parlano di fatica mai nascosta e mai scan-sata che ha caratterizzato il pensare e il vivere, en-trambi finalizzati alla crescita personale e all’eser-cizio responsabile del suo ruolo docente.

Un amore appassionato dell’umano, leitmotivdella sua ricerca e del suo insegnamento, si è radi-cato su una idea uomo grande e su di una affinatacoscienza del compito che non le dava tregua nel-la ricerca e nell’azione. Per concretizzare quell’e-sperire interiore tante volte richiamato nei suoitesti, un esperire visto come metodologia privile-giata per riflettere sull’umano di cui l’educativodeve assumere tutta la responsabilità, ha cercatodi scavare senza sosta dentro l’abisso del suo uma-no per scoprirne potenzialità e ricchezze e, nellostesso tempo, per aiutarsi a capire le tante insidieche potevano comprometterne la messa in valore.Nessuna dimensione dell’umano ha ritenuto estra-nea ai suoi interessi, nessuna attività veniva sotto-prezzata, ma si è impegnata a cogliere in ogni de-

terminazione storica in cui l’uomo di oggi e disempre si esprime la testimonianza dell’infinitomistero dell’uomo, nella sua grandezza e nella suapovertà.

Le prime esperienzeLaureata a pieni voti in filosofia con una tesi suTommaso D’Aquino, consegue subito l’abilitazio-ne all’insegnamento e vince il concorso a Catte-dra, prima assoluta in graduatoria nazionale, perl’insegnamento di Filosofia e Storia nei licei. Leprime esperienze di insegnamento le fa nella scuolasecondaria superiore. A tale attività primaria neaffianca diverse altre, tra cui primeggia l’intensa eattiva partecipazione alla vita degli scout con com-piti a livello nazionale. Questo impegno si rivelòevento provvidenziale perché fu l’occasione perl’incontro con Monsignor Piero Rossano (anno1963) e per l’avvio di un fruttuoso lavoro in siner-gia segnato dall’interesse per il dialogo in tutte lesue sfaccettature (umano, culturale, spirituale).Nasce negli anni Sessanta, infatti, l’attenzione pergli autori della corrente dialogica che si slargherànegli anni di docenza universitaria e segnerannouna svolta nel suo pensare e vivere. Datano inquesto periodo le prime traduzioni degli scritti diFerdinand Ebner, l’autore a lei più caro a cui dedi-cherà molte fatiche negli anni successivi. La suacarriera universitaria ebbe il primo inizio nel lon-tano 1959 presso l’allora Istituto UniversitarioPareggiato di Magistero Maria SS. Assunta, oggiLumsa, come assistente volontaria per le esercita-zioni di filosofia alla Cattedra di Filosofia teoreticadel prof. Cornelio Fabro. Una collaborazione chedurò ben oltre il semplice rapporto accademico.

La frequentazione di questo grande maestro ri-mane una tappa altamente significativa nella suaformazione filosofica, e continuerà anche quan-do la Ducci, nel 1965, risulta vincitrice di un con-corso per assistente ordinaria di Pedagogia all’Uni-versità di Bari e passa così ad occuparsi di un altrosettore scientifico

L’esperienza barese

Questo passaggio dalla teoretica alla pedagogia nonfu indolore, ma fu vissuto dall’interessata comeconcreta applicazione di un principio che la gui-derà per tutta la vita: “non sono le situazioni cheattuano la nostra realizzazione, ma il modo in cuiciascuno vive e affronta le situazioni”. Si trattò diuna autentica svolta, avvertita come un nuovo ini-

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zio, che richiese un rinnovato e partecipato impe-gno a ridirezionare interessi e progetti di ricerca edi insegnamento. I suoi primi lavori scientifici, in-fatti, risalenti al periodo di assistentato alla catte-dra di Fabro, sono di netto taglio di filosofia teo-retica (Il problema dell’essere parmenideo nell’in-terpretazione di Simplicio, 1963, e di Filopono,1964).

Per quella serietà che l’ha sempre contrad-distinta Edda non accetta un cambiamento di ruo-lo soltanto formale e per questo non si risparmianell’intento di svolgere con rigorosa responsabili-tà il nuovo compito. Mette tutto l’impegno peraprirsi nuove piste di riflessione, e per approcciaretemi e problemi a lei cari con differenti angolature;tutta la sua preparazione filosofica viene dire-zionata in chiave paideica. Gli studenti dei primianni di docenza barese lo hanno intuito e testi-moniato in tanti modi: la solida preparazione leservì per iniziare alla realtà grande dell’educare,declinata in chiave fortemente esistenziale e tra-smessa con entusiasmo coinvolgente. Gli scrittidi questi anni, in preparazione alla libera docenzain Pedagogia che conseguœ nel 1969, sono espres-sione insieme di un robusto pensare teoretico suquestioni e contenuti relativi allo specifico agireeducativo. In essi si ravvisano già i principali filo-ni di approfondimento successivi, quasi fili di buo-

na tenuta che porteranno a tessere un articolatoordito teorico ed esistenziale insieme sul proble-ma principe dell’educabilità umana, categoria ca-ratterizzante tutto il suo filosofare sull’educativo.Nei suoi interessi di ricerca di quegli anni sonogià presenti i principali autori che diventerannopunti di riferimento costante in tutto il lavorosuccessivo, autori scelti perché riconosciuti fontiautorevoli per affrontare problematiche comples-se e delicate quali quelle dell’educare.

L’attenzione va innanzitutto alla grande lezio-ne dei greci, al forte richiamo esistenziale che con-nota le pagine alte degli stoici, al senso dellacreaturalità assorbita e assaporata attraverso il con-cetto di partecipazione nella riflessione di Tom-maso, per approdare alle istanze e ai problemi pre-senti nella cultura moderna e postmoderna con-temporanea. Temi di riconosciuto spessore fi-losofico, rivisitati e sostanziati da interessi spre-muti dal vissuto di una pedagogia in azione; lariflessione così gradualmente passa da un teoricitàcontrollata, rigorosa e profonda a una ricerca maipaga di principi e metodologie della praticaeducativa. Lavoro sofferto, portato avanti semprein forte tensione per coniugare una duplice fedel-tà: la fedeltà al fondamento, continuamente richia-mato nei suoi scritti, visto come necessario mo-mento giustificativo e significante della prassi vol-

L’offesa fa piangere, Luciana Stenta, II A. Scuola Primaria 2° Circolo “Luigi La Vista”. Venosa (Potenza)Da bullo a…, Lavoro di gruppo, IV B. Scuola Primaria “Antonio Gramsci” – Monreale. Marconia (Matera)

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ta a iniziare alla comprensione dell’umano nel-l’uomo, e fedeltà al faticoso concretarsi dell’uo-mo nel suo divenire storico in situazioni spazio-temporalmente segnate, un concretarsi carico ditutte le aporie e contraddizioni proprie del vivereumano. Negli scritti di questi anni, – in particola-re Paideia e metexis, Peudo-Boezio. Un saggio di pe-dagogia medioevale e La maieutica kierkegaardiana,tutti editi nel 1967 –, l’autrice spigola, con intelli-genza d’amore, istanze educative forti in autoriche, a distanza di secoli, conservano tutto il pote-re di interrogare l’uomo di oggi sulle ragioni dellacrisi dell’educazione. Il nucleo forte, da cui si di-panano e verso cui convergono tutte le argomenta-zioni presenti in questo scritti è la ricerca di sensodel rapporto educativo, un rapporto complesso eproblematico, ma di cui ogni uomo non può di-sinteressarsi vista la sua assoluta necessarietà peruna vera umanazione dell’uomo. Il clima cultura-le di quegli anni non era certamente il più propi-zio per invogliare ad una riflessione filosoficasull’educativo. La filosofia dell’educazione, infat-ti, era vista con sospetto e forti erano ancora leresistenze dei pedagogisti verso un tale approccio,temuto come rischio di indebita colonizzazioneda parte dei filosofi, conseguenza della contestatastagione gentiliana.

Queste resistenze erano evidenti anche a livel-lo accademico. Non poco Edda dovette faticareper far accettare l’idea, alle autorità accademichebaresi, di bandire una cattedra di “Filosofia del-l’educazione”, prima in Italia con tale denomina-zione, cattedra che lei stessa, a sua volta, per pri-ma venne chiamata a ricoprire nel 1980 in seguitoall’esito positivo di un concorso. L’impegno perla promozione culturale si estende anche fuoridell’aula universitaria. Per ben 9 anni (1977-1986)le viene chiesto di assumere la direzione della bi-blioteca G. Righetti, biblioteca privata lascito diun benefattore alle autorità religiose baresi, forni-ta di un ricco patrimonio librario e che, per vi-cende varie, da diversi anni era rimasta chiusa alpubblico. La biblioteca viene risistemata e riaper-ta in tempi rapidi e vede un crescente numero diutenti fatto di adulti e di studenti.

Per la sua ubicazione, all’angolo della sede cen-trale dell’ateneo barese, la biblioteca diviene pre-sto il luogo ove gli studenti si fermano nella pausatra una lezione e l’altra e gli adulti trovano un luo-go tranquillo e accogliente per aggiornarsi su temidi attualità, grazie anche ad un nutrito numero diperiodici di cui la biblioteca dispone. A fianco diquesto normale servizio, la biblioteca diviene cen-

tro di dibattito pubblico su temi di attualità o dipiù generale formazione culturale, grazie all’im-pegno di Edda che fece approdare a Bari una foltarappresentanza di esperti in ambiti di sapere tra ipiù diversi. Amici, collaboratori, persone di cul-tura e di esperienza sensibili a problemi umani esociali significativi intervengono su temi caldi osu problemi di lunga durata, raccogliendo sempreun pubblico di persone interessate e partecipi. Labiblioteca diviene presto un centro di promozio-ne culturale per ogni categoria interessata. Gli annibaresi (1965-1981) sono ricchi di eventi, non sol-tanto in termini di carriera – da assistente ordina-ria a vincitrice di ruolo di prima fascia – e di pro-duzione scientifica e culturale, ma anche per lamaturazione umana e professionale di Edda. Sonoanni in cui all’intenso lavoro in Università e allaRigetti Edda affianca esperienze educative forti indifferenti contesti dell’ambito sociale, esperienzesentite come un dovere per poter riflettere sulledinamiche educative.

Tanti sono stati gli ambienti in cui ha matura-to esperienze concrete di rapporti educativi: dallacasa di rieducazione, alle carceri, agli orfanotrofiche, per effetti legislativi, subivano in quegli anniradicali modifiche strutturali, a iniziative di recu-pero di differenti marginalità sociali e culturali. Aquesti impegni extrauniversitari si richiamano al-cune testimonianze nel libro Edda Ducci, Ricordie testimonianze, pubblicate dalla Editrice Anicia,a cura della sottoscritta, in occasione del primoanniversario dalla morte. Tra le diverse e suggesti-ve testimonianze voglio menzionare in particola-re quella del giudice Occhiogrosso, con cui Eddaha a lungo collaborato nell’intensa stagione bare-se e a cui si sentiva particolarmente legata per l’op-portunità che le aveva offerto di incontrare unaporzione di mondo giovanile non facile da trova-re nelle aule universitarie. Quel lavoro viene con-siderato da Edda un banco di prova per saggiare lavalidità del suo teorizzare sull’educativo.

Il ritorno al Maria Assunta

Nel 1981, sollecitata dalle autorità accademiche aritornare al Magistero Maria Assunta, Edda lasciaBari e apre un nuovo capitolo di impegno e diesperienza docente. Il Maria Assunta si trovava allavigilia di significative trasformazioni: da istitutocon la sola Facoltà di Magistero si preparava a di-venire Università con più facoltà e un importanteampliamento dell’offerta formativa. Ad Edda ve-

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niva rivolto un pressante invito per offrire unfattivo contributo ai cambiamenti che avrebberoportato alla nascita dell’Ateneo Lumsa.

Schiva come sempre a ricoprire incarichi isti-tuzionali, il suo apporto si caratterizzò per un im-pegno scientifico-culturale di altissimo profilo,giocato prevalentemente nella formazione deglialunni. Le loro testimonianze nel sopra citato vo-lume ne fanno fede.

A cominciare dagli anni ’80 e fino alla sua ulti-ma lezione, tenuta proprio alla Lumsa il 27 mar-zo 2007 (lo stesso giorno del suo ultimo ricoveroal policlinico Gemelli) Edda, oltre a regolari corsidi insegnamento mai interrotti, anche quandonell’88 trasferisce il suo ruolo di docente struttu-rata alla Sapienza, porta avanti decine e decine ditesi e avvia varie esperienze didatticamenteinnovative interne e integrative ai corsi; esperien-ze di teatro, letture di grandi autori classici in bi-blioteca, educazione musicale, cineforum, insegna-mento della filosofia nelle scuole elementari ecc.In queste esperienze coinvolge e fa diventare pro-tagonisti collaboratori, amici, docenti esperti divari settori disciplinari.

Dal 1982 al 1990 dirige la Scuola biennale diPerfezionamento in Filosofia e Scienze Umane,frequentata con profitto da docenti in servizio eda laureati interessati ad entrare nell’insegnamen-to a livello secondario. La scuola annoverò tra isuoi docenti nomi di accademici prestigiosi checon la loro qualificata collaborazione resero lascuola un centro di formazione culturale superio-re di alto profilo. All’intensa attività didattica e dicoordinamento Edda affianca un costante impe-gno di ricerca.

Nel 1983 esce, presso l’editrice La Scuola, lamonografia La parola nell’uomo, frutto di un lun-go percorso di riflessione su un autore verso cuiha nutrito da sempre una particolare predilezio-ne: F. Ebner. Le prime traduzione degli scritti diquesto autore risalgono agli anni ’60 e ’70, diffusicome testi didattici ad uso degli studenti baresi.Negli anni ’80, in collaborazione con Mons. Pie-ro Rossano, cura la pubblicazione di Parola e Amo-re, prima edizione Rusconi, 1983 e La parola e laVia, Anicia, 1991. Grazie a queste traduzioni de-gli scritti ebneriani e alla monografia suindicata, aEdda va sicuramente il merito di aver introdottonel circuito della cultura italiana la conoscenza diquesto umile e grande maestro austriaco, il“Bedenker des Wortes” come lui stesso amò defi-nirsi. Nella monografia ne traccia il profilo uma-no-spirituale e focalizza il nucleo forte della sua

riflessione centrato sul significato della parola nel-l’uomo e sul suo potere umanante. Un ulteriorecampo di attività, già avviato nel periodo del suovolontariato nel Magistero nei primi anni ’60, èquello della formazione del personale religioso.L’istituto Maria SS. Assunta, nato per l’iniziativadi Luigia Tincani con l’intento di favorire la for-mazione umana e culturale delle Religiose inse-gnanti, ha registrato sempre una forte componen-te di tale categoria anche quando, con l’evoluzio-ne dei tempi e le trasformazioni avvenute, ha ac-colto prima donne laiche e poi utenza mista. Dal-le aule del Maria Assunta è passata una consisten-te parte delle attuali responsabili delle Congrega-zioni religiose e, molte di esse sono state alunnedi Edda. I legami stretti negli anni della frequenzauniversitaria non si sono interrotti, anzi si sonointensificati dopo la laurea delle interessate e sonocontinuati per decenni. La presenza costante diEdda nei loro corsi di formazione iniziale e per-manente è stata massiccia. Le testimonianze pre-senti nel libro di ricordi la rappresentano solo inminima parte.

Passaggio alla Sapienza

Nel 1988 si attua un nuovo cambiamento nel per-corso accademico: Edda viene invitata dalla Fa-coltà di Magistero della Sapienza (oggi Roma Tre)a succedere alla Cattedra di Maria Teresa Gentile,lasciata libera per pensionamento. Questo passag-gio le apre un nuovo scenario fatto di impegni didocenza, di ricerca, e di rapporti a differenti livellie in diverse direzioni. L’insegnamento, portatoavanti sempre con rigore e scrupolosità, continuaad essere il centro dei suoi interessi e ad assorbirele sue migliori risorse, ma arrivano anche richie-ste di impegni istituzionali che la vedono coin-volta in molte altre attività tra cui:– Presidente del corso di laurea in Scienze del-

l’educazione nel triennio 1992-95; e per nomi-ne ministeriali di vari ministeri:

– nel 1996 a membro del Comitato per le pari op-portunità fra gli uomini e le donne nella scuola;

– a Membro del Consiglio Direttivo del CEDE;– a membro della Commissione Italiana Unesco;– dal 1993 al 1998 a membro del Consiglio

direttivo della Biblioteca di Documentazionepedagogica di Firenze e, per incarico di tale or-ganismo, assume, a partire dal 1994, la direzio-ne della rivista “Schedario”, periodico di Lette-ratura giovanile.

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In tutti questi organismi dà una collaborazio-ne fattiva, come fanno fede numerosi testi scrittipresenti nella sua bibliografia. In particolare vor-rei ricordare, con le parole di un suo diretto colla-boratore, ossia il vicedirettore della rivista ‘Sche-dario’, l’azione di promozione culturale da lei svol-ta nella direzione della rivista. Cito testuali paroleda una testimonian-za di Dala Giorget-ti, testimonianzanon presente, cometante altre, nel testopubblicato perchéarrivate in tempisuccessivi. “Abbia-mo lavorato peranni, abbiamo scam-biato lunghe conver-sazioni telefoniche,nel corso delle qualii vari numeri di«Schedario» veniva-no pian piano enu-cleandosi, ma non ri-cordo di aver maiavvertito un senso dilentezza, era come seman mano che si sce-glievano e decideva-no poi gli argomentitutto fluiva e, se dalei venivo introdottanel mondo di unacultura più alta, lega-ta spesso al mondo accademico, le mie proposte eranoaccolte con un “Che bello!” e i nostri due mondi si me-scolavano, fluendo poi in un ‘unicum’ che ha fatto di-venire “Schedario”, proprio negli anni della direzionedi Edda, un punto di riferimento prezioso, in cui gliabbonati – insegnanti, bibliotecari o cultori di lettera-tura per i più giovani – sentivano che i vari argomentierano sì quelli attinenti a quel mondo, ma venivanoriverberati di una luce di più alto profilo culturale”.

La permanenza di Edda a Roma Tre è duratafino all’anno 2004, data di entrata in fuori ruolo.Difficile è descrivere con quale intensità di impe-gno e con quanta passione Edda abbia vissuto ilsuo ruolo nell’istituzione a cui sentiva di apparte-nere in senso pieno. In essa ha trascorso gli annidella sua piena maturità scientifico-culturale e at-traverso essa ha intessuto una fitta rete di rappor-ti, in particolare con i suoi alunni, di cui si sentivafiera di condividere fatiche e speranze.

Punti qualificanti in un cammino di ricerca

La scarna ricostruzione di tempi e luoghi del ser-vizio di Edda testimoniano un interesse grande.Per cogliere meglio le ragioni di tale interesse, acui lei stessa si è richiamata nel momento del suocongedo dalla vita, è utile soffermarsi brevemente

sulle idealità di cui lo stesso interesse si è alimen-tato. Prima di tutto vorrei sottolineare la sua sol-lecitudine per una formazione di alto profilo uma-no e culturale delle nuove generazioni, formazio-ne attuata mediante una comunicazione fatta dilungo sostare su fonti autorevoli, e sulla messa afrutto di un ricco patrimonio culturale conquista-to con rigorosa disciplina e non poche rinunce.

La cultura era per lei un mezzo, non il fine; sene è servita per rintracciare le radici profonde divalori umananti che si trasformavano in tensionivitali prima ancora di contenuto di insegnamen-to. L’intento, mai nascosto, era invogliare alla con-quista dell’eccellenza dell’umano che è in ciascu-no di noi. Mi piace riportare poche parole chehanno il sapore del vissuto e che, meglio di qualsi-asi commento, ci fanno entrare in tale sentire. Sonoparole che evocano la nobile figura di Socrate, maestensibili a tutti coloro che sono seriamente im-

Scuola amica, scuola di tutti, Donatella Tricarico, I sez. unica. Scuola Secondaria di I grado I. C., San Mauro Forte(Matera)

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pegnati nella ricerca e nell’azione educativa: “Re-miniscenza storica, preziosità filologica? Né l’una nél’altra, bensì problema eternamente posto e eterna-mente proteso alla soluzione. Attesa insonne diun’azione rara, rischiosa, benefica, impagabile. Vo-glia di un Socrate che sappia il segreto di questa co-municazione, la voglia compiere ed effettivamentela compia”. DUCCI, La comunicazione da animaad anima è ancora auspicabile? In “Aprire supaideia”, Anicia, 2004, p. 17. Mondo greco, mon-do stoico, mondo cristiano, mondo contempora-neo: orizzonti di vita e di pensiero sempre amo-rosamente esplorati alla ricerca di quel fondamen-to da lei ritenuto indispensabile per un giusto ri-flettere sull’educativo. Un ritorno al fondamento,però, auspicato senza la presunzione di costruireun sistema cesellato a tutto tondo, come sta a di-mostrare la scelta degli autori studiati e offerti al-l’attenzione dei suoi studenti nei tanti corsi acca-demici. Sono autori che, come scrive, “arano pro-fondo nel campo dell’umano”, sono “primitivi einattuali”, in quanto “del loro tempo cercano di per-cepire e intendere le domande profonde, serie, tragi-che, sordi alle mode e critici verso di esse” e soprat-tutto “escono e fanno uscire dal quotidiano” per scan-sare il rischio di “incorrere nell’alienazione e nel-l’estraniazione del proprio tempo” autori che con-sentono “di prendere le giuste distanze dal quotidia-no per signoreggiarlo e gestirlo, misurarlo e non esse-re misurati”. DUCCI, Approdi dell’umano, Anicia2007, pp. 72-74.

Comune caratteristica degli autori studiati è l’es-sere asistematici, schierati ma non dogmatici, sal-di nelle proprie convinzioni ma anche lealmenteaperti ad ogni possibilità di dialogo. Con questeprerogative venivano presentati, sempre vigile aevitare l’insidia di teorizzazioni di corto respiroper assecondare l’avvicendarsi delle mode e di ca-dere nell’indottrinamento invece di formare. Unaricerca educativa che punta a rinvenire il fonda-mento non è interessata alla scientificità ma allaserietà e per motivate ragioni. A tal fine scrive:“Per riaffrontare un tema educativo di largo respiroin una situazione di profondo travaglio (si riferivaalla crisi della legalità), è cosa seria disegnare laWeltanschauung e la Lebensanschauung in cui l’ar-gomento si situa...” Per superare un punto mortodi crisi “è certa la decisione di uscire verso l’Essere,verso il Bene, e di tendere dal fenomenico verso l’es-senziale, dal mostruoso al Bello. In altre e più sem-plici parole si deve essere consapevoli che va operatoun deciso e net to ritorno al fondamento”. Ritornoal fondamento, ma con la specificazione del modo

appropriato di attuarlo, una precisazione che misembra offra una chiave di lettura del suo conti-nuo cercare e del bisogno di confronto con autoridi ogni appartenenza: “Un ritorno operato con no-vità. Senza abitudinarietà fossile, e anche senzaintegrismi, senza infingimenti e senza fariseismi, inmodo nuovo, sano, ponderato”. DUCCI, Educarealla legalità, in “Libertà liberata”, Roma, Anicia,1994, p. 14. (tutte le evidenziazioni nelle citazio-ni, anche successive, sono mie). Il riferimento alfondamento lo considerava indispensabile, sul pia-no esistenziale prima ancora che su quello del pen-sare. Il richiamo all’esistenzialità è una costanteche ritorna in tutti i suoi scritti.

È consapevole che si tratta di un “ritorno a unfondamento al singolare, che però è multiforme evariegato come l’essere e come la vita”. Allamultiformità del manifestarsi dell’essere si devel’esigenza di una riflessione attenta, fatta in ma-niera non impropria che richiede: “una grande in-ventiva di stile, buona capacità di scelta, e scuotersidi dosso la paura della fatica, del lento procedere, dellapopolarità rimandata”, e conclude precisando che:“non si tratta di un compito imposto. Neanche dalrigore logico. Nella sua radice fonda è un bisognoumano. Nei momenti limite tornare al fondamentoè rinascere, è rivivere”. (ibidem). Un secondo aspet-to qualifica la sua riflessione, aspetto che è insie-me premessa e conseguenza del precedente assun-to, espresso nell’affermazione netta che, per fareuna proposta educativa seria, occorre l’onestà in-tellettuale di dichiarare l’opzione sul senso dell’uo-mo.

Non ha mai fatto mistero della sua opzione sul-l’uomo, opzione che si colloca decisamente in unorizzonte di filosofia cristiana, da cui desume leistanze originarie della persona e in cui cerca so-luzioni all’esigenza fortemente sentita di una metae misura umana atta a giustificare l’idealità edu-cativa. Soffermandosi sulle caratteristiche dellacultura occidentale rinviene in essa due fili chepercorrono tutta la ricerca sull’uomo, entrambigiudicati necessari per chi intende riflettere sul-l’umano dal punto di vista educativo. La sua op-zione di fondo la porta a privilegiare il primo filo-ne, quello del pensiero cristiano a cui aderisce inmaniera convinta, ma non trascura il confrontocon il secondo che è costante, impegnativo, frut-tuoso. sofferto.

Parlando del filone di ispirazione cristiana scriveche esso: “conduce ad incontrare, nei vari tempi,posizioni diverse, espresse in modi differentissimi maaccomunate da un’idea affermativa sull’uomo. Lo si

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vede come sorgente di energie, punto originario didinamiche irrepetibili, dotato di un senso e di unvalore proprio, capace di accogliere il diverso da sésenza perdere l’identità anzi crescendo in essa, biso-gnoso di ricevere, ma al fine di attuare potenzialitàtutte sue. Si tratta per lo più di un atteggiamentonon ingenuo: un sano realismo libera dalla cecitàcirca gli ostacoli anche interni che si frappongono,spesso con forza, all’accensione di questo potenzia-le”. Dopo aver precisato che “diverse sono le cor-renti che esprimono tale pensiero, le ipotesi di lettu-ra e i propositi di rapporti con l’esterno, con il pote-re, le istituzioni” conclude affermando che “unaoriginarietà, anche se di natura e intensità differen-ti, è sempre attribuita all’uomo. Si ritiene chel’affermatività dell’uomo segni e signoreggi, con in-tensità diverse, il suo essere e il suo ricevere. Così che,nei contesti anche disparati, si tratta pur sempre diun uomo più o meno inquietante perché più o menoimprevedibile”. DUCCI, Approdi dell’umano, p. 23.

In questo passaggio sono sintetizzate le ragionidi tutta la problematicità dell’educare su cui forteè il richiamo nei suoi scritti, consapevole del fattoche l’essere umano è inquietante e imprevedibile.In questa idea di uomo cristiana, infatti, l’irripe-tibilità è significata da energie primordiali delle(libertà, volontà, razionalità, creatività, affettività,spiritualità, avere la parola) che vanno guidate adirezionarsi per attuare il salto dalla pura possibi-lità al reale concretarsi in situazione esistenziale.Senza numero sono gli ostacoli, interni ed ester-ni, che ognuno deve fronteggiare per pervenire allaconquista della libertà interiore e celebrare così lapropria irripetibilità.

L’azione dell’educatore deve responsabilmenteguidare il processo facendo leva sul potenziale sen-za tuttavia invadere lo spazio vitale dell’altro epretendere esiti di sicura resa per securizzarsi delsuo operato. Uomo inquietante e imprevedibile,dunque, elementi non transitori, ma inscritti nel-la sua struttura ontologico-esistenziale dell’essereumano. Nella prospettiva cristiana, infatti, l’uo-mo non è visto semplicemente come enigma, macome mistero. Considerarlo un enigma, si preci-sa, vuol dire ritenere che forse qualche scienzaprima o poi ne darà la soluzione definitiva, è soloquestione di tempo; trovato il bandolo, tutto sidipana; ma se l’uomo è visto come mistero diven-ta inesauribile, più si scava e più si sente la profon-dità. Le soluzioni possono essere buone, ma sonosempre parziali e non tutte razionalizzabili: la di-mensione misteriosa va accettata, vissuta e lenta-mente decifrata, senza mai attendersi una soluzio-

ne razionale definitiva. Cfr. Approdi, pp. 31-32Questo aspetto di mistero non è scoperta di oggima, “è stata familiare ai grandi educatori”, anchese “loro non se lo ponevano in maniera espressa, ma,quasi naturalmente, lo perseguivano con cura”.

Riferendosi all’educazione alla mondialità di cuioggi tanto si parla sottolinea come, “l’estendersi diun immaginario diametro che perimetra il nostrovivere mette in luce nuove facce del mistero-uomo edel mistero convivenza umana, scuote e squassaacquisizioni serene o stagnanti, propone problemiinconsueti o ripropone quelli mai risolti”. DUCCI,Alcune emergenze educative in una società espansae in espansione, In AA.VV. “Cittadini del mondo.Educare alla mondialità”, Roma, Studium, 1999,pp. 129-130. L’uomo mistero, è facile intuire, nonsemplifica il compito né della teoresi pedagogica,né della pratica educativa, entrambe rese più com-plesse e poco securizzanti. I pericoli che il poten-ziale umano non venga riconosciuto nelle suevalenze proprie, e perciò non si accenda, possonoprovenire anche da un maldestro interventoeducativo. Non sempre di ciò si ha chiara consa-pevolezza. Chi vuol riflettere seriamente sull’edu-cativo, perciò, deve contribuire a snidare i perico-li e a far nascere le domande educative giuste. Laricerca di aiuto nei grandi autori risponde all’inte-resse di far luce su tali realtà.

L’interrogarsi continuo sul ruolo dell’educato-re rivela l’urgenza interiore di responsabilizzarsi eresponsabilizzare. Delicati e gravosi sono i com-piti dell’educatore. Tra i tanti identificati vorreirichiamarne primariamente due, da Edda menzio-nati, che mi sembrano esprimere al meglio l’ani-ma del suo impegno. Il primo è che “alla responsa-bilità dell’educatore appartiene anche una singolaregiustizia, verso il soggetto che gli sta di fronte, unagiustizia che non annulla le differenze ma le impie-ga primamente a favore del soggetto stesso”, Il se-condo è che “alla funzione di educatore appartieneanche il rendere l’altro interessato alla conoscenza ealla volontà di attuazione e di impiego del propriopotenziale. Sono compiti non appariscenti, ma inci-sivi e delicati”. Approdi, p. 23. Molte cose si po-trebbero dire relativamente a questi due doveri,ma il discorso si allargherebbe più del consentitonell’economia dell’insieme. Solo ancora qualchetratto, tuttavia, lo ritengo utile per centrare il pro-filo del maestro/educatore come Edda lo ha per-cepito, lo ha teorizzato e si è sforzata di viverlo.

La deontologia della professione educativa èefficacemente espressa da alcune brevi e incisivefrasi, rivelative di un pensare e di un esperire vita-

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le. Il problema dell’educare, scrive, è quello “diaiutare l’altro a diventare quel singolo che soltantolui può essere. Far sì che l’altro scopra quella vocazio-ne che è soltanto sua. Aiutarlo a trovare e a percorre-re il proprio unico cammino. A trovare il senso dellavita propria, quel senso che ne dice l’unicità”.

Quanto lavoro su se stesso e quale atteggiamen-to di distacco tale agire richiede si può ben intui-re: “L’educatore deve esserci e non esserci, essere pre-sente e attivo, ma non lasciare segni della sua presen-za, agire in senso proprio, ma i segni di tale agirenon devono segnare il prodotto dell’azione. È questaun’antinomia grande. Appartiene all’educazione ela segna; appartiene al senso più alto dell’essere uma-no”. Approdi, p. 32. Il mistero dell’unicità e irri-petibilità implica un compito immane per l’edu-catore, compito che non può assolvere dotato disolo strumentazione scientifica (saperi pedagogi-ci) ma richiedono una strumentazione soggettivache si conquista soltanto con l’esperire personale.

A tale esperire occorre essere iniziati. Si puòcontribuire a tale iniziazione se chi scrive sull’edu-cativo ha ben presenti i destinatari come pure lefinalità che intende perseguire. Sui destinatari lascelta è precisa: “Esplicito chi intendo per ipoteticodestinatario: chi ancora è o si sente educabile, chi sioccupa dell’educativo, anzitutto come problema per-sonale, chi non si rassegna alla spazio-temporalità perdire dell’umano, chi non dà l’umano per scontato maha ancora dubbi ed è capace di stupore, perché sa che ilsistema uomo non è concluso; ma soprattutto per imiei alunni”. Ibidem, pp. 16-17. Ben identificati gliinterlocutori, ma anche chiaramente espressi gliintenti: “parlare non tanto per fare la storia partico-lareggiata di tutto quanto ha preceduto l’inserimentoproprio, ma dire con chiarezza i punti da cui si parte,attribuirli dovutamente a chi spettano, e poi fare unpasso avanti, anche piccolo, altrimenti non giustificail bisogno di comunicare”. Ibidem p. 17.

Riferendomi a quanto precedentemente detto,i punti da cui la sua riflessione è partita e le veritàdi cui si è nutrita sono stati già accennati; rimar-rebbe da slargare il discorso sulle fonti, ma troppisarebbero i richiami da fare, impossibile tracciar-ne anche un essenzialissimo quadro sintetico. Si-curamente la preferenza non va primariamente agliesperti costruttori di modelli educativi, ma a que-

gli autori che maggiormente sono sensibili all’uma-no e hanno cercato di contrastare lo spreco diumanità dilagante. In un passo di rara efficacia dàvoce alla sofferenza dello spreco e ricorda il sensoforte dell’educare. Il pericolo di disumanizzaresenza accorgersene può essere favorito anche dauna riflessione specifica inadeguata per cui “nontanto nei trattati sistematici di filosofia o di pedago-gia, più spesso dalle opere di scrittori non comuniaffiora una tristezza profonda per lo spreco di uma-nità di cui si rende responsabile il nostro tempo. Tri-stezza condivisa da molti, anche dai tanti che non lasanno oggettivare e comunicare. E sullo spreco diumanità rintocca un mare di sofferenza”. Difficileelencare le tante forme in cui si concretizza la di-sattenzione all’uomo, non ultima quella assurdadi “risvegliare e volere l’umanarsi per convenienzeeconomiche o manageriali, secondando le leggi dimercato. Qui tutti ci si sente un po’ coinvolti e re-sponsabili; davanti a certe situazioni sembra di averperso tutti un po’ di umano, di senso, di cura e dipassione per l’umano: mattoni di un muro, monetespendibili all’interno del sistema o dell’istituzione,uomini deboli e muti di fronte ad una barca di in-giustizia amara, forse anche piccole prede di solleci-tazioni e promesse insignificanti. È un tutto che siimpone a chi ha cura dell’educativo e vi indaga condiligenza”. Ibidem, pp. 21-22. Un’analisi a sé me-riterebbe poi il richiamo al senso e al valore dellaparola nell’educare, per contrastare le tante formedi sciupio e di abuso attraverso cui si manipolanole coscienze di ogni età nell’era dell’informazio-ne. Allo studio di autori che centrano il problemacirca la valenza educativa della parola nell’uomoEdda ha dedicato gli anni più maturi della sua ri-flessione, scrivendo pagine di estremo interesse edi indubbia efficacia. In conclusione possiamo direche il mistero uomo, lo stupore per la sua gran-dezza e la coscienza avvertita della sua infinitaindigenza, il diritto insopprimibile di umanarsi ei tanti ostacoli, contro cui lottare senza sosta, chene minacciano la riuscita sono al centro del suoappassionato riflettere sull’educativo. E alla do-manda “perché educare” vorrei rispondere con lesue stesse parole: “Penso che si debba volere l’educa-zione anche soltanto per rinforzare l’uomo, perchése lo merita”. Ibidem pp. 35-51.

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Bullismo verbale: una realtà siciliana

CHIEL MONZONERicercatore a contratto di Linguistica italianaUniversità Telematica “Guglielmo Marconi”

ome afferma Dan Olweus – ricordiamoloancora una volta perché forse repetita iuvant– con il termine “bullismo” si intende quelcomportamento volto a prevaricare, vitti-

mizzare, esporre in modo continuativo una per-sona, che in genere è uno studente, ad azioni of-fensive da parte di un altro individuo o di più in-dividui, usualmente un compagno o più compa-gni di scuola. La persona che ne è vittima spesso ècaratterizzata da qualche forma di svantaggio (fi-sico, intellettivo, psicologico, ecc.), quindi è pocosocievole e vulnerabile, senza la forza caratterialee a volte anche fisica per affrontare la situazione eperciò risulta facilmente perseguibile da parte dichi prevarica, il/la quale – il fenomeno coinvolgesia maschi sia femmine – è in realtà un individuofragile, annoiato, alla spasmodica ricerca di sensa-zioni forti, impulsivo, che ha bisogno della vio-lenza per avere una identità e per imporsi affer-mandosi sugli altri.

Come si vede, si tratta di una interazione socia-le tra due o più persone che ha luogo in modoerrato, il cui solo scopo è quello di ferire delibera-tamente, e può aver luogo non solo fuori dallepareti domestiche ma anche dentro casa, diconogli esperti, e pure in altri ambienti. Anche in let-teratura la figura del bullo è stata considerata: sipensi ad esempio a Edmondo De Amicis, il qualecosì tratteggia in Cuore la figura di Franti: Tremadavanti a Garrone, e picchia il muratorino perché èpiccolo; tormenta Crossi perché ha il braccio morto;schernisce Precossi, che tutti rispettano; burla perfi-no Robetti, quello della seconda, che cammina conle stampelle per aver salvato un bambino. Provocatutti i più deboli di lui… Non teme nulla… è semprein lite con qualcheduno.

Oppure si pensi a Charles Dickens, a OliverTwist e alle prepotenze che questi subisce ad operadi un geloso Noah Claypole: deciso com’era a con-

Ccedersi questo divertimento innocente, Noah mise ipiedi sulla tovaglia, poi tirò i capelli a Oliver, glitorse le orecchie, gli diede del vigliacco (…) e lo irritòinfine con altre meschine malignità, da quel ragaz-zo perfido e villano che era.

Tornando al nostro argomento, del bullismo –si afferma – esistono varie forme:– verbale, nella quale la parola è lo “strumento” di

offesa (insulti, derisione, ecc.) – nella RechercheMarcel Proust parla invece di parole «che cessi-no di essere armi, mezzi di azione» –;

– psicologico, comprendente comportamenti cheportano all’esclusione della vittima oppure checonsistono nel diffondere dicerie sul conto del-la vittima;

– fisico, in cui la vittima viene aggredita o mole-stata fisicamente;

– elettronico, o cyberbullying, legato al perversouso di alcuni elementi della tecnologia (telefoni-ni, dispositivi informatici, web).

Inoltre si distingue tra:– bullismo diretto, che comprende i comporta-

menti messi in atto sulla persona della vittima(ad esempio spintonare, picchiare, ecc.);

– bullismo indiretto, che è quello realizzato àdistance, senza cioè il contatto fisico (per esem-pio diffondere dicerie sul conto della vittima).Di tutte queste forme quella che qui interessa è

quella verbale – forse più sottile ma non menodolorosa di quella fisica – e la si vuole evidenziaremettendo in luce una certa terminologia usata inSicilia, in particolare nella zona costiera della pro-vincia di Catania, e riferita ad aspetti sessuali. Lapersona che ne è vittima – di essa viene messa indiscussione l’identità sessuale e i relativi atteggia-menti – diviene oggetto di una serie di definizio-ni, o, meglio, epiteti, che denotano la cattiveria dichi li pronuncia. Il “florilegio” in questione è piut-tosto nutrito e anche la letteratura ne è conscia: si

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passa da forme un po’ più blande, “innocue” percosì dire, come ad esempio si màsculu o fìmmina?(il significato è evidente: ‘sei maschio o femmi-na?’) oppure chistu non è né màsculu né fìmmina(‘questo non è né maschio né femmina’) ad altrepiù “colorite” come fròciu, finòcchiu – ma perchéproprio finocchio e non ad esempio zucchina ocetriolo? Non è dato sapere… Si tratta pur sempredi ortaggi, no? Beh, a dire il vero il termine citròluin siciliano esiste, ma ha un altro significato –,aricchiùni (ossia ‘orecchione’) – Silvana Grasso inL’albero di Giuda usa il termine riportato nellaforma “ricchione”. Ci si chiede però quale sia ilprofondo nesso logico esistente con un orecchiogigantesco… Boh! –, pùppu (o pùrpu) ossia ‘poli-po’ – non si capisce cosa c’entri il polipo in quan-to animale… E perché, ad esempio, non calamaroo totano? Mah! Eppure sono tutti molluschicefalopodi... –, ad ulteriori espressioni ma più ar-ticolate – si noti la grande capacità di elaborazio-ne degli… “autori”, capaci non solo di usare sin-goli vocaboli – del tipo maliditta ’a virdura (‘ma-ledetta la verdura’) – dovrebbe essere una variantedi “finocchio” per cui si rimane in tema, trattan-dosi sempre di prodotti della terra si tratta, no? –e, piccola variante della variante, maliditta ’a na-tura (‘maledetta la natura’ e sottointeso “che cosìti ha generato”), con ovvio spregio della naturarea – ma Madre Natura non era benigna? Mah.Forse Giacomo Leopardi aveva proprio ragione nelritenerla invece matrigna… – di aver creato e mes-so al mondo una… “cosa” strana e abbietta comepuò essere un gay (per adottare una definizionepolitically correct). Accanto a queste locuzioni, aben vedere, il siciliano ne conosce altre, come adesempio garrùsu (o arrusu oppure ancora iarrusu)– è un arabismo e anche Andrea Camilleri lo usanella forma di “garruso” – e bardàsciu – il poetacatanese Domenico Tempio (1750-1821) ne fa uso,nella forma italiana “bardassoni” (plurale accresci-tivo di “bardasso”), in un suo componimento –,ma sono tipiche di altre zone della Sicilia (ad esem-pio del palermitano).

Al di là dell’etimologia e dell’ironia – sì, c’èspazio anche per questa nonostante il bullismosia un fenomeno sociale grave –, resta il fatto chetutte queste dizioni hanno un’unica raison d’être– rientra nella casistica ufficiale –: offendere, met-tere in ridicolo, denigrare, umiliare, perseguitaree altro ancora il destinatario di essi, il quale fini-sce con l’accettare come “normale” o, peggio,

come “fatalità” la différence di cui è portatore e lesofferenze che per tale motivo gli sono inflitte dalbullo, che peraltro non si accorge delle conseguen-ze del suo comportamento. Le quali, già gravi perse stesse, lo diventano tanto più se si considerache esse coinvolgono le fasce più giovani della so-cietà, quelle che guideranno il mondo di domani,le cosiddette “leve del futuro”. Se già questi sono icosiddetti “chiari di luna”, che cosa ci aspetta?Senza poi dimenticare, fra le varie conseguenze, ladiffamazione che ne segue. E tutto ciò talvoltaavviene a torto, trattandosi solo di maldicenze, difalse voci sul conto della vittima che vanno a se-gno comunque, sicché risulta in seguito moltoarduo recuperare la dignità personale.

Come dice un proverbio siciliano: ietta ‘n pugnudi farina: aricògghila. È chiaro il senso di questametafora: come la farina sparsa al vento è impossi-bile da recuperare, così la calunnia diventa impos-sibile da eliminare una volta detta. Al di là di ogniretorica religiosa, purtroppo si dimentica spessis-simo di quanto è indicato nel Vangelo relativamen-te alla ben nota trave nell’occhio e risulta più faci-le guardare agli altri che non in se stessi e puntareil dito su caratteristiche altrui, anche presunte enon verificate. Ma anche se fosse vero e perciò aragione, cioè che la persona destinataria fosse re-almente omosessuale, ciò non giustifica e restasempre molto più facile giudicare. D’altronde ibulli hanno la memoria corta oltre che una capa-cità di raziocinio alquanto compromessa. Ma an-che questo rientra nella casistica: il bullo non sidistingue certo per essere un individuo intelligen-te e corretto.

L’esperienza siciliana qui sopra riportata, conla sua terminologia, non è che un esempio in quelmare magnum che è il bullismo. Al di là del dia-letto – o lingua, considerato che gli studiosi han-no pareri discordi – usato, una porzione della so-cietà mostra segni di squilibrio a livello personalee relazionale, convinta della propria superiorità epreda di deliri di onnipotenza e “in diritto”, qua-si, di schiacciare l’altro, colui che non rientra ne-gli “schemi” che la società di oggi, come quella diieri, impone. Come se la diversità, di qualunquetipo, fosse un difetto e giammai – magari? – unvalore positivo. Invece bisogna essere tutti uguali,omologati, come se fossimo stati costruiti in se-rie, senza differenze di sorta – è il concetto di “sog-getto-massa”, e anche di “pensiero unico”, che pre-vale su quello di “soggetto-persona”, come affer-

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ma Don Mario Ferracuti –. Insomma il bullismoè il frutto di una società ancora priva di una cultu-ra della diversità che consenta la promozione del-la dignità dell’altro, in cui le regole del vivere civi-le e i valori etico-sociali non sono così diffusi; diuna società che tollera violenza e sopraffazione,noncurante delle conseguenze che possono mani-festarsi nella vittima una volta divenuta adulta –fra le varie: difficoltà relazionali, depressione,manie di persecuzione, tendenza a comportarsiessa stessa in modo prepotente, senso di inadegua-tezza, ecc., ivi compresi eventi di morte –; di unasocietà che liquida i comportamenti scorretti conespressioni riduttive del tipo “ragazzate”, “goliar-date”, “non sono [i bulli] pericolosi”, ecc., qualisinonimi del rifiuto di vedere la duplice realtà,manifesta e nascosta, che sta dietro ai fatti “bul-listici” tout court: al di là di questi ultimi infattimolto spesso esistono, celati, legami con il vanda-lismo, il teppismo se non anche con la criminalitàgiovanile, tutti comportamenti connessi con pre-cise e individuabili situazioni di disagio dovute amotivi diversi come ad esempio i problemi carat-teriali, il contesto familiare, le difficoltà economi-che, l’insicurezza, ecc. – ma Benjamin Constantin riferimento al protagonista di Adolphe direbbeche «le circostanze son poca cosa, il carattere ètutto» –; di una società in cui i pseudovalori più…“trendy” sono veicolati dai mass media, dal dina-mismo esasperato che ci vuole tutti belli, perfetti,scattanti e di successo – anche le recentissimeOlimpiadi cinesi lo hanno dimostrato – e da unacerta conseguente mentalità che distingue gli in-dividui tra vincenti e perdenti; di una societànichilista in cui l’essere umano ha perso il pro-prio “senso” – così affermano Friedrich Nietzsche,Karl Jaspers e Martin Heidegger – e nella quale laglobalizzazione, uniformando la riflessione anchepedagogica, ha aggravato lo stato di smarrimentoin cui l’uomo già versa – è il pensiero di JacquesMaritain –. Come è evidente, tutto questo è tipi-co della società moderna, tecnologica e avanzata:che sia un altro aspetto di quella liquidità di cuiparla Zygmunt Bauman? Questa sembra ormaiessere la realtà cristallizzata, ma forse non è il casodi avere una visione così pessimista: a detta degliesperti, infatti, un risultato potrebbe essere a por-tata di mano e cioè quello di “smontare” quegliagents provocateurs che sono i bulli facendoli di-ventare dei bravi ragazzi. Per riuscire in questo lastrategia – ottima, stando a quanto si afferma –

prevede un attacco su più fronti che faccia loromancare il “terreno” sotto i piedi e che compren-de vari percorsi fra i quali ad esempio:– parlare sempre più diffusamente del fenomeno

“bullismo”, per conoscerlo meglio affinché, daun lato, la vittima sappia di non essere sola e,dall’altro, si sviluppi una cultura della solida-rietà verso chi è più debole;

– utilizzare la recitazione come “cura”, nella qualelo scambio dei ruoli possa, pur nella finzione,consentire soprattutto al bullo di comprenderecosa prova la vittima;

– sanzionare il bullo e obbligarlo a fare delvolontariato, in modo da metterlo di fronte asituazioni di sofferenza e indurlo a far emerge-re il suo lato migliore;

– adottare metodologie educative come ad esem-pio il circle time o la peer education oppure stru-menti tipo la bully box;

– fare dello sport: sia quello che permette di sfo-gare le energie del corpo, sia quello, come adesempio le arti marziali, che implica una disci-plina che è al contempo sportiva, personale edetica.La strategia in questione sembra essere vincen-

te, ma è pur vero che occorre nel frattempo ancheimparare a difendersi dal bullo: verbalmente, fisi-camente e magari usare tattiche di fine psicologia.

La speranza è che pure coloro che sono “diver-si” possano avere il diritto di… cittadinanza nelmondo, il diritto, quasi, di essere l’altro senza do-versi sentire minacciati, fisicamente e/o psicolo-gicamente, o “definiti” in uno dei tanti modi indi-cati nelle righe che precedono – ovviamente laquestione va ben oltre il siciliano, che se si vuole èsolo un particolare, e investe quel bisogno (e ildesiderio) di riconoscimento e di tutela della pro-pria identità e dignità che è fondamentale affin-ché si abbia un armonico sviluppo della persona-lità –. Forse è solo un’utopia voler credere nel ri-spetto delle differenze, nel riconoscimento reci-proco. O forse no: la speranza, come si sa, è l’ulti-ma a morire.

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Lupi e agnelli:educare a riconoscere e riconoscersi

GABRIELLA D’AGOSTINODottore di ricerca - Università di Bari

uando il mondo degli adulti non sa ascol-tare ed interpretare la voce che provienedai bambini, dagli adolescenti e dai giova-ni e non sa proporre modelli culturali, so-

ciali ed educativi capaci di rispondere alla profon-da esigenza di riconoscimento della singola perso-na, allora si smarrisce il valore del dialogo interge-nerazionale e dell’impegno di chi ha il compito diguidare e di prendersi cura delle giovani genera-zioni.

L’educazione, processo di promozione perso-nale e socio-culturale

In una società come quella attuale, che ha modifi-cato i quadri valoriali di riferimento nella direzio-ne di un individualismo esasperato e di conseguen-za ha adottato condotte comportamentali caratte-rizzate dalla ricerca dell’affermazione personale ascapito dell’altro, si è andata progressivamentesfilacciando quella rete di relazioni che lega i mem-bri di una comunità attraverso un rapporto di aiu-to e di sostegno reciproco, di solidarietà e di coo-perazione, di assunzione della responsabilità ver-so se stessi e verso gli altri. Ed è proprio l’indivi-dualismo nelle sue forme deteriori dell’egoismo,della chiusura in se stessi, dell’esaltazione perso-nale incapace di cogliere il significativo valore del-l’incontro con l’altro, a rendere possibile che laviolenza, la sopraffazione, la prevaricazione, di-ventino i modelli culturali e sociali dominanti erappresentino, in un periodo di crisi della fami-glia, della scuola, dei contesti di aggregazione so-ciale, un’errata forma di affermazione dell’identi-tà personale. In tal senso, la predominanza di si-gnificati e di comportamenti incapaci di valoriz-zare l’uomo nella sua ontologica singolarità che sinutre dell’incontro con l’altro, costituiscono ilpunto da cui partire nella riflessione sul ruolo del-

Ql’educazione nella ricostruzione di un tessuto so-ciale e culturale che ponga il soggetto al centrodella propria attenzione.

I disagi che caratterizzano i nostri tempi e chesi manifestano nei comportamenti dei giovani ein fenomeni sociali come il bullismo, costituisco-no una chiave di lettura nell’assunzione di un im-pegno educativo comune e trasversale nella pro-posta di modelli di pensiero e di azione orientatialla “valorizzazione” della persona.

Di fronte ai numerosi episodi di bullismo, ri-presi e diffusi dagli stessi ragazzi su internet, nuo-vo contesto di dialogo e scambio, il mondo degliadulti, difatti, non può più continuare a far fintadi non vedere ed è chiamato con forza ad interro-garsi sul contributo che una comunità, nella di-versità dei singoli soggetti di cui si compone, puòapportare alla crescita del singolo come dell’inte-ra collettività. Genitori, docenti e l’intera comu-nità sociale, nella specificità dei propri ruoli, de-vono riflettere sulle ragioni che conducono taligiovani ad esprimersi e a comunicare con il mon-do attraverso atti di bullismo, al fine di avviare unprocesso di superamento del problema e ricostru-ire una rete di relazioni significativa che restitui-sca ad ognuno la responsabilità dei propri compi-ti e delle proprie azioni. Non può essere, difatti,ignorato il comportamento di una consistenteparte dei giovani delle società attuali che utilizzala violenza, la forza, la prepotenza per relazionarsicon gli altri e non si può non riflettere sul falli-mento che il mondo degli adulti ha conseguitonella guida delle giovani generazioni.

E allora un fenomeno che viene spesso sottova-lutato e scambiato con la semplice espressione del-l’aggressività, intesa come una componente chefa parte della storia evolutiva di ogni soggetto, di-venta un grido di aiuto e manifesta un disagio eun malessere che attraversano l’intera società e in-terpellano di conseguenza, il mondo dell’educa-

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zione e ogni uomo sul ruolo e sul contributo chepuò fornire al superamento di tale problematica.La risonanza che gli atti di bullismo hanno avutoin ambito sociale nel momento in cui sono statipubblicizzati dai suoi stessi attori e sono stati fatticircolare sulla rete internet, nella forma del trofeovinto schiacciando i più deboli, ha determinatooggi, una presa di coscienza dell’emergenza delfenomeno e della sua necessaria presa in carico daparte di tutti coloro che hanno compiti educativi.

La scuola come la strada sono i luoghi dove siregistrano tali episodi ed è a partire da una presadi coscienza del loro dilagare che è possibile av-viare un’azione di prevenzione e di “cura”. In talsenso, la conoscenza della fenomenologia delbullismo, la precoce individuazione dei casi e larelativa presa in carico, consente di progettare in-terventi di carattere educativo in grado di avviareun circolo virtuoso di ricostruzione dei valori disolidarietà, cooperazione e aiuto reciproco.

La scuola, essendo uno degli ambiti vitali deisoggetti in formazione, costituisce lo specchio delledinamiche relazionali che essi mettono in atto equindi anche il luogo dove è possibile modificar-le; e proprio in ragione della significatività delleesperienze che al suo interno possono realizzarsi,costituisce il contesto privilegiato da dove far par-tire un’azione di riqualificazione, in termini disignificati-valori capaci di orientare le azioni per-sonali e comunitarie. In tal senso, vanno messi inatto processi di educazione/formazione rivolti nonsolo al singolo, ma anche all’intera comunità delterritorio in cui vive. La comunità scolastica difatti,in ragione del suo ruolo educativo di promozionedella persona, ma anche in relazione alla sua fun-zione di promozione sociale, non può non assu-mere l’impegno di operare un cambiamento neisingoli come nelle comunità, orientato nella dire-zione dell’acquisizione di modelli di pensiero e diazione caratterizzati dalla solidarietà, dal rispettodell’altro e delle differenze, dalla cooperazione edall’aiuto reciproco.

L’esercizio di tali valori costituisce il modo persuperare le situazioni di disagio che avvertono isingoli ed intere comunità territoriali in cui il fe-nomeno del bullismo è particolarmente presente.Questo implica che l’educazione esca dalla crisiche ha avvertito nel periodo della post-modernitàe riconquisti una posizione centrale e strategicanella vita di ogni soggetto. I contesti educativipertanto, devono riappropriarsi del ruolo di pro-

mozione personale e sociale, in modo da inciderepositivamente nella costruzione di un nuovo sfon-do etico-valoriale.

I modelli culturali e sociali dominanti basatisul successo a tutti i costi, sulla violenza fisica everbale, sulla sopraffazione del vincente rispetto acolui che sarà sempre considerato un perdente,della prevaricazione sul più debole e sul diverso,su una distorta affermazione di sé attraverso l’umi-liazione dell’altro, vanno sostituiti con quelli chericonoscono il valore dell’incontro, della solida-rietà, del dialogo e della partecipazione.

I processi educativi rappresentano la preziosaoccasione per l’affermazione e l’esercizio di talivalori e la via privilegiata per la costruzione di unclima culturale che ponga il singolo soggetto e lacomunità sociale come “fine” e mai come “mez-zo/strumento”.

Identità e bisogno di riconoscimento

La riflessione fino ad ora condotta, ha posto imodelli culturali e sociali basati sulla violenza, sullaforza, sulla sopraffazione come sfondo di dis-va-lori all’interno del quale hanno origine e si mani-festano gli atti di bullismo. Interrogarsi sui quadrivaloriali che esplicitamente e/o implicitamenteorientano le nostre azioni costituisce una chiavedi lettura nell’interpretazione della problematicae un passaggio nella individuazione di possibilisoluzioni. Pertanto, in un clima sociale e cultura-le inquinato da significati che disorientano l’uo-mo, l’educazione costituisce l’ambito che può dareinizio ad un profondo cambiamento e proprio conriferimento alla sua funzione di promozione per-sonale e sociale rappresenta l’occasione per rico-struire una rete di significati-valori che si muova-no in tale direzione. Promuovere il singolo sog-getto significa rispondere alla profonda esigenzadi riconoscimento che ogni identità avverte nelprocesso permanente di costruzione identitaria.Questo significa che esiste uno stretto rapportotra identità e riconoscimento. Quest’ultimo,difatti, può essere definito nei termini di un biso-gno umano vitale, che va connesso alla formazio-ne dell’identità. Il mancato riconoscimento o il“misconoscimento” può determinare un danno alsingolo o ad un gruppo di persone e lacerare ilpercorso identitario che si avvale proprio delleimmagini che il singolo costruisce di sé e che gli

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altri ci restituiscono come di fronte ad uno spec-chio.

L’identità è il risultato delle relazioni che in-stauriamo con tutto ciò che altro rispetto a noi,per cui se al bisogno di essere riconosciuti, si ri-sponde con il riconoscimento dell’ontologicavalorialità di ogni uomo, allora è possibile rico-struire modelli di pensiero e di azione che, pro-prio in ragione della valorizzazione di ogni uomo,sostengano la solidarietà, la cooperazione, l’aiutoreciproco. Al contrario se i contesti di vita delsoggetto propongono significati che vanno nelladirezione della mortificazione dell’altro uomo, sidetermina uno corto circuito nella relazione cheannienta entrambi i soggetti.

Axel Honneth offre un’interessante lettura delriconoscimento individuandone le forme consi-stenti nell’amicizia e nell’amore con riferimentoalle relazioni primarie, nel diritto con riferimen-to alle relazioni giuridiche, nella solidarietà conriferimento alla comunità etica.

Queste tre forme vengono poste in rapportocon i diversi tipi di autorelazione quali la fiduciain sé, il rispetto di sé, l’autostima. Dalla sua anali-si la solidarietà viene quindi, collegata al presup-posto dell’esistenza di un rapporto sociale di sti-ma simmetrica tra soggetti che sanno “considerar-si vicendevolmente alla luce di valori che fannoapparire le capacità e le qualità dell’altro come si-gnificative per la prassi collettiva”. Questo signifi-ca che i rapporti caratterizzati dalla solidarietà eche vanno sostenuti nell’intento di superare sche-mi comportamentali basati sulla sopraffazione,non rappresentano un esempio di relazionalitàpassiva, ma di relazionalità costruttiva dove adognuno, a gradazioni e con tonalità differenti, èconsentito di esprimere se stesso e di rendersi pre-zioso per l’intera comunità.

Al contrario, le forme di misconoscimento ven-gono individuate, a livelli diversi, nel maltratta-mento e nella violenza, nella privazione dei dirit-ti e nell’esclusione, nell’umiliazione e nell’offesa.La realizzazione di esperienze di riconoscimento

o di misconoscimento, acquisite per via intersog-gettiva, costituiscono un passaggio obbligato nel-la costruzione dell’identità personale. In tal sen-so, coloro che adottano comportamenti impron-tati alla violenza e al maltrattamento o che li subi-scono, manifestano un’identità che non sa rico-noscere e non sa riconoscersi, un’identità laceratae che crea lesioni negli altri.

Nelle dinamiche di bullismo è possibile rico-noscere la mancanza di modelli positivi di riferi-mento, un difficile percorso di costruzioneidentitaria, un mal posto tentativo di affermazio-ne di sé, una mancata relazione dialogica. La co-struzione dell’identità è un viaggio che ci inter-pella in modo profondo e segue la strada della re-lazione, che può diventare distruzione dell’altroo confronto dialogico e narrazione interpersonale.

Il bullo non è colui che ha una bassa stima di séo una cattiva percezione di sé e così anche l’im-magine che gli altri hanno di lui non è negativa;questo significa che il bullo, ma anche coloro chenell’indifferenza o nella partecipazione indirettane sostengono l’azione, hanno strutturato la loroidentità avendo come riferimento un quadro disignificati differenti che ne giustifica la validità. Ildesiderio di riconoscimento allora, si può trasfor-mare nell’affermazione di sé ottenuta schiaccian-do e disprezzando l’altro e invece di concorrerealla formazione di un’identità sana che si nutredel dialogo e dell’incontro con l’altro, diventa uninsopprimibile suono che allarma.

Allora all’educazione va consegnato il compitodi avviare processi di riconoscimento che solleci-tino il soggetto a riconoscere e a riconoscersi intermini positivi e a formare un’identità dialogicacapace di gestire anche il conflitto attraverso ilconfronto leale e costruttivo.

La relazione basata sul riconoscimento recipro-co diventa in tal modo un’esperienza educativache arricchisce entrambi i protagonisti ed apre allacostruzione di una comune arena di dialogo dovenon esistono più né leoni, né lupi ed agnelli.

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termini di questo studio si legano a interes-si culturali riguardanti la diffusione degliesiti della teoria darwiniana che suscitanocuriosità e anche perplessità per l’idea che

l’uomo derivi da una scimmia e che sia “in defini-tiva nient’altro che un animale”(A. McGrant, Dioe l’evoluzione, 2006).

Nei vari incontri culturali cui ho partecipato epartecipo, nelle discussioni sempre più frequenticon l’amico e maestro Donato Dente e con ledott.sse Genoveffa Rodia e Annemilia Ciliberticollaboratrici nei corsi universitari da me tenutipresso l’Università di Salerno, intorno alla tesidell’ideatore dell’evoluzionismo e dei suoi epigoni,abbiamo cercato di capire fino a che punto rap-presentino una minaccia reale alle consolidate con-vinzioni religiose o possano svuotare di qualsiasimerito l’antropologia culturale che ha accompa-gnato ed accompagna la formazione di generazio-ni di persone.

In questo studio ho affidato alle dott.sse Rodiae Ciliberti il compito di curare la bibliografia infunzione del problema di cui sopra. Nelle discus-sioni, per esempio, si sottolinea che l’evoluzioni-smo “oltrepassa” i limiti di una ipotesi puramentescientifica e invade ambiti di pensiero che tradi-zionalmente “fanno parte della ricerca filosoficae/o religiosa”. Abbiamo subito capito che quelpoco che conosciamo non ci consente di valutareil pensiero prevalente, secondo il quale, il princi-pio del darwinismo ha assunto, nella sua generali-tà, un carattere rivoluzionario tanto da mettere incrisi la tradizione cristiana dell’uomo e della na-tura e proporre una nuova “sconvolgente” visionedel mondo.

Tanto ci ha indotto ad approfondire le teo-rizzazioni sulle trasformazioni della specie, com-presa quella dell’uomo; sull’idea che l’uomo deri-vi da una scimmia; sulla selezione naturale, quasiuna sorta di lotta hobbesiana tra atomo e particel-le diverse per assicurarsi la sopravvivenza; sul caso,

come la provvidenzialità della natura; sul concet-to dell’uomo come fenomeno di un cieco biolo-gismo, senza alcuna discontinuità metafisica, perripetere Maritain.

Queste ed altre idee ora ci ronzano nel pensie-ro non certo come “nefaste” riduzioni intellettua-listiche che comunque non suscitano condizionidi incertezze ed ipotesi nichiliste. Di fatto, ora, ilmodello darwiniano non è estraneo alla nostracomprensione anche se non possediamo un’ade-guata formazione scientifica e non pensiamo al-l’evoluzionismo come una costruzione artificialeche si affanna solo a negare l’idea cristiana del-l’uomo come persona, secondo quanto suggeritodal “dogma rivelato”.

Rimane in noi la certezza, un’opportunità deivalori che interessano la vita del singolo, delle fa-miglie e delle istituzioni civili, che orientano tut-to l’esistere e l’agire nella prospettiva di un sensoultimo di questo esistere e di questo agire.

La questione darwiniana è presente nel nostropensiero e nella nostra prospettiva di studio e diricerca come un impegno nel voler raggiungereun’acquisizione di sapienza complessiva sul pro-blema, più chiara e più ampia possibile senza lapretesa di confutare la teoria darwiniana, usandoil linguaggio e le categorie della ricerca empirico-scientifica che decisamente non possediamo.

Le nostre letture sono state orientate verso glistudi storico-filosofici, cominciando dalla storio-grafia del “precorrimento” proprio del naturalismodei “primordi” filosofici e ricominciando, conimpegno e attenzione maggiori, alla lettura dellametafisica di Aristotele e dei frammenti dei preso-cratici, nel cui pensiero, si rinvengono le princi-pali motivazioni che hanno assillato pensatori diieri e che agitano quelli di oggi.

Di fatto si sa che la mente umana ha ricevuto ilnobile destino dopo aver conquistato la coscienzadi sé attraverso l’acquisizione culturale nel corsodi milioni di anni, di darsi come perenne ricerca,

L’evoluzionismo.Una questione aperta

FRANCESCO NACCI, GENOVEFFA RODIA, ANNEMILIA CILIBERTIUniversità di Salerno

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una spiegazione delle cose al fine di diradare il piùpossibile le tante ombre che circondano la com-plessità della realtà. La spiegazione scientifica diun evento, per esempio la scoperta del fuoco, harichiesto l’esperienza di milioni di anni. Strofina-re due pietre e accendere il fuoco è ben poca cosarispetto al capire, in un rapporto di causa ed effet-to, che non è il semplice strofinio di due pietrema è lo strofinio di due pietre silicee che consentel’accensione del fuoco. Il passaggio da una spiega-zione magica, quando in un determinato luogo ilfuoco si accendeva con lo strofinio di due pietre,mentre non si riusciva ad accenderlo in luogo di-verso, a una spiegazione scientifica per cui, il fuo-co si accendeva solo con lo strofinio di due pietresilicee, si basa su un’acquisizione culturale che harichiesto l’accumulo di conoscenze nel corso dimilioni di anni, tipico di una mente che tramite leconoscenze si è strutturata scientificamente.

Ma questo destino continua a suscitare la cu-riosità e la meraviglia che producono lo spuntoper il filosofare poiché “come dapprincipio, essi(gli uomini), si stupiscono dei fenomeni che sonoa portata di mano” (spiegazione magica) trovan-dosi, dice ancora Aristotele “di fronte a maggioredifficoltà” giacché, lo ha sottolineato P. Daviesnell’opera La mente di Dio, il senso della nostra vitanell’universo, 1993, “nessun pensiero razionale puòafferrare la verità”, senza comunque significare cheil ragionamento metafisico è privo di valore.

A questo punto va chiamato in causa P. Davies,professore di fisica teorica all’università di Newca-stler Upon Tyre. Egli ha scritto: “Dobbiamo adot-tare l’approccio dell’ateo pratico che si acconten-ta di dare per scontato l’universo e tira avanti sen-za catalogarne le proprietà”. Non c’è dubbio chemolti scienziati siano ostili per temperamento adogni forma di argomento metafisico, e a maggiorragione mistico, essi disprezzano l’idea che possaesserci un Dio o anche un principio creativo ofondamento dell’essere impersonale che sottendala realtà e renda meno brutalmente i suoi aspetticontingenti. Personalmente non condivido que-sto disprezzo”.

Aristotele, nella Metafisica, a proposito della co-noscenza filosofica, ha scritto: “Pertanto in base atutte le nostre precedenti considerazioni risulta cheil nome su cui stiamo conducendo l’indagine rien-tri nell’ambito della medesima scienza, poichéquesta non può fare a meno di contemplare i pri-mi principi e le prime cause. E il bene, ossia ilfine, è una delle cause. Che essa non sia una scien-za produttiva risulta con amarezza anche da qual-

che considerazione su quelli che diedero inizio allariflessione filosofica; infatti gli uomini, sia nelnostro tempo sia dapprincipio, hanno preso dallameraviglia lo spunto per filosofare, poiché non sistupivano dei fenomeni che erano a portata dimano e di cui essi non sapevano rendersi conto ein un secondo momento, a poco a poco, proce-dendo in questo stesso modo si trovarono in mag-giori difficoltà quali le affezioni (eclissi) della lunae del sole e delle stelle e l’origine dell’universo”.

“Anche se molte teorie metafisiche e teisticheappaiono puerili o artificiose, non sono più as-surde, non in modo evidente, della convinzioneche l’universo esista, esista in questa forma, senzaragione. Vale quanto meno la pena di tentare dicostruire una teoria metafisica che riduca in partel’arbitrarietà del mondo, intesa come un sistemachiuso completo di verità logiche, è quasi certa-mente impossibile. Siamo esclusi dalla conoscen-za ultima per opera di quelle stesse regole del ra-gionamento che ci predispongono a cercare unasimile spiegazione”.

Se vogliamo andare più in là dobbiamo adotta-re un concetto di comprensione diverso da quelladella spiegazione razionale, e forse, la via misticaporta ad una comprensione di questo genere. Per-sonalmente non ho mai avuto un’esperienza mi-stica, ma riguardo al valore di tali esperienze houn atteggiamento aperto. Forse ci aprono l’unicavia che vada oltre i limiti ai quali ci possono por-tare la scienza e la filosofia, l’unico percorso pos-sibile verso l’uomo”. È un ragionamento questodi P. Davies che suggerisce molte cose per la com-prensione che l’universo, di cui l’uomo “costitui-sce” parte essenziale della sua organizzazione e nonessere un incidente insensato. Una maggiore at-tenzione a questo pensiero potrebbe ridimensio-nare le cerimonie del cosiddetto “Darwin Day”.

E P. Davies continua il suo ragionamento: “Latesi centrale che ho esplorato in questo libro diceche, attraverso la scienza, noi esseri umani siamoin grado di comprendere almeno in parte dei se-greti della natura. Abbiamo decifrato una partedel codice cosmico. Perché sia accaduto, perchél’Homo Sapiens abbia in sé una scintilla di razio-nalità che gli dà la chiave dell’universo resta unprofondo enigma. Noi, figli dell’universo, polve-re di stelle animate, nonostante possiamo riflette-re sulla natura dell’universo stesso e perfino intra-vedere le regole che lo fanno funzionare. Comesia nato il nostro legame con questa dimensionecosmica è un mistero, ma il legame stesso non puòessere negato. Che significa tutto questo? Che co-

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s’è l’uomo per partecipare di un simile privilegio?Non posso credere che la nostra presenza in que-sto universo sia solo un gioco del fato, un inciden-te della storia, una battuta casuale del grande dram-ma cosmico.

Il nostro coinvolgimento è troppo intimo: laspecie fisica Homo può anche non contare nulla,ma l’esistenza della mente in un organismo di unpianeta dell’universo è sicuramente un fatto diimportanza fondamentale. L’universo ha genera-to attraverso degli esseri coscienti, la consapevo-lezza di sé: non può essere un dettaglio banale, unsottoprodotto secondario di forze cieche e senzascopo. La nostra esistenza è stata voluta”.

Anche E. Gilson ci lascia un avvertimento: “Èmeglio seguire la via modesta e precedente dellasaggezza. È da essa, semper antiqua, semper nova,che nascono le giovani verità”. Ritorniamo a P.Davies. Il suo pensiero sgombera il campo dai tantiequivoci di adattamento che connotano il confron-to sui temi, oggi così vivi, tra “natura e creazio-ne”. Questi temi sono una preziosa testimonian-za di saggezza e di intelligenza scientifica, con in-teressanti sottintesi filosofici-teologici di grandeprospettiva allorchè si puntualizza che “la nostraesistenza è stata voluta”.

Si ha che Davies spiega le origini dell’universo“il tempo, persino il senso della vita umana sullaterra”, questioni che la scienza contemporaneadiscute. Con la semplicità del grande divulgatoreegli dice come “siamo giunti ad intravedere quellache, a seconda delle nostre convinzioni, possia-mo definire storia generale dell’universo o la mentedi Dio”. Con la semplicità del grande ricercatoreegli ci suggerisce che se si vuole recuperare il sen-so della realtà bisogna allargare i confini della ra-gione e che è necessario porre al centro della ri-flessione la ricerca metafisica che può diventarericerca dell’uomo.

Su questa linea è L. Clavell (Il silenzio di Dio el’incontro con Dio). Egli scrive: “È una dimensio-ne che è assolutamente centrale per l’antropolo-gia è che essa non si può coerentemente fondaresenza la metafisica, altrimenti si impedisce di co-gliere la dimensione morale dell’uomo. Così comel’immagine scientifica del mondo non parla delCreatore, anche l’uomo privato della moralità, nonrimanda più a Dio. La concezione dell’uomo comeicona o immagine di Dio viene eliminata, la per-sona come singolo di fronte a Dio di Kierkegaardo come interlocutore di Dio per l’eternità del fi-losofo spagnolo Carlos Cardona, è sparita. All’uo-mo viene tolta la sua causa finale, il suo fine che è

la visione di Dio. Così la sua intelligibilità restamolto limitata, in quanto si prescinde dalla causae dal fondamento più importante che il fine, che èla causa delle cause”.

Davies e Clavell sembrano disposti a combat-tere l’antica unità della conoscenza, divisa dai tem-pi di Galilei, tra la ricerca scientifica e quella filo-sofico-religiosa, al fine di rendere plausibile l’af-fermazione di Wittgenstein che i fatti del mondosono insufficienti a spiegare il nostro esistere e ilsenso profondo della vita.

Oggi in un universo così poco saggio nel qualevive diffusa la crisi delle essenze, cioè delle ideeche hanno costituito il tessuto della civiltà e si dif-fonde l’idea nichilista come “l’unica chance” del-l’uomo libero (Vattimo); quanti sono coloro chesi rendono disponibili a riconoscere alla filosofiae alla teologia il diritto di credere, pensare e com-prendere il millenario problema del rapporto trafede, pensiero filosofico e ricerca scientifica secon-do i propri principi e convinzioni? È un proble-ma che oggi va sempre più acquistando un’attua-lità sconvolgente giacché la situazione contempo-ranea è punteggiata in profondità dalla crisinichilista di tutte le fedi, di ogni valore e di ognisenso.

Il discorso di Aristotele circa il sorgere dellafilosofia di cui prima abbiamo fatto cenno ricom-pare costante nell’esperienza umana e culturale diogni giorno. Il suo oggetto non è più quello deglialbori del pensiero filosofico giacché, è A. Rigo-bello (Perché la filosofia, 1988) che parla “la suaidentità è legata al divenire alle diverse condizionidi vita, ai campi di indagine sempre più affinati especifici. Lo stupore oggi riguarda l’uomo stessoche interroga, con domande radicali, le nuove su-perstizioni, lo scientismo, il funzionalismo esclu-sivo, l’uso ideologico del potere” e richiamandoancora Davies, “che cosa è l’uomo, come sia natoil suo legame con la dimensione cosmica, miste-riosa, ma evidente” ci fa affermare che “la nostraesistenza è stata voluta”.

Ecco la necessità della domanda metafisica so-stenuta dagli autori più autorevoli. Dario Antiseri(Credere dopo la filosofia del secolo xx, 2000) aggiun-ge “Il linguaggio della scienza è un tessuto in co-stante evoluzione di concetti, teorie, applicazionirivolte al mondo dei fatti empiricamente control-labili. La scienza non vieta la domanda metafisicao il linguaggio religioso. Il discorso della trascen-denza viene piuttosto proibito dallo scientismonelle sue varie forme: materialismo, positivismo,marxismo, neopositivismo, strutturalismo ecc.

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L’oggetto d’indagine della ricerca scientifica èla realtà empirica, tutta la realtà empirica. Ma sela realtà empirica sia il o non il tutto della realtànon è una domanda cui la scienza possa risponde-re. é questa una domanda legittima, ma legittimafuori dalla scienza”. Il ragionamento è chiaro. Al-lora perché gli scienziati della realtà in linea gene-rale sono così ostili alla ricerca metafisica di filo-sofi e teologi? Perché si affannano a negare unapossibile ricerca intesa a dare un senso alle eterneleggi naturali che essi scoprono essendo preesistentialla scoperta medesima? Perchè non sanno o nonvogliono comprendere che la filosofia con il ri-chiamo a ciò che è assoluto ci aiuta se non altro avincere quella malattia mortale dell’occidente cheè la stanchezza? Perché non capiscono che essarende sempre e di nuovo problema ciò che si ritie-ne consuetudine e conquista risvegliando in talmodo la ricerca della verità e della libertà? (cfr. A.Rigobello, op. cit.) Perché, per quali fini, non vo-gliamo ammettere che la scienza non può vietaredi credere, che essa ci dice come è fatto il mondo,ma non può spiegare perché esso esiste e qualesenso è il suo?

D. Antiseri, nell’interessante libro appena ci-tato, sottolinea che la scienza ci dice come è fattoil mondo, con la domanda metafisica (perché l’es-sere piuttosto che il nulla?) chiediamo, invece, ilsenso del mondo. “L’enigma dell’esistenza delmondo suscita uno stupore abissale. Il fatto del-l’esistenza dell’universo è un fatto misterioso”, sen-

tenziava Wittgenstein nelsuo Tractatu logico-philo-sophicus . “Non come ilmondo è, è il mistico, mache esso è. E questo stuporeoriginario dinanzi al mon-do, Wittgenstein affermavadi poterlo esprimere solocon parole: “com’è straordi-nario che esista qualcosa,oppure com’è straordinarioche il mondo esista”. Poi vie-ne Jacques Monod, a parlar-ci con un saggio sulla filoso-fia naturale della biologiacontemporanea, de “Il caso ela necessità” parafrasandoDarwin. A nostro parere D.Antiseri ha scritto delle ri-flessioni di natura filosoficadi estremo interesse, soprat-tutto per coloro che voglio-

no mettersi o sono già in cammino per chiarirsi iproblemi che riguardano la ricerca metafisica. Eglisi schiera contro “i necrofori di Dio” e contro “isegretari dell’Assoluto”, mettendo in evidenza i li-miti della ragione umana. Poi la domanda “che cosadi assoluto potrà mai esservi sulla terra per un cri-stiano la cui fede gli dica che Dio è assoluto”? ( cfr.D. Antiseri, Cristiano perché relativista, relativistaperché cristiano, 2003,). In questo volume l’autorediscute l’impossibilità di venire in possesso difundamneta inconcussa, non solo per le teorie scien-tifiche, ma anche per proposte filosofiche; egli in-tende, ponendo in evidenza i limiti della ragionedell’uomo, riferirsi “alle ragioni di una riconquistataidea di contingenza, la cui consapevolezza imponedi scegliere tra l’assurdo e la speranza”. Il nostroriporta una significativa lettera spedita daWittgenstein, verso la fine dell’ottobre del 1919,dopo il rientro dalla prigionia di Cassino, perchépubblichi il manoscritto del Tractatus a Ludwig vonFicker. Nella lettera si discute di un argomento dicui tanti “premurosi intellettuali” avrebbero biso-gno: si tratta dell’invito a delimitare il dicibile perproteggere l’ineffabile.

Certamente se l’uomo si fermasse a riflettere,anche per poco, ogni giorno, sul perché dell’esi-stenza dell’essere piuttosto che del nulla farebbedella scienza e della filosofia una conoscenza piùmeditata, più responsabile, meno aggressiva neiconfronti del mistero del mondo. Un mistero cheè comprensivo di tutti i fenomeni dell’universo:

Viva la scuola! ma non imbrattiamo le pareti, Giulia Rossi, III C. Scuola Secondaria di I grado “NicolaSole”, Senise (Potenza)

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da quelli fisici a quelli spirituali, umani; di quellidella vita a quelli della morte, dell’amore e del-l’odio, ecc. L’uomo vorrebbe scoprire il tutto, masi domanda che se ciò fosse possibile, non ci sa-rebbe più sulla terra l’essere umano, ma tante di-vinità: non ci sarebbe neppure la terrestrità e i suoiinfiniti problemi.

A proposito del rapporto tra il sapere scientifi-co e quello filosofico abbiamo considerato inte-ressante il pensiero di Giovanni Reale. Sempre au-torevole e lucidissimo nell’esprimere le sue con-vinzioni: “Gli sviluppi prodigiosi della scienza edella tecnica hanno avuto molte conseguenze po-sitive ma vi sono state anche conseguenze colla-terali negative inattese e minacciose, a partire dalfatto che essa ha finito per presentarsi, in manieradogmatica, come l’unica fonte di vero sapere”. Inprimo luogo, va rilevato che è stata proprio la scien-za, con le conseguenti applicazioni tecnologichea dare in epoca moderna all’Europa e all’Occiden-te, una marcata identità, creando un paradigmaculturale di validità universale, il quale appuntocome universale, si è imposto come autarchico edi incontrastabile dominio a livello mondiale. Ilprimo effetto collaterale negativo di tale paradigmasi è prodotto a livello culturale e spirituale. Ilparadigma scientifico e tecnico ha originato quel-la che si suole chiamare l’età della scienza e dellatecnica nella quale le radici greco-romane sembre-rebbero essersi in larga misura disseccate, perden-do gran parte della loro linfa vitale. Di più, la scien-za moderna scaturisce da quella forma mentis, cre-ata dai greci, con cui è nata la filosofia e che costi-tuisce una mentalità fortemente teoretica. Pertan-to proprio la forma mentis greca risulta essere lamadre di cui la scienza moderna è figlia. Il mottopronunziato da Galileo (mente concipio) esprimein maniera chiara quanto appena detto. Eppure,la “figlia scienza” si è ribellata alla “madre filoso-fia” e si è spinta addirittura a misconoscerla se nona ripudiarla.

Inoltre si è prodotto un “effetto di ritorno” dif-ficilmente prevedibile. La madre, di fronte alle ri-chieste della figlia si è sentita “invecchiata, e haritenuto di poter sopravvivere solo ringiovanen-do e inseguendo la figlia. Non solo ha vestito isuoi panni, ma si è riformata strutturalmente as-sumendola come modello”.

E allora? “così facendo, continua G. Reale, lafilosofia ha compromesso la propria identità ed èprecipitata in una crisi profonda, in cui sembra diaver perso il proprio senso. Cercando di assumerefattezze e forme della figlia ha finito per apparire

agli occhi di molti una sorta di pseudoscienzasicchè la sua stessa figlia non ha potuto fare a menodi ripudiarla” (P. Davies).

Ne è derivato che il nichilismo ed ogni altracrisi che hanno investito i tradizionali valori nonsono che “l’altra faccia della crisi della filosofiaoltre che dell’oblio della dimensione del religio-so”, per la quale a nostro avviso ha giocato unruolo determinante il darwinismo, accettato damolti, senza averne conoscenza e coscienza.

Noi torneremo a dire sulle cause complessiveche hanno prodotto la situazione, per non diredrammatica, nella quale si trova a vivere la societàcontemporanea che sembra priva di qualsiasi mi-sura spirituale e perciò incapace di produrre “lacosiddetta ed attesa inversione di marcia” senzal’intervento di qualche provvidenzialità che lapossa salvare.

Ne deriva che nel progetto universale il ruolodell’uomo è quello dello scopritore. Tanto è piùvolte oggetto di argomentazione nei corsi univer-sitari dove la nostra ricerca tiene conto di un tema,presente nelle culture di tutti i popoli: “Rapportotra ragione fede ed educazione”.

C’è una conclusione. Di certo, no. Ma non sipuò negare che l’uomo ha il compito di cercare ilPrincipio attraverso la bellezza che punteggia lecose create, la loro grandiosità, l’ingegnosità ditutto l’universo e, infine, la singolarità del postoche occupa la specie umana e la sua perizia nelloscoprire e comprendere i principi su cui si regge iltutto in sintonia con tali ordinati principi.

Nelle discussioni con i nostri studenti, spessoricordiamo quanto sottolinea Davies nel suo testocitato: “Di recente un numero sempre maggioredi scienziati e filosofi ha cominciato a studiarequesto rompicapo. Il nostro successo nello spiega-re il mondo mediante la scienza e la matematica èsolo un caso fortuito, oppure è inevitabile che gliorganismi biologici che sono emersi dall’ordinecosmico debbano riflettere quell’ordine nelle lorofacoltà conoscitive? Il progresso straordinario del-la scienza è solo un accidente storico, oppure mettein evidenza una sintonia profonda e significativatra la mente umana e l’organizzazione che sta allabase del mondo naturale”. Poi ancora Davies. “NelQuattrocento la scienza entrò in conflitto con lareligione perché sembrava minacciare il conforte-vole posto occupato dall’uomo all’interno di uncosmo creato secondo un disegno divino. La rivo-luzione iniziata da Copernico e terminata daDarwin ebbe l’effetto di emarginare persino disvilire gli esseri umani. Gli uomini non furono

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più posti al centro del disegno supremo, ma furo-no relegati ad un ruolo secondario e senza appa-rente significato in un indifferente drammacosmico, come comparse improvvisamente finiteper caso nel mezzo di un grande set cinematogra-fico”. Poi una grande verità, che si sperimenta ognigiorno a contatto con i molteplici aspetti del no-stro esistere: “Questo ethos esistenzialista, secon-do cui non c’è alcun senso nella vita umana al dilà di quello che esseri umani stessi le conferisco-no, è diventato il leit-motiv della scienza. é perquesta ragione che la gente comune considera lascienza come qualcosa di minaccioso e degradan-te: essa li ha estraniati dall’universo in cui vivo-no”.

Da qui la sottolineatura di H. G. Gadamer (Laresponsabilità del pensare, 2002) per affermare cheoggi “non è la metafisica, bensì la scienza a esserefonte di abuso dogmatico”, così come è divenutoattuale e vero che Hegel (è sempre Gadamer a scri-vere) nel suo pieno engagemet per la cosa dellafilosofia sentiva come insostenibile contraddizio-ne, allorché diceva che un popolo senza metafisi-

ca era come un tempio senza il sacro, un tempio,vuoto, un tempio in cui non abita più nulla. évero siamo un popolo senza metafisica... E direche la metafisica e la religione sembrano aver datoanche un sostegno migliore al bisogno di ordina-menti della società umana di quelli dati dalla mo-derna scienza e dalla tecnica. È infatti una conse-guenza della tecnica il fatto che questa porti aduna tale manipolazione della società umana, dellapubblica opinione della condotta di vita di tutti,di una tale suddivisione del proprio tempo da partedi ogni singolo, tra casa e famiglia, che ci mozza ilfiato”.

Fatto è che da quando fu applicato il metodomatematico-sperimentale alle scienze della naturae alle altre scienze empiriche ebbe inizio la cosid-detta unica rivoluzione “che meriti questo nome”,quella scientifica, dalla quale uscì, vedi Maritain,il mondo del Rinascimento e della Riforma, dacui, ha scritto F. Gardini, attento ed intelligentestorico, l’Europa intraprese “con maggiore coeren-za e decisione” “dal secolo dei lumi il percorsodella laicizzazione, quello ciè della progressiva ri-nunzia a conferire un senso al mondo e alla vita”.

J. Maritain (Ateismo e ricerca di Dio, 1986), conmotivi antimoderni accentuati, ha scritto “Il mon-do della rinascita o Rinascimento e della Rifor-ma, è sconvolto, dopo quest’epoca, da energie spi-rituali potenti e, in verità, mostruose, nelle qualil’errore e la verità si mescolano strettamente e sinutrono l’una dell’altro, verità che mentiscono emenzogne che dicono la verità”. Una riflessionequella del filosofo francese, coincidente con quel-la di Cardini perché entrambi accusano il percor-so dei saperi, da quel tempo ad oggi, di aver “co-spirato” per consegnare alla ricerca tecnico-scien-tifica il diritto a proporsi come “l’idea-forza” diogni progresso culturale e civile.

Un concetto questo riconfermato e rafforzato,di recente, da un noto scienziato e storico dellosviluppo scientifico, con la pubblicazione del vo-lume I nuovi umanisti, in cui viene teorizzata la“nascita” della “terza cultura”, che va oltre l’ideadi C. P. Snow, il famoso teorico delle due culture:quella dell’intellettuale letterario e quello delloscienziato.

J. Brockman è l’autore del volume I nuoviumanisti. Egli ha sostenuto che la “Terza cultura”è costituita da quegli scienziati e da quei pensatoriche ben saldi nel mondo empirico con il loro la-voro e le loro testi, hanno preso il posto dell’intel-lettuale tradizionale nel rendere visibili i significa-ti più profondi delle nostre vite, ridefinendo chi e

La scuola non è luogo di scontro, ma di incontro, Maria Antonietta Daraio,II A. ITIS, Ferrandina (Matera)

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che cosa noi siamo”.Un’affermazione dogmatica che non dovreb-

be essere costume degli scienziati del sapere scien-tifico perché in tal modo vanno ad occupare ilposto di quanti essi stessi hanno rifiutato in quan-to “sostanzialmente sarebbero portatori di unacultura fossile”.

Non manca tra gli scienziati chi non accetta, olo fa con trepidazione, l’ipotesi della terza cultu-ra. Infatti Nicholas Humphy, a tal proposito, scri-ve così in risposta ad una richiesta di Brockman:“Questa è davvero l’età dell’oro della scienza. Madeve essere autoconclusiva, quantomeno per quan-to riguarda i grandi problemi complessi. Ho scrit-to su questo argomento nel mio saggio ScientificShakespear. Ciò che vi sostenevo era che le “arti”(la filosofia) continuano ad avere opportunità chele scienze presto non avranno più. Penso che noiscienziati dovremmo prepararci con una certaumiltà alla prossima fase della cultura umana, chepotrebbe anche tornare alla provincia tradiziona-le delle arti. Non penso che si debba contare sullescoperte (necessariamente) scientifiche per poterportare un decisivo aumento nella felicità dellepersone né attraverso ciò che esse reclamano sulcorso della natura né attraverso gli strumenti chepotenzialmente ci danno per intervenire su diessa... Molti hanno ancora diverse perplessità sul-l’uso a cui saranno destinate le scoperte scientifi-che, dalle armi di distruzione di massa all’euge-netica, al controllo del pensiero” (I nuovi umanisti,cit.).

Le risposte a “I nuovi umanisti” hanno più omeno il medesimo tono o significato contenutonello scritto di Nicholas Humphey: ma ci piacetrascrivere anche, per la sua brevità, la conclusio-ne della risposta di Daniel C. Dennet, scienziato efilosofo: “Un brusco risveglio attende gli scien-ziati che pensano che la loro aggiornatissima co-noscenza scientifica li renda immuni alle illusioniche adescarono Aristotele, Hume, kant e gli al-tri”. Sicché ritornando a Maritain, coloro cheteorizzano la terza cultura si dovrebbero definirerappresentanti “dell’umanesimo antropocentrico”,per dire che essi sono l’immagine aggiornata che“nei primi periodi dell’epoca moderna, conCartesio anzitutto e poi con Rousseau e Kant, ilrazionalismo aveva costruito della personalità del-l’uomo un’immagine superba e splendida, infran-gibile, gelosa della sua immanenza e della sua au-tonomia e finalmente buona per essenza”.

“-Nessuno certamente può negare i meriti daattribuire alla scienza e agli scienziati per le nu-

merose ed utilissime scoperte che hanno arricchi-to e rivoluzionato la vita ed il sapere degli esseriumani in ogni campo, ma a nessuno si deve rico-noscere la presunzione di affermare che il saperedelle arti (la filosofia) appartiene al mondo deifossili, in nome di una presuntuosa autosufficienzain cui l’uomo eleva se stesso a divinità, vuole esse-re lui stesso il suo Dio, per essere padrone com-pletamente della propria vita e sfruttare, fino infondo, conclude Benedetto XVI, tutto ciò che essaha da offrire”.

Fatto è, osserva ancora J. Ratzinger che “moltodi tutto questo è passato nella coscienza (popolaree non – moderna) e determina in gran parte ilmodo in cui oggi si percepisce la vita”. Da qui laragione per la quale “su quest’uomo non brillapiù lo splendore del suo essere immagine di Dio”,perché la nostra presunzione è un’epoca di agnosti-cismo, di relativismo, di disincanto, di presunzio-ne, di amore per la terrestrità: è l’epoca dei Zara-thustra in giro, per portare via la speranza, perscambiare la disgregazione con valori per sbandie-rare i simboli della morte di Dio; per riempire ilmondo di nuove “icone” di droga, di violenza, disolitudine, di imbarbarimento delle coscienze, diinsipidità, di nuovi totem, i quali lo ha scritto dapoco G. Tremonti, “sono capaci tutti insieme diavvolgerci nella forza virtuale propria di una nuo-va dialettica esistenziale. Nella forma dinamicacontinua di un nuovo materialismo storico, la fab-brica illusoria del nuovo uomo podstmoderno”.

Insomma, ha riflettuto N. Abbagnano (La sag-gezza della vita, 1985), della “responsabilità e di-gnità dell’uomo se ne sono perse le tracce” in ununiverso inquieto, affrancato da ogni forma di sanaeticità e dominato da compiacenza assoluta versole dissociazioni – J. Maritain parla di isterilismo –già “in poco più di un secolo, della fiera persona-lità antropocentrica, trascinata nella dispersionedei suoi elementi materiali”. Poi aggiunge: ... “Unprimo tempo significativo è segnato qui, nel cam-po della biologia, dal trionfo delle idee darwiniane,sull’origine scimmiesca dell’uomo. L’uomo secon-do questo punto di vista, non appare soltanto comederivante da una lunga evoluzione di specie ani-male (il che è, dopo tutto, questione secondaria,puramente storica) ma bensì come derivante daquella evoluzione biologica senza discontinuitàmetafisica, senza che, a un dato momento, conl’essere umano, qualcosa di assolutamente nuovos’inizi nella serie: una esistenza spirituale impli-cante che a ogni generazione di un essere umano,un’anima individuale è creata dall’autore di tutte

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le cose e gettata nell’esistenza per un destino eter-no. L’idea cristiana dell’uomo o della persona uma-na, poggiata sul dogma rivelato, non è stata scossadal darwinismo. Ma l’idea razionalista della perso-na umana ne ha ricevuto un colpo mortale”.

In altri termini, se abbiamo bene inteso, perMaritain le teorie evoluzioniste hanno colto nelsegno: sono riuscite a mettere tra parentesi “l’idearazionalista della persona umana” quel dono cheDio ha dato all’uomo come preambolo (raziona-le) alla fede: la ragione come strumento per inda-gare nel mistero di Dio secondo l’insegnamentodi S. Tommaso.

Pertanto Maritain, a giusta ragione, definiscel’evoluzionismo un duro colpo, un colpo morta-le, ai danni della ragione e della tradizione cristia-na. Il secondo, definito il colpo di grazia, “dovevaportarlo”, scrive il nostro, nel campo della psico-logia, nella cosiddetta metafisica freudiana, secon-do cui, in definitiva, l’uomo non è che il luogod’incrocio e di conflitti d’una libidine anzituttosessuale e d’un istinto di morte”.

C’è da sottolineare, a questo punto, che Mari-tain si inserì tra quegli autori che hanno studiato imutamenti della società secondo un progetto filo-sofico che si andò progressivamente definendo apartire dal secolo XVI-XVII, determinando, è noto,la trasformazione piuttosto “ab imo” dell’ordina-mento tradizionale ispirato alle virtù del mondoantico, assurte, scrisse Romano Gardini, a “unamaggiore serietà con il Cristianesimo”. A. Zulianiscrive: “tra il XVII e il XVII secolo nasce e si affer-ma un duplice mito: quello della modernizzazione,tappa storicamente necessaria tra il progresso del-la Ragione secondo gli illuministi, e quello dellosviluppo delle forze produttive secondo Marx.Entrambi i processi, ritenuti inevitabili e irre-versibili, si fondano sull’ideale della scienza, il cuicarattere simbolico offre una base metafisica alconcetto di progresso. Tanto per Pascal, favoriscela credenza che Hobbes e Spinoza definivano unpostulato secondo cui il metodo galileiano, estesoalla natura umana, consente di elaborare una “fisi-ca sociale” e di creare le condizioni per affrontarein modo scientifico e imparziale il problema poli-tico. L’affermarsi dell’ideale della scienza spiega ilruolo che a partire dal XVII secolo l’ideologia hasvolto nella definizione e realizzazione delle poli-tiche occidentali di modernizzazione, alimentan-do anche i totalitarismi che nel XX secolo, in quan-to fenomeni sostenuti da ambienti dell’intellegenciaper organizzare scientificamente l’umanità”.

Non dobbiamo dimenticarci che proprio Mari-

tain avvertì che le conoscenze separate “dalle su-preme misure soprannaturali sono necessariamen-te portate a prendere partito contro quelle per libe-rare l’uomo dalla superstizione e rafforzare la con-vinzione che il fine ultimo dell’uomo è in se stes-so”.

In questo contesto si inserisce la riflessione diG. Gadamer, una intelligenza non comune che saleggere nei flutti schiumosi della storia della cul-tura e dell’esistenza: “Nella imperante disuma-nizzazione dei rapporti di vita, in continua espan-sione degli apparati e degli automatismi che prov-vedono all’esistenza, ci rendiamo conto che l’av-venuta deformazione della eredità umanistica e ilvenir meno di ogni umanità che dovrebbe regna-re tra gli uomini rappresentano il grande puntointerrogativo della domanda sul progresso”.

Fatto è che le implicazioni di questa disuma-nizzazione della società odierna sono subite so-prattutto dalle giovani generazioni. Gadamer hasottolineato che una delle cose più preoccupantidel nostro tempo è che “la gioventù cresca controppo poca fiducia, senza ottimismo, e senza undeterminato potenziale di speranze... che la gio-ventù di oggi sia preda di uno stato d’animo pro-fondamente pessimista, è un fatto che possiamodifficilmente minimizzare, vedendolo come unaconseguenza dell’infelicità del nostro tempo, o delfallimento della generazione passata o diqualsivoglia altre deficienze dell’educazione sco-lastica o condizione sociale che potrebbero appun-to essere cambiate. Noi intuiamo piuttosto chedietro questo aspetto della crisi si nascondono leconseguenze della rivoluzione industriale. Il sin-golo che cerca di trovare la propria strada semprepiù si vede negata quella possibilità di affermazio-ne di sé che faticosamente ricerca la sua auto-coscienza ancora integra e cioè il suo essere giova-ne, che non sa ancora quanto avanti possano por-tarlo le proprie forze, che cosa richieda da lui lavita. Qui mi sembra che consista il più profondomotivo delle grandi difficoltà in cui versa la no-stra gioventù. Essa si deve affermare in un sistemasociale economico e produttivo costruito, semprepiù funzionale e sempre più burocratizzato”. Daqui la difficoltà di affermazione e di sviluppo esoprattutto la difficoltà “... a trovare piena soddi-sfazione attraverso la propria spontaneità”.

Le indicazioni di Gadamer esprimono indi-scutibili verità, che emergono nell’esperienza quo-tidiana di ognuno di noi: degli insegnanti in parti-colare. Ma non sono da trascurare le conseguenzedell’eredità dei mali, dei tanti mali che ancora di-

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sturbano la coscienza storica di tante famiglie, ditanti cittadini, in ogni parte della terra per quantoè accaduto nel Novecento, definito il “secolo delmale”, per la distruzione fisica e morale di milio-ni di innocenti. Si tratterebbe, com’è noto, della“colpevolezza” delle forme ideologiche principa-li; il marxismo-leninismo, che si spacciava “comel’erede di una tradizione risalente a Eraclito eDemocrito, di discendere da Lucrezio, dall’il-luminismo, da Hegel, da tutto il movimento scien-tifico, compreso l’evoluzionismo; e il nazismo chesi ispirava alla tragedia greca, a Herder, a Novalisad un’altra parte di Hegel, a Nietzsche e, ovvia-mente, al movimento scientifico a partire da Dar-win” (A. Besancon, Novecento, il secolo del male:nazismo-comunismo, 2000.

Ciò che ha colpito i nostri giovani sono stati imodi e le inumane violenze con cui sono staticommessi tanti delitti fisici e morali. I quali, nel-l’anima di chi era più o meno cresciuto sotto latutela rassicurante di un Ente superiore, cui si at-tribuiva anche l’origine dei principi ispiratori del-la convivenza civile, etica, hanno determinato, ingenerale, “la morte di Dio e reso disponibile il

pensiero di tanti giovami e non, di vivere lontanoda ogni tema riguardante la trascendenza, accet-tando le teorizzazioni sul nichilismo come liber-tà e buon vivere!”

Poi, a nostro parere, sostenuto dall’ esperienzadi uomo di scuola, prima nella scuola media e neilicei, poi nell’università, la caduta dei temi riguar-danti la trascendenza non ha correlativamente datola libertà sperata né ha concesso ai giovani di ac-quisire, un’adeguata fiducia in se stessi, per trarnele necessarie implicazioni morali di autosuf-ficienza.

Da qui la crisi e l’incapacità di reggere il con-fronto con la realtà di un mondo in continua tra-sformazione ed “in continuo mutamento con leconseguenze che ne sono derivate”.

È accaduto, comunque, che l’uomo, con il suoconvincimento antropocentrico, si è colto comepura verità, in quanto ragione, finendo con l’auto-deificarsi. Proprio autodeificandosi, è stato sotto-lineato, “la ragione è diventata folle”. Ne è deriva-to, osserva N. Abbagnano, che siamo costretti avivere in un universo nel quale i senza Dio sonoin maggioranza, che molti hanno dimenticato di

Scuola per nuove scoperte e nuove amicizie, Marilena Zuardi, III B. Scuo-la Secondaria di I grado, I.C. Bella (Potenza)

Insieme; alla scoperta di un mondo nuovo, Giuliana Di Gilio. Scuolasecondaria di I grado, I.C. Accettura (Potenza)

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“essere uomini e di convivere umanamente”. Di-laga l’ateismo come professione, come dottrina ase stante, come sostiene G. Bernanos.

In questo contesto assume forte valenza l’ap-pello di studiosi di varia estrazione sull’emergen-za educativa, cui dovrebbero porre attenzione tutticoloro che hanno a cuore il bene dei futuri citta-dini ed il destino delle nazioni. Si tratta di un in-vito a studiare le cause di una vasta crisi, a metterefine, aggiunge Benedetto XVI, “alla ricreazione” echiamare a raccolta tutta la società civile, insegnan-ti, famiglie, istituzioni, ecc. per tentare di raddriz-zare la rotta plasmando, possibilmente, le tantecoscienze smarrite e dando valore non solo allavita, ma al significato medesimo di esserci nelmondo.

Non è facile, non è semplice: in un periodo incui prevale la febbre del godimento sfrenato,l’emancipazione sfacciata dei costumi, la quasiscomparsa dei legami affettivi, la mutevolezza li-quida, dice Bauman , di ogni sentimento, non èagevole recuperare l’uomo, la sua anima, per farloridiventare persona, per farlo educatore di se stes-so, ma soprattutto dei figli. Non è facile in unperiodo in cui la scuola vive un momento di scar-sa identità causata da scelte politiche frammentate,occasionali e di parte: un momento in cui la scuo-

la è sottoposta alla scure di un bilancio che fa di-scutere di numeri e non dei reali problemi che laattanagliano.

In questo contesto è ricco di significati il mes-saggio di N. Abbagnano: “La difesa dell’uomo,che è oggi il compito più importante ed urgentedi tutti, non ha nulla da guadagnare e tutto daperdere dal ricorso a teorie che vedono nel mon-do il regno del diavolo. Solo la ragione e la libertà,con tutti i limiti, possono fare del mondo una casadegna dell’uomo, utilizzando l’ordine che la na-tura dimostra e l’esperienza delle vittorie e dellesconfitte che la storia registra”.

Quanto finora discusso ha il sapore di una pre-fazione che ha proposto al lettore una manciata diriflessioni con l’intento di spingere la sua curiosi-tà intellettuale all’esplorazione dell’attualità del di-battito su creazione-evoluzione, finora appena sfio-rato e dei sentieri culturali, che hanno segnato ilsapere scientifico, filosofico, religioso e letterariodell’occidente del secolo XVI. In queste riflessio-ni il nodo è rappresentato dal tema dell’umanesimoantropocentrico dibattuto con la consueta bravu-ra da J. Maritain, e potenziato dalle meditazionidi F. Cardini a proposito della progressiva rinun-zia della cultura europea a conferire “un senso almondo e alla vita”, indicando nella superbia della

ragione e nel suoabuso la causa cheha spinto l’uomomoderno ad abbrac-ciare il proposito difare a meno del fa-scino della fede edella speranza.

Da qui, appunto,lo smarrimento disenso, l’eclisse dellavita privata e pub-blica, il modello fal-limentare dellascuola, la povertàdella cultura, il pri-mato della ses-sualità, la crisi e ladisintegrazione del-la famiglia, la solitu-dine, il narcisismo,il bullismo, il disor-dine esistenziale, ladirigenza delle isti-tuzioni affidata aincapaci e corrotti

Non nasconderti! Difendi i compagni vittime di prepotenza, Federica Miola. Scuola Primaria Statale, I. C., Plesso S.Giovanni Bosco. Marconia (Matera)

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L’adolescenza: etàdel rischio educativo

MELANIA BORTOLOTTOUniversità di Padova

1. Premessa

l presente contributo è l’esito di una breveincursione intorno alla figura di LuigiGiussani che si ritiene possa legittimare, purnei limiti che ogni attraversamento veloce

porta con sé, un’argomentazione di confine, apatto di mantenere viva la consapevolezza dell’am-pio territorio di riferimento che si connota quiper densità di implicazioni teologico-politiche edi ricadute storico-culturali. La riflessione che siintende proporre nasce dall’analisi attenta dell’ope-ra “Il rischio educativo”, pubblicata per la primavolta all’inizio degli anni Novanta e riedita all’in-domani della scomparsa dell’autore. La pregnanzapedagogica del testo si rivela in modo quasi im-mediato, autoevidente anche ad uno sguardo che,se può risultare poco coltivato o penetrante, si ca-ratterizza di certo come sguardo sensibile al di-scorso educativo, nonché affascinato dal ricercaree ragionare intorno a questo oggetto. Si intendedunque, procedere con una circoscritta trattazio-ne dal punto di vista pedagogico che metta in dia-logo attualizzante alcuni nodi tematici che emer-gono dalla lettura del testo e che si rivelano parti-colarmente suscettibili di scandaglio pedagogico,grazie a ricchezza semantica e densità concettualeche li caratterizzano.

2. La sostanza educativa dell’adolescenza

La focalizzazione argomentativa che si proponeriguarda l’immissione del concetto di rischioeducativo, nell’accezione semantica data dall’au-tore, nella considerazione dell’adolescenza oggi,età della vita a cui lo stesso Giussani riserva speci-fica e puntuale attenzione. La sua opera sembrapermeata, allo stesso modo della sua esistenza, daquesta ricorrente preoccupazione verso i giovani,da questa predilezione tematica che prende vita di

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ecc. Atteggiamenti evidenti di un proposito con-nesso, come sostiene Abbagnano, a teorie sposatecon il diabolico, finalizzate ad espellere la Giusti-zia dal quotidiano di una vita decisa ad esaltare ifiloni ateistici del materialismo-determinismo-evo-luzionista.

Il nostro proposito è quello di argomentare in-torno ai temi accennati, di proporre alla scuola eai suoi operatori i temi dell’educabilità dell’essereumano in quest’epoca complessa in cui il confinetra modernità e post-moderno non è ancora defi-nito, di confrontare le tesi del creazionismo e del-l’evoluzionismo con i problemi dell’educazione edella pedagogia più accreditata

Il nostro proposito è anche quello di argomen-tare sulle teorie che antropologicamente vedononel mondo il regno del diavolo, per spiegare il maleche impera in terra, vorremmo riportare due opi-nioni interessanti. Si sa che il discorso sul male esull’uomo è stato per filosofi, letterati, religiosi edintellettuali di varia cultura un travaglio inson-dabile ed insolubile.

Si sa pure che la dottrina che mira a conciliare,razionalmente, la bontà e la giustizia di Dio conl’esistenza del male nel mondo, non ha trovato ilcredito sperato e, nel campo dell’evoluzionismo,non mancano coloro che indicano l’esistenza delmale come la prova per negare l’esistere dellaprovvidenzialità di un creatore.

Queste note, pertanto, rappresentano l’avviodi un discorso che vedrà una articolazione analiti-ca e approfondita successivamente, speriamo inquesta Rivista.

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certo all’interno della sua vocazione educativa perradicarsi nella convinzione che “l’idea fondamen-tale di una educazione rivolta ai giovani è il fattoche attraverso di essi si ricostruisce una società;perciò il grande problema della società è innan-zitutto educare i giovani”. Giussani ci riporta aduna questione fondativa: nell’educazione dei gio-vani abita la possibilità di una società nuova emigliore, perché negli adolescenti di oggi si prean-nuncia e risiede la promessa degli adulti di domani.

Egli sancisce la centralità dell’adolescenza inrelazione al processo di costruzione identitaria di-stinguendola dall’età infantile ed affermando che“se nell’arco evolutivo dell’individuo, l’infanzia ela fanciullezza sono i momenti dell’assorbimentoprimitivo, nella adolescenza, dopo i 13-14 anni, siassiste al momento più decisivo per la determina-zione della fisionomia personale di ognuno: l’ado-lescente prende coscienza di sé e del significatototale della realtà che lo circonda”.

L’adolescenza come stagione della vita, possie-de una densità esistenziale che si caratterizza percentralità ed unicità di significati non rintracciabilicon la stessa intensità in altre età dell’esistenzaumana. Essa conserva la pregnanza cromatica diun tratto della temporalità, quello che unisce l’in-fanzia con l’adultità, costituendo la cassa di riso-nanza della prima e l’attenta e appassionata crea-trice della seconda. Una collocazione cronologicamediana che fa dell’adolescenza uno spartiacque,un punto di convoglio di molteplici istanze, unospazio di confusione e di sintesi, di demolimentoe di costruzione, “una sorta di specchio della con-centrazione e dell’intensità, luogo del contrasto edel contrario (…) in cui si concentrano gli snodipiù significativi dell’esperienza umana, quegli stessiche incontriamo diluiti nell’arco della vita: il dram-ma della scelta, la necessità di cambiare, la pauradi farlo”.

Per la complessità trasformativa che le è intrin-seca, questa età della vita inaugura un nuovo rap-porto della persona con se stessa e con il mondocircostante, costituendo una sorta di fratturaevolutiva. “Un aspetto cruciale dell’adolescenza èproprio la crisi e la messa in questione della consi-stenza di sé: caratteristica, questa, di una svoltaimportante e di un periodo di transizione. È veroche quest’esperienza — la messa in questione disé, del sentimento di identità — si ripresenta piùvolte nell’esistenza, ma nell’adolescenza essa dà iltono di fondo. L’adolescenza, infatti, raduna di-versi motivi di passaggio, che non sono circoscrit-ti o localizzati in un’unica vicenda, non si posso-

no concentrare su un unico aspetto della persona-lità, ma dilagano a metterla tutta in questione. Èinfatti l’intero assetto della persona che viene tur-bato da cambiamenti radicali e confusioni: sull’im-magine del proprio corpo, investito dalle trasfor-mazioni puberali, sul rapporto con la realtà e conle figure importanti, sui progetti di vita”.

L’adolescenza riduce le distanze dalla realtàinteriore di ciascuna persona in crescita, fino a la-sciarsene contagiare e sommergere quasi ripro-ponendo l’originalità della nascita. L’intuizione èpedagogica ed appartiene a Rousseau: “nasciamo,per così dire, due volte: l’una per esistere, e l’altraper vivere…”. Questa età della vita, più di qualsi-asi altra, ravviva in modo inedito la coscienza dise stessi e la consapevolezza della propria identità,nel momento in cui essa è posta in crisi.“Il disa-gio, il malessere dell’adolescenza iniziano da que-sta improvvisa scoperta – accettata, rifiutata e con-trastata – scoperta che modifica tuttavia comple-tamente il modo di rapportarsi a se stessi e quindialla realtà”.

Questa fase dell’esistenza umana intrattienedunque, un rapporto osmotico con l’identità per-sonale perché è questa terra che diventa il suo luo-go di dominio e di liberazione e nelle cui strade sidipanano le sue dinamiche trasformative. Nellatrasformazione è come se i confini di sé fosseroaperti, imprecisi perché nell’esperienza di crescitasi accumulano cambi di direzione, smarrimenti,strappi, movimenti che possono non condurre anulla. “Nello smarrimento di sé dell’adolescentec’è una perdita dell’ordine interno ed esterno pree-sistente in un completo ribaltamento di elementiche da figura diventano sfondo e che dallo sfondoemergono in primo piano e faticano ad essere ri-conosciuti. Ma più importante, il disordine riguar-da questa momentanea perdita di sé, come sogget-to capace di riconoscere e di nominare”.

Il legame privilegiato che sussiste tra adolescen-za ed educazione è dunque veicolato dal concettodi identità personale che costituisce il compito disviluppo sintetizzante dell’adolescente perché “èadesso che l’uomo nasce veramente alla vita e chenulla di ciò che è umano gli rimane estraneo. Finoa questo momento le nostre cure non sono stateche giochi infantili; solo adesso assumono un’im-portanza reale. Il periodo in cui hanno termine leeducazioni normali è precisamente quello in cuideve cominciare la nostra”. Si instaura così la speci-ficità dell’adolescenza come “fase pedagogico-educativa in senso stretto e, per così dire, per eccel-lenza e per antonomasia” tanto da poter essere as-

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sunta come “metafora dell’educabilità umana”.L’adolescenza conserva in sé dei tratti costitutivi

invariati, un proprium strutturale che si declina informe e con modalità differenti a seconda dei con-testi storico-sociali secondo una variabilità emodificabilità storica per cui ogni tempo ed ognisocietà esperiscono la propria specificità adole-scenziale. Nella società contemporanea quello sta-to di incertezza dell’adolescente che è innanzituttointeriore, intrapsichico sembra riprodursi social-mente e rispecchiarsi nel disordine e nell’incer-tezza del mondo esteriore, in un reciproco conta-gio tra “dentro” e “fuori” della persona.

In questa sovrapposizione e confusione di piani,si immette la fecondità euristica del concetto di ri-schio educativo. L’origine etimologica seppur con-troversa della parola “rischio” (dal latino medievaleriscus, risigus che sta a significare scoglio, roccia ta-gliata a picco onde il senso figurato di pericolo perle navi) ci consegna l’accezione semantica negativalegata appunto al senso del pericolo non ancoraattuale ma prossimo. Il termine vede precisarsi ilproprio entroterra semantico con l’esperienza sto-rica delle primi navigazioni intorno al mondo; ri-schioso è allora un viaggio in acque sconosciute enon ancora rappresentate in una mappa.

Gli adolescenti a rischio o se vogliamo a peri-colosità evolutiva imminente, sono allora i ragaz-zi e le ragazze “fuori rotta”, quelli che presentanocomportamenti problematici, spesso devianti dal-la norma, coloro che perseguono identità negati-ve o semplicemente la cui configurazione esisten-ziale lascia intravedere e presumere una probabili-tà di scacco evolutivo.

Il rischio sembra così disegnare la fenomenologiapolicromatica del disagio adolescenziale, permean-do trasversalmente comportamenti ed azioni cheattentano al benessere fisico, psicologico e socialedei ragazzi del nostro tempo. Il rischio sembra co-stituire, allo stesso tempo, la condizione di norma-lità dei ragazzi, in quanto immersi nel clima di in-certezza, di precarietà esistenziale, di disorienta-mento valoriale che trasforma e riduce la vita ditutti allo stato liquido entro i confini di quella cheè stata definita la “società del rischio”. Entro que-sto contesto in primo piano “resta l’immagine digrande solitudine dell’adolescente, immesso in unmeccanismo socio-culturale che ne potenzia a di-smisura il valore individuale, in quanto sé privato,al di là della sua appartenenza a una storia e a unarealtà collettiva, e proprio per questo costretto afarsi carico interamente della verifica delle sue ca-pacità di divenire adulto, o in alternativa sostituito

integralmente dall’adulto che vede in questo pro-lungamento di funzione il soddisfacimento di unbisogno di iperprotezione che mantiene in unaposizione di dipendenza affettiva ed emotiva il ra-gazzo. Non possiamo sottovalutare, infatti, l’effet-to paradossale di una cultura (qual è la nostra) cheda un lato colpevolizza gli adolescenti per la lorocondizione di ‘piccoli irresponsabili e immaturi’ edall’altro li ‘abbandona’ nella ricerca e nella verifi-ca delle dimensioni che ne dovrebbero suggellare ilpassaggio di status sociale; il risultato più eclatantedel funzionamento di questo meccanismo socio-culturale sembra essere tra gli adolescenti ansia dif-fusa del fallimento o al suo opposto il delirio dionnipotenza, in entrambi i casi essi scontano la di-mensione dell’isolamento e della fragilità psichicaed emotiva, con cui è possibile spiegare lo scivo-lamento in atto che dal bisogno di iniziazione por-ta all’esperienza rischiosa come auto-legittimazioneindividuale all’esistenza sociale”.

Adolescenti arenati o naufraghi, trapezisti so-pra uno scoglio che usano la libertà sconfinata delmare in una ricerca di indipendenza che alla finesi rivela solo uno stare nella dipendenza, in unperseguimento vano di autonomia che in fondo sitraduce nell’anomia del gregarismo.

Giussani sa individuare in modo lucido e lun-gimirante gli approdi di una navigazione senzamappe e quindi priva di direzione, di confini e diradicamento per la coscienza dell’adolescente.

“Dover camminare senza indirizzo preciso èsentito come dispersione di tempo dalla sensibili-tà di una coscienza viva. Si genera allora quellacaratteristica incertezza che impaurisce il giova-ne, da natura inscritto in una ovvia esigenza dipossibilità chiara, oppure lo confonde come difronte all’ambiguità, o comunque lo impazientisceperché l’indecisione dell’offerta gli pare istintiva-mente contraddittoria al richiamo essenziale del-le cose che è richiamo a immediata adesione. Ilrisultato di tutto questo è poi quella indifferenzae quel disamore, quella tremenda carenza d’impe-gno con la realtà che assume così spesso aria dismarrita o amaramente distaccata derisione perogni serio invito a quell’impegno”. “Giovani scon-certati e avviliti di incertezza”, per usare ancora leparole del Nostro, di cui troppo spesso gli adultidisperano facendone dei disperati, in una sorta dirassegnazione deterministico-predittiva o al limi-te in un protezionismo abdicante, rinunciatarioche finisce per dilatare a dismisura la libertà delragazzo e restringere, fino a non rendere necessa-ria né auspicabile, la presenza dell’adulto. La ri-

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nuncia dell’adulto al compito educativo equivalealla rinuncia dei ragazzi a crescere, così come laneutralità valoriale dell’adulto trova il suo corri-spettivo nello scetticismo e nel disinteresse dei ra-gazzi.

In nome di una presunta spontaneità evolutiva,il significato di libertà degenera in quello di libe-razione dall’autorità; essa si svuota gradualmenteda dentro, attraverso la sua stessa dilatazione per-de consistenza e struttura compositiva. Le relazionieducative si adagiano sull’andamento rettilineo diuna società orizzontale, “senza padri”, incapacedi verticalità e quindi di volume e di spessoreeducativo perché insofferente a qualsiasi gerar-chizzazione, in nome di un permissivismo peda-gogico che deresponsabilizza prima gli adulti e,solo conseguentemente, i ragazzi che finisconosempre più “nella terra di nessuno tra iperprote-zione senza valori e abbandono senza proget-tualità”.

È proprio da questa latitanza educativa cheoscilla tra protezionismo e abbandono, che “sicreano nella stragrande maggioranza dei casi quel-le situazioni insostenibili, quelle ribellioni a pri-ma vista incomprensibili, i cui riflessi pregiudica-no tutta la futura fisionomia degli individui, e diconseguenza del mondo che essi creano”.

3. Un cambiamento prospettico…

La categoria del rischio come esercizio costruttivoe creativo di libertà, promuove allora un’inversio-ne prospettica e di segno che agisce a differentilivelli; in questo risiede la genialità pedagogica diGiussani, espressione con cui egli stesso si sarebberivolto ad un educatore autentico.

Il livello teorico-epistemologicoIl primo livello su cui la categoria di rischioeducativo può agire come convertitore di segno,si colloca a priori perché è prettamente teorico edinveste la pedagogia come scienza dell’educazio-ne. Essa è chiamata a riappropriarsi della specifi-cità pedagogico-educativa dell’adolescenza e a ri-scattare la propria razionalità troppo spesso con-tagiata dallo sguardo parziale delle altre scienzeumane, sguardo che osserva lo scoglio ma noncoglie la possibilità di navigare.

Il rischio della subordinazione epistemologicae del misconoscimento del sapere pedagogico pas-sa proprio attraverso questa restrizione di prospet-tiva, questo appiattimento temporale e spaziale del

ragionamento sull’educazione che guarda al conte-nimento del pericolo, alla riduzione del danno,tradendo e sconfessando la visione progettuale edassiologica che gli è propria e di cui dovrebbe farsiportavoce. L’adolescenza come oggetto di ricercae di intervento educativo richiama la pedagogia,oggi più che mai, ad un impegno di conoscenzache permetta di rivitalizzare la circolarità di teo-ria e prassi troppo spesso in cortocircuito, nell’ac-cettazione del rischio esistente “tra un program-ma formulato in termini teoretici e la sua attua-zione nella prassi. Invero in qualsiasi teorizzazionevi è qualcosa che appartiene pur sempre al mondodell’immaginazione e che per ciò stesso rischia dinon trovare il corrispettivo nel fatto. (…) il rischioè insito nella stessa ineliminabile distinzione trauna pedagogia (teoria) e l’educazione che ad essasi ricollega (prassi)”. La pedagogia deve dunqueassumersi il rischio della propria identità episte-mologica che equivale a colmare vuoti argomenta-tivi, istituire nuovi spazi di riflessività anche attra-verso la ri-semantizzazione e la rimessa in giocodi alcune “parole proibite” che appartengono alsuo patrimonio culturale e scientifico.

Il livello prassicoDal livello teorico discende quello prassico cheattiene all’azione educativa; essa “è rischiosa perchéè abbandonata a una libertà fragile e qui uno capisceil limite della propria persona e l’insondabilità delmistero dell’Altro”. Il rischio è dunque “legato allafinitezza dell’uomo; ma anche al possibile o forseineliminabile scarto che si determina tra il suo es-sere (esistere) e il suo dover essere, tra lo stato incui è e lo stato cui dovrebbe pervenire”.

Il rischio è caratteristica ontologica della perso-na e del suo divenire perché inerente alla sua liber-tà e “all’uso che verrà fatto della libera azione cheverrà compiuta. E dunque, mentre la tematica delrischio si collega alla tematica della scelta, la suaesistenza si rende in un certo senso garante e insie-me testimone della libertà umana”.

Ne discende che il rischio è presuppostofondativo di ogni educazione in quanto azioneprogettuale che si caratterizza per imprevedibilità,incertezza e possibilità. La relazione educativa neassorbe le caratteristiche perché “senza affrontarela prova del rischio, educatore ed educando partireb-bero entrambi da una finzione: un mistero supposto,riducibile a evidenza oculare e una libertà immagi-nata come meccanicamente reattiva in corrisponden-za a ogni stimolo dato”.

Educare è dunque rischiare: questa equazione

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riabilita le antinomie pedagogiche, in particolarela dialettica libertà-autorità, educando-educatore,adolescente-adulto.

La libertà è indissociabile dall’esperienza del-l’autorità. La comunanza etimologica tra adole-scenza (adolescere=crescere) e autorità (aucto-ritas=ciò che fa crescere) ci consegna la necessitàdi questo legame e ci conferma come l’adolescen-te necessiti dell’esperienza dell’autorità per poteravverare la propria libertà e quindi la propria au-tonomia. Giussani esprime con parole limpidecome l’autorità sia fattore di sviluppo identitario:“Come io divento me stesso? o facendomi trasci-nare dalle mode del tempo, e venendone per cosìdire pilotato dall’ester-no, oppure affidando-mi a un’autorità; nonperò consegnandomiciecamente ad essa,bensì volendo verifica-re dove essa mi condu-ce – forse proprio ver-so me stesso”. Propriodal senso dell’affida-mento nasce il concet-to autentico di autori-tà. Essa “sorge in noicome incontro con unapersona ricca di co-scienza della realtà;così che essa si imponea noi come rivelatrice,ci genera novità, stupo-re, rispetto. C’è in essaun’attrattiva inevitabi-le, e in noi una inevita-bile soggezione.

L’esperienza del-l’autorità richiama in-fatti l’esperienza, più omeno chiara, della nostra indigenza e del nostrolimite”. Questa definizione che dichiara l’autori-tà estranea a qualsiasi temuta azione costrittiva olimitante la libertà altrui, suscita interrogativi cheoggi non appaiono più eludibili: gli adulti di oggisanno suscitare nei ragazzi stupore e rispetto? E iragazzi di oggi sono condotti a sperimentare lapropria indigenza e il proprio limite?

Giussani chiama all’appello senza mezze misu-re proponendo un concetto di autorità che identi-fica l’adulto con il “luogo dell’ipotesi”. Egli parladi ipotesi esplicativa della realtà come una propo-sta di significato possibile che ha “l’inestimabile

pregio di condurre l’adolescente alla certezza del-l’esistenza di un significato delle cose”. Essa im-mette l’adolescente nella tradizione perché “nonci può essere una scoperta, cioè un passo nuovo,un contatto con la realtà generato dalla persona,se non per una determinata idea di significato pos-sibile. L’ipotesi di lavoro, in fondo, rappresentaquella certezza nella positività della propria intra-presa, senza cui nulla si muove, nulla si conquista.Attraverso la tradizione e la “lealtà con il dato” sistruttura quel senso di dipendenza “senza del qua-le la realtà viene violentata e manipolata dalla pre-sunzione, o alterata dalla fantasia, o svuotata dal-l’illusione. In secondo luogo essa abitua ad affron-

tare la realtà con quella certezza della esistenzadella soluzione senza cui si inaridiscono la capaci-tà di scoperta e la stessa energia creatrice di rap-porti con le cose”. In tale accezione la dipendenzapossiede una carica vitale perché è istanza diradicamento per l’adolescente e non di dispersio-ne esistenziale.

Il processo educativo viene efficacemente assi-milato da Giussani al processo di una ricerca in-tellettuale, ricalcando il movimento del pensieroverso la conoscenza della verità: si parte da un’ipo-tesi che richiede di essere verificata, criticata perconfluire nella scoperta e nell’appropriazione di

Una scuola amica, è una scuola aperta a tutti, Giulia Modarelli, II A. Istituto Professionale di Stato, Policoro(Matera)

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un’idea. L’adolescenza come “età della verifica”deve condurre il giovane nel progetto di indiv-duazione, alla critica di ciò che gli viene propostoe alla scelta di ciò che vuole essere e diventare.

“La vera educazione deve essere dunque un’edu-cazione alla critica. (…) deve diventare problemaquello che ci hanno detto! (…) il ragazzo ricevedal passato attraverso un vissuto presente in cui siimbatte, che gli propone quel passato e gliene dàle ragioni; ma egli deve prendere questo passato equeste ragioni, mettersele davanti agli occhi, para-gonarle con il proprio cuore e dire: è vero, non èvero, dubito”. Gli adolescenti di oggi sanno criti-care e problematizzare? O meglio, viene conse-gnata nelle loro mani un’ipotesi da verificare?

“Verificare non significa un semplice ‘provare’.Piuttosto significa paragonare ciò che essa propo-ne, o – meglio – desidera, con la mia esperienza,con la concezione di me stesso e della realtà chemi circonda di cui dispongo, secondo la percezio-ne che ne avevo prima dell’incontro con l’autori-tà e quella che ne ho ora. In poche parole si trattadi seguire un’autorità domandandosi continua-mente: mi sta conducendo verso il mio vero io,verso la mia intima libertà? In questo modo l’au-torità agisce (quasi) come una proposta”.

L’adulto deve riscoprirsi e riabilitarsi come fon-te di autorità in senso orientante e normativo.L’autorità che si rivela principio generatore di sen-so attraverso la norma, è chiamata a conservareuna “continuità di richiamo e un permanente cri-terio di giudizio quale salvaguardia stabile del nes-so tra i mutevoli atteggiamenti del giovane e il sensoultimo”. Il richiamo al principio della continuitàeducativa è esplicito così come alla coerenza del-l’educatore; a tal proposito, Giussani precisa acu-tamente che non si tratta di “coerenza etico-prati-ca dell’educatore, bensì di coerenza logica, o me-glio, di coerenza ideale nell’educatore stesso, percui soprattutto il richiamo di principio dimostradi saper diventare riferimento per tutto lo svol-gersi del vivere. Se il maestro richiama il princi-pio teorico tralasciando di renderlo parametro peri giudizi particolari che la vita richiede, anche

l’eventuale sua coerenza morale non è letta daigiovani come documentazione della possibilità diapplicazione del principio e quindi come verificadella sua validità reale. È una espressa logicità checolpisce la coscienza del giovane fissando i termi-ni ideali dentro la stoffa della sua ratio”. Quandoi ragazzi guardano gli adulti, quanto e cosa trova-no di logicamente coerente?

Il livello della rappresentazione socialeL’operare del livello teorico e prassico secondo lacategoria del rischio educativo, confluisce in unospazio di condensazione che dà vita al livello del-la rappresentazione sociale e culturale dell’adole-scenza. Una sorta di resistenza al cambiamentopermane nel parlare e pensare l’adolescenza comeetà oppositiva, difficile e conflittuale.

La legge del cambiamento, in ciò che riguardala realtà umana e le sue rappresentazioni, richiedeprocessi a lungo termine e a rilascio graduale per-ché passa attraverso diversi livelli, come si è cerca-to di tratteggiare. Solo con pazienza evolutrice edimpegno costruttivo, ci disabitueremo a parlaredi adolescenza come età a rischio e ci assumere-mo la responsabilità di parlare dell’adolescenzacome età del rischio educativo per eccellenza.Questo modo di concepire e di parlare riporta allaresponsabilità di noi adulti perché “nostro com-pito non sarà tanto quello di descrivere documen-tandoli tutti i problemi che sono posti da una edu-cazione attenta degli adolescenti. Sarà piuttostoquello di enucleare con precisione le linee fonda-mentali di risoluzione di tanta e tanto complessaproblematica, cioè le direttive essenziali di un ade-guato metodo educativo”. Questo è il compito cheviene assegnato a tutti coloro che hanno respon-sabilità educative ma il senso di questo invito puòessere esteso a tutti gli adulti che possono definir-si tali solo quando accettano il rischio dellageneratività, facendosi artefici del processo diumanizzazione delle giovani generazioni.

Luigi Giussani ci riporta a tutto questo senzamezzi termini.

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Dall’Ufficio Scolastico Regionale della BasilicataDirezione Generale

Sul sito www. istruzionebasilicata. it è disponibile questo periodi-co

dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. Bdall’U. S. R. Bdall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.dall’U. S. R. B.

Vi è una forte contraddizione, oggi, nel siste-ma educativo e, di conseguenza, nel sistemapaese. In primo luogo gli elementi che con-tribuiscono a creare i maggiori effetti nega-

tivi sono quelli relativi all’uso delle parole. Pren-diamo come esempio il mondo studentesco e ve-diamo il suo codice comportamentale e l’insiemedi percorsi che lo sanciscono.

Alla fine del secondo millennio la scuola italia-na varò lo “Statuto delle studentesse e degli studen-ti”, che rappresentò la volontà di ordinare il com-plesso sistema della scuola, anche attraverso un in-sieme di regole e di principi generali, di tipocomportamentale e morale.

Si trattava, a leggere con spirito romantico il ter-mine statuto, di una concessione che veniva dall’al-to, una specie di carta ottriata che, pur lasciandospazi di manovra al mondo delle assemblee studen-tesche e degli Organi Collegiali, ne fissava a priorigli elementi fondamentali e quindi le successiveintegrazioni. Un dato acquistava, comunque, unaforte valenza, diveniva la cartina di tornasole, chetestimoniava decenni di dibattiti e di percorsi ideo-logici e, in fondo, di lotte aspre.

Lo statuto individuava la cittadinanza attiva ne-gli studenti e nel loro processo di autodeter-minazione. Ma un percorso, che avrebbe dovutoessere innovativo, utilizzava un termine, statutocioè, che apparteneva alle origini della moderna con-cezione costituzionalista.

In dieci anni, però, l’intervallo di tempo che vadal DPR 249/1998 al DPR 235/2007, si è assistitoad una paradossale involuzione del sistema e ad unacontraddizione espressiva.

Il DPR 249 varò, per ricordare un po’ i percorsi,lo Statuto; il DPR 235 ha introdotto il “Patto dicorresponsabilità”.

Per quanti non possiedono della scuola e dei suoimeccanismi una visione approfondita, potrà sem-brare che in queste osservazioni si stia semplice-mente giocando sulle parole e sui loro significati.Ma il problema è più complesso di un semplicegioco ed investe percorsi storici e loro valutazioni,al punto da poterci far comprendere addirittura l’at-tuale panorama politico e sociale.

Lo statuto assumeva, al di là dei limiti di naturasemantica, il tono di una carta aperta, che lasciavaagli studenti ampi margini di autonomia e di creati-

Le contraddizioni del sistemaFRANCESCO FASOLINODirigente Tecnico M.I.U.R.

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vità all’interno dello schema quadro, e quindi po-teva anche liberarsi dell’etichetta storicizzata di cartaottriata. Il patto, che avrebbe dovuto sancire un per-corso più maturo di democrazia, diviene inveceespressione di una stretta convenzione, fissata tragli utenti ed i titolari del servizio, su alcuni puntiirrinunciabili ed indiscutibili dei ruoli e delle fun-zioni di ciascuno, cioè scuola, studenti e famiglie.Il patto assume il carattere di una sorta di gabbia edemarca, di conseguenza, una fase di involuzionedel sistema e, forse, registra anche la crisi della stes-sa stagione statutaria. In verità questo percorso aritroso del sistema scuola diviene simbolo dell’in-tero percorso involutivo del paese ed inaugura unaetà, che non promette nulla di buono. In dieci anniabbiamo dato vita a due visioni, che sembrano es-sere il frutto della sola emergenza sociale, più chedi un disegno forte sul piano pedagogico. È emer-genza sociale grave al punto da richiedere, si dicenella letteratura corrente, l’intervento della fami-glia e della scuola. È palese che nella definizione diemergenza sociale si prospetta uno scenario caricodi testimonianze sul bullismo, sulla violenza deigiovani, e su altri aspetti, che riguardano il tormen-tato mondo della adolescenza e post adolescenzacome lo immagina la pubblica opinione nelle sueforme più rilevanti.

E qui bisogna fare una prima osservazione. Leemergenze sono una costante della vita e sono nuovesolo per essere legate al particolare clima storico. Enon è detto che il termine emergenza sia per suaintima natura negativo. Se si procede, per un atti-mo, alla analisi della condizione della famiglia e deigiovani nell’ Inghilterra di Dickens o nell’Italia diCollodi e De Amicis, si vedrà che il laboratoriosociale dell’epoca presentava virus di eguale quan-tità, di forma però diversa rispetto ad oggi. Così ilproblema pedagogico di fondo diviene non scon-figgere una emergenza, ma costruire una cultura antiemergenze, una specie di scudo capace di difenderela persona e la società dagli attacchi reali e virtualiche ci colpiscono o minacciano. E questa assume laconnotazione di pedagogia etica ( perché non po-ter parlare, in fondo, come nel caso della finanzaetica o di altri ambiti ? ), nel senso di uno strumen-to che non solo svolge una funzione di formazio-ne, ma che ambisce a costruire un modello di vitaorganico e finalizzato alla sopravvivenza dell’indi-viduo e della specie in un regime di pari opportu-nità. Siamo in clima di recessione economica e dipaura globale. Non sarà male, in tale contesto, af-frontare anche l’emergenza educativa, come un ele-mento della più ampia emergenza economica. Oc-

corre una visione alternativa del rapporto tra i di-versi attori sociali, per evitare che la virtualità prendail sopravvento rispetto alla realtà. L’emergenza eco-nomica richiede la costruzione di un nuovo rap-porto tra i partner della comunità internazionale,tra l’altro anche alcune corsie accelerate rispetto allenecessità di incontri tra i paesi trainanti del sistemaeconomico. È il caso del G8, che diviene G4 dinan-zi a situazioni particolarmente drammatiche. An-che nel settore della educazione sembra necessariol’incontro tra i pilastri del processo educativo. Adun G4 economico è necessario affiancare un G4della educazione, cioè scuola, famiglia, società civi-le, associazioni compresi i partiti.

Questa strategia può garantire investimenti e ri-sorse comuni, per affrontare la grave crisi che scon-volge il paese e ne mina la crescita e la volontà dicostruire obiettivi strategici a medio e lungo termi-ne. E credo che sia anche il caso di liquidare vec-chie visioni di rapporti e gerarchie all’interno delsistema sociale. Come avviene quando le crisi eco-nomiche sconvolgono i mondi e la depressioneappare come una falce, che pareggia tutte le erbedel campo, o almeno dovrebbe, così la crisi del si-stema riequilibra il rapporto di responsabilità so-ciale. Il sistema scuola è insieme sottodimensionato( si pensi alle politiche economiche ed agli investi-menti verso la scuola ) e sovraesposto ( si pensi alleresponsabilità ed ai compiti che la società attribui-sce alla scuola ). A voler essere dissacranti si ha l’idea,in molti, che la scuola sia come S. Gennaro per inapoletani. Quando tutto sembra precipitare e nonvi sono speranze, allora si ricorre al santo per ilmiracolo impossibile.

È logica perversa e mutilante, che non giova, d’al-tra parte, alla rasserenazione del clima, in partico-lare quello degli interni al settore, docenti e perso-nale. Non bastano gli slogan o campagne anche acu-te di pubblicità, per sconfiggere fenomeni antichiquanto l’uomo, esplosi oggi in forma ancor piùmacroscopica nella scuola, come il più ampio e ge-neralizzato bacino di utenza della società. Sarebbeda stupirsi, se avvenisse il contrario. Allora davve-ro dovremmo parlare di patologia del circuito e dideclino del sistema sociale. In questo senso le emer-genze assumono una loro logica ed un percorsoprogettuale, non in quanto rappresentative di unacondizione di sofferenza sociale, ma testimoni del-la vita nella sua naturalezza ed in quanto tali solle-citate a reperire soluzioni. Ed il patto di correspon-sabilità può salvarsi dal rischio di divenire unacertificazione di irresponsabilità.

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Premessa

l modo migliore per fare chiarezza sulbullismo (bullyng), di cui non è semplicedelineare le cause, è partire dalla definizio-ne scientifica. Secondo Olweus, studioso

scandinavo che per primo studiò il fenomeno sularga scala nel 1978, “un bambino subisce prepoten-ze, ossia è vittima di bullismo, quando è espostoripetutamente e per lungo tempo alle azioni ostili diuno o più compagni” e quando queste azioni sonocompiute in una situazione di “squilibrio di forze,ossia una relazione asimmetrica: il ragazzo espostoai tormenti evidenzia difficoltà nel difendersi”.

Si tratta di una definizione complessa in quan-to non si riferisce ad un singolo atto, ma ad unasituazione relazionale considerata nel suo evolversinel tempo. Ciò potrebbe spiegare perché per gliadulti della scuola (docenti e non) sia difficile os-servare e riconoscere atti di bullismo così comeper i genitori accorgersene riconoscendone i sin-tomi. Il bullismo è, senza dubbio, espressione diun malessere sociale e di un disagio relazionale.

Il contesto di riferimento. Il fenomeno, per esse-re compreso, non può non essere collocato in uncontesto socio-culturale di riferimento. La societàoccidentale è una società della complessità, del-l’ansia, del disagio e della solitudine; una societàdello smarrimento dell’uomo che è incapace ditrovare risposte chiare al bisogno di sicurezza, diidentità, di valori intimi; anche per la crisi delle

“Smonta il Bullo”Campagna per la prevenzione e la lotta

al Bullismo nelle scuole di Basilicata

ANGELA GRANATAReferente Osservatorio Regionale Permanente sul Bullismo dell’USR Basilicata,

Psicologo-Psicoterapeuta

istituzioni classiche, come la famiglia e la scuola,non sempre idonee a trasmettere ai giovani valorie modelli tali da imporsi su modelli di vita quoti-diana e dei media. Tale complessità ha un prezzoaltissimo per gli adolescenti: la loro fragilità psico-sociale è tanto più alta quanto più si sgretolano ipunti di riferimento e quanto più in crisi si dimo-strano le reti di solidarietà umana e familiare. Unasocietà, dunque, dell’impoverimento esistenziale,con una percentuale sempre più elevata di perso-ne immature, emotivamente insicure, ansiose op-pure irrequiete ed aggressive, tendenti a sviluppa-re condotte inadeguate.

Le variabili. Più che di cause, è forse preferibileparlare di variabili che incidono su comportamentiaggressivi che sono alla base del fenomenobullismo.

I modelli sociali e mass-mediali. All’interno diuno scenario sociale “senza padri e senza maestri”gliadulti e i media propongono, frequentemente,modelli di comportamento imperniati sulla vio-lenza, sulla prepotenza, sulla prevaricazione e sul-l’aggressività. Un esempio ne sono i comporta-menti: aggressivi sono i comportamenti negli sta-di, sulle strade, nei dibattiti politici televisivi, neicartoni e negli spot pubblicitari. In tal senso i mass-media rappresentano un serio fattore di rischio peruna buona parte della popolazione infantile.

La Famiglia. Un ruolo importante è ricopertodal modello genitoriale nel gestire l’educazione:gli stili educativi rappresentano infatti un fattore

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“Il mondo è pericolosonon a causa di coloro che fanno del male, ma a

causa di coloro che guardano e lasciano fare”Einstein

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cruciale per lo sviluppo o meno di condotte ina-deguate. Molto si è indagato sul peso delle rela-zioni familiari; sulla mancanza di un clima edu-cativo e relazionale positivo; un clima privo dicalore, di coinvolgimento, di attenzione e di amo-re, è un fattore importante nello sviluppo del bam-bino poiché produce modalità aggressive nella re-lazione con gli altri. Anche l’eccessiva tolleranzaverso atteggiamenti aggressivi manifestati verso co-etanei e fratelli/sorelle, crea le condizioni per losviluppo di una modalità aggressiva stabile. Pareche le condotte inadeguate si verifichino con mag-giore probabilità quando i genitori sono iperpro-tettivi, pronti a “giustificare” e a “difendere a tuttii costi” i propri figli, “i bulli sono sempre i figlidegli altri”.

La Scuola. Da luogo di sicurezza e protezione,di educazione e apprendimento, di solidarietà etolleranza, in molti casi diventa luogo di violenzae sopraffazione. È proprio a scuola che si verifica-no, in molti casi, atti di bullismo.

I Gruppi dei pari. I fattori di gruppo possonofavorire comportamenti aggressivi. All’interno diquello che viene definito “branco” si verifica, in-fatti, un indebolimento del controllo e dell’inibi-zione delle condotte trasgressive e negative e, per-tanto, si sviluppa una riduzione della responsabi-lità individuale. Questi fattori fanno sì che, inpresenza di ragazzi aggressivi, anche coloro che,generalmente, non lo sono, lo possono diventare.Per evitare che un bambino ansioso e insicuro di-venti una vittima, è importante che i genitori e gliinsegnanti lo aiutino a trovare una migliore auto-stima ed una maggiore autonomia per affermarsinel gruppo dei pari.

Le caratteristiche personologiche. È su questo fat-tore, oltre che sulle variabili età e sesso, che si sonoconcentrate numerose ricerche, tese a tracciare unosorta di identikit del bullo e della vittima. Entram-bi meritano attenzione e sostegno in quanto per-sone che esprimono un disagio. La vittima, per lopiù, è un soggetto sensibile, calmo, anche se fragi-le e insicuro. Se provocato, il suo modello reattivoè ansioso e sottomesso. La caratteristica, invece,più evidente del comportamento del bullo è, ov-viamente, quella dell’aggressività. Il bullo vuoledominare gli altri e diventare un “leader” negati-vo per cui ha bisogno, oltre che della vittima, an-che dei cosiddetti “bulli passivi”, ovvero seguaci,sostenitori, sobillatori che non partecipano atti-vamente agli episodi di bullismo. Esiste, poi, un“incrocio” tra vittima e bullo: la vittima provoca-

trice, caratterizzata da una combinazione di mo-dalità di reazione aggressiva e ansiosa.

La Prevenzione. Risulta poco utile agire sul di-sturbo e sulla psicopatologia ormai conclamata.La specificità di un intervento preventivo deve es-sere rivolto a tutti gli alunni, ai docenti ai genito-ri, promuovendo interventi tesi a costruire unacultura del rispetto e della solidarietà. Per rendereefficaci e duraturi gli interventi preventivi è indi-spensabile un patto di alleanza tra scuola e fami-glia, affinché docenti e genitori possano esseremodelli e diventare uno stile di vita per i ragazzi.Compito degli insegnanti è quello di saper osser-vare, cogliere i messaggi ed intervenire precoce-mente per modificare gli atteggiamenti inadegua-ti. Per migliorare la collaborazione con le fami-glie è importante che si spieghi, anche ai genitori,che i loro figli possono assumere diversi atteggia-menti a seconda degli ambienti in cui si trovano.Questo è utile per prevenire la sorpresa delle fa-miglie nello scoprire modalità di comportamentodifferenti a casa e a scuola.

La politica dell’Ufficio Scolastico Regionale diBasilicata per la prevenzione e lotta al bullismo. Laprevenzione e la lotta al bullismo costituiscono,oggi, una delle priorità della politica scolasticanazionale e locale. La Direttiva del Ministro n. 16del 5.02.2007 ha dato il via alla campagna deno-minata “Smonta il bullo”. “Presso ciascun Ufficioscolastico regionale sono stati istituiti degli Osserva-tori Regionali Permanenti sul fenomeno del bul-lismo”. Ogni osservatorio è diventato un centropolifunzionale al servizio delle istituzioni scolasti-che che operano, anche in rete, sul territorio”. Sullabase, dunque, delle indicazioni contenute nellaDirettiva ministeriale, l’Ufficio Scolastico Regio-nale di Basilicata, nella persona del Direttore Ge-nerale Franco Inglese, ha attivato l’Osservatorio,una struttura “a rete” per la progettazione di unPiano Regionale di attività relativo agli ambiti dellaFormazione; della Consulenza; del Monitoraggio edella Documentazione.

Le iniziative previste dal Piano Regionale han-no un unico fine: rendere, sempre e comunque, lascuola luogo di accoglienza, di apprendimento edi tolleranza, in cui vengano garantiti i diritti ditutti e di ciascuno nel rispetto delle regole di unvivere civile.

Numero dedicato: 0971-21232e-mail: sportellobullismo@csvbasilicata. it

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Violenza* che fare?

MARIA GONNELLA SCHETTINIPresidente Comitato Regionale Basilicata

ent’anni fa moriva Ed-mondo De Amicis, acu-to indagatore di verità na-scoste, che descrisse ed

anticipò uno dei fenomeni deiquali oggi, a oltre un secolo didistanza, si fa un gran parlare: ilbullismo in ambito scolastico.

Il ritratto che De Amicis fadi Franti è proprio quello delbullo perfetto: “È malvagio...provoca tutti i più deboli di lui,e quando fa a pugni, s’inferociscee tira a far male... non teme nul-la, ride in faccia al maestro, èsempre in lite con qualcuno; haquaderni e libri stacciati; è sudi-cio”.

E oggi come sono i bulli del-le nostre scuole? Anche loro “ti-rano a far male”.

Ciò che distingue però, ilFranti dell’Ottocento da quellodel nostro secolo è che il primoha qualcosa che mette ribrezzoin quella fronte bassa, in quegliocchi torbidi... mentre l’altro, il“nostro” Franti ha spesso l’aspet-to di un signorino, non è brut-to, non è sporco, ha vestiti fir-mati; può anche avere genitorieducati e gentili ma anche lui in-cute paura e colpisce duro. Duetipi opposti perché i tempi cam-biano e così anche le rappresen-tazioni sociali.

A non cambiare, invece, è lasostanza che rimane la stessa: undisquilibrio di forza e di poteretra persecutore e vittima, tra dueindividui che, almeno a scuola,

dovrebbero avere le medesimeopportunità. Ma al di là delle de-finizioni semplicistiche, che co-s’è il bullismo? È un’interazionesbagliata, cioè un rapporto chesi snoda in maniera errata tra duepersone: il bullo da un lato, e lavittima dall’altro, afferma la psi-cologa Ada Fonzi, docente dipsicologia dello sviluppo al-l’Università di Firenze, direttri-ce della rivista “Psicologia con-temporanea” e autrice dei primistudi sul bullismo in Italia.

Il bullismo, per essere defini-to tale, deve presentare tre carat-teristiche precise: l’intenziona-lità, la persistenza e lo squilibriodi potere; vale a dire che dev’es-sere un’azione fatta intenzional-mente per provocare danno allevittime, ripetuta nei confronti diun particolare compagno piùdebole che subisce violenza.

Il fenomeno sta assumendodimensioni preoccupanti negliStati Uniti e in Europa, in parti-colare nel nostro Paese. Tanto èaffermato dai sociologi AttilioDanese e Giulia Paola Di Nico-la. Alcune indagini attestano chegià alle elementari il 41% deibambini ne è stato vittima alme-no una volta, mentre alle mediela percentuale scende al 36%.

Rispetto all’età, comunque, ilbullismo risulta in crescita tra i6 e i 12 anni.

Secondo un’altra recente in-dagine presentata dalla SocietàItaliana di Pediatria, quasi 8 ra-

gazzi su 10 delle scuole mediehanno conosciuto atti di bul-lismo, con un aumento del feno-meno di circa il 5% rispetto al2005.

Dallo studio effettuato su1200 studenti tra i 12 e i 14 anniè emerso pure che sono più i ra-gazzi che le ragazze ad assisteread atti di bullismo (77 contro 68per cento) senza differenze signi-ficative tra Nord e Sud Italia.

Il bullismo può avere faccediverse: “c’è il bullismo fisico(schiaffi, pugni e spinte ecc.) pre-cisa Ada Fonzi, e quello verbale(dalla canzonatura, allo sberleffo,all’ingiuria) quello diretto (la vit-tima viene picchiata e oltraggia-ta apertamente) e quello indiret-to (la vittima viene isolata edesclusa da attività comuni) e c’èpure una forma più maschile fat-ta in prevalenza di atteggiamen-ti violenti o di aperta derisione,e una più femminile, contrad-distinta dal pettegolezzo e dal-l’esclusione”.

Ma c’è un modo per arrestar-lo? Spesso il bullo è psicologica-mente più fragile della sua vitti-ma; prevarica per avere un’iden-tità, spesso è stato a sua voltavittima.

È un esibizionista. Occorretogliergli il terreno che alimentala sua bullagine sviluppando neicoetanei che gli stanno attornouna cultura della solidarietà ver-so il debole.

È importante, anche, che tutti

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gli operatori della scuola sianocoinvolti: insegnanti, personaleausiliario, dirigenti, perché sebisogna reprimere atteggiamen-ti di bullismo, è ancor più ne-cessario svolgere un’azione pre-ventiva.

Ada Fonzi pone in evidenza,che se nella scuola gli adulti rie-scono a creare un clima di con-sapevolezza che favorisca la rea-lizzazione di ciascun individuo,il “bullo” non avvertirà così for-te l’esigenza di mettersi in risal-to con atteggiamenti negativi ecapirà che può essere ugualmen-te degno di stima e attenzioneanche utilizzando percorsi alter-nativi.

Nell’ambiente familiare poi,in genere è possibile fare moltoaffinché non si creino atteggia-menti “bullisti”. “I genitori pos-sono – come sostengono Dane-se e Di Nicola – evitare che i fi-gli s’intrattengano con video-giochi violenti; possono com-mentare insieme ai figli un film,un fatto di cronaca, il compor-tamento di un compagno, pos-sono educare al rispetto per glialtri; proporre letture che pun-tano più sulle storie di vita e sul-la fantasia che sulla violenza.

I genitori devono “essere vi-cini” al proprio figlio perché inlui aumenti l’autostima e la fi-ducia in se stesso.

Occorre, comunque, che cisia un’intesa tra scuola e famigliafin dall’iscrizione del ragazzo; unpatto, un contratto se vogliamo,nel quale i genitori e gli operato-ri scolastici s’impegnano a stabi-lire e mantenere un costante dia-logo fra loro per informarsi reci-procamente sulla vita scolasticae familiare dei bambini e dei ra-gazzi ed uniformare interventieducativi adeguati; programma-re e partecipare a iniziative di

formazione e aggiornamento chediano agli adulti gli strumentiper valutare e affrontare senza

allarmismi ma con competenza,eventuali problemi ivi compre-so il bullismo.

Imparare è un diritto di tutti, Camilla Buonpastore, III C, Scuola Primaria Statale “DonLiborio Palazzo” - Montescaglioso (Matera)

“Gli Stati parte adottano ogni misura legislativa, amministrativa,sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di

violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche, mentali... ”art. 19. Convenzione Diritti Infanzia e Adolescenza – 20 nov. 1989.

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l Comitato Regionale per le Comunicazioni (Co. Re. Com. ) della Basilicata, che mionoro di presiedere ha sempre posto grande attenzione al mondo dei giovani e al lororapporto con i media. In particolare per l’anno in corso si è voluto intraprendere unainiziativa dedicata al fenomeno del “bullismo” che negli ultimi tempi è stato presen-

tato all’opinione pubblica, dai media appunto, come una “nuova emergenza giovanile”.Iniziativa nata con la fattiva e costruttiva collaborazione con il Centro di Servizio alVolontariato (CSV) e con l’Ufficio Scolastico Regionale (USR) di Basilicata.

La violenza dei giovani sui giovani in realtà non è un fenomeno di oggi. Esso è anticoalmeno quanto l’umanità. Il tribalismo primitivo sanciva il passaggio all’età adulta, l’ammis-sione nel novero degli uomini, attraverso il superamento di prove iniziatiche difficili espesso crudeli. L’archetipo del bullo per molti di noi che oggi sono adulti è stato per anni ildeamicisiano Franti, l’infame personaggio che tormenta i più deboli, odia il maestro e necombina di tutti i colori.

Oggi il fenomeno del bullismo è più “stupido” ma sicuramente non meno importanteper la società e per le diverse agenzie educative impegnate a debellarlo. Oggi il bullismo haun “quid” rappresentato dalla nuova tecnologia che avanza inesorabilmente e che consentealle nuove generazioni di diventare “famosi” proprio grazie ai nuovi mezzi di comunicazio-ne. Ma cosa può fare il Co. Re. Com. per contribuire ad evitare che tali episodi venganoenfatizzati e portati alla conoscenza dei coetanei che a loro volta “apprendono” e “mettonoin pratica”? La risposta sta nell’educare al giusto utilizzo dei mezzi di comunicazione e nelsensibilizzare. Per questo il Co. Re. Com. Basilicata ha inteso realizzare la cartolina “smontail bullo” diffondendo il numero telefonico 0971 21232 dello Sportello per l’Ascolto, la Preven-zione e la Lotta al Bullismo, istituito dall’Ufficio Scolastico Regionale di Basilicata nell’ambi-to delle azioni dell’Osservatorio Regionale Permanente sul Bullismo e ospitato dal Centrodi Servizio al Volontariato di Basilicata a supporto delle iniziative che il medesimo sostieneper promuovere la cultura e le pratiche della cittadinanza attiva e della solidarietà. Persegnalare, per chiedere informazioni, per ricevere sostegno ma soprattutto per contribuire aformare le menti del futuro dei nostri figli, dei nostri nipoti che dovranno essere sempre piùlibere da ogni forma di violenza e di paura.

La cartolina “Smonta il bullo”

LOREDANA ALBANOPresidente Co. Re. Com

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Da anni la Scuola si ponedegli interrogativi pertrovare soluzioni innova-tive e affrontare, dal pun-

to di vista della prevenzione, iproblemi che generano disagio edispersione. Tra questi il bul-lismo sembra essere il più vec-chio ma nello stesso tempo il piùrecente dei fenomeni: compor-tamenti aggressivi nella scuola,violenza e disagio, emargina-zione, razzismo.

La scommessa della scuola èquella di capire le cause e/o imomenti critici e le situazioniche possono generare atti di pre-varicazione individuale e collet-tiva. Non è difficile individuarele “vittime”, più difficile è indi-viduare i “bulli” e i gruppi re-sponsabili delle provocazioni. In-quietante è il gruppo degli “spet-tatori”!

La scuola può intervenire cer-cando di creare situazioni di be-nessere per tutti, ma nello stessotempo deve intraprendere per-corsi educativi volti a preveniresituazioni di disagio.

La scuola è tenuta a informa-re e formare gli studenti sutematiche relative alla salute fi-

sica e psicofisica, attraverso:– percorsi di educazione ali-

mentare come sensibiliz-zazione a situazioni di obesi-tà giovanile;

– progetti orientati all’acqui-sizione di pratiche sportivecome abitudine di vita. Lostudente deve porsi in modocompetente e critico nei con-fronti dello sport, rifiutandoforme esasperate e alienanti;

– educazione stradale comemezzo per dialogare su rego-le, comportamenti, sostanzedannose, dinamiche di grup-po.Essendo referente all’Educa-

zione alla Salute dell’Istituto Sta-tale d’Arte “G. Sello” di Udine,nell’anno scolastico 2006/ 2007ho ideato e fortemente voluto ilprogetto di ricerca-azione “Sanie Sicuri”, pur essendo consape-vole che negli ultimi anni soven-te alla scuola si demandano unpo’ tutte le educazioni; spessoinfatti gli insegnanti si trovano acompiere una corsa ad ostacolitra programmi, progetti e offer-te di percorsi d’ogni genere.

Ma, nonostante questo, se-condo me, nell’operare delle scel-

La scuola si attiva anche attraverso il progetto“SANI e SICURI”

MARIA CORRAOReferente educazione stradale-Provincia di Udine

Dall’Ufficio Scolastico Regionale del Friuli Venezia GiuliaDirezione Generale

te bisogna ovviamente affidarsial buon senso e in questo mo-mento, nella pratica quotidianadell’agire scolastico, emergonodelle priorità che riguardano lasalute fisica e psichica degli ado-lescenti; alla luce di ciò la scuolaha il dovere morale di offrire op-portunità di conoscenza e cresci-ta in questa direzione.

Nel portare avanti questoobiettivo si è vista una sempremaggiore adesione di tutte lecomponenti interessate al pro-getto: studenti, docenti e genito-ri degli istituti superiori dellaprovincia di Udine, adesione par-tecipe, convinta e coinvolta neldiffondere quelli che sono i mes-saggi forti del progetto stesso.

Il progetto ha affrontato, me-diante una visione sinergica, ilcomplesso tema dell’interazionetra un corretto approccio aglistili alimentari e una consapevo-le necessità del rispetto dellenorme che regolano la vita asso-ciata con particolare riferimen-to a quella stradale.

Le tematiche affrontate delprogetto sono la lotta alla seden-tarietà e all’obesità congiuntealla prevenzione delle stragi del

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sabato sera.Il progetto didattico-educa-

tivo “SANI e SICURI”, è stato au-torizzato dall’ Ufficio Scolasti-co Regionale Friuli VeneziaGiulia e portato avanti in colla-borazione con l’A. S. S. n. 4 “Me-dio Friuli”, patrocinato da “Cit-tà Sane” F. V. G., segue le direttivedel Ministero della PubblicaIstruzione - Dipartimento perl’Istruzione - Direzione Genera-le per lo Studente e del Ministe-ro della Salute - Dipartimentodella Prevenzione e della Comu-nicazione nell’ambito del pro-gramma “Guadagnare Salute:Rendere facili le scelte salutari”approvato con Decreto del Pre-sidente del Consiglio dei Mini-stri del 4 Maggio 2007 e calda-mente raccomandato per la suaattuazione.

Esso, attuato per due anniscolastici negli istituti superioridella provincia di Udine, va con-siderato quindi a tutti gli effettiun progetto pilota in riferimen-to al Piano Triennale per il Be-nessere dello Studente.

All’inizio di ciascun annoscolastico è stato organizzato un“forum “ di formazione dei do-centi delle scuole superiori dellaprovincia di Udine, attraversoappositi laboratori e scenari diintervento. Gran parte degli in-segnanti che si sono formati haelaborato, ciascuno nel proprio

istituto, degli specifici progetti disensibilizzazione sui temi dellasicurezza stradale, della sana ecorretta alimentazione e dellalotta alla sedentarietà.

Il confronto tra le diverseesperienze didattiche è stato alcentro del concorso “LA STRA-DA DELLA VITA… protagonistidel nostro futuro” che ha previ-sto un articolato gruppo di pos-sibili momenti di manifestazio-ne delle abilità scolastiche appre-se e sperimentate nelle numero-se scuole partecipanti. In altre pa-role il concorso, seppure pro-mosso dall’Istituto d’Arte, nonsi prefiggeva unicamente lo svol-gimento di temi artistici (locan-dine grafiche, elaborati plastici,opere pittoriche, immagini foto-grafiche), ma ha ammesso altresezioni. Ha offerto in particola-re lo spazio per le presentazionidi elaborati letterali (espressi nel-la forma di saggio, di racconto,di intervista, di testo poeticoecc.), di elaborati musicali (com-posti per strumento solista, perband, per gruppi corali e stru-mentali), di elaborati multime-diali (con la presenza di testo,audio, immagini e grafica ani-mata), per la presentazione dicocktail da sabato sera o di ricet-te per un piatto di prima e se-conda serata, per l’organizzazio-ne di tour alternativi (con pro-poste di visite di istruzione de-

gli studenti), per la composizio-ne di uno slogan originale (davisualizzare sui display dislocatilungo le principali vie di Udine),per la progettazione o la realiz-zazione di un meccanismo fina-lizzato al raggiungimento dimaggiore sicurezza sulla strada(ideando il prototipo di un mec-canismo da applicare sui veicolio da posizionare sugli spazi stra-dali riservati alla circolazioneveicolare o pedonale).

I vincitori sono stati procla-mati nel corso di una manifesta-zione che si è svolta il 22 mag-gio 2007 al Teatro Nuovo “Gio-vanni da Udine”; hanno parteci-pato beniamini dei giovani nelcampo sportivo e artistico.

Il progetto “Sani e Sicuri” tro-va un altro punto di forza nelproporsi come combustibile di-dattico e progettuale itinerantecapace di ascolto, di proposta edi strategia modulare nel terri-torio fisico e simbolico. A taleriguardo a breve “una fase” delprogetto sarà presente nel comu-ne di Potenza.

Ma credo che l’energia mag-giore viene ricavata dalla capaci-tà di costruire e di fare parte-nariati scolastici trovando nella“rete” fra le scuole il primo com-bustibile didattico e progettualedi base su cui aprire gli orizzon-ti strategici della teoria e dellaprassi.

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Dalle Istituzioni scolastiche

all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.all’U. S. R. B.

All’Ufficio Scolastico Regionale della BasilicataDirezione Generale

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I l bullismo tra “Teoria e Pratica”MARIA AMORIGI

Dirigente Scolastico ISIS Bernalda (Matera)

Il presente articolo nasce da una esigenza,formulata anche da alcuni insegnanti del-l’Istituto che io dirigo, di esplorare le carat-teristiche del fenomeno del “bullismo nel-

la realtà del nostro Istituto, anche a partire dai pre-occupanti episodi accaduti nelle varie scuole e daqualche comportamento particolarmente “vivace”riscontrato all’interno della nostra.

Gli insegnanti hanno affrontato e intendonoeventualmente affrontare il problema costruendocon gli studenti un percorso di conoscenza e ap-profondimento intorno ai comportamenti socialitra pari, alle relazioni tra coetanei e alle dinami-che interne ai gruppi di riferimento.

Se la presenza del problema risultasse fortemen-te evidente si avrebbe un “pretesto” molto signifi-cativo per promuovere una esperienza di sensibi-

lizzazione e di presa di coscienza di un problemache riguarda la crescita e la piena realizzazione dellapersonalità in un periodo dello sviluppo psicolo-gico e fisico molto complesso. Si offrirebbe inol-tre una importante opportunità per riflettere sul-le potenzialità di aiuto e riconoscimento recipro-co che da essi è possibile trarre.

Cos’è il bullismo

Il termine “bullismo” indica la messa in atto, daparte di uno o più individui, di azioni offensivenei confronti di un compagno. Tali azioni offen-sive possono essere di tipo:

• verbale (minacce, ingiurie, soprannomi offen-sivi, derisione sistematica, ecc.)

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• fisico (percosse, spintoni, ecc. ) oppure di al-tro tipo (estorsioni, escludere intenzionalmente lavittima dal gruppo, rivolgerle reiterati gesti osce-ni, ecc.).

Affinché si possa parlare di bullismo, dovreb-bero ricorrere tre caratteristiche:– l’intenzionalità (il bullo vuole ferire, umiliare la

vittima);– la reiterazione dell’azione (le violenze si protrag-

gono nel tempo);– l’asimmetria nella relazione (lo studente vive una

situazione di impotenza verso chi lo vittimizza).Il ruolo del bullo può essere assunto da un sin-

golo oppure da un gruppo.Il problema del bullismo nella scuola è sicura-

mente di vecchia data, non ha nulla di moderno,se è vero che Edmondo De Amicis l’aveva già de-scritto nel libro “Cuore”. Tutti hanno avuto un“Franti” (il discolo-bullo che devasta il cuore dellamamma e il sistema nervoso del maestro, il catti-vo del libro “Cuore”, quello che rompe i vetri afiondate e non ascolta il maestro, quello che ridequando il re d’Italia muore) per compagno, ma èsolo a partire dagli anni ’70 che esso inizia a rice-vere l’attenzione dei mass media e a divenire og-getto di indagini e ricerche inizialmente nei paesiscandinavi.

Lo studio del fenomeno si diffonde nelle altrenazioni a partire dalla fine degli anni ’80.

Le ricerche effettuate in Italia nel corso deglianni ’90 evidenziano una situazione piuttosto pre-occupante: il bullismo sembrerebbe ben più dif-fuso che altrove, con il 41% di bambini oggetto diprepotenze solo nella scuola elementare.

Le ricerche evidenziano come il ruolo del bullonon sia appannaggio maschile; anche le ragazzinelo mettono in atto, sia pure con tecniche e strate-gie diverse rispetto a quelle utilizzate dai maschi.Mentre questi ultimi usano metodi più visibili,diretti, facendo spesso uso della forza fisica persottomettere le vittime, le femmine usano invecemodalità più sottili e indirette, meno visibili (comela calunnia, la critica, l’isolamento sociale della vit-tima, ecc. ).

Bulli e vittime presentano determinate caratte-ristiche:

I bulli

Sono spesso fisicamente più forti dei loro com-pagni di classe e soprattutto delle vittime;– sentono il bisogno di dominare, di affermarsi

sottomettendo gli altri;– sono impulsivi e poco tolleranti, abituati ad

esternare la propria aggressività;– sono oppositivi e poco rispettosi delle regole;– sono incapaci di empatia nei confronti delle vit-

time;– non sono ansiosi o insicuri e hanno un alto

livello di autostima;– tendono a mettere in atto strategie di autoasso-

luzione per legittimare il proprio comporta-mento e infierire sulla vittima senza provaresensi di colpa (ad esempio la deumanizzazionedella vittima, la diffusione della responsabilità,la distorsione delle conseguenze, l’attribuzio-ne di colpa alla vittima).

Le vittime

– sono fisicamente più deboli dei loro compa-gni;

– sono piuttosto timidi, riservati, poco attivi,piangono facilmente;

– sono ansiosi, insicuri, caratterizzati da scarsaautostima;

– non sono mai aggressivi;– manifestano una certa difficoltà ad affermarsi

nel gruppo dei pari.In considerazione di ciò e del fatto che vivia-

mo in un mondo violento, dove la sopraffazioneè pane quotidiano, non significa che dobbiamorassegnarci a una sorta di gioco obbligato di spec-chi tra violenza degli adulti e violenza dei giovani.Ma ricordare, per esempio, che la scuola – quellaottocentesca, quella novecentesca, – non è mai stataun’isola pacifica e serena, può aiutare a rifletteresul da farsi.

Le aule sono sempre state luogo di conflitto.Lasciamo da parte lo scontro politico-sociale, chenon ha mai avuto un peso irrilevante, atteniamo-ci invece alla normale giornata scolastica. Bene:anche la scuola del “Cuore” (1885) è segnata dallaviolenza. Non si tratta solo del famigerato Franti,il cattivo per eccellenza, che a un certo punto mi-naccia Derossi “di piantargli un chiodo nel ven-tre”. C’è, nel libro, un continuo aggredire con in-giurie e mazzate. E perfino il più buono di tutti,il quattordicenne Garrone, “ha un coltello colmanico di madreperla che trovò l’anno passato inpiazza d’armi”. Senza contare che qualche voltaanche l’ottimo maestro perde la pazienza e si lan-cia sui suoi alunni peggiori strattonandoli e tra-sportandoli di peso dal Direttore.

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Questo per quel che riguarda la scuola elemen-tare; alle superiori la situazione non muta. In unromanzo del 1909, Ribellione di Pietro Micheli, cisi imbatte in un docente di storia naturale, ilprofessor Prato, che non ha il coraggio di pren-dersela con gli studenti più agguerriti ma, “sicco-me una promozione generale sarebbe stata scan-dalosa, ogni anno bocciava qualcuno del mansue-to gregge”. Una volta succede che il poco corag-gioso professore si imbatte “in una specie di scioc-co, zimbello di tutti i suoi compagni”. E poichélo zimbello di tutti i suoi compagni va male inogni materia, Prato decide di fare l’insegnante ri-goroso solo con lui e lo boccia anche in storianaturale. Non s’è reso conto che l’alunno ha inve-ce una forte passione per quella disciplina: “avevain casa sua” scrive Micheli “una raccolta di insetti,imbalsamava uccelli e mostrava una vera attitudi-ne a quel genere di studi”. Conseguenza? L’alun-no reagisce alla bocciatura armandosi di rivoltellae sparando due colpi al professore.

Questo nei romanzi. La realtà non è migliore.Quando, nel 1978, un ragazzo di diciassette anniesplode colpi “con un revolver di corta misura”contro un docente di matematica del Liceo “Vit-torio Emanuele” di Palermo, il prefetto disponeche “d’ora in poi se uno studente sarà sorpresoarmato in qualunque modo in un Istituto scolasti-co, ne dovrà essere espulso immediatamente edefinitivamente”.

Dalla nostra scuola, oggi, sono provvisoriamen-te sparite le armi da fuoco. Ed è sparita anche laviolenza come reazione a un’ingiustizia. Restanogli insegnanti che fanno finta di non vedere i vio-lenti e si rifanno “con il mansueto gregge”, resta-no e prosperano i bulli che vogliono ficcare chio-di nella pancia del compagno di banco. Soprattut-to resta, con caratteristiche di volta in volta diver-se, lo zimbello della classe.

Perché un gruppo di ragazzini ha bisogno diridurre un compagno a zimbello? Di ragioni se nepossono indicare tante. Ma qui vale la penaevidenziare che il mondo d’oggi ha una sua osses-sione pericolosa, comunemente accolta come unamolla positiva: la volontà di vincere e il rifiuto diperdere. I mass media lavorano per prefissare, fab-bricare i connotati del vincitore e del perdente.Lo si vede nella pubblicità, nei cartoni animati,nei film, nei telefilm, nei talk-show, nei video-giochi, nel calcio. Già quando i bambini si affac-ciano alla scuola dell’infanzia essi posseggono glistrumenti “culturali” per riconoscere tra loro ilvincente e per vivere nell’ansia di essere il perden-

te. Vince chi perseguita e schiaccia, perde chi si faperseguitare e schiacciare. Il vincente è bello,griffato, alla moda, con i soldi in tasca, un lin-guaggio osceno e arrogante; il perdente è “negro”,musone e ha i tratti mediatici di chi va ritenutolento, brutto, stupido, mal vestito, mal pettinato,con un linguaggio troppo pulito. Allora diventapreda per esercizi di sadismo o, se vuole salvarsi,deve farsi accettare alla corte dei suoi stessi perse-cutori.

La scuola dovrebbe lavorare su questo quadrod’insieme in difesa dei più deboli. Deve reagire difronte alle disuguaglianze di tutti i tipi che rendo-no il più debole inadatto alla vittoria. Deve ritor-nare quella cultura, purtroppo sparita dall’oriz-zonte etico con la sconfitta delle culture della so-lidarietà, della redenzione, del riscatto.

La scuola dovrebbe invertire la sua tendenza.La sua salvezza, la sua rinascita sta nella tutelafattiva dei perdenti contro i vincitori, delle vitti-me contro i carnefici. La sua fisionomia dovrebbenascere dalla battaglia vera contro tutte le formedi disuguaglianza, che sono la radice di ogni vio-lenza e lasciar perdere quella “politica” che la so-cietà dell’immagine, del consumismo richiede.

Che fare, allora?

Una buona pratica, che nella nostra scuola è statarealizzata con successo, riguarda il coinvolgimentodegli alunni più riservati in incarichi di leader, inmodo da aumentare in loro il senso di autostima erenderli più sicuri; nel contempo affidare ai più“vivaci”, ai cosiddetti “bulletti”, mansioni di re-sponsabilità.

Un buon rimedio, sperimentato anche questo,per evitare il bullismo potrebbe essere quello difavorire la competizione di squadra. Per troppotempo nelle nostre scuole è prevalsa una mentali-tà che considera la competizione un male. Si èpensato che la violenza scompaia livellando tutti.Non è così. La violenza va sublimata creando squa-dre in competizione. I nostri ragazzi dovrebberoandare a scuola tutto il giorno e, oltre a star sedutisui banchi, fare lavori, sport, arte, musica, teatro,ma all’interno di gruppi che si affrontano, checompetono. Così “in ciascuna squadra i leaderemergono in base al loro valore e tutti sono orgo-gliosi di partecipare perché si sentono parte di unnoi, in cui trovano una identità ed esprimono sestessi. (Francesco Alberoni, Il bullismo si eliminacon una scuola competitiva, Corriere della sera).

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I l bullismo – dall’inglese bullying – letteral-mente prevaricazione, aggressione, prepoten-za – da parte di un individuo o di un grup-po su un altro – è un fenomeno sociale che

sta assumendo delle proporzioni preoccupanti. Se-gnali indicativi di questa tendenza sono l’aumen-to della violenza giovanile, del comportamento ag-gressivo dai connotati persecutori, delle manife-stazioni palesi o subdole di un’aggressività che èvolta esclusivamente a distruggere la persona. Nelpassato il bullismo connotava, specie nella scuola,delle realtà particolari e difficili e veniva conside-rato un’anomalia di comportamento del singolosul gruppo classe. Allo stato attuale, a causa deldilagare del fenomeno, sono richiesti interventieducativi concreti, dal momento che la violenzadiffusa ha effetti deleteri sulle vittime, sugli stessiprotagonisti violenti e sulla vita dell’intera comu-nità. Il contesto sociale fluido e imprevedibile ri-

chiede a ciascuno appropriate capacità relazionalie maggiore senso di responsabilità, per navigarein acque sconosciute e spesso insidiose. Chi è vit-tima del bullismo non deve disperare. La scuolapuò e deve fornire gli strumenti perché le espe-rienze negative possano trasformarsi in insegna-menti positivi che, anziché indebolire la persona,la rafforzino nel contrastare, a sua volta, i feno-meni violenti. Gli educatori hanno il dovere diistruire i ragazzi alla comprensione dei meccani-smi biechi della violenza. Con la comprensione eil dialogo si può demolire la barriera che vittime ebulli hanno eretto col mondo esterno. Se il benecomune è evitare il decadimento civile di una so-cietà, sarà doveroso evitare volgari contrasti quo-tidiani che, specie nel mondo scolastico, nullahanno a che fare con la vocazione pedagogica chedovrebbe animare il lavoro degli organi elettivi,quelli preposti al servizio della collettività.

Eufonia e dialogodisarmonia e violenza: la musica e il bullismo

GIULIA CORSIInsegnante di violino – Firenze

A mio padre e mia madre, perché mi hanno insegnato a sperare neldomani, che è come una pagina bianca, ancora tutta da dipingere,

con la forza suggestiva di suoni, gesti e segni multicolori.

Ultimamente, alcuni docenti e studenti insie-me hanno pensato che il bullismo possa legarsiindissolubilmente al nullismo e, pertanto, i ragaz-zi hanno coniato e divulgato, scrivendolo dapper-tutto, lo slogan “bullo nullo” come estrema sinte-si della condizione di carenza di valori positivi checontraddistingue la personalità del bullo.

Ovviamente il “bullo nullo”, come una bolladi sapone, svanisce nel momento in cui decide diabbandonare i comportamenti che ledono la vitaaltrui, divenendo un nulla bullo, cioè una perso-

na “normale”, con difetti e pregi “normali”.BULLO NULLO: gioco di parole. Dietro ad esse,

però, si concretizza una possibilità di riscatto delbullo.

Altri slogan all’uopo creati sono stati: “I bullipensano di avere grandi idee ma hanno piccolicervelli” “Belli si nasce, bulli si diventa”; “Il bullonon è il più forte, è il più solo”; “Picchio, dunquesono bullo, dunque sono” che hanno stimolatocertamente qualche spunto di riflessione e perchéno qualche desiderio di cambiamento!

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Un deficit di empatia

È un dato di fatto che, nella persona umana, esi-stano dei segnali indicativi di un comportamentoaberrante. Quanto al bullismo uno di questi è lacarenza nel rappresentarsi ciò che l’altro sente ovive. È come se le emozioni venissero del tuttosoffocate e i segnali di sofferenza da parte dellavittima, anche se percepiti, fossero inefficaci a fre-nare il comportamento violento da parte dell’ag-gressore. Alcuni individui, inoltre, si sentono vivisolo se praticano violenza, in altre parole provanoeccitazione per l’atto in sé, per il gusto della sfida,per il piacere di prendersi gioco delle regole e deicompagni. È solo in questo modo che credono disuperare l’insicurezza e la fragilità che li attanagliae di poter affermare l’identità che hanno perduta.

L’universo musicale e artistico realizzano gliideali di confronto aperto e contatto empatico trasoggetti. Si direbbe che l’uomo, con l’arte,concretizzi un’esigenza che è racchiusa in sé: quelladi esprimersi e di confrontarsi con l’altro. Un’ope-ra incanta, turba, induce alla meditazione, indi-pendentemente dal giudizio estetico del fruitore.

Pertanto la musica è un richiamo continuo al dia-logo, proprio perché, priva di referenti esterni,sollecita l’attenzione verso quel messaggio univer-sale, sia pure immateriale e ambiguo, che le dàsignificato. Nel recepirlo la sensibilità deldestinatario si affina; egli interpreta le sfumatureespressive di quelle che, sulla carta, sono solo com-binazioni di segni. Pertanto, per la varietà delleespressioni e interpretazioni, la musica è quelmondo del “libero sentire”.

Lo stesso rock, quell’insensata follia giovanile,così come venne definita agli esordi, è una musicadura ed aggressiva, il cui scopo, però, è entrare nelmondo dell’ascoltatore con l’intensità della persua-sione, avvertita in senso fisico, ma non distrutti-vo. I mezzi con cui si realizza questo forte contat-to sono tecnologici, specificamente musicali e, inqualche modo, spettacolari: abbiamo una sincopeossessiva, implacabile, che suona come una fru-sta, un sassofono arrabbiato, una chitarra elettricamartellante, un sound accattivante, truccati inmodo da penetrare nello stomaco e produrre riso-nanze interne, lacerazioni; corpi scatenati che sidimenano sul palcoscenico con una vocalità di stra-da e inflessioni dello stile parlato, secondol’emotività naturale, un suono ruvido e gracchian-te. Il tutto per suscitare uno stupore emotivo, unoshock indimenticabile. Come direbbe l’etologoKonrad Lorenz, questo effetto empatico sembra unrito primordiale che sublima l’aggressività in unaforma di catarsi e perciò contribuisce al rilassa-mento della pulsione aggressiva ingorgata.

Il rock è certamente una terapia dell’aggressivi-tà per alcuni, ma non lo si può assumere comeunica forma educativa ed espressiva, considerandopoi che ciò comporterebbe la trasformazione strut-turale dei locali scolastici. Di fronte alle accuserivolte alla scuola di essere orientata verso i conte-nuti tradizionali e obsoleti del sapere, poniamol’evidenza dei fatti, secondo cui le devianze di com-portamento nascono proprio laddove manca unacoscienza delle tradizioni culturali. Allora il rocke altri tipi di produzioni artistiche e letterarieunderground possono diventare bandiere dietro cuisi maschera e, in un certo senso si incoraggia ap-provandolo, il comportamento violento di grup-pi facinorosi. Giovani ciechi a tutti i valori, vitti-me di una noia infinita sono adescati da bande,perché quando sventola la bandiera, la ragione ènella tromba. Eppure gli esseri umani più fragili,quelli sensibili a certi richiami, paradossalmente,sarebbero i più adatti a servire la nobile causa del-l’umanità. E la scuola non dovrebbe correre il ri-

La scuola è un totem fatto di amicizia, Tommaso Matone, III A, I. C. -Bella (Potenza)

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schio di perderli.Una buona norma di prevenzione del bullismo

è la sorveglianza speciale, da parte di genitori einsegnanti, dei divertimenti scelti dagli adolescen-ti. Al vaglio educativo vi è anche la musica, inquanto è risaputo che può trasformarsi in stru-mento di incitazione alla violenza.

Metodologia e bullismo

I segni dell’instabilità emotiva, della mancanza diautocontrollo sono spesso legati al mancato sensodi responsabilità nel processo di sviluppo psichico deisingoli, che invece dovrebbero esserne protagoni-sti attivi, in tutto il percorso scolastico. Una cartavincente è privilegiare il lavoro con le mani, conil corpo, con la voce, attraverso la recitazione, ograzie allo studio di uno strumento musicale, per-ché, come ricorda Piaget, l’intelligenza ha una basesenso-motoria. In alcune realtà scolastiche, agli al-lievi musicisti viene offerta la possibilità di lavo-rare in ensamble e orchestre. Sono occasioni distudio che insegnano a contenersi, a incanalare lapropria aggressività, in vista di un obiettivo supe-riore e comune. Si apprende l’equilibrio nelle di-namiche e il rispetto delle regole di convivenza edi ingresso delle voci. In queste occasioni è unmiraggio ottenere il massimo del silenzio, dell’at-tenzione, della concentrazione! Ma è vero che in-sieme si possono fare esperienze indimenticabili.Un problema educativo si presenta anche in que-sto caso: quello dei ruoli inadeguati degli educatori.Atteggiamenti sbagliati possono nuocere al pro-cesso di crescita degli allievi. Le cure eccessive ri-volte al discente ne ostacolano totalmente o inparte il processo di espansione della personalità; ciòaccade quando l’adulto si fa portavoce di una di-dattica normativa e prescrittiva, o punitiva, cre-dendo di risolvere il problema della disciplina. Tut-tavia anche il permissivismo e l’assenza di regolefomentano l’aggressività distruttiva e rafforzanoil predominio dei bulli sui più fragili.

Giocano un ruolo estremamente negativo edeteriore i modelli televisivi e virtuali, quali pro-totipi vincenti della forza fisica, di un’ambizionesfrenata che ostenta in ogni luogo un carico diaccessori elettronici sofisticati. Questi esempi,imposti con arroganza, specie nelle realtà cultu-ralmente più deboli, divengono armi-deterrentinelle mani dei bulli: è grazie a un apparatospettacolare che la personalità insicura e fragile delbullo riesce a ottenere quel rispetto reverenziale

che in altro modo non sarebbe in grado di con-quistarsi.

Che cosa è il bullismo se non una disarmoniaindotta nello sviluppo di quel “sistema” potenzial-mente perfetto che è l’essere umano? Un essereche ora non ha più uno scopo per cui lottare eimpegnarsi, né avverte un senso di appartenenza.Come gestire il problema?

Rassicurante ed emblematico è il caso delle or-chestre giovanili, sorte nelle realtà più complessee compromesse del mondo: qui i ragazzi hannotrovato una ragione di vita, una voglia di riscatto edi crescita. Ne consegue che abbiano sviluppatol’autocontrollo, il rispetto per l’altro, per l’inter-pretazione accurata della musica e una sensibilitàtutta speciale, da veri artisti, anche nel saper ascol-tare le ragioni dell’altro.

La musica e l’arte hanno enormi potenzialità:consentono di esprimersi, di comunicare, di cre-scere intellettualmente e sentimentalmente, leni-scono ferite psicologiche, convertono l’aggressi-vità distruttiva in energia ed entusiasmo, insegna-no uno stile di vita incline alla conoscenza e alperfezionamento. Il che comporta fatica e rinun-ce, ma anche gratificazioni che vanno ben oltrel’immediato.

Aggressività: una costante nella storia dell’uomo

L’energia auto-distruttiva non è contemplata nel-la natura dell’uomo, ma è conseguenza di una di-sfunzione, indotta. Cosa ben diversa è l’aggressivi-tà che, come Lorenz ci ricorda, è presente anchenei più sublimi tra i sentimenti umani, come l’ami-cizia e l’amore. In natura lo scopo dell’aggressivi-tà non è mai l’eliminazione degli appartenenti allaspecie, pertanto essa non può considerarsi un fat-to diabolico, né come la intese Goethe nel Faust,ossia parte di quella forza/ che sempre vuole il malee sempre il bene crea. In altre parole, ci piaccia ono, l’aggressività è uno strumento essenziale del-l’organizzazione di tutti gli istinti, nel perpetuar-si della vita e – diremo – per la stessa conservazio-ne e trasmissione del sapere.

Certo, colui che vuole affermare la superiorità“uccidendo” l’altro, colui che ha smarrito la no-zione di eternità, colui che presume di possedereuna verità tutta per sé, in un rapporto esclusivo efanatico di chiusura, in realtà fugge il più intelli-gente di tutti i precetti, ossia Uomo, conosci te stes-so, di Socrate. Gli atteggiamenti arroganti, si sa,

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possono fomentare la violenza. Si deve tener con-to, comunque, che alla superbia che galoppa, la ver-gogna siede in groppa.

La musica è il trait d’union tra individui; li fagioire e ridere insieme, li fa lottare per uno stessoideale. Ciò è evidente a scuola: quando suonareun brano risulta divertente, è proprio allora che sicreano speciali legami tra gli allievi-interpreti. Macertamente la musica ha anche funzione di limes;non separa l’élite dalla massa, bensì il terreno fer-tile, di crescita sana, da quello malsano, dei senti-menti distruttivi di odio e violenza.

Il messaggio di Beethoven e Gustav Klimt

Mi accingevo a scrivere queste riflessioni, quandoricevetti la nomina per insegnare violino in unascuola nei pressi di Vinci. Posta in riva all’Arno,in quel tratto di paesaggio che declina dolcementeverso il Tirreno e non lontana dalle colline anti-che, sorge in un territorio incantevole, immersotra feudi orgogliosi e borghi a misura d’uomo,come quello dove nacque, appunto, il grandeLeonardo.

Qui ho avuto una conferma di ciò che per anniavevo forse soltanto intuito: la scuola può vincerele sue battaglie, compresa quella contro il bullismo,a condizione che voglia impegnarsi nell’evitare gliinsuccessi scolastici. Si possono suscitare gli inte-ressi presso i giovani solo se si è in grado di legareil sapere alle esperienze concrete della vita, por-tando parallelismi tra mondi e linguaggi apparen-temente distanti. Questo, in sintesi, l’obiettivo diuna testimonianza dell’incontro tra il Preside, Prof.Salvadori e un gruppo di allievi, per inaugurarel’anno scolastico sotto i migliori auspici. Temadella lezione era il rapporto tra la musica diBeethoven, con particolare riferimento all’Inno allaGioia dalla IX Sinfonia, e la pittura di GustavKlimt, nel fregio commemorativo di Vienna, del1902, definito blasfemo per via di quel mottobiblico che lo accompagna e vuole esaltare il ruo-lo dell’artista, il cui “regno non è di questo mon-do”. E ancora: i famosi versi dell’Inno alla Gioia,

del poeta tedesco Schiller – che fanno dell’Arteun evento di portata sovrumana, la scintilla divi-na capace di realizzare quel desiderio, puro, maumanissimo, di vera felicità –, suonarono per moltie non a torto, come una vera e propria provoca-zione. Il messaggio della Poesia, della musica, del-la pittura si presta a distorsioni, dal momento cheè carico di simbolismi. Ma certamente non è undelirio di onnipotenza, né un desiderio di sopraf-fazione, perché è risaputo che, solo quando l’or-goglio diventa fanatismo, può pericolosamenteculminare in odio e conflitti. Maria Montessori,grande studiosa delle potenzialità umane, all’in-domani della seconda guerra mondiale, constata-va tristemente come crudeltà e sfruttamento, guer-re e ogni forma di violenza dovessero avere unruolo, perché gli uomini non si erano ancora resiconto della loro comune umanità e dell’opera cheinsieme avrebbero dovuto compiere per la realizza-zione di un destino cosmico.

Questi sentimenti di pace, amore, fratellanza,amicizia, sono allora destinati a rimanere purautopia? Chi ascolta attentamente la Marcia milita-re che preannuncia l’esplosione di felicità totalenell’Inno alla Gioia, può rendersi conto che lamusica fa una diretta allusione a una guerra dacombattersi, non tanto sul piano militare e strate-gico, quanto su quello spirituale, tanto è vero chetimbri e strumenti militari sottolineano trionfal-mente la vittoria di un’umanità sofferente sul do-lore che l’attanaglia e le impedisce di vivere piena-mente. La conquista di un bene superiore è l’obiet-tivo guida e la meta di ogni esistenza umana. Ma-lattia, follia, morte, angoscia, insidiano l’umani-tà, particolarmente coloro che si lasciano impri-gionare dalle lusinghe dell’immanente e faticanoa scorgere la Luce del trascendente. La sofferenzaporta già in sé la riconquista della libertà perduta,grazie all’Arte, alla Musica, alla Poesia: un mes-saggio impegnativo che contiene in sé la sfida pe-dagogica nel riuscire a trasmetterlo ai giovani dioggi. L’atteggiamento di chi educa non è solo do-vere, ma fiducia, perché nonostante la fatica, ènecessario continuare a sperare, credere, gioire,soffrire, combattere per l’essere umano.

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Educare all’ incontro autentico.Riflessioni “con” Martin Buber

MARIA DE CARLODocente I. T. G. “G. De Lorenzo” - Potenza

a scuola deve riappro-priarsi della sua specifici-tà educante attraversol’arte del pensare e del

ragionare. Le forme di violenzatra i banchi, prima che con iprovvedimenti, vanno combattu-te con il “fare” cultura! Laddove“fare”, esprime azione. Una pri-ma azione è quella del pensare –mettere in movimento meccani-smi che rigenerano la mente allaricerca autentica di ciò che è beneper l’uomo. “Fare” è anche fa-vorire una praxis di ciò che si èpensato. È passare all’actio.

Noi educatori non dobbiamomai dimenticare che il presenteè frutto di un percorso storico-sociale-economico e, in modoparticolare “culturale” che parteda molto lontano. E ciò è veroanche nelle storie individuali diciascuno di noi. Oggi l’uomoesterna se stesso attraverso rela-zioni aggressive, violente e mo-nologhe perciò l’uomo vive ildisagio della non comunicazio-ne (nonostante gli innumerevolimezzi) e non è capace di relazio-ni autentiche. Trovo particolar-mente interessante, attuale e “ne-cessario” – come una sorta di soc-corso al disagio in cui versa oggila società – il pensiero bube-riano.

Martin Buber nel 1923 pub-blica l’opera più celebre – Ich undDu – che segna l’inizio di un per-

Lcorso e pensiero filosofico che vasotto il nome di filosofia dialo-gica.

L’opera prende in esame ledue parole fondamentali (“Leparole fondamentali non sono sin-gole, ma coppie di parole”), la cop-pia io-tu (luogo di relazione –Beziehung) e la coppia Io-Esso,definendone i caratteri antropo-logici, nella prima parte; analiz-za la dinamica di queste coppienell’uomo, nella società e nellastoria, seconda parte. Infine, nel-la terza parte dell’opera, Buberparla della relazione autenticadell’io con il Tu-Dio.

Il problema antropologico ècaro a Buber che vede l’uomo intutta la sua interezza, quale uo-mo in relazione con l’altro. Unpunto, questo, fondamentale perla comprensione del pensierodialogico dell’autore. Per Buberl’uomo è nella relazione, ed ènella pronuncia di quel “tu” cheegli comprende il proprio “io”.Da un tu orizzontale a un Tuverticale, poiché “La relazionecon l’uomo è la parabola autenti-ca della relazione con Dio”, rela-zione che nell’epoca moderna siè oscurata (come scrive ne L’eclis-si di Dio) per effetto dell’iper-trofia dell’Io-Esso cioè di quelrapporto che vede l’altro comeoggetto.

Una prospettiva, quella pro-posta dal filosofo ebreo, che si

discosta da una visione moder-na che considera l’uomo in ter-mini di “individuo”. Al libera-lismo individualistico e al collet-tivismo – per Buber due atteg-giamenti esistenziali – si oppo-ne la via della “comunità vera”,luogo di molteplicità di personee di reciprocità. Si tratta della Co-munità (Gemeinschaft) dove sicostruiscono relazioni io-tu.

L’io è incomprensibile senzail tu. Non si può parlare dell’ioescludendo il tu. Buber afferma:“Quando si dice tu, si dice insie-me l’io della coppia io-tu”. L’as-senza di questa relazione è causadi inquietudine che l’Io-Essonon può colmare poiché “la pa-rola fondamentale Io-Esso nonpuò mai essere detta con l’inte-ro essere”.

Il tu che l’uomo pronuncia loapre all’infinito. E nella pronun-cia del tu l’uomo si affaccia allasua vera realtà, quella relazionale:“Chi dice tu – non ha alcunché,non ha nulla. Ma sta nella Bezi-ehung (relazione)”. La pienezzadell’uomo e del suo essere va ol-tre il confine dell’immediato,oltre tutto ciò che lo coinvolgenelle “cose” poiché: “Tutto que-sto e cose di questo genere insie-me fondano il regno dell’esso”.Nelle cose che lo circondano edi cui l’uomo si circonda “i tan-ti lui, lei, esso” (che Buber nonrigetta, anzi il mondo dell’esso

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– cultura, scienza, tecnica, isti-tuzione, etc. – è necessario perdare “continuità e durata ai frut-ti della relazione”) rientrano inquel dinamismo profondo del-l’essere che trova radice nell’in-quietudine esistenziale, nel suoesistere in quanto coppia, rela-zione io-tu. Un equilibrio che,se infranto, sprofonda l’uomonel baratro della frammentarietà.L’uomo così si è perso: “Dovesei?” è la domanda che Dio ri-

volge ad Adamo “o a chiunquealtro”.

È necessario pertanto ripen-sarsi uomo in termini di relazio-ne io-tu. L’io ha coscienza di sésolo mediante l’incontro con iltu. Relazione dialogica. E rela-zione è reciprocità; l’io si dà nellarealtà proprio mediante la rela-zione, un rapporto con l’altroche è costitutivo dell’essere.

Ma questa relazione con l’al-

tro può essere, dice Buber, au-tentica quando si vede nell’altroil “tu” (l’Io-Tu: santa parola fon-damentale del dialogo) e ciò èpienezza del proprio essere; op-pure relazione non autenticaquando, nella sfera dell’Io-Esso,si vede l’altro come “esso”, cioèa voler ridurre l’altro ad unacosa, ad uno strumento da uti-lizzare per propri fini, ad un og-getto su cui esercitare il propriopotere o un oggetto da voler ren-

dere a propria immagine e somi-glianza, allontanandosi così dal-la Gegenseitigkeit (reciprocità).

Secondo Buber, nell’epocamoderna il rapporto Io-Esso haconseguito un netto predominiosulla relazione Io-Tu. Di conse-guenza, la vita dialogica – sia del-la relazione con l’altro uomo checon il Tu eterno (relazioni che perBuber sono interdipendenti poi-ché solo chi è capace di relazio-

ne autentica con il tu può ancheinvocare il Tu Eterno) – è in cri-si; l’uomo della tarda modernitàè “senza casa”, senza relazioni eperciò solo; di fronte a questouomo che vive un forte disagiospirituale, che non è capace dipronunciare “tu” e quindi nonriesce a vivere relazioni autenti-che, Dio si è eclissato. Poiché adavere la meglio è stato il rappor-to Io-Esso cioè un primatodell’Ego che considera “altri” intermini di oggetto.

“Senza l’esso l’uomo nonpuò vivere. Ma colui che vivesolo con l’esso, non è l’uomo”.Ciò che Buber condanna è ilprevalere del mondo dell’essosulla possibilità delle relazioniautentiche. E comunque l’uo-mo può sempre sottrarsi almondo dell’esso, rifugiandosi inquello della relazione con laconseguenza che “Solo chi co-nosce la relazione e sa della pre-senza del tu diventa capace didecidersi. Chi si decide è libe-ro, poiché è giunto al cospettodel volto”. E nell’atto della de-cisione, della scelta, avvienel’opzione fondamentale dellaconversione-direzione che sioppone alla non-direzione cioèal male, poiché esso è il perma-nere nella non-scelta.

L’uomo può entrare in rela-zione, oltre che con il suo simi-le, anche con gli esseri della na-tura e con le “essenze spiritua-li”. Relazioni tutte che se auten-tiche – ovvero caratterizzate dal-l’immediatezza e dalla reciproci-tà – aprono al mistero, al “Tueterno”, al rapporto con Diopoiché “Ogni singolo tu è unabreccia aperta sul Tu eterno”.Buber parla di quel “tu” che:“non è un lui o una lei, limitatoda altri lui e lei, punto circoscrit-to dallo spazio e dal tempo nella

Scoprire insieme nuove realtà, Francesca Fanuele, Scuola secondaria di I grado. I. C. Accettura(Matera)

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rete del mondo; e neanche unmodo di essere, sperimentabile,descrivibile, fascio leggero diqualità definitive. Ma, senzaprossimità e senza divisioni, egliè tu e riempie la volta del cielo.Non come se non ci fosse nien-t’altro che lui: ma tutto il restovive nella sua luce”.

Il tu, la sua luce pervade tut-to l’essere, è il tutto che si pre-senta e mi incontra per grazia nonsi trova nella ricerca; affermaBuber: “Il tu mi incontra. Ma ioentro con lui nella relazione im-mediata. Così la relazione è altempo stesso essere scelti e sce-gliere, patire e agire”. C’è unarisposta al tu che si svela, c’è unascelta che spetta all’uomo, la di-sponibilità a accedere alla rela-zione: “L’unificazione e la fusio-ne con l’intero essere non puòmai avvenire attraverso di me, némai senza di me. Divento io neltu, diventando io, dico tu. Ognivita reale è incontro”.

Divento io nel tu: il mio esse-re viene partecipato al tu; sonoriflesso del tu, non posso darmil’io da me stesso. È nell’Unitàsuprema che ritrovo il mio io esolo quando e attraverso l’Unitàricomporrò l’armonia che il mioio apparirà nitido, capace di pro-nunciare tu.

Se oggi l’uomo fa fatica a diretu è perché ha smarrito il pro-prio io, nel caotico mondo delleingannevoli compensazioni cheè esterno al suo profondo; lo hasmarrito in ciò che appare illu-sorio e che spinge l’uomo versoil baratro della frammentazionee nullificazione.

L’incontro autentico col tu“avviene solo dove è caduto ognimezzo” in quanto: “La relazio-ne al tu è immediata. Tra l’io e il

tu non vi è alcuna conoscenzaconcettuale, alcuna precom-prensione, alcuna fantasia, e per-sino la memoria si trasforma,poiché precipita dalla particola-rità nella totalità”.

La relazione io-tu è onto-logica nell’uomo, per questo siregistra un’inquietudine dell’ioche tende al desiderio quasi spa-smodico della comunione: “Tral’io e il tu non vi è alcun fine,alcun desiderio, alcuna anticipa-zione; e persino l’anelito si tra-sforma, poiché precipita dal so-gno nell’apparizione”.

E il male è proprio questonon volersi dirigere verso l’in-contro autentico.

È possibile il recupero del rap-porto autentico? Si può trovarein un cammino che parte dal dia-logo con se stessi – ritorno, con-versione (teshuvah), un ritornodecisivo a se stessi è nella vita del-l’uomo l’inizio del cammino – peraprirsi poi all’incontro con l’al-tro: “Dimenticatevi di voi e pen-sate al mondo!” come Buber ri-porta in un racconto che cosìcommenta: “Cominciare da sestessi, ma non finire con se stessi;prendersi come punto di parten-za, ma non come meta; conoscer-si, ma non preoccuparsi di sé. Ilracconto ci presenta uno zaddik,un uomo saggio, pio e caritate-vole che, giunto alla vecchiaia,confessa di non aver ancora com-piuto l’autentico ritorno (…)”

E ancora sul ritorno – che èal centro della concezione ebrai-ca del cammino dell’uomo –Buber afferma che: “ha il poteredi rinnovare l’uomo dall’internoe di trasformare il suo ambito nelmondo di Dio, al punto che l’uo-mo del ritorno viene innalzatosopra lo zaddik perfetto, il qua-

le non conosce l’abisso del pec-cato. Ma ritorno significa quiqualcosa di molto più grande dipentimento e penitenze; signifi-ca che l’uomo che si è smarritonel caos dell’egoismo – in cui erasempre lui stesso la meta pre-fissata – trova, attraverso una vi-rata di tutto il suo essere, un cam-mino verso Dio, cioè il cammi-no verso l’adempimento delcompito particolare al quale Dioha destinato proprio lui, que-st’uomo particolare. Il penti-mento allora è semplicementel’impulso che fa scattare questavirata attiva; ma chi insiste a tor-mentarsi sul pentimento, chifustiga il proprio spirito conti-nuando a pensare all’insufficien-za delle proprie opere di peni-tenza, costui toglie alla virata ilmeglio delle sue energie”

La virata di cui parla Buberrinvia al tema della “direzione-decisione” che l’uomo deve in-traprendere per abbandonare ilmale. Il ritorno alla relazione èfonte di bene: “Solo chi conoscela relazione e sa della presenzadel tu diventa capace di decider-si. Chi si decide è libero, poichéè giunto al cospetto del volto”.

Si fa appello alla decisionedell’uomo di scegliere. Una vi-sione, questa, che attiene alprofetismo e responsabilizzal’uomo di fronte al suo destino.

Il male dunque è inteso come“forza senza direzione”, ovvero“istinto cattivo” che si contrap-pone all’“istinto buono”. Buberafferma: “… se ci fosse il diavo-lo, non sarebbe colui che decidecontro Dio, ma colui che eter-namente non sa decidersi”, comedire l’uomo agisce secondol’istinto cattivo solo se manca didirezione.

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La via pedagogica per affrontareil fenomeno bullismo

VANIA GALIZIADocente di scuola primaria

esperta di laboratorio presso l’Università Roma Tre

Sempre più spesso i mass-media diffondono notiziedi cronaca che racconta-no episodi di bullismo, le

prime ricerche in tale campo ri-salgono agli anni ’90, i risultatidi queste sono stati confrontaticon quelli delle ultime indaginied è emerso che in alcune realtàitaliane i casi di tale fenomenosi sono incrementati.

Ma che cosa è il “bullismo”?È un fenomeno dinamico,multidirezionale e relazionaleche coinvolge non solo ilprevaricatore e la vittima, maanche tutti gli appartenenti algruppo e si presenta come pre-potenze tra pari in un contestodi gruppo. Studi osservativi di-mostrano che atti di bullismovengono fatti alla presenza dicoetanei, di questi ultimi c’è chiincita e sostiene il bullo nel “suofare” e chi, per paura, interpretail ruolo dell’osservatore, solo ra-ramente c’è chi interviene perostacolare le prepotenze impar-tite alla vittima. I suddetti com-portamenti si possono manife-stare in forma diretta o indiret-ta, alla prima sono ascrivibili leprevaricazioni fisiche e verbali,mentre ci si riferisce alle secon-de quando gli abusi sono piùnascosti come l’esclusione dalgruppo e la diffusione di calun-nie sul compagno; i maschi met-tono maggiormente in atto leprepotenze di tipo diretto, le

femmine al contrario quelle ditipo indiretto. Vi è anche il“cyberbullying” e cioè “ilbullismo sottoforma elettronica:sms o telefonate al cellulare, fotoe video clip, e-mail, chat o sitiweb”.

Di fronte all’emergenzabullismo il Ministro della Pub-blica Istruzione, in data 5 febbra-io 2007, ha promulgato un do-cumento con oggetto: linee di in-dirizzo generali ed azioni a livel-lo nazionale per la prevenzione ela lotta al bullismo, nella cui pre-messa si può leggere che alle isti-tuzioni scolastiche debbono es-sere date ulteriori risorse e stru-menti per favorire “la valoriz-zazione della persona, la cresci-ta e lo sviluppo educativo,cognitivo e sociale del singolodiscente mediante percorsi diapprendimento individualizzatie interconessi con la realtà socia-le del territorio, la cooperazio-ne, la promozione della culturadella legalità e del benessere dibambini ed adolescenti”.

Si pone l’attenzione ad unmodello educativo umanistico,dove la dignità umana è un valo-re intorno al quale promuoverela formazione integrale della per-sona “attraverso l’idea di appren-dimento diffuso, nel connubio disapere ed esperienza, scuola evita… nel segno di quell’equili-brio ed armonia che sono i valo-ri necessari per l’autoident-

ificazione personale”.Una scuola centrata sulla per-

sona non ha solo la finalità difar acquisire conoscenze o pre-occuparsi dell’integrazione del-l’individuo nella società. Unascuola per la persona è “il luogodi promozione della pienaintegralità dell’esperienza uma-na, intesa come capacità di co-noscere, capacità di amare, capa-cità di vivere con gli altri, capa-cità di interrogarsi sul senso delmistero e, dunque, di aprirsi al-l’assoluto”. Le Indicazioni Na-zionali mettono l’accento sul-l’importanza di promuovere lacostante riflessione sui valorifondanti la vita individuale e so-ciale e di favorire “l’alfabeto del-l’integrazione affettiva della per-sonalità… base per un’immagi-ne realistica, ma positiva di sé”.

Bisogna aiutare gli alunni ascoprire ed arricchire personal-mente gli alfabeti del convivere,fondati sul dialogo, sul confron-to, sul riconoscimento di valoricomuni, in “una scuola consape-vole che i valori esistenziali van-no costruiti collettivamente”. Laconvivenza a qualsiasi livello,che sia nell’ambito familiare, sco-lastico o macro-sociale, è civilese si basa su una comune radicemorale, sulla libera e consapevo-le assunzione di valori che rego-lano le esperienze, le motivazio-ni, l’intenzionalità, la responsa-bilità di ciascun individuo.

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“Vivere bene con e per l’altroall’interno di istituzioni giuste,non si può concepire senza esse-re affetti dal progetto di viverebene attraverso la sollecitudinead un tempo esercitata e ricevu-ta… per essere amici di sé biso-gna già essere entrati in una rela-zione di amicizia con l’altro” inquesto modo l’amicizia preparail posto alla giustizia in quantovirtù per l’altro.

Il rapporto del sé con l’altroè regolato da una relazione asim-metrica tra il fare ed il subire,dove vi sono due differenti pro-tagonisti l’agente ed il pazien-te; “ma, in virtù della reversibi-lità dei ruoli, ogni agente è ilpaziente dell’altro. E in quantoaffetto dal potere-su di lui eserci-tato dall’altro, egli è investitodalla responsabilità di una azio-ne immediatamente posta sottola regola di reciprocità, che laregola di giustizia trasformerà inregola di uguaglianza”.

La società di oggi sembra es-sere governata dalla soggettivitàcome continua ricerca di soddi-sfare qualsiasi desiderio e per fareciò vengono assunti comporta-menti violenti, immorali, centra-le è, dunque, la riflessione sullacrisi dei valori che porta allo smar-rimento di senso e al disorien-tamento dei giovani.

Secondo V. Cesareo quantoaccade è imputabile alla provvi-sorietà, alla centricità, all’esaspe-rata soggettività, al disincanta-mento, che hanno determinatoil sorgere della cultura dell’incer-tezza. Si vive il problema di re-cuperare valori, fini ed obiettiviche siano universalmente ricono-sciuti, affinché si possa ritrovareil significato dell’esistenza, comeprospettiva soggettiva di una re-altà oggettiva ed espressione del-la dignità di un essere.

A tal fine si deve guardare alsoggetto educando “come pro-

duttore di cultura, (uomo colto,perché da sempre coltivato ecoltivantesi), cioè come rige-neratore di significati e di inter-pretazioni e di volizioni-trasfor-mazioni del mondo”, affinchéciò sia possibile la scuola deve es-sere il “luogo pedagogico” dovel’educando faccia propria l’u-nitarietà e l’armonia dei saperi,deve educare tenendo ben pre-sente la dimensione temporale espaziale nella quale si trova adoperare, con la prima si fa riferi-mento alla storia dell’individuoal suo patrimonio di esperienzepersonali e collettive, con la se-conda all’ambiente di vita e alcampo di azione.

Come affrontare il fenomenobullismo? Sicuramente con unaunità di intenti, per cui non èchiamata in causa solo la scuola,ma anche la prima agenzia edu-cativa che è la famiglia, come delresto è auspicabile che avvengaper ogni intervento educativo,che sia volto a fronteggiare unasituazione problematica o meno,poiché la riuscita di un percorsoformativo può essere perturbatase i segnali sono discordanti.

Il bullismo è un fenomenoche investe tutta la società, a talriguardo, infatti, il Ministro Fio-roni, nelle sue indicazioni nazio-nali sul come affrontare lo statodei fatti, ha previsto che anche imezzi di comunicazione, qualila radio, la TV, i portali web tra-smettano campagne di pubblici-tà progresso realizzati dagli alun-ni stessi e scelti tra quelli elabo-rati, trasmissioni televisive fina-lizzate al riconoscimento, allaverbalizzazione ed espressione disentimenti anche negativi. Inol-tre, con l’aiuto delle Forze del-l’Ordine, le Associazioni a tute-la dell’infanzia e gli organi com-petenti, verranno elaborati pro-tocolli di comportamento, che iragazzi, frequentatori della rete

telematica, dovranno rispettare,diventando loro stessi agenti delcontrollo sul web, segnalandoalla Polizia Postale tutti quei fil-mati, foto che danneggiano ladignità dei soggetti coinvolti.

Il Ministro, in data 18 aprile2007, ha promulgato una norma-tiva con oggetto: Piano nazionaleper il benessere dello studente: li-nee di indirizzo per l’anno scola-stico 2007/2008, nel quale ricor-da che compito della scuola èquello di promuovere l’educazio-ne alla salute, questa ultima in-tesa non solo nella prospettivapreventiva, ma anche nella “valo-rizzazione della persona: cultu-ra, scuola e persona sono inscin-dibili”, quindi, compito dellascuola è quello di insegnare le re-gole del vivere e del convivere.

La qualità della vita è influen-zata più o meno direttamentedalla natura delle relazioni inter-personali, attraverso le quali di-pendono l’autostima, la visio-ne che l’individuo ha di sé, lasoddisfazione della propria vita.Studi fatti sull’argomento evi-denziano che chi subisce prepo-tenze dal “bullo di turno”, sof-fre “di scarsa autostima e haun’opinione negativa di sé e del-la propria situazione… solita-mente, vive a scuola, una condi-zione di solitudine e di abban-dono”, al contrario il bullo è ag-gressivo verso i coetanei, spessoanche nei confronti degli adulti,quali genitori ed insegnanti, ècaratterizzato da impulsività ebisogno di dominare gli altri,anch’egli può avere una scarsaopinione di se stesso.

Nei confronti del bullo nonè produttivo avere un atteggia-mento tollerante e permissivo,poiché non lo aiuta a liberarsi daipropri modelli di comportamen-to contra legem. A tal riguardo ilMinistro, secondo le direttivedello Statuto delle Studentesse e

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degli Studenti (D.P.R. 24 giugno1998, n. 249), propone un mo-dello sanzionatorio non esclusi-vamente di natura regressiva-pu-nitiva, ma ispirato al modelloeducativo di natura riparatoria-risarcitoria, per cui invece diespellere il discente dalla scuola,a questi si richiede di assumeredei comportamenti volti a ripa-rare il danno arrecato, in questomodo lo si mette nella condizio-ne di rendersi consapevole neiconfronti della propria condot-ta antisociale. Nella scuola, in-fatti, la sanzione disciplinaredeve avere prima di tutto unafunzione educativa, ed essendoil bullismo un fenomeno digruppo occorre intervenire consoluzioni volte ad educare ilgruppo e non esclusivamentemirate al bullo.

La comunità scolastica contri-buisce alla formazione della per-sonalità ed attraverso l’educazio-ne alla legalità, promuove nonsolo il rispetto delle regole diconvivenza democratica, mapone anche l’accento sui doveriche ciascun soggetto è chiamatoa svolgere all’interno della comu-nità stessa, in base al proprioruolo.

“L’educazione è anzitutto for-mazione alla bellezza”, deve con-trastare la forza dell’abbru-timento proprio della societàodierna, e lo può fare promuo-vendo l’impegno di autoco-struzione della libertà, non solorievocando i valori, ma soprat-tutto incarnandoli.

Sintomi di ripresa sul camminodella scuola

FRANCESCO PAOLO CALVARUSOInsegnante presso l’I. M. S. “Regina Margherita”

Palermo

correre le pagine della stampa che con periodicità s’interessaalle vicende che ruotano attorno alla scuola, rimanda l’ideadi un’istituzione ritenuta unanimemente indispensabile maal contempo al limite dell’inguaribilità. Si noterà come le

espressioni più usate, rispetto alla questione educativa, negli ultimitempi siano piuttosto preoccupanti: sfida – shock – marasma – ri-schio – naufragio – disfatta. C’è ovviamente chi non se ne preoccu-pa più di tanto e bisogna ammettere che persino fra gli insegnantiabbondano coloro che al più appaiono interessati a che la campa-nella dia quotidianamente il segno del tutti a casa. Ma non di loroqueste righe s’interessano. Chiunque, al contrario, abbia a cura l’ar-gomento sa come questo stato di cose ormai necessiti d’una svolta evadano accolti i vari appelli al “coraggio di educare” nel tentativo diridare smalto ai nobili principi della missione, sì bella e perduta,della categoria. Fra le immagini più caustiche e ricorrenti troneggiasu tutte quella della “grande malata”, dal corpo imponente (forsesin troppo), incapace di trovare la via della guarigione, priva com’èdi adeguati anticorpi, in preda ad un’ampia gamma d’influenze chene rendono emaciato il viso ed instabile l’incedere. In queste condi-zioni, la scuola va in affanno ed è costretta a procedere a piccolipassi.

Lenta ed appesantita, lungo la sua strada, l’istituzione scolasticas’è imbattuta in tanti incidenti che le hanno arrecato seri danni. Perscongiurarne il collasso in numerosi sono accorsi al suo capezzale,ascoltandone il respiro, ponendo osservazioni, riassumendo cause econ-cause, delucidando i possibili fattori scatenanti questa complessasindrome. Abbondanti e ricche le diagnosi da tempo approntate,ma poco incisive le altrettanto copiose terapie.

Uno degli elementi patogeni appare l’elevato costo di gestione,divenuto tale per via d’un numero esorbitante, rispetto alla mediadell’U. E., di personale docente e non. Il ministro Gelmini, valuta-ta la mole della ripartizione della spesa pubblica utilizzabile dal suodicastero, ha di recente affermato: «La scuola ha smesso di essere unservizio ai cittadini e alla Nazione per diventare un enorme am-mortizzatore sociale. Non c’è Paese al mondo che abbia fatto così.È ingiusto per docenti e studenti. È, soprattutto, mortale per laqualità del sistema educativo». Poche le risorse, dunque, a disposi-zione per l’innovazione e la sicurezza, così come per l’edilizia ed

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altro ancora. Un budget quasi interamente versa-to in stipendi e che pertanto non consente direperire fondi adeguati per premiare i più merite-voli. Agli interessati non resta, pur con qualcheperplessità, che attendere quali saranno i parame-tri da adottare. Sussistono poi anche altri intricatinodi da sbrogliare, come ad esempio quello relati-vo al precariato dei docenti, che nel corso degliultimi lustri hanno sempre più affollato quella cheadesso si chiama “graduatoria ad esaurimento”.Migliaia d’insegnanti a tempo determinato, difatti,ogni anno sono costretti a riporre i registri a finegiugno senza sapere se in settembre riusciranno ariaprirli o, nel migliore dei casi, chissà in qualeistituto. A questo patema d’animo si aggiunga chegli stessi sono costretti, per motivi di cassa, ad unbimestre di disoccupazione, con tutti i disagi chequesto comporta. È un turnover continuo e sfi-brante che, com’è intuibile, nuoce principalmen-te all’utenza. La tanto decantata continuità didat-tica, in tal guisa, assume le mere sembianze d’unprincipio fissato solo sulla carta senza alcun rap-porto con la prassi. Altro nodo l’intricato binomio“scarsa remunerazione – perduto prestigio socia-le”. Le paghe risultano magre (imparagonabili aquelle di molti colleghi europei, i quali, però, han-no in più casi un orario di servizio più corposo) el’immagine che la gente ha dei docenti appare deltutto sconfortante.

Questo difficile quadro socio-economico hamolto influito sulla stessa quotidianità, tanto d’averingenerato in molti il tarlo del lassismo. Una verae propria apatia nei confronti dell’attività peda-gogica, che ha favorito inesorabilmente la diffu-sione, a scuola come altrove, della “maleducazio-ne”. Secondo un’indagine condotta dallo IARDsull’immagine sociale dell’insegnante negli ultimianni, solo per restare alle scuole superiori, questaè diminuita del 75%. Carlo Buzzi, sociologo e di-rettore scientifico di quest’Istituto di ricerca, sin-tetizza così le rilevazioni: «I docenti oggi percepi-scono come diminuito il proprio prestigio socia-le. Ancora peggio, la loro sensibilità li spinge adaffermare che diminuirà ulteriormente. Il proble-ma è che l’insegnante si percepisce come una per-sona con una forte funzione sociale, o come unprofessionista con un compito di rilievo. In realtàpoi come si vede riconosciuto? Alla stregua di unimpiegato, di un funzionario pubblico. La discrasiaè forte e non tutti riescono a farvi fronte». Occor-re ridare dignità alla professione, sostiene StefanoZecchi: «È mai possibile uno squilibrio tanto

demenziale fra l’alta funzione che deve svolgerel’insegnante e l’infimo credito di cui egli gode e dicui egli stesso è il primo ad esserne consapevole?Certo, per migliorare la scuola bisogna adeguarele leggi e la burocrazia, ma prima di tutto bisognarestituire dignità agli insegnanti, incominciandoa premiare il merito e lo stipendio». Compensiinadeguati e bassa stima sociale, disordine organiz-zativo intrecciato ad elefantiasi burocratica ed unastrisciante anaffettività per un mestiere che do-vrebbe preparare al valore della vita, imbriglianola scuola e ne mortificano i protagonisti.

A tutto ciò si aggiunga un deprecabile fenome-no che di recente s’è imposto con insistenza al-l’attenzione di tutta la collettività: il bullismo. Lasituazione in cui versano i ragazzi è il frutto d’unadiffusa povertà spirituale, come rilevano psicolo-gi e pedagogisti, una specie di “deserto emotivo”in cui essi vagano quasi del tutto inconsapevol-mente. Un dubbio, però, s’impone: poveri sì, mabulli perché? A ben guardare non siamo, purtrop-po, dinanzi ad un autentico inedito. L’esigenza difar rispettare la disciplina in classe non è una no-vità assoluta. V’è sempre stato qualcheduno piùincline a trasgredire, da contenere e/o recuperare.Il punto è che in ogni caso questa piaga ha in ef-fetti preso ad espandersi, sino a pulsare ormaipurulenta nel vivo delle ferite della scuola. Lamaggioranza delle persone appare concorde nelcredere che urga porre un freno a tutto ciò e chevada ripristinata quanto prima nelle nostre classiun po’ di disciplina. La questione ha raggiunto ilsuo culmine fra la fine del 2006 ed i primi mesidel 2007, quando il persistere di pessime notizieprovenienti da tutte le regioni ha imposto dellerisposte. È «un’emergenza educativa» quella cheinveste l’Italia, come più volte ha detto il Papa.Centinaia ed accorate le e-mail e le missive all’in-dirizzo di tutte le redazioni, docenti che danno ditesta perché ormai incapaci di gestire le dinami-che disciplinari, spesso al limite del burnout, geni-tori non sempre alleati dei docenti ma piuttostointrusivi ed iperprotettivi, prodighi nell’interferi-re persino in questioni didattiche e sovente lestinel tramutarsi in sindacalisti della cattiva educa-zione dei propri figli, videoclip d’ogni sorta regi-strati ed immessi in rete, cellulari clandestinamenteattivi anche durante le lezioni, oscenità e sesso,uso di stupefacenti ed atti vandalici persino con-tro simboli sacri. Si aggiungano, inoltre, i blog sulweb e le tante trasmissioni televisive incentratesulla crisi della scuola, ove politici, opinionisti ed

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esperti a vario titolo, per la maggior parte lontanidalla pratica didattica, si producono in tortuosidiscorsi, in larga misura facili a prendere il voloma non altrettanto capaci ad atterrare sulle pistedel fattibile.

All’inizio dello scorso anno scolastico, proprioper sottolineare la gravità del momento, l’alloraministro affermava che era giunto l’ora del rigore.«Tra bullismo, sesso e goliardate – commenta unagiornalista a colloquio con Fioroni – consumatein classe e postate su Internet in tempo quasi rea-le, la già incrinata credibilità dell’istruzione haraggiunto i livelli più bassi della sua storia. Il mi-nistro nei mesi scorsi è corso ai ripari come hapotuto, adottando alcune misure correttive e frauna settimana si prepara a dare il via a un annoscolastico all’insegna della severità». Ma è dovero-so ricordare che i primi passi compiuti per chiari-re in via preliminare cosa fosse il bullismo, comericonoscerne i connotati e soprattutto evitarlo edintervenire, risalgono, al di là di circolari edirettive, ad un dossier del 24 novembre 2006,posto in rete col titolo Bullismo, che fare? La Presi-denza del Consiglio dei Ministri, in collaborazio-ne con la Polizia di Stato, ha in questo modo cer-cato di mettere a disposizione di tutti una serie diutili consigli di cui avvalersi in situazione reale.Di lì a pochi mesi, riscontrata una crescente ur-genza, l’esecutivo ha dato quindi vita prima allacampagna “Smonta il bullo” ed in seconda battu-ta ha caldeggiato il D. P. R. n. 235 del 21 novem-bre 2007 – Regolamento recante modifiche edintegrazioni al D. P. R. 24 giugno 1998, n. 249,concernente lo Statuto delle studentesse e deglistudenti della scuola secondaria. Per quanto con-cerne la prima delle modalità d’intervento c’è dadire che questa ha avuto l’indiscusso merito d’aversgomberato alcuni dubbi sulla stessa definizionedel fenomeno. Esso, infatti, non va confuso conuna serie di reati comuni, per i quali, com’è ov-vio, esiste già uno specifico apparato normativo.Il bullo non è ipso facto un delinquente, ma un/una prepotente da arginare e reinserire nel grup-po-classe. Come ricorda la direttiva prot. n. 16 delMinistero della Pubblica Istruzione del 5/2/2007la parola “bullismo” deriva dall’inglese bullying ecaratterizza una situazione di prepotenza fra pariin un contesto di gruppo: «Il bullismo si configu-ra come un fenomeno dinamico, multidimen-sionale e relazionale che riguarda non solol’interazione del prevaricatore con la vittima, cheassume atteggiamenti di rassegnazione, ma tutti

gli appartenenti allo stesso gruppo con ruoli di-versi. Il comportamento del bullo è un tipo diazione continuativa e persistente che miradeliberatamente a far del male o danneggiare qual-cuno. La modalità diretta si manifesta in prepo-tenze fisiche e/o verbali. La forma indiretta diprevaricazione riguarda una serie di dicerie sulconto della vittima, l’esclusione dal gruppo deipari, l’isolamento, la diffusione di calunnie e dipettegolezzi e altre modalità definite di “cyber-bullying” inteso quest’ultimo come particolaretipo di aggressività intenzionale agita attraversoforme elettroniche». Per far sì che il cordone anti-bullismo riesca nelle sue finalità è d’uopo sia pun-tare sul ruolo educativo delle materie di studio,che di per sé implicano fatica, applicazione e me-todo, sia su di una costanza della qualità nelleinterazioni con i singoli discenti. Queste, dunque,le misure adottate dal ministero: campagna di co-municazione diversificata; istituzione di un por-tale internet (http://www. smontailbullo. it); spottelevisivi e radiofonici; informazione telematicacapillare sui siti più frequentati dai ragazzi; osser-vatori regionali permanenti, col compito di pre-venire, lottare e promuovere percorsi di educazio-ne alla legalità e di monitorare-verificare il com-plesso delle attività anti-bullismo; attivazione diun numero verde nazionale (800. 66. 96. 96); mez-zi di comunicazione e reti informatiche. Nel pre-detto sito, inoltre, è possibile reperire più stru-menti che consentono una generosa documenta-zione ed un insieme d’iniziative di pronto uso perchiunque si senta e/o debba intervenire su questospinoso problema sociale.

Il bullismo, come viene ricordato nel portale,lo si può battere, oltre che con l’impegno, con larisorsa della creatività. Le azioni sono strettamen-te connesse a quelle che si stanno già realizzandoper prevenire più ampiamente il disagio giovanile,ovvero: musica e scienza a scuola; premiare l’ec-cellenza; scuole aperte di pomeriggio; più sport ascuola; conoscenza della Costituzione; poten-ziamento della partecipazione studentesca; promo-zione dell’educazione alla salute; strategie di acco-glienza per gli alunni stranieri. Fra i progetti piùinteressanti in rete, inoltre, piace qui segnalarneuno, che suggerisce di non mettere il bullo sul pie-distallo e di ricordarsi che la scuola non è l’unicodepositario dell’intervento anti-bullismo, cosìcome di evitare l’invadenza esterna nella scuola eche la vittima possa identificarsi col suo ruolo.

Come muoversi a questo punto? Prima di tut-

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to viene ricordata l’impor-tanza di adottare delle di-stinzioni rispetto ai casi li-mite, ovverosia separarequelli patologici da quellidi mero disagio relazio-nale, poi d’incrementare ilcoinvolgimento educativodei genitori nonché la col-laborazione fra docenti inéquipe e di misurarsi conlo stress del conflitto. Instretta connessione aquanto anzidetto e chetrae spunto dalle indica-zioni della campagna“Smonta il bullo”, va af-fiancata la revisione dello“Statuto delle studentessee degli studenti”, resasiormai necessaria a causad’una scarsa efficacia deterrente di alcuni punti deltesto. La ratio rimane com’è chiaro l’ideazione el’attivazione di percorsi educativi di recupero pergli studenti che dovessero contravvenire, ma nonbisogna escludere l’ipotesi che in determinate cir-costanze i responsabili possano essere anche allon-tanati per un determinato periodo dalla comuni-tà scolastica. A scuola si va per studiare ed appren-dere la ricchezza del sapere, ma pure per impararea stare assieme e crescere da cittadini, eguali neidiritti e liberi nei doveri. È un fatto di civiltà.

Quali siano le cause più remote del bullismonon è certo semplice enuclearle in un articolo.Occorrerebbero assai più colonne e dati per suf-fragare qualsiasi analisi socio-pedagogica; in que-sta sede, tuttavia, s’intende avanzare qualche ipo-tesi: nichilismo – derive del 1968 – vicende politi-co-istituzionali correlate al passaggio fra “Prima eSeconda Repubblica” – eclissi della condotta.

La condizione post-moderna ha spalancato leporte ad un “ospite inquietante”, infido e corrosi-vo: il nichilismo. Un culto del niente, una fuganegli immensi spazi siderali dell’assenza perma-nente in cui nessun valore brilla di suo. Esso scal-fisce la dignità delle persone e lede le articolazionidella società, ne corrompe costumi e tradizione,rendendo tutti più soli ed immiserendo l’argentovivo dei più giovani. Una metastasi, dunque, col-lettivo-esistenziale che irrigidisce le relazioni econdanna al confino chiunque osi opporsi ai suoitanti e compiaciuti cantori. Questo lo scenario cli-

matico-culturale che carica di nubi acide i cieli dellanostra gioventù, irretita negli entusiasmi ed indi-gente di fiducia. La notte passerà, ma nel frattem-po l’immensità del vacante invadente riempie dinon-contenuti le prospettive di tanti ragazzi, avolte illudendoli che se ogni cosa è nulla alloraniente e tutto co-incidono. È il trionfo ingloriosodel vuoto a perdere!

Un altro fattore da tenere in considerazione ap-pare il perdurante riflusso gastroesofageo della con-testazione del 1968. In quell’anno, in stretta connes-sione con i fermenti di ampie fasce della società civi-le statunitense dei primi anni Sessanta, sfociati nelrifiuto della guerra in Vietnam, e gli avvenimenti delmaggio francese, anche in Italia, sotto la spinta del“movimento studentesco” (che inizialmente vedevainsieme studenti di destra e di sinistra, uniti per unattacco al “sistema”, ritenuto autoritario, ipocrita edimbolsito), un’ondata di rivendicazioni e di propo-ste attirò migliaia di universitari, gli stessi che di lì anon molti anni avrebbero progressivamente occu-pato i posti dei tanto vituperati padri. Si trattò d’unperiodo di forti tensioni politico-sociali che ebbe uninizio quasi ludico-propositivo, ma che poi sfociònegli “anni di piombo”. La cosa più grottesca è chequei ragazzi sembra credessero in certi (falsi) mitiche non erano se non dei simulacri di altrettanti po-teri forti, distinti e distanti dai modelli in cui eracresciuta l’Italia del benessere diffuso e della ripresadopo la catastrofe del secondo conflitto mondiale.L’onda lunga di questo fermento, non di rado con-

Il girotondo del sapere e dell’amicizia, Lucia Claudia, II B, Scuola Secondaria di II grado - Senise (Potenza)

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trassegnato dal sangue, seppur deviata rispetto allabuona fede dei più, ha sparso nell’immaginario col-lettivo, per decenni, l’idea della liceità dello stravol-gimento assiologico. Ma ciò che più conta e colpisceè che molti dei contestatori d’un tempo ora sianoclasse dirigente o, più paradossalmente, educatorisenza memoria né carattere.

La storia repubblicana del ministero della P. I.è anch’essa un’angolazione prospettica da prende-re in esame. Possiamo suddividerla in due macrofasi: la prima che va dal 13 luglio 1946 al 10 mag-gio 1994 e la seconda che da quest’ultima data giun-ge sino ai giorni nostri. Per quasi 50 anni, dun-que, seppur con qualche breve eccezione, il dica-stero di viale Trastevere è stato affidato ad un espo-nente di quella che fu la Democrazia Cristiana: daGuido Gonella, passando per i vari Franco MariaMalfatti, Guido Bodrato, Franca Falcucci, sino adarrivare a Rosa Russo Iervolino. Pur nell’instabi-lità dei governi nazionali (dal 1948 al 1994 si sonosucceduti ben 48 governi in 11 legislature), il mi-nistero ha mantenuto una sua identità politico-pedagogica, comportando per il nostro Paese unacerta linearità e coerenza d’indirizzi. Ma l’avven-to dell’inchiesta-ciclone “mani pulite” ed il ricam-bio imposto dalla forte pressione dell’opinionepubblica, indignata per la dilagante corruzione intutti i settori, principalmente riscontrabile nell’in-treccio fra alta finanza ed una classe politica giun-ta al capolinea, hanno creato le condizioni per uncambiamento radicale della gestione del potere.Negli ultimi 18 anni s’è così palesata una forma didisorientamento istituzionale: si sono infatti sus-seguiti, a fasi alterne, 7 ministri: 3 di centro-destra(Francesco D’Onofrio, Letizia Moratti, Maria Stel-la Gelmini), 2 di centro-sinistra (Luigi Berlinguer,Giuseppe Fioroni), 1 indipendente (GiancarloLombardi) ed 1 tecnico (Tullio De Mauro). Unasimile oscillazione non può che aver arrecato in-certezze e vive preoccupazioni per l’effettivo ti-more che il ministro di turno potesse cancellaremolti dei provvedimenti del suo predecessore.Persino la dicitura del Ministero – M.P.I. (1946-2001)– M.I.U.R. (2001-2006) – M.P.I. (2006-2008) – M.I.U.R. (dall’8 maggio 2008) e delle sue propaggini lo-cali (Provveditorato agli Studi – Centro ServiziAmministrativi – Ufficio Scolastico Provinciale)continuano a mutare con frenetica risolutezza.Controriforme, sospensioni, recuperi progettuali;insomma, è uno sbandare a destra e a manca cheha confuso ulteriormente la “malata” per cui tan-to ci affanniamo e alla quale, proprio perché sof-

ferente, sarebbe opportuno garantire più tranquil-lità. Una maggiore stabilità nelle linee operativeprovenienti dall’alto, infatti, nel pieno rispettodell’alternanza democratica sancita dalle urne,potrebbe giovare alla bisogna, dando continuitàalle iniziative di riforma e salvaguardando il me-glio delle scelte già avviate. Non in ossequio alleagende di partito dovrebbe stilarsi la ricetta per laconvalescenza ed il recupero della scuola, bensì,come recita la formula di rito per il giuramentodei ministri della Repubblica, “nell’interesse esclu-sivo della nazione”.

Un accenno, infine, a quella che potremmo de-finire come “eclissi della condotta”. Scrive unadocente al direttore del più noto foglio d’Italia:«Si sta perdendo il senso dell’autorevolezza del-l’insegnante, in nome di un modello educativo checiecamente tutto permette e tollera, a sostegno diun modello di convivenza civile dove la civiltà èridotta a mero accessorio. Non servono i già tan-ti, troppi convegni, parole, esperti o presunti tali.Serve ripristinare la semplice certezza che manca-re di rispetto a chiunque nella scuola è una cosagrave e suscettibile di punizione severa». È unafebbre altissima e per la quale occorre far pronta-mente qualcosa per riportare la temperatura a piùrassicuranti livelli. In primo luogo bisogna direche nel nostro Paese la letteratura pedagogica sul-la disciplina scolastica non ha goduto di grandeconsiderazione. Rita Gatti in proposito scrive:«Balza agli occhi, ed è uno dei nodi del problema,che il termine disciplina inteso nel senso di nor-ma di condotta ha subito una specie di oscuramen-to lessicale nella produzione pedagogica italianadal secondo dopoguerra a oggi. Alla parola, infat-ti, si è associata una valenza prevalentemente ne-gativa». In alcuni casi, anzi, ci si è persino preoc-cupati di sminuirne lo spessore, sostenendo cheprofitto e comportamento vivono vite parallelema disgiunte, una sorta di condizione da separatiin casa. Legittima l’obiezione secondo cui ciò cheavrebbe inibito la ricerca in questa direzione sa-rebbe stato il timore/ricordo di abusi d’un talestrumento di controllo; resta comunque l’errored’aver fatto passare in tanti la strampalata idea percui produrre risultati sia più importante che otte-nerli in aderenza ad un buon comportamento. «Ladisciplina – come scrive Bernhard Bueb – è il fi-glio non amato della pedagogia». In questa assen-za che nel tempo ha assunto sempre più i conno-tati d’una resa al più prepotente, prima ci si èpremurati nel 1977 di eliminare il voto in condot-

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ta nelle elementari e nelle medie, per poi nel 1998completare l’opera abolendolo anche alle superio-ri. È in questo desolato scenario che è cresciuto il“nullismo buonista”. Si è trattato d’una lenta edinesorabile copertura del contegno e del costumecollettivo; una vera e propria eclissi s(c)olare. Al-cuni, così, anche fra i sindacati, sentono di doversegnalare l’esigenza d’una “pedagogia assertiva”,tale che possa rimettere in chiaro che assumere uncomportamento civile paga e che lo stracciare condisinvoltura un patto sia il miglior viatico per ladisonestà. Prima dote d’un insegnante sia l’equi-tà. Ci si faccia bandiera in prima persona di que-sto valore; i ragazzi apprezzeranno e rispetteran-no con più solerzia le regole. È letteralmente vanofare Educazione alla legalità se chi ricopre il com-pito d’insegnarla non sa praticarne i dettami. I ra-gazzi apprezzano il diniego più di quanto non paiaai pifferai del facile assenso, ma esigono che essosia esercitato nella coerenza.

Il ritorno del voto in condotta e la correlataistituzione della materia “Cittadinanza e Costitu-zione”, col D. L. n. 137 del 1° settembre 2008,riportano un po’ di luce nel buio circostante, in-ducendoci a pensare che il peggio sia ormai allespalle. Non s’è trattato d’un tramonto, ma diun’eclissi, duratura ma pur sempre superabile.

I pareri sul giro di vite sono perlopiù favorevo-li. Vanno registrate, tuttavia, talune secche oppo-sizioni così come, più ragionevolmente, i dubbidi coloro che si chiedono se basterà solo un’enne-sima serie di provvedimenti a por fine a questoandazzo. Qualunque sia l’ottica rimane certo unfatto: insegnanti e famiglie non potranno più diredi non avere gli strumenti per ridare peso alla di-sciplina. Tocca a loro dar seguito alla legge. I geni-tori si rammentino di essere padri e madri, contutto il bagaglio di responsabilità (fra cui aiutarecome possibile i propri ragazzi nello studio nelpomeriggio, di accompagnarli nelle spericolatenavigazioni sul web e di sottrarli al magnetismoipnotico della tv) che ciò comporta sia dal puntodi vista etico che legale, ed i docenti non indugi-no più sulle paludose sponde del permissivismo.È ora di tornare ad educare, per loro, per i nostriallievi, affinché diventino più forti nell’affrontarele asperità di cui il mondo non è mai avido. C’èun bisogno di valori che va riscoperto edassecondato. Siamo educatori, rigettiamo facili si-nonimi rivolti al nostro indirizzo: non è più ilcaso d’identificarsi con altro da noi, definendocitrasmettitori, facilitatori, operatori, esperti di re-

lazione e chissà cos’altro ancora, poiché così sicontribuisce solo a creare quella confusione, nonsempre lusinghiera, che circola attorno a noi e checi vede compresi e compressi in una gamma cheva dal “sacerdote laico” (dalla vocazione in veritàtribolante) al notaio sino al posteggiatore. La scuo-la è così passata nella considerazione della genteda un servizio eminentemente culturale ad unoesclusivamente socio-assistenziale: «Per lungo tem-po, la scuola ha sentito come suo primo e quasiunico dovere quello di produrre e trasmettere cul-tura: sia i docenti che gli alunni mettevano ai pri-mi posti le varie materie da imparare, lo studionecessario a tale fine, i risultati raggiunti e la con-seguente valutazione.

A un certo momento, tutto questo è stato qua-si completamente soppiantato dalle preoccupazio-ni per i problemi sociali e le difficoltà psicologi-che dei giovani, cosicché si è finito con il chiedereal docente di assistere gli alunni piuttosto che diinsegnare loro, di badare ai propri studenti e nondi formarli e informarli culturalmente. Scompar-sa la cultura, nella scuola è entrato di tutto: la po-litica, sociologia di bassa lega, ogni genere di co-siddetta educazione (stradale, alimentare, sessua-le, ecc. ), le gite spesso più distruttive che istrutti-ve, le occupazioni, le autogestioni, i dibattiti, echi più ne ha più ne metta. In questo bailammeche ci sta a fare un insegnate? Nulla». Percezionidiffuse, certo non sempre combacianti con la si-tuazione reale ma che spesso smascherano condi-zioni imbarazzanti e che possono rendere più pe-sante l’esercizio d’una attività professionale bellaed emotivamente densa ma anche, non di rado,frustrante e colma di stati d’ansia.

Nel 2008 è ricorso il 60° anniversario dellanostra Carta costituzionale. Tante le iniziativepolitiche e culturali tese a sottolineare tutta lavalenza civile e sociale d’un testo ancora fresco ericco di valori. Tutti gli articoli meritano egualerispetto, ma bisogna ammettere che se certuni sem-bra abbiano un’eco maggiore o quanto meno unavisibilità più nitida, altri paiono con-vivergli alfianco quasi sotto tono. Fra questi l’art. 54, il qua-le, a proposito dei cittadini cui sono affidate fun-zioni pubbliche, impone di adempierle con “di-sciplina ed onore”. Per ri-sanare la scuola proba-bilmente non basterà convenire e sintonizzarcisull’altezza morale d’un simile dovere, masenz’ombra di dubbio osservarne lo spirito potreb-be contribuire a rischiarare il cammino lungo ilquale ci siamo inoltrati.

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I l bullismo. Un fenomeno in crescita?

MARIA ROSA ARDIZZONEDocente di scuola Primaria

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Il bullismo: come riconoscerlo

l bullismo è un fenome-no molto diffuso a livel-lo nazionale e internazio-nale. Le ricerche, fin qui

condotte, oltre a confermarequesto dato, segnalano le conse-guenze negative che gli atti dibullismo procurano sia alle vit-time che ai responsabili di taliatti. Le vittime di bullismo ten-dono a sviluppare una persona-lità con bassa autostima, hannodifficoltà a comunicare e si iso-lano dai gruppi dei pari, mentreil soggetto, responsabile del so-pruso, rimane ancorato a unaserie di comportamenti che di-ventano tratti persistenti dellasua personalità. Per atti di bul-lismo, secondo una definizionecondivisa in ambito internazio-nale, si intendono tutti i compor-tamenti aggressivi particolarmen-te insidiosi e pervasivi, basati sul-l’intenzione ostile di uno o piùragazzi, sulla ripetitività nel tem-po dell’azione persecutoria e sulladebolezza della vittima che diffi-cilmente riesce a difendersi.

Secondo gli studi di Olweus(1996) e di Menesini (2000) i trat-ti distintivi del fenomeno sonodati dall’intenzionalità, dalla per-sistenza, dall’asimmetria di po-tere, dalla natura sociale. Si trat-ta di un fenomeno molto com-plesso che non si riferisce ad unsingolo atto, bensì ad una sopraf-

fazione socialmente situata e per-sistente nel tempo con tre attoriprincipali: il bullo, la vittima egli spettatori.

Nell’atto del bullismo ciascunattore assume un ruolo che siconsolida e si mantiene nel tem-po. Una tale dinamica aumentala difficoltà delle rilevazioni so-prattutto quando ci si rivolge asoggetti in età precoce. I bambi-ni non sempre sono in grado diriconoscere e segnalare atti edeventi con queste caratteristichedal momento che non sempresono in grado di leggere le azio-ni nei contesti.

Le difficoltà di lettura del fe-nomeno non riguardano soltan-to i più piccoli ma anche gli adul-ti. Insegnanti e genitori tendo-no ad ascrivere alcuni compor-tamenti aggressivi come sempli-ci atti di prepotenza o forme in-genue di goliardismo dove ilgruppo cerca di mettere alla pro-va il singolo.

Gli atti di bullismo avvengo-no entro o nei dintorni del con-testo scolastico e nel contesto vir-tuale di internet (cyberbullying);a volte sotto gli occhi dei docen-ti che non sempre riescono a in-tercettare alcuni comportamen-ti dei loro ragazzi come atti disopraffazione e, quindi, non in-tervengono con azioni educativemirate.

Gli atti di bullismo si mani-festano in forme di “prepoten-za”. Tra queste è possibile rin-

tracciare: aggressioni esplicite onascoste, umiliazioni, intimida-zioni perpetrate da uno o piùbambini-ragazzi ai danni di unoo più compagni, prevaricazioni,minacce, esclusione sociale.

Le tipologie con cui vengonocompiuti gli atti di prepotenzasono molte. Nelle ricerche ven-gono distinte le prepotenze di-rette da quelle indirette: azioni diviolenza fisica (calci, pugni, col-pi ecc), offese di tipo verbale (mi-nacce, offese ecc.), esclusione dalgruppo con la diffusione di ca-lunnie sui compagni (indirette).Le ricerche hanno segnalato, tral’altro, che ci sono delle differen-ze da ascrivere alla variabile “ses-so”. Tra i maschi sembrano pre-valere le prepotenze di tipo fisi-co (dirette), tra le ragazze sonopiù evidenti i comportamenti diesclusione, di calunnie e offeseverbali (indirette).

I comportamenti di molestianon ignorano soggetti di culturae etnia diversa. Con il cresceredella popolazione straniera gliatti di prevaricazione verso icompagni stranieri sono aumen-tati anche nel nostro Paese.

La cronaca di tutti i giorniha portato alla ribalta episodi dibullismo agiti negli spazi creatidalla multimedialità; il Cyber-bulling, è un fenomeno destina-to a crescere. Il danno subito dal-la vittima del sopruso che, tra letante mortificazioni subite, sitrova ad essere sbeffeggiato nel

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web con una esibizione non vo-luta della propria immagine edella provocazione ricevuta,compromettono drammatica-mente la sua vita e l’ immagina-rio, soprattutto se la vittima èmolto giovane.

Bullismo e ragazzata: la lineadi confine

Molte sono le difficoltà che im-pediscono il riconoscimento del-la possibile linea di confine trabullismo e ragazzata, bullismo eatto di vandalismo. Accade intutti i contesti, formali e infor-mali, dove vivono e intera-giscono i ragazzi di tutte le età:a scuola e altrove. I segnali chearrivano agli adulti sono diversie contraddittori, non semprechiari e facilmente ascrivibili acomportamenti di prevaricazio-

www.smontailbullo.itè il sito del M.P.I. a disposizione delle istituzioni scolastiche, dei genitori e dei cittadini

per conoscere e prevenire il bullismo, 2007

ne e violenza. Un qualsiasi in-tervento intenzionale di preven-zione e di superamento dell’attodi bullismo, perchè possa essereefficace, ha bisogno di essere ri-conosciuto come tale. Questopassaggio non è per nulla scon-tato.

I fenomeni di bullismo ven-gono molto spesso confusi conatti di semplice aggressività oragazzate e, perciò trascurati esottovalutati, così da rendere, inmodo inconsapevole, complicimolti adulti. Tra questi ci sonodocenti, formatori, operatori dicomunità e genitori. L’attenzio-ne posta in questi ultimi anni alfenomeno con l’esposizionemediatica di episodi di bullismo“scoppiati” nel nostro paese,hanno avuto, se non altro, il pre-gio di avere contribuito a dare ilgiusto peso a questo fenomeno,investendo del problema, in

modo sostanziale e determinan-te, anche le Istituzioni scolasti-che. È nella scuola, durante glianni più importanti per la For-mazione dell’uomo e del citta-dino (Costituzione Italiana), chebisogna promuovere azioni effi-caci per prevenire e “smontare”il bullo. Vanno rintracciati i se-gnali premonitori, oltre che gliatti in essere.

Nel 1996 Dan Olweus , unostudioso che ha lavorato per annisu questo fenomeno, ha distintoi due attori dell’atto, la vittimadal bullo, e ha individuato alcu-ni indicatori comportamentaliche consentono di tracciare ilconfine tra lo scherzo, la ragaz-zata e l’atto di prevaricazionevero e proprio. Tale classificazio-ne ha rappresentato un punto diriferimento importante per rico-noscere, prevenire e interveniresul fenomeno.

La prepotenza è la forza dei deboli, Ilenia Stigliani, III A, Scuola Secondaria di I grado“O. Albanese” - Tolve(Potenza)

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Bullismo a scuola: che fare ?

GIOVANNA FUXADocente di scuola primaria in assegnazione

Università “Roma Tre”

Oggi le dinamiche che stan-no contribuendo a ride-finire il profilo della scuo-la conferiscono all’Istitu-

zione responsabilità educative esociali decisamente molto piùimpegnative. Infatti, nella scuo-la si vanno a cristallizzare granparte delle tensioni che emergo-no dalla società.

La ricerca pedagogica e socio-logica conferma un incrementodei comportamenti violenti inetà evolutiva e giovanile: i ragaz-zi che commettono gravi reati“per noia”, le baby gang o i ra-gazzi “turbolenti”, sempre piùspesso sono protagonisti di feno-meni di vandalismo, teppismo obullismo nelle scuole.

Infatti, se per un verso appa-re necessario soffermarsi ad ana-lizzare i fenomeni di disagio edevianza minorile, che è oppor-tuno conoscere e di cui è impor-tante cogliere per tempo la con-tinua trasformazione, per un al-tro, meritano particolari atten-zioni quelle forme di disagio checonnotano specificatamente ilsistema scuola.

La scuola, di conseguenza,costituisce un mondo comples-so e articolato dove convivonoed interagiscono soggetti appar-tenenti a gruppi generazionali esocio-culturali diversi tra loro,che rivestono ruoli e funzionidifferenti e che tendono versofinalità, interessi e risultati non

sempre coincidenti o compatibi-li. I molteplici ruoli che com-pongono questo mondo sonoluoghi di confronto, di scambioe di progettualità educativa, maanche di conflitti che si presen-tano sotto varie forme, che in-vestono vari campi e che interes-sano di volta in volta soggetti egruppi di ragazzi/e differenti.

Lo studio dei fenomeni “tipi-ci” della conflittualità in ambitoscolastico (il bullismo) implicala previa acquisizione di una sen-sibilità nel mondo dei ragazzi,anche per saper cogliere ed in-terpretare i segnali che da essiprovengono.

Infatti, la mediazione scolasti-ca sembra configuarsi come quel-la strategia di intervento capacedi trasformare l’esperienza dirottura relazionale in una occa-sione di apprendimento attraver-so la promozione di una mag-giore autonomia e responsabili-tà nello stabilire e negoziare so-luzioni possibili ai propri con-flitti. In questo senso, la media-zione può essere identificatacome un effettivo processo edu-cativo in grado di favorire la dif-fusione di modelli di regolazionedei conflitti, non essenzialmen-te disciplinari, ma più propria-mente cooperativi, empatici econsensuali.

Per poter costruire delle stra-tegie di mediazione dei conflittiè necessario, tuttavia, che venga

tenuto conto della comprensio-ne delle cause e dell’assunzionedi tutte le problematiche ad essalegate.

Il fenomeno del bullismo

Dai numerosi studi e ricerchenell’ambito della scuola nel ter-ritorio italiano, europeo e mon-diale è emerso la necessità digiungere a definire il fenomenodel bullismo al fine di poterlogestire. Il bullismo viene intesocome comportamento di preva-ricazione fra coetanei, un abusodi potere ed un desiderio di inti-midire e dominare.

Tale comportamento è consi-derato una manifestazione diaggressività con una componen-te di condotta antisociale. Que-ste manifestazioni compor-tamentali sono sempre esistite(come nel personaggio di Frantinel libro “Cuore” di De Amicis),ma diversamente gestite nei de-cenni passati. Infatti, coerente-mente con la cultura normativa,venivano affrontati con una mag-giore severità. Attualmente, puressendo maturata nella società enel mondo educativo una mag-giore sensibilità verso manifesta-zioni di disagio del mondo gio-vanile, tali condotte, tuttavia,denunciano nel processo di cre-scita, espressioni comportamen-tali di non raggiunta capacità

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maturativa che hanno bisogno diessere affrontate per evitare dan-ni dal punto di vista fisico edemotivo.

Ma fino ad oggi, il vero aspet-to problematico è stato quello dinon aver trovato strumenti pre-cisi e definiti, in alternativa aprescrizioni educative di tipopunitivo, e ci si è trovati di fron-te alla necessità di cercare nuoveregole educative nell’ambitorelazionale-affettivo. In primoluogo, quindi,è necessarioridefinire, invia generale, ilb u l l i s m o .Esso può esse-re consideratocome la situa-zione in cuiuno studenteviene esposto,in modo ripe-tuto e conti-nuativo, adazioni negati-ve e lesive daparte di uno opiù studenti.

È impor-tante include-re nel concet-to di bullismosia le situazio-ni in cui una singola persona tor-menta un’altra, sia quelle i cuiun gruppo di soggetti è respon-sabile delle molestie.

Affinché si possa parlare dibullismo ed evitare che si possa-no etichettare come tali altri tipidi comportamento, è necessarioche l’azione di prevaricazione siastabile e continuata nel tempo eche vi sia una relazione asim-metrica tra le due parti.

Non si può parlare di bul-lismo quando due studenti conla stessa forza fisica e psicologi-

ca litigano e si azzuffano. È ne-cessario che vi sia uno squilibriotra forze: lo studente esposto alleazioni negative ha difficoltà adifendersi o è impotente di fron-te agli attacchi. Per azioni nega-tive si intendono casi in cui unsoggetto danneggia intenzional-mente o tenta di danneggiare unaltro, creandogli una situazionedi disagio. Le azioni negativepossono realizzarsi attraversoattacchi verbali, ad esempio mi-

nacce, beffe, prese in giro, insul-ti oppure attraverso attacchi fi-sici, ad esempio colpi, calci, spin-te, furti. È possibile però cheazioni negative si concretizzinosenza l’uso di parole e di contat-to fisico ma con smorfie, gestaccio esclusione intenzionale di qual-cuno da un gruppo.

Generalmente i comporta-menti dei bulli vengono suddi-visi in aggressività fisica diretta,più frequente nei soggetti di ses-so maschile, aggressività fisicaindiretta o relazionale, più fre-

quente nei soggetti di sesso fem-minile.

Alcune ricerche hanno dimo-strato come l’aggressività e icomportamenti devianti sicorrelino spesso con una serie difattori familiari, quali una scar-sa presenza da parte dei genitorinella vita dei figli, una discipli-na severa e discontinua, una di-sarmonia nella coppia coniuga-le, un basso coinvolgimento af-fettivo con il figlio. In particola-

re, lo stileeducativoautoritariodei genitorisi correlaspesso conil compor-t a m e n t oaggressivodel giova-ne. Unos t i l eeducativoautorevolecostituisce,invece, unfattore pro-tettivo poi-ché implicauna realeaccettazio-ne del ra-gazzo, una

supervisione continua e la con-cessione di autonomia psicologi-ca. Questo significa incoraggia-re il figlio a crescere in manieraindipendente ed esprimere quel-lo che pensa fornendo alcontempo un supporto e unaguida più sicura per il genitore.

D’altro canto, i genitori auto-ritari sono severi, non danno lapossibilità ai figli di compiere al-cune scelte da soli. Enfatizzanol’obbedienza e il rispetto delleregole; però quando il ragazzosbaglia, ricorrono alla violenza

Scuola e difesa della natura, Donato Pio Braico, III E, Scuola Primaria - Montescaglioso (Matera)

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fisica e verbale.Accade, quindi, che alcuni

ragazzi, vivendo in condizioni dirifiuto e di isolamento familia-re, riconoscano nella scuola unluogo dove soddisfare bisogniaffettivi o la necessità di eserci-tare un certo potere. È utilepuntualizzare che le praticheeducative da sole non bastanoper spiegare i comportamentiaggressivi o distruttivi.

Le abilità personali dei ragaz-zi e il contesto relazionale del-l’individuo, sia esso bullo o vit-tima o semplice spettatore, co-stituiscono il focus di qualsiasiprogetto. Quindi dalla definizio-ne e conoscenza di tutte le carat-teristiche, sopra esposte del fe-nomeno del bullismo, si puòmettere a punto un progetto chepreveda una politica scolasticarinnovata e possa costruire inter-venti mirati sulla classe e sui sog-getti a rischio.

È necessario, però, lavorarenon solo con i suddetti soggettia rischio (bulli e vittime) ma conl’intero gruppo “classe” per rile-vare e modificare quelle dinami-che proprie del gruppo chesottendono e legittimano l’as-sunzione e la cristallizzazione diruoli negativi interni.

La scuola, a tale proposito, sipuò configurare come luogo pri-vilegiato di intervento in cui èpossibile promuovere nei con-fronti dei docenti conoscenze ecapacità nell’affrontare il bulli-smo attraverso interventi mira-ti. Questo rappresenta il primopasso per qualsiasi tipo di inizia-tiva.

Inoltre, è necessario favorireil processo di acquisizione e con-sapevolezza sul problema fra iragazzi/bambini ed elaborare, adesempio, un sistema di regolecontro le prepotenze in linea ge-nerale da utilizzare anche in via

preventiva.Bisognerebbe, al contempo,

effettuare una selezione delle si-tuazioni che si presentano per al-cuni individui: un disagio piùcomplesso ed articolato che po-trebbe necessitare di interventiesterni più mirati e casi di nor-male disagio relazionale che pos-sono essere gestiti all’internodella scuola, sollecitando ilcoinvolgimento dei genitori.

A livello della classe, sembraopportuno che insegnanti e stu-denti concordino una serie di re-gole contro i fenomeni di bul-lismo e che realizzino un docu-mento da affiggere in un puntoben visibile dell’aula o dell’edi-ficio scolastico. Gli insegnantidovrebbero attuare una modali-tà di ricompensa a fronte di com-portamenti positivi degli studen-ti e interventi decisi e coerentinei confronti dei trasgressori.Non si tratterebbe di punizioniche colpiscono la persona bensìil suo comportamento, contrarioalle regole concordate fra studen-ti e insegnanti.

È importante che i ragazziabbiano momenti di discussioneinterni sul tema del bullismo.L’apprendimento cooperativopuò essere utilizzato come stra-tegia per migliorare il clima diclasse e i rapporti interpersonali.Infatti, come emerge da moltericerche condotte sui giovani,sembra che essi mostrino unaincapacità e, addirittura, unaafasia delle emozioni, di conse-guenza, diventa necessario lavo-rare con gli studenti in piccoligruppi ad un compito comuneche faccia emergere i sentimentipiù tipicamente umani quali: so-lidarietà, aiuto reciproco, convi-venza civile, compassione.

A livello individuale, è moltoimportante che l’insegnante co-munichi sia con il bullo che con

la vittima e poi con i rispettivigenitori promuovendo, inoltre,incontri di gruppo tra genitori estudenti, almeno bimestrali.

Un altro tipo di intervento ècostituito dalla mediazione sco-lastica. La mediazione, comemodalità di risoluzione dei con-flitti, fa leva sulla volontà di af-frontare e risolvere i conflitti inmodo non aggressivo, ma coin-volgente, positivo e duraturo.

La mediazione scolastica pre-vede la formazione di un grup-po di insegnanti volontari che sipropongono come figure media-trici e che devono essere facil-mente identificabili all’internodel contesto scolastico. La fun-zione socio-psico-pedagogica delmediatore deriva dal convinci-mento che il superiore interessedegli studenti consiste nell’esse-re educati alla loro responsabili-tà, alla loro formazione e ai lorocomportamenti più corretti.

È necessario che gli insegnantiabbiano, comunque, una compe-tenza nelle scienze dell’educazio-ne in maniera da poter gestire ilprocesso mediativo in una pro-spettiva formativa e di orienta-mento degli studenti.

L’obiettivo di fondo deve es-sere quello di far crescere gli stu-denti stessi. Nella prospettiva piùaccreditata il percorso della me-diazione si configura comeun’esperienza pedagogica di ap-prendimento ed è, dunque,definibile in un contesto di edu-cazione scolastica.

In conclusione diventa, quin-di, di fondamentale importanza,come afferma la Prof. Chistolini,(nella annualità 2007/2008 delcorso di Pedagogia Generale del-l’Università di Roma Tre) che“fare scuola oggi significa soprat-tutto educare per una societàmigliore”.

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Bullismo: forza o insicurezza dell’adolescente?

PATRIZIA COLETTADocente di scuola primaria Cultore della materia

in Pedagogia della Cittadinanza e della Convivenza CivileUniversità Roma Tre

Il fenomeno del bullismosi configura come moti-vo di allarme collettivoche coinvolge tutto il si-

stema sociale ma ancor piùeducatori e genitori che il piùdelle volte si trovano ad affron-tare, senza adeguati strumenti,difficili situazioni.

Ma chi è il bullo? Il bullo ècolui che, mostrando sfrontatez-za, esercita prepotenze su perso-ne più deboli agendo spesso conatti di onnipotenza e preva-ricatori. “Il bullismo è la mani-festazione del desiderio di inti-midire e dominare; chi ne diven-ta vittima sperimenta una con-dizione di grave svalutazionedella propria identità e di pro-fonda sofferenza, le cui conse-guenze possono manifestarsianche molto tempo dopo la finedei soprusi”.

Oggi il problema ha assuntodimensioni preoccupanti è perquesto che si deve tentare di fo-calizzare l’attenzione sulla ricer-ca di risorse e di capacità idoneeper prevenire e arginare la que-stione; coinvolgere la scuola e lafamiglia significa ideare un pia-no di intervento educativo cheabbia come fine quello di aiuta-re il bambino/ragazzo a cresce-re, cercando in lui quel livello dimaturità equilibrata e quel gra-do di consapevolezza civile pro-pria di chi vive, anche con attipratici, i veri valori attraverso undialogo solidale con il prossimo.

“In effetti il rapporto fra l’uomoe la società è biunivoco: la socie-tà si sviluppa per effetto dello svi-luppo ordinato di ciascuno deisuoi membri; per converso la so-cietà si impoverisce quando nel-lo sviluppo dei suoi membri av-viene un impoverimento interio-re od una crescita disordinata edantisociale”.

Il gesto violento esercitato dalbullo altro non è che una esaspe-rata comunicazione con se stes-so, generata, molto probabilmen-te da un vuoto esistenziale chenon prevede forme relazionali senon espressione diretta di com-portamenti estremi messi in attoper primeggiare in un individua-lismo sfrenato. Il ragazzo deveimparare a comunicare e a stabi-lire relazioni significative. “Sta-bilire un rapporto, infatti, signifi-ca confidare i propri sentimentie vederli ascoltati e riconosciuti”.

È utile che le varie istituzio-ni, prime fra tutte, la famiglia ela scuola, prendano atto del pro-blema dei valori e dei disvalorisui quali è fondata la nostra co-siddetta convivenza civile e pia-nifichino un dialogo prosocialedi pace che induca il ragazzo,attraverso un percorso praticodettato dal buon senso e sani va-lori, ad una autovalutazione e at-tenta riflessione dei comporta-menti e dei forti ideali. “Il ragaz-zo bullo deve imparare a control-lare la collera, ad empatizzarecon la vittima, a rispettare le re-

gole, ecc. E l’adulto? Anche luidovrà modificare i suoi compor-tamenti se vogliamo sconfiggereil bullismo”. Ovviamente inse-gnanti e genitori devono per pri-mi presentare ai ragazzi dei mo-delli di convivenza civile e rispet-to affinché i ragazzi siano circon-dati da comportamenti positivida prendere da esempio.

Il tema delle relazioni trascuola, famiglia e bullo coinvol-ge in particolar modo le linee pe-dagogiche ed educative poichéaiutano e sono essenziali, perprogettare e guidare interventidisciplinari ed educativo-didatti-ci volti soprattutto a migliorarele relazioni e i comportamentifinalizzati ad un recupero dellapersona vista nella sua maturitàe nel suo singolare modo di es-sere e di vivere con coscienza erispetto.

“Il primo movimento di unavita personale – scrive Mounier– non è un gesto di ripiegamento,ma un movimento verso gli altri[…] la comprensione altrui è ilfatto decisivo della coscienza per-sonale”. Determinare un movi-mento di relazione verso gli al-tri significa favorire un positivoclima emozionale e relazionaleche faccia sentire il ragazzo bulloaccolto, non giudicato. La scuo-la deve essere pronta ad affron-tare le difficoltà dettate dall’in-comunicabilità e dall’incapacitàdi ascolto degli alunni, deve cer-care, laddove possibile, di de-

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strutturate le dinamiche conflit-tuali del bullismo pericolose siaper il ragazzo che per l’insegnan-te stesso, il quale di fronte a si-tuazioni ingovernabili rischia diperdere il suo ruolo di educato-re. “Lo sviluppo professionaledel docente ha bisogno di soste-gni di diverso tipo. […] La for-mazione non deve essere una«merce a buon mercato»; devenascere in un contesto di altaprofessionalizzazione”.

Per l’insegnante quindi il fineeducativo-didattico non è altroche il conseguimento della citta-dinanza, valore che viene perce-pito dai ragazzi solo attraversoun graduale percorso formativocapace di indurre ad una intr-spettiva esplorazione della pro-pria identità.

La scuola può aprire l’oriz-zonte ad una cittadinanza unita-ria e plurale facendo percepireagli studenti che hanno di fron-te a sé, una comunità allargatacaratterizzata da molte sfac-cettature sociali e che richiamaal dialogo, al rispetto e alla con-divisione. Lo sviluppo e il con-solidamento di atti contrattualinelle interrelazioni sano tuttaviapossibili solo se la persona saràdotata di un forte sentimento diidentità e di una adeguata auto-nomia di pensiero. Gli insegna-menti promossi dai docenti de-vono essere fondati su valori, inquesto modo si darà la possibili-tà di promuovere stati emotivipositivi nei ragazzi evitando ilrischio della conflittualità e del-la trasformazione in banda dipiccoli gruppi.

Come sottolinea L. Corra-dini, “le leggi e i grandi principinon bastano, in un mondo in cuil’esplosione dei diritti e delle li-bertà sembra mettere chiunquealla mercè dell’arbitrio altrui. Bi-sogna cercare, argomentare, av-

vicinare punti di vista, vincolar-si volontariamente, sulla base dietiche, che consentano di dispor-re in qualche modo di un ethoscivile, capace di contrastare leprevaricazioni e le omissioni dichi ritiene giusto pensare solo aifatti propri. […] Il valore è ciòper cui vale la pena di mettere arischio la propria tranquillità,per fare qualcosa e qualche ri-nuncia a valori magari più pia-cevoli, ma meno degni di essereperseguiti. […] Il valore più altoe complesso […] è il pieno svi-luppo della persona umana, coni risvolti di libertà, uguaglianza,solidarietà, partecipazione che visono connessi”.

Affinché lo studente si sentaportatore di un sano esserci, ènecessario pensare ad una istru-zione che sappia dare valore allapersona e al suo reale e sponta-neo modo di pensare e dare piùtempo e maggiore importanza alsaper ascoltare. Proporre attivi-tà didattiche significative, vuoldire ideare percorsi centrati sul-la persona e non sull’individuo;la scoperta e lo sviluppo delleinclinazioni personali di unalunno diventano per l’insegnan-te un valore di riferimento mol-to importante poiché avvalora-no la prospettiva di collocare alcentro dell’azione educativa eformativa il bullo-persona con lesue irripetibili caratteristiche epeculiarità, legate alla storia per-sonale e familiare; la capacità disapersi relazionare in modo co-stante con i bisogni dei bambinie/o dei ragazzi, è una grandequalità che non tutti i docentipossiedono.

Capita di sovente che l’inse-gnante si ritrova a dare maggio-re importanza ai contenuti disci-plinari mettendo in secondo pia-no il bisogno dell’alunno di es-sere ascoltato e capito. Alunni ed

educatori sembrano vivere in duecorpi sociali scissi entro i qualici sono regole e valori incompa-tibili tra loro che purtroppo nonfavoriscono il dialogo. Soloquando fatti di cronaca dannonotizie di avvenimenti partico-larmente violenti ci si rende con-to di quanto sia distante il mon-do della scuola e quello dei gio-vani. Il disagio giovanile esisten-te, non si supera attraverso con-danne moraliste, esso deve indur-re ad una profonda riflessioneper comprendere cosa si nascon-de dietro ai comportamenti di-struttivi dei ragazzi. “Il tenden-ziale aumento di reati contro lapersona, […] l’emergere di nuo-ve e gravi forme di antisocialitàgiovanile, sono peraltro indica-tori che esortano a non abbassa-re la guardia ed anzi ad affinarele analisi e gli interventi preven-tivi e trattamentali per raggiun-gere una casistica caratterizzataper definizione dalla costantemutevolezza correlata alla fasematurativa, oltre che ai muta-menti sociali in atto”.

L’istituzione scolastica haquindi il fondamentale compitodi ripensare ad una scuola dovesi operi per mezzo del dialogo edell’incontro tanto da dare signi-ficato alla pianificazione di per-corsi atti a facilitare l’ascolto at-traverso una comunicazioneinterattiva multipla vista comestrategia di lavoro finalizzata allacostruzione di conoscenze. “Laconoscenza del proprio io com-pleto, in corpo e spirito, azionee intelligenza, avviene progres-sivamente nel bambino comenell’adulto. Il valore aggiunto aquesta conoscenza è dato dallaconsapevolezza che il camminonon si conclude mai; esso è de-stinato invece a completarsi neltempo e in quei luoghi nei qualiciascuno esprime se stesso nella

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relazione interpersonale e nel-l’interazione complessa guidatadalla volontà e dalla con-divisione”.

Un primo passo, utile a pre-venire e contrastare il fenomenodel bullismo, è di ideare, e inse-rire nei Piani dell’Offerta For-mativa delle scuole, progetti dieducazione alla cittadinanza chenon siano solo detentori di co-noscenze ma promotori di espe-rienze e di concrete competen-ze sociali, tanto da far vivere esoprattutto comprendere aglistudenti il vero senso del viverecivile e di libertà.

Punto di forza potrebbe esse-re l’attuazione di attività didat-tiche centrate sul gruppo e sullacooperazione. “Non v’è, secon-do il Cousinet, una educazioneuguale per tutti, ma tante formeeducative quanti sono gli indivi-dui; d’altra parte, ciò non dissol-ve il principio complementaredell’educazione sociale, giacchégli stessi individui cercano spon-taneamente la collaborazione. Ifanciulli tendono […] ad associar-si in gruppi. Anche la scuola puòsoddisfare […] le esigenze indi-viduali e sociali assumendo lastessa struttura”. Sarebbe utilepromuovere nelle scuole attivi-tà extrascolastiche attivandogruppi di lavoro con laboratoricreativi capaci di destare interes-se negli studenti annoiati e incerca di chissà quali avventureestreme. Dare modo al ragazzodi ritrovarsi in spazi accoglientie attrezzati significa metterlonelle condizioni di ricercare eforse anche di ritrovare quell’in-teresse perduto per la vita. È ri-chiesta inoltre la presenza di ri-sorse umane che sappiano pro-muovere una educazione al-l’ascolto, alla motivazione, alla

voglia di stare insieme nel rispet-to dell’altro, guidando l’alunnoa sperimentare la conflittualitàper mezzo della conoscenza e at-traverso rapporti di reciprocità.“L’educazione verso l’autono-mia della persona non è sotto-missione alla volontà altrui. Èprocesso di liberazione delle pro-prie potenzialità delle quali siacquista progressiva consapevo-lezza e padronanza, per poi in-vestirle nella vita sociale”. Im-portante è agire sul contesto nonsolo sulla persona, in quanto ilbullismo può nascondere unproblema sociale di interazione.L’instaurarsi delle relazioni è unfattore decisivo nella dimensio-ne valoriale dei rapporti, è parteintegrante per lo sviluppo dicompetenze interpersonali e abi-lità sociali che influenzano lacapacità di apprendere attraver-so l’atto educativo. “Il gruppo(Team), infatti, interagendo(Interaction) nel suo interno tra-mite impressioni, riflessioni, de-finizioni e strumenti (Multiple),fornisce e produce, al contempo,apprendimento e conoscenza(Learning)”. Assumere un ruoloall’interno del gruppo a voltecompromette la capacità dellapersona di mostrarsi nella suacompletezza poiché è attentasolo a rispondere ad una aspet-tativa sociale e a mostrare atteg-giamenti che gli altri si aspetta-no di vedere. L’attività educativadeve promuovere nei discentil’acquisizione dell’autostima e diuna positiva immagine di sé per-seguendo così competenze pro-sociali; lo studente deve entrarein sintonia con se stesso raggiun-gendo sicurezza nel proprio agi-re senza temere i giudizi e mi-gliorando così la comunicazioneatta a rafforzare il senso di iden-

tità e solidarietà.Il bullo deve imparare a pren-

dersi cura di sé ampliando la co-noscenza attraverso scambi di-scorsivi volti ad affinare opera-zioni complesse di pensiero e adaccettare gli altri attraverso unincontro che stimoli a interro-garsi sulle proprie credenze e ipropri valori. Si potrà trovare ilcoraggio per stare bene e sorri-dere per gli altri e con gli atri solose si riuscirà a costruire una sanarelazione valorizzata da elemen-ti di tranquillità, contentezza,confronto, spontaneità e da unacrescita culturale e sociale; il sor-riso, espressione apparentemen-te banale della persona, è mani-festazione di uno stato d’animoche accoglie, dona e riceve. “Ilsorriso fa sperare, fa crescere, faamare, rende giustizia e procuragioia. Rende le persone positive,libere e vere”. Piacendosi il ra-gazzo troverà la forza di auto-progettarsi e di avere maggioresicurezza nella gestione del pro-prio pensiero, senza temere leidee degli altri, riuscendo così arintracciare un significativo equi-librio nelle relazioni.

Superare il bullismo vuol direquindi educare allo star bene conse stessi e con gli altri, formarela persona attraverso un appren-dimento e una didattica consonaad affrontare situazioni di con-flitto che possono tuttavia diven-tare occasioni di riflessioni co-muni utili alla crescita del grup-po e della singola persona. Nonsi deve pensare di imporre le ideee i comportamenti agli adole-scenti ribelli, violenti edegocentrici, è essenziale affron-tare i problemi partendo da unefficace confronto tra coetanei eda un costante dialogo tra discen-ti e docenti.

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Introduzione

l presente contributo, recuperando un’espe-rienza condotta con un gruppo di inse-gnanti della scuola dell’infanzia nell’am-bito dell’attività di un Laboratorio di Me-

todi e tecniche del lavoro di gruppo, analizza un temaassai cruciale, oggi, quale quello della formazionedella persona. Cruciale perché il nostro modo divivere e di comunicare, si è modificato sostanzial-mente nel volgere di pochi anni in seguito all’ac-celerazione impressionante nello sviluppo tecno-logico, in particolare in quello delle tecnologieinformatiche.

In una realtà siffatta, molte delle sicurezze cuifaceva riferimento l’individuo nella costruzionedella sua esistenza sono crollate e l’ hanno lascia-to disarmato, assediato in una società in cui l’uni-ca certezza è l’incertezza, il cambiamento.

L’essere umano, dunque, solo, deve trovare den-tro di sé le risorse che gli consentano, di volta involta, di accettare il peso della sfida senza lasciarsisopraffare dal dubbio, di riciclarsi a fronte delmutamento in mutazione. Ciò su cui deve potercontare, allora, è la piena padronanza di se stesso,nel senso della capacità di guardarsi continuamentedentro, per trovare in ogni momento la “sua” ri-sposta al problema.

E questa è la sfida che devono raccogliere leagenzie educative, in particolare la scuola, e tutticoloro che, a diverso titolo, si occupano dell’uo-mo nel suo processo di acquisizione delle abilità ecompetenze necessarie a fronteggiare le incogniteche la vita gli pone.

Da ciò discende che l’azione della didattica nonsi deve limitare ad incrementare un bagaglio dinozioni, ma deve impegnarsi a sostenere, nel sog-getto che apprende, l’impegno delle sue capacitàprofonde, in modo tale che l’amore per lo studiosia elemento sostanziale tanto quanto i concettispecifici delle varie discipline.

Da quanto detto consegue la necessità di una

Conoscersi per educareANTONIA RUBINI

Dottoranda Università di Bari

I

formazione adeguata del docente, affinché possaprendere le distanze dal ruolo di mero trasmetti-tore di dati e sappia assumere quello di presenzadiscreta, capace di educare l’allievo a conoscersi, ariconoscere i propri bisogni di crescita e a saperlisoddisfare.

Il metodo classico di educare

L’attività di insegnamento in ambito scolastico,da sempre, ha visto un rapporto fra educatore ededucando di tipo frontale: una metodologia in cuil’insegnante presentava verbalmente le sue cono-scenze disciplinari e le metteva a disposizione de-gli allievi. Per quanto economica, questa praticarichiede solo che l’insegnante “sprechi” la sua voceper gli allievi, risultando, in realtà, inadatta emetodologicamente povera, poiché si limita esclu-sivamente a comunicare il sapere alla classe, senzasuscitare, il più delle volte, la benché minima pos-sibilità di favorire nel ragazzo una costruzione delleproprie conoscenze.

Già Rousseau, ben tre secoli fa, aveva mossouna forte critica agli strumenti del sapere del tem-po, l’arte e la scienza in particolare, in quanto meripromotori di un sapere finalizzato a se stesso chenon contribuiva in alcun modo a fornire all’uo-mo gli strumenti per realizzare un processo di ele-vazione del proprio essere. Scienza e arte, piutto-sto, si muovevano in un’ottica fortemente anti-intellettualistica, poiché non consentivano all’uo-mo di dotarsi di mezzi che gli permettessero direcuperare la sua reale condizione di moralità, unamoralità che autorizzasse la sua stessa elevazionea soggetto rivendicatore della propria creatività,del reale significato della sua esistenza, che per-mettesse la riaffermazione della propria dignitàin quanto rivendicatore di un proprio rapportoautonomo con la realtà.

È proprio nell’attualità del pensiero di Rousseauche nasce la preoccupazione per un percorso del

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sapere che è ancora profondamente radicato ametodologie altamente inadeguate. Fornendo unaformazione indiscriminata ed omogenea che nonconsente la diversificazione degli apprendimenti,lo stile di insegnamento frontale rimane anch’es-so finalizzato a se stesso e pertanto disfunzionaleall’apprendimento.

È risaputo, del resto, quanto debole e fram-mentario risulti essere un apprendimento non “co-lorato” affettivamente e quanto una relazioneeducativa scarna di elementi di affettività possacompromettere l’apprendimento stesso degli alun-ni. Per questa ragione, diventa importante, sul pia-no pedagogico-didattico, dare spazio ad una alter-nativa metodologica che possa lasciare una tracciapropositiva nell’apprendimento degli alunni e unsignificato affettivo di indiscusso valore: il lavoroin piccolo gruppo attraverso lo strumento del circletime. Attraverso il lavoro di gruppo strutturato permezzo del circle time è possibile una forma dieducazione che agisca sull’area dell’affettività edelle relazioni e che operi sull’intero gruppo clas-se, permettendo l’attivazione di dinamichepsichiche inconsce che richiamano il sentimentodi appartenenza, primo fattore nel contribuire adeterminare il senso di identità dei membri, non-ché la spinta motivazionale verso il raggiungi-mento di uno scopo comune, entrambi elementiessenziali perché un gruppo possa costituirsi econtinuare ad esistere.

Il circle time

Il tempo del cerchio rappresenta una delle meto-dologie più efficaci nell’educazione socio-affetti-va: molto spesso genitori e insegnanti, pur anima-ti di buone intenzioni, non riescono a cogliere ledifficoltà che bambini e ragazzi possono affronta-re, per cui tendono a porsi nei loro confronti inmodo errato, compromettendone il rapporto difiducia e rendendo la vita scolastica fonte di fru-strazione.

Il circle time è uno strumento che mette in evi-denza l’importanza che rivestono l’accettazione,l’autenticità, l’empatia e una corretta comunica-zione. Per queste ragioni esso diventa uno deimomenti rilevanti dell’intervento di educazionepsicoemotiva nella classe, durante il quale tutti imembri si riuniscono per discutere un argomentoproposto da uno o più alunni o dall’insegnante.

Il circle time va inteso come un piccolo grup-

po con una struttura a bassa gerarchia (l’insegnan-te ha il compito di facilitare la discussione, manessuna funzione autoritaria), di tipo formale (inquanto luoghi, tempo e norme che regolano ladiscussione restano costanti), con l’obiettivo pri-mario di creare un clima di serenità e di condi-visione, di sviluppare la comunicazione circolare,di favorire la conoscenza di sé e degli altri, di pro-muovere l’espressione libera e attiva di se stessi. Sitratta, cioè, di un gruppo che, periodicamente, siriunisce disponendosi in circolo per discutere unargomento. È chiaro che, per garantire condizio-ni ordinate di lavoro, devono essere definite alcu-ne regole fondamentali che dovranno essere rispet-tate da tutti i membri:• disporre le sedie in circolo: costituisce un ele-

mento fondamentale per garantire una comu-nicazione realmente circolare (di ogni membrocon tutti gli altri) e non solo con l’insegnantecome avviene con la normale disposizione deibanchi nelle aule scolastiche;

• stabilire la frequenza delle discussioni: una/duevolte a settimana, con la riserva di riunioni stra-ordinarie nei casi di avvenimenti che lo richie-dano;

• rispettare rigorosamente il turno di parola sen-za interrompere chi parla, accettando qualun-que punto di vista e senza deridere alcuno;

• stabilire una durata di circa 20-30 minuti;• definire il criterio per decidere quale argomen-

to trattare: in genere il primo approccio preve-de l’ascolto delle varie proposte, mettendo poiai voti la priorità con cui gli argomenti saran-no discussi, in maniera tale da valorizzare ognisingolo contributo e non lasciare che nessunoavverta un senso di esclusione.L’esperienza del circle time richiede, come pre-

supposto fondamentale, l’osservazione, attraver-so la quale è possibile raccogliere informazionisulle caratteristiche dei bambini, sui loro bisogni,sulle loro esigenze e sulle loro modalità di rela-zionarsi. Lo scopo dell’osservazione è quindi quel-lo di programmare itinerari didattici aderenti algruppo e rispondenti alle necessità del bambino.Per facilitare la discussione è consigliabile, speciedopo i primi incontri, esprimere sempre un pare-re su come si è svolta la discussione, al di là deicontenuti trattati, evidenziando soprattutto gliaspetti positivi.

In alcuni casi il circle time può essere necessa-rio per risolvere concretamente un problema e,per andare incontro a questa esigenza, l’insegnan-

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te deve aiutare il gruppo ad essere efficiente e pro-duttivo e a stabilire le procedure decisionali otti-mali, soprattutto, però, il circle time è un momen-to di grande importanza nonché di apprendimen-to per l’insegnante, poiché porrà l’attenzione sulgrado di socializzazione raggiunto dal gruppo, ri-leverà se all’interno di questo vengono soddisfattii bisogni emotivi dei singoli membri, se nella clas-se prevale la forma organizzativa oppure no e po-trà partire da queste osservazioni per giungere alleopportune conclusioni, per discuterne con il grup-po e anche per organizzare i lavori successivi. Ilcircle time, quindi, si colloca non solo come stru-mento di apprendimento, che risulta essere enor-memente facilitante, in quanto intriso di elemen-ti di affettività, ma soprattutto come mezzo dicrescita psicologica. Infatti, le dinamiche psichicheche l’appartenenza ad un gruppo può attivare sononotevoli ed è proprio la valenza psicologica dellostrumento che deve essere evidenziata e valorizza-ta, al fine di comprenderne le effettive potenzialità.

La finestra di Johari

Una delle funzioni caratteristiche che il gruppoesercita nei confronti dei suoi membri, è lo svi-luppo di un senso di appartenenza. In realtà quan-do i membri iniziano a far parte di un gruppo,appaiono, spesso, poco inclini ai processi difamiliarizzazione tipici dell’entrare a far parte diun gruppo, ma pian piano i timori e le ansie sidissolvono per far spazio a emozioni più proposi-tive. Johari spiega la ragione di questa dinamicaattraverso il modello della finestra.

Il modello di Johari si rivela un ottimo stru-mento per comprendere in termini chiari che cosapuò significare per il singolo individuo far partedi un gruppo di lavoro. Esso evidenzia l’impor-tanza di produrre e ricevere feedback. In pratica ilmodello è rappresentabile da una “finestra” perciascun componente del gruppo, una finestra ca-pace di esprimere la misura in cui egli (o ella) si siaaperto verso gli altri componenti per quanto at-tiene ad informazioni che riguardano la sua per-sona. La finestra si presenta suddivisa in quattroquadranti che rappresentano l’area aperta, quellaconosciuta dal singolo individuo e dagli altri, l’areacieca, ovvero quella sconosciuta al soggetto maconosciuta agli altri, l’area occulta, o nascosta, cherappresenta ciò che l’individuo sa di sé e che glialtri non sanno, ed infine l’area sconosciuta, o in-

cognita, che rappresenta lo spazio inesplorato siada parte del soggetto sia da parte degli altri mem-bri del gruppo.

In un gruppo, infatti, maggiori sono le areeaperte e maggiore è il livello di trasparenza, di con-fidenza e di appartenenza all’interno del gruppostesso. Le diverse aree della finestra di Johari sipossono considerare in riferimento sia ai diversiaspetti delle personalità dei singoli soggetti chefanno parte di un gruppo di lavoro, sia in relazio-ne con le loro conoscenze e competenze.

Diversi sono gli strumenti che i membri di ungruppo utilizzano per sviluppare l’appartenenzaad esso, per esempio il fatto di posizionarsi in cer-chio è spesso una strategia immediata tra i mem-bri del gruppo che emerge istintivamente, poichéricorda il senso di familiarità e di intimità chenormalmente si cerca in tutte le situazioni che ri-chiedono comportamenti di condivisione.

Nei contesti ludici o scolastici, l’apparteneread un gruppo è celebrato dall’adozione di elementidi riconoscimento tra i quali una canzone tipica,l’attribuzione di un nome, l’indossare un accesso-rio comune a tutti i membri, fare un saluto parti-colare, ecc. In realtà, come afferma Lewin, ciò chedefinisce l’appartenenza ad un gruppo è l’inter-dipendenza fra i membri: perché ci sia un grupponon basta che i membri fra di essi si somiglino,ma è importante che ci sia interdipendenza tra diessi, cioè che condividano uno scopo, che abbia-no aspettative comuni, che siano, quindi, caratte-rizzati da quello che Lewin definisce un destinocomune.

Importanza del gruppo all’interno del conte-sto scolastico: l’identità sociale

Da molto tempo il gruppo è stato pensato comeuno strumento di lavoro utile nel contesto scola-stico, poiché attraverso il gruppo è possibile svi-luppare molte delle abilità cognitive e sociali cheserviranno allo sviluppo del bambino.

Nella scuola dell’infanzia la funzione del grup-po è primaria, poiché esso costituisce un momen-to di confronto. Nell’ascoltare gli altri, ai bambi-ni è permessa la conoscenza reciproca: gli si per-mette di paragonarsi agli altri ma, soprattutto, diporre l’attenzione su qualcun altro, consentendoloro, quindi, di uscire dalla condizione di egocen-trismo nella quale si trovano, per avvicinarsi aduna dimensione di altruismo e di confronto. At-

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traverso l’opposizione discorsiva è possibile pro-durre buoni risultati nel gruppo, poiché attraver-so le sequenze di opposizione è probabile che ibambini imparino a riflettere sulle conoscenze, perpoi organizzarle ed esporle in maniera costruttiva.

Non solo, il gruppo permette di creare un cli-ma sociale positivo attraverso lo sviluppo della co-municazione e della cooperazione fra tutti i mem-bri e, indirettamente, consente un controllo degliatteggiamenti di impulsività tipici dei bambini,soprattutto di quelli molto piccoli, che tendono anon rispettare il turno di parola, a “sparare” le ri-sposte ancor prima che le domande siano conclu-se, a non ascoltare in silenzio, a imparare a discu-tere insieme rispettando le opinioni degli altri. Mail gruppo permette anche di incrementare l’auto-nomia e la fiducia in sé e di imparare le strategieper una relazione empatica con i pari. Diversi sonogli esempi in cui è possibile utilizzare il gruppoall’interno del contesto scolastico come strumen-to didattico-educativo; il circle time si proponeproprio come uno di questi, anche perché essocontribuisce al raggiungimento di uno degli obiet-tivi essenziali del gruppo, oltre che all’attivazionedi tutte le dinamiche intrapsichiche già esposte, ecioè quello di permettere ai suoi membri di ac-quisire una propria identità sociale. “L’identitàsociale rappresenta la concezione che un indivi-duo ha di sé in quanto membro di un gruppo”.

Secondo questa definizione gli individui costru-iscono il concetto di sé e degli altri sulla base del-l’appartenenza ad un gruppo che deriva propriodalla consapevolezza di appartenere ad esso.

Sulla base di queste considerazioni, Turner spe-cifica la differenza che c’è tra intragruppo (mem-bri appartenenti allo stesso gruppo) e intergruppo(membri appartenenti a gruppi diversi) e affermache l’identità si acquisisce anche a partire dalle re-lazioni che intercorrono fra di essi: se c’è una for-te somiglianza tra i membri di un gruppo, alloraci sarà una forte differenza tra gruppi, se, invece,c’è una forte differenza tra i membri del grupponon sarà possibile un buon livello di favoritismointragruppo. L’identità sociale, quindi, è qualcosache si acquisisce in quanto membri di un gruppo,ma è anche qualcosa che si percepisce attraverso larelazione tra gruppi.

Conclusioni

Da quanto esposto emerge che il gruppo si pre-senta come modalità di lavoro essenziale nella vitascolastica degli educandi e come lo strumento delcircle time, per quanto utilizzato nell’ambito sco-lastico, ma non conosciuto in relazione alla suepotenzialità, può configurarsi come mezzo per ilconseguimento di una maturazione reale deldiscente che miri all’acquisizione non solo di abi-lità didattiche, ma soprattutto alla consapevolez-za del proprio stato emotivo e all’acquisizione dicompetenze relazionali spesso fortemente trascu-rate dal sistema scuola. Questa condizione puòfacilitare il percorso di collaborazione tra educa-tore ed educando e attivare un cammino di fecon-da reciprocità fra di essi attraverso strumenti carialla pedagogia, fra i quali la relazione educativaper prima.

L’esperienza pratica che mi ha visto protagoni-sta, ha consentito di notare come, spesso, nellaquotidianità scolastica si adottino mezzi didatti-co-educativi in maniera troppo generica, in quan-to privi di riferimenti teorici, rischiando così divanificare i benefici che lo strumento adottato puòassicurare al percorso formativo degli alunni. Ladiscussione in gruppo è qualcosa che normalmen-te si fa a scuola, ma di cui non si conosce né lametodologia, né la definizione, né la valenzapsicopedagogia derivante e ciò non può che allar-mare sulle modalità con cui le procedure a voltevengono adottate nella scuola, soprattutto perché,in molti casi, se gestite in maniera superficiale,possono anche rivelarsi dannose e deleterie perchi ne usufruisce.

Ma al di là dell’uso corretto e ragionato di tec-niche e strumenti, la condizione prima e indispen-sabile a garanzia del successo dell’azione educativaè il clima che si viene a creare nel gruppo, climache, in gran parte, dipende da quanta educazioneemotiva docenti ed educatori avranno saputo di-stribuire. Infatti è solo accompagnando l’adole-scente verso la scoperta di interessi e la realizza-zione di progetti, assecondandone la confusa, madirompente vitalità, che possiamo aiutarlo lungoun viaggio in cui infine resta la vita, e il sapere lostrumento per meglio esprimerla.

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n quest’ultimo anno i mass media hanno dato ampio eco ai tanti episodi dibullismo verificatisi in tutt’Italia. Il ministro della pubblica istruzione ha pensatoed ha considerato, a ragione, di attivarsi di fronte a quest’emergenza, visto che,dopo la famiglia, la scuola è la seconda istituzione preposta alla formazione ed

all’educazione dei nostri ragazzi. Il ministro, dunque, ha individuato degli “osservatori”per il bullismo nelle scuole. Anche nella regione Basilicata il 20.03.2007 è nato “L’osserva-torio regionale permanente sul bullismo”, tra le varie figure facenti parte di questo organi-smo c’è quella del collaboratore. Quest’ultimo assume la posizione di osservatore privile-giato perché ha modo di notare i comportamenti dei ragazzi fuori dalle aule, spesso puòdiventare anche confidente e consigliere per eventuali problemi.

Il mio rapporto con gli alunni è positivo, ciò che noto in essi, nel dialogare con loro èche seguono molto gli stereotipi propinati dalla televisione, danno importanza all’appari-re, alla forza fisica, che sfocia spesso in violenza (alcuni di loro mi hanno riferito che inquesto modo affermano la propria persona, la propria forza). La mia opinione, che hatrovato conferma anche negli incontri svolti con gli altri componenti, è che ai ragazzimancano persone di riferimento, sia in famiglia che fuori di essa. Occorre ritrovare daparte degli adulti il coraggio di educare, perché la libertà si conquista con la disciplina e ilrispetto delle regole. Auguro a tutti i ragazzi di incontrare sul loro cammino persone cheriescano a comunicare valori in cui credere e fiducia nelle proprie capacità, e a noi adulti diessere buon esempio e coerenti nelle nostre scelte.

Un pensiero positivoROSA SANTARSIEROCollaboratrice scolastica ITG “De Lorenzo” - Potenza

I

Scuola: fantastica avventura di amicizie, Marianna De Palma, III C, Scuola Secondaria di Primo grado -Policoro (Matera)

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I giovani d’oggi e i fantasmi del nulla

LUCIANO MASIPsicologo Psicoterapeuta

Direttore Didattico Istituto Logoterapia Italiano - Cagliari

Verso la fine del diciassettesimo secolo,Leibniz lanciò nel mondo filosofico-scien-tifico una domanda provocatoria: “Perchéesiste Qualcosa e non il Nulla?”. Questa

domanda, apparentemente semplice, ebbe l’effet-to di una bomba, perché toccava nel cuore il pro-blema fondamentale dell’esistenza umana: quellodell’Essere e del Non essere.

La filosofia, ben lo sappiamo, cominciò il suopercorso proprio con questo problema che il gran-de Parmenide (VI-V sec. a.C) risolse in modo net-to: “L’Essere è e non può non essere, il Non esse-re non è e non può essere”. La coraggiosa presa diposizione di Parmenide ebbe però, fin dall’inizio,tenaci oppositori. Il più deciso fu il sofista Gorgia(485 a. C) che così si esprimeva: “La verità nonesiste; se anche esistesse non potrebbe essere pen-sata; se anche potesse essere pensata non potrebbeessere comunicata”. È bene, secondo Gorgia, daredignità solo alla parola, perché essa è il più poten-te strumento a disposizione degli uomini. Con laparola si può persuadere, convincere, suggestio-nare, manipolare e solo essa, in fin dei conti, cipuò essere utile. Ciò che la filosofia deve esaltareè solo la retorica, l’arte del persuadere, mentrel’ontologia è un viaggio a vuoto del pensiero.

Le grandi personalità di Platone e Aristoteleriuscirono a mettere a tacere il messaggio sofisticoche però non fu eliminato. Esso rimase nel cuoredegli uomini come un dubbio, come un ospite in-quietante, come lo definì M. Heidegger.

Ritorniamo a Leibniz. Come rispose il grandefilosofo-matematico tedesco alla domanda da luistesso posta? “Esiste Qualcosa e non il Nulla, per-ché il Nulla non esiste. Esiste, invece, l’essere po-

Contr ibut i

tenziale, esistono i possibili”.In tal modo Leibniz si agganciava alla grande

divisione aristotelica tra potenza e atto, conferen-do anche a ciò che non è ancora manifesto dignitàdi essere. Leibniz, così, introduceva una nuova ca-tegoria esistenziale, il poter essere che un grandefilosofo moderno come Heidegger vede, nell’uo-mo, “ampio e imprevedibile”. Anche quest’ulti-mo, tuttavia, cede alla tentazione nullificante, ri-ducendo, infine, tutte le possibilità ad una di se-gno negativistico: poiché la morte segna un confi-ne invalicabile dell’esistenza, l’unica possibilità cheall’uomo rimane è la possibilità dell’impossibilità!

Il Nulla sembra essere, da oltre un secolo adoggi, sempre più ingombrante, grazie alla frenesiadi molti pensatori di farlo emergere dall’oscuritàin cui si trova. Basti pensare a Nietzche, teoricodella svalutazione di tutti i principi e valori supre-mi, a Sartre che lo lega strettamente all’Essere inun unico, inestricabile destino. “Il Nulla porta l’Es-sere nel suo nocciolo, come un verme”.

Queste idee, benché trattino del Nulla non sonoaffatto nulla, essendo sempre, come idee, manife-stazioni dell’Essere e non potevano oltrepassarel’animo umano senza lasciar tracce: Tracce oscu-re, tetre, disorientanti, che pian piano hanno inva-so la mente e il cuore di tutti noi, soprattutto deigiovani. È stato un processo lento, graduale, al-l’inizio invisibile, e poi via via sempre più poten-te e invasivo. Sembra di sentire ciò che, in propo-sito, direbbe il grande Parmenide: “Se ti ostini afar emergere il Nulla, esso verrà fuori; ma poichénon potrà farlo di per sé (essendo niente) dovrà inqualche modo entificarsi; ne risulteranno enti neri,truci, distruttori: i fantasmi del Nulla!

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I l bullismo e il sistema delle responsabilità

ANNA MARIA ROSPOpsicologa - psicoterapeuta

l moderno termine dibullismo definisce realtàsempre esistite. Più omeno tutti gli adulti che

leggono, potranno riconoscerviesperienze della loro infanzia e/o adolescenza.

Il bullismo è un’oppressionepsicologica o fisica, ripetuta econtinuata nel tempo. È perpe-tuata da una persona o da ungruppo di persone più potente,nei confronti di un’altra personapercepita come più debole. Più

specificatamente, un comporta-mento bullo è un tipo d’azioneche mira deliberatamente a far delmale o a danneggiare. Può dura-re settimane, mesi o persino anni.I tre aspetti su cui poggia il bul-lismo riguardano l’intenzionalità,la persistenza nel tempo e la sim-metria della relazione. Il bulloagisce con l’intenzione e lo sco-po preciso di dominare sull’altrapersona, di offenderla e di causar-le danni e disagi. Sebbene ancheun singolo fatto grave possa esse-

Ire considerato una forma dibullismo, di solito gli episodisono ripetuti nel tempo e si veri-ficano con una frequenza piutto-sto elevata. Questo significa chec’è una disuguaglianza di forza edi potere, per cui uno dei duesembra prevaricare mentre l’altrosubisce, senza riuscire a difender-si. La differenza di potere trabullo e vittima deriva essenzial-mente dalla forza fisica: il bullo èmediamente più forte dei coeta-nei e della vittima in particolare,

Da molto tempo, nel mondo articolato e com-plesso della malattia mentale, assistiamo all’emer-gere di patologie nuove che colpiscono soprattuttoi giovani: le possessioni (“invasioni” da parte di “pre-senze” estranee che si impadroniscono delle emo-zioni e del comportamento del soggetto), il pani-co, che introduce in un mondo oscuro e terrifi-cante; il satanismo, dove si entifica il Male comerappresentante del Nulla; l’autodistruttività (attra-verso droghe, mutilazioni, alcol, “roulette russa”,ecc. ); le perversioni (sempre più intessute di sadi-smo e masochismo), e tante altre.

Che fare di fronte a tanto sfacelo? Contraria-mente a quanto ritenevano i sofisti, la parola nonha più alcun potere sui giovani. Non valgono lapersuasione, i messaggi educativi, i buoni ragiona-menti, l’evidenziazione di principi etici, gli invitial buon senso e alla solidarietà sociale.

“La droga fa male”, si dice, ma poiché è pro-prio il Male (come rappresentante del Nulla) chemolti giovani cercano, il messaggio rischia di esse-re, sostanzialmente, pubblicitario!

In terapia, nei più forti momenti catartici, al-

cuni giovani confessano: “Mi dicevano di sfuggireil Male, ma esso era ciò che fondamentalmentecercavo, perché era l’unica cosa capace di eccitar-mi; il Bene mi aveva stufato!”

Che fare, dunque? L’esperienza clinica mi in-duce a pensare che un’idea scura (sì, anche l’ideadel Male è un’idea: proprio per il meccanismo,insostituibile, di entificazione del Nulla) si com-batte solo con un’idea chiara! Un esempio: a scuolasi insegna l’educazione sessuale (materia in cui glistudenti sono certamente più “aggiornati” dei pro-fessori), ma nessuno insegna cos’è l’Amore! Ecco,si potrebbe cominciare proprio da qui. La nostragioventù soffre di un male solo: carenza di metafi-sica. Tutta la vita si svolge sotto la guida, incon-scia, di un pensiero debole, che assegna valore allerealtà minimali e che, pian piano, disumanizza.

Ebbene, è ora di ritornare a porsi le grandi do-mande del passato: sull’Universo, sulla vita, suldestino dell’uomo, sull’etica, sul problema di Dio,ecc. Ecco qual è, in sintesi, il mio pensiero: i no-stri giovani hanno bisogno di robuste iniezioni dimetafisica!

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Definizione, localizzazione e analisi; metodi e tecniche per arginare il fenomeno

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mentre la vittima è mediamentepiù debole dei coetanei e del bulloin particolare. Altri fattori che in-tervengono sono la differenzad’età (i bulli sono bambini piùgrandi) e il genere sessuale (il ruo-lo del bullo è generalmente agitoda maschi e raramente da femmi-ne mentre le vittime possono es-sere maschi o femmine).

Bullismo diretto e bullismoindirettoLa panoramica delle situazioni incui si può manifestare il bullismoè piuttosto varia ma un primoapproccio individua una caratte-rizzazione principale tra bulli-smo diretto e bullismo indiret-to. Il bullismo diretto è costitui-to da comportamenti aggressivie prepotenti più visibili e puòessere agito tanto in forma fisicaquanto in forma verbale. Se ilbullismo diretto fisico consistenel picchiare, prendere a calci epugni, spingere, appropriarsidegli oggetti degli altri o rovinar-li, il bullismo diretto verbaleimplica pressioni quali minaccia-re, insultare, offendere, prende-re in giro, esprimere pensieri raz-zisti e estorcere denaro o benimateriali. Il Bullismo indirettoè meno evidente e più difficileda individuare, non per questomeno dannoso per la vittimaperché si gioca principalmentesul piano psicologico. Espressio-ni di bullismo indiretto si indi-viduano quando alla vittima ven-gono indirizzate, ripetutamente,smorfie e gesti volgari, vieneesclusa dal gruppo dei coetaneiovvero viene costretta all’isola-mento e vengono diffusi pette-golezzi e calunnie sul suo conto.

Bullismo al maschile e bullismoal femminile.Un’altra caratterizzazione delbullismo è dovuta a chi lo prati-ca. Il bullismo al maschile è di-

verso da quello al femminile per-ché i maschi mettono in atto pre-valentemente prepotenze di tipodiretto, con aggressioni fisiche esolo in parte verbali, mentre lefemmine utilizzano in generemodalità indirette di prevaricazio-ne. I maschi agiscono indifferen-temente sia nei confronti deimaschi sia delle femmine a diffe-renza delle femmine che si rivol-gono prevalentemente verso altrefemmine. Infine, i maschi hannopiù difficoltà ad immedesimarsinella vittima e raramente si dimo-strano dispiaciuti o in colpa dopoaver compiuto atti di prepoten-za; le femmine, invece, manife-stano una maggiore capacitàd’empatia, cioè una capacità dimettersi nei panni degli altri e inparticolare della vittima, com-prendendo il suo stato d’animo ecogliendo la sua tristezza e il suodisagio. Il bullismo al femminileè stato individuato più tardi ri-spetto a quello maschile ed è piùdifficile da cogliere anche per gliinsegnanti.

Il bullismo e la variabile etàI soggetti implicati nel bullismosono bambini e adolescenti inuna fascia d’età compresa tra isette-otto anni e i quattordici-se-dici anni. I soggetti coinvoltisono comunque i bambini dellescuole elementari e delle scuolemedie, dove il fenomeno sembraessere diffuso e pervasivo. Conla crescita del bambino, diminu-iscono principalmente le mani-festazioni di bullismo diretto fi-sico, il ricorso alla forza, per so-stituirle sempre più con espres-sioni tipiche del bullismo diret-to verbale ovvero del bulllismoindiretto.

Il luoghi del bullismoNon tutti i luoghi vanno bene!Evidentemente, chi perpetraazioni bullistiche ha consapevo-

lezza del fatto che non si sta com-portando bene. Infatti, in gene-re vengono scelti luoghi isolati epoco sorvegliati, principalmen-te tra gli ambienti scolastici,come: aule, corridoi, bagni e cor-tili. Comunque, azioni bullisti-che possono essere perpetrateanche durante il tragitto casa-scuola e viceversa.

Gli attori del fenomenoLe persone interessate dai feno-meni di bullismo possono esseredistinte in tre ruoli. Del primoruolo fanno parte i bambini eadolescenti che esercitano l’op-pressione, detti bulli, nel secon-do ruolo individuiamo le vittimeche subiscono la prevaricazionee nell’ultimo ruolo includiamogli spettatori cioè coloro i qualiassistono alle azioni bullistiche.Inoltre, in ogni ruolo principalesi individuano almeno duesottoruoli. Come bulli abbiamoi bulli dominanti e i bulli gregari,come vittime abbiamo le vittimepassive/sottomesse e le vittime pro-vocatrici e come spettatori distin-guiamo i sostenitori del bullo, idifensori delle vittime e gli spetta-tori silenziosi.

Il bullo dominante è un sogget-to impulsivo e irascibile, più for-te della media dei coetanei e del-la vittima in particolare, che haun forte bisogno di potere. Assu-me comportamenti aggressivicon difficoltà a rispettare le rego-le, non solo verso i coetanei maanche verso gli adulti, e, purtrop-po, prova soddisfazione a sotto-mettere. Altri elementi che defi-niscono il bullo dominante sono:• approva la violenza come

mezzo per ottenere vantaggie acquistare prestigio;

• mostra scarsa empatia;• manca di comportamenti al-

truisti;• ha una autostima elevata;• non soffre di ansia o insicu-

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rezza;• il suo rendimento scolastico,

variabile durante la scuola ele-mentare, tende a peggiorareprogressivamente fino ad ab-bandonare gli studi;

• è abile nello sport e nel gio-co; il bullo non raggiunge mailivelli d’impopolarità.Il bullo gregario è un soggetto

ansioso e insicuro definito anchebullo passivo. Il bullo gregariosi costituisce in piccoli gruppi didue o tre persone che, seguacedel bullo dominante, ne assumeil ruolo di sobillatore. Pur nonprendendo l’iniziativa di dare ilvia alle prepotenza, intervienerinforzando il bullo dominanteed eseguendone gli ordini. Ilbullo gregario ha uno scarso ren-dimento scolastico e scarsa po-polarità ma crede che la parteci-pazione con il bullo dominantegli dia la possibilità di affermar-si. È possibile che provi senso dicolpa verso la vittima.

Alcune categorie di bambinie ragazzi sembrerebbero mag-giormente a rischio di vittimiz-zazione in quanto più vulnerabi-li; tra di essi i bambini apparte-nenti ad una diversa cultura, ocoloro che presentano disabilità.La vittima passiva/sottomessa èansiosa e insicura, sensibile e pru-dente, timorosa e tranquilla, fra-gile. La vittima passiva/sotto-messa ha una bassa autostima.Cerca la vicinanza degli adultiperché ha bisogno di protezio-ne essendo un soggetto più de-bole della media dei coetanei edel bullo in particolare. A scuo-la spesso è sola, esclusa dai coe-tanei, e quando subisce delle pre-potenze non ne parla con nessu-no. La vittima provocatrice è unsoggetto che, con il suo compor-tamento, provoca gli attacchidegli altri. Proprio perché pro-voca ma anche subisce le prepo-tenze, questo soggetto viene de-

finito “bullo-vittima”.Il bambino-ragazzo vittima

provocatrice, preoccupato per lapropria incolumità fisica, assu-me comportamenti che causanotensione e irritazione nei ragaz-zi. È generalmente un maschio,goffo e immaturo, con una bas-sa autostima che ha problemi diconcentrazione. Più o menoconsapevolmente, può diventa-re irrequieto, iperattivo o impul-sivo come se cercasse una formadi difesa, una rivalsa del suo io.

I sostenitori del bullo agisco-no in modo da rinforzare il com-portamento del bullo (ad esem-pio incitandolo, ridendo o anchesolo rimanendo a guardare).

I difensori della vittima, so-prattutto femmine, prendono leparti della vittima difendendola,consolandola o cercando di in-terrompere le prepotenze.

La maggioranza silenziosa ècostituita da esterni indifferentialle prepotenze; non fanno nul-la e cercano di rimanere al di fuo-ri della situazione. Per i prota-gonisti principali, bulli e vittime,la realtà del bullismo comportadelle conseguenze sia a breve ter-mine sia a lungo termine. I bulliiniziano ad avere delle difficoltàrelazionali che si riflettono sullaloro condotta, presentano distur-bi per l’incapacità a rispettare leregole, e il calo del rendimentoscolastico. Nel tempo, difficol-tà e disturbi si consolidano incomportamenti devianti e anti-sociali (crimini, furti, atti di van-dalismo, abuso di sostanze), vio-lenza in famiglia e aggressivitàsul lavoro. La carriera scolastica,dopo ripetute bocciature, si con-clude con l’abbandono scolasti-co: una sconfitta per tutti, nonsolo per lui!

Anche le vittime non sonoesenti da conseguenze. Anzi, ilpanorama iniziale dei disturbi èabbastanza vario: sintomi fisici

(mal di pancia, mal di stomaco,mal di testa soprattutto la matti-na) e sintomi psicologici (distur-bi del sonno, incubi e attacchid’ansia) concorrono a svalutarel’identità e a ridurre l’autostima.Le ripercussioni nella scuolasono a tutto campo in quantoiniziano ad insorgere problemidi concentrazione e di apprendi-mento (come uscire dalla situa-zione è un pensiero ricorrente)insieme a determinazioni comela riluttanza nell’andare a scuo-la (per evitare il luogo delle sof-ferenze) causano l’inevitabilecalo del rendimento scolastico.A lungo termine, il radicarsi diqueste situazioni sfocia in psico-patologie (depressione e compor-tamenti autodistruttivi e auto-lesivi) e nell’abbandono scolasti-co. La sfera personale viene in-taccata da insicurezza, ansia, bas-sa autostima e problemi nell’a-dattamento socio-affettivo; paral-lelamente, ritiro, solitudine erelazioni povere danneggiano lasfera sociale.

Ecco alcuni indicatori per in-dividuare la possibile vittima:• è presa ripetutamente in giro;• subisce il furto e il danneggia-

mento;• presenta lividi, graffi e ferite;• si dimostra indifeso e reagisce

agli scontri con il ritiro e il pian-to;

• ha difficoltà a parlare in clas-se;

• non ha nessun buon amiconella scuola;

• ricerca la vicinanza degli adul-ti nei momenti di ricreazione.

Ecco alcuni indicatori per in-dividuare il bullo:• prende in giro ripetutamente

i compagni;• sottomette;• minaccia e comanda;• aggredisce fisicamente i com-

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pagni con calci, pugni e spin-toni;

• ruba o danneggia oggetti al-trui e rovina i vestiti;

• isola la vittima.

Cosa NON fare:• entrare in un ottica punitiva;• punire il bullo o iperproteg-

gere la vittima;• etichettare i ragazzi e creare

sistemi d’aspettative negativeintorno al singolo individuo;

• disapprovare la persona;• umiliare o usare sarcasmo o

minacce.

Cosa FARE:• Dare rinforzi positivi rispet-

to al buon comportamentodegli alunni;

• responsabilizzare la vittima eaiutare il bullo al cambiamen-to;

• fornire autentiche opportuni-tà di cambiamento;

• la disapprovazione va rivoltaal comportamento negativo;

• valorizzare il dialogo e la chia-rezza.

Dedicato ai dirigenti

Nella consapevolezza che il bul-lismo non sempre è il problemaprincipale di un dirigente scola-stico, l’impegno richiesto èsintetizzabile come segue:1. avere sempre il quadro della

situazione aggiornato allo sta-to dell’arte;

2. decidere gli interventi da at-tuare per contrastare un feno-meno non positivo;

3. decidere gli interventi da at-tuare per prevenire fenomeninegativi noti.In merito al bullismo, ormai

molte cose sono già note e con-vergono tutte in un’unica direzio-ne: potenziare il ruolo degli adul-

ti. Un’azione di prevenzione econtrasto alla diffusione del bul-lismo, non può che richiedereadulti più consapevoli. Siano essidirigenti scolastici, insegnanti,collaboratori scolastici o genito-ri, è importante che siano consa-pevoli del loro ruolo di guida e digaranti delle regole, assumendosila responsabilità di porre dei li-miti e fermando e disapprovan-do le prepotenze di cui sono spet-tatori. Per completare l’azione dicontrasto globale del fenomenobullismo, chiamati in causa tuttigli adulti, è necessario organizza-re il loro intervento con una poli-tica scolastica integrata. Al fine dispecializzare la professionalità ditutti gli adulti è fondamentalediffondere la conoscenza e stimo-larne la sensibilizzazione per ap-prodare alla progettazione parte-cipata. Qualsiasi intervento ven-ga messo in atto, è opportuna unavalutazione finale sia per capirese quanto fatto è stato efficace siaper ottimizzare eventuali futuremesse in opera dello stesso inter-vento. Qualora il dirigente nonriconosca come sufficienti le pro-fessionalità all’interno della scuo-la, non deve considerare sminuen-te il richiedere supporto a specia-listi per superare le difficoltà con-tingenti.

Dedicato agli insegnantiQuando gli insegnanti conosco-no il fenomeno. Quando gli in-segnanti conoscono il clima e lastoria della classe e della scuola.Quando gli insegnanti conosco-no le modalità relazionali, comu-nicative e gestionali. Quando gliinsegnanti hanno risposto a tut-ti gli stimoli della sensibilizza-zione. Il loro ruolo chiave si gio-ca nella progettazione partecipatae relativa messa in opera degli in-terventi. Nella progettazionepartecipata occorre proporre at-

tività curriculari e strategie didat-tiche che permettono di raggiun-gere obiettivi cognitivi ed edu-cativi. Proporre attività che va-lorizzino i coetanei come “agentidi cambiamento”, facendo levasulle risorse positive della classee sulla naturale capacità dei ra-gazzi di provare empatia per icompagni in difficoltà. Dare si-gnificato al contesto educativodella scuola in quanto vittime ecarnefici sono entrambi carentidi un contesto educativo signifi-cativo. Qualora gli insegnantinon siano in grado di fornire tut-te le professionalità di volta involta necessarie, non devono te-mere le ire del dirigente ma di-chiarare l’eventuale necessità diun supporto esterno all’istituto.

Dedicato al personale ATA

Il personale ATA spesso deve su-perare un antico retaggio cheli vede ancora come bidelli. Ep-pure, loro sono la lunga manodel dirigente e del corpo inse-gnante. Infatti, hanno l’occasio-ne di trovarsi nei luoghi logisticidella scuola.

Quei luoghi, già elencaticome i più probabili per la pra-tica delle azioni bullistiche. Illoro contratto di lavoro proba-bilmente contempla l’elenco del-le mansioni che devono svolge-re ma c’è un aspetto che si è co-struito negli anni: studenti e ge-nitori, riconoscendo il ruolo isti-tuzionale di dirigenti e insegnan-ti, rivolgono al personale ATA laloro necessità di instaurare unrapporto umano con l’istituto. Ecosì il “bidello” diventa l’anellodi congiunzione tra… tutti!

Questa risorsa non deve esse-re sprecata!

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Bullo.. . giovane arrogante,violento, teppista, bravaccio

GIUDITTA LA MORTEAvvocato

l dizionario della linguaitaliana definisce il bullocome un giovane arrogan-te, violento, teppista, bra-

vaccio…Il bullismo viene spesso equipa-rato al mobbing, in quanto diquest’ultimo ha la condotta ves-satoria ripetuta nel tempo postain essere ai danni di un soggettopiù debole, tanto che si parla dimobbing in età evolutiva. In ef-fetti, il bullo, come il datore dilavoro nel mobbing, è molto piùforte della vittima e ne approfit-ta per danneggiare il più deboleattraverso forme di prevaricazio-ne. Anche l’elemento psicologi-co parrebbe comune, ovvero lavolontà di danneggiare la vitti-ma, ma, a ben guardare, il bul-lismo è una fattispecie autono-ma, nel mobbing, vi è una fina-lità diretta a danneggiare il sog-getto debole, mentre nel bulli-smo il bullo non sembra agireallo scopo esclusivo di danneg-giare la vittima, quanto piutto-sto allo scopo di ridere con gliamici, di autoesaltarsi, di dimo-strare a sé e agli altri di essere ilpiù forte. Tecnicamente si parlanel mobbing di dolo intenziona-le (voglio danneggiare) e di doloeventuale (lo faccio per divertir-mi e so che posso cagionare undanno alla vittima), quasi fosseun danno di ricaduta.

Il fenomeno riguarda essen-zialmente ragazzini di età com-

presa fra i 10 ed i 14 anni, di qua-lunque estrazione sociale, ragaz-zi che l’ottavo rapporto Euri-spes-Telefono Azzuro individuacome la “now generation”, lagenerazione del “tutto e subito”,una generazione che non puòrinunciare alla TV, alla Play-station, al cellulare, al PC, all’i-pod, al dvd, una generazione checrea una realtà virtuale in retedalla quale esclude soggetti sco-modi ed attraverso la quale com-pie atti di cyberbullismo, una ge-nerazione dove solo il 10%, deiragazzini compresi fra i 7 e gli11 anni, non conosce “youtube”.

Il bullismo non è un reato, mala somma di tanti singoli reatipenalmente rilevanti; l’età mediadel bullo, 10/14 anni, implicaperò l’esclusione della punibilitàpenale (art. 97 cp), l’esclusionedella capacità d’agire – che si ac-quista solo a 18 anni (art. 2 c.c.), la necessità di verificare cheil ragazzo sia capace di intende-re – il significato dell’atto chepone in essere – e di volere – glieffetti che l’atto stesso produce.

In un quadro di questo gene-re (inesistenza del reato di bul-lismo, minore età del bullo, nonimputabilità del bullo) il genito-re della vittima si sente frustratoe privo di difese, difese che è pos-sibile ricostruire sul piano ci-vilistico in forza degli artt. 2043e 2048 c.c.

Interessante, poi è la discipli-

Ina sulla responsabilità civile del-la scuola e patrimoniale degli in-segnanti così come individuatadall’art. 2048 c.c., dall’art. 61 L.312/’80 e dall’art. 42, co. 5 delCCNL del 14.8.95; riferimentinormativi che evidenziano laculpa in educando, in vigilandoed organizzando e la presunzio-ne di responsabilità della scuolaper il solo verificarsi dell’eventonel tempo/spazio scolastico (conconseguente inversione dell’one-re della prova).

In un quadro fattuale che ri-chiede una ricostruzione giuri-dica per relationem, si cerca didefinire in maniera sempre piùprecisa il fenomeno, si pensa alladirettiva n. 16 del 5 febbraio 2007del Ministero della PubblicaIstruzione: prevede una campa-gna di comunicazione diversifi-cata e di informazione; alle mo-difiche ed integrazioni al DPR249/98, più noto come Statutodegli Studenti, che introduconoil concetto di personalità eproporzionalità della sanzione,nonché il “patto educativo dicorresponsabilità” tra scuola e fa-miglia, con il quale la scuola hala possibilità di chiedere ai geni-tori di sottoscrivere il patto sud-detto al fine di rendere effettivala partecipazione dei genitori ascuola. Il 10 ottobre 2007 è statosiglato un Protocollo d’intesa(Patto anti-bullismo) fra il Mini-stero della Pubblica Istruzione e

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le Associazioni Nazionali deiGenitori, protocollo che – pun-tualizzando i tipi di violenza,contrasta la violenza stessa nellescuole e nello specifico contra-sta il bullismo omofonico. Altranovità è rappresentata dalla Di-rettiva 104 del 30 novembre2007, inviata a tutte le scuole conil parere favorevole del Garantedella Privacy, che reca linee diindirizzo e chiarimenti in ordi-ne alla normativa vigente, conparticolare riferimento all’utiliz-zo di telefoni cellulari, o di altridispositivi elettronici, allo sco-po di acquisire e divulgare im-magini, filmati o registrazionivocali. Chi diffonde immaginicon dati personali altrui nonautorizzati, tramite internet omms, è passibile di multe (irro-gate dall’Autorità garante dellaprivacy) da 3 a 18 mila euro, oda 5 a 30 mila euro nei casi piùgravi, nonché di sanzioni disci-

plinari che spettano alla scuola.Ultimo in ordine cronologico, ildecreto legge presentato dal Mi-nistro Mariastella Gelmini recan-te: “Disposizioni urgenti in ma-teria di istruzione e università” edapprovato dal Consiglio dei Mi-nistri il 28 agosto 2008 che si pro-pone – relativamente alla lotta albullismo – di attivare, a decorre-re dall’inizio dell’anno scolastico2008/2009, azioni di formazionedel personale, finalizzate ad ac-quisire, nel primo e nel secondociclo di istruzione, conoscenze re-lative a “Cittadinanza e Costitu-zione”; nonché di disciplinare leattività connesse alla valutazionecomplessiva del comportamentodegli studenti nell’ambito dellacomunità scolastica.

Dietro gli articoli di legge, ledirettive, chi c’è? Chi sono gliadolescenti di questa generazio-ne degenerata? Sono piccoli euomini e piccole donne dai pen-

sieri adulti, ansiosi di sfigurarela memoria recente della loroinfanzia.

Hanno tra i dieci ed i quat-tordici anni, sono dei Peter Panal contrario, una generazione chesi muove in gruppo, perché iquasi bambini sono ostaggi di unbranco al quale desiderano ap-partenere più di ogni altra cosaal mondo.

Sono ragazzini che trasudanodiffidenza e rabbia e, molte vol-te anche disprezzo, verso geni-tori stanchi, distratti, troppo pre-si dai loro problemi per potersiaccorgere di ciò che sta succeden-do ai loro figli.

Forse inconsapevolmente cistanno chiedendo aiuto, per nonprecipitare nel vuoto, per nonesserne inghiottiti: (MaridaLombardo Pijola, Ho dodici annifaccio la cubista mi chiamanoprincipessa – storie di bulli, lolitee altri bimbi).

Non imbrattare la città, Martina Tucci, III B, Scuola Secodaria di I grado“F. Torraca” - Potenza

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Disagio giovanilee nuove forme di dipendenza

ANNALISA SMALDONESociologa

ell’ambito di un laborato-rio sperimentale volutodall’Apof-il di Potenza econdotto in collaborazio-

ne con alcuni giovani beneficiaridel progetto di “CittadinanzaSolidale”, realizzato dalla Regio-ne Basilicata, e i volontari del-l’Associazione “Il Racconto”,che ha la propria sede ad Albanodi Lucania, si è dato vita ad unprogetto di

Ricerca-Azione avente ad og-getto il tema “I giovani e le nuo-ve dipendenze”.

In una realtà come quella diAlbano di Lucania, un paesecome tanti in Basilicata, chiusotra le sue montagne ed incapacedi offrire delle opportunità con-crete di crescita e sviluppo allenuove generazioni, i volontaridell’Associazione, tutti giovani,si impegnano quotidianamentee con passione a garantire trami-te gli strumenti del teatro, dellapartecipazione attiva e dell’ani-mazione sul territorio, il coin-volgimento di quante più perso-ne possibili, giovani e adolescen-ti, ma non solo, convinti che,laddove c’è un disagio giovanileed un evidente malessere esisten-ziale, il problema è necessaria-mente di natura culturale e nonindividuale. Il metodo della ri-cerca-azione, ideato negli anni’40 dall’autore inglese KurtLewin, psicologo sociale, si basasu un lavoro collaborativo e dipartecipazione positiva che coin-volge a 360° non solo il ricerca-tore, ma anche gli operatori del-

la ricerca e la stessa “popolazio-ne” oggetto di studio. Dall’espe-rienza della ricerca applicata al-l’educazione nasce la ricercaazione Partecipativa, un approc-cio scientifico di tipo integrato,costituito da una fase di ricercaqualitativa, un intervento diauto-educazione ed infine unaconcreta azione sociale.

I soggetti coinvolti, una voltaindividuato il problema da ana-lizzare, ovvero il senso di vuotoe di impotenza che porta moltigiovani e adolescenti a vivere si-tuazioni di frustrazione, di soli-tudine di dipendenza e di violen-za, hanno ideato un progetto. Alfine di avere chiari i confini del-la situazione-problema, dappri-ma si è organizzato un focusgroup in cui è stato possibileporre a confronto vari punti divista di soggetti diversi, per età,sesso, esperienze di vita e pro-fessionali. Tra i partecipanti viera il Sindaco di Albano diLucania, il vicepreside di un Isti-tuto di scuola superiore nonchéassessore comunale, la vice-preside dell’istituto comprensivodi Albano, l’infermiere dell’am-bulatorio medico, la responsabi-le del progetto nonché rappre-sentante dell’Apof-il, Ente di for-mazione promotore dell’indagi-ne, i due beneficiari del proget-to “Cittadinanza Solidale” coin-volti nella sperimentazione e igiovani volontari dell’Associa-zione “Il Racconto”.

Condivisi sono stati i puntidi partenza, i giovani vedono gli

Nadulti sempre più distanti, di-stratti, incapaci essi stessi di dareforza a quelli che sono i valoriessenziali dell’esistenza di ogniessere umano; gli adulti, dal can-to loro, vedono nei giovani con-fusione, superficialità, sbanda-mento, maleducazione, incapaci-tà di definire e provare emozio-ni, violenza ed aggressività, non-ché incuranza dei valori della vitae del rispetto dell’essere umanoin quanto tale, si pensi ai sem-pre più frequenti e sconcertanticasi di bullismo vissuti tra giova-ni coetanei di ogni parte delmondo; la comunicazione nonsolo tra generazioni diverse, maa volte anche tra pari, diventasempre più difficile e ostile; oggiil senso di dipendenza è moltopiù profondo e pervasivo di al-cuni anni addietro, infatti nonsi è più solo “schiavi” dell’alco-ol o della droga, ma anche diinternet, del cellulare, del sesso,del lavoro, della violenza e del-l’aggressività.

Per molti giovani Internet èun rifugio, a volte una vera os-sessione. Si può finire incollatiad una sedia per giornate intere,rinunciando ad esperienze di vitavere, rifiutando le proprie re-sponsabilità, i propri doveri edammalandosi di quello che vie-ne definito “il solipsismo tele-matico”.

Il cellulare diventa il primo ea volte il solo approccio alla co-noscenza dell’altro, un vero eproprio strumento di salvataggiopsicologico contro la solitudine

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e l’angoscia: ricevere un sms si-gnifica “essere importanti perqualcuno”. I rapporti più intimi,i corteggiamenti, le emozionipiù belle, ma anche, gli abban-doni e i tradimenti si scandisco-no ormai nelle battute di un sms.

La violenza e l’aggressivitàmanifestate nei modi più subdolie feroci, in luoghi insospettati,luoghi di incontro, di compar-tecipazione e di crescita intellet-tuale, diventano l’unico modoper segnare la propria onnipo-tenza per marcare, capi di unbranco, il proprio territorio,l’unico spazio in cui ci si senteaccettati e adulati dagli altri.

In tutto questo ci chiediamo,dove sono gli adulti responsabi-li, consapevoli e coraggiosi?Dove sono coloro che con il loroesempio dovrebbero essere damonito a saper vivere la vita adapprezzarla ed affrontarla anchetra mille difficoltà, a saperle ri-conoscere il suo immenso valo-re; coloro che, a questo punto,dovrebbero smetterla di pensaresolo a se stessi e dovrebbero ave-re la forza di rimpadronirsi diquella indispensabile dose di au-torevolezza che non vuol dire se-verità e “punizioni” ma, al con-trario, presenza, buon esempio ecostruzione e rispetto delle rego-le; quella autorevolezza, dicevo,che è il punto di partenza neces-sario e ineludibile se davvero sivuole riuscire a creare i giustiruoli e le basi di una comunica-zione biunivoca, partecipe ecostruttiva?

Ferme restando tutte questeconsiderazioni, si è procedutoalla realizzazione operativa di unpiano di azione consistente inuna preliminare ed investigativasomministrazione di intervistead adulti vicini, per proprie espe-rienze di vita, al mondo giova-nile di Albano di Lucania, poialla somministrazione di una

trentina di questionari a giovanidi età compresa tra i 16 e i 35anni; e per finire alla fase di ana-lisi dei dati ottenuti, con l’ela-borazione di alcune considera-zioni conclusive e propositi darealizzare. Ciò che in buona so-stanza è emerso è il forte biso-gno espresso dai giovani di cer-tezze e di riferimenti sicuri. Sen-tirsi parte di una famiglia, trova-re nei propri genitori un puntofermo, presente al di là di tutto,riscoprire e lottare per antichivalori come quello fondamenta-le dell’amicizia, del rispetto, del-l’amore inteso in tutti i sensi e atutti i livelli, è ciò a cui essi ane-lano, ma spesso sono anche in-capaci di riconoscerlo a se stessie spiegarlo a chi li circonda.

Il 75% dei giovani intervista-ti usa il computer quasi unica-mente per navigare in Internet,l’85% dichiara di non poter fareassolutamente a meno del pro-prio cellulare; non stupisce per-tanto che ben 28 ragazzi su 30abbiano il tempo di inviare piùdi 100 sms al giorno. Secondo igiovani di Albano di Lucania lenuove tecnologie, internet, ilcellulare, l’Ipod rappresentanol’unico modo per sentirsi “con-nessi” con il mondo esterno, ol-tre che per divertirsi ed appren-dere. Grazie al telefonino è pos-sibile gestire le proprie relazio-ni, ci si può avvicinare o allon-tanare dagli “altri”; ci si può pro-teggere dai rischi di un confron-to diretto che potrebbe avere unimpatto emotivo troppo forte, avolte ingestibile vista l’assolutasensazione di insicurezza ed ina-deguatezza che li pervade.

Dalla ricerca è emerso che siinizia a far uso di droghe e alco-ol già nella adolescenza. In prin-cipio vi è fragilità, senso di ab-bandono e di incapacità di esse-re all’altezza di quello che gli al-tri, in particolare i genitori, si

aspettano da loro, poi si lascia ilposto alla solitudine, alla depres-sione, alla dipendenza e alla vio-lenza più efferata.

L’indagine condotta, pur tut-tavia, ci ha portato a cogliereanche delle vicende di vita e del-le storie diverse, storie di tantigiovani che tra mille sacrificihanno voluto investire tutte leproprie energie nello studio, nel-la formazione professionale oanche più semplicemente nel-l’amicizia, nella partecipazionee nella condivisione. È vero i gio-vani sono ossessionati da Inter-net, del cellulare non possonofare a meno, hanno bisogno diapparire e di sentirsi “qualcuno”agli occhi degli altri ed allora,cerchiamo di “canalizzare” que-ste loro passioni, bisogni ed ener-gie, in primis, sforzandoci, daadulti quali siamo, di conosceree utilizzare le nuove tecnologieche possono divenire così luogodi incontro, di scambio e diprogettualità positive nonché dicrescita individuale e sociale.

Il rimedio a tutto questo maldi vivere non può essere, dun-que, nella ostinata ed esasperataricerca di un senso, bensì nel pie-no riconoscimento di quello cheogni essere umano è, inteso qua-le depositario di virtù, di intelli-genze, capacità ma soprattutto diamore e rispetto verso se stessoed il suo prossimo. Questa èl’unica cosa che noi adulti pos-siamo e dobbiamo fare, comedice lo scrittore Umberto Galim-berti nel suo libro “L’ospite in-quietante”, aiutare i giovani a farliincuriosire e ad innamorarsi disé, forse solo in questo modo essiriusciranno a porsi nei confron-ti di se stessi, del mondo dei parie di quello degli adulti con la giu-sta dose di autostima, fiducia esicurezza necessarie ad affronta-re al meglio ogni giorno dellapropria vita.

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Aspetti psicologici del bullismo

MARIAROSARIA COLANGELOPsicologa-criminologa

l bullismo può essere de-finito come una partico-lare forma di disagio so-cio-relazionale. Secondo

Dan Olweus “Uno studente èoggetto di azioni di bullismo,ovvero è prevaricato o vittimiz-zato, quando viene esposto,ripetutamente nel corso del tem-po, alle azioni offensive messe inatto da uno o più compagni”.

Ma occorre fare molta atten-zione quando si parla dibullismo, poiché, esso, si carat-terizza dalla coesistenza di trefattori:– Intenzionalità: il bullo, inten-

zionalmente vuole creare undanno alla vittima;

– Persistenza e sistematicità: gliepisodi non sono isolati maripetuti. Il comportamentoaggressivo viene, quindi, mes-so in atto più volte e si ripetenel tempo;

– Asimmetria della relazione: frail bullo e la vittima vi è squi-librio di potere, dovuto allaforza fisica, all’età o al nume-ro di persone quando le ag-gressioni sono di gruppo.

Come tutte le forme di disa-gio anche il bullismo provocadelle conseguenze negative, in-fatti gli studenti che subisconoviolenze hanno spesso difficoltàa concentrarsi per effetto dell’an-sia e dei traumi provati, inoltre,alcuni ragazzi hanno problemi disonno e altri mostrano sintomi

legati allo stress.Infine le vittime di bullismo

continuo mostrano, anche dopola cessazione delle violenze, unminor grado di autostima ed unamaggiore incidenza della depres-sione.

Il disagio che accompagna ilbullismo è inteso come esperien-za strettamente personale e sog-gettiva, da cui possono derivaresegni osservabili e rilevabili dal-l’osservatore e dall’interlocutore,che si manifestano nella sferasocio-relazionale, determinandocomportamenti di prevaricazio-ne tra coetanei. L’aggressività,che nella maggior parte dei casiaccompagna casi di bullismo, faparte della natura umana, mapuò essere controllata sin dall’in-fanzia se si riconosce l’origine.Infatti:– La violenza può essere la ri-

sposta diretta e difensiva aduna minaccia, ad un’aggres-sione. In questo caso il signi-ficato è comprensibile e la di-namica è chiara.

– In altri casi può nascere damotivi non immediatamenteevidenti, nascosti e oscuri nonsolo per chi la violenza la su-bisce, ma anche per chi la pra-tica.Il bullismo è frutto di una

sorta di subcultura della violen-za, che si basa su:– Individualismo esterno– Lotta per l’affermazione per-

sonale

I– Comportamenti aggressivi e

prevaricatori, ritenuti i mez-zi più efficaci per raggiunge-re velocemente e senza trop-pi sforzi i propri obiettiviPertanto è possibile sostene-

re che il bullismo deriva dal cli-ma socio-culturale che caratteriz-za la realtà italiana odierna in cuisempre più spesso i ragazzi cheprevaricano i compagni e, vice-versa, coloro che subiscono leprepotenze sono il frutto di unasocietà che tollera la sopraffazio-ne e il conflitto, incentivandovalori come rivalità e compe-titività.

In questa fase dell’età giova-nile si assiste all’esplosione dienergia che sarebbe meglio cana-lizzare in attività in cui possa es-sere messa a frutto, es. sport,volontariato, aggregazione, ecc.

Ma a volte manca una propo-sta sociale adeguata, di conse-guenza, al contrario delle comu-ni accuse, è difficile sostenere chela colpa è solo della famiglia odella scuola.

Il bullismo può essere meglioconsiderato come fenomeno digruppo; esso è fondamentale perla creazione del fenomeno delbullismo e la scuola può diven-tare luogo fertile per trovare ledinamiche di appartenenza e diesclusione, tipiche di tale feno-meno.

Infatti, all’interno del gruppoclasse non si può prescinderedalle dinamiche relazionali e per

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e il comportamento dei ragazziprotagonisti di fenomeni di bul-lismo. Il bullo fa leva sul timoreche incute nella vittima, tenen-dola in una condizione di pau-ra, ricordandogli di continuo, at-traverso lo sguardo, i gesti, la co-municazione verbale e non ver-bale, cosa potrebbe accadergli. Inmolti casi il bullo è più grosso,più forte e più aggressivo deicoetanei. Spesso gode di una cer-ta popolarità, ha una iperstimadi se stesso, si sente sicuro di sée dell’appoggio del gruppo.

Al contrario, la vittima, ha,spesso, scarsa autostima e un’opi-nione negativa di sé, è molto sen-sibile, è ansiosa, remissiva, pocosicura di sé e più silenziosa rispet-to ai coetanei, a volte è timida.

La violenza nel bullismo, chesia verbale, psicologica o fisica,

questa ragione talvolta l’adole-scente avendo paura del rifiutoda parte dei compagni esorcizzaquesta paura isolando un com-pagno che diventa vittima.

Uno studio condotto da Craige Pepler ha rilevato come l’85%degli episodi di bullismo avvie-ne in presenza di coetanei, i qua-li possono assumere, all’internodel gruppo, ruoli diversi, po-nendosi dalla parte del bullo, in-tervenendo a sostegno della vit-tima o rimanendo semplici os-servatori. Non è facile individua-re e delineare in senso univocole cause che sottendono il com-portamento del bullo, poichéogni caso va contestualizzato.Ma molte ricerche si sono con-centrate verso l’indagine deimeccanismi cognitivo-emotivi,che sovrintendono la percezione

ha quasi sempre effetti negativie, in diversi casi, provoca dannidifficilmente reversibili in previ-sione dei quali occorre lavorareper una prevenzione a 360° ; par-ticolarmente efficaci potrebberorisultare progetti di peer edu-cation e peer mediation. Inoltresi potrebbero attuare degli inter-venti mirati:– Sulla comunità, affinché si la-

vori per offrire ai ragazzi del-le alternative sulle quali cata-lizzare la loro energia e valoripositivi.

– Sul gruppo classe e sistemascuola, per favorire dinami-che positive interne al grup-po.

– Sul singolo, laddove sia pos-sibile, agire un rinforzo fina-lizzato alla percezione di com-portamenti positivi.

Prepotenze tra gli alberi, Andrea Vitelli, III A. Scuola Primaria, I. C. “Padre Pio da Pietrelcina”. Pisticci (Matera)

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La Fidapa per la prevenzionedel disagio giovanile

NICOLANGELA MARANGELLIResponsabile nazionale Gruppo Lavoro Fidapa

“Dispersione Scolastica”

l progetto coinvolge leagenzie territoriali: Scu-ola, Famiglia, Sanità, EntiLocali, Associazioni.

L’esclusione, la privazione dirapporti validi e significativi conla società, la costrizione, le vio-lenze creano disagi e devianzetrasgressive, che possono assume-re nel tempo proporzioni oltreil livello di guardia.

Di qui l’impegno della Fede-razione Italiana Donne Arte Pro-fessioni e Affini (Fidapa) di tu-telare i minori con progetti eazioni concrete. Sempre più fre-quentemente i mass media de-nunciano episodi di bullismo ascuola, che sfuggono all’attenzio-ne dell’adulto o perché privi dielementi apparenti di pericolo,o perché non opportunamentevalutati nella loro valenza nega-tiva.

È a queste situazioni, che ri-entrano spesso in una routine divita ordinaria e che possono ce-lare gravissimi pericoli, che inostri interventi debbono indi-rizzarsi come contributo adun’azione di prevenzione e di

protezione dei minori e dei gio-vani, con il sincero e generosointento di mostrare loro quantopreferenziale sia ai nostri cuoridi mamme, di educatrici, di in-segnanti, l’amore per la loro fra-gilità.

L’attuazione di tali progettipromuove, nel contempo, la dif-fusione di una cultura della lega-lità necessaria per lo sviluppo diuna politica paritaria basata sul-la solidarietà, sul rispetto reci-proco, sull’accettazione e l’inte-grazione della diversità. In taleambito il gruppo di lavoro “Ri-forma e Dispersione Scolastica”,costituito dalla Fidapa, ha pre-disposto per il biennio 2007/2009 uno specifico programmadi interventi, denominato “Ol-tre il fiume, gli impegni”, chesarà realizzato su tutto il territo-rio nazionale tramite le nostre250 sezioni diffuse su tutto il ter-ritorio nazionale.

Alla base del progetto la con-sapevolezza che la Dispersionescolastica è il sintomo di un di-sagio, le cui cause affondano leradici anche al di fuori del mon-

Ido della scuola.

Di qui la scelta del gruppo dilavoro di individuare strategie diintervento in grado di coinvol-gere agenzie diverse e di indiriz-zarle verso obiettivi condivisi.

Importante per ilraggiungimento di tali obiettiviè la realizzazione di una rete or-ganica di relazioni che colleghiScuola, Famiglia, Sanità, EntiLocali, Associazioni ... Sarà, per-tanto, costruita una mappa direlazioni, interne ed esterne allanostra Federazione, per rilevareinterdipendenze e interconnessionidei diversi fattori alla base deldisagio giovanile che consentanodi orientare e integrare le azionida realizzare a livello Prevenzio-ne, Diagnosi precoce, Cura, Ve-rifica dei risultati.

La realizzazione del progettomira a favorire una cultura della“dispersione”, intesa come con-sapevolezza dei disagi alla basedel fenomeno e come culturadell’integrazione, della collabo-razione e della presa in carico,per prevenire e rimuovere le cau-se che lo determinano.

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a descrizione di Franti, personaggio tra ipiù “odiati” e al contempo “amati” di unvolume ancora oggi prepotentemente attua-le, qual è Cuore di E. De Amicis, fornisce

numerosi spunti ed indicazioni allo sviluppo del-la tematica oggetto del seguente contributo, oltrea focalizzarne il contesto, il mondo della scuola,sul quale soffermeremo la nostra attenzione.

Il bullismo a scuola, infatti, è senza dubbio unfenomeno di vecchia data. Il fatto che alcuni ra-gazzi siano stati frequentemente oggetto di anghe-rie, prevaricazioni e soprusi a scuola o in altri am-biti ad essa collegati, da parte dei loro compagnipiù grandi o “più forti”, oltre ad essere stato de-scritto in opere letterarie, è stato sperimentato di-rettamente da molti adulti come emerge dai lororicordi dell’infanzia e dell’adolescenza. Si trattadi un problema che è stato sottovalutato per mol-to tempo con l’errata convinzione che esso riguar-dasse soprattutto soggetti tardo-adolescenti; adesempio, tra i riferimenti classici, ricorrenti an-che nelle rappresentazioni letterarie o cinemato-grafiche. Ricordiamo gli atti di “nonnismo” nellecaserme o i riti di iniziazione delle matricole al-l’università o nei collegi. Il fenomeno è stato og-getto di studi sistematici in Italia solo a partiredagli anni ’90. Il termine italiano bullismo è uncalco dell’inglese bullying, il cui significato nondenota un semplice atteggiamento, quanto una spe-cifica modalità di relazione tra due persone, tra“uno più forte, che si avvale della propria superio-rità per danneggiare un soggetto più debole”. Inquesta definizione, che esprime con chiarezza lamatrice relazionale del fenomeno, sono presentidue dei principali criteri che la comunità scienti-fica è solita utilizzare per demarcare il fenomenodel bullismo da ciò che non lo è: l’esistenza di

uno squilibrio nel rapporto di forza tra due o piùpersone e l’intenzione di arrecare un danno allapersona più debole. Una terza condizione, neces-saria per definire un fenomeno come il bullismo,concerne, infine il perdurare nel tempo di un taletipo di relazione squilibrata. In questa prospettivaè ancoravalida la definizione di Dan Olweus rela-tiva al bullismo: “uno studente è oggetto di azionidi bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato,quando viene esposto, ripetutamente nel corso deltempo, alle azioni offensive messe in atto da partedi uno o di più compagni”. (D. Olweus, Bullismoa scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono,Firenze 1996). Si tratta, quindi, di una forma dioppressione, in cui la giovane vittima sperimenta,per opera di un coetaneo prevaricatore, una con-dizione di profonda sofferenza, di grave svaluta-zione della propria identità, di crudele emargina-zione dal gruppo. Il bullismo può assumere for-me differenti: fisiche (colpire con pugni o calci,appropriarsi, o rovinare, gli effetti personali diqualcuno); verbali (deridere, insultare, offendere,minacciare, prendere in giro ripetutamente, fareaffermazioni discriminanti) ed indirette (diffonderepettegolezzi e calunnie, diffamare, escludere qual-cuno dal gruppo di aggregazione).

In questa sede si metteranno in luce gli aspettipenalmente rilevanti di tali atteggiamenti, perché,è bene non scordarlo, il bullismo può costituireun reato; si tratta, infatti, di comportamenti, che,lungi dal potersi considerare solo delle “bravate”,concretizzano a tutti gli effetti quelle fattispeciecui la norma assegna rilevanza giuridica e per lequali dispone la sanzione penale.

I reati penali che si possono configurare sonomolti: percosse (art. 581 c.p.) o lesioni, se lascianoconseguenze più o meno gravi (artt. 582 e ss c.p.);

Profili penali del bullismo

VINCENZO FILIPPETTIAvvocato di Crotone

L

“... E malvagio. Quando uno piange, egli ride. Provoca tutti i piùdeboli di lui, e quando fa a pugni, s’inferocisce e tira a far male. Nonteme nulla, ride in faccia al maestro, ruba quando può, nega con unafaccia invetriata, è sempre in lite con qualcheduno. Egli odia lascuola, odia i compagni, odia il maestro... ”.

E. De Amicis, Cuore

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minaccia (art. 612 c.p.); danneggiamento (art. 635c.p.); ingiuria, se de visu, o diffamazione, se di frontead altri (artt. 594 e 595 c.p.); estorsione (art. 629c.p.); molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.);maltrattamento verso i fanciulli (art. 572. c.p.). Chel’argomento sia stato discusso con i giusti termininell’ambiente giuridico, lo si deduce chiaramenteda una recente sentenza (Cass. Pen. n. 37414/07),nella quale si ribadisce la possibilità di disporre lacustodia cautelare in prigione per gli episodi piùgravi di bullismo a scuola (vedesi già Corte diCassazione, sentenza n. 19331/2005). Viene rileva-to sostanzialmente come il processo educativo diun minorenne non venga interrotto dalla custodiacautelare, chiarendo peraltro come l’affidamento aduna comunità di un minore accusato di gravi reatinon costituisca una misura eccessiva, neppure seapplicata prima del processo. La Corte diCassazione ha invitato i giudici dei tribunali deiminori a non escludere la custodia cautelare in car-cere per gli adolescenti con una forte propensionea delinquere, che sono in attesa del processo, so-prattutto se essi reiterano il comportamento crimi-nale anche dopo l’inizio delle indagini.

Sebbene possa sembrare aberrante disporre peri giovani studenti un tale trattamento, a ben vede-re, si tratta spesso non di semplici scherzi, ma diveri e propri atti di violenza, programmati e pre-ordinati a mortificare l’autostima dei ragazzi piùfragili. Oramai si assiste quotidianamente a soprusidi inaudita violenza a scuola e, laddove non vi sonodubbi che le minacce o le percosse costituiscanoun reato, seppure se verificatasi all’interno del-l’alveo scolastico, c’è da dire che alcune nuove edilluminate sentenze tendono ad allargare il noverodei possibili reati compiuti dai bulli.

Una recentissima sentenza della Cassazione(sentenza 12 luglio - 24 ottobre 2007, n. 35484) haoramai scoperchiato la pentola dei ricatti e dellevere e proprie estorsioni a danno dei compagni diclasse più deboli: vere e proprie organizzazioniminorili, volte ad incamerare i soldi dei compagnidi scuola, utilizzavano come strumento il telefo-nino ed il sistema degli sms dove, come osserva laCorte di Cassazione “il tono affettuoso delle comu-nicazioni non è in grado di escludere, per sé solo, néla finalità estorsiva che in esse poteva nascondersi,né, tantomeno, quell’attività parallela, condotta sulfilo di comuni intimidazioni e violenze, denuncia-ta dalla vittima”. Il telefonino stesso è stato utiliz-zato più volte dai bulli per intimorire, soggiogareed a volte terrorizzare i coetanei con minacce evessazioni di ogni sorta; in questo senso la Terza

Sezione Penale della Corte di Cassazione (senten-za n. 26680/2004) ha ritenuto, infatti, che “Quan-to al risultato, e più esattamente alla capacità offen-siva del messaggio in danno della tranquillità pri-vata del destinatario, è notorio che il destinatario ècostretto a leggerne il contenuto prima di poter iden-tificare il mittente; sicché il mittente del messaggio,attraverso questo strumento, raggiunge lo scopo, do-losamente perseguito, di turbare la quiete e la tran-quillità psichica del destinatario. ” (cfr. in terminiCassazione n. 5818/2006). È di pochi giorni fa lanotizia delle salatissime multe da infliggersi a chieffettua riprese col telefonino all’intemo della scuo-la, giusta restrizione per chi va a scuola per inter-rompere il processo formativo, e talvolta, la sere-nità altrui (Direttiva Ministero P. I. n. 16/2007).Che fare? È indubbio che gli insegnanti siano iprimi a scontrarsi con tale realtà: già da molti anni,infatti, il timore reverenziale nei confronti deidocenti si è affievolito a tal punto, che spesso glistudenti riservano ai loro insegnanti un trattamen-to quasi analogo a quello rivolto ai coetanei vessati(come nei tristi casi verifìcatisi in alcune scuole diBari – a S. Paolo ed Enziteto – dove docenti e diri-genti scolastici sono stati aggrediti da genitori in-tervenuti in difesa dei figli bulli).

Recente è altresì l’incriminazione, per abuso deimezzi di correzione e disciplina, di una docenteche aveva cercato di impedire al bullo di portare apiù gravi conseguenze il suo comportamento, im-ponendogli di scrivere alla lavagna “sono un defi-ciente”. In primo grado, il Tribunale di Palermo,con la pronuncia di assoluzione, aveva osservato che“L’azione della V. (l’insegnante) risulta essere,innanzitutto, improntata all’esigenza di rieducare ilgiovane C., stigmatizzando la sua condotta lesiva dellasensibilità del giovane G., ond’evitare che la convin-zione di agire impunemente in quel modo lo portasse,nell’evoluzione della sua personalità, ad una progres-siva assunzione di comportamenti antisociali. In al-tri termini, non è ravvisabile nella condotta della V.alcun motivo di rancore, vessazione, umiliazione, so-praffazione ma solo l’esigenza di fornire una rispostaeducativa rispetto ad un episodio pericoloso per evo-luzione dei comportamenti del C. G. e di tutta la clas-se”. (sentenza del 27 giugno 2007). Tale sentenza diassoluzione è stata appellata però alcuni giorni fadal P. M. di Palermo, sicché, con sempre maggioretimore, oseremmo dire, gli insegnanti adotterannomisure di disciplina nei confronti degli studenti.Chi risponde dei danni cagionati dal bullo? Se ilgiovane bullo è maggiorenne risponderà in proprio,se invece è minorenne, i responsabili della sua con-

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dotta saranno tanto i genitori (che hanno il doveredi educare in modo adeguato il ragazzo – culpa ineducando), quanto gli insegnanti (che hanno il do-vere di vigilare che gli studenti tengano sotto la lorosorveglianza un comportamento idoneo-culpa invigilando) e l’amministrazione scolastica (che ha ildovere di controllare che tale vigilanza sia eseguita– culpa in organizzando), ed infine, anche il mino-re stesso, nei limiti in cui è in grado di comprende-re la portata ed il significato della propria condot-ta, purché lo stato di incapacità non derivi da suacolpa (art. 2046 c.c.). Quanto ai genitori, che sonotenuti ad educare la prole, essi saranno responsabi-li, ex art. 2048 c. ., per il comportamento violentodei propri figli, se minorenni, salvo che non provi-no di averli adeguatamente educati.

A tal proposito recentemente sono stati con-dannati ad un risarcimento i genitori di un ragaz-zo resosi responsabile del ferimento ad un occhio,per il lancio con una fionda di un oggetto metalli-co, di un suo coetaneo: i giudici hanno rilevatol’inadeguata educazione impartita al figlio, in re-lazione alla sua indole irascibile e violenta, e l’ina-deguata vigilanza sulla sua condotta (Cass. civ. Sez.III, 11.04.2006, n. 8421).

L’affidamento del minore alla custodia di ter-zi, quali i docenti, solleva il genitore dalla presun-zione di culpa in vigilando (dal momento che del-l’adeguatezza della vigilanza esercitata sul minorerisponde il precettore cui lo stesso è affidato), manon anche da quella di culpa in educando: i genito-

Scuola… mia scuola, Valentina Lisanti, I. Scuola Secondaria di I grado. San Mauro Forte (Matera)

ri sono comunque tenuti a dimostrare di avereimpartito al minore stesso un’educazione adegua-ta a prevenirne comportamenti illeciti.

Si segnala, in proposito, la recente sentenza n.33760/2007 nella quale la Corte di Cassazione si èpronunciata in merito al caso di un infortunio oc-corso ad uno studente durante un’assemblea di clas-se tenutasi all’interno del laboratorio chimico; lostudente in questione era stato ustionato da unasostanza spruzzagli per gioco da un compagno. Igiudici della Cassazione hanno chiarito in questasede che i professori (che devono essere “delegatidel datore di lavoro in forza di atto delega espresso,inequivoco e certo ed espressamente accettato”) nonsono responsabili degli eventuali incidenti che ac-cadono durante le assemblee. Quanto all’organiz-zazione scolastica, al di là delle questioni processualisulla legittimazione passiva (di norma, comunque,risponde dei danni il Ministero della Pubblica Istru-zione con rivalsa nei confronti del docente che ab-bia agito con dolo o colpa grave), è ipotizzabile,altresì, anche una certa culpa in organizzando, nellamisura in cui le cautele adottate dalla scuola nonsiano idonee al monitoraggio continuo sulla con-dotta dei discenti, ovvero non siano predispostispecifici punti di riferimento, affinché si possa pre-venire l’insorgere del fenomeno, prima che il disa-gio del singolo bullo muti in comportamentiprevaricatori verso altri compagni e finisca per mi-narne la dignità e provocare loro danni irreparabili,sotto il profilo psichico, fisico ed esistenziale.

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Dalla Istituzioni extrascolastiche

a Psicologia dell’emergenza è il settore del-la psicologia che si occupa degli interventiclinici e sociali in situazioni di calamità,disastri ed emergenza/urgenza. Più in ge-

nerale, è la disciplina che studia il comportamentoindividuale, gruppale e comunitario in situazionidi crisi. In sintesi, mentre gran parte della psicolo-gia tradizionale si occupa dei processi psichici(cognitivi, emotivi, psicofisiologici, etc. ) in con-dizioni “normali”, la psicologia dell’emergenza sioccupa di come tali processi vengano ad essererimodulati nelle situazioni “acute”.

Dunque, la psicologia dell’emergenza intervie-ne sulle reazioni prodotte dagli eventi traumatici.

Un evento viene definito “traumatico” quandosono presenti entrambe queste caratteristiche:

– la persona ha vissuto, assistito, o si è con-frontata con un evento che ha implicato morte,minaccia di morte, gravi lesioni o minaccia all’in-tegrità fisica propria o di altri;

– la risposta della persona comprende paura in-tensa, sentimenti di impotenza o di orrore.

Il soggetto traumatizzato, infatti, rivive persi-stentemente l’evento in uno o più dei seguentimodi:

1. ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi del-l’evento che comprendono immagini, pensieri opercezioni. Nei bambini piccoli si possono mani-festare giochi ripetitivi in cui sono espressi temi oaspetti riguardanti il trauma;

2. sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento. Neibambini possono essere presenti sogni spaventosisenza un contenuto orribile;

3. agire o sentire come se l’evento traumatico sistesse ripresentando (sensazioni di rivivere l’espe-

rienza, illusioni, allucinazioni, episodi dissociati-vi di flashback). Nei bambini piccoli possonomanifestarsi rappresentazioni ripetitive specifichedel trauma;

4. disagio psicologico intenso all’esposizione afattori scatenanti interni o esterni che simbo-lizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’even-to traumatico;

5. reattività fisiologica o esposizione a fattoriscatenanti interni o esterni che simbolizzano oassomigliano a qualche aspetto dell’evento trau-matico.

È opportuno sottolineare che non tutte le personeche vivono un’esperienza di trauma incorrono indisturbi di natura psicopatologica.

I soggetti più esposti sono adolescenti, giovaniadulti, prevalentemente di sesso femminile, contemperamento introverso e scarsa educazione eformazione ovvero individui che soffrono o han-no sofferto di disturbi psicopatologici.

Tra le principali problematiche riscontrate nel-le vittime dei traumi dalla ricerca scientifica com-piuta fin dagli anni ’80 vi è il Disturbo Post-Trau-matico da Stress (PTSD), che comporta lo svilup-po di sintomi duraturi intrusivi, di evitamento edi iperattivazione.

Inoltre, dopo un evento particolarmente dolo-roso/traumatico si possono sviluppare alcune al-tre psicopatologie, quali:

- disturbi d’ansia;- disturbi dell’umore;- disturbi sessuali;- disturbi dell’alimentazione;- disturbi somatoformi;

Un intervento di psicologiadell’emergenza a scuola

LAURA CLAPS - Psicologa psicoterapeutaGIUSEPPE MARMO - Psicologo psicoterapeuta

L

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- disturbi correlati a sostanze;- disturbi di personalità.È bene specificare che qualsiasi disturbo tra i

precedenti deve essere riconosciuto e trattato il piùprecocemente possibile, al fine di evitarne la cro-nicizzazione. Gli interventi di psicologia dell’emer-genza, pertanto, vanno ad agire sulla possibile pre-coce formazione di ogni forma di psicopatologiaindicata. Le tecniche utilizzate dallo psicologo del-l’emergenza sono prevalentemente:

il DEFUSING;il DEBRIEFING.

Il Defunsing è una tecnica di gestione dellostress da evento critico e deve essere effettuato en-tro le prime 24-48 ore dall’esposizione allo stesso.Si esegue con piccoli gruppi omogenei, nei qualiviene chiesto ai partecipanti, a turno, di descrive-re l’accaduto, la propria esperienza e le propriereazioni, cercando di arrivare ad una condivisione,ma evitando di approfondire qualsiasi vissuto emo-tivo eventualmente provato.

Il Debriefing, invece, è un intervento di grup-po che ha la finalità di creare uno spazio condivi-so di espressione degli stati emotivi e ridurre ilsenso di isolamento; va effettuato nel periodo com-preso tra i 2-30 gg. successivi all’esposizione al-l’evento critico. Si esegue con gruppi omogenei,ai cui partecipanti viene chiesto, a turno, di de-scrivere l’accaduto, la propria esperienza, le pro-prie reazioni e le emozioni provate. Infine, si in-segna ai presenti ad attivare le proprie risorsepsichiche per fronteggiare le ricadute emotive del-l’evento critico sulla propria esistenza.

È opportuno, dopo aver effettuato il defusinged il debriefing, prevedere sui gruppi precedente-mente coinvolti un intervento di follow-up, a di-stanza di non più di un mese, al fine di verificarel’insorgenza di eventuali sintomatologie psicopa-tologiche conseguenti all’esposizione all’eventotraumatico, per indirizzare i soggetti a rischio aiservizi territoriali preposti all’intervento clinicoo psicoterapeutico. Gli interventi di psicologiadell’emergenza si possono rivolgere alle vittime“primarie” (i soggetti direttamente coinvolti dal-l’evento critico), alle “secondarie” (parenti e/o te-stimoni diretti dell’evento) e “terziarie” (i soccor-ritori intervenuti sulla scena, che spesso sono espo-sti a situazioni di particolare drammaticità).

L’esperienza di cui narriamo riguarda l’ap-

plicazione di un intervento di psicologia dell’emer-genza presso un istituto scolastico superiore dellaregione Basilicata.

A seguito di un evento di cronaca riguardanteun episodio di violenza avvenuto tra due studentiminorenni, l’Ordine degli Psicologi di Basilicata haofferto il proprio intervento gratuito alla scuolainteressata, inviando due psicologi esperti in ma-teria. L’intervento effettuato aveva lo scopo di pre-venire l’eventuale insorgenza delle psicopatologieprecedentemente citate sulle vittime primarie, se-condarie e terziarie dell’evento traumatico.

Il momento critico dell’episodio di violenza èculminato nel ferimento, attraverso arma da ta-glio, di uno studente da parte di un compagno diun’altra classe: entrambe le aule affacciavano su diun cortile ed il tutto si svolgeva durante il mo-mento della ricreazione. Erano presenti, pertan-to, numerosi studenti ed insegnanti sul luogo del-l’accaduto.

L’evento è risultato traumatico, in quanto:– le vittime primarie, secondarie e terziarie han-

no percepito, se pur attraverso differenti gradi diintensità, minaccia all’integrità fisica propria edaltrui;

– le vittime primarie, secondarie e terziarie han-no evidenziato paura intensa e sentimenti di im-potenza.

Gli psicologi dell’emergenza, dopo aver con-tattato il Dirigente scolastico ed averne raccolto lapiena disponibilità, si sono recati presso l’istitutosuperiore dopo sei giorni dall’evento critico. Lasituazione, nell’immediato, è apparsa la seguente:i protagonisti della vicenda (aggressore ed aggredi-to) risultavano assenti dalla scuola – il primo permotivi giudiziari; il secondo perché sospeso dalcollegio dei docenti a tempo determinato –.

A detta del Dirigente scolastico e dei suoi col-laboratori nelle classi dei due giovani protagonistisi stavano verificando fenomeni caratteristici del-le reazioni emotive tipiche dei traumatizzati, qua-li: ansia, paure, condotte di evitamento. Tali rea-zioni si riscontravano anche nel personale docen-te e non docente. Pertanto, sono state effettuatele seguenti azioni:

a) n. 2 interventi di debriefing sulle due classicoinvolte, nelle quali erano presenti vittime secon-darie (testimoni diretti dell’evento) e terziarie (soc-corritori intervenuti sulla scena), individuabili siatra gli studenti che tra gli insegnanti. Il lavoro èstato effettuato su ciascun gruppo separatamente

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a distanza di 6 gg. dall’evento;b) n. 1 intervento di debriefing effettuato sugli

insegnanti componenti i consigli di classe dei dueprotagonisti, (anche in questo caso con vittimesecondarie e terziarie dell’evento). Il lavoro è sta-to effettuato con un unico gruppo di lavoro, a di-stanza di 7 gg. dall’evento;

c) un intervento di follow-up effettuato sull’in-tera comunità scolastica (vittime secondarie e ter-ziarie). Il lavoro è stato effettuato attraverso collo-qui individuali con chiunque volesse esprimersiin merito all’accaduto o accusasse dei sintomi dastress. Il tutto, a distanza di 11 gg. dall’evento, havisto la partecipazione di oltre 50 studenti;

d) una riunione di gruppo con gli operatori deiservizi territoriali della zona (ASL, Servizi socialicomunali), in collaborazione con l’Ufficio Scola-stico Regionale di Potenza.

L’intervento è stato finalizzato a garantire laprosecuzione di quanto riscontrato in sede di emer-genza: ovvero, effettuare l’invio al sistema socio-sanitario locale dei casi sui quali si erano riscon-trati elementi di possibile psicopatologia, nonchél’ascolto delle vittime primarie dell’evento trau-matico (aggressore ed aggredito), sulle quali nonera più possibile effettuare un intervento psicolo-gico dell’emergenza, ma che andavano, al loro rien-tro a scuola, seguite con interventi psicologico cli-nici e sociali. L’esperienza condotta ha evidenziato,nel complesso, come un evento traumatico possaprodurre reazioni emotive che si estendono in cer-chi concentrici di intensità, esattamente come av-viene quando un sasso viene lanciato nell’acqua.Pertanto, sia le vittime primarie, secondarie cheterziarie del trauma tendono a sviluppare com-portamenti ed a riferire emozioni simili, filtratenaturalmente dal proprio modo individuale di af-

frontare gli eventi critici di quella particolare na-tura. Sensazione di paura, condotte di evitamentoed ansia, senso di minaccia all’integrità della pro-pria tranquillità, percezione della scuola come luogonon più sicuro, senso di impotenza per non esserestati in grado di evitare l’accaduto; timore che possaripetersi sono stati gli elementi emotivi più frequen-ti riscontrati tra gli studenti, gli insegnanti, il perso-nale non docente dell’istituto scolastico coinvolto.

In fase di follow-up è apparso immediatamentevisibile come le forti reazioni emotive riscontratedopo una settimana dall’esposizione all’evento cri-tico si erano già molto attenuate, lasciando il postosolo in alcuni rari casi, ed in soggetti predisposti,alla necessità di un invio clinico psicologico; ciò adimostrazione che il contenimento e l’espressionedei vissuti nell’immediatezza diventano un’ottimaarma di prevenzione della malattia.

In conclusione, è possibile affermare che non ènecessario vivere una catastrofe o un disastro digrave entità per venire esposti ad un trauma; ba-sta, infatti qualsiasi evento metta in pericolo ominacci di mettere in pericolo la propria incolu-mità perché si possa parlare di un trauma tale daprodurre – qualora non trattato tempestivamen-te, – possibili danni psichici sia ai protagonisti di-retti dell’evento stesso, che ai testimoni, ai soc-corritori ed addirittura a coloro i quali non eranopresenti al fatto, ma ne sono venuti a conoscenzadai diretti interessati.

Pertanto, l’auspicio è che la psicologia dell’emer-genza possa diventare una realtà riconosciuta e legit-timata in Basilicata, ad esempio mediante la costitu-zione di una task force alla quale l’Ordine degli Psi-cologi possa partecipare, attraverso un gruppo dipropri esperti ed insieme alle altre istituzioni terri-toriali preposte all’intervento sull’emergenza stessa.

N.B.: I contributi per i prossimi numeri de “Il Nodo” non dovranno superare le 3-4 pagine(circa 13.500-18.000 battute).