Minastirith 04/10

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Anno I - Numero VII Aprile 2010 - Organo a diffusione interna (c.i.p) Ass. Cult. FUROR - Via Stretto Cappuccini, 32 (Catanzaro) - info: [email protected]

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Anno I - Numero VII – Aprile 2010 - Organo a diffusione interna (c.i.p) Ass. Cult. FUROR - Via Stretto Cappuccini, 32 (Catanzaro) - info: [email protected]

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IL SIMBOLO DEL LUPO

Il lupo è uno dei simboli più ricorrenti

e fondamentali della Tradizione Occi-

dentale e, tra l’altro, si trova anche in

uno dei miti principali della civiltà eu-

ropea: la fondazione di Roma. Romolo

e Remo, infatti, figli di Marte e Rea

Silvia – discendente di Enea e dunque

di Venere -, abbandonati in una cesta

ai flutti di un fiume e salvati dalle radi-

ci di un albero, vengono presi in ado-

zione da una lupa che si occupa del

loro nutrimento. Nella sua accezione di

nutrice la lupa appare immediatamen-

te associabile ad un qualcosa di

“essenziale alla crescita”. Il problema

si pone, però, quando si deve identifi-

care la direzione di tale crescita. Se da

una parte, infatti, il simbolismo del

lupo – dal greco lykos – è associabile

alla luce – lyké – e ad una forza solare

(il lupo è posto sempre vicino al dio

iperboreo Apollo), come attestano Lu-

ciano, Giuliano Imperatore e lo stesso

Virgilio che lo utilizza per designare

Roma medesima, dall’altra, nell’Edda -

poema sacro della tradizione scandina-

va - l’età oscura è identificata con l’età

del lupo, come sinonimo di oscurità e

distruzione. Ci troviamo, dunque, di-

nanzi ad un simbolo ambivalente, co-

me il leone ed il serpente, ad una forza

misteriosa ed archetipica, che si collo-

ca al di là delle semplici concezioni

umane del bene e del male ed attra-

verso il quale, o meglio, attraverso la

capacità del singolo uomo di rappor-

tarsi ad esso, si può accedere a sfere

dell’essere ben distanti tra loro. L’esito

della scelta e della direzione di tale

forza si materializza nell’ opposto de-

stino dei due fratelli, Romolo e Remo.

Il primo diviene Re, segna il solco, de-

limita il confine, cioè impone e

s’impone una legge. Il secondo, incar-

nando la forza caotica ed infera assor-

bita con il nutrimento del latte mater-

no, infrange la legge segnata dal fra-

tello rifiutando così anche la volontà

degli déi manifestata a Romolo con la

visione dei 12 avvoltoi sul Palatino.

L’ambivalenza del lupo, proiettata

all’interno dell’uomo, definisce per cia-

scuno due possibilità di sviluppo

dell’anima, l’una ascendente, l’altra

discendente. Se non fosse stato que-

sto uno dei significati fondamentali del

lupo, o della lupa, Dante non se ne

_______________ indirizzi dottrinari _______________

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sarebbe mai servito per rappresentare

uno dei tre ostacoli fondamentali che,

all’inizio del suo viaggio iniziatico at-

traverso gli stati molteplici dell’essere,

gli sbarrano il cammino. Troviamo

così il lupo associato ad un momento

caotico e di scelta in cui solo il corag-

gio, inteso come audacia e fede, può

superarlo; il

superamento

c o i n c i d e n d o

con il dominio

di sé, su di una

forza che a-

spetta solo di

essere incana-

lata.

Su tale linea

possiamo an-

che decifrare lo

s c o n t r o -

incontro del

Serafico d’ Assisi, l’alter Christus Fran-

cesco, con il lupo di Gubbio. Sul signi-

ficato di tale belva in molti hanno pro-

posto delle assimilazioni ad un grande

male che affliggeva la cittadella um-

bra, un peccato, un brigante o una

carestia naturale. In ogni caso S. Fran-

cesco opera una conversione nel lupo

orientando la sua ferocia naturale ver-

so un atto collaborativo con la popola-

zione. Questa inversione di rotta è cer-

tamente associabile alla stessa inver-

sione che si manifestò nell’animo di

Francesco quando decise di porre la

sua anima guerriera a servizio del Re

dei re, dirigendo il proprio fuoco verso

cime ben più alte della semplice fama

e gloria umana, della banale baldoria

da osteria.

Il simbolo del lupo ha quindi valore du-

plice ma, senza dubbio, è insieme

all’orso il simbolo per eccellenza del

guerriero perché può fare della sua for-

za un mezzo per l’inferno come per il

paradiso. Non a caso, del resto, nella

seconda guerra mondiale le ultime

sacche di resistenza del Terzo Reich

erano detti

Werwolf, lupi

mannari.

Per un guer-

riero del ter-

zo millennio,

dunque, in-

contrare il

proprio lupo

interiore e-

quivale a

pro ie t tars i ,

attraverso un

percorso di

militanza e azione concreta, oltre che di

riflessione, dinanzi a questa forza nuda

e, nell’ esercizio del suo dominio, utiliz-

zarla come una spinta verso la rivolu-

zione di sé.

“Fra il grigio delle pecore si celano i

lupi, vale a dire quegli esseri che non

hanno dimenticato che cosa è la liber-

tà. E non soltanto quei lupi sono forti in

sé stessi, c'è anche il rischio che, un

brutto giorno, essi trasmettano le loro

qualità alla massa e che il gregge si

trasformi in branco. E' questo l'incubo

dei potenti.” Ernst Jünger

A Noi la scelta.

Gaspare Dono

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IL PECCATO ORIGINALE - MASSONERIA E RISORGIMENTO

Provincia di Catanzaro. 27 marzo. Lo scorso 27 marzo la sala consiliare del-la Provincia di Catanzaro e noi, in quanto organizzatori, abbiamo avuto la bellissi-

ma occasione di poter ospitare una delle firme più note del giornalismo sgradito ai poteri forti, Maurizio Blondet.

L’appuntamento ha dato tutto quel che prometteva: una lunga serie di spunti sull’Italia che stava nascendo, un’altrettanto lunga lista di persone e

poteri per cui unire l’Italia era più che altro un’operazione economica e di con-quista e la straordinaria opportunità di potersi confrontare per qualche giorno

con una persona squisita e ricca di sape-re.

Si sa, parlare di certi temi non aiuta a sciogliere le riserve di molti, ma di certo ciò che conta è che il messaggio di una verità storica diversa da quella comune-mente nota sia passato e, ne siamo certi, così è stato non solo per quanti alla con-

ferenza hanno avuto il piacere di parteci-pare, quanto per ciascuna delle persone che magari leggendo il nostro manifesto

si sarà posta qualche domanda in più.

Non che questo ci basti: Catanzaro è per certi versi una città fortunata ma a volte sembra di vivere in una città morta cultu-ralmente. È una sensazione che abbiamo avuto pubblicizzando questo ed altri e-venti simili: la gente è indifferente, forse disinteressata, quasi lobotomizzata. E lo

diciamo con una punta polemica perché è impensabile andare a votare, parlare di cambiamento, quando la cultura sembra un corpo estraneo alla maggior parte del-le persone. E non si creda che facciano eccezione professori o altri “operatori

culturali” che di appuntamenti come que-sto dovrebbero farne ragione di vita. Di-

ceva del resto Socrate: chi crede di sape-re è più ignorante di chi sa di non sapere, perché quanto meno quest’ultimo ce la mette tutta ad imparare.

È una società malata, dunque. E se pro-prio vogliamo proseguire con il linguaggio medico possiamo così agevolmente spie-

gare che il "cancro" che divora il nostro paese - e che a nostro parere è ormai una metastasi - ha radici antiche e prota-gonisti “sospettabili ma insospettati”.

Infatti le cellule "cancerose" (si legga massoniche) si sono ormai definitivamen-te insinuate nell'organismo (istituzioni) del nostro paese, logorandolo dall'interno

ed espandendosi a macchia d'olio su tutti gli organi vitali (politica, economia, istitu-

zioni ecclesiastiche) grazie alla tanto ac-clamata costituzione della Repubblica Italiana: "una e indivisibile" come, intrisi di tanto spirito patriottico, c'hanno inse-gnato i manuali. E, quello che abbiamo inteso dire, è che già sotto, dentro, sopra

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_______________ spunti storici _______________

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e durante (giusto per dare un idea spazio-temporale del grado di responsabilità da

attribuire) il risorgimento aveva in realtà preso piede, messo radici e si era conso-

lidato al potere quel male da cui è affetto tanto il nostro paese quanto il resto del mondo occidentale: la massoneria. Così ecco un po’ di “storia storicamente o-

nesta”. Bisogna infatti

ricordare che proprio in Italia le logge massoni-che si diffondono a parti-re dal 1730. Ma in que-sta fase, che si prolunga fin circa all'ultimo quarto

del secolo, sono monar-

chiche, o meglio, appog-giano i sovrani nel loro dispotismo illuminato. Perciò anche se in alcuni luoghi (ad esempio la Repubblica di Venezia)

sono guardate con so-spetto, in altri sono tollerate o addirittura

"poco segretamente" favorite dalle stesse monarchie che di li a poco scalzeranno dal trono. La forma di governo, del resto, è pura speculazione laddove la sostanza è altra: così in Gran Bretagna accade che

proprio la Corona tenga sotto la proprio ala protettrice il potere delle logge. Ciò che conta è che da sempre, e ancora

oggi, i massoni, portatori di "libertà e modernizzazione", padri indiscussi degli "immortali principi" della rivoluzione

francese, detengono un potere decisiona-le ineguagliabile. Ed accade così che massoni siano anche i

maggiori protagonisti del Risorgimento, massoni tutti gli uomini insediati in posi-

zioni di potere già nel 1860, all'alba del Regno d'Italia, ancora massoni gli impli-

cati nei primi grandi scandali politico-economici dello Stato unitario: le costru-

zioni ferroviarie (1864), il monopolio ta-bacchi (1868), la Banca Romana (1889). Massoni di "primo piano" erano, limitan-dosi ai nomi più noti: Garibaldi, Nigra, De

Pretis, Crispi, Cavour. Proprio quest'ultimo in-

tratteneva scrupolosa-

mente rapporti privile-giati con le logge britan-niche mentre in Italia altrettanto scrupolosa-mente contraeva debiti esosi utili a pagare guer-

re lontane e da cui era

impossibile l'Italia traes-se alcun beneficio. Nei dodici anni del governo cavouriano il debito pub-blico aumenta di oltre un miliardo(!): “Debiti nuovi

per pagare debiti vecchi, è qui che comincia l'Italia che conoscia-

mo” asserisce Blondet. Tanti nomi e altrettante storie di vergo-gne quotidiane e personaggi ignobili pas-sati alla storia come eroi ed esempi per

la patria. Questo, semplificato, il senso di quanto è stato detto. Uno l’imperativo che da questi incontri deve venir fuori:

riflettete, leggete, spalancate le menti e fate sì che alberghi in voi un sano senso critico verso l'informazione partitica e

"prestabilita". Fate domande, incuriosite-vi e non abbiate timore di credere alla verità, anche se siete in pochi, anche se siete i soli!

Dea

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TOGHE ROSSE E TABU’ DA SFATARE

Nei confronti dell’agone politico nutria-mo un sincero quanto imparziale disgu-sto. Si va dalla ovvia distanza politica rispetto a chi ha alle spalle un passato nel Partito comunista e nel presente un

orizzonte politico che dal Pci ha preso solo il peggio, fino alla distanza ontolo-gica che ci separa da quanto sulla scena

tenti di rappresentare un’idea quanto mai confusa di destra. Per questo moti-vo non c’è possibilità che quanto diremo sia preso come difesa di una parte poli-

tica e del premier nella fattispecie. Ma fare politica richiederebbe anzitutto una certa dose di onestà intellettuale,

motivo per cui abbiamo in particolare antipatia chi per principio, malafede o per carenza di acume intellettuale conti-

nua a sostenere che la magistratura non possa essere politicizzata. Ma la polemica politica non è il fine di queste poche righe, tutt’altro. Il punto che ci preme sottolineare è l’ipocrisia di

chi sostiene che la magistratura non possa essere politicizzata, di più: che la magistratura non rappresenti una forza

politica. Ora, che lo dica un esponente

politico interessato possiamo anche ca-pirlo, ma che a dirlo siano giornalisti e persone preparate è persino ridicolo. È nell’ordine delle cose che la magistra-tura rappresenti una forza politica. Pri-ma dell’irruzione della democrazia nella storia, in effetti, magistratura e potere

politico non erano per nulla poteri di-stinti tra loro, tutt’altro: l’essenza dell’monarchica consiste proprio nel fat-to che il Re concentri in sé sia la possi-bilità di fare le leggi che quella di valu-tarne l’applicazione. Il Re è insieme

“ m a g i s t r a t o ” , “ p r e m i e r ” e “parlamentare” per capirci. Il timore,

però, era che il re forzasse la mano ed allora ecco il regime democratico - che è perciò l’unico vero regime reazionario - che separa queste funzioni, cosicché tra chi fa le leggi, chi governa e chi giu-

dica ci si controllasse a vicenda. Lo scontro politico tra esecutivo e giudizia-rio, dunque, è insito nell’esistenza di

poteri distinti: prima bugia. In democrazia, così, la magistratura è del tutto autonoma, difficile da condizio-nare e controllare, nel bene e nel male,

poiché si presuppone che essa possa essere l’imparziale strumento della leg-ge, ciò che non è altro che una finzione

giuridica. Ed è qui che questa sua indi-pendenza assume valenza politica, es-sendo questa dello “strumento impar-

ziale” una seconda grossa bugia. Se infatti il compito dei giudici si limi-tasse ad individuare la norma e commi-nare impersonalmente la sanzione rela-tiva, non ci sarebbe bisogno del proces-

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so breve e forse neanche dei giudici, basterebbe un computer ben program-

mato per distribuire automaticamente sentenze!

Invece il ruolo del giudice è, natural-mente, molto più complesso. Come sa chiunque abbia letto un manuale giuri-dico, è l’interpretazione dei giudici - talvolta anche forzata - il fulcro di un processo. Se le leggi fossero lì, bell’e

pronte per essere applicate, oltre ai giu-

dici, non esisterebbero neanche i pro-cessi. In realtà, il giudice dispone di un ampio margine di discrezionalità: la sua interpretazione può oscillare quanto più l’astrattezza della

norma lo consenta.

“Secondo legge i giu-dici dovrebbero se-guire questa formula: “Regole x Fatti = Decisioni”. Ma i giudi-ci hanno una volontà,

e sia le costituzioni che le leggi sono suf-

ficientemente flessibili da dargli la possi-bilità di esercitare questa volontà. […] Di conseguenza le preferenze dei giudici, e i giudizi della corte che vengono fuori da queste preferenze, sono determinanti

nell’esito politico finale del processo di policy” (Hix S., The political system of the European Union, p. 113). Questa -

che nello specifico si riferisce alla Corte di giustizia europea - è la realtà: i giudici influenzano notevolmente le politiche.

“Poichè la produzione dell’effetto [della

v o l o n t à p o l i t i c a ] d i p e n d e dall’applicazione della legge e, a sua vol-ta, l’applicazione della legge dipende dal

modo in cui essa viene interpretata non in astratto bensì in relazione al fatto di

cui si controverte, ecco che il giudice è immesso nella realtà sociale in cui vive

ed opera, diventa egli stesso un «operatore politico». […] è proprio nella

interpretazione della legge che egli e-sprime giudizi di valore, che altro non sono se non manifestazione della sua cultura, delle sue convinzioni, della sua ideologia[...]” (T. Martinez, Diritto costi-tuzionale, p.430).

La questione della politicità dei magistra-

ti, dunque, è un fatto. Ed è chiaro anche che essi facciano delle scelte, anche su chi indagare nel caso dei Pm. Per cui

neanche la persecu-zione giudiziaria è cosa impensabile.

Non ci scandalizziamo

dunque e non lascia-moci trascinare da un noioso quanto perico-loso conformismo di p e n s i e r o . L’argomento, del re-

sto, è uno di quei te-mi in cui nelle masse

si afferma una verità che è totalmente falsa rispetto alle stesse conoscenze spe-cifiche della dottrina. Come d’altronde accade spesso con la storia e con la scienza. Il guaio è che oggi l’ignoranza è

sempre accompagnata dalla presunzio-ne, perché l’ignoranza di massa oggi è consacrata come Sua Santità l’Opinione

Pubblica. È la dittatura dell’opinione pub-blica, come ricordò il liberale Stuart Mill, la peggiore, la più dannosa.

Ed è la democrazia stessa, in fondo, che ha bisogno per vivere di concetti sempli-ci e rozzi e che così impedisce la diffusio-ne del pensiero. Che fare? Non ci resta

che sfatare quest’ultimo tabù: la demo-crazia come “bene assoluto”!

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UNO SU MILLE: AMBROGIO FOGAR Come abbiamo spesso fatto, proponiamo qui una storia di indimenticabile sport,

che è prima di tutto la storia di un uomo.

Un uomo che affascinato dall’incognito, dotato di uno spirito eroico e avventurie-ro, esplora dentro sé stesso sfidando la natura. E lo fa vincendo molte battaglie, perdendone qualcuna, ma senza mai per-dere la voglia di combattere e superare

ogni limite. Vi raccontiamo oggi la storia di Ambrogio Fogar, nato il 13 agosto del

1941 a Milano, fin da piccolo con l’attrazione fatale per le sfide estreme che lo porterà ad attraversare le alpi con gli sci, per poi, instancabile, scegliere un’altra sfida: il volo. È così che, armatosi

di paracadute, si lancia per 50 volte fin-ché un incidente per lui quasi fatale glielo impedisce. È proprio allora incontra il suo

vero amore, il mare. Il pericolo ed il co-raggio divengono per lui una seconda

pelle. Si misura con la traversata dell’Atlantico del nord per poi affrontare

nel 1972 la regata Città del capo-Rio de Janeiro. Ma l’impresa che cambia la sua

vita è qualcosa che solo pochi hanno osa-to fare: la traversata del mondo in solita-ria, ma da est ad ovest, contro il senso delle correnti e dei venti. Per tredici mesi solo con sé stesso. Non lo ferma in que-sta impresa neanche la perdita del timone

nelle ultime miglia di traversata. E tutto

ciò potrebbe già bastare per rendere Fo-gar “immortale”. Ma lo attendono altre prove. Nel 1977, infatti, parte in compa-gnia di un giornalista da Buenos Aires alla volta di Capo Horn. Ma il 18 gennaio del 1978 la loro imbarcazione viene attac-

cata da un gruppo di orche e

l’imbarcazione affonda. I due si salvano miracolosamente grazie ad una zattera di fortuna. Per giorni e giorni sopravvivono grazie all’acqua piovana ed una microsco-pica riserva di grasso e solo dopo 74 gior-ni vengono per caso tratti in salvo da un

cargo greco. La morte, due giorni dopo, del giornalista scava il lui una ferita mai

più rimarginata. Ma ancora la vita gli ri-serva qualcosa di terribile. Durante un rally, altra sua passione, nel deserto ha un incidente che lo rende quasi completa-mente paralitico. Ed è qui che forse ci fa il

dono più grande, affrontando quest’ennesima prova con inconfondibile tenacia, fino a dire in punto di morte:” è

la forza dello spirito che ti insegna a non mollare mai, anche quando sei sul punto

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_______________ rubrica sportiva _______________

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Ovuli all’asta

Molti sapranno che non è purtroppo una novità il “baby profiling", tecnica

che permette alle coppie del nuovo

millennio di "mettere mano" al profilo genetico del feto scegliendo anticipatamente sesso, raz-

za, colore degli occhi e dei capelli. Del tutto nuova è, invece, la nuova tendenza che si sta affermando: gli ovuli messi all’asta, iniziativa portata avan-

ti da una clinica londinese specializzata proprio nella pratica dell'inseminazione artifi-ciale e del baby profilino, condotta a fini “promozionali”. Secondo un recente articolo

pubblicato sul Sunday Times i promotori garantendo "massima serietà" e assicurando il "rispetto assoluto della legge" attueranno il trattamento in America e non in Gran Bretagna, dove è rigorosamente vietato sottolineando quanto essi si impegneranno a non violare formalmente la legge. Bello il paese dei balocchi ma occhio a Mangiafuo-co!

Dalla minigonna al compasso...

Storica svolta nella loggia massonica del Grande Oriente di Francia: d’ora in poi sa-ranno iniziate anche le donne. “In realtà - afferma il Corriere - sin dal 1974 diverse donne hanno partecipato ai lavori delle log-ge del Gran Oriente di Francia. Nell’ultimo anno, poi, un gruppo di logge ribelli ha clandestinamente «iniziato»alla massoneria transalpina ben sei donne […]. Oggi […] Solo il 10% delle logge non fa partecipare le donne ai lavori dell'associazione. […]”. Dal-

la minigonna al compasso, il femminismo fa passi da gigante!

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PORZUS Certo quello di Martinelli non è un film da premio Oscar, certo Martinelli stesso non è un regista da premio Oscar e, forse, senza appoggi politici, non

avrebbe mai fatto il regista. Ma altrettanto certo è che di un certo tipo di film in Italia se ne sente il bisogno

come dell’acqua in Sicilia. Così, se pur con tutti i limiti do-vuti alla scarsa qualità dei dialoghi, all’eccessiva macchino-sità della sceneggiatura, al modo retorico e un po’ banale con il quale si fanno commentare agli stessi protagonisti in età avanzata i fatti accaduti con flash-back continui, Porzus

resta un film da vedere, se non altro per trarne spunti di riflessione. Riflessione non tanto o non solo sul contenuto storico

del film - si, un film aiuta a visualizzare un fatto storico meglio di una pagina

stampata ma, in fin dei conti, la storia si fa sui libri -, quanto sul significato intrinse-co: perché di film come questi se ne fanno così pochi, perché di un regista come que-sto si parla male non per la qualità ma per i contenuti “revisionisti” dei suoi film, per-

ché per fare cinema c’è bisogno di appoggi politici? E la risposta è presto detta: Por-zus ricorda l’eccidio compiuto dai partigiani comunisti ai danni dei partigiani cattolici della brigata Osoppo, Porzus ricorda i metodi brutali di questi partigiani e ricorda il loro obiettivo politico: un’Italia sovietizzata. Dice Storno a Geco nel film: “senza guerra saresti stato un bandito, saresti finito in galera; e invece hai fatto il partigiano

e sei diventato un eroe”. Ecco la risposta, ecco cosa non va detto.

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LA ISRAEL LOBBY e la politica estera americana Uno insegna all’Università di Chicago, l’altro ad Harvard. Sono John J. Mearsheimer e Stephen M. Walt, gli autori di questo pezzo memorabile della saggistica mondiale, che con le loro tesi hanno infranto un grande tabù, attirando su di loro una forte

ondata di polemiche. Tutto nasce da un articolo, pubblicato nel 2006 sulla “London Review of Books”, subito al centro delle discussioni. È allora che i due studiosi deci-dono di rispondere alle critiche nella maniera più precisa e puntuale, ovvero racco-gliendo tutto il materiale possibile e buttando giù un testo che mette a nudo molte

delle scelte di politica estera americana. Niente a che fare con l’antisemitismo: Walt e Mearsheimer sono due rispettabili studiosi e chiariscono subito di non essere non solo assolutamente antisemiti né contrari all’esistenza dello stato di Israele. La loro

è semplicemente un’analisi oggettiva delle relazioni tra Usa e Israele, che parte con la constatazione di una relazione particolare: un fiume di denaro, di facilitazioni, prestiti ed armi che scorrono da Washington verso il paese mediorientale. Una con-statazione che non scandalizza nessuno. Se non che si passa all’analisi dei perché, con la quale vengono smentite una dopo l’altra le spiegazioni date al popolo ameri-

cano, a cominciare dalla motivazione più forte e giustificabile razionalmente:

l’interesse strategico. I due dimostrano che il particolare sostegno reso ad Israele è costato agli Usa più di quanti siano stati i vantaggi. Senza contare che le relazioni degli Usa coi paesi arabi si sono deteriorati proprio in seguito a questo sostegno e sempre in seguito all’appoggio dell’occupazione israeliana è bruciato il fuoco del ter-rorismo antiamericano. Passando alle ragioni morali, viene mostrato come Israele sia tutt’altro che un paese democratico, vista la sua natura di stato razziale e visto il trattamento da sempre riservato alla minoranza palestinese, a cominciare

dall’invasione violenta delle loro terre fino ad oggi. La vera ragione del sostegno è così individuata nell’enorme pote-re della lobby israeliana, che agisce in sfregio degli stessi interessi americani. Un testo obiettivo ed indi-

_______________ angolo librario _______________

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ANCORA SULL’ABORTO Abbiamo già affrontato il tema dell’aborto ed invero non avremmo

voluto rifarlo. Ma è di questi giorni la notizia che la pillola abortiva abbia avuto il via alla commercializzazione e che, tra l’altro, molti neo-presidenti di

Regione si vogliano opporre a questa decisione. Ed ecco che, essendo torna-to d’attualità il tema, anche in relazio-

ne all’invito del Vaticano di votare in base alle politiche sull’aborto dei parti-ti, si presenta l’occasione di analizzar-ne altri aspetti. L’aborto, infatti, è un problema diffu-

samente affrontato sulla base di tecni-

cismi scientifici e giuridici di ogni tipo: non si fa altro che chiedersi quando un embrione diventi essere umano e se lo stesso embrione sia suscettibile di tu-tela o meno. Ma affrontare il problema con questa impostazione mira per lo più ad aggirare il problema. Da un in-

tervento memorabile di Pino Rauti in parlamento, divenuto poi documento fondamentale, si comprendere invece come il tema dell’aborto abbia conse-guenze ben più ampie e da cui emer-gono due distinte visioni della vita e del mondo: da una parte un uomo

considerato come insieme di cellule,

sorto per lo sviluppo di un complesso sistema di meccanismi chi-mico-biologici, senza un fine o un desti-no; dall’altra un

uomo con una dignità spiritu-

ale, ancor pri-

ma che materiale. Senza contare che il si all’aborto rap-presenta l’ennesima spinta verso la

deresponsabilizzazione. Sempre Rauti definisce in effetti l’aborto come una conseguenza della cosiddetta “società permissiva”, collegandolo al fenomeno

del “dimissionismo”, che spinge cia-scuno a non svolgere la propria funzio-ne. Nella società dimissionaria si è in-

vitati a non fare il proprio dovere, so-prattutto quando ciò non si concilia con il proprio tornaconto e allora, a causa di questo clima, al prete pesa la tonaca, al soldato la divisa, al lavora-

tore il lavoro, allo studente la scuola,

ecc ecc. E quel che inevitabilmente accade è che alla donna pesi o si faccia pesare la maternità. Per finire, c’è da considerare il fatto centrale, e cioè che il feto sia sempre considerato come una “parte” del corpo femminile, di cui perciò essa può disporre liberamente.

Ma questo, a prescindere da ogni pa-rere religioso o scientifico, non può che essere falso, essendo il feto qualcosa di nuovo e di diverso, che solo tempo-raneamente si trova in quel corpo, de-stinato ad avviarsi verso quella vita cui fin dal principio è organicamente pre-

disposta. Insomma, un no all’aborto

che sia anche un no ad una società della rinuncia

e

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Spazio curato dal gruppo femminile dell’associazione

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IL SEGNO DEI TEMPI…

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