Minastirith 01/09

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Anno 0 - Numero IV - Gennaio 2009 - Organo a diffusione interna (c.i.p) Associazione Culturale FUROR - Via Stretto Cappuccini, 32 - info: [email protected]

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Minastirith 01/09

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Anno 0 - Numero IV - Gennaio 2009 - Organo a diffusione interna (c.i.p) Associazione Culturale FUROR - Via Stretto Cappuccini, 32 - info: [email protected]

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LA POLITICA E’ OGGI IL MONDO DEL NUMERO ma, anche negli am-bienti in cui alla politica ufficiale si guarda con sfiducia, ciò non è compre-so così che il progetto alternativo risul-

ta di bassa levatura. Il fine, come nella politica istituzionale, sembra essere

quello di ―raccattare‖ individui per far-gli urlare slogan in piazza o far nascere in loro il culto di un passato mitico. Niente di utile. È un metodo d’azione per nulla diverso da quello politico ma

che ne rifiuta le logiche, cosa di cui non si capisce il perché stando alle premesse: la vera rivolta non può es-

sere combattuta con gli stessi mezzi di chi del numero e delle masse ne fa sapiente uso; si invade incoerente-

mente un campo non proprio senza neanche possedere i mezzi per far fronte a questa battaglia. Di soldi, di mezzi, di forze il nemico né dispone in quantità, è inutile affrontarlo su questo

piano. Se si critica la società di massa

si deve proporre un modello alternati-vo, che abbia come fondamento la qualità piuttosto che il numero.

LA CHIAVE DI VOLTA E’ UNA: FOR-MAZIONE, che riassume il concetto tradizionale di élite e che è l’esatto contrario di proselitismo, di massa. Il metodo è opposto a quello della politi-ca. Se in un partito conta la presenza, in una comunità militante conta la coe-

renza ad un’idea, il rispetto di un’etica e le tue capacità, in breve: la qualità. Se in un partito il fine è creare un con-senso fittizio per il voto, un militante fa ciò che è giusto senza badare ai frutti che raccoglierà. Se in un partito la tua

formazione è importante solo per esse-re un bravo militante, in una comunità

la tua formazione non è più uno stru-mento ma un fine e l’essere perfetti militanti è semmai una conseguenza: formarsi è il compimento dell’esistenza e richiede la seria ricerca di un equi-

librio attorno ad una Verità. Insom-ma ciò che la comunità militante deve

portare avanti non è solo un modello alternativo di gestione, né una visione del mondo alternativa: si rimarrebbe nel campo della politica di massa o ci si limiterebbe ad una battaglia cultura-

le, fondamentale ma insufficiente. Se vogliamo cogliere appieno

l’insegnamento del passato, dobbiamo guardare alla FUNZIONE TRADIZIO-NALE DELLO STATO che, al pari di un

Re (pontifex), rappresentava un ponte tra terreno e divino. I compiti ammi-nistrativi di un’autorità tradizionale non erano che conseguenze naturali di una differente visione del mondo. Ciò che

era più importante era lo spirito che,

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letteralmente, lo animava; ebbe a dire Plutarco a riguardo: ―Roma non avreb-

be potuto assurgere a tanta potenza se non avesse avuto, in qualche modo,

origine divina, tale da offrire, agli occhi degli uomini, qualcosa di grande ed inesplicabile‖. E non si tratta di parole astratte, si tratta di capire che una visione del mondo basata sul rifiuto

della concezione del dualismo uomo - Dio (Dio su una nuvoletta nel cielo e

l’uomo destinato a peccare sulla terra) comporta per forza di cose l’idea con-traria, cioè che Dio sia in ogni cosa e che lo Spirito che è in noi sia una ma-nifestazione del divino, comunque lo si voglia

chiamare. Lo stesso Co-dreanu diceva che solo coloro che avessero sapu-to attrarre le forze dal cie-lo su di sé sarebbero stati vincenti in battaglia, per cui lo Spirito è qualcosa di

reale, quasi tangibile. E

uno stato ha un’anima e prima di tutto uno spirito, proprio come un uomo normale, da cui la conce-zione organicistica dello stato. L’anima possiamo pensarla come la forma che

uno stato si dà, la sua organizzazione

e tutti quei ―riti‖ - nel senso volgare del termine - collettivi che mantengono vivo il legame comunitario e indirizza-no l’azione singola e di gruppo. Lo Spirito di uno stato è ciò che sta

dietro la forma, l’essenza, l’Etica (da distinguere dalla morale) di cui questa stessa forma è impregnata

e di cui è diretta emanazione. La lezione del passato quindi può esse-re attualizzata. Cambiano le contingen-

ze, non cambia l’uomo. Così CIO’ CHE UNA COMUNITA’ MILITANTE DEVE ESSERE ce lo suggeriscono i nostri avi, e non ci importa se rendere attua-

le questo insegnamento ad oggi potrà

portare ―solo‖ alla solidificazione di una comunità di pochi giovani e con pochi

mezzi ma una fede cieca e una meta precisa. Come si suol dire “ce ne fre-

ghiamo”, dei numeri, delle masse, dei gesti eclatanti. Ce ne freghia-mo della bassa politica e del prose-litismo. Non siamo qualunquisti e il nostro fregarcene non è sinonimo di

disinteresse sociale ma consapevolezza di non poter prescindere da alcuni ele-

menti basilari, di non poterli compro-mettere nel nome della retorica demo-cratica e materialista, che ci vuole buoni cittadini se solo scendiamo in

piazza, anche se poi la nostra voce non conta e

nella vita le idee che proclamiamo le riponia-mo in un cassetto. Noi ci preoccupiamo che la nostra comunità abbia prima di tutto uno spirito, che si curi

della qualità, del singolo,

non più individuo ma persona. Questo era prima di ogni cosa uno Stato tradizionale: u-

na autorità che forgiava uomini con un’etica del dovere e li portava

a conoscenza dell’esperienza del

sacro, con la guerra o i riti pubblici. E se questo ci porta a mettere in secon-do piano la politica come mero stru-mento di gestione ben venga, se que-sto ci permetterà di formare anche una

singola persona, risvegliando in lui quell’etica dormiente che è la base di una visione del mondo alternativa. È

questa la vera rivolta contro la moder-nità, contro il numero. La formazione non è importante per strategia politica, ma perché il singolo realizzi se stesso.

La comunità deve fare prima di tutto di questo, solo in maniera tangenziale si occuperà del resto. Lottando per qual-cosa, non contro qualcuno.

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Rivoluzione e degenerazione Nei numeri precedenti ci si è voluti

soffermare sulla rivoluzione francese e sulle ―diaboliche‖ conseguenze insite

nei principi che l’hanno mossa. Parlan-do dell’evento storico che nel 1789 gettò la Francia e l’Europa nel caos della modernità si è compiuta però un’inesattezza lessicale, infatti si è

chiamato questo evento ―rivoluzione‖. La necessità di renderci comprensibili al gran pubblico impone di chiamarla

così ma una volta stabilito ciò, è bene chiarire la differenza sostanziale che esiste tra rivoluzione e degenerazione. Rivoluzione deriva da revolvo, tornare

indietro, dunque non si vede il perché sia spesso associata a movimenti, co-me quello francese, progressisti, che si autodefiniscono portatori di valori

nuovi e di visioni che identificano nel futuro il bene della società. Per defini-

re esattamente questo termine si uti-lizzerà la nozione astro-fisica di rivolu-zione. Un pianeta infatti compie il suo periodo di rivoluzione quando ritorna alla sua posizione di partenza. In ter-mini semplici, rivoluzionarsi per un

uomo vuol dire liberarsi da tutte le

scorie e bassezze, ritornando ad una condizione di spontaneità e originali-tà; per una comunità significa ritor-nare a quella purezza primordiale e

organizzata delle società tradizionali. Quando si dice tradizionale non si in-tende qualcosa di passato, rievocato magari con nostalgia, ma quell’ insie-me di valori che hanno guidato nell’antichità interi popoli.

Degenerazione

Quando si parla dunque di rivoluzione francese, americana o russa, sarebbe più preciso utilizzare il termine dege-nerazione. Degenerare significa infatti passare ad un livello più basso e sca-dere su un piano inferiore. Storica-

mente questo processo si concretizza nella prevalenza dell’elemento econo-

mico su quello spirituale-politico e di quello individuale su quello organico-collettivo. Per intendere la differenza tra rivoluzione e degenerazione si farà un semplice esempio. Immaginate un

uomo che - pieno di ricchezze e liber-tà – decida, un giorno, di abbandona-re la casa dei genitori.

Questo uomo sperpererà tutto il suo denaro e abbandonato a sé stesso, privato dalla legge del padre, non solo dimenticherà la sua provenienza

quanto, additando le colpe delle sue sconfitte ai suoi genitori, farà di tutto per convincere altri a lasciare le pro-

prie famiglie; questo è l’agire dell’uomo degenere in una situazione dove il ritorno alla casa, e quindi alla

condizione iniziale, avrebbe invece contraddistinto un atteggiamento ri-voluzionario. La quarta dimensione

Capire la differenza tra questi due ter-mini aiuta a comprendere la storia ed

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a vederla attraverso quella quarta di-mensione che le moderne teorie vor-

rebbero negare. La quarta dimensione della storia può

essere riassunta nella frase secondo cui ciò che succede in terra non è altro che l’immagine di un qualcosa che ac-cade in Cielo; guardare alla storia con questa consapevolezza significa vedere lo spessore degli eventi dietro cui si

cela sempre ciò che Hegel chiama lo

Spirito della storia. Questo modo di leggere la storia impone di cercare le cause degli eventi nel rapporto con una realtà superiore che trascende quella terrena

e non semplicemente, come vorrebbero i marxi-sti, nelle cause economi-che. Il liberalismo Fissati i termini non resta

che mettere in evidenza il

fatto che la storia dell’umanità va letta nel senso di un processo di decadenza via via sempre più veloce che ha trovato in alcuni momenti critici

dei simboli di nefandezza. Uno di questi è certamen-

te la degenerazione francese del 1789. Pur trovandosi, infatti, l’umanità in uno stato di crisi già avanzato è solo in quel momento che la sovversione, uti-

lizzando le minoranze più agguerrite, si è estesa all’intera comunità europea andando a creare l’occidente moderno

ed il nuovo esemplare involuto di uma-nità: l’homo aeconomicus . Si parla di homo aeconomicus perché tra i ―regali‖ che la rivoluzione francese

ha contribuito a diffondere nel mondo uno dei più dannosi è certamente il liberalismo, le cui conseguenze investo-no l’esistenza dell’uomo a 360°. Questo

infatti non è semplicemente una teoria economica – in tal caso prende il nome

di liberismo – ma una vera e propria visione del mondo che si basa su due

concetti fondamentali: l’affermazione dell’individuo come atomo sciolto dalla

società e l’idea che lo stato non debba in alcun modo intervenire all’interno del mercato. La conseguenza più grave di tale interpretazione della realtà è il ruo-lo di preminenza che viene ad avere l’economia nello stato e nella vita

dell’uomo: a reggere lo stato, a gover-

nare gli uomini, non saranno più le leg-gi ed i principi eterni, ma il danaro ed i gruppi finanziari. Venendo a cadere l’ordine tradizio-nale e Sacro si innesta

così un meccanismo di caduta sempre più ve-loce che culmina nella visione del mondo qua-le villaggio e mercato globale.

I nuovi valori: frega

il prossimo tuo La p redom inanza dell’aspetto economico negli Stati moderni ha implicato anche una nuova definizione dei

―principi guida‖ infatti, se nell’ambito tradizio-

nale questi appartengono al sacro ed all’eterno, nella concezione economica sono dettati solo dall’interesse e dal guadagno. In questo scenario si distor-

ce la vera funzione dello Stato, che passa da un sistema che assicura lo sviluppo organico della persona ad un

grande notaio garante di un contratto sociale (Hobbes) tra gli individui. Da questo punto in poi nasce la politica moderna e cambiano i meccanismi di

accesso ad essa; a governare non sono più coloro che incarnano meglio i valori ma quelli che possiedono i mezzi di produzione; innescata la miccia con il

liberalismo non tarderà ad esplodere, un secolo più tardi, la bomba comuni-

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Il comfort che fa male...

LONDRA - Almeno dieci

persone alla settimana fi-

niscono in ospedale in In-

ghilterra lamentando dolo-

ri atroci alla spalla destra

o alle ginocchia. Nessuna

epidemia traumatologica

ma un uso smodato della

console Wi-Fi. A lanciare

l’allarme un reumatologo

di Chelmsford che ogni

settimana si ricovera pa-

zienti di tutte le età con

problemi articolari anche

gravi, moltissimi dei quali

riconducibili alle sessioni di

gioco con la nota console.

I finocchi fanno “oh”!

MILANO — ―Oggi quando

si parla di gay a qualcuno

è come se gli toccassi un

nervo scoperto‖. Giusep-

pe Povia sarà in gara a

Sanremo 2009 col brano

«Luca era gay». All'an-

nuncio del titolo sono pio-

vute le critiche

dall'Arcigay che ha ricor-

dato vecchie interviste

nelle quali il cantante di

―I bambini fanno oh‖ ave-

va dichiarato che ―gay

non si nasce, lo si diventa

in base a chi frequenti‖.

Grillini ed i suoi amici

―arcigay‖ hanno addirittu-

ra accusato il cantante di

fomentare l’odio e, per-

ché no, la violenza omo-

fobica…!

Ricordiamo che per fare

queste pensate il sig.

Grillini è pagato dallo sta-

Rivolta contro il mondo moderno è l’opera principale di

Julius Evola: qui l’autore indica le cause della crisi della

civiltà ―occidentalizzata‖ e descrive quell’ essere senza

volto, accecato dalla materialità, dal mito del progresso e

dell’economia che è diventato l’uomo. L’autore mette in

risalto il contrasto di questa realtà col mondo tradizionale,

analizzando la crisi nei vari aspetti, dalla politica fino al

rapporto vita\morte. Centrale resta l’intento di spiegare i

cardini delle civiltà tradizionali: a tal fine Evola distingue

un ordine fisico e uno metafisico, definendo quest’ultimo

come una sorta di sovramondo, principio dell’ordine fisico,

invisibile ma del tutto reale per l’uomo della Tradizione. L’autore ci racconta

di un mondo che conobbe la sacralità del Rito e dell’Iniziazione, ci spiega il

significato delle ―caste‖ e ci mostra come ciò sia alla base dell’idea eterna di

Impero. Per riemergere dal fango bisogna che l’uomo ritorni allo spirito

tradizionale, inseguendo un’eroica rigenerazione interiore e modificando

l’attuale visione del mondo, preda del materialismo e del proprio ―io‖.

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UNA GIORNATA IN VETTA - Co-

me da programma, il 14 dicembre

scorso, si è svolta su uno dei monti

della nostra bella Calabria, lo

―Scorciavoi‖, un’avvincente escur-

sione. E, anche se il tempo ricor-

dava più un film

ad alta tensio-

ne che una pas-

segg iata in

montagna, lo

spirito del grup-

po ha avuto la

meglio. La neve

scendeva forte e

le strade erano

ricoperte da un

manto bianco,

ma con l’aiuto

delle catene e

un pizzico di

fortuna siamo

giunti alle pendici del monte. At-

trezzati di tutto il necessario per

affrontare il cammino, siamo parti-

ti alla volta della vetta, la nostra

meta. La neve era alta e copriva il

sentiero, rendendo più dura la sali-

ta; l’ acqua penetrava negli scar-

poni e il vento gelido oltrepassava

gli indumenti, gelandoci le ossa…

Salendo si pensava e si parlava di

quanti avevano disertato con scuse

più o meno credibili, ma noi sap-

piamo bene che una volta fissato

l’obiettivo si deve fare di tutto per

portarlo a termine. La parola data

è sacra! La montagna con la sua

maestosità ci insegna ad ascoltare

ciò che abbia-

mo attorno e

a saper ap-

prezzare il va-

lore del silen-

zio. Freddo e

neve non han-

no impedito

che la meta

venisse rag-

giunta. Lo

stendardo del-

la FUROR è

giunto in ci-

ma. La salita

non è stata

semplice ma quando lo sguardo

sincero di un ―amico‖ ti dona nuo-

va forza tutto sembra più facile.

Domenica 8 febbraio avrà inizio un

nuovo ciclo di escursioni e noi invi-

tiamo tutti coloro che hanno voglia

di provare sensazioni autentiche di

unirsi a noi. Per ulteriori informa-

zioni potete contattarci tramite e-

mail o venire a trovarci in sede. A

breve le prossime date.

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