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MIMOSA DI MODA cipano la fioritura. Ecco, quest’an- no la mimosa ha tinto di giallo i nostri desolati giardini d’inverno e quindi niente è più alla moda, quest’anno, del giallo primaverile del suo colore. Trapiantata in Europa dalla lontana Tasmania australiana nel XIX seco- lo, la mimosa si è subito adattata al mite clima italiano divenendo una pianta spontanea. Può presentarsi come un albero ro- busto che può arrivare ai 20 metri di altezza, caratterizzati da fiori ricchi e gialli e da foglie bipennate che C ’è una bellissima pianta che da tempo inaugura la fine dell’inverno e l’inizio della mite primavera: la mimosa. Gialla, forte, luminosa, femminile, la mimosa è ormai di moda. L’effetto “inverno mite” anche se apprezzato da molti, in realtà cela uno dei grandi dilemmi del nostro secolo, il cambiamento stagionale e il surriscaldamento globale. Molti animali perdono il controllo della loro lancetta biologica sve- gliandosi molto prima dai lunghi letarghi invernali, e molti fiori anti- compongono un tetto asimmetrico tra le fronde. La mimosa è molto apprezzata nel linguaggio dei fiori indicando forza e femminilità, non a caso è il sim- bolo della Festa della Donna, che cade l’8 marzo, periodo classico, almeno una volta, della sua fioritu- ra. Proprio negli anni ‘50 del Nove- cento, la mimosa accompagnò le donne nei primi cortei femministi, simbolo della forza femminile che chiedeva la sua rivalsa. Il colore giallo acceso poi si lega bene con lo spirito dell’inizio della primavera, fatto di luce, energia, calore. Il giallo mimosa colora la primave- ra di positiva energia, inserendosi come colore di tendenza che va sa- puto portare con sicurezza. Colore primario e perciò base di innumerevoli sfumature di colore, il giallo era uno dei colori prediletti dagli impressionisti come Matisse e Gauguin, dai Fauves e da rap- presentanti dell’arte astratta come Mirò. Se i primi lo mischiavano e declinavano in decine di tonalità differenti, per gli ultimi il giallo pre- dominante era quello saturo, puro, immune da qualsiasi contaminazio- ne cromatica. Nella cromoterapia il giallo indica solarità e voglia di cambiamento; è un colore con valenza quasi sa- cra per l’Oriente, è uno dei simboli della Cina. E se a Napoli “ho fatto giallo” significa avere paura, il gial- lo è per le passerelle un’iniezione di ottimismo e una sferzata di energia. Dalle infinite tonalità e sfumature con cui lo si definisce è importante trovare la nuance che più si addice al nostro incarnato ma, soprattutto, alla nostra personalità. 94 Eleonora Garufi R CURIOSITÀ

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M I M o s A d I M o d Acipano la fioritura. Ecco, quest’an-no la mimosa ha tinto di giallo i nostri desolati giardini d’inverno e quindi niente è più alla moda, quest’anno, del giallo primaverile del suo colore.Trapiantata in Europa dalla lontana Tasmania australiana nel XIX seco-lo, la mimosa si è subito adattata al mite clima italiano divenendo una pianta spontanea.Può presentarsi come un albero ro-busto che può arrivare ai 20 metri di altezza, caratterizzati da fiori ricchi e gialli e da foglie bipennate che

c ’è una bellissima pianta che da tempo inaugura la fine dell’inverno e l’inizio della

mite primavera: la mimosa.Gialla, forte, luminosa, femminile, la mimosa è ormai di moda.L’effetto “inverno mite” anche se apprezzato da molti, in realtà cela uno dei grandi dilemmi del nostro secolo, il cambiamento stagionale e il surriscaldamento globale.Molti animali perdono il controllo della loro lancetta biologica sve-gliandosi molto prima dai lunghi letarghi invernali, e molti fiori anti-

compongono un tetto asimmetrico tra le fronde.La mimosa è molto apprezzata nel linguaggio dei fiori indicando forza e femminilità, non a caso è il sim-bolo della Festa della Donna, che cade l’8 marzo, periodo classico, almeno una volta, della sua fioritu-ra. Proprio negli anni ‘50 del Nove-cento, la mimosa accompagnò le donne nei primi cortei femministi, simbolo della forza femminile che chiedeva la sua rivalsa.Il colore giallo acceso poi si lega bene con lo spirito dell’inizio della primavera, fatto di luce, energia, calore.Il giallo mimosa colora la primave-ra di positiva energia, inserendosi come colore di tendenza che va sa-puto portare con sicurezza.Colore primario e perciò base di innumerevoli sfumature di colore, il giallo era uno dei colori prediletti dagli impressionisti come Matisse e Gauguin, dai Fauves e da rap-presentanti dell’arte astratta come Mirò. Se i primi lo mischiavano e declinavano in decine di tonalità differenti, per gli ultimi il giallo pre-dominante era quello saturo, puro, immune da qualsiasi contaminazio-ne cromatica.Nella cromoterapia il giallo indica solarità e voglia di cambiamento; è un colore con valenza quasi sa-cra per l’Oriente, è uno dei simboli della Cina. E se a Napoli “ho fatto giallo” significa avere paura, il gial-lo è per le passerelle un’iniezione di ottimismo e una sferzata di energia. Dalle infinite tonalità e sfumature con cui lo si definisce è importante trovare la nuance che più si addice al nostro incarnato ma, soprattutto, alla nostra personalità.

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Eleonora Garufi

R cuRIOSITà

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Il termine primavera deriva dal la-tino primus – inizio – e dalla radi-ce sanscrita vas (ver) – splendere/

ardere –.La stagione del risveglio, successi-va al lungo assopimento invernale, è stata commemorata da secoli nel mondo con riti pagani e spirituali.Nell’antica Grecia primavera era si-nonimo di ricongiungimento sacro per ingraziarsi la fertilità. Si svolge-vano feste in onore del bellissimo giovane amato da Afrodite, Adone: egli dimorava sei mesi all’anno ne-gli inferi e sei mesi sulla terra; la sua riapparizione sulla terra coincideva con la primavera, ed in quel periodo egli si riconciliava alla sua dea. Ana-

logamente, si festeggiava il ritorno sulla terra della figlia di Demetra (dea della fertilità), Persefone; essa ricom-pariva a celebrare la rifioritura dopo aver trascorso sei mesi nel regno dei morti assieme al suo sposo Ade, dio degli Inferi. Nei popoli Celti, l’equinozio di Prima-vera prendeva il nome da una divinità rappresentativa del sole e del calore: venivano eseguiti riti sanguinari, tra i quali quello di legare alle zampe di un grande cavallo due prigionieri o schiavi e dare loro fuoco; il bestiame passava attraverso due fuochi che avevano funzione purificatoria, sulle fiamme saltavano i viaggiatori per garantirsi un viaggio tranquillo, i gio-vani per conquistare la buona sorte, e le donne incinte per assicurarsi un parto favorevole. Per gli antichi romani, Saturno in que-sto giorno effondeva sulla terra il suo seme per accenderla di ardori nuovi. Di rito erano i sacrifici umani: si nar-ra che l’imperatore Adriano offrì in immolazione il suo amante Antinoo, l’essere più perfetto della Terra, per propiziarsi l’abbondanza dei raccolti; il sangue del giovane fu disseminato nel Nilo e il suo corpo divorato dai coccodrilli del sacro fiume. Secondo gli antichi Egizi, l’Uovo co-smico deposto dal dio creatore Ptah sulle rive del Nilo con l’arrivo della primavera si apriva e da esso veniva fuori Ra, il Sole: vi era una simbiosi sacra tra il Fiume e il Sole, che com-memorava un rinnovarsi perpetuo. In Messico, secondo l’antico calen-dario Maya, l’Equinozio di Primavera era una data che onorava il ritorno dal cielo di Kukulcan, il dio serpen-te creatore della terra. Nel giorno dell’equinozio, mentre il sole tramon-tava sulla grande piramide, le ombre

parevano correre dalla cima dando l’illusione che stesse scendendo un serpente dalla coda di diamante, il “Sole Serpente”. In Giappone, l’istituzione della festa di primavera si attribuisce al VII Seco-lo e pare sia stata voluta dall’Impera-tore stesso. Furono la classe feudale per prima e quella lavoratrice suc-cessivamente a solennizzare questo giorno: nella società nipponica, stori-camente di costituzione agricola, l’E-quinozio di Primavera veniva accolto con preghiere per auspicare raccolti generosi. Inoltre, in base alla fioritu-ra dei ciliegi, la cui bellezza è ancor oggi significativa, si poteva prevede-re il tipo di raccolto. Da epoche immemorabili si attende con trepidazione il tempus in cui il sonno profondo della natura indie-treggia a favore del sua rinascita.

“Una rondine non fa primavera, né la fa un solo giorno di sole, così un solo giorno o un breve spazio di tempo non fanno felice nessuno.” (Aristotele)

Patrizia Bonistalli

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ANTIchE PIllolE dI PRIMAVERA

Antonio Canova, Adone e Venere, marmo. 1794

Niccolò Dell’Abate. Il ratto di Persefone

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la veggente si svela

Se questi antichi resti archeolo-gici potessero parlare!. Chi non l’ha detto o pensato, in Italia e

all’estero? L’ho sentito ripetere a Mi-cene, la città greca di cui era origina-rio il re Agamennone, vincitore della guerra di Troia. Con lui, prigioniera di guerra, anche la veggente Cassan-dra. I presenti erano crocieristi del Mediterraneo, scesi da varie navi. E come per rispondere all’esortazione iniziale, uno strano tipo – che parlava anche un italiano maccheronico – ha detto a voce alta: «Ma gli oggetti, e le pietre, raccontano tramite la psico-metria, a chi le sa ascoltare». La psico-ché?, borbottò una signora di mezza età, forse preoccupata che l’uomo potesse svelare anche segre-ti personali. La tranquillizzò dicendo di essere un sensitivo psicometrista, con la capacità di “leggere” le vicen-de di una persona o di un oggetto. E fissando l’antichissima porta, co-mincia a parlare… con voce femmi-nile. «Un dramma tra le persone è l’incomunicabilità. Non ci capiamo, perché l’uomo è spinto dalla volon-tà di progredire, la donna invece dall’istinto e dalla natura». Insomma sembra voler togliersi un sassolino dalla scarpa. «Non ho scarpe, sono bottino di guerra, sto su un carro tra la paglia». Che voglia sfogarsi, con un testamento spirituale? «Il re de-gli achei Agamennone è il vincitore della guerra di Troia, ha annientato e dato alle fiamme la concorrente com-merciale dell’Ellesponto. Il monarca è appena tornato a casa, ma non sa che sua moglie Clitemnestra s’è rifat-ta una vita, nel corso dei dieci anni di guerra, con l’amante Egisto. Io ho profetizzato al re Agamennone la sua imminente fine, ma lui, superbo, non ha creduto alle mie parole, e allora

oggi cadrà nella congiura organizza-ta da Clitemnestra e dal suo amante Egisto. Dopodiché morirò anch’io».Reminescenze dell’Iliade fanno ve-nire in mente Cassandra. «Sì, sono la veggente Cassandra». E riprende: «Non è soltanto questione di corna a Micene, bensì di matriarcale vendet-ta: Clitemnestra ha saputo che il ma-rito Agamennone, padre scellerato, ha sacrificato, a Troia, la figlia Ifigenìa alla ragion di Stato, cioè per avere gli dei dell’Olimpo dalla propria parte e vincere la guerra. E ora ingenuo come tutti gli uomini che deludono una donna, si aspetta di essere accol-to a casa come un eroe. Invece ritrova la moglie, soprattutto madre!, che si vendica e lo uccide». Siamo tutti incantati, altro che le te-lenovele in televisione! E il sensitivo

continua: «Io, Cassandra, la più bella delle figlie di Priamo re di Troia, e di Ecuba, sto alla berlina in un carro, bot-tino di guerra su un misero giaciglio. La popolazione maschile di Micene mi guarda più di quanto non osservi il re, perché sono affascinante; men-tre quella femminile che mi conosce per fama vuol sapere il futuro, e fa più ressa al mio carro che a quello del re perché sa che la veggenza non sba-glia, anche se sono stata maledetta dal dio Apollo a non essere mai cre-duta, né dalla gente né dai potenti. Siamo guidati a nostra insaputa, io lo so bene, e oggi qui a Micene ver-rò colpita a morte». E poi: «Ma non capisco perché Omero nell’Iliade mi dedichi così pochi versi». Rimedierà il poeta Virgilio nel poema Eneide.

Luciano Gianfranceschi

RcuRIOSITà

Casdrasan