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Daniele Biacchessi Dal libro L’ambiente negato – Viaggio nell’Italia dei dissesti Editori Riuniti, Roma 1999 Pitelli, sponda orientale del golfo di La Spezia. Da lassù si vede il mare davanti alla città e quelle navi militari e civili che entrano ed escono dal porto, ogni giorno, a ogni ora. Dalla collina puoi osservare la bellezza del golfo dei poeti, Portovenere, l’isola Palmaria. Le case che stanno laggiù, dall’altra parte della baia, sembrano punti rossi persi in un mare blu intenso. E i lievi pendii che vanno dalle Cinqueterre fino all’ultima propaggine del promontorio fanno la bellezza di un posto che sa di magia. E’ stato così fino a quando gli scavi delle discariche abusive hanno distrutto uno spicchio d’Italia: sostanze tossico-nocive ammassate l’una sull’altra, in un groviglio difficile da sbrogliare. Discariche illegali, costruite dall’imprenditore Orazio Duvia, grazie alla compiacenza delle autorizzazioni della giunta regionale ligure. Duvia, il re di Pitelli, che elargisce fiumi di denaro a La Spezia, l’ex meccanico, l’uomo che trasforma una rivendita di moto in un impero finanziario formidabile. Sulla collina non ci sono più i pini. La terra è sezionata, tagliata e scavata dalle pale della Sistemi Ambientali, della Ipodec, della Marina Militare, della centrale Enel. Quattordici, quindici discariche che dominano il lungomare dell’Arsenale di La Spezia. 1 Ho visto i pini sparire dalla macchia mediterranea in meno di una stagione. Dal balcone di una vecchia casa di mare si vedevano caterpillar che troncavano alberi e la collina si trasformava in terrazze senza forma. (pag. 43) Le stesse che una mattina deve aver visto il sostituto procuratore della Repubblica di Asti, Luciano Tarditi, e che altri non hanno voluto vedere. Per anni. Perché dietro a Pitelli c’è un mistero. Quello dei fusti di Seveso e delle centrali nucleari russe, dei rifiuti ospedalieri trattati e dei veleni di mezza Europa. Tarditi è un magistrato caparbio. Lavora dodici ore al giorno coadiuvato da un manipolo di poliziotti e carabinieri specializzati in vicende ambientali. Indaga sul traffico nazionale e internazionale dei rifiuti. Lui parte dalla fase successiva all’alluvione del 1994: "La mia indagine coinvolge fin da subito la responsabilità della Isa Srl, inquisita nel 1997 in relazione a truffe riconducibili allo smaltimento di rifiuti alluvionali. Ho individuati contattti tra la Isa e la discarica di Pitelli. Metto sotto accusa i responsabili della Isa e acquisisco documenti che provano collegamenti tra la Ati e la Sdm di Pioltello che cura il ritiro di rifiuti ospedalieri presso diverse Usl del Piemonte e della Lombardia. Rifiuti conferiti, in parte, al forno inceneritore di Pitelli. Attraverso un lavoro di intelligence, intercetto un traffico proveniente dal consorzio per la raccolta dei rifiuti solidi urbani di La Spezia, il Conir. Emerge che una quantità di rifiuti è destinata alle discariche del Piemonte mentre la normativa vieta l’arrivo di sostanze di questo tipo in altre regioni. Il meccanismo attuato è quello solito, del cosiddetto giro bolla e delle false fatturazioni. Ma dietro ogni giro bolla falso esiste una fattura in tutto o in parte falsa riferita a lavorazioni non avvenute". Tarditi offre il racconto davanti ai volti esterrefatti della commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, presieduta da Massimo Scalia. E’ il 2 dicembre 1997. "Indago sulla provenienza dei rifiuti e incrocio le attività della Ipodec, che risulta essere una delle società di Orazio Duvia. Lavoro sulle utenze telefoniche della Ipodec, le stesse della società base, la Contenitori Trasporti. Solo allora comprendo che l’impero finanziario di Duvia è costellato da scatole cinesi, da decine di società che seguono il viaggio dei rifiuti in tutte le fasi operative, comprese le bonifiche. La Contenitori Trasporti è proprietaria del sito di Pitelli, affidato in gestioni, attraverso un affitto di azienda, dalla Sistemi Ambientali. (pag. 44)

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Daniele Biacchessi

Dal libro L’ambiente negato – Viaggio nell’Italia dei dissesti Editori Riuniti, Roma 1999

Pitelli, sponda orientale del golfo di La Spezia. Da lassù si vede il mare davanti alla città e quelle

navi militari e civili che entrano ed escono dal porto, ogni giorno, a ogni ora. Dalla collina puoi

osservare la bellezza del golfo dei poeti, Portovenere, l’isola Palmaria. Le case che stanno laggiù,

dall’altra parte della baia, sembrano punti rossi persi in un mare blu intenso. E i lievi pendii che

vanno dalle Cinqueterre fino all’ultima propaggine del promontorio fanno la bellezza di un posto

che sa di magia. E’ stato così fino a quando gli scavi delle discariche abusive hanno distrutto uno

spicchio d’Italia: sostanze tossico-nocive ammassate l’una sull’altra, in un groviglio difficile da

sbrogliare. Discariche illegali, costruite dall’imprenditore Orazio Duvia, grazie alla compiacenza

delle autorizzazioni della giunta regionale ligure. Duvia, il re di Pitelli, che elargisce fiumi di denaro

a La Spezia, l’ex meccanico, l’uomo che trasforma una rivendita di moto in un impero finanziario

formidabile. Sulla collina non ci sono più i pini. La terra è sezionata, tagliata e scavata dalle pale

della Sistemi Ambientali, della Ipodec, della Marina Militare, della centrale Enel. Quattordici,

quindici discariche che dominano il lungomare dell’Arsenale di La Spezia.

1

Ho visto i pini sparire dalla macchia mediterranea in meno di una stagione. Dal balcone di una

vecchia casa di mare si vedevano caterpillar che troncavano alberi e la collina si trasformava in

terrazze senza forma. (pag. 43)

Le stesse che una mattina deve aver visto il sostituto procuratore della Repubblica di Asti, Luciano

Tarditi, e che altri non hanno voluto vedere. Per anni. Perché dietro a Pitelli c’è un mistero. Quello

dei fusti di Seveso e delle centrali nucleari russe, dei rifiuti ospedalieri trattati e dei veleni di mezza

Europa. Tarditi è un magistrato caparbio. Lavora dodici ore al giorno coadiuvato da un manipolo di

poliziotti e carabinieri specializzati in vicende ambientali. Indaga sul traffico nazionale e

internazionale dei rifiuti. Lui parte dalla fase successiva all’alluvione del 1994: "La mia indagine

coinvolge fin da subito la responsabilità della Isa Srl, inquisita nel 1997 in relazione a truffe

riconducibili allo smaltimento di rifiuti alluvionali. Ho individuati contattti tra la Isa e la discarica di

Pitelli. Metto sotto accusa i responsabili della Isa e acquisisco documenti che provano collegamenti

tra la Ati e la Sdm di Pioltello che cura il ritiro di rifiuti ospedalieri presso diverse Usl del Piemonte

e della Lombardia. Rifiuti conferiti, in parte, al forno inceneritore di Pitelli. Attraverso un lavoro di

intelligence, intercetto un traffico proveniente dal consorzio per la raccolta dei rifiuti solidi urbani

di La Spezia, il Conir. Emerge che una quantità di rifiuti è destinata alle discariche del Piemonte

mentre la normativa vieta l’arrivo di sostanze di questo tipo in altre regioni. Il meccanismo attuato è

quello solito, del cosiddetto giro bolla e delle false fatturazioni. Ma dietro ogni giro bolla falso

esiste una fattura in tutto o in parte falsa riferita a lavorazioni non avvenute".

Tarditi offre il racconto davanti ai volti esterrefatti della commissione parlamentare sul ciclo dei

rifiuti, presieduta da Massimo Scalia. E’ il 2 dicembre 1997. "Indago sulla provenienza dei rifiuti e

incrocio le attività della Ipodec, che risulta essere una delle società di Orazio Duvia. Lavoro sulle

utenze telefoniche della Ipodec, le stesse della società base, la Contenitori Trasporti. Solo allora

comprendo che l’impero finanziario di Duvia è costellato da scatole cinesi, da decine di società che

seguono il viaggio dei rifiuti in tutte le fasi operative, comprese le bonifiche. La Contenitori

Trasporti è proprietaria del sito di Pitelli, affidato in gestioni, attraverso un affitto di azienda, dalla

Sistemi Ambientali. (pag. 44)

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Avvio la fase delle intercettazioni. Ho ascoltato 11mila conversazioni, 350 risultano significative. A

Pitelli si svolgevano traffici illegali, penalmente rilevanti. Fatti che si svolgono proprio durante

quelle intercettazioni. Si sviluppa il fenomeno del giro bolla, delle falsificazioni, della richiesta ai

funzionari responsabili di certificazioni compiacenti. Si truccano davanti ai nostri occhi gare che

interessano altre ditte del sistema italiano dei rifiuti. Un quadro davvero impressionante. Riesco a

ottenere la rottura dell’omertà nell’area spezzina, che contraddistingue tutte le attività inerenti al

fenomeno delle discariche. Mi insospettisco perché la discarica di Pitelli si appoggia alla polveriera

della Marina militare. Interrogo impiegati, dipendenti e operai della Contenitori Trasporti. Parlano

di interramenti illeciti avvenuti negli anni Settanta e Ottanta, che durano fino al 1992, quando

Orazio Duvia cede la Sistemi Ambientali, conservando una quota della società. Raccolgo quattro

deposizioni che indicano i luoghi precisi in cui vengono sotterrati i corpi di reato. Qualcuno ci

mostra perfino fotografie scattate sul posto."

Tarditi sa che a San Macuto, dove si riunisce la commissione parlamentare, il circuito audio è

aperto ma non si fa problemi nei confronti dei giornalisti che lo stanno ascoltando. Vuole far sapere

dove è arrivata la sua inchiesta. Spesso chiede la seduta segreta quando mostra le intercettazioni

telefoniche e ambientali. Altre volte va avanti a braccio, con brogliacci scritti nella notte: "Nella

prima parte dell’indagine sequestro poche decine di metri quadrati di terreno in quattro o cinque

punti precisi della discarica. Alcuni sono dentro il perimetro di Pitelli, altri stanno fuori. Il

carotaggio del terreno avviene subito ma è difficile giungere ai bidoni perché nel frattempo vengono

costruiti almeno quattro piani di discarica. I rifiuti più pericolosi, terribili, stanno in fondo e in

questo momento non sono raggiungibili. All’ipotesi di associazione a delinquere, aggiungo il reato

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di disastro ambientale. E’ sufficiente recarsi sul posto, osservare alcune fotografie e quegli edifici

dieci metri dai muri di contenimento. Ci si chiede come è stato possibile concedere autorizzazioni

edilizie, con quali coperture.

(pag. 45)

Perquisizioni accurate negli uffici di Orazio Duvia fanno emergere annotazioni nel libro giornale

che portano a nami della pubblica amministrazione. Dalle prime perizie risulta che la terra è

impregnata di diossina, forse proveniente dal possibile interramento a Pitelli dei fusti dell’Icmesa di

Severo. L’indagine epidemiologica in relazione ai tumori non viene effettuata e nelle carte che

sequestriamo sono riportati i risultati di analisi sugli eczemi. Il forno inceneritore risulta inadeguato.

E’ un dato sul quale tutti i testimoni sono concordi, tanto che definiscono quel forno una stufa o

poco più. Nei giorni precedenti alle misure cautelari ci appostiamo nella zona e fotografiamo lo

sversamento dei camion, utilizzando macchine fotografiche con teleobiettivo: uomini di polizia

giudiziaria si posizionano in un cimitero. Rileviamo le targhe degli automezzi. Così agli atti

risultano foto che evidenziano il ribaltamaneto in discarica di confezioni che somigliano a rifiuti

ospedalieri trattati. Sono prove".

Da Pitelli passano i 41 fusti frutto della bonifica dell’Icmesa di Severo. La Givaudan affida alla

Mannesman l’incarico di trasportare i residui del reattore dell’Icmesa. Vengono caricati sopra un

camion da Bernard Paringaux, l’autotrasportatore legato ai servizi segreti francesi e di mezzo

mondo. La sua missione è chiara fin dall’inizio: portare lontano dagli occhi dei giornalisti un carco

pericoloso, che potrebbe provare le produzioni militari di Severo: Trova una discarica a

Schoenberg, in Germania. Così organizza un viaggio parallelo con la complicità della Regione

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Lombardia e del responsabile dell’Ufficio speciale di Severo, Luigi Noé, direttore dell’Enea. Ci

sono le prove, le fotografie trovate dal giornalista della televisione tedesca Udo Gumpel.

Paringaux fa trovare il 13 settembre 1982 in un ex macello di Saint-Quentin, 41 fusti che hanno

peso e diametro diversi da quelli veri. Arrivano i giornalisti che raccontano il ritrovamento della

polizia francese. Viene avvisata la Hoffman La Roche, proprietaria dell’Icmesa: attraverso la

consociata Givaudan. li prende in consegna e li brucia nell’inceneritore della Ciba Geigy di Basilea.

(pag. 46)

I fusti falsi non ci sono più, bruciati, volatilizzati. Quelli veri vanno invece a Schoenberg, vicino a

Lubecca, la discarica dei veleni radioattivi dove finiscono le scorie delle centrali nucleari russe.

L’assessore regionale della Lombardia, il verde Carlo Monguzzi, trova le bolle di

accompagnamento del viaggio parallelo e mentre alcuni giornalisti italiani si recano in Germania i

fusti di Seveso spariscono di nuovo, tronano in Italia, nella discarica di Pitelli, trenta metri sotto la

polveriera, nel sistema intricato di tunnel situati in territorio militare. Sono ancora lì. A meno che

qualcuno li abbia portati altrove. Il Secolo XIX del 25 giugno 1988 pubblica un’intervista a uno

smaltitore di rifiuti illegali pentito. "In dieci anni ho scaricato scorie di ogni tipo in Liguria,

Piemonte e in Lombardia. In queste discariche ricordo uno per uno i punti dove ho interrato

contenitori colmi di residui chimici. Posso definirmi un inquinatore pentito. Ho lavorato in un certo

modo ed era un’attività che rendeva bene. Ne ho viste troppe. Ho visto sparire carichi

pericolosissimi. E anche quando la stampa scopriva qualcosa e cominciava a sparare a zero sugli

inquinatori non c’erano problemi. Bastava saper aspettare e trovare un’altra discarica."

Tarditi a Italia Radio entra nei particolari: "Le Usl del Piemonte pagavano per incenerire i rifiuti

provenienti da ambulatori e sale operatorie. L’organizzazione invece provvedeva a metterli sotto

terra con un costo notevolmente inferiore. 5 giugno 1996. Telefonata intercettata su un’utenza

sospetta: "Le nuove bolle le faccio io direttamente. Comunque voi fate sparire, non fate vedere

niente a nessuno: voi tenete di questo conferimento solo il tagliando di pesata".

27 giugno 1996. Intercettazione telefonica agli atti della magistratura di La Spezia.

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"Strappate l’originale del verbale che avete voi, lo strappate e mettete per ricevuta una sigla sulla

nostra copia".

Scattano le manette. I primi arrestati sono dirigenti, amministratori, rappresentanti commerciali

della ditta spezzina Sistemi Ambientali, della Contenitori Trasporti, della Ipodec: Giancarlo Motta,

Orazio Duvia, Daniele Paletti, Franco Bertolla, Ettore Cozzani, Luca Galli, Marco Callegari, Pietro

Bonetti ed Eros Polotti. (pag. 47)

Gli indagati nel primo troncone d’inchiesta sono 21. Poi l’inchiesta passa al sostituto procuratore

della Repubblica di La Spezia, Silvio Franz.

Franz viene sentito dalla commissione d’inchiesta sul traffico dei rifiuti, lo stesso giorno

dell’audizione di Luciano Tarditi. "Dall’indagine sono emersi reati che fanno ipotizzare alla procura

di Asti, l’associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale. Asti ha provveduto a

stralciare una parte dell’indagine e continua a procedere solo per un pezzo dell’inchiesta mentre ha

trasmesso il resto a La Spezia. Nel luglio 1997 mi è stato assegnato questo fascicolo piuttosto

complesso dal procuratore capo Conte. La gestione dell’inchiesta richiede un impegno notevole da

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parte mia e degli organi di polizia giudiziaria, il Corpo Forestale, il Gico di Genova e i carabinieri.

Certi accertamenti sono troppo delicati. L’impressione che ne ho tratto è questa. In alcune regioni

italiane se si vuole costruire un palazzo lo si fa senza concessione edilizia mentre in altre si ottiene

la concessione, cioè il provvedimento formale, viziato in molti passaggi che rendono difficilmente

accertabile l’illegittimità dello stesso provvedimento. Lo stesso è accaduto a Pitelli. C’è la

formalità, esistono i documenti relativi ai procedimenti che si sono conclusi con il rilascio di

autorizzazioni. Ritengo di avere individuato ipotesi di falso ideologico: spesso sono state dichiarate

esistenti condizioni che esistenti non erano. Mi riferisco a compatibilità con il piano paesaggistico,

con il piano regolatore, esistenza di condizioni per l’apertura della discarica, compatibilità del forno

inceneritore con la possibilità di trattare rifiuti speciali. Ma i fatti più gravi, avvenuti tra la fine degli

anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, potrebbero essere oggi prescritti perché sono passati troppi

anni da quei fatti."

Ci sono dunque due filoni che corrono paralleli: disastro ambientale e corruzione. Franz lavora in

una città difficile ma va avanti. Arresta un alto funzionario del ministero della Difesa, Nicola

Miglino con l’accusa di corruzione: somme di denaro, buoni benzina, orologi d’oro.

Destinataria di un altro provvedimento cautelare è la sorella di Miglino, Maria Pia, anche lei

dipendente del ministero. (pag.48)

Finisce in carcere Baldo Pagano, ammiraglio, responsabile della sezione amministrativa della

Marina di La Spezia. C’è il sospetto che abbia ottenuto dazioni di denaro per gli appalti dello

smaltimento dei rifiuti offerti successivamente a Orazio Duvia. L’ex presidente della provincia

Sauro Baruzzo riceve un avviso di garanzia per mazzette che avrebbe ricevuto dalla Sistemi

Ambientali. Insieme ai fusti spuntano altri nomi. Antonio Malatesta, geometra del comune di La

Spezia, in pensione, e Ruggero Fiorello, finanziere in servizio all’ufficio registro e protocollo delle

Fiamme Gialle. Viene perquisita l’abitazione di Mario Mattei, ingegnere del dipartimentio ambiente

della Regione Toscana. Secondo l’accusa avrebbe preso soldi e buoni benzina per favorire le

autorizzazioni alla Contenitori Trasporti e alla Ipodec. Risultano sotto inchiesta Antonino

Massartotto, responsabile dell’ufficio ambiente della provincia di Rovigo, il maresciallo Orengo

dell’ aeronautica e altri ancora. La procura di La Spezia sequestra un mercantile in disarmo,

attaccato al molo dell’ex terminal Messina. Trova tracce di radioattività. L’indagine è naturalmente

legata alla discarica di Pitelli. Sorge il sospetto che la nave possa essere stata usata come deposito di

materiale torrido, forse radioattivo. Accanto a Franz c’è il giudice delle indagini preliminari Diana

Brusacà. Decide di commissionare ad alcuni periti i rilievi tecnici su Pitelli. "La discarica per tipo di

rifiuti smaltiti e per l’ assenza di qualsiasi misura di salvaguardia, rappresenta un pericolo per

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l’ambiente e l’igiene."

Lo scenario che emerge da millecinquecento pagine di perizia è allarmante. Le colline di Pitelli

sono una stratificazione di sostanze chimiche scaricate nel corso di quasi un ventennio e la natura

sta già presentando il conto del disastro attraverso l’inquinamento delle acque di falda. Mercurio,

piombo, cadmio, cromo e nichel sono i metalli presenti ovunque. Si potrebbe dunque pensare a

interramenti che risalgono a parecchi anni fa, ma gli scavi più recenti di rifiuti portano alla luce la

presenza di scarti dell’industria farmaceutica classificati tossico-nocivi, fanghi, ceneri, scorie

contenenti metalli pesanti, che fanno risalire l’attività illecita a poco tempo prima dell’inizio

dell’indagine. (pag. 49)

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Secondo i periti, tra il 1993 e il 1995 qualcuno ha trasferito sostanze tossiche interrate negli anni

Ottanta. Ripetutamente.

A Pitelli l’intreccio con la criminalità organizzata è provato. Orazio Duvia vanta un sodalizio

affaristico con Ferdinando Cannavale, piccolo imprenditore spezzino arrestato dalla procura di

Napoli tre anni fa in un’indagine sul giro di rifiuti tossici in Campania. Entrambi intrattengono

rapporti con uomini poi arrestati per associazione camorristica. La Sistemi Ambientali ha

partecipazioni della società Di.Fra.Bi. di cui sono principali azionisti due imprenditori nel mirino

degli inquirenti: Giorgio Di Francia e Francesco La Marca. Duvia e Cannavale inoltre sono iscritti

alla loggia massonica coperta "Mozart" e nel corso di ina perquisizione a casa di Duvia sono state

trovate tracce consistente di questa sua appartenenza. Duvia e Cannavale intendono allargare gli

affari in altre regioni, in zone dove sono presenti numerose logge massoniche, come la provincia di

Massa. Intanto un voluminoso dossier di circa mille pagine, redatto da Legambiente e Wwf, è nelle

mani della commissione presieduta da Scalia. L’inchiesta degli ambientalisti dimostra come la

Liguria sia il crocevia di traffici illeciti. Una connection mafiosa che ha utilizzato gli scali

mercantili di La Spezia, Genova e Savona e che ha fatto transitare veleni e armi. Sono raccontati

episodi specifici, nomi, ricostruzioni dettagliate di società collegate con un sistema di scatole cinesi.

Armi e rifiuti che portano lontano. Forse alla pista delle navi fantasma che giungono nei porti del

Centro Africa. La commissione del Parlamento Italiano offre un quadro inquietante del connubio

criminale. "Secondo Legambiente e Wwf, fino alla fine degli anni Ottanta, approfittando della

vocazione marittima del territorio ligure, nella regione hanno operato soggetti imprenditoriali

interessati all’esportazione illegale di rifiuti tossico-nocivi, attraverso una rete di brokeraggio

internazionale con armatori compiacenti verso impianti di smaltimento siti in paesi del terzo mondo,

Venezuela e Nigeria, e dell’est europeo, Romania. (pag 50)

Successivamente, dopo lo scoppio dello scandalo delle navi dei veleni Zanoobia e Jolly Rosso,

l’imprenditoria illegale, organizzata per aree territoriali, si è prevalentemente rivolta ai traffici

nazionali e il territorio regionale diviene progressivamente discarica del Nord Italia e interporto per

i traffici via terra e via mare di organizzazione internazionali di stampo mafioso.

Su alcuni impianti e discariche di rifiuti solidi urbani si sono verificati accordi e collusioni tra

imprenditori e amministratori locali. Dopo una localizzazione concordata, sarebbero state acquisite

a prezzo agricolo le aree poi inserite nei piani regionali di smaltimento dei rifiuti, con conseguenti

guadagni."

Nella relazione della commissione si entra nel dettaglio: "Il filone che lega tutte le inchieste sulle

gestioni delle varie discariche di La Spezia sarebbe il collegamento tra società operanti in Liguria e

soggetti appartenenti a gruppi camorristici campani fatti oggetto di provvediemti giudiziari che

hanno riguardato la cosiddetta "rifiuti connection" della zona di Caserta. La vicenda giudiziaria si

inquadra nell’ambito dell’operazione Adelphi, del 1993 che vede implicato Ferdinando Cannavale,

titolare della società Transfermar, in cui il pacchetto azionario è per il cinquanta per cento, gestito

dalla Contenitori Trasporti di Orazio Duvia. Non può suscitare sorpresa che la discarica di Pitelli

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abbia agito per quasi un ventennio senza che alcun controllo amministrativo individuasse le

illegalità, come il seppellimento di rifiuti pericolosi sotto la mensa e altri locali dell’impianto.

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Desta perplessità il fatto che non vi sia stato alcun intervento giudiziario, benché le prime denunce

degli ambientalisti risalgono agli anni Ottanta, e che sia intervenuta la magistratura di un’altra città,

quella di Asti". La protesta del Comitato difesa ambiente coinvolge gran parte dei cittadini dei paesi

di Pitelli e Ruffino. Intanto qualcuno Parla.

Un collaboratore di giustizia ha già fornito agli inquirenti importanti dettagli in relazione agli affari

gestiti da dirigenti dell’Oto Melara, fabbrica di armi di La Spezia. Parla di due armatori che negli

anni Ottanta mettono a disposizione alcuni mercantili per il trasporto da La Spezia alla Somalia di

rifiuti tossici e di altro materiale bellico. (pag. 51)

In Africa entrano poi in azione i pescherecci di altura costruiti da imprenditori italiani nell’ambito

della cooperazione con il governo di Mogadiscio. Le stesse navi intercettate da Ilaria Alpi,

giornalista del Tg3, e dal cameraman Miran Hrovatiin poco prima di essere uccisi a Mogadiscio.

(pag. 52)