Mida Ideogrammi - La followership, Corrado Bottio

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芸者 ideogrammi GEI-SHA = persona di talento FOLLOWERSHIP di Corrado Bottio

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Leadership e followership, due facce della stessa medaglia, di cui però se ne vede e se ne studia una sola. L’analisi è appena all’inizio e molte sono le domande ancora aperte. Ma l’obiettivo ci sembra chiaro: capire e valorizzare il ruolo di chi, spesso in un ruolo oscuro e misconosciuto, si impegna per raggiungere obiettivi fissati da altri che facilmente se ne prenderanno anche il merito.

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芸者 id e og ra m m i G EI - S H A = p e rs on a d i t a le n t o

FOLLOWERSHIP di Corrado Bottio

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Con la linea IDEOGRAMMI Mida si propone di pubblicare le sue ricerche,

intese come risultato di studi, pensieri, interpretazioni che gli autori

traggono dalla diretta esperienza sul campo. Ma non solo.

I contributi sono anche frutto del desiderio di raccontare l’approccio peculiare di Mida alla professione attraverso i suoi stessi protagonisti.

FOLLOWERSHIP di Corrado Bottio

“… gli studiosi di cose militari hanno cominciato a parlare

con due voci discordi del comportamento umano in

battaglia: l’una è per così dire una voce privata, di nuovo

conio, la quale ammette che in fin dei conti tutto si fonda

sulla motivazione al combattimento del soldato semplice; l’altra è la tradizionale voce pubblica, l’unica che risuoni

durante le lezioni …, e la quale continua ad esaltare il ruolo

primario della disciplina e della guida … Perché se i membri

del gruppo cominciano a combattere, e a combattere continuano, non è a causa della sua leadership o di quella di

chicchessia … è che i soldati semplici non concepiscono se

stessi, in situazioni in cui ne va della loro vita, quali membri

subordinati di una organizzazione militare formale, … bensì quali eguali in un gruppo ristrettissimo …”

John Keegan – Il volto della battaglia

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Perché parlare di followership

Leadership e followership, due facce della stessa medaglia,

di cui però se ne vede e se ne studia una sola. L’analisi è

appena all’inizio e molte sono le domande ancora aperte. Ma

l’obiettivo ci sembra chiaro: capire e valorizzare il ruolo di

chi, spesso in un ruolo oscuro e misconosciuto, si impegna

per raggiungere obiettivi fissati da altri che facilmente se ne

prenderanno anche il merito.

Chi sono i follower e cosa significa followership?

Digitando “followership” su google, si trova un millesimo

delle pagine che corrispondono alla parola “leadership”. Per

non parlare di seminari aziendali: non risulta che esista sul

mercato qualcosa che suoni come “lo sviluppo della

followership”, mentre titoli con dentro “leadership” ne

troviamo in grande quantità.

Ed è sintomatico che anche il correttore automatico del

computer segnali errore in un caso e non nell’altro.

La followership non è proprio considerata nella riflessione

manageriale ed organizzativa in genere. I modelli culturali

nei quali siamo cresciuti valorizzano in maniera netta la

figura del leader e liquidano in modo altrettanto definitivo

quella del follower.

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Perché allora occuparsene?

In realtà motivi di interesse per questa figura ce ne sono

sempre stati, ed in campi di studio tra loro molto diversi. Per

esempio, recentemente, uno dei massimi studiosi di

strategia militare, John Keegan, ha dedicato un libro a

questa domanda: ma perché i soldati combattono? Perché

stanno lì invece di scappare sapendo che la probabilità di

morire o quantomeno di farsi male è molto alta? E i romanzi

sono pieni di figure di contorno che danno spessore alla

storia e senza le quali il protagonista (leader) non avrebbe

la possibilità di essere tale.

Questa è una prima risposta alla domanda “perché

occuparsene?”: perché non esistono leader senza follower! E

non esisterebbero leader di successo senza follower capaci e

supportivi.

Ma c’è anche un’altra risposta. In questa società “liquida”,

come dice Baumann, nessuno è solo leader o solo follower.

Si è l’uno e l’altro contemporaneamente, e nel tempo è

probabilissimo che si passi da una posizione all’altra più

volte. E allora perché studiare solo una metà del ciclo?

Da un punto di vista più strettamente organizzativo

l’importanza dei follower emerge con chiarezza nei processi

di change management. Diverse ricerche (per es. M.E. ISPI

2005) hanno dimostrato che il “success rate” di questi

processi è legato a fattori “soft”, tra cui primo il commitment

verso il nuovo assetto richiesto dal cambiamento, più che a

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errori di progetto o di valutazione economica. In altre parole

sono le persone che fanno la differenza, più dei piani. Ma la

letteratura e il management si sono concentrati molto sui

leader e sugli sponsor, cioè sulle figure trainanti e apicali,

piuttosto che “sulla massa”.

Occuparsi dei follower è necessario quando diventa evidente

che non basta più il 20% del personale per garantire il

successo delle strategie. Per quanto sia scelto e motivato.

In sintesi, allora, riteniamo che la followership sia un punto

di vista fondamentale per indagare come innalzare il livello

di contributo dei collaboratori, sia migliorandone il

committment verso l’Azienda, sia il valore.

La parola follower ha una valenza negativa, imbarazzante,

ma significa “seguace, compagno, sostenitore, innamorato”.

E followership vuol dire capacità di seguire, di essere

compagno di strada, sostenitore, di fare tutto quello che

serve per raggiungere obiettivi che spesso altri (i leader)

hanno fissato. Sviluppare la followership significa allora

migliorare la capacità di essere di aiuto e di supporto ai

leader ed all’Azienda.

Una precisazione: i follower non sono i collaboratori da un

certo livello/ruolo in giù, ma coloro che si trovano nella

situazione di seguire e/o di partecipare a qualcosa guidato

da altri (come il dirigente che fa parte di un gruppo di lavoro

coordinato da un quadro). E’ chiaro che chi si trova spesso

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nella situazione di seguire (i collaboratori) più facilmente

può essere definito follower.

Parleremo di followership muovendoci su un continuum che

tocca due livelli: il primo si focalizza sulla distinzione tra

tipologie di follower, descrivendone pro e contro e cercando

di individuare “la migliore” per il business e per l’Azienda. Il

secondo livello, invece, porta alle estreme conseguenze

l’analisi, considera tutti i possibili profili di follower (cioè di

persone) e prova a trarne le conseguenze gestionali.

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Il primo livello: modelli ideali di follower

Libri sulla followership ne sono stati pubblicati pochi, i più

significativi sono tre. Nessuno dei quali tradotto in italiano

(recentemente è uscito il primo libro sulla followership

scritto da italiani: “Professione follower” di R. Magnone e F.

Tartaglia, Libreriauniversitaria.it).

La tesi degli autori principali si sviluppa secondo una logica

comune: identificano alcune tipologie di follower, indicano

“la migliore” per l’Azienda, e suggeriscono mezzi e modalità

per portare il maggior numero di altri follower verso questa

tipologia ideale. Mezzi più evocativi che concreti per la

verità.

Tra gli autori le tipologie cambiano poco anche se cambiano

gli assi che le definiscono: R. Kelley utilizza “pensiero critico

dipendente/indipendente” e “attività/passività”; I. Chaliff

“supporto alto/basso” e “sfida alta/bassa”; B. Kellermann

“livello di engagement”.

Il merito fondamentale di questi autori è aver proposto

chiavi di lettura per leggere nella massa indifferenziata dei

follower, dandogli articolazione ed identità. La lettura

analitica dei tipi di follower consente di pensare interventi

puntuali e mirati, esattamente come i tipi di leader descritti

nei modelli di leadership danno l’opportunità alle persone ed

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alle aziende di attivare percorsi mirati e differenziati (una

logica simile caratterizza anche il libro di Magnone e

Tartaglia).

Nella pratica operativa viene preferibilmente utilizzato un

modello di followership che tiene conto del contributo degli

autori citati, ed in particolare di R. Kelley. Questo lo schema

dei “tipi” considerati.

Gli assi fanno riferimento alla partecipazione e all’iniziativa

nei confronti del leader e/o dell’Azienda (attività/passività) e

all’assunzione di una posizione di adattamento o di

confronto (pensiero adattato/critico).

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I Conformisti si caratterizzano per essere

contemporaneamente attivi e disponibili, partecipativi e

acritici. Non mettono in discussione quello che gli si chiede

di fare ne’ per contestarlo ne’ per migliorarlo ma si muovono

con energia.

I Partner sono attivi e partecipativi, si assumono la

responsabilità di confrontarsi apertamente con il leader

dando la loro opinione anche se non richiesti. Rimangono

fedeli e in fondo allineati ma non subordinati.

I Contro dipendenti criticano e contestano ma non fanno

molto per modificare la situazione. Tendono ad attribuire ad

altri, il leader ma non solo, la responsabilità degli eventi e si

limitano a puntare il dito evidenziando le negatività.

I Passivi hanno una posizione di sospensione sia dell’azione

sia del pensiero. Fanno con relativo impegno quello che gli si

“comanda” e non vanno oltre. Hanno tendenzialmente un

rapporto alienato con l’organizzazione ed il leader.

Nel modello c’è una differenza rispetto agli autori citati:

all’idea di tipo ideale aggiungiamo quella di “oscillazione” tra

tipi, in funzione delle condizioni interne e di business con cui

si confronta l’Azienda. Non un solo tipo ideale, quindi, e tre

da modificare e “far crescere”, ma quattro tipologie

potenzialmente tutte valide in funzione delle situazioni

esterne ed interne della Organizzazione.

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Un impianto operativo per il primo livello

L’applicazione di un modello per tipologie ha l’obiettivo di

focalizzare lo sviluppo dei follower verso il profilo o i profili

ritenuti più efficaci per l’organizzazione,

I passi da compiere sono i seguenti:

1. identificazione del profilo ideale per rapporto alla

specifica situazione di business e all’identità

organizzativa.

Tra i quattro tipi viene spontaneo pensare al partner come

profilo ideale. E questo è probabilmente vero la maggioranza

delle volte. Ma ci sono considerazioni di business e

soprattutto di cultura aziendale che devono rendere prudenti

su questa identificazione. Da qui il concetto di oscillazione

tra tipi. Per quanto riguarda il business la questione è la

seguente: qual è il contributo che serve dalle persone; e

qual è lo spazio che realmente è possibile offrire in questa

organizzazione? E quindi: serve comportamento attivo ma

fondamentalmente conforme (si pensi ad un call center o

alle attività d’ordine bancarie e/o assicurative) o

sfidante/innovativo (per esempio in attività

professionalizzate o in settori ad elevato contenuto tecnico

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e/o geograficamente dispersi come l’impiantistica o

l’energia)?

Più complesso è indagare la cultura diffusa. Se

l’organizzazione non è abituata al confronto interno (senza

distinzione tra capi e collaboratori, se non lo sono gli uni non

lo sono nemmeno gli altri) portare il sistema ad una

relazione di reale partnership è difficile. Le resistenze

saranno molte e da entrambe le parti. In questa situazione

al concetto di profilo ideale bisogna sostituire quella di

profilo possibile.

Oscillazione tra modelli significa consapevolezza della

relazione sistemica che si innesca tra ambiente e tipo di

follower e di come intervenire sull’uno attraverso l’altro per

ottenere quali risultati.

2. Mappatura.

Una volta resa consapevole la relazione tra tipi e ambiente,

diventa fondamentale capire come si distribuiscono le

persone. Si tratta di collocarle all’interno dei quadranti

considerati. A questo fine è necessario prevedere due

passaggi: il primo è correlare i profili di follower a

caratteristiche rilevabili attraverso pratiche di valutazione, il

secondo è adottare sistemi di valutazione che consentano di

mappare un numero potenzialmente elevato di persone in

modo rigoroso ma a costi bassi. A questo fine strumenti

“pesanti” e gestiti ad una via da HR, come gli assessment,

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non sono utilizzabili. Meglio batterie di test on-line e

procedure di aggiornamento periodico demandate ai singoli.

Test on-line ce ne sono molti e alcuni sono particolarmente

affidabili. Possono essere ad acquisto libero, come il PF16

per l’indagine sulla personalità, il WIS sugli orientamenti

valoriali o il GMA sulle capacità cognitive. O su licenza, come

il DISC o il Myers-Briggs. Producono profili standard, ben

sperimentati, che devono essere correlati ai tipi di follower.

Adottando una relazione fissa tra profili prodotti dal test e

tipi, è facile costruire un programma informatico che dalla

compilazione alla mappatura proceda in modo automatico.

3. Identificazione di percorsi di sviluppo e/o di

mantenimento.

Una volta mappata la popolazione l’obiettivo è far muovere

le persone verso profili più produttivi. Lo sviluppo può

essere interpretato in modi diversi, con livelli crescenti di

risultato atteso. E’ necessario aver chiaro il traguardo a cui

puntare.

Ad un livello minimo è già importante innescare in Azienda

un dibattito ed un confronto orizzontale e verticale, aperto,

su fattori facilitanti e frenanti il gioco delle posizioni tra

leader e follower (capi e collaboratori). Specularmente a

quello che si fa normalmente attraverso il corso ai capi è

possibile far riflettere le persone sul loro rapporto verso

l’alto e verso l’Azienda in genere (trovando un titolo giusto:

probabilmente “Diventa un bravo follower” non

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funzionerebbe). La logica è simile a quella utilizzata negli

outplacement: prendere coscienza delle proprie

caratteristiche di desiderio e di competenza e porsi nell’

atteggiamento mentale di valorizzarle il più possibile, senza

pregiudizi e rigidità, chiedendo anche all’Azienda di fare lo

stesso. Le metodologie utilizzate si rifanno ampiamente al

filone del “bilancio delle competenze”.

Dal punto di vista delle modalità di erogazione è

consigliabile privilegiare gruppi reali (capi e collaboratori

insieme) piuttosto che gruppi omogenei per

livello/posizione; questo proprio per abituare livelli diversi a

confrontarsi in modo aperto e produttivo.

Ad un livello crescente di risultato atteso si deve intervenire

sul rinforzo individuale e/o di gruppo attraverso attività di

coaching o di mentoring e di peer mentoring. Per esempio il

supporto al gruppo di lavoro (o al gruppo di governo di una

Unità), per favorire la presa di coscienza e quindi lo

spostamento delle posizioni reciproche verso assetti più

produttivi ed efficaci.

Infine, aumentando ancora il livello delle aspettative di

risultato, è necessario intervenire sui sistemi istituzionali di

gestione: criteri di selezione, valutazione delle prestazioni,

sistema premiante, ecc. Per far convergere le leve di

influenzamento del comportamento individuale sullo stesso

obiettivo: lo sviluppo della followership.

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Nel processo di sviluppo della followership è centrale la

comunicazione. Ogni nuovo percorso organizzativo deve

essere accompagnato da una precisa strategia di

informazione che dia chiarezza e senso a tutti i protagonisti,

a maggior ragione questo che ha l’obiettivo di modificare

equilibri complessi e spesso dati per scontati.

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Il secondo livello:

a ciascuno la propria opportunità

La crisi ha portato molte Aziende a bloccare le assunzioni.

Questo ha avuto almeno due conseguenze. La prima è che

molte rigidità e preconcetti sulla possibilità di utilizzare

persone già presenti in Azienda ma non perfettamente

allineate ai profili richiesti, si sono smussati. La facile

scorciatoia di ricorrere al mercato partendo dal presupposto

che “mi serve proprio una persona con questa esperienza e

questo profilo” si è dovuta piegare al vincolo del blocco. La

seconda è che si è cominciato a guardare con maggiore

attenzione agli interni, dando opportunità a chi forse

pensava (spesso a ragione) di non averne più. Mobilitando

così energie e desideri un po’ spenti o non utilizzati in

azienda. Ed ottenendo buoni risultati.

Più in generale c’è il tema dell’eccesso di rigidità e di

semplificazione che ormai da diversi anni infastidisce nei

modelli troppo “quadrati”. Anche sulla leadership è accaduto

lo stesso. La realtà appare più ricca ed articolata di quanto

questi modelli riescano a cogliere, e sebbene la

semplificazione sia talvolta utile spesso non aiuta a capire

realmente il mondo.

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Il che ci porta a una domanda: ma siamo sicuri che i profili

delle persone non siano utilizzabili così come sono? C’è

proprio bisogni di creare una gabbia che riduca la

complessità (e la ricchezza) a quattro o sei tipologie?

Il secondo livello della followership parte proprio da questo

presupposto: non esistono profili ideali ma tanti profili, molti

se non tutti utilizzabili per le mutevoli esigenze aziendali.

E’ la rivincita della “biodiversità” sulla monocultura. Della

diversità sull’omogeneità.

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Un impianto operativo per il secondo livello

In questa visione aperta e idealmente individualizzata

confluiscono alcune delle considerazioni fatte

precedentemente per il primo livello. E quindi: mappatura

dell’universo attraverso strumenti easy ma rigorosi e

sviluppo delle caratteristiche individuali e collettive.

Le differenze fondamentali sono tre:

1. l’idea che l’organizzazione e i ruoli siano almeno in

parte adattabili alle caratteristiche degli individui,

2. la necessità di politiche di sviluppo aperte e non

(troppo) finalizzate,

3. il monitoraggio continuo dell’evoluzione dei singoli.

1. Che l’organizzazione sia in parte modellata sulle persone

è molto più vero di quanto spesso si voglia ammettere.

Pensiamo a collaboratori ritenuti essenziali, oppure a figure

geograficamente lontane da una sede o un centro di

controllo, o ancora ad organizzazioni altamente

professionali. Tutte situazioni in cui il singolo “interprete”

modella il ruolo su se stesso, entro confini non espliciti e

sovente nemmeno troppo chiari. Si tratta di trasformare in

strategia (o possibilità esplicita) la casualità, puntando a

dargli struttura e razionalità. Per esempio eliminando job

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description e riducendo all’essenziale i profili di competenze

di ruolo ed enfatizzando obiettivi e codici di comportamento.

2. Cardine delle politiche di sviluppo aperte è l’attività di

development che si aggiunge a quella più tradizionale di

assessment. Nel development alla valutazione viene

affiancato lo sviluppo. Può essere rivolto all’acquisizione

prevalentemente cognitiva di modelli e/o capacità, o

all’aumento di consapevolezza delle dinamiche personali più

profonde che spiegano “il mio” atteggiamento e

comportamento in certe situazioni. Il fine è stimolare

energia e desiderio per la crescita, attraverso una azione di

potenziamento (o empowerment) che parte dal presupposto

che la consapevolezza è un elemento centrale per la propria

evoluzione. Dal punto di vista della followership di secondo

livello il development risponde all’obiettivo di valorizzare

ogni profilo fornendo gli strumenti di crescita e di confronto

con la realtà in cui si è inseriti. Non dà giudizi di valore

assoluti ma tracce di lavoro su cui il singolo può, se vuole,

impegnarsi per migliorare.

3. Il monitoraggio continuo, infine, è reso necessario dalla

inesistenza di profili di riferimento ideali. L’obiettivo è

mantenere una buona conoscenza delle persone durante

tutto l’arco della loro vita professionale. Buona significa

articolata almeno in orientamenti (o valori), conoscenze,

capacità e motivazioni. Gli strumenti sono gli stessi descritti

nella parte precedente (easy ma rigorosi: anche in questo

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caso tornano utili le metodologie legate al “bilancio delle

competenze”). Cambia l’enfasi sulla continuità: il

monitoraggio parte dal momento del primo inserimento e

continua per tutto l’arco della vita in azienda. Spesso,

invece, le fasi del ciclo di vita del collaboratore non sono

comunicanti. Per esempio normalmente il profilo ottenuto in

fase di selezione non viene più messo in relazione con

l’evoluzione della persona. E ancora più spesso, una volta

che il candidato è stato inserito, non gli si racconta nulla del

suo profilo così come “fotografato” in fase di selezione,

perdendo una prima, importantissima occasione di

consapevolezza e crescita.

Il monitoraggio serve a costituire la banca dati per realizzare

mobilità e carriera. La metafora è quella del campo ricco di

varietà diverse di fiori e piante, da scegliere a seconda delle

esigenze e delle opportunità. I profili possono essere

classificati in termini di pregio, ma il monitoraggio viene

idealmente mantenuto su tutti.

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La relazione leader – follower

Chiudiamo con un accenno ad un tema centrale per lo

sviluppo della followership: la relazione tra leader e follower,

o più genericamente tra capi e collaboratori.

Non è difficile immaginare i problemi e le resistenze

all’evoluzione di una relazione che si àncora a elementi

psicologici e culturali complessi. Da entrambe le parti. Per i

capi si tratta di accettare un confronto che può mettere in

discussione ruolo, immagine di se e status. Per i

collaboratori si tratta di accettare la responsabilità di essere

realmente parte del sistema (niente più scuse, quindi, ne

facili prese di distanza) e di entrare in una relazione che può

essere percepita come potenzialmente rischiosa per la

carriera o anche per la permanenza in Azienda.

Il tema è complesso e si presterebbe a molti

approfondimenti. Può essere utile tuttavia riprendere due

parole chiave, più volte citate in questo scritto, che sono alla

base degli interventi di sviluppo della relazione tra leader

(capo) e follower (collaboratore). Consapevolezza e

potenziamento (o empowerment).

Consapevolezza di sé, degli altri, delle situazioni

organizzative e sociali in cui ci si trova ad operare; e

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potenziamento delle proprie capacità emotive e cognitive

“dentro” la situazione data.

Il primo termine fa riferimento all’importanza di avere una

visione la più chiara ed olistica possibile degli elementi in

gioco, a partire da se stessi. E di accoglierli ed accettarli

come un dato di realtà. Il secondo fa riferimento

all’incremento della strumentazione cognitiva ed emotiva

per muoversi al meglio, data la realtà, all’interno della

situazione. Il filone di attività formative collegate al

potenziamento del sé va in questa direzione. Così come

quelle che ruotano intorno alla gestione del conflitto.

Consapevolezza, potenziamento e gestione del conflitto

costituiscono la base per poter accettare una relazione

diversa e per renderla più efficace per se e per l’Azienda.

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Bibliografia R. Kelley, “The power of followership”

I. Chaleff, “The courageous follower”

B. Kellermann, “Followership” D. Ulrich, “Human Risource champions”

J. Keegan, “Il volto della battaglia”

R.Magnone F. Tartaglia “Professione follower”

Filmografia The Argentine di Steven Soderberg (Che Guevara con Fidel Castro)

Discografia Ligabue, “Una vita da mediano”

Vasco Rossi, “Sally”

Webgrafia www.tesionline.it/ricerca/parola-chiave.jsp?keyword=followership

www.natcom.org/nca/admin/index.asp?downloadid=885 midaspace.blogspot.com

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Corrado Bottio

Consulente, partner di MIDA.

Laureato in psicologia, Master Bocconi in Gestione aziendale,

Master in Terapia Strategica.

Dopo una prolungata esperienza aziendale mi occupo da

anni di consulenza su sistemi di gestione delle Risorse

Umane: valutazione competenze, prestazioni, potenziale;

rewarding; analisi di clima e cultura; progettazione di

sistemi di valori in relazione al posizionamento strategico

dell’organizzazione; modelli di comportamento manageriale

e valutazione a 360° collegati.

Ho maturato una particolare esperienza sui temi legati allo

sviluppo delle competenze sia individuali, sia a livello

organizzativo.

Da anni opero con responsabilità dirette e come consulente

nel settore del privato sociale (non profit), con l’obiettivo di

sviluppare sistemi di gestione delle Persone che

contemporaneamente rispondano alle esigenze di risultato e

di quelle ideal valoriali fondamentali in questo settore.

[email protected]

La followership by Corrado Bottio

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Mida SpA Via Antonio da Recanate, 1

20124 Milano - Italy

Tel. 026691845 - Fax 026697220

www.mida.biz – [email protected] midaspace.blogspot.com

In copertina

Geisha è un termine giapponese composto da due Kanji, 芸 (gei)

che significa "talento" e 者 (sha) che vuol dire "persona"; la

traduzione letterale, quindi, del termine geisha in italiano potrebbe essere "artista", o "persona di talento".

La geisha è una tradizionale artista e intrattenitrice giapponese, le cui

abilità includono varie arti, quali la musica, il canto e la danza, ma la cui cultura è stata spesso travisata.

Lo spirito, infatti, con cui i soldati americani sbarcarono sulle coste giapponesi, nella Seconda Guerra Mondiale, rifletté fin da subito un'idea

distorta che gli occidentali avevano delle geisha. Costoro, infatti, si

aspettavano prostitute di classe, donne completamente asservite all'uomo e desiderose di compiacerlo. Ma questa immagine che si erano portati dietro,

non corrispondeva alla realtà, dove le geisha rappresentavano invece gli

unici esempi nella civiltà giapponese di donne emancipate e "libere", tutto il contrario di come erano state dipinte.