Michele Cosentino - Giuseppe Gagliano - Giorgio GiorgeriniLa guerra totale al terrorismo, dichiarata...

80

Transcript of Michele Cosentino - Giuseppe Gagliano - Giorgio GiorgeriniLa guerra totale al terrorismo, dichiarata...

  • Michele Cosentino - Giuseppe Gagliano - Giorgio Giorgerini

    Sicurezza internazionale epotere marittimo

    negli scenari multipolari

    EDIZIONI NEW PRESS - COMO

  • # Copyright 2004 by Edizioni New Press Como (Italy)I Edizione 2004Stampa New Press - Como

  • SOMMARIO

    Ringraziamenti 7Introduzione 9

    Parte PrimaAspetti del momento navaledi Giorgio Giorgerini

    Capitolo I Lo scenario internazionale 15Capitolo II NATO/UE: la crisi dei rapporti transatlantici.

    La dimensione militare europea 22Capitolo III La dimensione navale europea 27Capitolo IV Evoluzione dei ruoli delle marine.

    La funzione antiterrorismo 30Capitolo V Il processo di rinnovamento delle flotte 35

    Il ruolo del Mediterraneo nella strategia navaledi Giuseppe Gagliano 41

    Parte SecondaIl percorso dottrinario della Royal Navydi Michele Cosentino

    Capitolo I La ‘‘Strategic Defence Review’’ e le implicazioni per laRoyal Navy 51

    Capitolo II La Royal Navy e l’applicazione del potere marittimo 61Capitolo III Il potere marittimo sul mare 63Capitolo IV L’applicazione del potere marittimo dal mare 65Capitolo V La ‘‘defence diplomacy’’ e le operazioni marittime 67Capitolo VI Le operazioni di polizia marittima 68Capitolo VII L’applicazione benevola del potere marittimo 70Capitolo VIII Il ‘‘Naval Strategic Plan’’ e la Royal Navy del 2015 73

  • RINGRAZIAMENTI

    Il curatore esprime la propria gratitudine alla direzione della Rivista Marittimaper avere concesso la riproduzione dei saggi del Prof. Giorgerini e del Cap. Vasc.Cosentino.

    7

  • INTRODUZIONE

    L’auspicio di un nuovo ordine internazionale che si costituisce alla fine dellacold war è stato ampiamente smentito da uno scenario internazionale multipolaree inevitabilmente instabile. Risulta necessario fornire adeguate interpretazioni,anche alla luce del ruolo del sea power nel XXI secolo, che risultino in gradodi chiarire gli aspetti essenziali. Proprio allo scopo di conseguire in modo effica-ce tale finalità, i saggi scelti pongono l’enfasi sul ruolo centrale della strategia na-vale e della storia militare navale contemporanea nell’architettura di sicurezzadella NATO, dell’UEO, degli USA e in particolare della Royal Navy, sottoli-neando la cruciale importanza del Mediterraneo.

    9

  • Parte Prima

    ASPETTI DEL MOMENTO NAVALE

    di Giorgio Giorgerini

  • La nota introduttiva ai contenuti della nuova edizione 2004 dell’AlmanaccoNavale non può evitare di ricollegarsi alle analoghe note che comparvero nellascorsa edizione 2000-2001. Il mondo di tre anni e più or sono era percorso datempo da instabilità e da conflittualità che ne turbavano lo sviluppo pacifico equello di buoni e sereni rapporti internazionali. Interventi militari, anche cruenti,si erano resi necessari in diverse regioni: basterà ricordare le turbolenti crisi neiBalcani che richiesero l’impegno di forze multinazionali cosı̀ come oggi ne im-pongono ancora la presenza. In proposito c’è da osservare subito che in tuttele aree di crisi si è manifestata sempre l’importante partecipazione operativa del-le marine militari, anche quando l’intervento, per la configurazione stessa del ter-reno richiedeva quasi un’esclusiva delle forze aeree e, in seconda battuta, di quel-le terrestri. Le marine hanno cooperato all’intervento con le loro aviazioni imbar-cate, col pattugliamento delle acque coinvolte ai fini di far rispettare embargo eblocco di materiali militari e strategici, misure decretate dalle organizzazioni in-ternazionali, di assicurare il sostegno e i flussi logistici ai reparti operanti sul ter-reno, di prestare assistenza con i propri mezzi alle funzioni di comando, control-lo e comunicazione.

    13

  • CAPITOLO ILO SCENARIO INTERNAZIONALE

    Alla vigilia del quarto anno del nuovo secolo, il XXI, il panorama internazio-nale, da un punto di vista della sicurezza e dell’assicurazione della pace, all’inter-no e all’esterno di non pochi paesi, lascia molto a desiderare: anzi, si può anchesottoscrivere l’affermazione che la situazione è ulteriormente peggiorata di frontea quella che illustrammo nell’Almanacco Navale 2000-01. Anzitutto ci sono statedue vere guerre. Quella in Afghanistan e quella in Iraq: guerre liquidate rapida-mente sul campo, ma che in realtà continuano sotto le diverse forme di guerri-glia, sabotaggio, terrorismo, forme di conflittualità che impediscono i tentativi dipacificazione e di stabilità. In Afghanistan si combatte nelle zone montagnoselungo il confine afgano-pakistano e altrove, senza venire a capo, per il momento,delle formazioni guerrigliere che si rifanno al regime dei talebani o alla rete ter-roristica di Al Qaeda, formate anche da elementi che provengono da altri paesiislamici lontani. Al di là della ristretta area di Kabul, che è sotto il controllo delleforze di sicurezza multinazionali e di quelle, scarse, del governo centrale, nel re-sto del paese vigono contrasti e conflitti fra tribù e province di varie etnie e dimolteplici interessi locali contrastanti.

    Tornando al periodo della guerra guerreggiata è interessante sottolineare chele Marine operanti hanno avuto un grande ruolo nella condotta della campagnaaerea: le navi portaerei ne hanno rappresentato il fulcro e senza di esse l’offensivadal cielo sarebbe stata, non impossibile, ma certo problematica, molto costosa enon cosı̀ efficace, specie nei termini della cooperazione cielo-terra con le truppeoperanti. D’altra parte l’aviazione di base a terra risultava di impiego difficile es-sendole stato vietato l’uso delle basi situate nei paesi della regione: sarebbe po-tuta intervenire partendo da basi lontanissime, dagli Stati Uniti e dall’Europa,ma efficacia, tempestività e presenza sarebbero stati minimi. Questo fattore limi-tativo in termini di libera disponibilità di basi è un fatto che potrà ripetersi an-cora nel futuro e quindi sarà conveniente studiarne e allerstirne le alternative. Lostesso si può dire per l’offesa missilistica contro obiettivi afgani lanciata da bordodi unità navali che incrociavano nel Mare Arabico. Nell’operazione ‘‘EnduringFreedom’’, pur trattandosi di una guerra che si svolgeva in un paese interno elontano dal mare, le Marine hanno avuto un grande ruolo specie per il loro ap-porto aereo-missilistico, senza nulla togliere all’intensa attività di pattugliamento

    15

  • e di vigilanza marittima antiterrorismo e antievasione svolta nelle acque limitrofealla zona d’operazioni. Tanto per precisare si tratta di missioni, seppure in scalaridotta, che ancora oggi proseguono coll’impegno di varie Marine.

    A circa un anno e mezzo dai drammatici fatti di New York e di Washington edella successiva guerra contro il regime talebano in Afghanistan, è venuta a ma-turazione la crisi coll’Iraq di Saddam Hussein e il successivo intervento militaredella coalizione anglo-americana. L’Iraq, uno degli ‘‘stati canaglia’’ indicati dalPresidente degli Stati Uniti, è stato incolpato di disporre di armi di distruzionedi massa (WMD) e comunque di avere in corso programmi di sviluppo e di ac-quisizione di tali armamenti, e quindi di rappresentare una minaccia per la sicu-rezza mondiale, specie nella delicata e critica regione del Medio Oriente. Il risul-tato negativo delle ispezioni effettuate dagli esperti dell’ONU non convinseroWashington né, di conseguenza, Londra. Fu deciso quindi di passare, senzapiù negoziati e controlli, all’azione militare, con la prospettiva, un avolta abbat-tuto il regime di Saddam Hussein, di cominciare a ridisegnare la mappa geopo-litica del Medio Oriente e di influenzare in senso risolutivo il difficile e criticocammino verso la pace dell’annoso conflitto israelo-palestinese, senza trascurareeventuali mosse nei confronti di altri due rogue states quali la Siria e l’Iran.

    L’iniziativa militare anglo-americana, sostenuta da Spagna e Italia e da qual-che altra nazione minore, ha suscitato, come è noto, una specie di terremoto nel-le relazioni internazionali. Le Nazioni Unite, gran parte dell’Unione Europea, laRussia, la Cina e molti altri paesi non hanno mai avallato tale operazione, rifiu-tando ogni sua legittimazione e, ancor più, ogni loro sostegno all’impresa. Leoperazioni di guerra in Iraq si sono concluse come era già nei calcoli: in pochesettimane le forze armate irachene sono svanite nel nulla, inclusi i reparti dellafamosa e temuta Guardia Repubblicana, non estranea a ciò, una fertile attivitàdi intelligence diretta a intese sottobanco con le autorità militari e i comandi dellegrandi unità del’Esercito di Bagdad.

    L’esito rapido del conflitto sembrò confermare le previsioni più ottimistichedel Pentagono, mentre ora risulta fallita la previsione per una rapida pacificazio-ne del paese, per la sua democratizzazione e per una altrettanto veloce ricostru-zione e ammodernamento. Questi supposti non si sono verificati: siamo infattidavanti a una guerriglia sempre più organizzata, col concorso di combattentinon solo provenienti dalle file delle ex organizzazioni militari e di partito di Sad-dam Hussein, ma anche da elementi appartenenti a movimenti estremisti islamicifiltrati da altri paesi: Arabia Saudita, Giordania, Egitto, Cecenia, Siria, Afghani-stan, ecc. A ciò si aggiunge il contrasto interno o a questioni religiose, ma anche aben precisi interessi, specie nell’area nord-orientale dove è concentrato il megliodella produzione petrolifere. È credibile che la valutazione della situazione post-bellica abbia peccato di troppo ottimismo, poco tenendo conto della complessa

    16

  • realtà interna dell’Iraq, invenzione di un’entità statuale artificiale creata nell’im-mediato primo dopoguerra, nel 1920, e che al primo importante sommovimentoavrebbe potuto precipitare nell’instabilità più radicale, come pare stia accaden-do. La stessa risoluzione 1511 dell’ottobre 2003 da parte del Consiglio di Sicu-rezza delle Nazioni Unite che alfine promuove un qualche coinvolgimento diret-to dell’ONU nel riordino e nell’opera di pacificazione dell’Iraq, però con alcuneimportanti rinunce di partecipazione da parte di paesi importanti quali Francia,Russia e Germania, non suscita ferme speranze di una rapida soluzione dellaquestione irachena, almeno nei suoi aspetti più deteriori: ostilità verso gli esercitioccupanti o presenti, acrimonia interna fra le confessioni praticate dalla popola-zione, problema curdo, dispute e contrasti politici per il potere interno appenaavviato verso un processo di democratizzazione, mai conosciuto prima. Permanedunque una difficile condizione verso cui le organizzazioni internazionali, le al-leanze e le nazioni, specie le più importanti, quali gli Stati Uniti e l’Unione Eu-ropea, dovranno guardare con grande attenzione. Sul piano politico, o sulla cre-dibilità delle motivazioni che hanno portato all’iniziativa militare contro l’Iraq,grava il fatto che tutte le ispezioni prebelliche e, soprattutto, quelle condottecon grande intensità e impegno dopo la cessazione delle ostilità per il ritrova-mento di armi di distruzione di massa, non hanno portato ad alcun risultato:a oggi l’Iraq non sembra aver mai costituito alcun arsenale di WMD. È stato co-munque eliminato un regime dittatoriale ritenuto fonte di minaccia nel MedioOriente.

    La condotta della guerra in Iraq, diversa da quella in Afghanistan, ha vistoanch’essa un importante contributo delle forze navali della coalizione. Anchein questo caso l’apporto di efficacia è stato quello dell’aviazione e della missili-stica imbarcata che ha colpito obiettivi tattici e strategici del teatro d’operazioni.Basti rilevare che la Marina degli Stati Uniti, a un certo punto dell’operazione,aveva schierate in zona sei portaerei. Si aggiunga poi l’afflusso dei rifornimentivia mare che potevano raggiungere solo gli approdi del vicino Kuwait e, una vol-ta conquistati, quelli iracheni di Um Qasr e di Bassora. Da sottolineare ancorauna volta la rapidità di dispiegamento e di intervento in area delle forze navalial primo cenno di apertura della crisi, nonché l’efficacia del sistema strategicodi preposizionamento del complesso marittimo di forze, materiali e approviggio-namenti.

    La guerra totale al terrorismo, dichiarata dopo l’11 sttembre 2001 dagli StatiUniti ai quali si sono affiancati molti altri paesi, continua a imporre missioni inalto mare di pattugliamento, vigilanza, monitoraggio, ecc. a gran parte delle forzenavali nei confronti di migliaia di navi mercantili che ogni giorno sono in navi-gazione in ogni mare. Dal canto suo, il naviglio dei servizi di guardia costiera èmobilitato nella sorveglianza delle acque costiere e litoranee e di quelle portuali,

    17

  • impegnato in attività di prevenzione di attentati e sabotaggi con vettori prove-nienti dal mare, inclusa l’ispezione di carichi mercantili diretti verso destinazionisensibili a un qualsiasi attacco terroristico. Si può dire che tutto il mondo marit-timo stia attraversando un periodo di tensione generato dall’ampliamento pro-gressivo delle aree di instabilità e di crisi con le naturali conseguenze di impegnoin aumento per le marine e i servizi guardacoste attivi anche in altri ruoli: dalsoccorso in mare, all’attività di polizia marittima e di anticontrabbando, alla re-pressione delle attività criminali in mare, al contrasto ai flussi migratori clande-stini.

    Alla realtà dei conflitti e all’esigenza della garanzia di sicurezza che sembranogeograficamente ben localizzati, si aggiungono altre condizioni di crisi, che difrequente richiedono l’intervento di forze navali. Fra questi i non pochi conflittilocali e interni di paesi africani. La Sierra Leone ne è stata un esempio, ma ancorpiù di recente il conflitto interno della Liberia, quello in Costa d’Avorio e inCongo hanno obbligato a fare ricorso all’intervento di forze multinazionali egli interventi navali non sono stati pochi, specie quelli effettuati dalle Marinefrancese e americana. L’apparizione delle navi ha avuto sempre l’effetto di dimi-nuire la tensione, ancor più se accompagnata dalla messa a terra di reparti dasbarco trasportati dai gruppi navali. È stato cosı̀, ad esempio, in Liberia dovela fase acuta dello scontro si è subito attenuata non appena sono apparse nelleacque costiere le navi americane fra cui una componente anfibia che ha messoa terra il suo contingente di marines. Sono stati cosı̀ avviati negoziati di pacefra le fazioni opposte giungendo a un accordo, ma non appena i reparti da sbar-co si sono reimbarcati e le navi hanno lasciato le acque liberiane, la controversiaè ripresa a dispetto della presenza di un contingente multinazionale di peacekee-ping. È solo un esempio di quanto oggi le Marine siano impegnate a correre peril mondo dove una crisi succede ad un’altra.

    Si è accennato all’Africa, continente dove le emergenze non sembrano finiremai, mentre altri continenti non sono da meno. Un esempio ancor minore di ciò,ma significativo, il cui conflitto interno all’arcipelago delle isole Salomone — tea-tro di estreme battaglie combattute nella seconda guerra mondiale attorno all’i-sola di Guadalcanal tra americani e giapponesi — che ha provocato migliaia dimorti senza alcuna possibilità di addivenire ad un cessate il fuoco, ha obbligatol’Australia e la Nuova Zelanda a intervenire militarmente: la Marina è stata mo-bilitata, ha raggiunto le Salomone, ha mostrato i muscoli e ha messo a terra re-parti dell’Esercito con un compito di interposizione e quindi di peacekeeping. Ri-stabilito l’ordine, le forze australiane e neozelandesi hanno cominciato a ritirarsidallo scorso mese di ottobre.

    Nell’interno dei continenti non si contano quasi i paesi sconvolti da sommo-vimenti, terrorismo, guerre e guerriglie intestine: dal Nepal alla Cecenia, dalla

    18

  • Colombia al Ruanda, dal Sudan all’Indonesia, dalla Nigeria alle Filippine, dall’A-rabia Saudita allo Sri Lanka e cosı̀ via. Alcune non coinvolgono attività navali,altre sı̀, almeno intese come entità preliminari di forza per eventuali interventi.

    Nell’area del Mediterraneo ‘‘allargato’’, al di là della polveriera rappresentatadall’intero Medio Oriente, della guerriglia e del terrorismo interno in Algeria e digiustificati dubbi su una vera normalizzazione di alcuni territori balcanici, vi èl’ultra cinquantennale conflitto fra israeliani e palestinesi che ha, nella sua dram-maticità, del miracoloso pensando che sino a ora ha tenuto quasi sempre fuoridalla contea movimenti terroristici e rivoluzionari islamici estranei alla causa del-la Palestina. Conflitto di cui, sino a ora, non si riesce a vedere una via d’uscita,sebbene si siano moltiplicate le iniziative internazionali di pace che regolarmentesi scontrano contro gli opposti estremismi palestinesi e israeliani e contro posi-zioni e richieste radicali che si dimostrano inaccettabili. Il rischio è, ma forse ègià un fatto in atto, come potrebbero dimostrare recenti attentati (quello di Gazacontro funzionari civili americani addetti all’assistenza scolastica e universitaria),che l’estremismo palestinese accetti l’intervento del terrorismo islamico interna-zionale: a questo punto potrebbe presentarsi uno scenario, se non orribile, certotragico. Il principio che bisogna aver fede e lavorare affinché questa triste guerra— perché di guerra si tratta — giunga alla fine e a una pace sicura e consolidataè un obbligo per ognuno, ma non bisogna rimanere ciechi davanti alla possibilitàdi un allargamento conflittuale ancor più drammatico e crudele che investa tuttoil Levante mediterraneo e oltre. A quel punto non ci si potrà tirare indietro etoccherà in primo luogo agli Stati Uniti, all’Europa, forse alla Russia il compito,non facile, di brushfire. Si tratterà di proiettare probabilmente nel Mediterraneoorientale navi, aerei, mezzi, soldati per spegnere il conflitto e instaurare final-mente una situazione di distensione.

    Ma in fatto di tensioni lo scenario non è avaro. Se ci spostiamo più a est in-contriamo le preoccupazioni che procurano i programmi nucleari dell’Iran chenon presentano connotazioni proprie di un progetto di sviluppo di energia civile,in quanto alcuni processi sembrano diretti a fornire materia prima per la produ-zione di armi nucleari. L’Iran smentisce, ma il sospetto rimane. Si spera possaessere fugato dopo l’intervento dell’ottobre scorso compiuto dai rappresentantidi Gran Bretagna, Francia e Germania a nome dell’Unione Europea affinché l’I-ran accetti le ispezioni dell’ente delle Nazioni Unite per il controllo delle produ-zioni nucleari e rispetti le condizioni del trattato di non proliferazione nucleare.L’Iran si è mostrato disponibile, ma se ciò non avvenisse si creerebbe un nuovostato di tensione nella già tormentata area del Golfo dove si potrebbe innescareun contenzioso che potrebbe chiamare in causa la dottrina della guerra preven-tiva (o di azioni circoscritte e limitate nel tempo e nello spazio) cosı̀ come enun-ciata a suo tempo dal governo degli Stati Uniti. Scenario dunque da tenere d’oc-

    19

  • chio e con forze predisposte, anche se dopo l’ottobre 2003, come accennato, Te-heran si è dichiarata pronta a rivedere la sua politica nucleare e a sottomettersialle ispezioni, anche non programmate, dell’IAEA, decisione che dovrebbe ral-lentare la tensione in zona.

    Fra l’Oceano Indiano, il Mare Arabico e il Golfo del Bengala si protende ilsubcontinente indiano, certo non scevro da sommovimenti di vario genere eda pericolosi rischi bellici. L’India, potenza nucleare e militare, si presenta oggianche come la più grande potenza navale fra l’Europa e il Sud-Est asiatico. Il suocontenzioso è col Pakistan, altra potenza nucleare sebbene militarmente inferioreall’India. La materia del contendere è la regione del Kashmir, contesa da semprefra i due paesi, con acutizzazioni del contrasto che hanno portato più di una vol-ta alla soglia di una guerra che da convenzionale potrebbe presto volgersi in nu-cleare, per poi tornare a situazioni di trattative e negoziati che a poco portanomentre non sono estranei nel territorio conteso azioni di guerriglia e di sabotag-gio. Si aggiunga inoltre che fra questi due paesi nuclearizzati non vi è solo la crisidel Kashmir, ma esistono vecchie dispute e antichi risentimenti di natura religio-sa e di interessi strategici specie nelle fasce di confine. È trascorso poco più di unanno da quando si andò vicini alla guerra: vi furono tiri di artiglieria, combatti-menti fra piccoli reparti, furono schierati — da una parte e dall’altra del confine— circa due milioni di soldati fra tutti e due i contendenti, un consistente grup-po navale della Marina indiana prese il mare con rotta nord-ovest in direzionedel Pakistan e anche le navi della Marina pachistana — di molto inferiore a quel-la antagonista — uscirono comunque dalle basi; New Delhi e Islamabad non esi-tarono a fare cenno di essere pronti a usare l’arma nucleare. L’impegno diploma-tico internazionale fece in modo che l’incendio fosse estinto. Tuttavia lo scenariodi crisi permane e in questo la considerevole flotta indiana potrebbe avere unruolo da non sottovalutare, non solo nei confronti della Marina pachistana,ma anche verso quelli di qualsiasi coalizione internazionale che volesse interve-nire per ristabilire ordine e pace e che l’India non ritenesse ciò opportuno odi suo gradimento. Da tenere presente in questo contesto la comparsa di primeforme di collaborazione militare fra India, Israele e Stati Uniti.

    Il Sud-Est asiatico è un’altra regione che ha i suoi problemi di instabilità in-terna con manifestazioni di terrorismo e di guerriglia, arginati in qualche mododalle forze armate e di sicurezza locali, talvolta assistite da esperti e consulentimilitari di altre nazionalità. L’attività navale è frequente per compiti connessicon le condizioni conflittuali in corso, quali il pattugliamento, il controllo deimovimenti marittimi e il trasporto e la messa a terra di reparti di truppa impe-gnati nella ricerca e nell’ingaggio delle formazioni guerrigliere. Questo avvienesoprattutto in Indonesia e nelle Filipine.

    Lo stato di allerta è al massimo in Estremo Oriente dove la crisi è provocata

    20

  • dall’atteggiamento della Corea del Nord in fatto di programmi di armamenti nu-cleari e missilistici. Il sensibile sviluppo impresso nella ricerca e nella produzionedi queste due componenti strategiche dell’arsenale nordcoreano, solleva ormaida tempo l’apprensione dei paesi limitrofi: Corea del Sud e Giappone in primoluogo. Gli Stati Uniti hanno rafforzato il loro dispositivo militare in EstremoOriente, contemporaneamente al loro impegno nella guerra in Iraq, e hanno ri-chiesto, con vari toni, che la Corea del Nord interrompa il suo programma nu-cleare e distrugga il suo arsenale atomico. Pyongyang replica in modo negativorichiedendo un trattato di non aggressione e consistenti aiuti economici, altri-menti continuerà nel programma ritenendosi minacciata d’invasione. La situazio-ne si sta trascinando in questi termini sebbene non manchino continue iniziativedi negoziato attraverso la Russia, la Cina, il Giappone e la Corea del Sud. Nonmancano i presupposti per il ricorso a una guerra preventiva, essendo la Coreadel Nord considerata uno dei rogue states, ma gli Stati Uniti, almeno per ora e inquesto caso, continuano a cercare la possibilità di una trattavia giusta attraversoe assieme agli altri paesi più sopra citati. D’altra parte una presa di posizione mi-litare presenterebbe qualche problema visto l’impegno che gli Stati Uniti devonoancora mantenere in Afghanistan e in Iraq. Permane dunque uno stato di tensio-ne in attesa di nuovi sviluppi, ma il dispositivo, specie quello aeronavale, degliStati Uniti nella regione rimane operativamente pronto, mentre il governo dellaCorea del Nord continua a respingere ogni proposta che non soddisfi le sue in-tere richieste.

    21

  • CAPITOLO IINATO/UE: LA CRISI DEI RAPPORTI TRANSATLANTICI.

    LA DIMENSIONE MILITARE EUROPEA

    Se lo scenario internazionale è quello che è, contrassegnato da condizioni diinstabilità e di conflittualità estese, sul piano politico ed economico la situazionepresenta aspetti che non possono non preoccupare per l’avvenire. In primo pia-no si pongono i turbamenti che travagliano i rapporti tra le due sponde dell’A-tlantico, fra gli Stati Uniti e i paesi dell’Unione Europea. Sembra purtroppo fi-nita l’epoca del solidarismo e della compattezza euroatlantica, forse un legameche più che sentito era avvertito, dagli europei, come una polizza d’assicurazionecontro eventuali mosse offensive ed espansionistiche dell’Unione Sovietica. Pas-sare, con la fine della Guerra Fredda, dal mondo bipolare a una realtà unipolare,non piace a tutti e, specie in Europa, non mancano spinte di presa di libertà d’a-zione che genera contrasti con gli Stati Uniti.

    Non è questa la sede per analizzare i complessi aspetti critici delle relazionitransatlantiche: bisogna infatti osservare che la crisi di tali rapporti non va adde-bitata solo al momento della guerra all’Iraq, decisione americana non condivisa eavversata da importanti paesi dell’Unione Europea, quali la Francia e la Germa-nia, perché di motivi ve n’erano e di preesistenti a cominciare dal problema delletariffe doganali sui prodotti dell’acciaio e di altri comparti merceologici a quellodella concorrenza euro-dollaro, dalle regole del commercio in seno al WTO alledifferenze di comportamento nei confronti dell’efficacia del ruolo delle NazioniUnite, alla ruggine creatasi in seguito agli interventi militari in territori dei Bal-cani. Occasioni, queste ultime, in cui gli americani hanno avuto modo di lamen-tarsi delle difficoltà frapposte da alcuni governi europei alla condotta delle ope-razioni di guerra e di aumentare il loro grado di scetticismo verso le capacità e levolontà militari degli alleati europei. Paesi che mirano a resuscitare un ruolo dipotenze guida in Europa, nell’ambito dell’Unione, quali la Germania e la Fran-cia, hanno opposto il loro dissenso verso ogni aspetto della politica internaziona-le degli Stati Uniti, dalla dottrina della guerra preventiva a quella dei rouge states,a quella del ruolo e del nuovo carattere che dovrebbe assumere l’Alleanza Atlan-tica, la NATO, che, almeno in una visione di Parigi dovrebbe scomparire inqualche modo sostituita da una capacità militare europea, resa autonoma e indi-pendente da quella americana. Forse è solo velleitarismo di maniera, forse sonomanifestazioni di insofferenza verso una situazione creata indubbiamente da una

    22

  • condotta unilaterale della politica e della strategia americana che pesa sulla ri-chiesta avanzata dall’Europa di un multilateralismo partecipato. Giusta posizio-ne in linea di principio, ma un conto sono le responsabilità, le vedute e le esigen-ze planetarie di una super-potenza, altre quelle di un’Unione di paesi ancora so-vrani sotto l’aspetto politico-militare e dove ognuno rappresenta ancora uninsieme di interessi nazionali cui non sembra voler venire meno, specie quandoil loro numero, nell’ambito dell’Unione, sta diventando, se non pletorico, certoaffollato. Non è inoltre da credere che queste lesioni o demolizioni dei rapportieuroamericani dipendano da un tipo di amministrazione americana anziché daun’altra, perché, non scordiamolo, frizioni e insofferenze erano già manifeste an-che con la precedente amministrazione americana, cioè quella del presidenteClinton e del Partito Democratico.

    La crisi dei rapporti fra gli Stati Uniti e l’Unione Europea si è manifestata intutta la sua ampiezza e nel suo aggravamento in occasione della guerra all’Iraq,condannata in gran parte dal Vecchio Continente — coll’eccezione di Regno Uni-to, Italia, Spagna, Paesi Bassi — perché ritenuta priva di legittimazione da partedelle Nazioni Unite e considerata un atto unilaterale dell’America. Non estraneanella scelta di questa posizione il tentativo della difesa di interessi economici e po-litici che importanti nazioni europee avevano in Iraq e che vedevano messi in pe-ricolo e in discussione a causa della guerra. La stessa costruzione dell’Unione Eu-ropea ha sofferto di un sisma strutturale essendosi spaccata al suo interno fra pae-si dissociati e avversi alle decisioni degli Stati Uniti e paesi invece favorevoli e inappoggio a Washington. È stato certamente il momento di più basso livello per lerelazioni transatlantiche. La rapida conclusione delle ostilità e il guerreggiato do-poguerra non hanno dissolto il differente schieramento europeo fatta salva unaserie di dichiarazioni di ritorno alla piena concordia del passato sul piano diben studiate espressioni diplomatiche formalmente ineccepibili, ma non altret-tanto nella sostanza. Lo stesso e peggio dicasi nei rapporti ora correnti fra idue versanti dell’Atlantico: l’umanimità raccolta al Consiglio di Sicurezza dell’O-NU nell’ottobre 2003 dalla risoluzione 1511 avanzata dagli Stati Uniti, apertasi aun qualche cenno di multilateralità, non ha illuso alcuno: anche in questo atto sidovrebbe trattare più di forma che di sostanza, tanto più che importanti paesi del-l’Unione Europea — in prima linea sempre Francia e Germania — si sono affret-tati a precisare che non si sentono impegnati a inviare in Iraq forze militari né con-tributi economici. È vero che le posizioni in politica internazionale possono cam-biare da un giorno all’altro, ma allo stato dei fatti non sembra ci siano aperture.

    La guerra irachena è stata il detonatore di una carica già innescata che minac-ciava le relazioni America-Europa, ma i suoi effetti si sono ripercossi su un pianopolitico-strategico molto delicato, anzi difficile: la sorte della NATO, la costru-zione di un’entità autonoma militare europea, i rapporti fra le due organizzazio-

    23

  • ni. È noto che in Europa, specie da parte della Francia e di qualche altra nazionedell’Unione vi sia da tempo il progetto, l’obiettivo di superare la NATO comealleanza militare cosı̀ da tagliare ogni vincolo di subalternità e, forse, di coope-razione con gli Stati Uniti, sostituendo il tutto con un’identità militare europeache provveda per suo conto alla difesa e alla sicurezza sia dell’Europa sia dellapace nel mondo. Soluzione che significherebbe mettersi in competizione col vec-chio alleato americano, arrivando sino a insistere sull’ambizione di competereanche tecnologicamente con questi. Progetto lodevole sotto alcuni aspetti, ma,riteniamo, piuttosto velleitario e comunque lontano nel tempo considerando an-che solo i problemi economici che affliggono i paesi europei e che li pongono inseria difficoltà ai fini di un aumento significativo dei loro bilanci militari che sirenderebbe necessario se volessero realizzare l’obiettivo. Più ragionevolmentesi può credere al modesto incremento di qualche decimale nella percentualedi bilancio sul PIL che poco cambierebbe delle condizioni attuali delle forze ar-mate europee. Forse il miraggio della forza armata europea lo si potrà raggiun-gere il giorno che si avrà una vera e propria unione politica e che le forze armatepotranno unificarsi in un tutt’uno con numeri inferiori agli attuali, risparmi dibilancio, guadagni in efficacia ed efficienza: ma quando sarà realizzabile una cosadel genere? Per il momento e per il futuro prevedibile non si può andare al di làdi reparti, unità, mezzi, personale assegnati a richiesta o a turno a comandi qua-dro istituiti su base europea: insomma una ripetizione o un doppione di quelloche è stato ed è fatto con la NATO. In fondo è quello che è stato previsto per ilprimo esperimento di costituzione di una grande unità europea di reazione rapi-da (60.000 soldati), a livello di corpo d’armata, per compiti preminenti di prea-cekeeping, con relativi supporti aerei e navali. Già non sono mancati e non man-cano problemi in questa direzione dove giocano ancora troppi interessi e vedutenazionali nonché residue gelosie di sovranità. Si vedrà poi, una volta creato lostrumento, il grado che avrà di efficacia operativa, considerato anche il fattogià scontato e concesso, dell’accesso a determinate strutture NATO di pianifica-zione, trasporto aereo strategico, sistemi di sorveglianza e ricognizione, di comu-nicazioni e comando e controllo, di cui la creazione europea ne è carente e lorimarrà ancora per anni.

    La proposta avanzata da Francia, Germania e Belgio per l’istituzione di uncomando supremo europeo, istituito quasi come contraltare del comando supre-mo della NATO — addirittura a pochi chilometri l’uno dall’altro — è visto conostilità da altri paesi europei cominciando dalla Gran Bretagna che pur essendomolto interessata alla creazione dell’entità militare europea, intende che questa simantenga collegata alla NATO e quindi con gli Stati Uniti. Uno dei commentipiù frequenti in proposito è stato quello che ‘‘l’Europa ha bisogno di forze ope-rative pronte e non di eserciti fatti di carte e poltrone’’.

    24

  • È scontato che oltre Atlantico queste inquietudini europee, questi aneliti direvanchismo politico e strategico provochino reazioni che portano anche a insi-stere su un nuovo ruolo della NATO per la difesa e la sicurezza degli interessicomuni. Misura significativa è stata quella della costituzione per il 2006 di unaunità NATO di risposta rapida, con 20.000 militari, pronta e articolata per in-tervenire in tempi estremamente brevi in qualsiasi area di crisi.

    Non è un’istanza nuova la richiesta della NATO affinché gli alleati europeiinvestano di più nei loro bilanci militari e rafforzino il ruolo delle loro forze ar-mate: soluzione compatibile con la costituzione dell’entità militare europea, ma apatto di preservare il rapporto che lega gli alleati. Le forze dell’Unione Europeapotranno essere complementari ma non alternative a quelle della NATO. Po-tranno intervenire, se lo vorranno, dove e come la NATO non intenda farlo.Ma questo non vuol dire liquidare l’Alleanza Atlantica, né creare doppioni o ri-dondanze, né dare luogo ad ambizioni di sapore antico che poco hanno a chefare con gli aspetti del mondo d’oggi.

    Sappiamo che non esistono risorse per consentire che ogni paese possa sin-golarmente provvedere per via autarchica alla propria difesa e sicurezza totale.Le esigenze di questo tipo vanno ricercate e risolte nella realtà di unioni e comu-nità di nazioni, di cui l’Europa ne è un esempio. Sul piano industriale molto si èfatto in termini di ricerca, sviluppo e industrializzazione di mezzi e sistemi adot-tati da più nazioni dell’Unione; però si è ancora lontani da un’omogeneizzazioneo unificazione degli armamenti. Gli arsenali europei continuano a essere nazio-nalmente troppo differenti anche se esistono programmi plurinazionali che perònon sono mai globalmente adottati: tre paesi si mettono d’accordo per costruireun tipo di nave, ma ve ne sono altri due che ne costruiscono un tipo diverso seb-bene della stessa categoria e altri due che preferiscono progetti nazionali, pur si-stemandoci a bordo, meno male, alcuni, ma non tutti, sistemi omologhi. Non esi-ste un tipo unificato di carro armato o di pezzo d’artiglieria e anche nel settoreaeronautico siamo ancora lontani da un’unificazione tipologica europea. È chia-ro che ciò deriva da scelte politiche dove non sono estranee le tutele a industrieche rimangono ancora nazionali, mentre nel settore aerospaziale ed in quello deisistemi si è certamente più avanti nel processo di integrazione continentale, enon solo; in altri si è ancora vincolati ad una visione ristretta agli orizzonti di in-teressi locali. È un po’ il caso dell’industria cantieristica che se si muovesse nellastessa direzione in cui si è mossa quella aerospaziale, ci si potrebbe attendere laproposta di tipi unificati di piattaforme navali e di apparati motori marini conuna serie di vantaggi di vario genere, inclusi quelli economici a beneficio dellenon troppe doviziose risorse di bilancio. Qualcosa si sta muovendo nel settore,dapprima con gli americani che hanno voluto acquisire la Howaldtswerke Deut-sche Werft specializzata nella costruzione di sottomarini diesel-elettrici, ma che

    25

  • hanno rimesso rapidamente sul mercato viste le difficoltà di produzione di queimezzi navali destinati anche a paesi ‘‘critici’’ quale Taiwan (ne andrebbero dimezzo i rapporti con la Cina); ora con manovre che vedono grandi gruppi fran-cesi e tedeschi del settore alla ricerca di fusioni e integrazioni con altri cantierieuropei.

    In complesso un’entità europea di difesa è in cammino, un percorso lento edifficile, ma necessario da percorrere sia sotto il profilo politico, sia sotto quelloeconomico-tecnologico, sia sotto quello militare. Il punto è continuare a salva-guardare e a rinnovare quanto c’è di esistente, nell’ottica politica che i rapportitransatlantici o euroamericani non possono venire meno riconoscendo a ognunadelle due parti la realtà del proprio ruolo, della propria funzione e delle propriereali capacità senza ricorrere a vane pretese competitive.

    26

  • CAPITOLO IIILA DIMENSIONE NAVALE EUROPEA

    Se parliamo di una dimensione militare europea, al di là di ciò che potrà es-sere, è naturale che ci si domandi quale potrà essere la dimensione navale euro-pea. Oggi abbiamo un dato certo, l’Unione Europea dispone del più grandecomplesso navale dopo quello degli Stati Uniti, almeno per quello che riguardale forze navali convenzionali, in quanto la componente strategica deterrente ècomposta di soli nove sottomarini SSBN in possesso delle Marine francese e bri-tannica, mentre la Russia ne conta di più, 17 almeno sulla carta, collocandosi alsecondo posto. Sono forze navali che hanno però bisogno di un rinnovamento edi linee di naviglio in parte differenti da quelle del periodo della Guerra Fredda.Questo processo è in corso, non senza qualche difficoltà, ma è prevedibile cheintorno al 2010 le Marine europee potranno dirsi quasi completamente rinnova-te.

    La dimensione militare marittima dell’Unione Europea non è un qualcosa dainventare godendo di una più che cinquantennale esperienza di stretta coopera-zione in ambito NATO, specie con le forze navali standing e on call che si sonosuccedute nel tempo. Inoltre, da qualche anno, vi sono strutture operative dinetta marca europea che collegano insieme diverse Marine attraverso accordibi/multilaterali. Prendendo ad esempio quelle cui aderisce la Marina italiana,si hanno già l’EUROMARFOR (con Francia, Spagna e Portogallo), la SIAF(Spanish-Italian Amphibious Force) e la SILF (Spanish-Italian Landing Force),cui si aggiungono nuove iniziative di sviluppo e impiego europeo quali l’EAI(European Amphibious Initiative) con Italia, Francia, Regno Unito, Spagna,Paesi Bassi; l’EMI (European Maritime Initiative) cui partecipano tutti i paesidell’Unione Europea con lo scopo di assistenza nel processo di formulazionedi una policy marittima europea.

    Il problema è definire come si può articolare una concreta dimensione marit-tima europea, come si dovranno conformare in proposito le varie Marine perconcorrere alla creazione di uno strumento navale integrato, equilibrato, bilan-ciato, uniforme il più possibile, efficiente ed efficace. Il problema non è nuovoe da anni si pensa alla miglior soluzione che eviti spreco di risorse, dispersionidi capacità, sovrapposizioni e ridondanze.

    Proprio nella ricerca di tutto questo sono esaminate alcune alternative che

    27

  • potrebbero essere assunte dall’Europa navale. Una soluzione apparentemente at-traente è quella della divisione dei compiti, con la conseguente esigenza di unaspecializzazione per settori di attività. Però la specializzazione per compiti richie-de un livello di integrazione politica e una chiarezza di situazione strategica cheal momento e per il futuro, non è chiaramente ipotizzabile. La specializzazioneha bisogno di riferimenti precisi, è essenzialmente statica, riduce o annulla laflessibilità richiesta dalla politica e produce effetti quasi irreversibili. La perditadi alcune capacità operative a vantaggio di altre inaridisce e restringe la visionestessa dei problemi e delle situazioni operative, oltre ad annullare certe potenzia-lità tecnologiche. Inoltre la specializzazione potrebbe favorire lo scarico di re-sponsabilità fra partner e la difficoltà di stabilire chi dovrebbe decidere la ripar-tizione di specialità e di ruoli e a chi affidarli. La specializzazione appare quindiuna via da non seguire.

    Anche il concetto, il secondo, basato sulla posizione geografica delle varie Ma-rine, porterebbe alla creazione di sottogruppi regionali con limiti di una certarigidità ai teatri operativi, a danno della flessibilità, mobilità, efficacia, integrazio-ne dell’insieme delle forze navali, pur apportandovi occasionalmente correzioniche consentirebbero di uscire dai limiti geografici fissati. Comunque anche que-sta soluzione non sarebbe la migliore.

    Il terzo concetto appare sotto una luce migliore: è quello della complementa-rietà, in quanto può consentire di ovviare a rispettive debolezze attraverso lasomma di capacità operative complementari. È evidente che tra le Marine euro-pee ci possono essere differenze di capacità dipendenti dalla tipologia o da undiverso bilanciamento delle forze: è il caso in cui la somma di esistenti capacitàcomplementari potrebbe fornire una risposta valida a fronte di specifiche esigen-ze. Ma, in cauda venenum, c’è il rischio che il criterio della complementarietà sci-voli progressivamente verso la specializzazione, soluzione che, come si è visto,non appare adottabile.

    L’ultimo e quarto criterio ci appare il più valido e adatto: quello della omo-geneità delle forze. Infatti l’omogeneità richiede strumenti bilanciati, per quantopossibile simili, in grado di fornire livelli di risposte adeguate attraverso il con-tributo omogeneo dei singoli partner. La similitudine degli strumenti comportavantaggi evidenti. In primo luogo consente ai singoli paesi di conservare una pro-pria flessibilità operativa. Viene poi garantito il mantenimento di quelle cono-scenze ad ampio spettro che facilitano il confronto e la collaborazione nel campodelle dottrine tattiche, delle procedure, dei metodi, delle soluzioni tecniche, ecc.È anche evidente che questo tipo di soluzione richiede un più alto grado di in-teroperabilità e questo tende a promuovere l’unificazione tipologica dei mezzinonché a facilitare la piena integrazione delle forze e l’evoluzione verso una lo-gistica comune, con evidenti vantaggi anche di ordine economico. Inoltre c’è da

    28

  • tenere realisticamente conto, che gli interessi nazionali rimarranno ancora neltempo un fattore determinante delle politiche di sicurezza dei molti paesi euro-pei raccolti nell’Unione, procurando eccezioni o dissensi all’unicità della decisio-ne politica di questa, cosı̀ come è stato per la crisi dell’Iraq e per altri aspetti. Lasoluzione dell’omogeneità appare quella da adottare, fermo restando che formespecifiche di cooperazione potranno anche concretizzarsi sia su base regionalesia in forme complementari.

    29

  • CAPITOLO IVEVOLUZIONE DEI RUOLI DELLE MARINE.

    LA FUNZIONE ANTITERRORISMO

    I ruoli delle Marine, è dimostrato, non sono cambiati molto nell’arco delloscorso triennio, salvo il maggior peso di un ruolo passato a un altro di frontea esigenze stratetiche e operative del tempo. È evidente che il ruolo connessocon l’esercizio della funzione di proiezione di forza o di potenza, è quello cheha assunto un maggior rilievo direttamente collegato all’esigenza di interventiin situazioni di crisi oltremare che si manifestano o possono manifestarsi in ogniparte del mondo. Ciò può avvenire senza che ci sia più bisogno di conquistarequel controllo del mare che una volta era condizione preliminare e fondamentaleper condurre operazioni di proiezione. Oggi, salvo situazioni molto circoscritte eimprobabili, non esiste più una sfida al sea control né la possibilità di guerre na-vali per la sua conquista. Rimane il fatto che controllo del mare e proiezione dipotenza, esercitati entrambi in e attraverso l’alto mare, richiedono in parte stru-menti analoghi con bivalenza operativa per le due condizioni. La stessa negazio-ne delle acque, il sea denial, è un principio che si accompagna a quello di proie-zione, intendendolo come una capacità di negazione del mare in aree ristrettedavanti o attorno alle coste che siano obiettivo di una missione di proiezione,estendendolo al concetto operativo di littoral warfare. La difesa dei confini ma-rittimi e la sicurezza delle acque territoriali e di interesse economico, pur rima-nendo fra i compiti istituzionali delle marine militari come constabulari role, rap-presenano sempre più di frequente area d’interventi di polizia marittima e di sor-veglianza guardacoste.

    Se la power projection è il ruolo che appare in auge e se consideriamo che, inparte, il sea control è un criterio considerato ormai acquisito e non più conteso,nonché superato nell’accezione d’un tipo del conseguimento imperiale del com-mand of sea, cioè del dominio del mare, occorre riconoscere che certi suoi aspet-ti, apparenemente secondari, hanno e mantengono un’importanza di rilievo co-me ruolo qualificante delle forze navali.

    Questo riconoscimento si rivolge al ruolo di pattugliamento e di vigilanza inalto mare che le marine militari stanno svolgendo agli effetti della condotta dellaguerra al terrorismo e della sorveglianza nei confronti di traffici marittimi illecitiattraverso le ‘‘acque blu’’.

    30

  • Tanto per dare un esempio di ciò, il compito che le forze navali della NATOstanno svolgendo in Mediterraneo, sotto il controllo del COMNAVSOUTH consede a Napoli e diretto da un ammiraglio italiano, per assicurare a questa vitalearea strategica ed economica la sicurezza e la normalità del traffico marittimo,compito assunto dal 26 ottobre 2001, ha comportato il monitoraggio di35.285 navi in transito nel Mediterraneo occidentale e orientale e la scorta di340 navi suscettibili di possibili attacchi terroristici attraverso lo stretto di Gibil-terra. Tale genere di pattugliamento e sorveglianza ha provocato una consistenteriduzione delle attività illecita in mare 1.

    Si dovrebbe concludere che gli odierni ruoli delle Marine hanno una loro sca-la d’importanza che passa attraverso le capacità di power projection ashore, di seacontrol di stabilità e sicurezza, di sea denial ashore. L’operatività d’intervento ol-tremare è un’esigenza corrente in considerazione del ventaglio di crisi che richie-dono l’intervento di forze multinazionali nella formula del joint & combined, maagli effetti dell’operatività tesa alla sicurezza marittima in funzione antiterrorismole Marine stanno modificando in parte l’esercizio delle loro capacità.

    A tale proposito è illuminante la tesi Influenza del terrorismo sulle opzionistrategiche navali elaborata all’Istituto di Studi Militari Marittimi di Veneziadal comandante Luca Licciardi, da cui si traggono alcuni passi per meglio illu-strare questo nuovo aspetto delle operazioni sul mare e sull’impiego in propositodelle forze navali. Premesso che gli atti riconducibili a moventi terroristici in ma-re sono stati sino a ora piuttosto scarsi, anche se non lo sono affatto quelli con-nessi alla criminalità comune e alla pirateria, vediamo come si conformano le ca-pacità di ruolo espresse dalle Marine.

    Il Sea Control e la lotta al terrorismo

    Nella lotta al terrorismo, l’efficace controllo del mare non dipende più solodalla capacità bellica dei singoli mezzi impegnati in tale tipo di missione, ma an-che dalla sostenibilità di uno sforzo capillare prolungato nel tempo, per monito-rare ogni singolo natante nell’area di responsabilità. In questo caso infatti il ‘‘ne-mico’’ non è evidente, si muove nella clandestinità, e ha l’iniziativa sulla scelta deimezzi, dei tempi e degli obiettivi. Inoltre le forze navali impegnate nella lotta alterrorismo devono avere un adeguato livello tecnologico, che ne assicuri un buonlivello di autodifesa e di sopravvivenza in caso di attacco terroristico.

    31

    1 Dichiarazione del Segretario Generale della NATO, Lord George Robertson, fatta al Finan-cial Times del 23 ottobre 2003.

  • Il Sea Denial, un’opzione per il terrorismo

    Indubbiamente l’interdizione del mare è quella che più si avvicina alla logicaasimmetrica del terrorismo, perché può dare la capacità di tenere testa a chi èpiù grande o più forte. L’attrazione esercitata dalla possibilità di interdire unazona di mare o un punto focale (choke point) è forte, specialmente perché esistela prospettiva di influenzare gli scenari internazionali. La guerra di mine può es-sere una forma di sea denial facilmente attuabile dagli attori del terrorismo. L’u-so delle mine, armi a basso costo che non richiedono particolari capacità nel loroutilizzo è altrettanto agevole con l’impiego di navi mercantili o di imbarcazionida pesca, senza destare evidenti sospetti.

    Una variante del sea denial è il sea tripwire la cui premessa è che la creazionedi condizioni rischio non è un compito a se stante, ma una variante di altri com-piti. Anche nelle azioni militari a più alto livello di violenza, lo stato più grandenon può essere sicuro della vittoria: è possibile che usando l’inganno, la sorpresa,la conoscenza della situazione geografica e l’abilità tattica, una forza minore, perun breve periodo, possa infliggere perdite inaccettabili all’avversario. L’obiettivoè quello di creare una barriera tale da fare correre un certo livello di rischio a chivuole superarla. Nella guerra convenzionale, una forza destinata a fare corrererischi deve avere un qualche grado di sopravvivenza per offrire un’immaginedi credibilità nei confronti del potenziale avversario. Ma quando si spezzanole regole ‘‘classiche’’ (e questo è il caso del terrorismo), quando gli uomini sonosacrificabili per la causa, e soprattutto quando i metodi di lotta tendono all’im-piego di barchini esplosivi (Vds. il caso del caccia Cole della Marina americana) oaltre soluzioni a ‘‘basso costo’’, la soglia di rischio è facilmente elevabile con unottimo rapporto costo-efficacia.

    Proiezione di potenza dal mare

    È evidente che le caratteristiche della capacità di power projection ashore neprecludono l’uso da parte delle organizzazioni terroristiche che, operando nellaclandestinità e in condizioni di inferiorità rispetto agli avversari internazionali,in termini di equipaggiamento e mezzi, non possono adottare una simile strate-gia per il conseguimento dei propri obiettivi, mentre è vero il contrario, cioè levariegate possibilità che si offrono a chi dispone di tale capacità di colpire, oc-cupare, distruggere insediamenti e rifugi di queste organizzazioni. Ma anchequesto aspetto può incontrare delle nuove e dimostrate difficoltà in quanto laproiezione di potenza non può più essere intesa come una semplice capacità

    32

  • di influenza dal mare sulle obiettivi terrestri. Questo lato meramente militaredeve affiancarsi a una gestione poliedrica della campagna antiterrorismo, cosı̀come sta avvenendo nella guerra globale al terrorismo condotta sotto la guidadegli Stati Uniti. Infatti, l’impiego del potenziale militare di uno Stato o diuna coalizione internazionale contro un’organizzazione terroristica, rischierebbedi essere ininfluente senza il sostegno di provvedimenti diplomatici, politici,economici e, non ultimo, di operazioni in favore delle popolazioni vittime delterrorismo.

    Il terrorismo si può quindi considerare un metodo di lotta che si distinguedalle strategie militari perché basato sulla psicologia della violenza. Esso miracon l’uso di questa o con la minaccia della stessa a creare stati di paura nei con-fronti di governi, autorità e popolazioni, specie verso queste ultime intese comeobiettivo emozionale dell’atto terroristico. Le vie e i mezzi di comunicazione ma-rittima, possono rappresentare per i terroristi un ‘‘facile’’ veicolo di questo mes-saggio. Gli attacchi alle navi (militari e non: pensiamo all’impatto psicologico chepotrebbe rappresentare un attacco terroristico contro una affollata grande naveda crociera) e alle infrastrutture marittime, colpiscono un lato debole degli stati,hanno il potenziale per indebolirne la stabilità politica ed economica, e in alcunicasi potrebbero causare veri e propri disastri ecologici con l’affondamento o ladistruzione del bersaglio. Normalmente questi attentati avvengono con ordigniesplosivi o col minamento, riconosciuto come la forma più pericolosa, data la fa-cilità d’impiego e la totale assenza di discrezionalità nella scelta del bersaglio. Al-tre forme di terrorismo marittimo possono essere il bersagliamento del natantecon armi da fuoco, razzi o missili, quale attacco intimidatorio o dimostrativonei confronti della nazione/istituzione rappresentata dal natante; l’intrusione vio-lenta a bordo di una nave (l’episodio dell’Achille Lauro ne fu un esempio soft), ilsequestro di un mercantile per fini di violenza dimostrativa o politica. Sono tuttiatti facilmente realizzabili.

    Dall’analisi del fenomeno ‘‘terrorismo’’ e dei suoi risvolti sul mare e sulleoperazioni marittime, emerge una moderna tendenza a forme di sea controlche sempre più si avvicinano alla attività di polizia marittima in acque d’altura.Questo tipo di operazioni richiede, nella lotta al terrorismo, una crescente ca-pacità tecnologica dei mezzi impiegati accompagnata da altri elementi chiavequali l’intelligence, l’addestramento, la protezione delle forze, la capacità di rea-gire con prontezza attraverso adeguate forze specialistiche (CMM e reparti spe-ciali).

    Scontata la considerazione che le moderne missioni di sea control sarannopressoché sempre inquadrate in coalizioni internazionali — per cui si rende ne-cessario lo sviluppo di tattiche e procedure comuni da impiegare anche fuori delcontesto NATO — bisogna inoltre considerare che per un’efficace power projec-

    33

  • tion bisogna inserire la campagna militare, senza abbandonare i criteri della stra-tegia classica, in un contesto globale che risponda alla logica asimmetrica del ter-rorismo su molteplici fronti, e alla stessa velocità con cui i terroristi hanno dimo-strato di potersi muovere 2.

    34

    2 Quanto tratto in proposito dalla citata tesi del Com.te Licciardi, trova pubblicazione integra-le nel periodico Osservatorio dell’Istituto di Studi Militari Marittimi, n. 122, primavera 2002.

  • CAPITOLO VIL PROCESSO DI RINNOVAMENTO DELLE FLOTTE

    Le situazioni in cui si stanno muovendo le singole forze navali sono sintetiz-zate all’interno dell’Almanacco Navale, nelle note poste in apertura per tutte leMarine principali e per alcune delle minori: funzioni, ruoli, impiego, stato delnaviglio, linee di tendenza, programmi, sviluppi futuri. Quello che qui invece in-teressa è vedere nell’insieme come si presenta oggi il rinnovamento delle flotte.

    Il processo di ammodernamento degli strumenti navali è indubbiamente incorso, un corso lento e quantitativamente circoscritto, tanto da non soddisfarein tempi più brevi aspettative ed esigenze delle Marine. Vi congiurano situazionieconomiche e finanziarie generali e nazionali — si pensi al travaglio di non pochiimportanti paesi europei che trovano difficoltà a rispettare il patto di stabilitàprevisto e sottoscritto per l’UME (Unione Monetaria Europea) e, tra altre misuredi bilancio, il taglio o l’ibernazione delle spese militari. L’ammodernamento delleforze navali si rivela come un gioco a incastro dove, partendo dalle disponibilitàdelle risorse finanziarie (non sempre comunque garantite), bisogna cercare unequilibrio fra numero delle unità necessarie, caratteristiche e prestazioni qualita-tive di queste, contenimento di costi, esigenze d’impiego, possibilità di gestione.Il tutto sempre suscettibile di taglio di risorse, di prolungamenti dei tempi di rea-lizzazione dei programmi, di riduzione dei numeri programmatici.

    In questo scenario di oggettiva problematicità bisogna inserire la tendenza ti-pologica dello sviluppo che si può distinguere in tre segmenti. Infatti da quelliche sono i programmi si trae l’indicazione di un primo segmento in cui un avan-zato sviluppo originale, incluso quello a titolo partecipativo e cooperativo nellacombinazione tecnologico-innovativa del naviglio, riguarda una quindicina diMarine. Il secondo segmento è quello che si limita alla sola acquisizione o ripro-duzione di unità navali di nuova costruzione e interessa solo una ventina di Ma-rine. Tutte le altre rientrano in un terzo segmento dove prevale il mantenimentodi vecchio naviglio, l’acquisizione di navi di seconda mano, ed eventuali costru-zioni di piccole unità che non portano valore aggiunto al significato della forzanavale.

    Altri segnali ci dicono che gli indirizzi costruttivi sono in gran parte direttiverso la creazione di più consistenti componenti di naviglio destinate a missionidi power projection ashore. Si nota un incremento quantitativo e qualitativo di

    35

  • naviglio d’assalto e trasporto anfibio sempre più caratterizzato da una compo-nente aeromobile imbarcata per le esigenze di elisbarco e di attacco controsuolo,accompagnata dalla tradizionale capacità di rilascio e recupero di mezzi minorida sbarco dei tipi più vari. Stati Uniti e paesi dell’Unione Europea (Francia, Bel-gio, Olanda, Spagna, Regno Unito, in parte Germania, probabilmente l’Italia)sono abbastanza impegnati in questa direzione. Indirizzo completato, non pertutti, da una componente da trasporto strategico formata da tipi di appropriatenavi mercantili inserite nella struttura navale seppure con evidente ruolo inter-forze. Ideale per questa componente l’impiego strategico di pre-posizionamento,che, al momento, sembra realizzato, ormai da anni, dai soli Stati Uniti.

    Naturalmente la missione di power projection ashore richiede, sempre a se-conda delle situazioni, ben altri strumenti: navi a capacità aerea, unità navaliper la difesa antiaerea e antimissile, per l’offesa ASuW e in profondità, per il so-stegno logistico prolungato, senza dimenticare l’inserimento di qualche unitàASW qualora il teatro operativo di destinazione presentasse il rischio di unaqualche minaccia subacquea. Insomma richiede uno strumento navale dalle ca-pacità blue water.

    Navi a capacità aerea, cioè portaerei, sono articoli riservati a pochissime Ma-rine. Tolta l’India e, forse la Cina — la prima con un’unità in costruzione, la se-conda intenzionata ad averla — il problema portaerei è circoscritto agli StatiUniti e a poche Marine europee con una grande differenza di scala fra le duesponde dell’Atlantico. La Marina degli Stati Uniti prosegue, lento pende, nellosviluppo progettuale delle sue future e costosissime grandi portarei; in Europala cosa è piuttosto limitata e riguarda navi di categoria minore: una unità in Fran-cia che si affiancherà all’ancora nuova Charles De Gaulle; due previste in GranBretagna da 40 � 50.000 tonnellata, ma che stanno già soffrendo di costi in in-cremento e di risorse in ribasso tanto da far prospettare la possibilità di restrin-gere il programma a una sola unità oppure a due ma di minore dislocamento. Viè poi l’Italia con la sua nuova Andrea Doria. In Spagna, la sostituzione dell’attua-le Principe de Asturias non è prevista con un’unità portaerei, bensı̀ con una naveda proiezione del tipo LHA-LHD da cui possano operare anche velivoli ad alafissa: probabilmente la soluzione migliore per Marine importanti ma di dimen-sioni regionale e di ordine subalterno. In giro per il mondo non vi è altro in fattodi portaerei, salvo la São Paulo brasiliana, ex Foch francese con quaranta anni diservizio sulle spalle. Si può supporre che il Giappone, nell’arco di 5-10 anni,punti a dotare la sua già importante Marina di unità a capacità aerea: cenni inquesta direzione se ne riscontrano.

    Attorno alla portaerei e al nucleo del naviglio da trasporto e sbarco, si è vistoche la missione di power projection ashore richiede altri tipi di anvi inclusi, nel-l’Almanacco Navale, nelle categorie di ‘‘Navi tipo ‘D’’’ e di ‘‘Navi tipo ‘F’’’: per

    36

  • semplificare, navi maggiori d’altura, piattaforme ideate per imbarcare i sistemipiù avanzati possibili. Requisito primario per le navi che concorrono a costituireuno strumento di proiezione è la disponibilità a bordo di sistemi di comando econtrollo, da C2 a C2ISR, abilitanti nella condotta di operazioni joint & combi-ned. Allo stato attuale dei fatti non sembra ancora consolidata l’idea di unità na-vali integrate, o meno, in un sistema di difesa antimissili balistici: al di là dellequestioni di costo, la sola U.S. Navy sembra al momento interessata alla cosa,mentre l’imbarco di missili superficie-superficie per colpire bersagli in profondi-tà riscuote più interesse.

    Si deve comunque registrare che nell’andamento delle costruzioni e dei pro-grammi navali le unità che normalmente assegniamo alla categorie dei ‘‘caccia’’ edelle ‘‘fregate’’ sono quelle che riscuotono più attenzione costruttiva, anche se innumeri limitati e tempi non brevi di realizzazione.

    Più o meno la situazione si ripete per il naviglio destinato alle missioni di seadenial ashore e di littoral warfare, osservando che per quest’ultima esigenza sonosoprattutto gli Stati Uniti che hanno avviato un processo di sviluppo che includesistemi di bordo e linee costruttive del tutto innovativi. Non diversa è la situa-zione per le missioni di presenza e di sorveglianza, un ruolo che potremmo chia-mare ‘‘sea control di secondo grado’’ dove corvette, pattugliatori, unità leggere ve-loci e anche fregate trovano il loro impiego. Lo sconfinamento di questo nel ruo-lo constabulary, cioè dall’alto mare alle acque territoriali, d’interesse economico,costiere e litoranee, chiama in causa le forze navali dei servizi guardacoste che,come già verificato negli ultimi anni, sono avviati a un forte potenziamentodei loro mezzi.

    Dal punto di vista dell’evoluzione tecnologica, questa è incessante e in ognicomparto dei mezzi navali. Non ci si limita, anche se l’aspetto più evidente, al-l’imbarco di sistemi sempre più progrediti di guerra elettronica, d’arma, di co-mando e controllo, di comunicazioni, d’automazione, ecc., ma anche le piattafor-me stanno subendo modifiche di rilievo con nuovi materiali, linee di stealthizza-zione, forme di scafo con un occhio attento a soluzioni pluriscafo, apparatimotori e propulsivi di nuova concezione e quant’altro. Si può ragionevolmentesupporre che entro il 2030 le linee del naviglio e i loro contenuti saranno o po-tranno essere irriconoscibili rispetto alle navi moderne d’oggi.

    Tutto quello che si è tentato di tracciare in sintesi nelle pagine di questo Mo-mento Navale 2004, è in gran parte rilevabile nei contenuti dell’Almanacco Na-vale che consentono un corretto approfondimento dei temi indicati, non esclusala prova concreta delle scelte strategiche che sempre presiedono allo sviluppo diuna Marina come alla scelta di un tipo di nave. Ciò che è illustrato oggi in questepagine lo verificheremo fra un biennio, alla data della prossima edizione dell’Al-manacco Navale.

    37

  • IL RUOLO DEL MEDITERRANEONELLA STRATEGIA NAVALE

    di Giuseppe Gagliano

  • 1.

    Sotto il profilo politico-militare era pienamente legittimo — almeno fino al-l’inizio della II Guerra Mondiale da parte delle nazioni di maggiore prestigio— individuare nel ‘‘Sea Power’’ uno strumento adeguato sia per affermareche per consolidare il loro ruolo di grande potenza. Tuttavia gli esiti della IIGuerra Mondiale determinarono un profondo mutamento di scenario: il ‘‘SeaPower’’ doveva essere esercitato in termini di cooperazione militare.

    A tale riguardo, l’istituzione della NATO consentirà la formalizzazione dellenuove coordinate politico-militari in termini di uniformità strategica e tecnologi-ca. Per darne concreta attuazione, gli Stati Maggiori delle Marine alleate, poserol’enfasi sulla qualità anziché sulla quantià di unità da impiegare e sull’innovazio-ne tecnologica (si pensi al ruolo dei sommergibili e delle portaerei). Analogamen-te, di fronte ai conflitti nel Sud-est asiatico, si rese necessaria la elaborazione diuna articolata strategia aeronavale.

    D’altra parte, dal punto di vista propriamente strategico, due sono le fonda-mentali costanti dell’ambito della dottrina militare odierna: i mutamenti di sce-nari e il ruolo decisivo della innovazione tecnologica.

    Infatti, la conclusione della cold war, non solo ha determinato il sorgere delbrown water, della power projection ma soprattutto del peace-Keeping, del peace-enforcing e del peace making; in particolare ha imposto agli analisti la fondazionedi una dottrina atta ad integrare — sotto il profilo teorico e operativo — il po-tere aereo, marittimo e terrestre allo scopo di rispondere — in modo adeguato— alle nuove esigenze di un contesto internazionale multipolare.

    2.

    Proprio per soddisfare le nuove esigenze geopolitiche, la nascita di EURO-MAFOR, è stata di estrema rilevanza, poiché consentirà di consolidare e svilup-pare l’identità di difesa europea affiancando AFsouth.

    È oramai acquisito — sotto il profilo storico — che EMF è sorta nell’ambito

    41

  • del Concilio Ministeriale del 19 Giugno ’92 di Petersberg, in vista del quale il 7settembre del ’92 i ministri della difesa italiani, spagnoli e francesi e portoghesiposero le basi per una forza navale europea.

    L’atto decisivo si compirà il 15 maggio del ’95 con la firma del Documentocostitutivo di EMF. Per quanto concerne la catena di comando, il vertice diEMF è costituito dal CIMIN composto dai comandanti delle F.A. e dai direttoridella Divisione Affari Politici dei Ministeri degli Affari Esteri dei paesi membri.Subordinato al CIMIN vi è il COMEUROMARFOR o CEMF, le cui responsa-bilità spaziano dalla pianificazione operativa ed addestrativa alla gestione deirapporti con le gerarchie militari dei paesi membri. È doveroso precisare che— data l’ampia gamma di funzioni svolta dal CEMF — la prontezza operativapuò essere garantita contrariamente alla gestione in tempi brevi di unità opera-tive di maggiori dimensioni che variano al variare delle missioni assegnate.

    Complessivamente, le scelte politico-militari degli Stati Maggiori sono statefinalizzate a rispondere efficacemente alle richieste dell’UEO, dell’OSCE e dellaNATO.

    A tale proposito, la interoperabilità con la NATO consente di evitare inutiliduplicazioni e permetterà la necessaria complementarità per contribuire al man-tenimento della stabilità, della sicurezza e della cooperazione sul Mediterraneoche deve essere reinterpretato alla luce di una geopolitca il più possibile unitariaevidenziandone l’assoluto rilievo come snodo cruciale per il commercio e per lerisorse energetiche.

    3.

    In questo contesto, la cooperazione con le marine del Mar Nero — nell’am-bito di una strategia navale subregionale — è di decisiva importanza. Ed è pro-prio in questa direzione di pianificazione strategica che si sono mossi — dal ’93al ’96 — l’Amm. Bayazit della marina turca e l’Amm. Anghelescu della marinabulgara, allo scopo di realizzare un controllo congiunto nel Mar Nero attraversol’uniformizzazione dei sistemi di osservazione e attraverso un’intensa collabora-zione scientifica-miltiare.

    Proprio in tale contesto, la cooperazine in EUROMAFKOR si avvale dellaelevata professionalità dell’IHB (il corrispettivo europeo della NIMA statuniten-se) anche per la salvaguardia della navigazione e per il tracciamento delle rotte.Professionalità che ha indotto la Turchia e il Marocco ad aderire al protocollodell’IHB. Per quanto concerne l’aspetto più strettamente addestrativo, EMF siavvale della competenza trentennale del Quartier Generale di Plymouth dellaRoyal Navy attraverso il programma FOST e, sul versante della cooperazione mi-

    42

  • litare nel suo complesso, della competenza del Centro P.F.p di Ankara offre chedel Centro di Addestramento di Instabul.

    3.1.

    È — tuttavia — opportuno sottolineare come la formazione di una flessibile,ed unitaria insieme, marina europea imponga la costituzione (in tempi accettabilied adeguati) di una componente CSGS e di unità anfibie rotte alla proiezioneoffensiva (secondo la terminologia dell’US Navy ‘unità ESGs’). Superfluo osser-vare la non realizzabilità (allo stato attuale) di unità navali finalizzate ad una di-mensione operativa di tipo offensivo, cagionata — come è noto — anche dall’as-senza di un sistema di antimissili balistici.

    D’altronde, sul piano strettamente strategico, l’assenza di una dottrina basatasul Sea Strike, Sea Shield e sul Sea Basing (dottrina elaborata nel documentoprogrammatico ‘‘Sea Power 2001’’ e coordinato dall’Amm. dell’US Navy Ver-non Clark) ostacola — in modo consistente — la possibilità di una architetturastrategico-operativa al passo con uno scenario multipolare quale quello attuale efinisce per margilarizzare EMF rispetto all’US NAVY, la quale persegue unacomplessiva riorganizzazione destinata ad una copertura globale in virtù dellegià menzionate unità CSGs, ESGs e soprattutto della componente SAGs eSSGM.

    Non desta, dunque, alcuna sorpresa l’esito ultimo delle innovative pianifica-zioni strategiche: costituire una Expeditionary Strike Force (ESF) o task forceaeronavale a copertura globale sul modello della MEB e della MEF dei Marines.

    4.

    Che l’Italia possieda un ben definito profilo geopolitico è un dato storicamen-te acquisito. La sua rilevanza è determinata — infatti — dall’essre centro nevral-gico fra l’Europa e il Mediterraneo, centralità che le consente di farsi portatricedi integrazioni o/e interdipendenza in qualità di potenza regionale, europea emediterranea. Proprio per questo, ottimizzare i legami con l’area atlantica, conl’Europa centro-orientale e con l’area del Mar Nero, non può che consentire ri-levanti vantaggi. D’altra parte, il Mediterraneo ha giocato un ruolo determinantedurante la cold war. Si pensi — a tale proposito alle scelte politico-militari dellaSovredron. Dal punto di vista della strategia marittina, la presenza sovietica nelMediterraneo si articolar su una complessa serie di infrastrutture aeronavali (An-nabei, Tunisi, Hammamet, Tripoli etc.), su ben definiti ancoraggi come gli strettidi kithira e Kasos e — infine — sulla presenza di navi-spia nello stretto di Gi-

    43

  • bilterra e nel Canale di Sicilia. La suddetta scelta presentava una precisa finalità:ostacolare le linee di comunicazioni marittime tra la VI Flotta USA, la Grecia e laTurchia. Altrettanto cruciale fu il sostegno dell’URSS alla Libia (con il sistema dicontratto integrato Senech).

    5.

    In conclusione, a livello di politica estera, l’Italia non solo dovrà continuare aprivilegiare la partnership con gli USA (sia per la stabilità del Mediterraneo cheper quella del Centro Europa), ma dovrà farsi promotrice di una progressiva cre-scita dell’Identità di Difesa europea in ambito NATO contribuendo a consolida-re le proprie relazioni con i paesi mediterranei (promuovendo nel contempo l’al-largamento ad est) nel contesto di una sicurezza cooperativa che eviti la sceltadell’esclusione e che, invece, si faccia promotrice della stabilità e dello sviluppoeconomico del Mediterraneo. L’architettura all’interno della quale dovrà muo-versi, non potrà che essere quella della coalizione multilaterale ispirandosi adun flessibile pragmastismo ed attuando un raccordo fecondo tra diplomazia, in-telligence e pianificazione politica.

    44

  • BIBLIOGRAFIA

    G. Benedetto, L’incognita Mediterranea, in ‘‘Rivista Marittima’’, 1999.

    R. Bernotti, Fondamenti di politica navale, Roma, 1996.

    M. Cosentino, La politica navale e i programmi di rinnovamento della Royal Navy, in ‘‘Rivista Ma-rittima’’, 1997.

    M. De Arcangelis, La storia dello spionaggio elettronico, Roma, 1973.

    G. Fioravanzo, Storia del pensiero tattico navale, Roma, 1973.

    G. Giorgerini, La Marina militare italiana dal Fascismo alla Repubblica, Milano, 1989.

    G. Giorgerini, Aspetti innovativi della strategia marittima, in ‘‘Rivista Marittima’’ 1997.

    A. Mariani, Politica italiana della sicurezza e questione euromediterranea, in ‘‘Rivista Marittima’’,1997.

    A. Toscano, Orientamenti e sviluppi della politica marittima delle principali Nazioni, AlmanaccoNavale Italiano, 1942.

    45

  • Parte Seconda

    IL PERCORSO DOTTRINARIODELLA ROYAL NAVY

    di Michele Cosentino

  • L’ultimo scorcio del XX secolo ha rappresentato un importante momento diriflessione concettuale necessario per trasformare gli assetti militari e metterli ingrado di affrontare le sfide, prevedibili e meno prevedibili, del futuro. In unaNazione sempre attenta alle problematiche della sicurezza e della difesa comeil Regno Unito, questa riflessione si è tradotta nella definizione di una serie didocumenti governativi di primaria importanza attraverso i quali è stato possibiletracciare e concretizzare l’evoluzione concettuale e materiale della Royal Navyalmeno fino al 2015, la cui analisi rigorosa deve quindi prendere le mosse dalriferimento capostipite — la ‘‘Strategic Defence Review, SDR’’ — e dalle sue im-plicazioni per le forze marittime.

    49

  • CAPITOLO ILA ‘‘STRATEGIC DEFENCE REVIEW’’

    E LE IMPLICAZIONI PER LA ROYAL NAVY

    L’attuale politica di difesa e sicurezza del Regno Unito è stata definita nel lu-glio del 1998 con la pubblicazione della SDR, riconosciuto da molti osservatoricome il più lungimirante documento programmatico di ristrutturazione militareconcepito fra le Nazioni aderenti all’Alleanza Atlantica. Dopo i drammatici even-ti dell’11 settembre 2001, ‘la ‘‘SDR 98’’ è stata integrata con un ‘‘New Chapter’’in cui vengono evidenziati gli aspetti salienti — sicurezza interna, asimmetricitàdella minaccia, lotta al terrorismo — che si sono manifestati in epoca recente eche hanno profondamente influenzato l’attitudine delle forze militari, principal-mente nelle Nazioni occidentali.

    Nella ‘‘SDR 98’’ sono state definite le missioni delle forze armate britannichee messe in risalto tematiche chiave — quali interoperabilità e jointness, capacitàglobali, proiettabilità, sostenibilità e costo/efficacia — per poterne governarecon continuità lo sviluppo dottrinario e materiale: questo insieme di principiè stato successivamente arricchito nel ‘‘Defence Strategic Plan 2000’’, contenen-te alcuni aspetti precipui d’interesse per le forze marittime. Innanzitutto, l’am-biente strategico del futuro sarà complesso e imprevedibile, caratterizzato da unmaggior numero di rischi, sfide e opportunità. Fermo restando che gli interessidi Londra rimangono su scala planetaria, sarà perciò difficile prevedere con pre-cisione dove, quando, con chi, a che livello e in quale settore della gamma con-flittuale vi sarà un coinvolgimento delle forze militari britanniche; rifacendosialla storia più recente e assumendo che soltanto il territorio insulare britannicopotrà godere di un clima di relativa sicurezza, si può azzardare l’ipotesi che leforze militari britanniche saranno chiamate a operare prevalentemente al di fuo-ri di tale territorio e che, fra esse, la Royal Navy sarà prevedibilmente l’unicachiamata a operare con maggior frequenza in teatri operativi distanti dall’Eu-ropa.

    In secondo luogo, le elevate esigenze operative e di prontezza che hannocaratterizzato gli ultimi anni continueranno verosimilmente a manifestarsi; ol-tre ai compiti di prevenzione conflittuale e sostegno generalizzato alle inizia-tive per l’imposizione e il mantenimento della pace, ci sarà una crescente ri-chiesta per le operazioni di assistenza umanitaria e di intervento in caso di ca-lamità naturali. Ciò implica che una frazione ancora più significativa delle

    51

  • forze armate britanniche verrà utilizzata in operazioni non belliche o a soste-gno delle tradizionali ‘‘defence missions’’, a scapito del tempo necessario dadedicare alle attività addestrative e di preparazione in caso di crisi o conflittotradizionale.

    L’ambiente marittimo include notoriamente il mare, la zona definita ‘‘littoral’’(che si trova a cavallo del confine fisico fra mare e terra, ma che su quest’ultimoversante tende a espandersi verso l’entroterra, soprattutto in corrispondenza dicentri abitati e di produzione industriale) e lo spazio aereo sovrastante entrambi.È ferma convinzione del pensiero navale britannico che, adesso e nel futuro, leattività militari — nel senso lato del termine — vengano condotte in un contestointrinsecamente interforze e frequentemente multinazionale. A corollario del do-vuto riconoscimento di questi imperativi, è altrettanto ferma la convinzione chegli assetti marittimi debbano giocare un ruolo centrale e insostituibile nelle ope-razioni militari, fondato su una serie di principi dottrinari formulati, validati eprogressivamente aggiornati in funzione dell’esperienza acquisita nella storia re-cente e meno recente della Marina britannica.

    Una panoramica del coinvolgimento della Royal Navy nell’ambito delle otto‘‘defence missions’’ identificate nella ‘‘SDR 98’’ e confermate sia nel ‘‘DefenceStrategic Plan’’ sia nel ‘‘New Chapter’’ fornisce una visione più concreta e so-stanziale dei possibili compiti negli scenari marittimi:

    — Sicurezza in tempo di pace. L’esigenza di pattugliare e difendere le ac-que territoriali britanniche, la zona di pesca (d’interesse primario, so-prattutto per lo sfruttamento delle risorse ittiche e di quelle energeti-che) 1 e le riserve di petrolio e gas naturale presenti nel sottosuolo ma-rino è diventato un compito molto importante e duraturo. Cometestimoniato dal coinvolgimento della Royal Navy in Sierra Leone, leoperazioni di evacuazione di personale non combattente (le famose‘‘NEOs, Non-combatant Evacuation Operations’’) rimangono inoltreuna contingenza sempre verosimile, soprattutto in Africa. In un’era ca-ratterizzata da pericolose forme di terrorismo marittimo su scala plane-taria, le minacce al naviglio mercantile che batte bandiera britannica ri-mangono infine una responsabilità nazionale di cui la Royal Navy dovràtener debito conto.

    52

    1 Il Regno Unito non ha istituito la tradizionale Zona Economica Esclusiva estesa fino a 200mg dalla costa (secondo quanto previsto dalla Convenzione UNCLOS del 1982), ma ha dichiaratouna Zona esclusiva di pesca attorno alle coste scozzesi, avente sempre un’estensione di 200 miglia eche interessa quindi ampie porzioni del Mare del Nord e dell’Atlantico Mediterraneo nord-orien-tale.

  • — Esercizio della sovranità sui Territori Oltremare. Sebbene l’impero bri-tannico sia da tempo tramontato, il Regno Unito possiede diversi Ter-ritori Oltremare in cui risiedono circa 10 milioni di sudditi di SuaMaestà. Gli ‘‘overseas territories’’ sono concentrati principalmentenel Mar dei Caraibi (Turks & Caicos, le isole Vergini britanniche, An-guilla, gli arcipelaghi delle Bermuda e delle Cayman), ma comprendo-no anche gli arcipelaghi delle Falklands, della Georgia meridionale,delle Sandwich (Atlantico meridionale) e di Diego Garcia (Oceano In-diano centro-meridionale), Gibilterra, l’isola di Pitcairn (nel Pacificocentrale), le isole di Sant’Elena e Tristan de Cunha (nell’Atlantico me-ridionale) e i territori antartici. Contribuire a forme di presenza mili-tare in questi territori attraverso il dispiegamento periodico di unitànavali continua perciò a essere una funzione molto importante perla Royal Navy; in tale contesto, le unità navali dislocate nei Caraibihanno colto notevoli e significativi successi nelle operazioni per la re-pressione del traffico di droga.

    — Esercizio della diplomazia militare. È tradizione duratura e plurisecolareche le forze navali vengano coinvolte nell’intera gamma del complessodelle funzioni note come diplomazia militare, e in particolare nella diplo-mazia marittima. Restringendo il campo d’azione della Royal Navy al tea-tro mediterraneo, un esempio di tale missione riguarda la partecipazionedi unità navali britanniche aggregate alla ‘‘Standing Naval Force Mediter-ranean’’, quando impegnata nelle attività del Dialogo Mediterraneo dellaNATO; un altro importante aspetto di questa missione va ricercato anchenelle crescenti richieste che numerose Marine avanzano alla Royal Navyper frequentare gli stages addestrativi presso i centri specialistici del Re-gno Unito.

    — Salvaguardia di interessi a più ampio raggio. Nel XXI secolo, gli interes-si nazionali di un Paese evoluto come il Regno Unito sono in crescenteespansione e la loro salvaguardia rappresenta una funzione primariadell’apparato statale. In tal senso, le unità navali della Royal Navy per-seguono ques’obiettivo attraverso le visite nei porti e la presenza a mo-stre e manifestazioni internazionali (fornendo quindi un indiscusso so-stegno al Foreign Office e alle industrie britanniche operanti nel settoredella difesa) e la partecipazione in eventi comunque attinenti le temati-che della difesa e sicurezza. Inoltre, le unità da ricerca idro-oceanogra-fica svolgono diverse campagne mirate ad accrescere le conoscenzescientifiche sui mari e sugli oceani e sugli aspetti ambientali marittimiin genere.

    53

  • — Operazioni umanitarie e a sostegno della pace. Il coinvolgimento nelleoperazioni a sostegno della pace è accresciuto in maniera considerevole.Unità navali di superficie e subacquee, velivoli e forze speciali hanno con-tribuito a vario titolo a operazioni di questo tipo, in un contesto sia inter-forze sia internazionale. La Royal Navy ha infatti partecipato — e parte-cipa tuttora — alle coalizioni internazionali e ai contingenti ONU impe-gnate nei Balcani, in Asia e in numerose aree conflittuali dell’Africaoccidentale, oltre che alle operazioni aeronavali derivanti dall’imposizionedelle sanzioni del Consiglio di Sicurezza. Nel quadro dell’assistenza uma-nitaria, vanno inoltre ricordate le operazioni di soccorso in conseguenzadelle calamità naturali nei Caraibi e in altre zone dove è stato possibileaccedere dal mare alle aree d’intervento.

    — Conflitti regionali al di fuori della NATO. Le operazioni condotte nei Bal-cani, in Afghanistan e in Iraq, con la già sperimentata partecipazione diassetti aeronavali, hanno evidenziato la necessità di mantenere una capa-cità d’intervento in scenari ad alta intensità conflittuale a sostegno dellastabilità internazionale e degli interessi politici ed economici, soprattuttonel Golfo Persico e nell’area mediterranea.

    — Conflitti regionali all’interno dell’Alleanza Atlantica. Sebbene la prospet-tiva di un conflitto regionale nell’area di responsabilità della NATO siaverosimilmente remota, questa missione rimane un aspetto essenziale del-la politica di sicurezza britannica. Le unità e i reparti della Royal Navyhanno quindi proseguito ad addestrarsi e ad esercitarsi per questa even-tualità, in scenari interforze e internazionali, sia per dissuadere potenzialiaggressioni, sia quale elemento di fiducia e credibilità della loro capacitànel rispondere a questo tipo di contingenza.

    — Attacco su scala strategica contro la NATO. Un attacco su larga scala —anche con l’impiego di armi nucleari — contro l’Alleanza Atlantica rima-ne una prospettiva ancora più remota del conflitto regionale, ma i sotto-marini nucleari lanciamissili balistici della Royal Navy, e i relativi assetti disostegno operativo e logistico, rappresentano la più credibile fra le polizzedi assicurazione. Il possesso di una vasta gamma di capacità in tal sensocostituisce una solida base su cui costruire un complesso di forze più am-pio per affrontare questa evenienza.

    L’importanza del contributo della Royal Navy nelle ‘‘defence missions’’ affi-date allo strumento militare britannico viene inoltre evidenziata anche in terminipiù pratici, secondo il principio del contributo marittimo alle operazioni inter-forze (‘‘maritime contributions to joints operations’’). Negli ultimi tempi, il Re-

    54

  • gno Unito ha visto infatti un consolidamento del concetto di ‘‘jointness’’, speri-mentato con indubbio successo in occasione del coinvolgimento di Londra inteatri importanti quali il Golfo Persico e l’Afghanistan; in prospettiva, tuttociò ha inoltre contribuito a enfatizzare vigorosamente l’evanescenza della tradi-zionale distinzione fra i teatri operativi marittimo, terrestre e aereo e l’efficaciadell’azione combinata fra forze marittime, terrestri e aeree, in grado di produrreuna maggior spinta offensiva, ottimizzando l’efficacia operativa e accrescendo lepossibilità di successo.

    Quale contributo apporta la Marina britannica in un contesto operativo stret-tamente ‘‘joint’’? I campi d’applicazione sono molteplici: in primo luogo, la ma-novra, perché la Royal Navy è una forza intrinsecamente mobile, capace di agiree reagire rapidamente, in maniera imprevedibile per l’avversione, apertamente,discretamente e anche in modo occulto. Essa può fornire un eccellente sostegnodi fuoco attraverso l’impiego di un’ampia gamma di assetti disparati quali i ve-livoli imbarcati, gli elicotteri d’attacco, i missili da crociera lanciabili da unità su-bacquee (e in futuro anche dal naviglio di superficie) e la più tradizionale arti-glieria navale. In termini di difesa e protezione, la Royal Navy è in grado di ga-rantire la sicurezza delle forze operanti in mare e sul terreno attraverso i proprivelivoli imbarcati e, in caso di minaccia, assicurando capacità di evacuazione dalterritorio; in termini di comando e controllo, le unità portaerei rappresentanoeccellenti basi mobili da cui un quartier generale interforze può esercitare piena-mente e per lunghissimo tempo le proprie funzioni. La Royal Navy può sfruttarei moderni satelliti per comunicare e quindi accedere in sicurezza alle reti infor-matiche e alle banche dati situate sul territorio, ottimizzando quindi le capacitàcomplessive di ‘‘information warfare’’ in ambito interforze e multinazionale. In-fine, la Royal Navy ha le risorse per costruire un gruppo navale avente una con-sistenza tale da rischierare in profondità, velocemente ed efficacemente, un ro-busto contingente di uomini, mezzi e rifornimenti e di sostegno logisticamentea terra durante tutte le fasi di una campagna, rimanendo a sua volta autosuffi-ciente per un lungo periodo di tempo.

    Nell’ambito delle forze militari britanniche, la Royal Navy è principalmentecoinvolta in tre reparti interforze, di cui il più importante è la ‘‘Joint Rapid Reac-tion Forse, JRRF’’. Si tratta di un’entità non permanente (ma con uno staff per-manente con sede a Northwood) in cui vengono all’occorrenza assegnate le forzeprontamente disponibili da tutte e tre le forze armate; la costituzione della JRRFè avvenuta in seguito alle direttive contenute nella ‘‘SDR 98’’ — in sostituzionedella preesistente ‘‘Joint Rapid Deployment Force’’ — e se