Microsoft word dal libro l'ambiente negato- biacchessi 1999 doc
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Daniele Biacchessi
Dal libro L’ambiente negato – Viaggio nell’Italia dei dissesti Editori Riuniti, Roma 1999
Pitelli, sponda orientale del golfo di La Spezia. Da lassù si vede il mare davanti alla città e quelle
navi militari e civili che entrano ed escono dal porto, ogni giorno, a ogni ora. Dalla collina puoi
osservare la bellezza del golfo dei poeti, Portovenere, l’isola Palmaria. Le case che stanno laggiù,
dall’altra parte della baia, sembrano punti rossi persi in un mare blu intenso. E i lievi pendii che
vanno dalle Cinqueterre fino all’ultima propaggine del promontorio fanno la bellezza di un posto
che sa di magia. E’ stato così fino a quando gli scavi delle discariche abusive hanno distrutto uno
spicchio d’Italia: sostanze tossico-nocive ammassate l’una sull’altra, in un groviglio difficile da
sbrogliare. Discariche illegali, costruite dall’imprenditore Orazio Duvia, grazie alla compiacenza
delle autorizzazioni della giunta regionale ligure. Duvia, il re di Pitelli, che elargisce fiumi di denaro
a La Spezia, l’ex meccanico, l’uomo che trasforma una rivendita di moto in un impero finanziario
formidabile. Sulla collina non ci sono più i pini. La terra è sezionata, tagliata e scavata dalle pale
della Sistemi Ambientali, della Ipodec, della Marina Militare, della centrale Enel. Quattordici,
quindici discariche che dominano il lungomare dell’Arsenale di La Spezia.
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Ho visto i pini sparire dalla macchia mediterranea in meno di una stagione. Dal balcone di una
vecchia casa di mare si vedevano caterpillar che troncavano alberi e la collina si trasformava in
terrazze senza forma. (pag. 43)
Le stesse che una mattina deve aver visto il sostituto procuratore della Repubblica di Asti, Luciano
Tarditi, e che altri non hanno voluto vedere. Per anni. Perché dietro a Pitelli c’è un mistero. Quello
dei fusti di Seveso e delle centrali nucleari russe, dei rifiuti ospedalieri trattati e dei veleni di mezza
Europa. Tarditi è un magistrato caparbio. Lavora dodici ore al giorno coadiuvato da un manipolo di
poliziotti e carabinieri specializzati in vicende ambientali. Indaga sul traffico nazionale e
internazionale dei rifiuti. Lui parte dalla fase successiva all’alluvione del 1994: "La mia indagine
coinvolge fin da subito la responsabilità della Isa Srl, inquisita nel 1997 in relazione a truffe
riconducibili allo smaltimento di rifiuti alluvionali. Ho individuati contattti tra la Isa e la discarica di
Pitelli. Metto sotto accusa i responsabili della Isa e acquisisco documenti che provano collegamenti
tra la Ati e la Sdm di Pioltello che cura il ritiro di rifiuti ospedalieri presso diverse Usl del Piemonte
e della Lombardia. Rifiuti conferiti, in parte, al forno inceneritore di Pitelli. Attraverso un lavoro di
intelligence, intercetto un traffico proveniente dal consorzio per la raccolta dei rifiuti solidi urbani
di La Spezia, il Conir. Emerge che una quantità di rifiuti è destinata alle discariche del Piemonte
mentre la normativa vieta l’arrivo di sostanze di questo tipo in altre regioni. Il meccanismo attuato è
quello solito, del cosiddetto giro bolla e delle false fatturazioni. Ma dietro ogni giro bolla falso
esiste una fattura in tutto o in parte falsa riferita a lavorazioni non avvenute".
Tarditi offre il racconto davanti ai volti esterrefatti della commissione parlamentare sul ciclo dei
rifiuti, presieduta da Massimo Scalia. E’ il 2 dicembre 1997. "Indago sulla provenienza dei rifiuti e
incrocio le attività della Ipodec, che risulta essere una delle società di Orazio Duvia. Lavoro sulle
utenze telefoniche della Ipodec, le stesse della società base, la Contenitori Trasporti. Solo allora
comprendo che l’impero finanziario di Duvia è costellato da scatole cinesi, da decine di società che
seguono il viaggio dei rifiuti in tutte le fasi operative, comprese le bonifiche. La Contenitori
Trasporti è proprietaria del sito di Pitelli, affidato in gestioni, attraverso un affitto di azienda, dalla
Sistemi Ambientali. (pag. 44)
Avvio la fase delle intercettazioni. Ho ascoltato 11mila conversazioni, 350 risultano significative. A
Pitelli si svolgevano traffici illegali, penalmente rilevanti. Fatti che si svolgono proprio durante
quelle intercettazioni. Si sviluppa il fenomeno del giro bolla, delle falsificazioni, della richiesta ai
funzionari responsabili di certificazioni compiacenti. Si truccano davanti ai nostri occhi gare che
interessano altre ditte del sistema italiano dei rifiuti. Un quadro davvero impressionante. Riesco a
ottenere la rottura dell’omertà nell’area spezzina, che contraddistingue tutte le attività inerenti al
fenomeno delle discariche. Mi insospettisco perché la discarica di Pitelli si appoggia alla polveriera
della Marina militare. Interrogo impiegati, dipendenti e operai della Contenitori Trasporti. Parlano
di interramenti illeciti avvenuti negli anni Settanta e Ottanta, che durano fino al 1992, quando
Orazio Duvia cede la Sistemi Ambientali, conservando una quota della società. Raccolgo quattro
deposizioni che indicano i luoghi precisi in cui vengono sotterrati i corpi di reato. Qualcuno ci
mostra perfino fotografie scattate sul posto."
Tarditi sa che a San Macuto, dove si riunisce la commissione parlamentare, il circuito audio è
aperto ma non si fa problemi nei confronti dei giornalisti che lo stanno ascoltando. Vuole far sapere
dove è arrivata la sua inchiesta. Spesso chiede la seduta segreta quando mostra le intercettazioni
telefoniche e ambientali. Altre volte va avanti a braccio, con brogliacci scritti nella notte: "Nella
prima parte dell’indagine sequestro poche decine di metri quadrati di terreno in quattro o cinque
punti precisi della discarica. Alcuni sono dentro il perimetro di Pitelli, altri stanno fuori. Il
carotaggio del terreno avviene subito ma è difficile giungere ai bidoni perché nel frattempo vengono
costruiti almeno quattro piani di discarica. I rifiuti più pericolosi, terribili, stanno in fondo e in
questo momento non sono raggiungibili. All’ipotesi di associazione a delinquere, aggiungo il reato
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di disastro ambientale. E’ sufficiente recarsi sul posto, osservare alcune fotografie e quegli edifici
dieci metri dai muri di contenimento. Ci si chiede come è stato possibile concedere autorizzazioni
edilizie, con quali coperture.
(pag. 45)
Perquisizioni accurate negli uffici di Orazio Duvia fanno emergere annotazioni nel libro giornale
che portano a nami della pubblica amministrazione. Dalle prime perizie risulta che la terra è
impregnata di diossina, forse proveniente dal possibile interramento a Pitelli dei fusti dell’Icmesa di
Severo. L’indagine epidemiologica in relazione ai tumori non viene effettuata e nelle carte che
sequestriamo sono riportati i risultati di analisi sugli eczemi. Il forno inceneritore risulta inadeguato.
E’ un dato sul quale tutti i testimoni sono concordi, tanto che definiscono quel forno una stufa o
poco più. Nei giorni precedenti alle misure cautelari ci appostiamo nella zona e fotografiamo lo
sversamento dei camion, utilizzando macchine fotografiche con teleobiettivo: uomini di polizia
giudiziaria si posizionano in un cimitero. Rileviamo le targhe degli automezzi. Così agli atti
risultano foto che evidenziano il ribaltamaneto in discarica di confezioni che somigliano a rifiuti
ospedalieri trattati. Sono prove".
Da Pitelli passano i 41 fusti frutto della bonifica dell’Icmesa di Severo. La Givaudan affida alla
Mannesman l’incarico di trasportare i residui del reattore dell’Icmesa. Vengono caricati sopra un
camion da Bernard Paringaux, l’autotrasportatore legato ai servizi segreti francesi e di mezzo
mondo. La sua missione è chiara fin dall’inizio: portare lontano dagli occhi dei giornalisti un carco
pericoloso, che potrebbe provare le produzioni militari di Severo: Trova una discarica a
Schoenberg, in Germania. Così organizza un viaggio parallelo con la complicità della Regione
Lombardia e del responsabile dell’Ufficio speciale di Severo, Luigi Noé, direttore dell’Enea. Ci
sono le prove, le fotografie trovate dal giornalista della televisione tedesca Udo Gumpel.
Paringaux fa trovare il 13 settembre 1982 in un ex macello di Saint-Quentin, 41 fusti che hanno
peso e diametro diversi da quelli veri. Arrivano i giornalisti che raccontano il ritrovamento della
polizia francese. Viene avvisata la Hoffman La Roche, proprietaria dell’Icmesa: attraverso la
consociata Givaudan. li prende in consegna e li brucia nell’inceneritore della Ciba Geigy di Basilea.
(pag. 46)
I fusti falsi non ci sono più, bruciati, volatilizzati. Quelli veri vanno invece a Schoenberg, vicino a
Lubecca, la discarica dei veleni radioattivi dove finiscono le scorie delle centrali nucleari russe.
L’assessore regionale della Lombardia, il verde Carlo Monguzzi, trova le bolle di
accompagnamento del viaggio parallelo e mentre alcuni giornalisti italiani si recano in Germania i
fusti di Seveso spariscono di nuovo, tronano in Italia, nella discarica di Pitelli, trenta metri sotto la
polveriera, nel sistema intricato di tunnel situati in territorio militare. Sono ancora lì. A meno che
qualcuno li abbia portati altrove. Il Secolo XIX del 25 giugno 1988 pubblica un’intervista a uno
smaltitore di rifiuti illegali pentito. "In dieci anni ho scaricato scorie di ogni tipo in Liguria,
Piemonte e in Lombardia. In queste discariche ricordo uno per uno i punti dove ho interrato
contenitori colmi di residui chimici. Posso definirmi un inquinatore pentito. Ho lavorato in un certo
modo ed era un’attività che rendeva bene. Ne ho viste troppe. Ho visto sparire carichi
pericolosissimi. E anche quando la stampa scopriva qualcosa e cominciava a sparare a zero sugli
inquinatori non c’erano problemi. Bastava saper aspettare e trovare un’altra discarica."
Tarditi a Italia Radio entra nei particolari: "Le Usl del Piemonte pagavano per incenerire i rifiuti
provenienti da ambulatori e sale operatorie. L’organizzazione invece provvedeva a metterli sotto
terra con un costo notevolmente inferiore. 5 giugno 1996. Telefonata intercettata su un’utenza
sospetta: "Le nuove bolle le faccio io direttamente. Comunque voi fate sparire, non fate vedere
niente a nessuno: voi tenete di questo conferimento solo il tagliando di pesata".
27 giugno 1996. Intercettazione telefonica agli atti della magistratura di La Spezia.
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"Strappate l’originale del verbale che avete voi, lo strappate e mettete per ricevuta una sigla sulla
nostra copia".
Scattano le manette. I primi arrestati sono dirigenti, amministratori, rappresentanti commerciali
della ditta spezzina Sistemi Ambientali, della Contenitori Trasporti, della Ipodec: Giancarlo Motta,
Orazio Duvia, Daniele Paletti, Franco Bertolla, Ettore Cozzani, Luca Galli, Marco Callegari, Pietro
Bonetti ed Eros Polotti. (pag. 47)
Gli indagati nel primo troncone d’inchiesta sono 21. Poi l’inchiesta passa al sostituto procuratore
della Repubblica di La Spezia, Silvio Franz.
Franz viene sentito dalla commissione d’inchiesta sul traffico dei rifiuti, lo stesso giorno
dell’audizione di Luciano Tarditi. "Dall’indagine sono emersi reati che fanno ipotizzare alla procura
di Asti, l’associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale. Asti ha provveduto a
stralciare una parte dell’indagine e continua a procedere solo per un pezzo dell’inchiesta mentre ha
trasmesso il resto a La Spezia. Nel luglio 1997 mi è stato assegnato questo fascicolo piuttosto
complesso dal procuratore capo Conte. La gestione dell’inchiesta richiede un impegno notevole da
parte mia e degli organi di polizia giudiziaria, il Corpo Forestale, il Gico di Genova e i carabinieri.
Certi accertamenti sono troppo delicati. L’impressione che ne ho tratto è questa. In alcune regioni
italiane se si vuole costruire un palazzo lo si fa senza concessione edilizia mentre in altre si ottiene
la concessione, cioè il provvedimento formale, viziato in molti passaggi che rendono difficilmente
accertabile l’illegittimità dello stesso provvedimento. Lo stesso è accaduto a Pitelli. C’è la
formalità, esistono i documenti relativi ai procedimenti che si sono conclusi con il rilascio di
autorizzazioni. Ritengo di avere individuato ipotesi di falso ideologico: spesso sono state dichiarate
esistenti condizioni che esistenti non erano. Mi riferisco a compatibilità con il piano paesaggistico,
con il piano regolatore, esistenza di condizioni per l’apertura della discarica, compatibilità del forno
inceneritore con la possibilità di trattare rifiuti speciali. Ma i fatti più gravi, avvenuti tra la fine degli
anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, potrebbero essere oggi prescritti perché sono passati troppi
anni da quei fatti."
Ci sono dunque due filoni che corrono paralleli: disastro ambientale e corruzione. Franz lavora in
una città difficile ma va avanti. Arresta un alto funzionario del ministero della Difesa, Nicola
Miglino con l’accusa di corruzione: somme di denaro, buoni benzina, orologi d’oro.
Destinataria di un altro provvedimento cautelare è la sorella di Miglino, Maria Pia, anche lei
dipendente del ministero. (pag.48)
Finisce in carcere Baldo Pagano, ammiraglio, responsabile della sezione amministrativa della
Marina di La Spezia. C’è il sospetto che abbia ottenuto dazioni di denaro per gli appalti dello
smaltimento dei rifiuti offerti successivamente a Orazio Duvia. L’ex presidente della provincia
Sauro Baruzzo riceve un avviso di garanzia per mazzette che avrebbe ricevuto dalla Sistemi
Ambientali. Insieme ai fusti spuntano altri nomi. Antonio Malatesta, geometra del comune di La
Spezia, in pensione, e Ruggero Fiorello, finanziere in servizio all’ufficio registro e protocollo delle
Fiamme Gialle. Viene perquisita l’abitazione di Mario Mattei, ingegnere del dipartimentio ambiente
della Regione Toscana. Secondo l’accusa avrebbe preso soldi e buoni benzina per favorire le
autorizzazioni alla Contenitori Trasporti e alla Ipodec. Risultano sotto inchiesta Antonino
Massartotto, responsabile dell’ufficio ambiente della provincia di Rovigo, il maresciallo Orengo
dell’ aeronautica e altri ancora. La procura di La Spezia sequestra un mercantile in disarmo,
attaccato al molo dell’ex terminal Messina. Trova tracce di radioattività. L’indagine è naturalmente
legata alla discarica di Pitelli. Sorge il sospetto che la nave possa essere stata usata come deposito di
materiale torrido, forse radioattivo. Accanto a Franz c’è il giudice delle indagini preliminari Diana
Brusacà. Decide di commissionare ad alcuni periti i rilievi tecnici su Pitelli. "La discarica per tipo di
rifiuti smaltiti e per l’ assenza di qualsiasi misura di salvaguardia, rappresenta un pericolo per
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l’ambiente e l’igiene."
Lo scenario che emerge da millecinquecento pagine di perizia è allarmante. Le colline di Pitelli
sono una stratificazione di sostanze chimiche scaricate nel corso di quasi un ventennio e la natura
sta già presentando il conto del disastro attraverso l’inquinamento delle acque di falda. Mercurio,
piombo, cadmio, cromo e nichel sono i metalli presenti ovunque. Si potrebbe dunque pensare a
interramenti che risalgono a parecchi anni fa, ma gli scavi più recenti di rifiuti portano alla luce la
presenza di scarti dell’industria farmaceutica classificati tossico-nocivi, fanghi, ceneri, scorie
contenenti metalli pesanti, che fanno risalire l’attività illecita a poco tempo prima dell’inizio
dell’indagine. (pag. 49)
Secondo i periti, tra il 1993 e il 1995 qualcuno ha trasferito sostanze tossiche interrate negli anni
Ottanta. Ripetutamente.
A Pitelli l’intreccio con la criminalità organizzata è provato. Orazio Duvia vanta un sodalizio
affaristico con Ferdinando Cannavale, piccolo imprenditore spezzino arrestato dalla procura di
Napoli tre anni fa in un’indagine sul giro di rifiuti tossici in Campania. Entrambi intrattengono
rapporti con uomini poi arrestati per associazione camorristica. La Sistemi Ambientali ha
partecipazioni della società Di.Fra.Bi. di cui sono principali azionisti due imprenditori nel mirino
degli inquirenti: Giorgio Di Francia e Francesco La Marca. Duvia e Cannavale inoltre sono iscritti
alla loggia massonica coperta "Mozart" e nel corso di ina perquisizione a casa di Duvia sono state
trovate tracce consistente di questa sua appartenenza. Duvia e Cannavale intendono allargare gli
affari in altre regioni, in zone dove sono presenti numerose logge massoniche, come la provincia di
Massa. Intanto un voluminoso dossier di circa mille pagine, redatto da Legambiente e Wwf, è nelle
mani della commissione presieduta da Scalia. L’inchiesta degli ambientalisti dimostra come la
Liguria sia il crocevia di traffici illeciti. Una connection mafiosa che ha utilizzato gli scali
mercantili di La Spezia, Genova e Savona e che ha fatto transitare veleni e armi. Sono raccontati
episodi specifici, nomi, ricostruzioni dettagliate di società collegate con un sistema di scatole cinesi.
Armi e rifiuti che portano lontano. Forse alla pista delle navi fantasma che giungono nei porti del
Centro Africa. La commissione del Parlamento Italiano offre un quadro inquietante del connubio
criminale. "Secondo Legambiente e Wwf, fino alla fine degli anni Ottanta, approfittando della
vocazione marittima del territorio ligure, nella regione hanno operato soggetti imprenditoriali
interessati all’esportazione illegale di rifiuti tossico-nocivi, attraverso una rete di brokeraggio
internazionale con armatori compiacenti verso impianti di smaltimento siti in paesi del terzo mondo,
Venezuela e Nigeria, e dell’est europeo, Romania. (pag 50)
Successivamente, dopo lo scoppio dello scandalo delle navi dei veleni Zanoobia e Jolly Rosso,
l’imprenditoria illegale, organizzata per aree territoriali, si è prevalentemente rivolta ai traffici
nazionali e il territorio regionale diviene progressivamente discarica del Nord Italia e interporto per
i traffici via terra e via mare di organizzazione internazionali di stampo mafioso.
Su alcuni impianti e discariche di rifiuti solidi urbani si sono verificati accordi e collusioni tra
imprenditori e amministratori locali. Dopo una localizzazione concordata, sarebbero state acquisite
a prezzo agricolo le aree poi inserite nei piani regionali di smaltimento dei rifiuti, con conseguenti
guadagni."
Nella relazione della commissione si entra nel dettaglio: "Il filone che lega tutte le inchieste sulle
gestioni delle varie discariche di La Spezia sarebbe il collegamento tra società operanti in Liguria e
soggetti appartenenti a gruppi camorristici campani fatti oggetto di provvediemti giudiziari che
hanno riguardato la cosiddetta "rifiuti connection" della zona di Caserta. La vicenda giudiziaria si
inquadra nell’ambito dell’operazione Adelphi, del 1993 che vede implicato Ferdinando Cannavale,
titolare della società Transfermar, in cui il pacchetto azionario è per il cinquanta per cento, gestito
dalla Contenitori Trasporti di Orazio Duvia. Non può suscitare sorpresa che la discarica di Pitelli
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abbia agito per quasi un ventennio senza che alcun controllo amministrativo individuasse le
illegalità, come il seppellimento di rifiuti pericolosi sotto la mensa e altri locali dell’impianto.
Desta perplessità il fatto che non vi sia stato alcun intervento giudiziario, benché le prime denunce
degli ambientalisti risalgono agli anni Ottanta, e che sia intervenuta la magistratura di un’altra città,
quella di Asti". La protesta del Comitato difesa ambiente coinvolge gran parte dei cittadini dei paesi
di Pitelli e Ruffino. Intanto qualcuno Parla.
Un collaboratore di giustizia ha già fornito agli inquirenti importanti dettagli in relazione agli affari
gestiti da dirigenti dell’Oto Melara, fabbrica di armi di La Spezia. Parla di due armatori che negli
anni Ottanta mettono a disposizione alcuni mercantili per il trasporto da La Spezia alla Somalia di
rifiuti tossici e di altro materiale bellico. (pag. 51)
In Africa entrano poi in azione i pescherecci di altura costruiti da imprenditori italiani nell’ambito
della cooperazione con il governo di Mogadiscio. Le stesse navi intercettate da Ilaria Alpi,
giornalista del Tg3, e dal cameraman Miran Hrovatiin poco prima di essere uccisi a Mogadiscio.
(pag. 52)