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www.judicium.it 1 Michele Angelo Lupoi Rapporti tra procedimento di mediazione e processo civile SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Le “sanzioni” processuali contro i “renitenti” alla mediazione. – 3. La mediazione come condizione di procedibilità di alcune controversie civili. – 4. (Segue): nei procedimenti “complessi”. – 5. (Segue): i provvedimenti del giudice. – 6. La mediazione “suggerita” dal giudice. – 7. I riflessi del procedimento di mediazione sul processo civile successivo. – 8. Conclusioni. 1. - Parlare dei rapporti tra mediazione e processo civile impone, preliminarmente, di porre mente alla relazione che, in generale, corre tra qualsiasi strumento alternativo di risoluzione dei conflitti e l’aggiudicazione delle controversie da parte del giudice. Di base, infatti, ogni A.D.R. aspira ad evitare il ricorso alla decisione da parte del giudice e, in quest’ottica, il rapporto tra mediazione e processo civile è di prevenzione e potenzialmente esclusione. In relazione agli A.D.R. non aggiudicativi, peraltro, tale esclusione, per l’ipotesi di fallimento della soluzione conciliata della lite, è solo temporanea, essendo sempre possibile il ricorso all’autorità giudiziaria statale. Così funziona, in particolare, il procedimento di mediazione introdotto dal decreto legislativo n. 28 del 2010, su cui si incentra il presente scritto. Il rapporto tra mediazione e processo civile, d’altro canto, non si limita ad una relazione “cronologica”, necessaria ovvero facoltativa. Esso si traduce anche nel necessario coordinamento tra l’attività svolta avanti al mediatore e quella che ha luogo davanti al giudice, sotto una pluralità di profili. A tutti questi aspetti sono dedicate le pagine seguenti. Trattandosi della versione ampliata e rivista dell’intervento svolto al Seminario sulla mediazione tenutosi a Bologna dell’11 aprile 2012, mi sarà perdonato, mi auspico, l’impianto di note ridotto al minimo e concentrato in particolare sulle pronunce giurisprudenziali. 2. - Il decreto legislativo n. 28 del 2010, come è noto, non si è limitato ad introdurre per la prima volta in Italia una disciplina organica sulla mediazione in materia civile commerciale, ma si è spinto sino a prevedere l’esperimento di un procedimento di mediazione come condizione di procedibilità dell’azione civile in un’articolata serie di controversie. Il legislatore delegato ha, in effetti, inteso la mediazione come un importante strumento di

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Michele Angelo Lupoi

Rapporti tra procedimento di mediazione e processo civile

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Le “sanzioni” processuali contro i “renitenti” alla

mediazione. – 3. La mediazione come condizione di procedibilità di alcune controversie

civili. – 4. (Segue): nei procedimenti “complessi”. – 5. (Segue): i provvedimenti del

giudice. – 6. La mediazione “suggerita” dal giudice. – 7. I riflessi del procedimento di

mediazione sul processo civile successivo. – 8. Conclusioni.

1. - Parlare dei rapporti tra mediazione e processo civile impone, preliminarmente, di porre

mente alla relazione che, in generale, corre tra qualsiasi strumento alternativo di

risoluzione dei conflitti e l’aggiudicazione delle controversie da parte del giudice. Di base,

infatti, ogni A.D.R. aspira ad evitare il ricorso alla decisione da parte del giudice e, in

quest’ottica, il rapporto tra mediazione e processo civile è di prevenzione e potenzialmente

esclusione. In relazione agli A.D.R. non aggiudicativi, peraltro, tale esclusione, per

l’ipotesi di fallimento della soluzione conciliata della lite, è solo temporanea, essendo

sempre possibile il ricorso all’autorità giudiziaria statale. Così funziona, in particolare, il

procedimento di mediazione introdotto dal decreto legislativo n. 28 del 2010, su cui si

incentra il presente scritto.

Il rapporto tra mediazione e processo civile, d’altro canto, non si limita ad una relazione

“cronologica”, necessaria ovvero facoltativa. Esso si traduce anche nel necessario

coordinamento tra l’attività svolta avanti al mediatore e quella che ha luogo davanti al

giudice, sotto una pluralità di profili.

A tutti questi aspetti sono dedicate le pagine seguenti. Trattandosi della versione ampliata e

rivista dell’intervento svolto al Seminario sulla mediazione tenutosi a Bologna dell’11

aprile 2012, mi sarà perdonato, mi auspico, l’impianto di note ridotto al minimo e

concentrato in particolare sulle pronunce giurisprudenziali.

2. - Il decreto legislativo n. 28 del 2010, come è noto, non si è limitato ad introdurre per la

prima volta in Italia una disciplina organica sulla mediazione in materia civile commerciale,

ma si è spinto sino a prevedere l’esperimento di un procedimento di mediazione come

condizione di procedibilità dell’azione civile in un’articolata serie di controversie. Il

legislatore delegato ha, in effetti, inteso la mediazione come un importante strumento di

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deflazione del contenzioso civile (oltre che come valida alternativa alla aggiudicazione

delle liti da parte dell’autorità giurisdizionale), imponendone così l’uso in fattispecie

ritenute particolarmente adeguate.

Il decreto legislativo n. 28, dunque, si è sforzato di creare un “clima” favorevole alla

diffusione della cultura della mediazione, per garantirne il più ampio utilizzo. Tra tutti gli

strumenti a disposizione per ottenere tale risultato, peraltro, il legislatore ne ha scelto uno

che non appare molto efficace.

Ai sensi dell’art. 4, infatti, all’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto a informare

l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione, delle agevolazioni fiscali di

cui agli artt. 17 e 20, dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di

procedibilità della domanda giudiziale. In sostanza, si è riversato sull’avvocato l’obbligo di fornire

informazioni preventive al proprio cliente in merito alla mediazione e alla sua funzione. Tale scelta

non appare felice: come è noto, larga parte del ceto forense non ha accolto con entusiasmo la c.d.

“mediaconciliazione” ed è facilmente intuibile che molti avvocati adempiano (se pure mai)

all’obbligo loro imposto dalla norma senza grande convinzione, come un mero adempimento

burocratico (in sostanza, un modulo in più da fare sottoscrivere al cliente in aggiunta agli altri già

previsti in materia di privacy, antiriciclaggio e quant’altro).

Il legislatore, consapevole di una certa riottosità del ceto forense, ha previsto, come sanzione per la

violazione degli obblighi di informazione previsti dall’art. 4, che il contratto tra l’avvocato e

l’assistito possa essere annullato. Tale annullabilità ha un’evidente natura sanzionatoria, ma non

sembra rappresentare un deterrente efficace.

La prima giurisprudenza, d’altro canto, ha chiarito che l’annullamento del contratto può essere fatto

valere solo dall’assistito non adeguatamente informato (1) e non invece dalla controparte o dal

giudice, coerentemente con le norme generali in materia.

Si è pure evidenziato che l’annullabilità del contratto tra cliente ed avvocato non fa venire meno la

validità degli atti processuali posti in essere dal difensore munito di valido mandato (che resta

autonomo rispetto al contratto sottostante di prestazione d’opera professionale). In particolare, si è

1) Trib. Palermo, 24 marzo 2011, in Guida dir., 2011, fasc. 27, Inserto 8, p. 9; Trib. Teramo-

Giulianova, 23 agosto 2010, ord., in Giur. it., 2011, p. 2366; Trib. Varese, 1 marzo 2011, ord., ivi:

nella specie, la parte convenuta si era costituita eccependo, oltre alla nullità dell'atto di citazione

per mancata indicazione dei codici fiscali da parte della difesa legale degli attori, altresì

l'annullabilità del contratto di patrocinio di questi ultimi, non essendo stata depositata l'informativa

di cui al d.lg. n. 28 del 2010.

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escluso che l’annullabilità del contratto incida sulla validità della procura alle liti rilasciata dalla

parte al difensore (2).

Sul piano dei requisiti formali, la norma in esame stabilisce che l’informazione debba

essere fornita dal professionista in modo chiaro e per iscritto e che la stessa debba essere

sottoscritta dall’assistito.

Al riguardo, si è evidenziato che l'obbligo di informativa disciplinato dall’art. 4 non può

considerarsi soddisfatto quando, nella procura estesa a margine della citazione, il difensore

si limiti ad inserire una clausola di stile: l'informativa, in questione, infatti, deve essere

chiara, esplicita e contenuta in atto separato (3).

In un crescendo di formalismo, si prevede altresì che il documento che contiene l’informazione sia

allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio (4): il tutto per mettere in condizione il giudice

di verificare la mancata allegazione del documento ed eventualmente informare la parte della

facoltà di chiedere la mediazione, salvo che non ricorra un’ipotesi di mediazione obbligatoria non

previamente esperita, poiché in quel caso dovrà provvedere ai sensi ai sensi dell’articolo 5, comma

1 (v. infra).

La norma sembrerebbe imporre al giudice di convocare il rappresentato onde fornirgli

adeguata informazione ai sensi dell'art. 4, comma 2 del decreto n. 28. La prima

giurisprudenza in materia, peraltro, ha ritenuto che un obbligo in tal senso, oltre a rischiare

di danneggiare la parte stessa, imponendo un rallentamento del processo, apparirebbe

anche irrazionale posto che, quando ad esempio vi è un difetto di procura, è sempre

consentito al difensore di svolgere un'attività salvifica o, se si vuole, di sanatoria. Si è così

concluso che, nel caso di omessa informativa, il giudice possa subordinare la comparizione

della parte alla spontanea allegazione dell'informativa da parte del difensore, onde evitare

un rallentamento del processo e un danno indiretto a tutte le altre cause pendenti sul ruolo,

posto che l'incombente, inevitabilmente, può "appesantire" il calendario dei processi del

giudice (5). L’annullabilità del contratto è comunque sanabile anche per atto unilaterale

proveniente dalla parte (6).

2) Trib. Teramo-Giulianova, 23 agosto 2010 cit., su cui MURINO, Primi provvedimenti e prime

considerazioni in tema di mediazione conciliativa, in Giur. it., 2011, p. 2369. V. pure Trib. Roma,

14 aprile 2012, in http://osservatoriomediazionecivile.blogspot. 3) Trib. Varese, 6 maggio 2011, in Guida dir., 2011, fasc. 27, Inserto 8, p. 11.

4) V. anche Trib. Varese, 1 marzo 2011 cit.

5) Trib. Varese, 6 maggio 2011 cit.

6) MURINO, op. cit., p. 2369, il quale prospetta la possibilità anche di una “convalida tacita”, ad

esempio qualora la parte, invitata a comparire avanti al giudice per essere informata della facoltà di

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L’allegazione dell’informativa è richiesta solo nei procedimenti che rientrano nell’ambito

di applicazione del decreto n. 28, che riguarda la materia civile e commerciale con

riferimento ai soli diritti disponibili. Si è così affermato, ad esempio, che tale allegazione

non è richiesta nel contesto di un ricorso ex art. 710 c. p. c., per la modifica di condizioni

della separazione (7). Allo stesso modo, essa non è ritenuta necessaria rispetto ad un ricorso

ex art. 696 bis c. p. c., per una rilevata incompatibilità tra le norme di cui al decreto n. 28 e

la domanda giudiziale per una c.t.u. preventiva (8).

L’obbligo di depositare l’informativa sulla mediazione sottoscritta dal cliente riguarda

l’attore, con la finalità di diffondere la conoscenza dell’istituto ed incentivarne l’uso,

evitando così il ricorso all'autorità giudiziaria.

L’utilizzo della mediazione come strumento di deflazione del contenzioso giudiziario,

peraltro, può produrre risultati apprezzabili, anche prevedendone l’obbligatorietà, solo

nella misura in cui anche i potenziali convenuti siano stimolati a partecipare attivamente al

relativo procedimento. In effetti, di per sé, prevedere che l’attore debba rivolgersi ad un

organismo di mediazione prima di potere adire il giudice non dà alcuna garanzia, non solo

in merito al successo del tentativo di soluzione stragiudiziale della controversia ma anche,

e soprattutto, rispetto all’effettiva partecipazione al procedimento in questione di tutte le

controparti. E’ intuitivo, infatti, che un potenziale convenuto non ha spesso alcun interesse

a collaborare per soddisfare la condizione di procedibilità di una domanda proposta nei

suoi confronti e comunque ad investire tempo e denaro per partecipare alla mediazione

avanti all’organismo individuato dalla controparte.

Il decreto legislativo n. 28, dunque, sin dalla sua introduzione, contiene uno strumento di

coazione indiretta per indurre tutti i controinteressati ad accettare l’invito e presentarsi

avanti al mediatore.

Ai sensi dell’art. 8, comma 5, in particolare, dalla mancata partecipazione senza

giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di

prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, comma 2° c. p. c.

La norma fa riferimento ad un giudizio “successivo” ma questo non sembra escluderne

l’applicazione alle ipotesi di mediazione obbligatoria tentata dopo l’inizio del processo (v. infra),

chiedere la mediazione, non revochi il mandato al procuratore né chieda l’annullamento del

contratto d’opera professionale. 7) Trib. Varese, 9 aprile 2010, in Il civilista, 2010, fasc. 10, p. 79.

8) Trib. Varese, 21 aprile 2011, in Guida dir., 2011, fasc. 44, Inserto 12, p. 8; Trib. Pisa, 3 agosto

2011, ord., in Foro it., 2012, I, c. 270, con riferimento alla funzione in parte cautelare e urgente del

procedimento ex art. 696 bis c. p. c.; Trib. di Milano, 24 aprile 2012, ord., in www.101mediatori.it.

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per soddisfare la condizione di procedibilità di cui all’art. 5, comma 1, ovvero di mediazione

esperita su invito del giudice, ai sensi dell’art. 5, comma 2 (9).

A rigore, la “renitenza” alla mediazione non dovrebbe di per sé costituire un motivo per uscire

soccombenti dal processo: sebbene, nell’applicazione dell’art. 116, comma 2, c. p. c., la prassi

giunga ad affermare che l’argomento di prova possa in certi casi costituire l’unico elemento a

supporto della decisione (10

), in linea di massima quella qui considerata appare una sanzione non

particolarmente pesante, dal momento che la parte che ha ragione sul piano del diritto non subisce

nocumento da tale “argomento” (11

), mentre quella che ha torto non ha nulla in più da perdere.

A fronte di dati ufficiali che, rispetto ai primi mesi di operatività del sistema di mediazione

obbligatoria, documentavano che circa due terzi dei procedimenti erano “frustrati” dalla mancata

partecipazione della controparte (12

), dunque, il legislatore, col decreto legge n. 138, del 13 agosto

2011 ha deciso di introdurre una ulteriore sanzione, per colpire la parte che non partecipi alla

mediazione sul piano patrimoniale, a prescindere dal fatto che essa esca vittoriosa o sconfitta dal

giudizio. Più nel dettaglio, è stato aggiunto un periodo all'art. 8, comma 5, del decreto legislativo

n. 28, alla cui stregua: "Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti

dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento

all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo

unificato dovuto per il giudizio" (13

).

La sanzione in oggetto è applicabile solo qualora il tentativo di mediazione si sia svolto dopo

l’entrata in vigore della nuova norma (14

) ma anche nell’ambito di procedimenti pendenti alla data

di entrata in vigore della novella, in mancanza di norme di diritto intertemporale e in applicazione

del principio “tempus regit actum” (15

). Essa riguarda le ipotesi di mediazione obbligatoria e, per

alcuni, anche quelle in cui una parte si sia obbligata a compiere tale tentativo ovvero abbia raccolto

l’invito del giudice in tal senso (16

). Essa può essere emessa d’ufficio, senza violare il principio

9) Anche per BOVE, Le sanzioni per la mancata cooperazione in mediazione, in www.judicium.it, p.

1, questa “sanzione” si applica ad ogni tipo di mediazione. Nello stesso senso VACCARI, Media-

conciliazione e funzione conciliativa del giudice, in www.judicium.it, p. 8. 10

) Per BOVE, op. cit., p. 4, nell’applicazione di questa sanzione “il legislatore si è affidato

all’arbitrio del giudice”. Per una posizione intermedia Trib. Roma-Ostia, 5 luglio 2012 (1), in

www.101mediatori.it, per cui il “peso” dell’argomento di prova costituito dalla mancata

partecipazione alla mediazione va valutato in base alle circostanza del caso concreto, potendo pure

costituire “unica e sufficiente fonte di prova”. 11

) Trib. Roma-Ostia, 5 luglio 2012 (1), cit., al riguardo, afferma: “giammai la mancata

comparizione in sede di mediazione potrà costituire argomento per corroborare o indebolire una

tesi giuridica, che dovrà sempre essere risolta esclusivamente in punto di diritto”. 12

) V. pure ANSALDI, Le recenti novità legislative in materia di mediazione, in Contr., 2012, p. 207. 13

) Su cui v. anche ANSALDI, op. cit., p. 208. 14

) V. pure VACCARI, op. cit., p. 8. 15

) V. Trib. Siena, 25 giugno 2012, in www.101mediatori.it, in una fattispecie di opposizione a

decreto ingiuntivo. 16

) BOVE, op. cit., p. 1.

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dispositivo, dal momento che si tratta di una sanzione da pagare non alla controparte bensì allo

Stato.

La condanna in questione va pronunciata dal giudice al momento della decisione, come capo

accessorio della sentenza finale (17

). Essa, peraltro, può essere emessa solo nei confronti della parte

costituita, lasciando indenne la parte contumace, ciò che può apparire irragionevole (18

).

L’importo della sanzione è predefinito nel minimo e nel massimo, dal momento che esso

coincide con quello del contributo unificato dovuto per il giudizio.

In entrambe le ipotesi appena esaminate, la parte che sia rimasta “contumace” nel

procedimento di mediazione può evitare la “sanzione” qualora dimostri (19

) un giustificato

motivo per aver disertato la mediazione.

Quello del giustificato motivo è un parametro flessibile, rimesso al prudente

apprezzamento e alla sensibilità del singolo giudicante. Per le ipotesi di mediazione

contrattualmente scelta dalle parti, si ritiene, ad esempio, che possa integrare tale

fattispecie l’ipotesi in cui la parte sia invitata a comparire di fronte ad un organismo

diverso (anche sul piano territoriale) da quello indicato nella clausola negoziale (20

).

In generale, una parte può argomentare di non avere partecipato al procedimento di mediazione in

ragione dei costi necessari e del tempo all’uopo richiesto. Si può fare l’esempio di chi, per

17

) Così, ad esempio, Trib. Roma-Ostia, 5 luglio 2012 (1), cit. In senso difforme, Trib. Termini

Imerese, 9 maggio 2012, in www.mondoadr.it, per cui l’irrogazione della sanzione prescinde

dall’esito del giudizio e dunque non può essere ritenuta subordinata alla decisione del merito della

controversia. Il giudice dunque procede ad irrogare la sanzione prevista dalla norma in esame in

sede di udienza ex art. 183 c. p. c. Tale provvedimento non tiene però conto dell’evoluzione del

testo della norma. In particolare, l’art. 12 del decreto legge n. 212 del 2011 aveva introdotto, nella

disposizione in esame, le parole: “con ordinanza non impugnabile pronunciata d'ufficio alla prima

udienza di comparizione delle parti, ovvero all'udienza successiva di cui all'articolo 5, comma 1”;

tale disposizione anticipava alla fase iniziale del procedimento il momento in cui la sanzione

poteva essere emessa. Essa, peraltro, prendeva pure in considerazione l’ipotesi in cui il

procedimento fosse stato instaurato senza il previo esperimento del tentativo obbligatorio di

mediazione, così rinviando l’erogazione della sanzione per la parte “contumace” all’udienza cui la

causa fosse rinviata per consentire appunto l’esperimento di tale tentativo. Tali innovazioni, però,

sono state soppresse in sede di conversione in legge del decreto legge (legge n. 10 del 17 febbraio

2012), segnando così il ritorno al testo originario della norma qui in esame che è poi quello

attualmente in vigore. Tuttora, d’altro canto, Trib. Palermo-Bagheria, 20 luglio 2012, ord., in

www.101mediatori.it, ritiene irrogabile la sanzione anche prima della decisione finale, quando sia

sufficientemente chiaro il motivo della mancata partecipazione alla mediazione. 18

) V. pure BOVE, op. cit., p. 2. Non però per Trib. Palermo-Bagheria, 20 luglio 2012, cit., per cui la

norma evita che sia indirettamente sanzionata la contumacia, a forte rischio di incostituzionalità. 19

) L’onere di provare la circostanza grava infatti sulla parte che non abbia partecipato alla

mediazione: Trib. Roma-Ostia, 5 luglio 2012 (1), cit. 20

) BOVE, op. cit., p. 1.

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partecipare ad un incontro di mediazione, dovrebbe sostenere ingenti spese di trasferta (aereo,

albergo, ristorante…) e comunque oneri economici incompatibili con il suo reddito (21

).

A parere di chi scrive, inoltre, potrebbe essere giustificabile anche il comportamento di chi

non partecipi alla mediazione ritenendo totalmente infondate le pretese della controparte

(22

). E’ vero che, come si osserva nella giurisprudenza di merito, “la ragione d’essere della

mediazione si fonda proprio sulla esistenza di un contrasto di opinioni, di vedute, di

volontà, di intenti, di interpretazioni (…) che il mediatore esperto tenta di sciogliere

favorendo l’avvicinamento delle posizioni delle parti fino al raggiungimento di un accordo

amichevole” (23

); è però altrettanto vero che la parte che si ritenga investita di una pretesa

manifestamente priva di fondatezza (ad esempio, per intervenuta prescrizione o

decadenza…) non può essere costretta a “mediare” pur di evitare l’instaurazione di un

giudizio nei suoi confronti, sacrificando così la sua posizione privata individuale per il

“bene” dell’interesse pubblico collettivo. In effetti, in questo caso, l’accertamento del

giustificato motivo si fonda su un giudizio “ex post”, compiuto dal giudice al momento

della decisione finale, con la quale, ad esempio, dichiari totalmente infondata la domanda

dell’attore. In tale ottica, la parte che si sottrae alla mediazione si espone al rischio (più o

meno “calcolato”) che la pretesa che essa considerava pretestuosa se non addirittura

temeraria sia invece ritenuta meritevole di accoglimento anche parziale. La prima

giurisprudenza, d’altro canto, ha negato che, di per sé, la “litigiosità” tra le parti giustifichi

il rifiuto di partecipare al procedimento di mediazione, giacché tale procedimento è rivolto

proprio ad attenuare la litigiosità, tentando una composizione della lite basata su categorie

concettuali del tutto differenti rispetto a quelle invocate in giudizio e che prescindono dalla

attribuzione di torti e di ragioni (24

).

Si è pure ritenuto “irragionevole ed inescusabile” il rifiuto di partecipare alla mediazione

opposto da una compagnia assicurativa dopo la pronuncia di una sentenza parziale di

accertamento della sua responsabilità, nonostante il fatto che tale decisione fosse stata

appellata (25

).

21

) BOVE, op. cit., p. 2. 22

) In questo senso, sembra, Trib. Palermo-Bagheria, 20 luglio 2012, cit., che menziona l’ipotesi

della lite temeraria. Più prudente la posizione di BOVE, op. cit., p. 2, per cui, in casi del genere, il

giudice dovrebbe applicare la norma con “particolare attenzione al caso concreto”. 23

) Così Trib. Roma-Ostia, 5 luglio 2012 (2), in www.101mediatori.it. 24

) Trib. Termini Imerese, 9 maggio 2012, in www.mondoadr.it. 25

) Trib. Roma-Ostia, 5 luglio 2012 (2), cit.

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Si è altresì escluso che costituisca giustificato motivo “l’età avanzata” della parte, in una

fattispecie in cui i soggetti in questione erano nati, rispettivamente, nel 1937 e nel 1939 e

l’organismo avanti al quale essi erano stati convocati si trovava in un paese vicino a quello

di loro residenza (26

). Nella fattispecie, il giudice non manca di mettere in rilievo che le

parti avrebbero potuto farsi sostituire agli incontri con il mediatore da un procuratore.

La valutazione del giustificato motivo sotto i due diversi profili sanzionatori, come si è

visto, avviene nel medesimo momento della decisione finale della causa, evitando così

rischi di valutazioni contraddittorie (27

). Una volta esclusa la sussistenza di un “giustificato

motivo”, d’altronde, al giudice non sembra lasciata alcuna discrezionalità nella irrogazione

delle sanzioni qui in esame (28

).

3. - L’aspetto senz’altro più controverso del decreto legislativo n. 28 è rappresentato

dall’avere previsto il previo esperimento di un tentativo di mediazione come condizione di

procedibilità per un articolato gruppo di controversie.

Ai sensi dell’art. 5, comma 1, infatti, “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa

ad una controversia in materia di condominio, diritti reali (29

), divisione, successioni

26

) Trib. Palermo-Bagheria, 20 luglio 2012, cit. 27

) Rispetto alla situazione creatasi a seguito delle modifiche del dicembre 2012, v. BOVE, op. cit.,

p. 2 ss. 28

) BOVE, op. cit., p. 2; Trib. Palermo-Bagheria, 20 luglio 2012, cit. Critico sul punto VACCARI, op.

cit., p. 10, che critica l’impossibilità per il giudice di tenere in considerazione l’atteggiamento

tenuto dalla parte assente in mediazione nel corso del giudizio conseguente. 29

) In questo ambito, Trib. Varese, 20 gennaio 2012, ord., distinguendo tra azione di

rivendicazione (a carattere reale, con cui l'attore assume di essere proprietario del bene e,

non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne

nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà) e azione di

restituzione (a natura personale, con cui l'attore non mira ad ottenere il riconoscimento di

tale diritto, del quale non deve, pertanto, fornire la prova, ma solo ad ottenere la riconsegna

del bene stesso, potendosi, quindi, limitare alla dimostrazione dell'avvenuta consegna in

base ad un titolo e del successivo venir meno di questo per qualsiasi causa, o ad allegare

l'insussistenza ab origine di qualsiasi titolo), afferma che nell’azione (reale) di

rivendicazione, la domanda deve essere proceduta dalla mediazione, trattandosi di

controversia in materia di diritti reali; tale procedimento di mediazione non è invece

necessario rispetto alla domanda (personale) di restituzione. Rispetto ai diritti reali, la

situazione più controversa è, peraltro, quella relativa all’usucapione. A una corrente che

ritiene che il tentativo di conciliazione sia anche qui obbligatorio, trattandosi di

controversia in materia di diritti reali ed essendo possibile una risoluzione extragiudiziale

della lite (Trib. Palermo - Bagheria, 30 dicembre 2011, in Giur. mer., 2012, p. 365), se ne

contrappone una opposta, per cui le controversie in materia di usucapione, seguendo una

lettura costituzionalmente orientata delle norme, non sarebbero soggette alla mediazione

obbligatoria, perché le utilità di una sentenza sarebbero maggiori rispetto a quelle di un

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ereditarie, patti di famiglia, locazione (30

), comodato (31

), affitto di aziende, risarcimento

del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da

diffamazione con il mezzo della stampa (32

) o con altro mezzo di pubblicità, contratti

accordo amichevole (Trib. Varese, 20 dicembre 2011, ivi). In tale ambito, si segnala anche

un orientamento, per così dire, intermedio, alla cui stregua la controversia sull'usucapione,

in quanto relativa a diritti reali, rientra tra quelle soggette alla mediazione obbligatoria ma

il verbale di conciliazione assumerebbe il valore di un mero negozio di accertamento e,

quindi, non sarebbe compreso tra gli atti suscettibili di trascrizione nei registri immobiliari

in relazione alle tassative previsioni di cui agli art. 2643 c.c. (accordi con effetti

modificativi, estintivi e costitutivi) e 2651 c.c. (sentenze dichiarative dell'acquisto per

usucapione) (Trib. Roma, 22 luglio 2011, in Giur. mer., 2011, p. 3124; Trib. Roma, 8

febbraio 2012, in www.101mediatori.it; Trib. Catania, 24 febbraio 2012, ord., ivi. In

materia, di recente, DALFINO, Note in tema di negozio di accertamento e trascrivibilità

dell’accordo di conciliazione sull’intervenuta usucapione, in www.judicium.it, che si

esprime a favore della trascrivibilità della conciliazione in questo ambito. V. pure

SCARANTINO, in Corr. mer., 2012, 466 ss. 30

) Per Trib. Roma 15 marzo 2012, in http://osservatoriomediazionecivile.blogspot, rientra nelle

controversie in materia di locazione la domanda di rimborso delle spese affrontate dall’intimato per

la ristrutturazione dell’immobile condotto appunto in locazione. Si è invece ricondotto nell’alveo

dell’art. 5, comma 1 il procedimento di rilascio dell'immobile occupato senza titolo: Trib. Modena,

6 maggio 2011, in , in Giur. mer., 2012, p. 1084). 31

) In mancanza di qualsiasi precisazione, si ritiene che il legislatore abbia inteso prevedere la

mediazione obbligatoria per qualsiasi controversia in materia di comodato, a prescindere dalla

natura del bene oggetto di esso: Trib. Verona, 18 gennaio 2012, ord., in www.101mediatori.it. 32

) In questo ambito, con riferimento alla possibilità di attrarre nella disciplina sulla

mediazione obbligatoria la fattispecie di concorrenza sleale integrata da una condotta di

diffamazione da parte del concorrente, si è affermato che l’art. 5, comma 1 individua la

maggior parte delle controversie devolute alla mediazione precontenziosa sulla base non

già della loro causa petendi ma della materia sulla quale esse vertono. In particolare, con

riguardo alle controversie relative a fatti illeciti, il legislatore, al fine di restringere l’ambito

di applicazione della norma, ha scelto di precisare anche il contesto o le specifiche

modalità di commissione del fatto generatore di responsabilità menzionando le

controversie “(in materia di) risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli

e natanti, da responsabilità medica (espressione impropria, più che equivoca, che pare

idonea a ricomprendere anche l’ipotesi della responsabilità della struttura sanitaria) e da

diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità”. Nessuna delle

ipotesi di concorrenza sleale previste dall’art. 2598 c.c. è dunque ricompresa nell’elenco di

cui alla norma succitata e, d’altro canto, tale scelta risulta perfettamente in linea con quella

di non sottoporre alla c.d. mediazione obbligatoria le controversie di natura commerciale e

societaria: Trib. Verona, 28 settembre 2011, ord., in www101mediatori.it. Si è pure

affermato che, poiché l’invio di un messaggio di testo tramite telefono cellulare è

equiparabile ad una telefonata, la diffamazione tramite questo modo di comunicazione non

può essere definita a mezzo stampa, restando priva di pubblicità e non essendo dunque

soggetta all’obbligo di mediazione: Trib. Varese, 20 dicembre 2011, n. 6796, in Dir. &

Giustizia, 2012, 9 febbraio). Si è poi escluso il tentativo obbligatorio di conciliazione per il

giudizio vertente in materia di risarcimento dei danni derivanti da fatto illecito correlato ad

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assicurativi, bancari (33

) e finanziari (34

), è tenuto preliminarmente a esperire il

procedimento di mediazione ai sensi del decreto qui in esame ovvero il procedimento di

conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero ancora il

procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128 bis del testo unico delle leggi in

materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e

successive modificazioni, per le materie ivi regolate.

La norma espressamente qualifica l’esperimento della mediazione in queste ipotesi come

condizione di procedibilità della domanda giudiziale. In altre parole, l’azione non può

essere proposta (e se proposta non può proseguire) senza il previo esperimento della

mediazione. L’aspettativa del legislatore, ovviamente, è che le parti, essendo comunque

obbligate a percorrere tale cammino, sappiano cogliere l’occasione e raggiungere un

accordo conciliativo che eviti il ricorso alla giustizia.

La mediazione obbligatoria è prevista (per il momento) solo per una ristretta cerchia di

controversie, scelte dal legislatore con riferimento ai rapporti di durata in cui si è ritenuto

un reato ai sensi dell'art. 185 c.p. e 2059 c.c. (Trib. Cassino, 11 novembre 2011, in Giur.

mer., 2012, p. 1080). 33

) Per una fattispecie in materia di commissione di massimo scoperto Trib. Lamezia Terme, 19

aprile 2012, ord., in www.ilcaso.it; in materia di conto corrente Trib. Varese, 18 maggio 2012, ord.,

ivi. Particolarmente controversa è la possibilità di fare rientrare, tra le controversie in materia di

contratti bancari, le azioni revocatorie con riferimento ad operazioni bancarie: parte della

giurisprudenza si schiera per la soluzione negativa (Trib. Pavia, 27 ottobre 2011, in Giur. mer.,

2012, p. 1080), osservando che, nella materia dei contratti bancari dovrebbero essere inscrivibili

solo le cause con cui si faccia discussione delle obbligazioni negoziali che dal contratto

scaturiscono, ovvero ancora si metta in discussione la validità o efficacia della stipula (Trib. Varese,

10 giugno 2011, in Guida dir., 2011, fasc. 44, Ins. 12, p. 9, per cui esercitando l'azione ex art. 2901

c.c., invece, si attiva un mezzo di tutela del diritto di credito e, quindi, l'actio è relativa a una

controversia in materia di conservazione delle garanzia patrimoniale.). Per contro, altre pronunce

hanno affermato che rientrerebbe ratione materiae, nell'ambito dell'art. 5, comma 1il giudizio che

ha per oggetto l'azione revocatoria fallimentare prevista dall'art. 67 l. fall. di rimesse intervenute su

conto corrente, concernendo indubbiamente un contratto bancario (Trib. Mondovì, 11 ottobre 2011,

in Riv. dottori comm., 2011, fasc. 4, p. 939). 34

) Trib. Milano, 16 marzo 2012, in www.101mediatori.it, ha affermato che un contratto di opzione

su azioni stipulato tra privati non rientra nell’ambito delle controversie in materia di “contratti

finanziari”, con cui il legislatore ha voluto riferirsi a tipologie contrattuali che conoscono una

diffusione di massa e da individuare, piuttosto, in riferimento alla natura professionale di una delle

parti, che a specifiche tipologie contrattuali, di per sé di difficile ricostruzione sistematica. Il

tribunale lombardo trova supporto alla sua decisione anche nella previsione dell’art. 5 per cui la

mediazione obbligatoria è alternativa al procedimento di conciliazione previsto dal decreto

legislativo n. 179 del 2007 per la risoluzione di controversie tra gli investitori diversi dai clienti

professionali e gli intermediari. Trib. Palermo-Bagheria, 13 giugno 2012, ord., in

www.101mediatori.it, applica la norma in relazione ad un finanziamento concesso da un soggetto

sottoposto ai controlli della Banca d’Italia, associato all’ABI e all’Assofin, iscritto all’albo degli

intermediari e all’albo degli istituti di pagamento tenuto dalla Banca d’Italia, nonché all’albo degli

intermediari assicurativi tenuto dall’Isvap.

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opportuno preservare la conservazione di rapporti tra le parti, a relazioni considerate

particolarmente conflittuali nonché a contratti di massa.

Per tutta la prima giurisprudenza, l'elencazione di tali controversie è tassativa e non

semplicemente esemplificativa: si esclude dunque la possibilità di darne un’interpretazione

estensiva ai sensi dell'art. 12 preleggi (35

). Peraltro, la prima giurisprudenza ritiene che la

formula “controversie in materia di” sia più ampia di quella “controversie di”, ciò che

giustifica un’applicazione della condizione di procedibilità posta dall’art. 5 anche a liti non

strettamente dipendenti dall’istituto di riferimento ma in qualche modo collegate allo

stesso (36

).

In giurisprudenza, si è correttamente affermato che l’individuazione della materia del

contendere ai fini dell’applicazione dell’art. 5, comma 1 deve essere compiuta con

riferimento alla domanda, e cioè alla sostanza della pretesa ed ai fatti dedotti a fondamento

di questa, sebbene l’applicazione del predetto criterio non impedisca al giudice di

qualificare diversamente il fatto sotto l’aspetto giuridico (37

). A questo si può aggiungere

che, ai fini dell’applicazione dell’art. 5, n. 1, la controversia deve avere ad oggetto

principale una delle materie elencate dalla norma.

Nell’ambito delle materie sopra elencate, la condizione di procedibilità è prevista a

prescindere dal modello procedimentale cui sia sottoposta la lite (ordinario, locatizio,

sommario o quant’altro) (38

).

Si sta, peraltro, diffondendo (39

) un orientamento alla cui stregua tale condizione di

procedibilità non sarebbe applicabile nei procedimenti avanti al giudice di pace, sulla base

35

) Trib. Cassino, 11 novembre 2011, in banca data dejure; conf. Trib. Pavia, 27 ottobre 2011, ivi,

per cui l’elenco tassativo di cui all’art. 5 non è suscettibile di esegesi estensiva; Trib. Varese, 10

giugno 2011, in Guida dir., 2011, fasc. 44, Inserto 12, p. 9, esclude l’applicazione analogica; Trib.

Bologna, 1 dicembre 2011, in Giur. mer., 2012, p. 1079. 36

) Trib. Palermo-Bagheria, 13 giugno 2012, ord., in www.101mediatori.it. 37

) Trib. Verona, 28 settembre 2011, ord., in www.101mediatori.it. 38

) Come osserva Trib. Varese, 20 gennaio 2012, in Giur. mer., 2012, p. 1077, non è il rito a

determinare l’obbligatorietà del procedimento di mediazione, ma la natura della controversia. Con

riferimento al procedimento sommario, Trib. Genova, 18 novembre 2011, in Giur. mer., 2012, p.

1080. In senso contrario, però, Trib. Firenze, 22 maggio 2012, ord., in www.101mediatori.it, per

cui la struttura del procedimento sommario sarebbe incompatibile con una trattazione frammentata

o protratta, come quella che si avrebbe in caso di concessione del termine per esperire il tentativo di

mediazione. Il giudice fiorentino ritiene che al procedimento sommario sia applicabile per analogia

la disposizione dell’art. 5, comma 4, decr. legisl. n. 28 del 2010, con riferimento al procedimento

monitorio: in altre parole, il giudice dovrebbe concedere il termine per tentare la mediazione solo in

caso di “conversione del rito”. 39

) Giudice di pace Napoli, 23 marzo 2012, in www.iussit.eu; Giudice di Pace Cava dei Tirreni, 21

aprile 2012, ord., in www.101mediatori.it.

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di un’asserita incompatibilità tra la disciplina processuale speciale posta dagli artt. 311 e

322 c. p. c. e quella qui in esame (che avrebbe potuto essere applicata solo in quanto

espressamente previsto).

Tale interpretazione non è condivisibile, dal momento che l’art. 5 non prevede alcun limite

alla propria applicabilità in base al tipo di organo giudiziario adito. La norma, inoltre,

assume valenza di disposizione generale, come tale applicabile ad ogni tipo di controversia

ivi menzionata, a prescindere dalla relativa competenza (40

).

L’art. 5 del decreto n. 28 prevede pure alcune ipotesi in cui l’azione giudiziaria non è

condizionata dal previo tentativo di mediazione, nonostante la controversia rientri nelle

materie ivi elencate. In primo luogo, vanno menzionati i procedimenti cautelari ed urgenti

(tra cui, ad esempio, quello disciplinato dall’art. 147 codice r.c.a.). E’, in effetti, evidente

che l’urgenza del provvedere debba avere la meglio sulle politiche deflattive del

contenzioso. Con particolare riferimento ai cautelari conservativi concessi ante causam, ci

si pone il dubbio di come coordinare l’eventuale tentativo obbligatorio di conciliazione con

il rispetto del termine di 60 giorni previsto dall’art. 669 octies c. p. c. per l’instaurazione

della successiva causa di merito. Rispetto a tale termine, in effetti, appare inoperante il

comma 6 dell’art. 5 (41

), per cui la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli

effetti della domanda giudiziale e che, dalla stessa data, la domanda di mediazione

impedisce altresì la decadenza per una sola volta (42

). Potrebbe, d’altro canto, prospettarsi

l’applicazione analogica o estensiva dell’art. 669 octies, comma 4, c. p. c., che disciplina il

rapporto tra misura cautelare e processo del lavoro, con le difficoltà collegate alla natura

speciale di tale disposizione.

Nel dubbio, sembra da condividere l’orientamento giurisprudenziale alla cui stregua la

parte che ha chiesto e ottenuto un provvedimento ante causam per una controversia

rientrante in una delle materie per cui è prevista la mediazione obbligatoria, pur volendo

esperire il procedimento di mediazione, non possa esimersi dall'istaurare il giudizio di

merito ex art. 669 octies c.p.c., prima o nel corso della mediazione stessa, in quanto il

termine della durata della procedura di mediazione può spingersi fino a 4 mesi, ed è

40

) In questo senso Giudice di pace Salerno, 2 luglio 2012, ord., www.101mediatori.it. 41

) La dottrina prevalente, peraltro, segue l’orientamento contrario, sostenendo che la domanda di

mediazione interromperebbe il termine per l’instaurazione del giudizio di merito che

ricomincerebbe a decorrere dalla chiusura del procedimento: v. sul punto in Giur. it., 2012, p. 1102. 42

) Con la precisazione che se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro

il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’art. 11 presso la

segreteria dell’organismo.

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13

dunque più ampio rispetto al termine perentorio di cui all'art. 669 octies c.p.c., comma 1.

Di conseguenza, la parte interessata, se volesse attendere l'esito della mediazione, prima di

introdurre il giudizio di merito, rischierebbe, in caso di mancato accordo, di vedere

vanificata anche la tutela conservativa, già ottenuta, a seguito dell'inefficacia, ex art. 669

novies c.p.c. (43

).

Qualche dubbio si è posto rispetto al tentativo di mediazione come condizione di

procedibilità di un ricorso ex art. 696 bis c. p. c. L’accertamento tecnico finalizzato alla

conciliazione della lite, in effetti, non rientra in senso stretto tra i provvedimenti cautelari

(44

), non richiedendo l’urgenza come presupposto di ammissibilità (45

). Tuttavia, appare

corretta la prima giurisprudenza che esclude la necessità di esperire il tentativo di

conciliazione prima di depositare un ricorso in questo ambito, dal momento che il

procedimento ex art. 696 bis c. p. c. persegue la medesima finalità della mediazione,

ovvero la composizione bonaria della lite, ciò che lascia configurare una alternatività tra i

due istituti (46

). Sulla stessa linea, si mette in rilievo che il procedimento ex art. 696 bis non

introduce “una controversia in materia di diritti disponibili”, ai sensi dell’art. 2 del decreto

n. 28\2011 (47

).

La mediazione non è prevista come condizione di procedibilità neppure nei

procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata

(come in caso di accertamento dell’obbligo del terzo o di divisione di bene indiviso) (48

),

nonché nei procedimenti in camera di consiglio e nell’azione civile esercitata nel processo

penale.

In alcune ipotesi, poi, si prevede che il tentativo di mediazione abbia luogo non prima

dell’inizio del procedimento ma in un momento successivo.

43

) Trib. Brindisi – Francavilla Fontana, 9 gennaio 2012, in Giur. mer., 2012, p. 1078. 44

) In giurisprudenza, d’altro canto, si afferma che l’istituto abbia natura “cautelare formale”: v.

Trib. Varese, 24 luglio 2012, decr., in www.ilcaso.it. Parla di provvedimento cautelare e urgente,

invece, Trib. Pisa, 3 agosto 2011. 45

) Trib. Varese, 24 luglio 2012, cit., peraltro, evidenzia che al procedimento si deve comunque

riconoscere carattere “urgente”, in quanto mira a ridurre i tempi di definizione dell’eventuale futuro

giudizio di merito. 46

) Trib. Varese, 21 aprile 2011, decr., in Guida dir., 2011, fasc. 44, Inserto 12, p. 8; Trib. Milano,

24 aprile 2012, in www.ilcaso.it. Di segno contrario, invece, Trib. Siracusa, 14 giugno 2012, ord.,

ivi, che, peraltro, dopo avere ritenuto applicabile l’art. 5 del decreto n. 28\2011 al procedimento ex

art. 696 bis c. p. c. giunge a dichiarare il ricorso inammissibile, in violazione della stessa prima

norma invocata … 47

) Trib. Varese, 24 luglio 2012, cit. 48

) Trib. Prato, 9 maggio 2011, in Resp. civ. e prev., 2011, p. 1876.

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14

E’ il caso, in primo luogo, dei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, ove la

mediazione va tentata dopo la pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della

provvisoria esecuzione (49

). In sostanza, libera la proponibilità del ricorso per ingiunzione,

in caso di opposizione, il giudice dovrà dare i provvedimenti previsti dal comma 1 dell’art.

5 all’esito della prima udienza (o comunque contestualmente all’ordinanza in cui decida in

merito alla provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo).

Per alcuni, peraltro, qualora nessuna delle parti formulasse istanze relative alla provvisoria

esecutorietà del d. i., non essendo applicabile il presupposto di legge, non vi sarebbe spazio

per il tentativo di conciliazione (50

). La soluzione non convince. Appare infatti incongruo

escludere l’obbligatorietà della mediazione in base ad un elemento così occasionale.

Piuttosto, si deve pensare che il legislatore abbia comunque voluto scollegare il tentativo di

mediazione dall’esaurimento della prima udienza, mettendo l’accento sul momento (anche

successivo all’esito di tale udienza) in cui il giudice si pronuncia sull’esecutorietà del d. i.

Ma ove non ci siano istanze al riguardo, nulla esclude l’applicazione del meccanismo

ordinario previsto dall’art. 5, con rilievo anche ufficioso, alla prima udienza, del mancato

soddisfacimento della condizione di procedibilità.

Un meccanismo analogo è previsto per i procedimenti per convalida di licenza o di sfratto:

qui, la mediazione va esperita dopo l’eventuale ordinanza di mutamento del rito ex art. 667

c. p. c., a seguito di opposizione da parte dell’intimato (51

). In questo caso, la verifica circa

la realizzazione della condizione di procedibilità avviene all’udienza ex art. 667 c. p. c. ed

è in quella sede che, eventualmente, il giudice dovrà disporre il rinvio di cui all’art. 5,

comma 1. Infine, nei procedimenti possessori, il tentativo obbligatorio di conciliazione

deve avere luogo dopo la pronuncia dei provvedimenti di cui all’art. 703, terzo comma, c.

p. c.: qui, la mediazione diviene condizione di procedibilità dell’eventuale giudizio sul

merito possessorio.

4. - L’art. 5 fa riferimento alla parte che “intenda esercitare in giudizio un’azione”: essa

dunque si riferisce inequivocabilmente all’attore, ovvero agli attori, nei casi di

litisconsorzio attivo.

49

) Trib. Prato, 18 luglio 2011, , in Giur. mer., 2012, p. 1082. 50

) MASONI, Tipologie di mediazione nei rapporti col processo, in Giur. mer., 2012, p. 70. 51

) Trib. Modena – Pavullo nel Frignano, 6 marzo 2012, , in Giur. mer., 2012, p. 1077,

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15

Nei casi di procedimenti complessi dal punto di vista oggettivo o soggettivo, la condizione

di procedibilità prevista dalla norma deve essere soddisfatta per ogni domanda cumulata

dall’attore ex art. 104 c. p. c. e rientrante nella lista di cui al comma 1 dell’art. 5 (52

).

In caso di più attori, ciascuno di essi dovrà avere soddisfatto la condizione dell’art. 5 nei

confronti di tutti gli eventuali convenuti (53

).

Meno ovvio è l’operare dalla norma rispetto alle domande fatte valere nel corso del

processo dal convenuto, dai terzi intervenienti volontari o su chiamata e pure dallo stesso

attore, sotto forma di riconventio reconventionis.

La proposizione di una domanda “incidentale” costituisce, come è ovvio, “esercizio del

diritto d’azione”, per quanto nell’ambito di un processo cominciato da altri o comunque già

in corso e quindi non sotto forma di “azione” autonoma (54

). Si può, dunque, pensare che la

ratio legis sia limitata all’iniziativa processuale che dà vita ad un processo, senza

estendersi anche ai fenomeni di ampliamento dell’ambito oggettivo del giudizio già

avviato. In effetti, applicare l’art. 5 alle domande proposte in corso di causa può portare ad

una molteplicità di rinvii del processo e ad aumento esponenziale dei costi per le parti (55

).

In questo senso, quindi, si è orientata parte della giurisprudenza, che ha escluso dall'ambito

della mediazione obbligatoria tutte le domande diverse da quella dell'attore proposta con

l'atto introduttivo del giudizio, comprese le c.d. riconvenzionali inedite, ovvero quelle

emerse solo nella fase giudiziale della controversia e non nel corso del procedimento di

mediazione. Tale giurisprudenza, peraltro, a sostegno di questa soluzione, ha osservato che

l’art. 5 indica il solo convenuto come la parte legittimata a sollevare il difetto di previo

esperimento del tentativo di conciliazione (56

). Questa soluzione interpretativa si lascia

apprezzare almeno dal punto di vista pratico, dal momento che evita che il processo sia

soggetto a dilazioni e ad ampliamenti dei costi.

52

) V. pure PETTA, La mediazione obbligatoria nel giudizio oggettivamente complesso, in Giur.

mer., 2012, p. 353. 53

) PETTA, op. cit., p. 353. 54

) PETTA, op. cit., p. 355. 55

) V. anche MASONI, Mediazione e processo: rassegna della prima giurisprudenza edita, in Giur.

mer., 2012, p. 1092, che richiama anche la soluzione raggiunta in merito all’esclusione

dell’obbligatorietà del tentativo ex art. 412 bis c. p. c. con riferimento alla domanda

riconvenzionale nel processo del lavoro. Per Trib. Como-Cantù, 2 febbraio 2012, in

http://osservatoriomediazionecivile.blogspot, a tale problema potrebbe porsi rimedio con la

separazione delle diverse domande. 56

) Trib. Palermo-Bagheria, 11 luglio 2011, in Giur. mer., 2012, p. 336, che, obiter, estende la

decisione anche alla reconventio reconventionis dell’attore e alle domande proposte contro o da

terzi chiamati o intervenuti; contra Trib. Roma – Ostia, 15 marzo 2012, in www.101mediatori.it.

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Per contro, si può argomentare che la ratio legis sia evitare il contenzioso rispetto ad ogni

azione rientrante nella lista dell’art. 5, a prescindere dalla parte che l’abbia introdotta in

causa e dal momento processuale in cui la stessa è stata proposta. In quest’ottica, ad

esempio, si deve esperire il tentativo obbligatorio di mediazione con riferimento alla

domanda riconvenzionale del convenuto (57

), almeno se “inedita” (58

).

Parte della dottrina, peraltro, adotta, a questo riguardo una posizione ulteriormente

diversificata, ritenendo che, ove non si sia svolto tentativo di conciliazione rispetto alla

domanda principale, nulla escluderebbe che tale tentativo possa avere luogo sulla domanda

riconvenzionale (59

). Seguendo questa linea di pensiero, si giunge ad escludere la necessità

di rinnovare il tentativo di conciliazione in caso di intervento di terzo litisconsortile, ma a

richiederlo in caso di intervento principale, sul rilievo che, in tale ultima ipotesi, l’esigenza

di una trattazione e di una decisione unitaria delle cause non sembrerebbe tanto rilevante

da giustificare una deroga al regime della mediazione obbligatoria, dal momento che il

terzo non subisce alcun pregiudizio dalla decisione che definisce il giudizio fra le altre

parti (60

).

5. - Ai fini del soddisfacimento della condizione di procedibilità, il procedimento di

mediazione (o il termine dilatorio previsto per il suo svolgimento) si deve essere esaurito

prima della prima udienza avanti al giudice (61

). Il che vuol dire che laddove il

procedimento di mediazione sia stato attivato dopo la notifica dell’atto di citazione ma

abbia esaurito il suo corso prima della comparizione delle parti avanti al giudice, nulla

quest’ultimo dovrà disporre in sede di udienza ex art. 183 c. p. c.

L’attore, per dimostrare di avere soddisfatto la condizione imposta dall’art. 5, deve

produrre in giudizio, al più tardi, appunto, alla prima udienza, una copia del verbale

negativo rilasciato dall’organismo di mediazione.

57

) In questo senso Trib. Roma – Ostia, 15 marzo 2012 cit.; Trib. Como - Cantù, 2 febbraio 2012,

cit.; Giudice di pace Salerno, 2 luglio 2012, ord., www.101mediatori.it. 58

) Trib. Firenze, 14 febbraio 2012, in http://osservatoriomediazionecivile.blogspot.it. 59

) PETTA, op. cit., p. 358 ss., che osserva che, in questa ipotesi, lo svolgimento della mediazione

sull’oggetto della domanda riconvenzionale conserva intatta la sua potenziale efficacia deflattiva,

anche in relazione alla domanda introduttiva del processo già pendente. 60

) PETTA, op. cit., p. 359 ss., che distingue ulteriormente le ipotesi di chiamata in garanzia propria

(per cui non si dovrebbe soddisfare la condizione di procedibilità) da quelle in garanzia impropria

(per cui invece tale condizione dovrebbe essere soddisfatta, avendo essa ad oggetto un diritto del

tutto indipendente rispetto a quello dedotto con la domanda principale). 61

) PETTA, op. cit., p. 351.

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17

Ovviamente, vi deve essere coincidenza tra l’oggetto della mediazione e le domande

proposte davanti al giudice: ove tale coincidenza manchi, anche solo parzialmente, dovrà

comunque scattare il meccanismo di sanatoria esaminato più avanti. L’identità tra l’oggetto

della mediazione e quello della domanda giudiziaria, d’altro canto, va accertata in senso

sostanziale e non formale, senza fare rigida applicazione dei criteri identificativi

dell’azione (62

). Le parti debbono essere le stesse, ma, sul piano oggettivo, bisogna tenere a

mente che l’istanza di mediazione non necessariamente è predisposta da un avvocato (63

) e

che essa non richiede la esatta individuazione di un bene della vita o di fatti costitutivi

specifici o, a fortiori, la formulazione di “conclusioni”, estranee alla natura stessa della

mediazione.

Si deve dunque verificare l’identità di “rapporto” o di “situazione sostanziale” fatta valere

nelle due sedi: nozioni senz’altro atecniche, da interpretare con sufficiente elasticità, per

rispettare lo spirito e la natura della mediazione, nell’ambito della quale non esistono

preclusioni, potendo le parti affrontare anche aspetti e questioni non inizialmente

prospettate nell’istanza. Per fare un esempio, in materia di divisione di proprietà comuni, la

condizione di procedibilità dovrà ritenersi soddisfatta anche qualora l’attore, nella

domanda giudiziaria, formuli richieste (ad esempio, in merito alle modalità di divisione o

al pagamento di un indennizzo per l’uso esclusivo di tali proprietà da parte della

controparte) non menzionate nell’istanza di mediazione (64

).

L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata

d’ufficio dal giudice, non oltre, appunto, la prima udienza. Decorso tale termine, la

questione non può essere ulteriormente sollevata. Si deve fare riferimento, in ogni caso,

all’udienza nella quale si esauriscono tutti gli incombenti previsti dall’art. 183 c. p. c. e che,

dunque, sul piano numerico, può non essere la prima in assoluto (65

).

62

) Va in questa direzione Trib. Mantova, 25 giugno 2012, ord., in www.101mediatori.it, che

osserva: “non può ritenersi che le domande proposte in sede di mediazione debbano essere

compiutamente ed esattamente formulate sotto il profilo giuridico”, essendo sufficiente che

l’istanza contenga l’indicazione dell’oggetto e le ragioni della pretesa. 63

) V. Trib. Mantova, 25 giugno 2012, ord., in www.101mediatori.it. 64

) Ad esempio, Trib. Mantova, 25 giugno 2012, cit., con riferimento ad una domanda avente ad

oggetto una servitù di passaggio, ritiene procedibile l’azione “a nulla rilevando (…) che sia stata

richiesta la determinazione di modalità di esercizio del diritto di passaggio ulteriori rispetto a quelle

indicate in sede di mediazione, essendo detto esercizio regolato dal titolo, o, in mancanza, dagli artt.

1065 e ss. c. c.”. 65

) Così pure MASONI, Tipologie di mediazione nei rapporti col processo, in Giur. mer., 2012, p. 68.

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18

Il dato letterale è sufficientemente chiaro da escludere, come pure alcuni ritengono (66

), che

il convenuto sia tenuto a sollevare l’eccezione in esame nella propria comparsa di

costituzione depositata tempestivamente, sulla falsariga di quanto previsto per l’eccezione

relativa all’esistenza di una clausola compromissoria.

In merito al mancato esperimento della mediazione il giudice dovrà, in ogni caso, decidere

dopo avere verificato la regolare integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le

parti necessarie e degli eventuali terzi chiamati. Ciò vuol dire che, preliminarmente, si

dovrà verificare se la domanda o la sua notificazione presentano vizi e, se del caso,

disporre quanto previsto per la relativa sanatoria; analogamente, sempre in via preliminare,

dovranno essere presi i provvedimenti di cui all’art. 102 c. p. c. o 182 c. p. c. In questo

modo, si permette a tutte le parti interessate di prendere posizione sulla questione (67

) e si

evitano perdite di tempo, disponendo l’eventuale differimento della causa per esperire il

tentativo di mediazione tra tutte le parti del procedimento e in relazione a tutte le domande

cumulate in tale sede per cui operi la condizione di procedibilità di cui all’art. 5 del decreto

n. 28 del 2011.

Il tenore della norma ha fatto dire che, nelle controversie soggette al tentativo obbligatorio

di mediazione, anche se le parti di comune accordo chiedono al giudice di evitare detto

procedimento, quest'ultimo deve comunque rilevare d’ufficio l'improcedibilità dell'azione

giudiziale (68

). Gli interpreti escludono, in effetti, che il giudice possa compiere una

valutazione discrezionale in merito all’opportunità di esperire la mediazione (69

). Chi

scrive, peraltro, ritiene preferibile un approccio più elastico che, nel consentire al giudice

di valutare le circostanze della fattispecie, gli consenta di non rinviare l’udienza qualora

appaiano non sussistere le condizioni minime per l’esperimento di un’utile mediazione.

Il meccanismo processuale che si innesca laddove il giudice rilevi che la mediazione è già

iniziata ma non si è conclusa ovvero non è stata neppure tentata è analogo.

Nel primo caso, infatti, deve essere fissata un’udienza successiva dopo la scadenza del

termine di cui all’articolo 6 (ovvero i 4 mesi dal deposito dall’istanza di mediazione) (70

).

Nel secondo (e ben più frequente) caso, l’udienza va rinviata di almeno 4 mesi, con

66

) MURINO, Primi provvedimenti e prime considerazioni in tema di mediazione conciliativa, in

Giur. it., 2011, p. 2369. 67

) In questo senso Trib. Palermo-Bagheria, 13 giugno 2012, ord., in www.101mediatori.it. 68

) Trib. Palermo - Bagheria, 13 luglio 2011, in Guida dir., 2011, 44, Inserto 12, p. 9. 69

) MASONI, op. cit., p. 69. 70

) Tale termine non è soggetto a sospensione feriale: v. Giudice di pace Salerno, 2 luglio 2012,

ord., www.101mediatori.it.

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contestualmente assegnazione alle parti di un termine di quindici giorni per la

presentazione della domanda di mediazione.

In altre parole, il previo esperimento del procedimento di mediazione assurge a

presupposto processuale, con la previsione di un generale meccanismo di sanatoria con

effetti ex tunc che consente di preservare gli effetti della domanda giudiziale proposta

senza il suo ottemperamento (71

).

I provvedimenti sopra menzionati, a rigore, devono essere presi in udienza, nel

contraddittorio delle parti. Nei procedimenti iniziati con ricorso, peraltro, alcuni interpreti

ritengono che il giudice, verificato il mancato ottemperamento della condizione di

procedibilità, li possa emettere d’ufficio, anche prima dell’udienza e dunque senza

prospettare la questione alle parti (72

). E, così, nell’ambito di procedimenti soggetti al rito

locatizio ex art. 447 bis c.p.c., in sede di fissazione dell'udienza di discussione, alcuni

giudici hanno assegnato al ricorrente termine di quindici giorni per la presentazione della

domanda di mediazione (73

), con contestuale fissazione dell'udienza (ai sensi dell'art. 420

c.p.c.) per una data successiva alla scadenza del termine di quattro mesi previsto dall'art. 5,

comma 1 (74

).

71

) V. PETTA, op. cit., p. 349; totalmente erronea, dunque, Trib. Campobasso, 4 gennaio 2012, che,

accogliendo l’eccezione del convenuto circa il mancato esperimento della mediazione prima

dell’inizio del processo, si limita a dichiarare la domanda improcedibile, definendo il procedimento

avanti a sé. La sentenza è tanto più criticabile nella misura in cui applica la condizione di

procedibilità ad un procedimento in cui la citazione era stata consegnata agli Ufficiali giudiziari

prima dell’entrata in vigore dell’art. 5, con perfezionamento della notifica in data successiva.

Secondo il Tribunale di Campobasso i processi introdotti con citazione devono considerarsi

pendenti al momento della notificazione della citazione e che ai fini della instaurazione del

contraddittorio, non è sufficiente la mera consegna del plico da notificare all'ufficiale giudiziario,

ma è necessario che l'atto pervenga a legale conoscenza del destinatario, sicchè - per la pendenza

della lite - deve aversi riguardo non alla data del primo adempimento, bensì al momento in cui il

procedimento notificatorio si perfeziona giungendo nella sfera di conoscenza del notificato. Non è

questa la sede per approfondire la questione: chi scrive, peraltro, ritiene che la pendenza della lite,

al fine della determinazione ratione temporis della disciplina processuale applicabile, non possa

che essere ricondotta alla data in cui l’attore consegna l’atto agli ufficiali giudiziari ovvero deposita

il ricorso presso l’ufficio giudiziario adito; sull’argomento v. altre prese di posizione

giurisprudenziali in RUVOLO, Le prime applicazioni giurisprudenziali in tema di mediazione, in

Corr. giur., 2012, p. 338 72

) Per MASONI, op. cit., p. 69, ad esempio, l’invito a procedere a mediazione potrebbe essere

indirizzato dal giudice alle parti già antecedentemente alla prima udienza del processo ordinario di

cognizione in sede di pronuncia del decreto di differimento della prima udienza di comparizione e

trattazione ex art. 168 bis c. p. c. 73

) Trib. Modena, 6 maggio 2011, in Giur. locale – Modena, 2011. 74

) Trib. Prato, 30 marzo 2011, decr., in Giur. it., 2012, p. 657, che specifica che il termine per la

presentazione della domanda di mediazione va computato a decorrere dalla comunicazione del

decreto e che, oltre a stabilire un termine per l’inizio del procedimento di mediazione da parte del

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20

Meccanismi analoghi a quelli appena esaminati per la mediazione c.d. obbligatoria sono

previsti, dal comma 5 dell’art. 5, in caso di inottemperanza ad una clausola di mediazione o

conciliazione contenuta in un contratto, in uno statuto o in un atto costitutivo di un ente

ovvero qualora il procedimento di mediazione ivi previsto non sia ancora giunto a

compimento. Anche in questo caso, in effetti, la mediazione è obbligatoria, anche se la

fonte di tale obbligo non è la legge ma la volontà delle parti. Qui, peraltro, il favor per il

tentativo di mediazione è attenuato: si prevede, infatti, la semplice eccezione di parte,

proposta nella prima difesa (e dunque, rispetto al processo civile, in sede di comparsa di

risposta e non direttamente all’udienza, salvo che la costituzione non avvenga in tale sede).

Dopo la concessione del termine da parte del giudice, si prospettano diverse opzioni.

In primo luogo, la parte più diligente può effettivamente procedere alla presentazione

dell’istanza di mediazione. Al riguardo, il termine di 15 giorni non deve ritenersi

perentorio, l’importante è che l’iter sia esaurito in 4 mesi e comunque prima dell’udienza

successiva (75

).

Se la mediazione ha successo, la controversia è (almeno in parte) conciliata e il

procedimento potrà essere abbandonato (76

) (o proseguito solo per quella parte di thema

decidendum su cui eventualmente non si sia trovato un accordo).

La mediazione può però anche fallire.

Va considerata, in primo luogo, l’ipotesi in cui il procedimento non si sia neppure

completamente sviluppato, per la mancata comparizione della controparte. In tali ipotesi, in

base alle indicazioni di una circolare ministeriale del 4 aprile 2011, successivamente

recepita dal d. m. n. 145 del 8 luglio 2011, la parte interessata deve comunque

effettivamente comparire all’appuntamento col mediatore, non essendo sufficiente una

mera dichiarazione dell’organismo di conclusione del procedimento per mancata adesione

della parte invitata (77

). Per soddisfare la condizione di procedibilità, dunque, si deve

ottenere almeno un verbale “negativo” da parte del mediatore.

ricorrente fissa, oltre la scadenza dei quattro mesi, un ulteriore termine ex art. 416, comma 1 c. p. c.

per la costituzione in giudizio del resistente. Così pure MASONI, op. cit., p. 68; Trib. Larino –

Termoli, 23 dicembre 2011, in Giur. mer., 2012, p. 1079. 75

) In questo senso anche MASONI, op. cit., p. 70. 76

) In effetti, come evidenzia Trib. Varese, 6 luglio 2012, ord., www.ilcaso.it, alle parti non è

imposto, in caso di esito favorevole della mediazione, di darne atto nel processo, ben potendo

semplicemente non comparire per provocare l’estinzione del giudizio. 77

) V. pure MASONI, op. cit., p. 69; Trib. Roma - Ostia, 27 giugno 2011, ord.; Giudice di pace

Salerno, 2 luglio 2012, ord., www.101mediatori.it. A fortiori, non può soddisfare la condizione di

procedibilità l’attore che abbia promosso la procedura di mediazione senza provocare o procurare

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21

Nessun problema procedurale pone lo svolgimento della mediazione nel contraddittorio tra

le parti, ma senza che si raggiunga la conciliazione della lite: soddisfatta comunque la

condizione di procedibilità, all’udienza fissata dal giudice il processo potrà riprendere il

suo corso.

Può poi avvenire che nessuna delle parti si attivi per dare inizio alla mediazione. In tale

ipotesi, il mancato soddisfacimento della condizione di procedibilità (salva sussistenza dei

presupposti per la rimessione in termini) sembra avere una conseguenza ineludibile:

ovvero la pronuncia dell’improcedibilità della domanda. Tale pronuncia, peraltro, non

necessariamente porterà ad una chiusura in rito dell’intero giudizio. In caso di cumulo di

domande, infatti, si dovranno separare quelle per cui è previsto il tentativo di mediazione

obbligatorio da quelle, invece, escluse dall’ambito di applicazione dell’art. 5, comma 1,

salva la sussistenza di un rapporto di connessione forte che impedisca tale scissione. Allo

stesso modo, accedendo all’interpretazione per cui la mediazione debba essere tentata

anche con riferimento alle domande proposte nel corso del giudizio, il mancato

soddisfacimento della condizione di procedibilità potrà impedire la prosecuzione del

giudizio rispetto alla sola domanda riconvenzionale (78

) ovvero alla domanda proposta dal

terzo interveniente.

Alla stessa soluzione sembra doversi giungere per l’ipotesi in cui la mediazione, in ipotesi

avviata in ritardo, non sia ancora giunta a compimento entro l’udienza a cui il giudice

abbia rinviato la causa. Un’eccezione può peraltro prospettarsi qualora tutte le parti

interessate facciano richiesta di rinvio dell’udienza, per portare a termine il percorso avanti

al mediatore: la giurisprudenza di merito ha accolto tale soluzione, sul rilievo della natura

ordinatoria del termine di quattro mesi stabilito dalla legge, in considerazione del fatto che

il tempo dedicato alla mediazione non è “inutilmente consumato” (79

).

La pronuncia di improcedibilità, di norma, dovrebbe essere accompagnata dalla

compensazione delle spese, dal momento che il provvedimento del giudice che dispone la

presentazione dell’istanza di mediazione si rivolge al litigante più diligente e non ad una

la presenza di tutte le parti, con il formalistico deposito di una domanda non seguito da alcun

comportamento della parte proponente idoneo a perseguire né l’instaurazione di un effettivo ed

integro contraddittorio di fronte al mediatore, né l’effettiva fruizione del servizio da quest’ultimo

erogato: Trib. Siena, 25 giugno 2012, in www.101mediatori.it, per cui tale comportamento nei

confronti della prescrizione legale di un presupposto processuale integra gli estremi della frode alla

legge. 78

) Per una fattispecie Trib. Roma – Ostia, 15 marzo 2012, in www.101mediatori.it. 79

) Trib. Varese, 20 giugno 2012, ord., in www.101mediatori.it.

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parte specifica che possa così essere ritenuta “responsabile” della chiusura in rito del

giudizio (80

).

Qualche incertezza si pone sulle conseguenze della improcedibilità nel procedimento di

opposizione a decreto ingiuntivo e di opposizione alla convalida di licenza o di sfratto.

A rigore, nel primo caso, alla improcedibilità dovrebbe fare seguito la definitività del

decreto ingiuntivo opposto (81

); nel secondo, l’ordinanza provvisoria di rilascio

eventualmente concessa dovrebbe conservare la sua efficacia. A parere di chi scrive, a tali

soluzioni si deve pervenire anche qui, dal momento che, per espressa previsione legislativa,

la fase iniziale dei due procedimenti (ed in particolare quella che si svolge inaudita altera

parte in sede monitoria) è sottratta alla condizione di procedibilità e che, dunque, appare

onere dell’opponente coltivare il procedimento, compiendo tutte le attività necessaria per

giungere alla decisione sul merito, mediazione inclusa.

La prima giurisprudenza ha peraltro espresso un parere difforme, sostenendo che,

all’improcedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo, dovrebbe fare seguito la revoca

dell’ingiunzione, sul presupposto della unitarietà del procedimento, rispetto al quale

l’opposizione del debitore non costituirebbe un’iniziativa processuale autonoma (82

). Tale

soluzione non appare condivisibile, anche perché applica un regime speciale alla

improcedibilità non contemplato dal decreto n. 28 e in contrasto con il disposto dell’art.

647 c. p. c.

A soluzione analoga si è giunti, in materia di sfratto, in una fattispecie in cui, peraltro, il

giudice, all’esito della fase sommaria, non aveva concesso l’ordinanza provvisoria di

rilascio: constatato il mancato esperimento della mediazione nel termine all’uopo concesso,

il Tribunale ha dichiarato improcedibile la domanda di risoluzione contrattuale (83

).

La normativa non si occupa della situazione in cui il giudice erri in merito all’applicazione

dell’art. 5, n. 1.

Potrà in primo luogo porsi il caso in cui il giudice ritenga, sbagliando, che la controversia

sia soggetta al tentativo obbligatorio di mediazione ed emetta in prima udienza i

80

) In senso difforme, Trib. Ostia 26 marzo 2012, in www.101mediatori.it, pone le spese del

giudizio in capo all’intimante. Così pure Trib. Lamezia Terme, 22 giugno 2012, in

www.101mediatori.it, che giustifica tale decisione con il rilievo che, in applicazione dell’art. 91, va

condannata alle spese la parte che “causa un processo”, compreso il caso in cui tale parte costringa

“alla sopportazione di un’iniziativa giudiziaria rivelatasi incompleta, per la mancata ottemperanza

agli oneri processuali sottesi alla sua definizione”. 81

) Per una fattispecie, Trib. Siena, 25 giugno 2012, cit. 82

) Trib. Varese, 18 maggio 2012, ord., in www.ilcaso.it. 83

) Trib. Lamezia Terme, 22 giugno 2012, in www.101mediatori.it.

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provvedimenti previsti da tale norma. Le parti potranno così trovarsi obbligate a dare corso

a una mediazione in realtà non prevista: ove quest’ultima abbia esito positivo, qualsiasi

errore del giudice sarà “sanato” e superato dall’avvenuta conciliazione della lite; in caso di

esito negativo, l’errore resterà comunque senza grandi conseguenze: le spese della

mediazione andranno a carico della parte soccombente e il “tempo perduto” sarà

abbastanza contenuto. L’errore del giudice, peraltro, avrà conseguenze molto gravi in caso

di inottemperanza delle parti all’ordine di tentare la mediazione: il provvedimento di

improcedibilità potrà in quel caso essere impugnato, ma l’eventuale accoglimento di tale

impugnazione comporterà comunque la perdita di un grado di giurisdizione, non rientrando

la fattispecie in una di quelle per cui è prevista la rimessione in primo grado della lite.

Il giudice può pure erroneamente ritenere che la controversia non sia soggetta al tentativo

obbligatorio di mediazione, non prendendo i provvedimenti previsti dall’art. 5, n. 1 del

decreto n. 28. Si tratta di un errore nell’applicazione della legge processuale da cui però

non è agevole fare derivare un vizio della sentenza, dal momento che non si prospetta una

lesione del diritto di difesa delle parti.

A parziale attenuazione dell’erronea valutazione del giudice di primo grado, il giudice

d’appello potrebbe invitare lui stesso le parti a tentare la mediazione (v. infra): la parte

uscita totalmente vincitrice dal primo grado, peraltro, avrebbe ben pochi incentivi a

raccogliere tale invito.

6. - L’art. 5, comma 2 del decreto n. 28 prevede un ulteriore modello di mediazione, che

esprime forse il più elevato livello di coordinamento tra tentativo alternativo di soluzione

della controversia e processo civile. La norma attribuisce infatti al giudice, anche in sede di

giudizio di appello (84

), il potere generalizzato di invitare le parti a procedere alla

mediazione, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle

parti stesse.

L’invito deve essere rivolto alle parti prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni

ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa.

La norma prosegue specificando che, se le parti aderiscono all’invito, il giudice fissa la

successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6 (4 mesi) e, quando la

84

) Per una fattispecie, App. Napoli, 17 febbraio 2012, in

http://osservatoriomediazionecivile.blogspot.

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mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici

giorni per la presentazione della domanda di mediazione.

La ratio legis è consentire di tentare la mediazione anche fuori dai casi di obbligatorietà,

laddove il giudice reputi utile ed opportuno esperire un tentativo in tal senso. Quello in

esame, in effetti, non deve essere considerato uno strumento da utilizzare in modo

indiscriminato, ma solo laddove sussistano le condizioni opportune ed elementi indicativi

di buone probabilità di conciliazione (85

). Si è peraltro affermato che l’art. 5, comma 2°,

prevede un potere discrezionale del giudice di invitare le parti a procedere alla mediazione,

che si identifica in un giudizio prognostico sulla possibile idoneità della mediazione a

definire la controversia (86

) e il cui esercizio non può essere sollecitato dalla parte (87

). A

tale riguardo, il giudice deve considerare tre parametri (88

):

- lo stato dell’istruzione: non necessariamente l’inizio di un giudizio è il momento più

propizio per tentare una mediazione. Spesso, l’esperimento di attività istruttoria (ad

esempio, una CTU) fornisce alle parti utili elementi per raggiungere una soluzione

conciliata della lite. Nulla esclude, peraltro, che il giudice rimetta ai mediatori

l’incombente di procedere ad accertamenti tecnici eventualmente necessari (89

);

- la natura della causa: per alcuni, la mediazione “su invito del giudice” sarebbe esperibile

solo nelle controversie di cui al comma 1 dell’art. 5 (90

), ovvero quelle per cui la

mediazione è già di per sé obbligatoria. La soluzione non convince, in quanto fondata su

una lettura eccessivamente restrittiva della norma, inserita in un articolo dedicato non solo

alla mediazione come condizione di procedibilità ma anche, in generale, ai rapporti della

mediazione con il processo. Ferma la disponibilità dei diritti oggetto di controversia, ogni

lite si presta ad essere oggetto di mediazione “suggerita” (91

); d’altro canto, la norma rende

possibile la “reiterazione” della mediazione dopo quella prevista ai sensi dell’art. 5, comma

1 (92

); anzi, la mediazione “su invito del giudice” appare utile proprio in combinazione con

85

) Trib. Varese, 8 luglio 2011, in banca dati dejure. 86

) Trib. Prato, 16 gennaio 2012, in www.101mediatori.it. 87

) App. Napoli, 15 luglio 2010, in www.ilcaso.it. 88

) MASONI, op. cit., p. 71. 89

) Trib. Roma - Ostia, 22 novembre 2010, in www.ilcaso.it; v. pure Trib. Roma - Ostia, 6 dicembre

2010, in www.ilcaso.it; Trib. Roma, 9 dicembre 2010, in banca dati dejure. 90

) MASONI, op. cit., p. 71. 91

) Trib. Prato, 16 gennaio 2012, cit. 92

) MASONI, op. cit., p. 71.

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il tentativo obbligatorio di mediazione previsto dall’art. 5, per mettere in condizione di

devolvere tutte le contrapposte domande avanti al mediatore in un’unica sede (93

);

- il comportamento delle parti: in un provvedimento, ad esempio, si menziona il fatto che

l'attore nella memoria avesse ribadito la sua volontà conciliativa e riproposto un'offerta già

fatta alla parte convenuta alla prima udienza, richiedendo la comparizione delle parti

proprio per accertare la "fattibilità" della proposta (94

); in un procedimento di opposizione a

d. i., inoltre, il consenso delle parti si è presunto sulla base del loro contegno processuale

estrinsecatosi, per quanto riguarda l’opposta, nel richiedere espressamente l’avvio della

fase incidentale di mediazione, e, per quanto riguarda l’opponente, nel non aver sollevato

obiezioni di sorta a tale eventualità (95

).

L’invito del giudice viene qualificato come “nudo”, in quanto egli non potrebbe

individuare l’organismo di mediazione avanti al quale esperire il relativo tentativo (96

). Si è

però condivisibilmente affermato che la salvaguardia della funzionalità dell'istituto impone

che il magistrato possa indicare l'ambito territoriale entro cui svolgere il procedimento di

mediazione (97

). Nell’ottica di preservare la libertà di scelta delle parti dell’organismo di

mediazione cui rivolgersi, appare invece inopportuno che l’invito del giudice contenga

“condizioni”, come quella di rivolgersi a un ente il cui regolamento non contenga clausole

limitative della facoltà del mediatore di formulare una proposta conciliativa,

subordinandone eventualmente l’esercizio alla condizione della previa richiesta congiunta

di tutte le parti (98

). Con simili condizioni, a tacer d’altro, si rischia di sacrificare una scelta

“di qualità”, valorizzando un aspetto (la possibilità per il mediatore di formulare una

proposta) che resta molto controverso, “punendo” proprio quegli organismi che, con il

proprio regolamento restrittivo, intendano meglio tutelare l’autonomia delle parti. D’altro

canto, il giudice che voglia “sanzionare” la parte che abbia respinto proposte ragionevoli di

mediazione, può più agevolmente applicare le disposizioni dell’art. 96, comma 3, c. p. c.

rispetto a quelle di cui all’art. 13 del decreto n. 28\2010 (v. infra).

93

) Trib. Verona, 18 gennaio 2012, ord., in Giur. mer., 2012, p. 1078; Trib. Como - Cantù, 2

febbraio 2012, in http://osservatoriomediazionecivile.blogspot. 94

) Trib. Varese, 8 luglio 2011, in banca dati dejure. 95

) Trib. Verona, 18 gennaio 2012, ord.. 96

) MASONI, op. cit., p. 73. 97

) Trib. Varese, 8 luglio 2011, in banca dati dejure; Trib. Bari, 16 aprile 2012, in

http://osservatoriomediazionecivile.blogspot. 98

) Per un provvedimento di questo tipo, v. Trib. Vasto, 5 luglio 2012.

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Le parti devono, d’altro canto, restare libere di accettare o meno l’invito del giudice, senza

timore di subire altrimenti conseguenze negative: si afferma, infatti, che il legislatore ha

voluto che la scelta dei litiganti fosse libera e genuina, non influenzata dal timore di

ricadute sfavorevoli nella futura sentenza. Nel formulare l’invito, dunque, il giudice

dovrebbe avvisare le parti che del loro eventuale rifiuto non si terrà conto nella decisione

finale (99

).

Qualora però una parte accolga l’invito del giudice, ma non partecipi poi alla mediazione,

il relativo comportamento dovrà essere valutato come argomento di prova (v. supra), anche

se questo implica una lettura estensiva dell’art. 8, comma 5 (100

).

Gli interpreti hanno evidenziato che l'adesione all'invito del giudice a valutare la possibilità

di un tentativo stragiudiziale di mediazione costituisce un'estrinsecazione del potere di cui

all'art. 84, comma 1, c.p.c. e quindi l'avvocato può pronunciarsi in merito ad essa (101

),

ferma restando la possibilità, per lo stesso, di ottenere un breve rinvio della causa per

conferire con il proprio cliente ai fini di un'adesione all'invito più consapevole (102

). In

effetti, si ritiene che l’invito del giudice non imponga una risposta immediata alla

medesima udienza in cui lo stesso sia formulato (103

).

E’ pacifico che l’adesione deve provenire da tutte le parti coinvolte (104

), restando

irrilevante l’adesione di alcune soltanto di esse.

7. - Alcune norme del decreto legislativo n. 28 del 2010 si occupano del raccordo tra il

procedimento di mediazione e il processo, sul piano delle influenze che il primo può

riflettere sul secondo. Al riguardo, per garantire la confidenzialità e la riservatezza della

mediazione (e favorirne dunque il successo), l’art. 10 afferma un generale principio di

inutilizzabilità delle dichiarazioni rese o delle informazioni acquisite nel corso di tale

procedimento nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o

proseguito dopo l’insuccesso della mediazione. Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e

informazioni non è inoltre ammessa prova testimoniale e non può essere deferito

giuramento decisorio. Non si fa qui riferimento all’interrogatorio formale, ma appare

99

) Trib. Varese, 8 luglio 2011 cit.; MASONI, op. cit., p. 73. 100

) Contro tale soluzione MASONI, op. cit., p. 73. 101

) MASONI, op. cit., p. 72. 102

) Trib. Varese, 8 luglio 2011, cit. 103

) MASONI, op. cit., p. 72. 104

) MASONI, op. cit., p. 72, che fa un’eccezione per l’ipotesi di processo contumaciale, rispetto alle

domande giudiziali dotate di autonomia rispetto a quelle proposte nei confronti del contumace.

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scontato che anche tale mezzo di prova vada escluso. Al riguardo, si parla di “prove

illecite” e dunque mai utilizzabili, piuttosto che di mero “limite di ammissibilità” della

prova, non rilevabile d’ufficio.

La norma, peraltro, prevede una deroga a tale divieto, in caso di consenso della parte

dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Ciò vuol dire che la parte, negli atti

del processo, potrà sempre fare riferimento alle proprie dichiarazioni o proposte formulate

in sede di mediazione.

Lo stesso art. 10, al comma 2, con riferimento al segreto professionale del mediatore,

prevede che questi non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e

delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione, né davanti all’autorità

giudiziaria né davanti ad altra autorità. Al mediatore , inoltre, si applicano le disposizioni

dell’articolo 200 c.p.p. e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni

dell’articolo 103 c.p.p. in quanto applicabili.

Si ritiene che il “privilegio” del mediatore debba essere esteso, pur nel silenzio della norma,

a tutti i soggetti a qualsiasi titolo coinvolti nella mediazione (come ad esempio l’esperto

incaricato di valutazioni tecniche).

La norma, ovviamente, non esclude l’utilizzo nel processo di fatti conosciuti a prescindere

dalla mediazione, seppure emersi anche nel corso della stessa.

La condotta della parte nel corso della mediazione, inoltre, si presta ad avere ricadute nel

successivo processo in termini di spese di lite.

In generale, la parte soccombente può essere condannata a rimborsare al vincitore (anche)

le spese da questo sostenute per l’esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, in

quanto esborsi ai sensi e per gli effetti dell’art. 91 c.p.c. (105

).

Inoltre, l’art. 13 del decreto legislativo n. 28 stabilisce che quando il provvedimento che

definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta eventualmente

formulata dal mediatore ai sensi dell’art. 11, comma 1, il giudice debba escludere la

ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili

al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese

sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento

all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al

contributo unificato dovuto, includendo anche le spese per l’indennità corrisposta al

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) Trib. Modena, 9 marzo 2012, n. 479, in www.101mediatori.it.

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mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’art. 8, comma 4, restando peraltro

ferma l’applicabilità degli artt. 92 e 96 c. p. c.

In sostanza, la norma (che si ritiene applicabile solo ai procedimenti di merito idonei a

definire il giudizio, con qualche dubbio rispetto ai cautelari anticipatori) sanziona la parte

che abbia rifiutato una proposta formulata dal mediatore e che il giudice abbia

sostanzialmente recepito nella propria decisione. Tale sanzione, in particolare, appare

rivolta all’attore che, insistendo nella propria pretesa, abbia dato vita ad un processo

rivelatosi poi evitabile, sul piano del risultato ottenuto.

In pratica, l’ambito di applicabilità della norma appare non molto ampio: il mediatore, di

norma, non sarà in condizione di formulare proposte esattamente sovrapponibili alla

decisione del giudice, non disponendo di risultanze istruttorie complete e, a volte, non

avendo la necessaria formazione giuridica. D’altro canto, vi è un’intrinseca differenza tra

la proposta che promana da un mediatore nell’ambito di un procedimento volto ad una

soluzione alternativa della controversia e la decisione che il giudice emette nell’ambito del

proprio potere decisorio.

Maggiore spazio applicativo ha invece l’ipotesi contemplata dal comma 2 dell’art. 13 alla

cui stregua, per il caso in cui il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponda

interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali

ragioni (da indicare esplicitamente nella motivazione), può escludere la ripetizione delle

spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e per il

compenso dovuto all’esperto di cui all’articolo 8, comma 4.

Si tratta, in sostanza, di una variazione del disposto del secondo periodo dell’art. 91,

comma 1 c. p. c., che fa a sua volta riferimento al rifiuto di una “proposta conciliativa”

come causa per una modifica all’ordinario criterio di ripartizione delle spese di lite basato

sulla soccombenza.

La norma qui in esame, come disposizione “speciale”, con riferimento alla proposta

formulata dal mediatore, prevale dunque sulla regola generale posta dall’art. 91, comma 1

c. p. c. , nel contesto di cui ci stiamo occupando qui. La sanzione peraltro è qui senz’altro

più lieve, dal momento che è limitata alle spese della mediazione e non si estende a quelle

del processo in quanto tale.

Come si è visto, d’altro canto, la norma fa salva l’applicazione dell’art. 96 c. p. c.: potrà

dunque essere sanzionata ai sensi del terzo comma di tale norma la parte che abbia tenuto,

anche nella fase preliminare della mediazione, un comportamento qualificabile come di

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mala fede o ostruzionistico. Proprio sotto questo profilo, probabilmente, la prassi andrà a

colpire in modo più efficace la renitenza alla partecipazione al procedimento volto alla

conciliazione della lite.

8. - Il procedimento di mediazione introdotto dal decreto legislativo n. 28 del 2010 ha dato

vita a polemiche e contestazioni molto forti, cui si contrappongono speranze ed entusiasmi

altrettanto radicati. In questo scritto, ho voluto dedicarmi agli aspetti più tecnici di tale

nuovo istituto, consapevole che alcune scelte ermeneutiche delle norme passate in rassegna

nelle pagine che precedono sono intimamente collegate alle convinzioni dell’interprete in

merito al valore e al ruolo della mediazione come strumento per la soluzione delle liti.

E’ ancora presto per apprezzare se l’introduzione della condizione di procedibilità sia

davvero idonea a smaltire il contenzioso giudiziale e a contribuire, per quanto

indirettamente, ad un recupero di efficienza ed efficacia da parte della macchina giudiziaria.

Di certo, in questa prima fase applicativa, lo sforzo degli interpreti deve tendere verso

soluzioni condivise e ragionevoli, per evitare il diffondersi di prassi diversificate da un

ufficio giudiziario all’altro. Comunque la si pensi sulla mediazione, ed in particolare su

quella obbligatoria, l’obiettivo cui tendere è la certezza del diritto e non al diffondersi,

anche in questo ambito, del diritto processuale “municipale”.