METTIAMOCI ALLA PROVA

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METTIAMOCI ALLA PROVA ...i piedi nel borgo la testa nel mondo... BORSE STUDIO USA 2005/2008 A imp. cop. def 15-06-2010 17:18 Pagina 1

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Libro della Fondazione Varrone (Rieti) sulle borse di studio donate agli studenti vincitori dei concorsi Intercultura negli anni 2005-2008

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METTIAMOCI ALLA PROVA...i piedi nel borgo la testa nel mondo...

BORSE STUDIO USA 2005/2008

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Presidente

Innocenzo De Sanctis

Vice Presidente

Laura Fagiolo

Presidente del Collegio dei Revisori

Fabrizio Giovannelli

Segretario generale

Mauro Cordoni

Consiglio di Amministrazione

Maurizio Chiarinelli

Giancarlo Giovannelli

Silvano Landi

Giancarlo Micarelli

Olinto Petrangeli

Collegio dei Revisori

Francesco Alicicco

Cesare Chiarinelli

Consiglio di indirizzo

Nicolino Alivernini

Enrico Bock

Mariella Cari

Giuliano Casciani

Marcello Chiattelli

Sosio Giametta

Franco Marci

Aldo Maurizio Mazza

Cesare Monti

Alessandra Onofri

Stefano Polombi

Pietro Santoprete

Giovanbattista Saponaro

Enzo Tarani

Antonio Tosti

Alido Tozzi

Mauro Valeri

Presidente dell’Assemblea dei Soci

Orazio Paci

www.fondazionevarrone. i t

L’Associazione Intercultura Onlus (fondata nel 1955) è un ente morale riconosciuto con DPR n. 578/85, posto sottola tutela del Ministero degli Affari Esteri. Dal 1 gennaio 1998 ha status di ONLUS, Organizzazione non lucrativa diutilità sociale, iscritta al registro delle associazioni di volontariato del Lazio: è infatti gestita e amministrata da migliaiadi volontari, che hanno scelto di operare nel settore educativo e scolastico, per sensibilizzarlo alla dimensione interna-zionale. E’ presente in 132 città italiane ed in 65 Paesi di tutti i continenti, attraverso la sua affiliazione all’AFS edall’EFIL. Ha statuto consultivo all'UNESCO e al Consiglio d'Europa e collabora ad alcuni progetti dell’UnioneEuropea. Ha rapporti con i nostri Ministeri degli Esteri e della Pubblica Istruzione. A Intercultura sono stati assegnatiil Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio e il Premio della Solidarietà della Fondazione Italiana per ilVolontariato per oltre 40 anni di attività in favore della pace e della conoscenza fra i popoli. L’Associazione promuove e organizza scambi ed esperienze interculturali, inviando ogni anno oltre 1500 ragazzi dellescuole secondarie a vivere e studiare all’estero ed accogliendo nel nostro paese altrettanti giovani di ogni nazione chescelgono di arricchirsi culturalmente trascorrendo un periodo di vita nelle nostre famiglie e nelle nostre scuole. InoltreIntercultura organizza seminari, conferenze, corsi di formazione e di aggiornamento per Presidi, insegnanti, volontaridella propria e di altre associazioni, sugli scambi culturali. Tutto questo per favorire l’incontro e il dialogo tra personedi tradizioni culturali diverse ed aiutarle a comprendersi e a collaborare in modo costruttivo.Per maggiori informazioni : www.intercultura.it

La Fondazione Intercultura Onlus nasce il 12 maggio 2007 da una costola dell’Associazione che porta lo stesso nomee che da 55 anni accumula un patrimonio unico di esperienze educative internazionali, che la Fondazione intendeutilizzare su più vasta scala, favorendo una cultura del dialogo e dello scambio interculturale tra i giovani e svilup-pando ricerche, programmi e strutture che aiutino le nuove generazioni ad aprirsi al mondo ed a vivere da cittadiniconsapevoli e preparati in una società multiculturale. Vi ha aderito il Ministero degli Affari Esteri.La Fondazione è presieduta dall’Ambasciatore Roberto Toscano; segretario generale è Roberto Ruffino; del consiglioe del comitato scientifico fanno parte eminenti rappresentanti del mondo della cultura, dell’economia e dell’univer-sità. Nei primi anni di attività ha promosso un convegno internazionale sull’Identità italiana tra Europa e società mul-ticulturale, numerosi incontri con interculturalisti di vari Paesi, ricerche sulla percezione dell’alterità da parte dei gio-vani, un progetto pilota di scambi intra-europei con l’Unione Europea. Raccoglie contributi di enti locali, fondazio-ni ed aziende a beneficio dei programmi di Intercultura. Gestisce il sito dell’Osservatorio sull’internazionalizzazionedelle scuole e la mobilità studentesca, www.scuoleinternazionali.orgPer maggiori informazioni www.fondazioneintercultura.org

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ONLUS

FondazioneInterculturaonlus

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“I piedi nel borgo la testa nel mondo”: così negli anni venti, Domenico Petrini, valente lettera-

to reatino, si esprimeva sottolineando l’importanza di conoscere luoghi e persone oltre il “proprio

campanile” al fine di dare concretezza alle singole potenzialità intellettive, organizzative e crea-

tive, a beneficio dello sviluppo del territorio di appartenenza.

In tal senso, Domenico Petrini è stato, senz’altro, profetico precursore del movimento socio – eco-

nomico che con il termine più “commerciale” di globalità riflette oggi gli aspetti essenziali delle

intercomunicazione e della integrazione fra i popoli.

E’ chiaro che la “globalità”, intesa proprio come strumento necessario per rendere più dutti-

li i confini dei vari Paesi per lo scambio di uomini, mezzi ed idee, configura, al centro dei

propri progetti la formazione dei giovani che, deputati a tenere le redini dell’evoluzione glo-

bale, dovranno essere capaci a capire e, quindi, fronteggiare e risolvere i problemi di caratu-

ra internazionale.

Consapevole della valenza di tali principi, la Fondazione Varrone, fin dal 2005 finanzia,

annualmente, le Borse di Studio Intercultura.

Intercultura è una organizzazione Internazionale di volontariato, attiva da cinquanta anni,

che offre ai giovani una grande opportunità: diventare cittadini del mondo, crescere condividen-

do culture ed usi diversi, vivere in una famiglia e studiare in una scuola all’estero, imparare una

o più lingue straniere.

Il miglioramento delle varie comunità e, quindi, anche della nostra, dipende proprio dalla capacità

e dalla formazione dei giovani e la Fondazione Varrone crede molto nella potenzialità degli stessi.

Per questo, continuerà a programmare progetti di investimento che possano aiutarli a scopri-

re il mondo e tornare nella propria terra con un arricchito bagaglio culturale, utile nella vita

e nel lavoro.

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Ad oggi, la nostra Fondazione ha dato l’opportunità a settanta studenti della Provincia, di ren-

dersi partecipi del progetto formativo di Intercultura.

Dalle loro relazioni risulta evidente come le esperienza vissute siano state fondamentali per la

loro crescita culturale ed esistenziale.

In tale contesto, è quanto mai opportuno sottolineare il positivo mutamento comportamentale

delle famiglie che, abbandonata la iniziale riluttanza, si sono rese conto che i giovani, per avere

un futuro, dovranno essere in grado di confrontarsi con tutte le civiltà e, in particolare, con

quelle che stanno gradatamente inserendosi nel tessuto economico - produttivo del pianeta pron-

te ad assumere un ruolo di preminente leadership.

Da sottolineare, inoltre, che i nostri studenti sono diventati e diventeranno anche “ ambasciato-

ri della nostra terra”, facendo conoscere tutte le potenzialità reatine, in un profondo e sinergico

scambio interculturale.

Da una statistica stilata nel 2007, risulta che la Fondazione Varrone, è l’ente che, a livello nazio-

nale, ha erogato il maggior numero di borse di studio Intercultura in un anno, ripartite fra can-

didati provenienti da tutta la Provincia e da diversi Istituti Superiori, anche professionali.

Tutto questo, ci conforta nella convinzione che le famiglie matureranno, sempre di più, il corag-

gio di far “volare” i propri figli, condividendo con loro la volontà di “partire” per vivere un espe-

rienza che potrebbe cambiare in modo positivo la loro vita e , quindi, il loro futuro.

“Ad Maiora”.

Fondazione Varroneil Presidente

avv. Innocenzo de Sanctis

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Intercultura: una proposta educativa per il nostro tempo

Intercultura nasce e si sviluppa intorno a un progetto educativo: si propone di contribuire alla

crescita di studenti, famiglie e scuole attraverso scambi internazionali di giovani e il loro inse-

rimento in famiglie e scuole di altri Paesi. Dal confronto, stimolato e guidato dai volontari di

Intercultura, nasce una consapevolezza nuova della propria e delle altrui culture e un desiderio

di contribuire pacificamente e con conoscenza di causa al dialogo tra le varie nazioni del mondo.

Questo processo educativo interculturale coinvolge in ugual misura i volontari dell'Associazione e

i partecipanti ai suoi programmi: è una chiave di lettura e un metodo di comprensione del mondo

moderno, superando i pregiudizi e rispettando le differenze. Intercultura non propone una visio-

ne del mondo e un ideale definito, ma aiuta a ricercare ideali comuni per l'umanità del futuro

Dagli incontri tra persone di culture diverse nascono spesso conflitti: la comprensione reciproca

non è né spontanea né automatica. Da incontri guidati possono nascere invece nuove competen-

ze interculturali che aiutano a risolvere potenziali conflitti presenti o futuri.

Il programma tipo di Intercultura, sia esso di “invio” in un altro Paese o di “accoglienza” in

Italia, prevede un’ accurata fase di selezione e di preparazione prima dell’inizio, numerose atti-

vità durante lo svolgimento che aiutano a trarre i maggiori benefici dall’esperienza, possibilità

di incontro, riflessione e approfondimento dopo la conclusione del programma dell’esperienza.

I volontari dell’Associazione sono presenti capillarmente in tutte le località in cui si svolgono i

programmi: offrono assistenza nei momenti di difficoltà e accompagnano nel percorso educati-

vo interculturale gli studenti, i loro genitori, le famiglie ospitanti e le scuole coinvolte.

FondazioneInterculturaonlus Intercultura

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Il progetto educativo di Intercultura

Intercultura vuole contribuire alla creazione di una società mondiale pacificata, non attraverso

la presenza egemone di poche culture ai danni di tutte le altre, ma attraverso il riconoscimento

degli apporti che ogni cultura (non mitizzata, né fossilizzata, ma nel suo divenire) può dare alla

soluzione di problemi comuni. Si tratta di collaborare alla costruzione di una società a misura

d'uomo in un mondo trasformato in villaggio dalla tecnologia, dove il conflitto non sia dissimu-

lato o risolto con la violenza, ma sia fonte di soluzioni originali e di progresso e dove le soluzio-

ni emergenti non siano sempre quelle delle nazioni più ricche, ma riflettano anche quelle emar-

ginate, oggi spesso senza terra, nazione o parola. Intercultura vuole infine dialogare con il siste-

ma educativo del nostro Paese per sensibilizzarlo alle tematiche interculturali ed aprirlo alla

conoscenza e allo studio delle relazioni con le altre culture.

Il metodo utilizzato da Intercultura è quello di far vivere un'esperienza personale di educazio-

ne alla mondialità, più o meno estesa nel tempo (da un mese ad un anno) e guidata dai volon-

tari dell’Associazione; essa si svolge a contatto di una cultura diversa, è preceduta da un perio-

do di preparazione teorica (conoscenza della propria cultura e relativi pregiudizi e dinamiche

interpersonali) e seguita da un periodo di valutazione e applicazione al proprio ambiente. I par-

tecipanti agli scambi sono soprattutto giovani tra i 15 e i 18 anni (ritenuti sufficientemente

maturi per affrontare l'esperienza in modo non superficiale, ma non ancora coinvolti in scelte

di vita definitive); per accoglierli in un'altra cultura è stata privilegiata la famiglia, riconoscen-

dole il ruolo di trasmettitore primario di cultura nella società. Intercultura si caratterizza per-

tanto come un movimento di volontariato internazionale con un programma di apprendimen-

to interculturale rivolto ai suoi volontari, agli studenti, alle famiglie ed alle scuole.

Segretario GeneraleRoberto Ruffino

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Vivere in un luogo diverso dalla propria realtà familiare aiuta spesso a riconoscere che il mondo è una grande comu-nità, un’isola globale, in cui certi problemi sono condivisi da tutti dovunque. Raccontare significa mettere gli altri nella condizione di ascoltare e di comprendere ciò che per noi è stato impor-tante, far conoscere quale è stata la nostra esperienza, far vedere e far capire come siamo cresciuti e forse in parteanche cambiati. L’affabulazione della parola è qualcosa che costringe chi ascolta o, in questo caso chi legge ad interrogarsi, a doman-darsi quanto è stato importante e quanta “nostalgia” si prova a ricordare un anno di vita negli USA. E’ proprio questo il filo rosso che lega tutte le esperienze che i borsisti Intercultura sponsorizzati dalla FondazioneVarrone hanno voluto condividere con i lettori di questa pubblicazione. La lettura tutta di un fiato, oppure lo scandagliare solo le esperienze che ci fa piacere leggere porta a sentire, a per-cepire quanto importante sia stata l’esperienza dell’interculturalità per tutti questi ragazzi dal 2005 al 2008. Moltidi loro hanno veramente sofferto nel ricordare il “passato” ma nello stesso tempo hanno riconosciuto la grandezzadello scambio. Ciò che captiamo è la loro formazione interculturale alla mondialità, non importa che siano statitutti negli Usa, anche perché diversa è la vita di un ragazzo italiano in Texas o di uno in Minnesota, non è lo Statoche li ha accolti ad aver rappresentato per loro il punto di arrivo, quanto il calore delle persone, la “diversità” cheaiuta a crescere, le difficoltà superate che fanno vedere il “bicchiere sempre mezzo pieno”, la vittoria con loro stessinell’ aver dimostrato che appena adolescenti ce l’hanno fatta da soli, senza l’aiuto, forse a volte troppo protettivo,dello loro famiglie di origine. Sentirli parlare di mamma e papà americani, di fratelli e sorelle con i quali hannocondiviso, amicizie, sentimenti forti, tensioni, scontri e subito dopo incontri è ciò che ci fa credere sempre di più nellavalidità di questo progetto. Essere diventati cittadini del mondo accresce la consapevolezza delle molteplici realtà esviluppa la comprensione delle loro interdipendenze è questa l’educazione che si riassume in un approccio alla vita,alle relazioni, al mondo con un’ottica a lungo raggio che guardi alle esigenze del presente, considerando anche lenecessità di chi verrà dopo di noi, così come alle conseguenze di numerose azioni che, se a prima vista ci appaionosconnesse, in realtà sono continuamente concatenate tra loro da rapporti costanti di causa/effetto. Questi ragazzihanno voluto dirci che sono diventati capaci di relazionarsi con chi li ha “ospitati” e capire il loro punto di vista,di comprendere che le soluzioni sono molteplici e svariate. Una simile consapevolezza è ideale per preparare i giova-ni ad un posto fra coloro che si occuperanno dell’umanità che avranno di fronte. Tutti coloro che hanno partecipa-to ai programmi AFS sono in grado di trarre benefici dal loro apprendimento interculturale per tutta la loro vita.Tutti i ragazzi hanno sostenuto che il ritorno a casa non ha rappresentato il termine dell’esperienza ma ha offertol’occasione per riflettere su quanto si è vissuto e capitalizzare ciò che si è imparato. La lettura di queste esperienze sipuò trasformare, come in un cerchio d’onda, in un esperienza della famiglia, del gruppo di riferimento e dell’inte-ra società di appartenenza, se ciò non fosse sarebbe mancante di quel contagio positivo interpersonale che resta unodegli obiettivi prioritari del progetto educativo di INTERCULTURA.

I volontari del Centro Locale Intercultura di Rieti

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Cerimonia di premiazione dei vincitori delle borse di studiopresso Palazzo Potenziani sede Fondazione Varrone

16 maggio 2005

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Giorgia Casanica

Daniele Gunnella

Mattia Iannello

Luca Mirabella

Alessandra Paolucci

Roberta Tipo

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d u e m i l a c i n q u e

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G i o r g i a C a s a n i c a

i è sempre piaciuto mettermi alla prova, lo trovoutile per conoscere me stessa, le mie capacità e i

miei limiti. Così quando venni a sapere delle borse di studioche la Fondazione Varrone metteva in concorso, pensai subi-to che potesse essere un'ottima occasione che non avrei dovu-to farmi sfuggire. I miei genitori erano d'accordo con me,disposti a lasciarmi uscire dal nido alla scoperta del mondo,sapendomi un uccellino affamato di conoscenza e voglia divolare per sperimentare le sue ali. Mi ricordo di aver guarda-to, per l'ultima volta prima di partire, la mia famiglia dall'au-tobus che avrebbe portato tutti noi studenti all'aeroporto. Lamia famiglia non era sfocata come quelle di molti altri ragaz-zi vicino a me che guardavano fuori dal finestrino, attraversole lacrime. Io non avevo paura, non avevo mai pensato, primadi iniziare l'avventura, che mi sarebbe potuto mancare il miomondo e tutte le sue certezze. Era troppo il desiderio di sape-re come sarebbe stata la mia vita nella ridente cittadina diSaint Charles, vicino Chicago, Illinois, Stati Uniti. E cosìatterrai. Gli Stati Uniti erano grandi, lo erano le strade, i grat-

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“Gli Stati Uniti erano grandi,lo erano le strade,

i grattacieli di Chicago,le dimensioni dei menu

del Mc Donald's....E io non mi sono

mai sentita tanto piccola.

tacieli di Chicago, le dimensioni dei menu del Mc Donald's, lascuola presso cui ero studentessa straniera, la casa della mia “hostfamily”. E io non mi sono mai sentita tanto piccola. Mi aspettavoun'accoglienza un po' diversa da parte della mia “host sister” cheaveva solo un anno in meno. Pensavo venisse da lei il desiderio diospitare una ragazza di una realtà fuori mano invece, era soprattut-to la madre che, facendo parte di Intercultura e avendo già ospita-to precedentemente, mi voleva nella sua famiglia. Mi affezionaipresto a lei ma, se da una parte avevo piacere nel ricevere le sueattenzioni, dall'altra mi sentivo colpevole di toglierne ai suoi figli,che ne abbisognavano molto. Soffrii nello scoprire che l'amore traconiugi non è per sempre, che le difficoltà economiche possonosembrare insuperabili e che le case a volte sono più belle da fuori.A scuola ero la ragazza con lo zaino pieno di libri, invece che con

la borsetta cool, non riuscendo all'inizio ad aprire il lucchetto del-l'armadietto. Trovai abbastanza facili le lezioni e mi divertii nelritrovarmi in una realtà scolastica fatta anche di sport e di feste paz-zesche, che fino a quel momento avevo solo ammirato da dietro loschermo della tv, nelle serie di quei teenager statunitensi che invi-diavo. Sono consapevole ora che mi sarei dovuta buttare di più,parlare meno in italiano e che non avrei dovuto accontentarmi diun angolo da cui osservare, non sentendomi spesso a mio agio conil mio corpo, per tutti i chili acquisiti. Ho comunque conosciuto lìdelle amiche con cui ho condiviso tante avventure divertenti e sco-perto realtà molto diverse, venendo a contatto con gli altri ragazzidi tutto il mondo, figli adottati di Intercultura e delle emozioni checi ha regalato. Ho fatto tesoro della mia esperienza e sono cresciu-ta analizzandola “con distacco” in un secondo momento.

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anielle Guenele”.. “Daniel Ganela”.. Uffa.. Ma sarà dav-vero così difficile dire “Daniele Gunnella”?! Non imma-

ginate quante volte me lo sia chiesto.. Comunque, salve a tutti. Ilmio nome come avrete ormai intuito è Daniele. Sono un ragazzo diventidue anni, che quattro anni fa, ha avuto la fortuna di vincere unaborsa di studio messa, a disposizione dalla “Fondazione Varrone”,per un programma di studio annuale negli Stati Uniti. Una borsa distudio che ha realizzato un vero e proprio sogno. E chi d'altrondevedendo un qualsiasi film “made in USA”, non ha mai sognato diandare in America?! Credo di poter affermare tranquillamente che larisposta sia nessuno (o quasi). Ricordo come se fosse ieri il giorno incui, dopo settimane di test psicologici, colloqui e un'estenuante atte-sa per ottenere il verdetto finale, scartai la lettera con la comunica-zione che ero stato uno dei vincitori per la borsa di studio. Iniziai asaltellare e gridare come se l'Italia avesse vinto il mondiale, mentre imiei genitori furono travolti da un misto di gioia e stordimento, nelvedermi così felice e certamente un velo di preoccupazione e malin-conia. Non deve essere stato facile per loro realizzare di colpo che perun anno sarei stato così lontano da casa. Personalmente, forse per ilfatto si essere veramente convinto di quello che stavo per fare, o forseper la semplice ragione che l'euforia di avercela fatta annebbiava laparte più razionale di me, non provavo ne preoccupazione, ne timo-ri di alcun genere, specialmente dopo aver cominciato a stabilire iprimi rapporti con la mia futura “host family” americana, un paio dimesi prima della partenza. Quell'estate trascorse talmente in fretta,che senza rendermene conto, mi sono ritrovato a salutare i miei geni-tori, leggermente commossi, mentre l'autobus lasciava il raduno edue giorni dopo, ero finalmente atterrato nel paese dei miei sogni,pronto per iniziare la mia avventura. L'ambientamento non è statofacilissimo: a testimoniare ciò, c'è il fatto che i miei primi dieci gior-ni li ho passati in un'altra famiglia, in un'altra città, in attesa che lamia vera famiglia tornasse dalle vacanze e soprattutto nel bel mezzodella difficoltà a mio avviso più rilevante per un “exchange student”,nella prima fase del suo percorso: la lingua. Capire e cercare di espri-mersi era davvero difficoltoso, tanto che la sera ne risentivo anche a

livello fisico con mal di testa continui. Come e quando venire fuorida questa situazione? Per quel che riguarda il mio percorso, ho presocome stimolo, quelle situazioni in cui il mio handicap linguistico mifaceva sentire uno stupido in mezzo ai miei compagni di scuola o diuscite, per cercare di migliorare seguendo due linee molto semplici:una era quella di non aver paura di sbagliare e quindi sforzarsi nelparlare, la seconda, quella suggerita anche da Intercultura, ossiaridurre al minimo i contatti con il proprio Paese. E sono stati pro-prio questi due accorgimenti che mi hanno fatto immergere a pieno

nella nuova realtà culturale che mi circondava ed a farmi sentire pie-namente parte integrante della “famiglia Freydkis”. Sono proprioJosh, Jody e Ira che, giorno dopo giorno, non hanno fatto altro cheaccrescere in me quell'infatuazione, già importante in partenza, perla cultura statunitense. Trascorrere “Halloween”, impegnato a cerca-re un bel costume ed a preparare la mia prima zucca personalizzata,o il “Thanksgiving Day”, sedendo tutti a tavola, pronti a divorare ilfamoso tacchino arrosto e ben farcito, è una stata un'esperienza unica

e irripetibile, che rimarrà impressa dentro di me per sempre. Ma gliStati Uniti non sono solo questo: al di là dei grattacieli, delle metro-poli, del loro modo di celebrare ogni festività ad alti livelli, ci sonocose meno evidenti, che a mio avviso li rendono speciali: in partico-lare il loro modo di concepire la scuola e la loro “multiculturalità” .Frequentare un high school per un anno, per giunta diplomandomi,mi ha permesso di vedere da vicino come la scuola abbia un ruolocruciale nella vita di tutti i giorni per i ragazzi o le ragazze che la fre-quentano, di capire l'importanza e il peso che si danno all'istruzionee allo sport, ed infine di vivere in prima persona esperienze memo-rabili quanto indescrivibili come il “Prom”, ossia il ballo di fine annoe la cerimonia del diploma, in cui alla fine tutti tirano in aria i pro-pri cappelli. Senza contare il fatto che quell'anno abbiamo vinto conla squadra di calcio il campionato del “Bay Area” e al nostro ritorno,siamo stati trattati come delle vere e proprie star. Per quanto riguar-da la “multiculturalità”, sono rimasto molto colpito da come negliUsa e in particolare a San Francisco, la città dove ho avuto il piacere

di vivere, convivano persone provenienti da ogni parte del mondo:cinesi, sud americani, indiani, giapponesi, africani e anche europei,tutti insieme a formare un mix di razze e culture paradossalmenteomogeneo. La stessa multiculturalità, è anche alla base del progettoIntercultura, e prende forma nel vedere teenager di tutto il mondoconfrontarsi e condividere la stessa esperienza, azzerare per un annoquelli che sono i propri usi e le proprie culture, per immergersi inquella del paese ospitante. Con molti di questi ragazzi e ragazze ho

stretto bellissimi rapporti d'amicizia e convissuto giornate memora-bili, senza contare il fatto che ci sentiamo ancora abbastanza frequen-temente e nutriamo, la speranza di rincontrarci tutti insieme un gior-no, per vedere come le nostre vite siano cambiate. Adesso, a qualcheanno di distanza, mi rendo conto di come quest'esperienza mi abbiacambiato profondamente: mi ha insegnato ad essere indipendente eda saper contare solo su me stesso anche nelle situazioni più difficili,a non giudicare le persone alla prima impressione, ad essere menoimpacciato o timido nel relazionarmi, e ovviamente, mi ha consen-tito di acquisire una conoscenza dell'inglese importante e idonea peraffrontare una discussione di qualsiasi genere con un madrelingua. Èun'esperienza che ha influito profondamente su ciò che sono e forseanche su ciò che sarò. Uno di quei viaggi che si ricordano sempre, acui si pensa con nostalgia, per cui ci si sente sempre pronti a riparti-re, a rimettersi in gioco, a rischiare. E le mille contraddizioni e diffe-renze e conflitti che rendono grande un Paese, rendono più grandi eprofondi gli occhi con cui guardi tutto il mondo.

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d u e m i l a c i n q u e

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“D

“È un'esperienza che ha influito profondamente su ciò chesono e forse anche su ciò che sarò”

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M a t t i a I a n n e l l o

i viene da sorridere se ripenso al giorno che sonovenuto a conoscenza degli scambi culturali di

Intercultura: frequentavo il terzo liceo scientifico, era una nor-male mattina dei primi giorni di scuola, entra una professoressaad interrompere la lezione, ci dice due parole, lascia dei plichi eva via.Più per curiosità che per interesse prendo uno dei libricini e loporto a casa, poi parlando con i miei genitori mi convinco a ini-ziare le “pratiche” che mi avrebbero poi portato a vivere un’espe-rienza senza dubbio unica e irripetibile.Dopo mesi passati tra incredulità ed euforia, a seguito dellanotizia che sarei effettivamente partito per gli Stati Uniti dovreiavrei vissuto un anno grazie ad una delle borse di studio offertedalla Fondazione Varrone, arriva il fatidico 10 Agosto 2005,giorno di partenza.Una nottata a Roma con decine di miei coetanei per gli ultimiaccorgimenti, poi prendo il volo per Houston, ridente città delTexas non lontana da quella che sarebbe stata la mia città per unanno: Port Lavaca.Fin da subito mi sento a mio agio all’interno della famiglia chemi stava ospitando, la famiglia Bunnell, con cui sono e sarò persempre in debito per i momenti magnifici che mi hanno per-messo di vivere in casa loro..famiglia composta da 4 ragazzi, dicui due (Griffin e Charlie) già al college, uno (Randy) della miaetà e un altro (Riley) un paio d’anni più piccolo, due genitori(Paul e Jeannine) medici e con loro anche un ragazzo danese,Ebbe, exchange student come me qualche anno prima, che la“mia” famiglia si era offerta di ospitare ancora per un po’ perpermettergli di ambientarsi nel mondo del college americano.Devo essere sincero: se la mia avventura negli States è stata favo-losa, buona parte del merito ce l’hanno le persone che ho appe-na elencato, per come hanno saputo accogliermi, lasciarmi imiei spazi, per come mi hanno permesso di condividere conloro momenti, impressioni, esperienze, proprio come se fossiuno dei loro figli..

M

Riassumere un anno intenso come quello in poche righe è fuor didubbio impossibile: ci vorrebbero giorni per raccontare le centina-ia di cose che mi sono capitate..A cominciare dal primo giorno di High School, che è arrivato solo3 giorni dopo il mio atterraggio a Houston, senza nemmeno averavuto il tempo di visitare la scuola, le aule, conoscere e parlare congli insegnanti (ma la mia host family aveva già provveduto a que-sto, a mia insaputa..), fare conoscenze e capire i ritmi.. non lonascondo, il primissimo giorno di scuola è stato più vicino a unincubo che al “sogno americano”, perché mi sono trovato catapul-tato in una realtà talmente nuova, talmente diversa, circondato dapersone che parlavano una lingua che, nonostante le mie buoneconoscenze di inglese scolastico, non mi apparteneva minimamen-te e con cui non avevo familiarità.Col tempo poi tutto diventa più automatico, qualche giorno e giàsapevo come muovermi tra le mura (e anche fuori) della CalhounHigh School, dove trovare la mensa, l’ufficio studenti, la palestre,e soprattutto le aule, fondamentale per non arrivare tardi alle lezio-ni (e quindi non perderle!!).Mi servirebbero ore anche per parlare dei fantastici momenti vissu-ti con la squadra femminile di pallavolo, di cui ero il manager escout-man, dei sabati passati i giro per le scuole del distretto con lamia squadra di atletica, delle innumerevoli attività scolastiche e

non, della settimana bianca in Colorado con la mia famiglia ospi-tante, delle giornate passate con gli amici a fare le cose più svariate(da semplici partite a basket o baseball a vere gare di tiro a segnocon la nostra potato-gun, dai pomeriggi in piscina alle serate a basedi pizza e film, dalle gare di cucina con Riley alle indimenticabilimattinate con i bambini dell’ “oratorio”)..Tutto questo resterà per sempre stampato in mente e scolpito nelmio cuore, perché questa esperienza mi ha permesso sì di impara-re l’inglese, ma mi ha soprattutto fatto crescere, mi ha fatto cono-scere una realtà a me nuova, mi ha fatto incontrare persone chealtrimenti mai avrei conosciuto, mi ha fatto scoprire che nelmondo ci sono persone pronte a prendersi cura di un estraneocome un figlio, senza nulla in cambio al di fuori della consapevo-lezza che ci si può arricchire anche se ti piomba in casa un 17ennecon cui all’inizio hai persino difficoltà a farti capire..Sarò eternamente grato alla famiglia Bunnell per quello che ho vis-suto nei miei undici mesi in Texas, lo sarò anche alla FondazioneVarrone e al suo Presidente, Avv. de Sanctis, che con l’occasioneringrazio ancora per l’opportunità che mi ha dato, lo sarò a tutte lepersone che hanno vissuto con me direttamente o indirettamentela mia permanenza negli Stati Uniti, ma il ringraziamento piùgrande lo devo a papà Maurizio e mamma Monica che hanno cre-duto in me e che hanno lasciato libero un figlio di vivere un sogno!!

“Il ringraziamento più grandelo devo a papà Maurizio

e mamma Monica che hannocreduto in me e che hanno

lasciato libero un figliodi vivere un sogno!!”

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l mio nome è Luca, sono stato un borsista perIntercultura nell'anno 2005-2006 e posso dire, senza

alcun dubbio, che, finora, partire per un anno scolastico pergli Stati Uniti d'America è stata l'esperienza che più ha con-tribuito alla mia crescita personale e non.L'idea di partire e vivere un'avventura di queste dimensionied importanza mi aveva da sempre appassionato, anche senon metto in dubbio che, allo stesso tempo, l'idea di abban-donare per un anno la mia famiglia, i miei amici e la mia sxzione. Ogni tanto mi sorprendevo a pensare a quanto sareb-be stato bello parlare una lingua differente, incontrare gentelontana dalla tua città svariate migliaia di chilometri maovviamente liquidavo il tutto velocemente, associando le mieaspirazioni e sogni a mera utopia. Tutto ciò invece si è avve-rato grazie alla Fondazione Varrone ed a Intercultura.Finalmente avevo la possibilità di vivere in prima persona unacultura, quella statunitense, che fino a quel momento erostato solamente in grado di conoscere tramite i film e la tele-visione, anche se le mie paure, al momento della compilazio-ne della domanda si facevano più tangibili e concrete.Ricordo che aspettai fin l'ultimo giorno per consegnare ladocumentazione, tanto era l'indecisione che si era creata nelmomento di compiere una scelta così difficile; ma alla fine lofeci. E non avrei mai potuto fare una scelta più oculata. Ilgiorno della comunicazione dell'assegnazione della borsa diStudio, la mia gioia era incommensurabile e, sinceramente, inquel preciso momento non stavo più nella pelle di partire ediniziare, di mettermi in gioco e dimostrare a me stesso ciò chevalevo. Contavo i giorni che piano piano si avvicinavano aquel fatidico 11 Agosto 2005 che mi ha cambiato la vita. Già.L'11 Agosto. Se chiudo gli occhi e penso a quei giorni, il mioricordo va alle forti e contrastanti sensazioni: l'addio ai mieigenitori, il viaggio, il sentirsi parlare lingue diverse intorno, ilfuso orario che ti fiaccava nel corpo, ma sicuramente nonnello spirito.

I

d u e m i l a c i n q u e

22

L u c a M i r a b e l l a

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Devo dire la verità: il mio addio non è stato del tutto drammatico.Ero rammaricato sì nel dovermi allontanare dai miei per così tantotempo, ma al tempo stesso ero talmente tanto preso da tutte quel-le esperienze che avrei dovuto affrontare, che la malinconia si allon-tanava all'istante. Era iniziata la mia personale esperienza di vita. Ho visto e conosciuto la mia famiglia ospitante per la prima voltaquando mi sono venuti a prendere dal centro Intercultura di EastAurora, NY per portarmi alla mia nuova casa. Per problemi buro-cratici, la mia famiglia mi era stata assegnata pochissimo tempoprima la partenza, e per questa ragione non ero riuscito a metter-mi in contatto con loro. Eravamo emozionati e nervosi come unostudente al suo primo giorno di scuola, d'altronde le aspettativeerano alte da entrambe le parti. Io, in un certo senso, ambasciato-re della mia nazione, loro, d'altra parte rappresentanti di una cul-tura nuova da insegnarmi. Una cultura che, sebbene molto vicinaal nostro stile di vita occidentale, presentava una infinità di sfaccet-tature differenti, che solo un soggiorno così lungo e le persone giu-ste al mio fianco mi hanno permesso di comprendere al meglio. Illoro rapporto con la religione, la loro concezione di tempo, l'im-portanza della scuola nella vita sociale di un'adolescente, il loromodo di comunicare e di stare insieme agli altri sono solo alcune

delle tantissime cose che ho pienamente compreso ed accettato nelcorso dei miei stupendi undici mesi a Buffalo. Stupendi si, ma non per questo ricchi di sfide a volte molto moltodifficili. Lo stare così lontani da casa rende a volte anche un picco-lo problema un vero e proprio dramma, a cui si aggiunge ovvia-mente l'impossibilità di comunicare nella lingua natale. Nienteovviamente di insuperabile: è bastata una buona dose di ottimismoe di pazienza, nonché l'aiuto di amici conosciuti alla High School,tutor e altri borsisti Intercultura, per rendersi conto che quell'in-comprensione, quello stereotipo, quella discussione erano soltantopiccoli ostacoli che non avrebbero di certo compromesso il bellis-simo viaggio personale che stavo intraprendendo. Conoscere un'al-tra cultura mi ha reso più aperto, sotto questo punto di vista, allecritiche e sicuramente mi ha dato un bagaglio di conoscenze moltopiù grande di qualunque altro adolescente della mia età. Questaesperienza mi ha aiutato senza dubbio a pormi delle sfide ogni gior-no, come quella di trasferirsi a 500 km di distanza per l'universitào come quella di scegliere di affrontare un tirocinio lavorativo tri-mestrale in Germania. Senza dubbio, se non mi fosse stata offertaquesta opportunità, non avrei maturato la dinamicità e la volontàdi accettare quei confronti giornalieri che mi fanno crescere emigliorare giorno dopo giorno.

“Questa esperienza mi ha aiutato a pormi delle sfide ogni giorno,come quella di trasferirsi a 500 km di distanza per l'università”.

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d u e m i l a c i n q u e

A l e s s a n d r a P a o l u c c i

mpossibile riassumere in poche righe quanto la mia esperien-za Intercultura abbia significato per me e per la mia vita.

Sono passati ormai 4 anni da quando la mai bellissima avventura siè conclusa, ma i ricordi di quell'anno intenso restano impressi den-tro di me e mi accompagnano giornalmente. E’ iniziato tutto conuna domanda di partecipazione inviata all'ultimo minuto, quasiper gioco. Mai avrei immaginato che questo avrebbe portato aduna serie di reazione a catena, inebrianti, che si sono concluse conla mia partenza quel 10 Agosto del 2005. Difficile spiegare l'insie-me di emozioni che ho percepito in quei momenti. Voglia di

I “Il mio primo giorno negliStati Uniti mi è sembratoquasi di entrare in una

porta segreta, in un librodi racconti per diventarne

protagonista”

avventura, di scoperta, di mettersi alla prova, di migliorarsi. Tutteaspettative che non sono state deluse. Il mio primo giorno negli Stati Uniti mi è sembrato quasi di entra-re in una porta segreta, in un libro di racconti per diventarne pro-tagonista. Una sensazione che mi ha accompagnato durante tutto ilmio soggiorno è stata proprio quella di vivere due vite contempora-neamente . A mio avviso è un importante gioco di equilibri che nonbisogna rompere. E’ difficile gestire contemporaneamente le duerealtà, ma è essenziale che ciò venga fatto, per non penalizzare nes-suna delle due. E’ importante vivere al meglio i momenti che ci ven-gono offerti dalla nostra esperienza, ma mantenersi allo stessotempo con i piedi ben saldi a terra ed essere consapevoli del fattoche è comunque un'esperienza destinata a terminare. Ovviamentenon è tutto merito nostro. Personalmente devo molto alle personeche mi hanno accompagnato in questa esperienza. La mia famigliad'origine che ha creduto in me e mi è stata vicina fin dal primomomento, la mia famiglia ospitante che mi ha sempre incoraggiato,e tutte le persone che ho incontrato lungo il mio percorso e chehanno inconsapevolmente contribuito a questa mia nuova visionedel mondo e della vita, una visione più matura e consapevole, libe-

ra dai pregiudizi, aperta a tutto ciò che rappresenta il nuovo. Unimportante momento di crescita personale e sociale.Posso sicuramente affermare che senza questa mia esperienza nonsarei la persona che sono oggi. Ogni singolo istante, ogni ricordo,si scava una piccola nicchia e cicatrizza dentro di te. Non riaffiorasolo sporadicamente, ma diventa parte di te, diventa la persona chesei. In ogni decisione della tua vita c'è quell'esperienza che riemer-ge inconsciamente e che la guida. Da parta mia posso solo ringraziare. Ringraziare di aver potuto farequesta magnifica esperienza, ringraziare tutti coloro che l'hannoresa possibile, ringraziare la Fondazione Varrone per la generosità eper la fiducia che ripone in noi giovani, ringraziare forse anche ilcaso. Non posso fare a meno di pensare che sarebbe potuto nonaccadere. Sicuramente una serie di circostanze fortunate hannoaiutato me e tutti i ragazzi che come me hanno potuto beneficiaredella borsa di studio messa a disposizione dalla Fondazione Varronee dal suo Presidente avvocato Innocenzo de Sanctis. Senza nulla togliere alla meritocrazia, sarebbe stato sufficiente nonleggere quella locandina per non venire a sapere della prospettivache si apriva sotto i nostri occhi.

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olto viene detto sull’essere un “exchange stu-dent”, ma solo quando lo divieni, tutto comincia

ad avere un senso. Non è facile, e che tu lo voglia o no, fini-sci con il crescere e cambiare. Una volta che lo “scambio” èfinito ti rendi conto di essere in grado di affrontare moltepiù situazioni di quante ne potresti immaginare.La miglior cosa di essere un “exchange student” non sonole feste o i posti che conoscerai, non è l’indipendenza ol’esperienza di vita, ma l’amicizia. E non sto solo parlandodegli amici del tuo paese ospitante, ma anche dei tuoiamici provenienti da tutto il mondo. Per molti di noi infat-ti, sono stati i primi veri amici, quelli che abbiamo cono-sciuto all’inizio della nostra esperienza. Sono stati i primicon cui abbiamo parlato senza aver avuto la paura di par-lare una lingua diversa dalla nostra.C’è una grande differenza tra gli “host country friends” egli “exchange student friends”. Gli exchange student hanno un legame speciale.Nonostante le differenze linguistiche e culturali, riusciamoa capirci l’uno con l’altro perché entrambi affrontiamo lastessa esperienza.Si diventa amici perché a volte capitiamo nelle stesse scuo-le, viviamo in città vicine, oppure stringiamo una forteamicizia durante le gite e gli incontri che si fanno nell’arcodell’anno. All’inizio di questi incontri speciali tra exchange studentstutti sono timidi, ma alla fine è come se ci conoscessimo dauna vita. Quante amicizie sono cominciate con la sempli-ce frase: “How can I say this in your language?” E’ stranocredere che amicizie così grandi possano nascere da unafrase così semplice.Nel momento dei saluti, alla fine del primo incontro, nonti senti triste perché hai tutto l’anno ancora da vivere, e saiche ci saranno futuri incontri per rivederci tutti. Poi il tempo passa e ti accorgi che la fine dell’esperienza sta

M

per arrivare. Arriva il momento dell’ultimomeeting e probabilmente sarà l’ultima voltache vedrai i tuoi exchange friends. Questasensazione è orribile! Ed è quando arrivaquesto giorno che speri che tutto non finiràmai, che vorresti avere il potere di tornareindietro col tempo. Nel momento dell’addio è difficile trattene-re le lacrime e fai promesse a persone chenon avresti mai immaginato di conoscere,persone eccezionali.Quando tutto finisce ti rendi davvero contoche saranno loro le persone che ti manche-ranno di più: i tuoi exchange friends sparsiper il mondo. Un giorno ti ritroverai a lezio-ne di storia o geografia e quando verrannonominate le nazioni in cui vivono i tuoiamici, penserai a loro che ora sono cosìdistanti da te, e ti rimarrà difficile ancora

una volta trattenere le lacrime. La cosa più difficile da affrontare, una voltache l’esperienza è finita, è accettare il fattoche passerà molto tempo prima di avere lapossibilità di girare il mondo e poter rivede-re ancora una volta i tuoi “exchange friends”. Credo che noi exchange students siamo dellepersone meravigliose, speciali e uniche, esono diventata una persona migliore sempli-cemente grazie a loro, che hanno reso il mioanno indimenticabile. Spero che un giorno li rincontrerò tutti, nonimporta quanto siano lontani, so che lorosaranno felici di ospitarmi in qualsiasimomento. Io stessa ho avuto modo di ospi-tare amici provenienti dalla Germania, dallaFrancia.. questo per dimostrare che l’amici-zia tra exchange students continua neltempo e non terminerà mai.

d u e m i l a c i n q u e

R o b e r t a T i p o

“Quando tutto finisce ti rendi davveroconto che saranno loro le persone che

ti mancheranno di più: i tuoiexchange friends sparsi per il mondo”

“Una volta che lo scambio èfinito sei in grado di affrontaremolte più situazioni di quante

ne potresti immaginare”

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Cerimonia di premiazionedei vincitori delle

borse di studio pressoPalazzo Potenziani

sede Fondazione Varrone25 maggio 2006

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A N N O 2 0 0 6

Christopher D’Agostino

Tommaso Francucci

Denise Grazini

Federico Iarussi

Rita Martini

Silvia Melchiorri

Agnese Santocchi

Giulia Segna

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d u e m i l a s e i

C h r i s t o p h e r D ’ A g o s t i n o

iao,mi chiamo Christopher e sono partito per gliStati Uniti nel 2006.

Non è certo difficile immaginare la mia felicità quando sco-prii di aver vinto la borsa di studio, o i sogni ad occhi apertiche feci nelle settimane antecedenti la partenza: sogni ovvia-mente legati agli stereotipi che si hanno nei confronti dellacultura e della scuola americana. Stereotipi che non sonodurati molto, visto che mi sono ritrovato in un paesino dellaGeorgia con poco più di 2500 abitanti. Il cielo non era certooscurato dai grattacieli! La mia host family (madre, padre, 2 sorelle) fu davveromagnifica: fin dall’inizio cercarono di mettermi a mio agio eper tutta la durata dell’esperienza fu la mia ancora di salvatag-gio nelle difficoltà e la compagnia più desiderabile neimomenti felici. Anche le persone che conobbi a scuola furono sempre moltogentili e mi aiutarono molto quando nei primi mesi il miopovero inglese scolastico si scontrò con il terribile accento delSud degli USA!Con il passare delle settimane, incominciai ad integrarminella nuova vita, fatta di giornate spese tra scuola, sport (corsain autunno e calcio in inverno) e i miei nuovi amici; eppurela nostalgia di casa era tanta e appena potevo parlavo con lamia famiglia e i miei amici italiani via Internet.Sapevo però che era l’occasione della mia vita e che mi sareidovuto immergere interamente nella realtà americana, pas-sando da semplice “turista” a parte integrante della comunità:solo così sarei riuscito a smontare gli stereotipi e a vivere almassimo la mia avventura. Questo processo ovviamente cambiò radicalmente la mia per-sonalità: ritrovandomi da solo, lontano da casa, in situazionia me prima sconosciute e circondato da persone che non par-lavano la mia lingua, imparai ad essere molto più indipenden-te ed estroverso, cercando ogni occasione utile per poter par-lare e scambiare idee su qualsiasi argomento; quanti pomerig-

C

gi passai parlando fino a ora di cena con la mia host mom degliargomenti più vari! Il rapporto con i componenti della host familyè importantissimo per la riuscita dell’esperienza: posso dire di esse-re stato davvero molto fortunato a trovare una famiglia che miaccogliesse in modo così caloroso, preoccupandosi sempre di nonfarmi mancare nulla e aiutandomi quando non capivo qualcosa ascuola. Un posto particolare nella mia memoria e nel mio cuoretroveranno sempre i miei compagni di viaggio: ragazzi e ragazze

provenienti da tutto il mondo e ritrovatisi insieme nei famosi StatiUniti, accomunati dalle stesse speranze, dubbi e problemi; un’espe-rienza che ci ha legato fortemente e che ha reso molto doloroso ilmomento dell’addio.Un’esperienza che cambia il modo di pensare di sé stessi e delmondo che ci circonda, un’esperienza che rende più forti, indipen-denti e curiosi nei confronti del prossimo, ma al contempo menosoggetti all’azione di stereotipi e luoghi comuni.

“Un’esperienza che cambia il modo di pensaredi sé stessi e del mondo che ci circonda,

un’esperienza che rende più forti, indipendentie curiosi nei confronti del prossimo, ma al contempo

meno soggetti all’azione di stereotipi e luoghi comuni.”

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ono Tommaso Francucci frequentante la facolta degli studidell’Aquila e sono stato un borsista per gli Stati Uniti

d’America. Esperienza unica, irripetibile e da fare, anche se non e`per tutti, ma ne vale la pena provare, perche` anche nel provare c’e`un’ enorme crescita personale, che per molti e` stata sufficiente acambiargli la vita senza poi partire.Prima della partenza l’ansia e l’angoscia, tipiche di una nuova espe-rienza. Ma la cosa piu` bella di tutte è stata la sensazione di libertà,mai più provata da quel giorno, quell’emozione fatta di paura, ecci-tazione, incoscienza, quel coctails di emozioni necessario per affron-tare un’avventura cosi` importante per un ragazzo di 17 anni.Lo stress maggiore, almeno lo e`stato per me e` stato il viaggio, versol’ignoto; in effetti non sapevo ancora la mia destinazione prima dipartire e nemmeno quando ero in viaggio, potreste pensare che abbia

provato angoscia e paura, invece no, e` stato tutto molto eccitante,“it gave it thrill”.Non appena approdati, dopo il lungo viaggio, abbiamo atteso conansia e timore il passaggio, la venuta, delle nuove famiglie, la miaarrivò verso le 4 pm, su una Hammer bianca; diciamo che avevanole carte in regola, ma talvolta le apparenze possono ingannare. Infattidopo 4 mesi di “calvario” abbandonai, dopo essere stato cacciato,esattamente il 17 Dicembre alle ore 4:35 pm, la prima casa, per tra-sferirmi dalla mia tutor per tutte le vacane di Natale e oltre. Trovaisuccessivamente un’altra famiglia, molto accogliente, di religione

S

ebraica. Ho così avuto modo di conoscere altri tipi di feste e di cul-ture apprezzando e crescendo, vedendo cosi` altri punti di crescita`.Le difficoltà sono moltissime e la vita non e` facile, perchè per certiaspetti è come rinascere una seconda volta ma essendo coscienti, per-chè non si riesce a comunicare come si vorrebbe a casa propria: moltevolte bisogna fare buon gioco a cattiva sorte, diciamo che la mia vita,almeno per i primi 6 mesi, è stata molto frustrante e dura. Non esi-ste un metodo per affrontare le difficoltà, se ci fosse sarei milionarioadesso, certamente esiste un insieme di cose, bisogna sempre esserecritici e, dalla critica imparare a essere propositivi, ad essere tolleran-ti e, a volte, accettare cose che noi di norma rifiutiamo, però, con iltempo poi, le cose si aggiusteranno bisogna solo essere pazienti.Vivendo all’interno della società americana, si impara a comprende-re tutti gli stereotipi che passano in Italia che una volta appresi ven-gono assimilati meglio. Lo scambio culturale è stato fondamentaleper la crescita della mia persona, questa è quel tipo di esperienza cheti forma, ti fortifica e ti dà autostima e fiducia in te stesso, riesci poiad affrontare tutte quelle problematiche che prima di allora ti sem-bravano insormontabili, diventando cosi piu` sicuri e più forti.

L’acquisizione di competenze culturali è fondamentale per la vitafutura di uno studente, le informazioni acquisite durante il corso del-l’anno ti fanno capire quanto non si conosce e che la conoscenza èinfinità e che non basterebbe una vita, per avere almeno un’idea diquello che c’è da sapere. Bisogna imparare, sempre con “open mind”come si usa dire in America. Quest’esperienza serve, se vissuta con lagiusta dose di umiltà ad implementare le proprie conoscenze ad avereuna prospettiva diversa su tutto quello che si vede o si fa.Fondamentalmente si impara ad imparare e ad essere più precisi, piùcorretti più propensi ad osservare le regole, cose che in Italia vengo-no troppo spesso trascurate dalle autorità stesse. Le amicizie, fatte nelperiodo di Intercultura, sono fondamentali, servono un po’ comevalvole di sfogo e costituiscono un irrinunciabile momento per con-frontarsi, tenendo presente, che le esperienze sono sempre individua-li e diverse. Una volta tornati in Italia, essendo diventato l’inglese latua prima lingua si fà più difficoltà a parlare in italiano, avendo l’im-pressione che sia più facile e piu pratico parlare in inglese. Questa esperienza si deve fare ! la consiglio a tutti, ma consiglio viva-mente di non prenderla come una vacanza.

d u e m i l a s e i

T o m m a s o F r a n c u c c i

“La cosa piu` bella di tutte è stata quell’emozione fattadi paura, eccitazione, incoscienza, quel coctails di emozioninecessario per affrontare un’avventura cosi` importante...”

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maniera più chiara. E’ questo lo shock culturale che ho provato.Sono delle difficoltà che vedi chiaramente quando vivi in unmondo stereotipato, chiuso e, che ti lasci alle spalle, quando entria far parte di un mondo nuovo, cominciando a comprendere mec-canismi totalmente diversi, propri dell’universo che ti ospita perdieci mesi. Il bagaglio culturale che si possiede, non è più adattoalle nuove situazioni che si presentano ai nostri occhi. La difficoltàpiù grande è quella di modificare e arricchire quello che già cono-

sciamo, quello che ci appartiene, di accettare con consapevolezza ledifferenze. Si cerca, così, di eliminare ogni tipo di problema, dallacamera, ai turni per la pulizia della casa, per citarne dei banali, sinoad arrivare alla lingua, all’accettazione di una cultura diversa contutte le sue sfaccettature. La pazienza, la percezione delle difficoltàche si presentano, l’entusiasmo, ma soprattutto l’adattamento,sono i fattori che aiutano a dimenticare tutti gli stereotipi e chepermettono di lanciarsi serenamente in quest’avventura. DelMaryland ricorderò per sempre i colori, i sorrisi della gente, l’estro-

sità degli addobbi natalizi di ogni casa, tutta quella neve d’inverno,gli scoiattoli nel giardino, il rumore di una Harley Davidson allequattro di un pomeriggio d’estate, i miei amici americani, la forzadi tutti gli studenti AFS e tutto quello che mi ha insegnato, portocon me l’amore di una famiglia che mi ha ospitato come una figlia,la consapevolezza della mia forza d’animo e di reagire a tutte le dif-ficoltà. Non sono cambiata, sono maturata grazie a questa espe-rienza. Sono una persona diversa, che ha qualcosa in più, una sen-

sibilità diversa, un modo di vedere le cose insolito ma bello, bellocome un anno a Laurel, bello e difficile, ma chi vuole partire è per-ché vuole mettersi alla prova. L’America mi ha insegnato il corag-gio e la curiosità, mi ha insegnato a credere nelle mie capacità.L’America mi ha dato, mi dà e sono sicura mi darà tanto. Forse miha levato per sempre la spensieratezza dell’adolescente, mi ha fattosicuramente crescere. “Com’è l’America?” mi chiedono ancora.L’America è l’orgoglio delle diversità, è la patria di tutti, l’Americaè la mia seconda casa.

sempre difficile trovarsi di fronte ad un foglio bian-co e cercare le parole adatte per descrivere quella che

è stata la mia esperienza negli States. Mi chiamo DeniseGrazini, ho 19 anni e frequento il primo anno di IngegneriaEdile. Quando sono partita, avevo 16 anni compiuti daappena un mese. Sinceramente quando ho messo piede suquell’aereo, non avevo né dubbi né timori, o almeno facevofinta di non pensarci, perché sicuramente sarebbero arrivati,li portavo con me, nascosti nella mia “valigia”, con la miagioia di scoprire un altro mondo, con la voglia di staccare laspina, con la voglia di vivere altrove e conoscere qualcosa ditotalmente nuovo, qualcosa che mai mi sarebbe capitato unaseconda volta; portavo, inoltre, la mia spensieratezza e solari-tà, che molte volte mi hanno aiutato in questa esperienza, apartire dalle fasi di selezione. Era la prima volta che facevo unviaggio così lungo, di certo non mi spaventava, tantomenoero intimorita da questa lunga permanenza fuori casa. Nelleorientation mi avevano parlato di shock culturale, i tutor ave-vano fatto degli esempi, ma il Maryland non mi ha scosso,anzi mi ha aiutato a crescere. Una famiglia pronta ad ospitar-ti, una nuova scuola, una nuova lingua, nuovi amici, nuoveesperienze, sono state le motivazioni per superare questoshock. Uno scossone silenzioso, lo definirei, un’onda che nonsai da dove arriva e quando se ne va riesci a vedere tutto in

E’

“Uno scossone silenzioso, un’onda che non sai da dove arrivae quando se ne va riesci a vedere tutto in maniera più chiara.

E’ questo lo shock culturale che ho provato”.

“L’America è l’orgogliodelle diversità, è la patria

di tutti, l’America èla mia seconda casa”.

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d u e m i l a s e i

D e n i s G r a z i n i

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i chiamo Federico Iarussi e, grazie alla borsa di stu-dio della Fondazione Varrone ho fatto l’esperienza

di scambio di un anno all’estero negli Stati Uniti precisamen-te a Livingston nel New Jersey nell’anno 2006\2007.I timori e i dubbi prima della partenza credo siano quelli chepuò avere un qualsiasi diciassettenne che non si è mai allonta-nato più di una settimana da casa, dentro di me c’era un mistodi paura ed eccitazione, da un lato la paura di lasciare per unanno la mia famiglia i miei amici e la mia città, dall’altro latola curiosità di conoscere e capire posti e culture nuove e diver-se dalla mia, è proprio la curiosità che è prevalsa sulla paura emi ha spinto verso la decisione della partenza, ed è proprio lacuriosità che mi ha aiutato durante l’anno passato all’estero.

M

Infatti non credo ci siano strategie da adottare per adattarsi allanuova cultura. Credo la cosa più importante sia quella di avere l’in-teresse di conoscere e approfondire le cose, non credo di aver mairifiutato una proposta che mi venisse fatta dalla famiglia o dagliamici. La mia strategia è stata quella di fare più esperienze possibi-li, molte anche non gradite, dopo, ma la cosa più importante erapoter dire almeno ci ho provato, e comunque non ho mai detto anessuno che il cibo provato o l’attività fatta non mi era piaciuta, masolo che era stata una cosa interessante e che forse un giorno “lon-tano” l’avrei potuta rifare.Quando sono arrivato negli Stati Uniti non pensavo ci fosse lo ste-reotipo così radicato dell’italiano romantico che sa cucinare ed èsempre di buon umore. Chiunque pensasse all’ Italia pensava aRoma, Firenze, Venezia. Tutti pensavano che il nostro paese fosseun po’ come una favola dove tutti mangiano un bel piatto di pastacon sugo accompagnata da un buon vino, in un ristorante con unbalcone che affaccia sul porto di Capri. Ogni volta che capivo chele persone pensavano questo, cercavo sempre di spiegare che l’Italianon è tutta così, che è un paese molto diverso da come lo possonopensare, ma credo che tale stereotipo è talmente tanto radicatonelle loro menti che non sono riuscito a far capire a molte personecome è che realmente viviamo. Comunque devo dire che essereItaliano non mi ha dato difficoltà durante lo scambio, anzi sicura-mente mi ha aiutato molto, però una cosa importante da dire è che

lo stereotipo può aiutarti a conoscere persone per un mese, ma inun anno la persona che sei uscirà veramente e non c’è sensazionepiù bella e sicurezza maggiore che sentirsi accettati non per dove siè nati o da dove si viene, ma per chi si è veramente. Lo scambio all’estero mi ha lasciato molto, grazie ad esso credo diaver capito bene chi sono , ho acquistato fiducia in me stesso enella mia personalità, ho capito che per farsi accettare e ed essereapprezzati dagli altri bisogno prima saper accettare e apprezzare glialtri, quando si vuole ricevere molto dalle altre persone bisognoanche saper dare molto, forse questa e la cosa che ho imparato inun anno.Grazie allo scambio ho capito anche che non mi bastava più arri-vare alla sufficienza nelle cose,ho capito che si deve sempre punta-re al massimo, e anche se il massimo non viene raggiunto, questoè l’unico modo per superare le difficoltà.Forse i due precedenti sono gli insegnamenti più importanti che miha dato l’anno, ma comunque intercultura mi ha lasciato talmentetante esperienze e sensazioni che non credo basterebbe una paginaad elencarli tutti.Gli amici e la famiglia trovati negli Stati Uniti sono una cosaimportantissima per me. La cosa più strana credo sia quella di avereuna vita negli stati uniti vissuta e importante quanto quella che siha in Italia,ma quello è un piccolo angolo del mondo che ho pre-ferito conservare solo per me, nel mio cuore.

“Per farsi accettare ed essereapprezzati dagli altri bisogna

prima saper accettare eapprezzare gli altri, quandosi vuole ricevere molto dallealtre persone bisogna anche

saper dare molto”

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F e d e r i c o I a r u s s i

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era una volta… una ragazza di nome Rita Martini di 16anni che si prefissò come obiettivo di partire per gli Stati

Uniti… Il suo iter fu davvero lungo,infatti dovette superare una seriedi ostacoli ma nonostante questo,lei,caratterizzata dalla sua determi-nazione non si fece intimorire e,con la sua forza di volontà,riuscì arealizzare il suo sogno americano:partire un anno per l’estero. Il gior-no,in cui ricevette la lettera con scritto”AMMESSA” fece un urlo digioia…. In quel momento provò tante emozioni,infatti avrebbe volu-to gridare al mondo intero di avercela fatta e di essere super orgoglio-sa di se stessa. I mesi,i giorni,le ore,i secondi passavano e le aspettati-ve di Rita crescevano sempre di più,difatti la sua mente già fantastica-va di trovarsi nella Grande Mela. Alle sue amiche diceva:”speriamoche possa andare a New York”- “Oddio, non vedo l’ora”.Nonostanteil suo stato d’animo fosse a mille iniziarono a sopraggiungere anche leprime ansie, i timori, i dubbi e si chiedeva in continuazione: “Perchénon mi arriva ancora la destinazione?”- “Perché non mi fanno saperenulla?”. A volte, aspettava che il telefono di casa squillasse e le dices-sero:” Signorina Martini, la sua destinazione èNew York”. Di giorno in giorno,continuava adimmaginare questa scena ma nulla da fare. Arrivòil grande giorno,Rita si sentiva euforica ma qual-cosa dentro di lei non andava come se iniziasse adessere già nostalgica della sua famiglia. Nelmomento in cui la ragazza sentì rimbombare il suonome all’Auditorium le sue gambe tremarono,manon solo, la sua voce si affievolì per un attimo.Capì che era il momento di lasciare la sua cara eamata famiglia. La cosa che la continuava a tor-mentare era il fatto di non conoscere la destinazio-ne. Finalmente, dopo pochi minuti, il direttore diIntercultura le comunicò la fatidica destinazione:lo stato del New Jersey. Rita fece un sospiro di sol-lievo e si sentì di nuovo euforica. Era il momentodi salutare i suoi cari… La sua faccia era sorriden-

te ma in realtà i suoi occhi erano pieni di lacrime come quelli dellasua adorata mamma.Ed eccoci giunti alla partenza: FIUMICINO-FRANCOFORTE,FRANCOFORTE-CHICAGO, CHICAGO-NEWARK. Durante il lungo viaggio, Rita pensava talmente tanto da cercare diimmaginarsi il volto della sua famiglia ospitante e se quest’ultimaavesse dei figli o delle figlie. Insomma la sua mente cominciò a fanta-sticare…. Oramai le sue aspettative erano davvero tante e soprattuttodentro di lei covava una grande forza d’animo. Arrivata all’aeroporto,Rita sbarrò gli occhi e davanti a lei apparve un cartellone con scritto“BENVENUTA RITA”. Era la sua famiglia ospitante. Da quel gior-no, iniziò la sua avventura americana e il suo graduale adattamentoalla nuova cultura. Nei primi giorni, Rita accusava un grande vuotoperché si sentiva catapultata in una realtà completamente diversa dallasua. Il suo primo grande impatto fu la scuola, infatti appena entratasi sentì una piccola formica come se quello non fosse il posto più adat-to a lei. Poi con il passare del tempo, la ragazza entrò nel sistema sco-

C’lastico americano. I suoi compagni erano curiosi tanto da farledomande sul suo paese di origine,sugli usi e costumi, sul cibo, e cosìvia… Un giorno le venne chiesto: “Rita,ma a Roma ci sono ancora glischiavi?”. La ragazza rise talmente tanto da farle male l’addome. Tantisono gli episodi di questa ragazza,uno divertente è quando arrivò tardia lezione ed era talmente imbarazzata davanti al professore che nonriuscì neanche a giustificarsi. A voi lettori,dirò cosa successe veramen-te. Quella mattina,Rita arrivò tardi a causa del suo cagnolino chescappò di casa. Che ridere!! Gli americani avrebbero detto:” That’s socool!”. Gli stati d’animo che Rita ha provato durante l’anno all’este-ro! Si sentiva persa, fragile e paurosa verso la nuova cultura, ma, conil passare dei mesi finalmente si sentì felice, accettata da tutti i suoicompagni tanto che nella scuola era conosciuta come “Reets”.Praticamente era amata da tutti difatti era sempre invitata ovunque eda chiunque. La classe di italiano le organizzò una festa a sorpresaprima del suo ritorno in Italia. Questo, cari lettori, sta a dimostrarequanto Rita avesse lasciato qualcosa nel cuore di tutti. Quando unaragazza,intraprende un’esperienza all’estero, deve anche affrontaredeterminate difficoltà. I primi ostacoli si incontrano con la lingua,perché i ragazzi americani utilizzano gli “slang”. Rita,ricorda un epi-sodio in cui le venne detto:” Girl,fo-shizzle my nizzle yo!!”. La ragaz-za era perplessa tanto da dire:”What are you saying?”. Quella frasevoleva dire :” For sure, my friend”. La ragazza per superare la difficol-tà della lingua, incominciò a rimboccarsi le maniche e , si mise a leg-gere riviste, libri, ascoltare musica e farsi correggere dalla famiglia edagli amici quando sbagliava. Poi, i suoi amici, cominciarono ad inse-gnarle gli slang e lei si sentiva felice. A volte veniva presa in giro per lasua pronuncia “funny”. Dovette superare altri ostacoli, abituarsi alloro modo di vivere come cenare alle 17:30 perché per lei era unasemplice merenda. A volte sentiva la mancanza della famiglia, ma sirisollevava tenendosi impegnata con le attività scolastiche. Le sue ami-che e la sua famiglia ospitante infondevano in lei coraggio. Con il pas-

sare dei mesi, le difficoltà scomparivano e si sentiva sempre più sod-disfatta perché ormai l’ostacolo della lingua era superato e stava viven-do un’esperienza unica. Si sentì americana a tutti gli effetti quandoalla partita di football si colorò il viso con i colori della squadra, quan-do si recò a farsi il gel alle unghie, quando andò alle feste, quando lasua famiglia mise la sua foto nell’albero di Natale e, soprattutto quan-do per la prima volta si recò al “Prom”; il ballo di fine anno, accom-pagnata da un suo compagno di scuola. Alcuni chiedevano il suoaiuto per i compiti di italiano, ma non solo “passava” anche quelli ininglese. Reets era benvoluta da tutti tanto che i suoi professori,le sueamiche e la sua famiglia ospitante furono dispiaciuti quando dovettelasciare l’ America. Questa esperienza portò a Rita serenità, felicità esoprattutto un grande bagaglio culturale e tanti ricordi nel cuore.Durante questo lungo viaggio, ha ottenuto numerose soddisfazioniche l’hanno portata ad essere orgogliosa di se stessa. Inoltre, questaavventura è stata bellissima e fantastica, perché le ha permesso diriflettere su se stessa e di capire chi sia realmente. Ha imparato adaffrontare i problemi della vita e soprattutto ad essere più ottimista.Durante il soggiorno in America, la personalità di Rita si è modifica-ta; ora è una ragazza più coraggiosa, più matura,più aperta alle altreculture e ha una diversa visione del mondo circostante. Ovviamenteun grazie va alla FONDAZIONE VARRONE e ad INTERCULTU-RA che mi hanno permesso di fare questa esperienza insieme.

d u e m i l a s e i

R i t a M a r t i n i “Si sentì americana a tutti glieffetti quando alla partitadi football si colorò il viso

con i colori della squadra...”

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d u e m i l a s e i

A g n e s e S a n t o c c h i

o impiegato tanto, forse troppo, tempo prima di riu-scire a trovare la "forza" di scrivere...in realtà non è

che non ne avessi voglia, ma pensare all'anno trascorso negliStati Uniti mi dà un pò di nostalgia ancora oggi a quasi 4 annidi distanza, mi tornano in mente i bellissimi momenti tra-scorsi lì..gli amici..le feste..e tutto ciò che di bello e positivol'esperienza mi ha dato!Durante il mio anno negli States ho avuto modo di faretantissime esperienze che sicuramente non avrei mai potutoprovare altrimenti: dal più estremo PARASEALING

H

(Paracadutismo sull'Oceano) ai più tradizionali balli scolasticiquali HomeComing -il ballo di inizio anno-, King of Hearts -ilballo al quale le ragazze potevano andare solo se invitate da unragazzo- (nel periodo di San Valentino), e il Prom -il ballo esclusi-vo per Juniors e Seniors di fine anno.Ho trascorso lì il mio IV anno di Scuola Superiore e sono statadunque assegnata al Grado Senior (anche se in un primo momen-to mi avevano messo come Junior) alla Parkway West High Schooldi Ballwin, Missouri.A scuola, grazie anche alla mia intraprendenza e la mia "faccia tosta",mi sono potuta falcimente inserire in tutti i gruppi sportivi ho fattoPallavolo durante il periodo estate-autunno, Basket durante il perio-do inverno-primavera e Calcio in primavera fino a fine anno scola-stico..non che mi stufassi..anzi tutt'altro solo che negli States glisport sono "stagionali" quindi si pratica uno sport a stagione.E' proprio grazie nella squadra di Basket che ho conosciuto 3 delleragazze con le quali sono rimasta più legata in assoluto Nancy,Megan e Shanai..Nancy già l'estate seguente il mio ritorno è venu-ta in Italia a trovarmi e quest'estate sarà nuovamente qui Certo non è stato un anno tutto ROSE E FIORI, mi son trovatainfatti -proprio all'inizio della mia esperienza- catapultata in una

realtà troppo differente dalla mia: la mia HOST-FAMILY era com-posta da una madre e una figlia (con gatti e cani annessi) e per me,che vengo da una famiglia di 5 figli dove entrambi i genitori vivo-no a casa, è stato un pò uno shock.. Ho provato ad adattarmi ma non ce l'ho proprio fatta mi sentivotalmente OUT OF PLACE che a volte ho pensato pure di tornarea casa, in Italia... Poi, per fortuna, Megan mi ha proposto di anda-re a vivere da lei con la sua famiglia e dal momento del trasferimen-to, la mia esperienza non ha fatto altro che migliorare L'esperienza mi ha aiutato a crescere, a maturare, a sapere guarda-re alla vita con occhi diversi, con gli occhi dell'opportunità e delsaper sfruttare tutte le occasioni che la vita ci mette davanti!Ora sono al II anno di Università, il prossimo anno mi laurererò e,chi lo sà, potrei anche tornare negli Stati Uniti per un futuro lavo-rativo perchè quella Nazione mi ha dato tanto e per me ha signifi-cato tanto perchè l'AMERICA non è solo la Nazione deiMcDonalds, ma è la Nazione della gente che mi ha insegnato a cre-scere con tutte le sfide giornaliere e in tutte le situazioni quotidiane!"IT'S WIERD HOW FRIENDS BECOME STRANGERS ANDSTRANGERS BECOME FRIENDS"“St.Louis forever in my heart”

“l'AMERICA non è solo laNazione dei McDonalds, ma èla Nazione della gente che miha insegnato a crescere contutte le sfide giornaliere e in

tutte le situazioni quotidiane!”

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Cerimonia di premiazione dei vincitori delle borse di studiopresso Palazzo Potenziani sede Fondazione Varrone

31 maggio 2007

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A N N O 2 0 0 7

Eugenia Blasetti

Silvia Brutti

Eleonora Bucci

Giulia Cardini

Anna Cieno

Giorgia D’Alessandro

Veronica Feliciani

Orso Maria Frattali

Martina Galletelli

Alessandro Giovannelli

Silvia Micheli

Susanna Mitolo

Jessica Parnofiello

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d u e m i l a s e t t e

E u g e n i a B l a s e t t i

alve a tutti, mi chiamo Eugenia Blasetti sono nata a Roma il 1Maggio 1991 e vivo a Rieti da quando avevo circa quattro

anni. Due anni fa ho partecipato al concorso organizzato dallaFondazione Varrone che metteva a disposizione dodici borse di stu-dio per andare a vivere e studiare per un anno negli Stati Uniti.E' iniziato tutto un pò per gioco. Non ero per niente convinta di riu-scire a vincere e cercavo dunque di rimanere il più tranquilla possi-bile per non rimanerci troppo male. In seguito, sono subentratel'emozione e la voglia di farcela. Improvvisamente vincere era la cosache desideravo di più al mondo. Il giorno che ho ricevuto la letterache diceva che mi era stata assegnata una delle borse di studio nonriuscivo a credere che ce l'avevo fatta.Spesso fantasticavo sul viaggio di vita che stavo per affrontare e all'ec-citazione si accompagnava l'angoscia. In realtà le mie paure nonerano tantissime. Due cose mi terrorizzavano: il non riuscire adinstaurare un buon rapporto con la famiglia che mi avrebbe ospita-to e il non riuscire a vivere al massimo la mia esperienza intercultu-rale.In quanto alle aspettative ho sempre cercato di rimanere con i piediper terra per non rimanere troppo delusa (che è poi un pò la mia filo-sofia di vita). Arrivata a Long Island (stato di New York) dove ho vis-suto per un anno tutto sembrava fantastico. Tutti mi cercavano, face-vano domande e sembravano essere interessati a conoscermi. Maquesto fu solo un momento iniziale. Nel giro di qualche settimanainfatti il fatto che ci fosse un exchange student sembrava non impor-tare più a nessuno. Tutti sembravano presi dalla loro quotidianitàpiuttosto che dalla mia presenza. I primi mesi quindi sono stati abba-stanza difficili. Spesso mi sentivo sola, stringere amicizie forti è statocomplicato. Inoltre una poca padronanza della lingua mi rendevaspesso frustrata. Nonostante ciò con tenacia e pazienza ce l'ho fatta.Dopo Natale infatti il solo pensiero di tornare e abbandonare quellache era diventata la mia casa mi distruggeva. Vivendo all'estero perun anno ho conosciuto una nuova cultura. Allo stesso tempo peròho imparato molto di più anche sul mio paese d'origine.Tante cose che non sapevo dell'Italia le ho scoperte proprio grazie agli

Americani! In quanto agli stereotipi, beh si, la pizza italiana, la mafia egli spaghetti sono stati spesso oggetto di discussione. In realtà però misono resa conto di quanto il nostro paese sia amato e ammirato. Quantisognano di visitarlo o addirittura di viverci. Da questa esperienza hoportato dietro tanto. Ho stretto legami forti con persone totalmente diverse da me, con

S

persone che vivevano in un mondo totalmente diverso dal mio e che mihanno saputo confortare quando ero triste, far ridere quando ne avevobisogno. Persone con cui ho condiviso una fetta importantissima dellamia vita. In poco tempo ho instaurato legami che non si instaurano neanche inuna vita intera. A distanza di due anni dalla mia esperienza mi sento cre-sciuta e maturata e buona parte della mia maturazione la devo proprio almio anno interculturale. Apprezzo molto di più la diversità che troviamonell'altro e ho acquisito una maggiore capacità nell'andare oltre, nel nonfermarsi all'apparenza, nello scoprire quanto più possibile c'è da scoprirenegli altri e in ciò che ci circonda. Ho imparato che la diverstà non mispaventa al contrario mi intriga.Ho imparato a confrontarmi, a mettere in discussione me stessa e le mieidee, ad ascoltare di più e ad apprezzare le piccole cose, i piccoli gestipiuttosto che le imprese eroiche.E' stata l'esperienza più bella della mia vita, un qualcosa di grande che,due anni fa cosi piccola come ero, non credevo di poter fare. Oggi isogni nel cassetto sono tanti e spero che almeno in parte si avverino, masperare non basta. bisogna agire e immergersi completamente nelle coseche desideriamo.48

“Apprezzo molto di piùla diversità che troviamo

nell’altro e ho acquisito unamaggiore capacità nel nonfermarmi all’apparenza... ”

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d u e m i l a s e t t e

E l e o n o r a B u c c i

i chiamo Eleonora Bucci, ho 19 anni e per 18 anni dellamia vita ho vissuto a Rieti. Un anno, dal 10 Agosto 2007

al 2 luglio 2008, ho vissuto a Crosby, una piccolissima cittadinavicino Houston, in Texas. Ciò è stato possibile poiché, insieme adaltri ragazzi, ho vinto una borsa di studio offerta dalla FondazioneVarrone. Mi è stato spesso chiesto per quale “assurdo” motivo aves-si deciso di partecipare al concorso indetto per le borse di studio.Sinceramente ancora non so ben rispondere. Solitamente ho rispo-sto che gli Stati Uniti mi affascinavano sin da quando ero piccoli-na ma non credo che il motivo fosse solamente quello.Probabilmente avevo voglia di “spiegare le mie ali” , conoscere ilmondo, a Rieti mi sentivo in trappola, e soprattutto volevo cono-scere meglio me stessa e i miei limiti. Strane e inspiegabili le emo-zioni che ho provato quando ho aperto quella busta tanto attesa.Ancora ricordo benissimo gli occhi di mia madre mentre mi veni-va incontro con la lettera in mano, un misto di paura, gioia, orgo-

glio e tristezza. Devo ammettere che per un lungo periodo ditempo, circa quattro mesi, ho pensato di rinunciare, di rimanerenel mio nido, a Rieti, ma poi i motivi che mi avevano spinto all’ini-zio hanno preso il sopravvento. Avevo paura che nessuna famiglia,vedendo la mia scheda di presentazione, mi volesse. Inoltre lacomunicazione dell’indirizzo e le indicazioni sono arrivate solo duesettimane prima della partenza quindi ho convissuto con questapaura, infondata, per più di cinque mesi! Avevo paura che i mieiamici, che restavano a Rieti, si dimenticassero di me, oppure chenon mi rivolgessero più la parola. Ricordo il giorno prima dellapartenza, indaffarata con i preparativi e, soprattutto, con la valigia(un dramma!). Non avevo il tempo di pensare, fortunatamente; la

sera avevamo organizzato una pizza con tutti i miei amici e fino almomento in cui sono rimasta da sola, in camera, non avevo realiz-zato cosa stavo per fare il giorno dopo. Ciò che ho provato in quelmomento è indescrivibile poiché è un mix così complesso di cosìtante emozioni che non si può nemmeno dare un nome ad ognu-na di esse.All’inizio tutto sembrava essere uno scoglio insormontabile; daldire “ho fame” a cercare di capire come funzionasse il telecoman-do. Pian piano, con l’aiuto della mia famiglia ospitante ho supera-to qualsiasi scoglio tanto che alla fine erano diventati piccoli sasso-lini. Senza il loro aiuto non credo che me la sarei cavata. Eranodiventati indispensabili per me; il mio papà ospitante, che mi face-va morire dal ridere ma che, nonostante il suo aspetto comico,riu-sciva a darmi consigli validissimi; la mia mamma ospitante, la piùseria ma anche la più dolce, capiva subito quando c’era qualcosache non andava; infine, ma non per ultima, mia sorella a cui mi

sono legata tantissimo. Loro mi hanno aiutato in tutti i momentidi difficoltà, con le nuove amicizie, con la scuola, con le delusioni.Quando poi ho stabilizzato il rapporto con i nuovi amici, mihanno sempre appoggiato, e mi hanno permesso di uscire con loro.Anche gli amici sono stati fondamentali. Ho ancora contatti conloro ed ogni volta che ci sentiamo è come se fossi ancora lì. Hofatto amicizie anche con gli altri studenti stranieri grazie adIntercultura. Ovviamente loro potevano capire la situazione in cuimi trovato e le emozioni che provavo perché stavano vivendo lastessa esperienza. Le difficoltà erano moltissime; dalla lingua almodo di pensare e agire. Ripensandoci ora mi rendo conto diquanto sono stata forte nell’affrontare tutto ciò. Sono cambiata

M

profondamente anche sul piano caratteriale. Ora affronto le situa-zioni difficili con un atteggiamento diverso, meno ansioso.Difficoltoso è stato il rientro in Italia. Tornare a casa, alle tue abi-tudini di sempre, riprendere con il metodo scolastico italiano nonè stato facile. Passare un anno negli USA è servito anche a “mette-re alla prova” alcune amicizie. Sono cambiata profondamente equesto ha messo in crisi alcuni rapporti che ora non posso definireamicizie. Quest’esperienza mi ha lasciato molte cose: una visionepiù aperta del mondo e della vita in generale, ora l’Italia mi appa-

re così piccola e chiusa. Anche la mentalità della gente mi sembraradicalmente diversa dalla mia, tutti sono inquadrati in precisischemi e notano subito la diversità dell’altro. Probabilmente que-sto succede nella mia realtà di tutti i giorni e non andrebbe gene-ralizzato riferendosi a tutta l’Italia. Comunque questi dieci mesinegli Stati Uniti sono stati fondamentali nella formazione della miapersonalità e del mio carattere e saranno per sempre nel mio cuoree parte integrante della mia vita; un bagaglio di esperienze indi-menticabili che fanno parte di me.

“Questi dieci mesi negli Stati Uniti sono stati fondamentalinella formazione della mia personalità e del mio carattere e

saranno per sempre nel mio cuore...”

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Ero felice la mattina quando mi alzavo e facevo colazione con unafamiglia che, senza conoscermi, aveva scelto di ospitarmi, e nonmancava mai di farmi sentire tutta la sua vicinanza mentre io,come una bambina ai primi passi, facevo esperienza nella mianuova realtà. Ero felice a scuola, dove ho stretto amicizie e ho fati-cato per prendere voti decenti... e alla fine dell'anno sono risultatatra i migliori della classe. Che soddisfazione! Ero felice mentreimparavo a pattinare sul ghiaccio e giocavo ad ice hockey... e unavolta ho anche segnato! Ero felice negli incontri mensili con glialtri studenti di intercultura che venivano da ogni parte delmondo; è stato bello sentirci tutti vicini, al di là di ogni barrieraculturale; incontrarli e ascoltare le loro storie è stato come visitarele loro terre: Giappone, Spagna, Indonesia, Brasile, Cina,Thailandia, Egitto... e forse un giorno andrò davvero a trovarli!

Ero felice quando con la combriccola di amici ci radunavamo peri pigiama-party. Ero felice nel poter condividere, e non solo nell'ac-cento linguistico, la mia Italia.Ero felice, e lo sono ancora, perché so che ci sono ragazzi e adultiche non hanno paura di mettersi in discussione e confrontarsi conle diversità; so che, per quanto questo mondo segua spesso unalogica ottusa e discriminante, non ci sono barriere che tengano,basta avere un po' di buona volontà e sarà possibile credere in unmondo migliore... e costruirlo, piano piano.Spesso i miei amici mi dicono: "In America avrai sicuramente pas-sato il periodo più bello della tua vita!". Un po' si sbagliano: l'esperienza interculturale in America, mi hainsegnato a vivere ogni giorno come se fosse il più bello della miavita. Ogni giorno. Grazie,

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d u e m i l a s e t t e

S i l v i a B r u t t i

ecisi di provare. Volevo partire. Andare ovunque la vita miportasse. "Ovunque tranne qui".

Cercavo qualcosa di diverso, bello ed entusiasmante, volevo fareincontri, stringere legami, misurarmi con il mondo; mi venivaofferta la possibilità di trascorrere un anno in America... -fantasti-co!- poi... "chissà" pensavo, "da cosa nasce cosa, magari rimarròlà... il college... la casa con la staccionata bianca...".Ero stanca della routine e di tutto ciò che mi era familiare. Diconoche questa irrequietezza sia tipica dell'adolescenza; per me è statauna benedizione. Lasciai il bando di iscrizione al concorso sullascrivania, in bella vista, speranzosa che i miei genitori l'avesseronotato e mi avrebbero incoraggiato. "Tanto poi non supera le sele-zioni e rimane a casa- speravano- però provare non costa niente!"

E invece le selezioni le superai e un paio di mesi prima della partenzami venne spedito il fascicolo della famiglia ospitante. Sulla carta c'erascritto, in neretto, che sarai partita per -Brunswick, Maine, USA... non andò proprio così o meglio, non andò solo così... ma lo sco-prii dopo. Perché il viaggio che intrapresi fu il Viaggio-Dentro-Me.Non ricordo grandi paure, mi dispiaceva lasciare famiglia e amici...ma partivo con la convinzione che l'affetto fosse direttamente pro-porzionale alla distanza dunque, Più Distanza=Più Affetto. So soloquesto di matematica. Partivo disposta a cominciare tutto da capo,a partire dalle relazioni, e disposta ad imparare tutto, a partire dallalingua. Senza pregiudizi né paure, ma con una gran voglia di sco-prire un mondo nuovo e meravigliarmi. Così non incontrai grossedifficoltà.

D

“L'esperienza interculturale in America, mi ha insegnato avivere ogni giorno come se fosse il più bello della mia vita”.

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Pennsylvania, Jim Thorpe, conta all'incirca trentamila abitanti e lamaggior parte di questi hanno origini irlandesi, proprio come lamia adorata host family! Appena arrivati nel cuore della città si per-cepisce immediatamente con facilità un ambiente quieto e vivibile.La mia casa era nella via principale, Broadway street. Meravigliosamente arredata in stile vittoriano, era contornata daun delizioso giardino che funge da habitat per i tre cani e i tre gattipresenti nella casa. Al mio arrivo nella casa sentii un terremotovenire giù dalle scale della cucina...erano i miei fratelli. Uno dellamia età, Alex, e l'altro di due anni più grande, Benjamin. Loro, imiei genitori, Carole e Ben, la mia amica Lea e il mio amicoPatrick sono stati per me le mie colonne portanti, le mie guide, e imiei migliori amici! A quel punto la nostalgia iniziava a fare spazioalla voglia di conoscere il più possibile! Apprese le regole del quie-to vivere familiare, quelle scolastiche e sociali, a quel punto le

gambe fanno da se. Per quanto riguarda l'inglese, con qualchefiguaraccia iniziale e una risata in più, nell'arco di un mese è statofacile apprenderlo alla perfezione! L'esperienza in America è stataimpagabile e meravigliosa!Le mille luci e i colori di New York a natale, il caldo di Philadelphiain pieno agosto, le montagne che cambiavano colore ogni settima-na nel Pokono, i viaggi in macchina con le canzoni che hannoaccompagnato il mio anno li, le foto che non finivano mai, gli infi-niti centri commerciali, le divertenti lezioni di spagnolo con Senor,le mani sporche nei corsi di ceramica, gli hot dog alle partite difootball il venerdì sera, le cene con i nonni la domenica e tantoaltro ancora hanno reso questa esperienza la più bella della miavita...ed è proprio per questo che consiglio a tutti i ragazzi voglio-si di liberarsi dei paraocchi e soprattutto vogliosi di imparare a sco-prire il mondo di preparare i bagagli e viaggiare!

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d u e m i l a s e t t e

A n n a C i e n o

on gli occhi pieni di lacrime, la sacca sulle spalle e lamente aperta a tutto mi preparavo a scoprire un

nuovo mondo.Un mondo che all'apparenza sembra fatto di patatine, cocacola e hamburger, ma pieno di novità, nuove esperienze e unacultura tutta da capire, imparare ed apprezzare.Come disse una volta il Prof. Formichetti: "Bisognerebbeavere i piedi nel borgo e la testa nel mondo"! Questo è statoil mio motto dall'inizio. La mia piccola cittadina della

C “Con gli occhi pieni di lacrime,la sacca sulle spalle e la menteaperta a tutto mi preparavo a

scoprire un nuovo mondo.”

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uando ti comunicano che vivrai un anno della tua vitaall’estero, in un paese che si conosce solo tramite qualchefilm o per sentito dire, lontano da tutto ciò che si cono-

sce e che è familiare, le emozioni che si provano sono tante: eufo-ria, paura, felicità e forse, anche un po’ d’iniziale inconsapevolezzadi ciò verso cui realmente si va incontro.Ciò a cui ho pensato io la prima volta che ho sentito il nome dellamia destinazione, Harvard, è stato alla famosa e grande universi-tà…realizzando poi invece che si trattava della piccola Harvarddello stato dell’Illinois, una cittadina del Midwest americano acirca un’ora da Chicago, e che avrei vissuto in una fattoria!Ricordo perfettamente che la prima volta che ho compreso davve-

ro che stavo vivendo realmente tutto ciò che fino a quel momentoavevo “vissuto” solo tramite le testimonianze di altri ragazzi, cheavevano deciso di fare questa esperienza prima di me, è stato quan-do ho incontrato per la prima volta la mia famiglia ospitante.È stato un momento che ricorderò sempre, e durante il quale hocapito che si faceva “sul serio”: avrei dovuto realmente adattarmi ad

una nuova cultura, una nuova casa, una nuova famiglia, tutto. È forse questa una delle più grandi paure che si affrontano primadi partire per questa avventura, oltre al timore di sentire la man-canza della propria famiglia, dei propri amici e di tutto ciò che èpiù caro. Inizialmente si cominciano a notare tutte le grandi e piccole diffe-renze nel comportamento delle persone, nel modo in cui si scher-za, si parla, si mangia…Tutto risulta estremamente diverso, e ci si ritrova da soli a doveraffrontare questo cambiamento. Ma è proprio questo che aiuta acrescere: il fatto di dover tagliare il cordone che ci lega al rifugiosicuro che è la propria casa, la propria famiglia, ed essere in grado

di affrontare le difficoltà contando sulle proprie capacità di adatta-mento e sulla propria maturità, avendo comunque sempre unappoggio e un aiuto dalla propria famiglia ospitante, che diventauna seconda famiglia a tutti gli effetti, e con cui si instaura da subi-to un sincero rapporto e nella quale si viene accolti non come unospite, ma come un figlio.

d u e m i l a s e t t e

G i o r g i a D ’ A l e s s a n d r o

Q

Si impara così pian piano ad affrontare i problemi e le difficoltà ini-ziali e ad adattarsi alla nuova cultura, cancellando via via tutte lefalse credenze e gli stereotipi non solo del paese di cui si è ospiti,ma di decine di altri paesi rappresentati da ragazzi provenienti daogni parte del mondo. Stando a contatto con persone così diverse ci si rende conto in real-tà di quanto la vera diversità non esista: tutti i ragazzi hanno infondo gli stessi interessi, gli stessi timori, le stesse aspettative. Le differenze non possono far altro che unire, e non dividere, poi-ché si impara a condividere con gli altri le proprie usanze, abitudi-ni, modi di pensare, e ad accogliere più facilmente quelli altrui.Si istaurano “amicizie interculturali”, dei rapporti in cui si da e siriceve continuamente, e da cui è difficile poi allontanarsi una voltaterminata quest’avventura.

Il rientro a casa è forse, infatti, uno dei momenti più difficili daaffrontare: dover lasciare tutte le persone e gli ambienti che si èimparato a conoscere così bene, la famiglia, gli amici. Ci si sente cambiati sotto molti aspetti, perché senza dubbio si ètrascorso un periodo della vita molto intenso, ricco di nuove edindimenticabili esperienze, che molte volte riescono a mettere allaprova le proprie abilità. Mettermi continuamente alla prova è stato ciò che ha contraddi-stinto la mia esperienza dalla vita che facevo tutti i giorni: provarenuovi sport, nuove pietanze, trovare una nuova famiglia, nuoviamici, vivere in una nuova città e frequentare una nuova scuola. Eppure, tutto ciò che inizialmente è così nuovo, diventa col tempofamiliare, ci si immedesima nella nuova realtà in cui si vive e ci sirende conto che in fondo…tutto il mondo è paese!

“Avrei dovuto realmente adattarmi ad una nuova cultura,una nuova casa, una nuova famiglia, tutto”

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Con le due sorelle non sono mai riuscito ad instaurare un dialogo e non mi hannoaiutato ad adattarmi alle loro abitudini familiari. Con la madre si sono creati subi-to degli attriti dovuti al fatto che era troppo protettiva e tendeva a controllare tuttii miei spostamenti e rapporti. Dopo numerose richieste e grosse difficoltà sonoriuscito a cambiare famiglia e sono andato ad abitare nella casa della famigliaMarks che era composta da madre, padre una sorella di 17 anni e un fratello chenon viveva a casa poiché andava al college. In questa famiglia mi sono trovatomeglio anche se la differenza di mentalità era molto forte. Per loro era importan-te il rispetto delle regole all’interno della famiglia e non accettavano che venisse-ro messe in discussione. Ad esempio la domenica mattina era obbligatorio parte-cipare alla messa e non potevo rifiutare altrimenti si offendevano.Superate queste difficoltà ho cominciato ad adattarmi e a comprendere di più laloro mentalità. Anche con la scuola all’inizio era molto difficile comprendere lelezioni e socializzare a causa della lingua. Dopo qualche mese imparando megliola lingua anche a scuola mi sono trovato meglio dal punto di vista di apprendi-mento delle materie e ho iniziato a fare molte amicizie. La scuola che frequentavoera molto grande e organizzata in maniera diversa dalla nostra. Una grande diffi-coltà era spostarsi per raggiungere i miei amici in quanto le distanze erano moltograndi, non c’erano trasporti pubblici e quindi ero costretto a chiedere alla fami-glia di accompagnarmi. Nonostante sia stato difficile adattarsi ad un altro tipo divita e comprendere una nuova lingua, questa è stata una bellissima esperienza chesono felice di aver fatto e rifarei molto volentieri. Infatti sto pensando di tornarea visitare la famiglia e amici quest’estate.

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o fatto l’ esperienza di “viaggio” all’ età di 16 anni. Conl’opportunità che mi ha dato la borsa di studio della

Fondazione Varrone sono partito per il Wisconsin e lì sono rimastoper un anno.Sono partito pieno di entusiasmo e di aspettative, eanche se i volontari di Intercultura mi avevano preparato per affron-tare questa esperienza l’impatto è stato forte. Adattarsi ad un paesecompletamente diverso per usi, costumi e mentalità non è stato sem-plice soprattutto all’inizio. La prima famiglia in cui mi trovavo eracomposta da madre, padre e due sorelle di 14 e 11 anni. Dopo ilprimo mese i rapporti tra di noi hanno cominciato ad andare in crisi.

d u e m i l a s e t t e

O r s o M a r i a F r a t t a l i

H “Sono partito pieno dientusiasmo e di aspettative,

e anche se i volontari diintercultura mi avevanopreparato per affrontare

questa esperienzal’impatto è stato forte.”

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dopo le quali ho iniziato ad avere una fantastica vita sociale, grazieanche alle tantissime persone che mi sono state vicino! All’internodella mia famiglia ho avuto un rapporto straordinario con lamamma, Katina: è sempre stata il mio punto di riferimento poichéessendo molto giovane, riusciva a comprendere a pieno i miei pro-blemi, dandomi validi e utili consigli in tutti i campi. Per quantoriguarda i miei progressi posso tranquillamente affermare che èstata un’esperienza che mi ha fatto crescere sotto tutti i punti divista: a partire da quello scolastico, fino ad arrivare a quello perso-nale! Anche solo dopo poche settimane, ti rendi conto che inizi acomprendere ciò che ti circonda e, magari con qualche intoppo masi riesce tranquillamente ad interagire! Nel mondo lavorativo laconoscenza della lingua che si acquista vivendo un anno all’esteroè ricercatissima e aggiungendo l’esperienza al proprio curriculum,si hanno molte più possibilità rispetto a chi magari ha solamenteuna normale certificazione europea! Ma il cambiamento piùimportante è quello interiore: si cresce, ci si fanno le ossa e si capi-scono tante cose che rimanendo con la propria famiglia non sipotrebbero capire. Secondo me, l’esperienza apre del tutto la pro-pria mentalità, rendendola flessibile alle diverse situazioni, si cono-

scono nuove culture imparando ad essere quindi tolleranti e cer-cando di adattarsi a ciò che non rappresenta il nostro habitat natu-rale! Per non parlare poi delle varie conoscenze che si possono fare:a volte si creano dei legami che sono quasi più forti di quelli che sisono sviluppati durante tutta la propria vita! Personalmente hocreato delle amicizie che difficilmente si sfalderanno; di fatto, nem-meno la distanza riesce ad incrinarle poiché, fortunatamente vivia-mo in un periodo in cui le distanze riescono ad essere accorciateattraverso Internet, Facebook, Skype ecc ecc! E che cosa dire deirapporti che si instaurano invece con la host family? Diventano deiveri e propri genitori che cercano di offrirti tutto il calore e l’affet-to che possono darti! Per me sono stati un grande aiuto e ancoraoggi, a due anni dalla mia esperienza, li sento come se fossero anco-ra qui accanto a me, a chiacchierare come ai vecchi tempi anche setra di noi ci sono migliaia di chilometri e una cornetta o un com-puter che ci dividono! Per quanto riguarda l’esperienza in generale,nonostante la mia giovane età posso affermare con sicurezza che èstata una delle cose più belle della mia vita; se mi chiedessero diripartire lo farei anche all’istante, augurando a tutti di provare lestesse sensazioni che ho provato anche io!

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d u e m i l a s e t t e

M a r t i n a G a l l e t e l l i

iao a tutti sono Martina Galletelli, una normalissimaragazza di ormai 18 anni che ha però alle spalle, a differen-

za di tanti altri adolescenti, un’esperienza che non dimenticheràmai! Ho iniziato il mio percorso più di due anni fa, prendendolaprincipalmente per gioco ma con il passare del tempo e superandouna prova dopo l’altra, mi sono quasi auto convinta che lo scherzonon era più tale, bensì si era quasi trasformato in realtà! Un sogno,che cresceva in me da quando ero piccina: andare a vivere inAmerica! Quando ebbi la notizia ufficiale che sarei partita moltisono stati i dubbi e i pensieri che crescevano in me: Partire? Ce lafarò? Sarò forte abbastanza? E i miei amici? E se avessi bisogno di

mamma papà e mia sorella? E se in un anno cambiasse tutto? Arisposta di queste mie domande erano sempre pronte a risponderele mie lacrime! Con l’avvicinarsi della data della partenza però,molte altre domande iniziarono a sorgere e, insieme all’adrenalinasi aggiunsero ai miei tanti pensieri! Il giorno della partenza è cosìarrivato, una decina di ore di volo e ciak, si gira: nuova vita!Quando mi sono venuti a prendere in albergo i miei “nuovi geni-tori” ero terrorizzata: non sapevo come comportarmi e, non cono-scendo a fondo la lingua, avevo paura di dire una marea di cavola-te! Il tutto è stato però più semplice di quello che mi aspettavo: iproblemi si sono manifestati solamente nelle prime due settimane,

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“Il giorno della partenza è così arrivato, una decinadi ore di volo e ciak, si gira: nuova vita!”

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S i l v i a M i c h e l i

alve a tutti sono Silvia Micheli, ho 17 anni e sonoitaliana…

Così ha avuto inizio la mia esperienza scolastica negli StatiUniti ed è così che mi sono presentata ad una nuova vitada costruire. La mia grande avventura, così mi piace chiamarla, è statapreceduta da un periodo caratterizzato soprattutto da not-tate passate a pensare al giorno in cui avrei conosciuto lamia famiglia, da consigli di ragazze appena rientrate inItalia e opinioni scambiate con tutti gli amici che comeme hanno lasciato Rieti nel 2007.E sa da un lato tanti sono stati i sogni e i dubbi specie sullariuscita o meno di questa esperienza , dall’altra tante sonostate le aspettative: conoscere nuove persone, una culturacosì vicina alla nostra ma allo stesso tempo distante e cre-armi una nuova casa dall’altra parte del mondo .. perchédue è sempre meglio di una!)Così prima di Ferragosto fatta la valigia ho salutato la mia“cara famiglia” e sono salita sull’aereo che mi ha accompa-gnato nel mio nuovo paese. La prima cosa che mi ha fattocapire che non ero più in Italia, oltre alla lingua che lì perlì e fino a dicembre è stata incomprensibile, è stata sicura-mente la strada. Vi sembrerà strano che un incrocio miabbia fatto realizzare che avevo sorvolato l’oceano atlanti-co… ma le macchine e soprattutto il semaforo sospeso alcentro della strada mi hanno fatto capire che non stavovivendo un sogno, per non parlare poi del momento in cuiho visto la mia famiglia ospitante arrivare e io impauritami sono nascosta dietro la valigia. Da quel giorno tante sono state le difficoltà. Inserirsi inuna nuova società non è poi così semplice come pensavo,bisogna cercare di adattarsi alle persone e mandare giùtanti bocconi, magari amari, che in Italia non avremmosopportato. Nel mio caso all’inizio ho avuto un breveperiodo di incomprensione con la mia sorella ospitante

ma parlando siamo riuscite a venirci incontro creando così una bellissimae duratura amicizia. Altra difficoltà è stata quella di accettare che lì erovista come una persona diversa. Non sempre infatti, le persone che accol-gono qualcuno nella propria società sono poi così aperte al dialogo e alconfronto e spesso mi sono ritrovata da sola. E’ stata un’esperienza impor-tante e costruttiva. Ho imparato ad esporre le mie idee ed essere me stes-sa, ad essere orgogliosa del mio paese e allo stesso tempo aperta a nuoveculture, ho valorizzato le mie tradizioni e accolto delle nuove ma soprat-tutto ho imparato a conoscere e ad essere curiosa di quello che mi è vici-no. È in questo modo che ho scoperto l’America. Un paese ricco di per-sone interessanti, non solo obese come siamo soliti pensare (anzi, ad esse-re onesti corrono molto più di noi!), ma persone che credono fermamen-te nella loro nazione, persone che nonostante sembrino distaccate all’ini-zio, sono accoglienti e generose, persone che amano stare con la propriofamiglia e nel loro piccolo aiutano sempre il prossimo. E così se tante sono state le difficoltà, grandi sono state le soddisfazioniavute e i momenti belli! Come dimenticare balli, serate con amici, allena-menti dopo scuola, la vigilia passata a cantare di casa in casa, la consegnadel diploma, il mio caro armadietto, i cervi e gli scoiattoli nel giardinodietro casa e la famiglia che generosamente mi ha sempre fatto sentire acasa?! Non li posso dimenticare di certo e anche se per ora nel mio futu-ro non appare molto il termine America i ricordi che ho della mia avven-tura mi fanno sempre compagnia e la Silvia che è tornata in Italia havoglia di conoscere sempre e vivere la sua vita al massimo, viaggiandospesso se possibile e augurando a tutti un’esperienza così.

“la Silvia che è tornatain Italia ha voglia di

conoscere sempre e viverela sua vita al massimo”

S

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S u s a n n a M i t o l o

ono ormai passati quasi due anni da quando tornai dal bellissimostato dell’Oregon, nella costa nord occidentale degli Stati Uniti. Ora

di anni ne ho diciannove eppure non passa un momento che non ricono-sca quanto questa esperienza mi abbia dato. Mi chiamo Susanna e, dopo anni di duro lavoro al liceo classico, ora mitrovo al King’s College di Londra, a studiare, indovinate un po’, non lati-no, non greco ma biochimica e come io sia finita a Londra in ambito pret-tamente scientifico è una storia che comincia nell’ottobre del 2007, quan-do presi in considerazione l’idea di passare un anno all’estero.La mia famiglia non era completamente convinta di questa mia scelta eforse in fondo al cuore speravano che non ottenessi la borsa di studio cheavrebbe portato la loro figlia lontana per cosi tanto tempo. Ma so esseremolto molto testarda e i miei genitori avevano capito che questa era la miascelta: capire di cosa ero capace, una specie di sfida con me stessa. Quandoottenni la risposta definitiva il tempo sembrò scorrere a velocità incredibilee in men che non si dica mi ritrovai all’aeroporto di Roma, pronta (più omeno) ad affrontare circa diciotto ore di viaggio, con relativi scambi di voloe attese in aeroporto. I viaggi in aereo sono stranamente massacranti nono-stante non si faccia altro che stare seduti. Ma sono altrettanto utili quandosi ha bisogno di pensare. E di pensare ne avevo assai bisogno!La mia paura più grande era di non piacere alla mia famiglia ospitante.Inoltre ero spaventatissima all’idea di parlare inglese e solo inglese.Nonostante i miei voti fossero più che buoni, parlare una lingua e’ semprediverso dallo scrivere e dal rispondere alle domande all’interrogazione. Lafamosa High School poi mi terrorizzava. Era proprio come nei film? Cisarebbero state cheerleader e giocatori di football e corse da una lezioneall’altra e armadietti?La mia prima paura svanì nell’istante in cui vidi Ana e Miguel Ramirez, imiei incredibili host parents. Non solo non facevano altro che sorridermicon affetto e parlarmi di tutte le cose che avremmo fatto ma avevano anchequell’aria di famiglia che mi fece subito sentire a casa. Anche se ci fu un pic-colo intoppo quando incontrai Kristen, la mia sorellina americana. Kristenaveva 2 anni allora (accidenti come vola il tempo!) e appena misi piede incasa lei stava riposando sul suo divanetto preferito. Quando mi avvicinai asalutare quella che immaginavo fosse la più dolce delle bimbe, Kristen apri

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un occhio, uno solo, mi gettò uno sguardo accusatore e si girò dal-l’altra parte. Molto incoraggiante! In seguito imparai che Kristen e’sempre di cattivo umore quando si sveglia, a qualsiasi ora! Dopo diKristen feci la conoscenza della mia sorellina Natalie che era picco-lissima, aveva solo 4 mesi, ed era la più dolce, cicciotta, e buonabambina del mondo. Comunicare era difficile all’inizio: era come se il mio cervello pen-sasse al rallentatore. Costruivo in mente ciò che avevo intenzione didire, cercavo sul mio mini dizionario le parole che non conoscevo,aprivo la bocca per chiedere e poi…il nulla! La mia mente si svuo-tava, balbettavo e mi sentivo in totale imbarazzo! FortunatamenteAna e Miguel erano pazientissimi, mi parlavano lentamente ederano bravissimi a ‘mimare’ se necessario. Pochissime volte hannodovuto usare lo spagnolo (sono messicani di origine).La scuola mi terrorizzava, ma ciò non mi impedì di scegliere lematerie più complicate: chimica, biomedicina, fisica ed arte.Dovevo anche frequentare storia americana, inglese, economia ediritto americano.Lo sport era importantissimo e provarne diversi mi permise diconoscere tanti amici. I ragazzi americani erano incuriositi da me,ma, dopo le prime settimane ero solo un Exchange student e nien-

t’altro. Mi sentivo diversa, tagliata fuori. Fortunatamente strinsiamicizia con quattro ragazze, due americane, una svizzera e una slo-vacca, che vivevano praticamente a casa mia.E’ vero che avevo degli stereotipi prima di raggiungere l’Oregon mamentre quelli della scuola americana si sono rivelati per la maggiorparte veri (soprattutto l’odioso armadietto), non sono mai riuscita ecredo che mai riuscirò a definire l’americano tipo. La mia famigliadi origine messicana è stato l’esempio perfetto di una famiglia asso-lutamente multiculturale.Il tempo è volato. E poi come sono finita a Londra? Be’, l’Americami ha fatto scoprire l’amore per la scienza, mi ha dato la competen-za linguistica necessaria, e la grinta per cercare di ottenere ciò chevoglio. Ad essere sincera in Oregon mi è andato tutto cosi bene chetornata in Italia non è stato semplice. La testa l’ho sbattuta doloro-samente molte volte. Per ora sono a Londra, e ci rimarrò per treanni. Dopodiché mi dovrò specializzare, in cosa ancora non sonosicura. La cosa di cui sono sicura è che non mi pongo limiti. Nonmi spaventa l’idea di andare a lavorare in un altro continente. Forsel’unico timore e’ quello di allontanarmi dagli amici più cari e daimiei fratelli. Ma i rapporti più importanti superano senza sforzomigliaia mesi di lontananza e migliaia di chilometri.

“l’America mi ha dato la competenza linguistica necessariae la grinta per cercare di ottenere ciò che voglio”

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J e s s i c a P a r n o f i e l l o

on è facile parlare della propria esperienza...specie dopoche si è tornati... L'esperienza che facciamo e quello che

proviamo e passiamo la sentiamo come un qualcosa di SOLTAN-TO NOSTRO...almeno per me è così...La mia esperienza è stata di un anno -più precisamente 11 mesi- Imiei “primi giorni”, che sono durati per circa due mesi, non sonostati caratterizzati dalla comprensione della lingua, ma dall'incapa-cità di parlare. Non è stato semplice, ma avevo trovato il modo perfarmi capire. Vocabolario, blocco notes e penna erano diventati imiei migliori amici; parlavo solo attraverso di loro.Pian piano ho preso confidenza con la lingua e quei migliori amicia cui mi ero affidata in un primo momento di smarrimento, li homessi a dormire nella mia valigia e mi sono lasciata andare.Ho cominciato a parlare e difficilmente smettevo. Mi sono ritrova-ta ad usare una lingua non mia, ma con la quale riesco ad esprimer-

mi meglio dell'italiano. Sono arrivata in una cittadina grande quasiquanto solo “Campoloniano” ... 8000 abitanti... Rhinelander...La prima cosa di cui mi sono resa conto è che l'America che noieravamo abituati a vedere in tv non c'entrava niente con l'americache stavo vedendo io in quel momento... Cittadina piccola, distan-ze enormi tra un'abitazione e l'altra, niente mezzi pubblici, scuolaenorme... La mia scuola era frequentata da ben 2000 studenti...Gli studenti stranieri non venivano calcolati per niente... Non èstato facile... La nostalgia di casa era tanta, però per una soddisfa-zione personale ho deciso di andare avanti...Ad oggi capisco che l'ho fatto perchè quest'esperienza è bellissima, maallora per me era un NON DARLA VINTA A CHI NON CREDE-VA IN ME... Più pensavo a chi mi aveva detto che non ce l'avrei fattae più andavo avanti dicendomi che ogni problema era risolvibile. Lamia prima famiglia americana (perchè ho dovuto cambiare famiglia)

Nera composta da madre, padre, una figlia più grande di me ed un figlio dellamia stessa età... Sono rimasta da loro per ben 6 mesi della mia esperienza, nono-stante tutti i problemi che si erano creati e che loro semplicemente accantona-vano. Il 25 gennaio poi ho cambiato e sono andata in una famiglia in cui c'eramadre, padre, una figlia più grande di me ed un fratello più piccolo... Ms Cindy(mia madre americana) è una donna fantastica. Ha un daycare che sarebbe unaspecie di asilo dove il nostro bambino più piccolo aveva 2 mesi ed il più gran-de 10 anni... Papa Jim (mio padre americano) è un uomo che si dividerebbe in4 per la famiglia. Lavora come cuoco nell'ospedale locale. Purtroppo lo vedevoben poco dato che lavorava circa 16 ore al giorno però il tempo che spendevacon me ed i miei fratelli americani è sempre stato favoloso. Jackie (mia sorellaamericana) ha un anno più di me. Non è stato facile all'inizio con lei. La vede-vo lontana, distaccata e un pò all'inizio ci soffrivo perchè credevo che lei nonmi accettasse poi però tutto la mia idea si è verificata errata quando lei mi halasciato un biglietto, partendo per il college, dove mi diceva che lei era felicissi-ma ch'io usassi la sua stanza e ch'io ormai facessi parte della sua famiglia. Poic'è Jimmy (mio fratello ospitante)...con lui...ero un'estranea, se c'ero o nonc'ero era semplicemente indifferente per lui, fin quando, non so per quale moti-vo, una sera è entrato in camera mia e, per darmi la buona notte, mi ha datoun bacio su una guancia...da quel giorno ci siamo legati sempre di più. Riuscirea farsi accettare e voler bene da qualcuno, conquistarsi quell'affetto è, forse, lacosa più difficile, però una volta che ci si riesce è la più bella al mondo. La sicurezza d'esser riuscita a far affezionare qualcuno solo con i tuoi atteggia-menti è la migliore delle sensazioni. Da allora, Lui andava a giocare alla playe mi chiamava, lui andava a vedere un film e mi chiamava...qualsiasi cosafacesse mi includeva...è stato bello! FINALMENTE MI SENTIVO A CASA Un consiglio a chi deve partire? State tranquilli! Vivete la vostra esperienzanel migliore dei modi perché, purtroppo, non ritorna; anche se avrete la pos-sibilità di tornare dalla vostra seconda famiglia (famiglia ospitante, come lachiama Intercultura) i sentimenti, le paure, la fiducia in te stesso non saran-no mai più gli stessi. In conclusione, VIVETE LA VOSTRA ESPERIENZAALLA MASSIMA POTENZA!

“Più pensavo a chi mi aveva dettoche non ce l'avrei fatta e più

andavo avanti dicendomiche ogni problema era risolvibile.”

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Cerimonia di premiazione dei vincitori delle borse di studiopresso Palazzo Potenziani sede Fondazione Varrone

17 maggio 2008

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A N N O 2 0 0 8

Claudia Allegri

Ilaria Anibaldi

Giulia Baselli

Ludovica Cerri

Chiara Colalelli

Michela Di Venanzio

Luisa Gentile

Mariangela Giovanzanti

Lucia Giuli

Cristina Lupi

Davide Massimi

Massimiliano Mura

Simone Sebastiano

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d u e m i l a o t t o

C l a u d i a A l l e g r i

ensavo che descrivere la mia esperienza sarebbe stato facile,ma adesso si rivela un lavoro arduo. Come descrivere que-

st’esperienza con poche righe?? Ci sarebbero mille cose da dire,mille sensazioni da descrivere, mille episodi da raccontare. Mi chiamo Claudia, ho 17 anni e frequento il quarto annoall’Istituto Tecnico Commerciale, tutto è cominciato un normalis-simo 15 Maggio 2008, giorno in cui ho ricevuto le informazionisulla mia famiglia ospitante, giorno in cui New York è entrata a farparte della mia vita. A pochi giorni dalla partenza ancora non misembrava vero, ad essere sincera non ho avuto né dubbi né paure,forse proprio perché ancora non ci credevo, forse perché pensavofosse un sogno anche se devo dire che salutare la mia famiglia è

stato molto difficile, ma sapevo che quello che mi aspettava valevamolto di più, sarei partita alla scoperta di un nuovo mondo. Spessodurante le orientation pre-partenza si parlava di shock culturale,dei momenti negativi durante l’esperienza, dei molteplici momen-ti di nostalgia, ma devo dire che non ho incontrato niente di tuttociò, certo sarei ipocrita nel dire che non ho sentito la mancanzadella mia famiglia, e che non ho avuto momenti no, ma sono vera-mente pochi in confronto alle volte che ho riso, e sono stata orgo-gliosa di me stessa, orgogliosa di aver fatto la scelta giusta, orgoglio-sa di essere partita per sentirmi parte di questo mondo, orgogliosadi poter crescere come una donna cittadina del mondo. La primasettimana è stata la più dura soprattutto per le difficoltà nel comu-

Pnicare con la famiglia ospitante, nelvedere che non si cenava mai insieme,nel chiedersi perché ogni casa avesseuna bandiera svolazzante nel porti-co….ma già dalla settimana successivatutti le difficoltà iniziali sembravanosvanire nel nulla come se non fosseromai esistite, mi sentivo parte di quellafamiglia, perché hanno fatto in mododi aiutarmi e farmi sentire a mio agio inogni momento. Non ci sono strategie otrucchi per sentirsi meglio o per supe-rare le difficoltà, ma piuttosto bisognaessere se stessi ed essere capaci di met-tersi in gioco in ogni momento, senzaaver paura di sbagliare o fare bruttefigure, certo per i primi tempi la mag-gior parte delle volte le conversazionifiniranno in risate per qualcosa che si èdetto sbagliato o perché non si capisceun accidente di quello che si dice, mabisogna pur sempre provarci! Si passacosi dalla normalità del mondo in cuiviviamo ad un mondo che conosceva-mo solo grazie ai film, un mondo cheper 10 mesi mi sono impegnata a cono-scere al meglio, un mondo del tuttodiverso dal nostro, un mondo pieno dinovità, un mondo che è stata la miaseconda casa. Certo però non si puoi

dire che lasciare quel posto che ho chia-mato CASA sia stato facile, ansi direiche tornare in Italia è ancora più dura,anche perché quando ho salutato i mieigenitori sapevo che a distanza di 10mesi li avrei rivisti, mentre loro, quelliche mi hanno accolto in casa, quelli chemi hanno amato e trattato come unafiglia, non sapevo se mai o quando liavrei rivisti, non sapevo se quello sareb-be stato un semplice arrivederci o undoloroso addio. Perry continua adessere all’interno del mio cuore e dellamia mente come se fosse ieri, continuoad aver i ricordi del Ringraziamento, diNatale, della consegna dei diplomi, maancor di più le nuove amicizie che mihanno aiutato in ogni momento, quel-le persone che pur conoscendo da pocohanno lasciato una profonda improntain me. Questa esperienza mi ha aiutatoa maturare, mi ha aiutato a sentirmipiù sicura, ad aprirmi agli altri senzaalcuna difficoltà, anche se ogni tantoguardo indietro e qualche lacrima miscende, ma so che questa esperienzainfluenzerà il resto della mia vita,accompagnata ora da nuove amicizie eduna famiglia in più che, non mi abban-doneranno mai.

“Sono stata orgogliosadi essere partita per sentirmi

parte di questo mondo,orgogliosa di poter crescere comeuna donna cittadina del mondo”

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I l a r i a A n i b a l d i

artecipare al concorso della Fondazione Varrone non è stato,per me, una decisione difficile da prendere. Studiare all’estero

per un anno era il mio sogno sin dal primo superiore, e avevo trova-to, attraverso una borsa di studio, il modo di trasformare questosogno in realtà. Scoprire di aver vinto non mi ha affatto resa preoc-cupata, ma ancora più decisa ed entusiasta dell’imminente partenza.La nuova cultura non ha avuto su di me un impatto molto pesante, maho vissuto la mia esperienza con relativa serenità. Era come se avessidimenticato le mie origini. Durante i primi mesi del mio soggiorno erodiventata una vera Americana, o meglio, una ragazza del Tennessee.Non solo ero riuscita a prendere l’accento degli abitanti del posto, maavevo anche imparato a seguire le loro regole, le loro abitudini, ad amarela loro musica e il loro modo di vivere la religione. Ero diventata figliadi un’altra famiglia, di un altro Stato e di un’altra civiltà. In un secon-do momento, dopo Natale, sono arrivate le prime delusioni deri-vanti da incomprensioni soprattutto in ambito familiare. Mentre,infatti, la scuola e le amicizie erano motivo di grande soddisfazio-

ne, c’era qualcosa che mi impediva di comunicare apertamente conla mia famiglia ospitante. Per qualche ragione, le regole impostemicominciavano ad essere numerose e difficili da mettere in pratica,nonché da ricordare. Ho cominciato a desiderare un'altra famiglia,migliore e più aperta ad accogliermi. Eppure, nonostante questimiei momenti di debolezza, dentro di me io sapevo che proprio perl’apprensione di una madre troppo introversa, per le risa di unasorella timida, per il puro entusiasmo di un fratello autistico, che

P

vedeva in me una compagna di giochi, e per l’amore di un padrecoerente e leale, io dovevo restare. Questo mi ha, poi, confermatoil susseguirsi degli eventi. Il mio nuovo rapporto con la mia fami-glia mi ha insegnato ad amare gli altri per quello che sono, senza pre-tendere da loro ciò che non possono darmi; mi ha insegnato adapprezzare i difetti del mio prossimo, gli stessi che, insieme ai suoipregi, lo rendono unico, bello e speciale. Così, grazie alle mie rifles-sioni, ho capito l’importanza dei miei veri genitori, che da casa mipensavano, mi amavano e si preoccupavano per me. Inoltre, lo stu-dio della Storia Americana in una classe di livello avanzato mi hatrasmesso un forte patriottismo. Vedere, infatti, come gliAmericani amano il proprio paese e ne apprezzano la storia ed icostumi, ha risvegliato il mio amor di patria dal suo sonno duratoanni. La classe militare che ho frequentato, un corso di allenamen-to e preparazione di cadetti junior chiamato NJROTC, ha raffor-zato questo mio patriottismo e mi ha resa sicura di me e delle miecapacità. Per di più, questa classe mi ha resa ancora più ambiziosa,molto più matura e seria (forse un po’ troppo). Nello stesso tempo,il corso di atletica mi ha dimostrato che, con la semplice forza divolontà, posso sfidare e vincere me stessa, battendo record ritenutiimpossibili da superare. Nel corso di tutto l’anno, ho vissuto i

momenti più belli della mia vita, quelle semplici scene quotidianeche ricorderò per sempre con emozione forte. Ho pianto le lacrimepiù amare, sorriso con gioia come mai prima; ho scherzato, ho sof-ferto, mi sono divertita, ma anche annoiata, mi sono irritata persciocchezze, ho sopportato, ho perso la pazienza, sono stata bam-bina e adulta. Ho rivalutato il mio Paese, la mia famiglia, i mieiamici, la mia casa. Ho rivalutato e messo in discussione me stessa.Dentro di me sono nati profondo amore e sincera ammirazione neiconfronti delle altre culture, del diverso, del nuovo. Ho iniziato unprocesso che durerà per tutta la mia vita e che mi porterà un gior-no a scoprire chi sono. Credo, personalmente, che siano tanti i moti-vi che spingono noi ragazzi a volerci allontanare dalle nostre case, dallenostre amicizie, dalle nostre sicurezze. E credo anche che siano tante lereazioni che un’esperienza interculturale scaturisce in noi, tante le emo-zioni che proviamo e tanti i modi di affrontare i problemi. Ma quelloche ci accomuna tutti è il coraggio di metterci in gioco e di stare alleregole di un mondo totalmente diverso, a volte con successo, altre coninsuccesso. L’esperienza di un anno all’estero, in un’altra famiglia e,soprattutto, in un contesto culturale nuovo, è quanto di più bellosi possa desiderare nella vita, e tutti i giovani dovrebbero comincia-re questo viaggio per conoscere, conoscersi, capire e crescere.

“Ho pianto le lacrime piùamare, sorriso con gioia

come mai prima;ho scherzato, ho sofferto,

mi sono divertita, ma ancheannoiata ... sono stata

bambina e adulta”

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d u e m i l a o t t o

G i u l i a B a s e l l i

Dovevo essere in grado di cogliere tutte le occasioni per poter farenuove conoscenze perché in fondo un anno non è molto tempo perqualcuno che vive stabilmente in una città.Io ero un po’ una novità e dovevo essere in grado di sfruttare questacosa al massimo, cercare di relazionarmi con il maggior numero dipersone nonostante non conoscessi ancora benissimo la lingua.Per questo è stato necessario iscrivermi in dei gruppi sportivi, inclubs e vari eventi scolastici.Importante per me è stato anche abbattere i vari stereotipi con iquali vengono raffigurati comunemente gli americani.La scuola era uno di questi. Sono partita con la convinzione di tro-vare una scuola con corsi molto superficiali rispetto a quelli italia-ni mentre mi sono resa conto che invece, la scuola americana offre

molte più possibilità di scelta ad un ragazzo.Le materie, infatti, variano dall’ambito scientifico e umanistico aquello artistico e sportivo offrendo la possibilità di arricchire mag-giormente il proprio bagaglio culturale.Con il passare del tempo ho acquisito anche una maggiore compe-tenza linguistica e questo mi ha facilitato la socializzazione e la per-manenza. Molto importante è stato fare amicizie sia con personedel luogo sia con ragazzi stranieri come me che vivevano nella zona. Personalmente questa esperienza è stata molto forte ed ha contri-buito a formare la mia personalità e il mio carattere.Oggi posso dire che, nonostante le difficoltà incontrate, rifareiancora questa esperienza che mi ha consentito sia di crescere sia diimparare una lingua importante come l’inglese.

in da piccola, ho sempre desiderato viaggiare, scoprirenuovi posti, nuove culture; per questo avevo promesso a

me stessa che appena ne avessi avuto la possibilità lo avrei fatto.La mia esperienza è iniziata quando, per caso, sono venuta aconoscenza dell’opportunità concessa dalla FondazioneVarrone con l’associazione di Intercultura.A quel punto, dovevo solo convincere i miei genitori.Ormai vedevo il mio sogno avvicinarsi e sempre più concre-tizzarsi, non avevo timori o dubbi anche se sapevo che sareb-be stato difficile e che avrei potuto contare solamente sullemie forze.Una volta, però, saputa la destinazione e dopo aver avutomaggiori informazioni sulla mia famiglia ospitante sono sva-nite anche tutte le più piccole perplessità.Non sono stata delusa rispetto le mie aspettative, l’America ècome me la immaginavo, forse anche meglio.Sono atterrata a New York dopo 12 ore di viaggio e nonostan-te la stanchezza ho saputo apprezzare la bellezza di quel postomeraviglioso.La città dove sono stata per un intero anno è Columbus, lacapitale dell’Ohio.Sono stata molto fortunata a trovarmi in questa città moltogrande, piena di gente e di intrattenimenti.Posso dire questo a distanza di tempo perché anche se all’ini-zio era tutto una novità ed era tutto molto interessante, con iltempo quel posto mi sembrava estraneo.All’inizio infatti, non è stato facile adattarsi alla nuova cultu-ra ma grazie alla mia volontà di vivere pienamente questaesperienza che tanto avevo voluto, sono riuscita ad apprezza-re e a capire tutti i punti divergenti della mia cultura conquella americana.In questo sono stata aiutata anche dalla mia famiglia ospitan-te che ha cercato di integrarmi e di farmi conoscere questanuova cultura. A volte é stato necessario ricorrere a strategieper potermi integrare.

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“Ormai vedevo il mio sogno avvicinarsi, non avevo timori odubbi anche se sapevo che sarebbe stato difficile

e che avrei potuto contare solamente sulle mie forze”.

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a mia scelta di andare in America è stata una scelta fatta cosìdi getto mi sono detta “dai proviamo”. Convinta fino all’ul-

timo del fatto che non sarei mai partita, ho superato tutte le picco-le tappe, pian piano io e l’ansia e la paura di essere scelta convive-vamo finché poi ci siamo dovuti abbandonare all’idea che ero statascelta e sarei partita. Di sicuro non me lo sarei fatto ripetere duevolte che era un’esperienza unica quella che la Fondazione Varronee Intercultura mi offrivano, solo che avevo tanta paura mi sentivopiccola per un’esperienza che tutti descrivevano di una grandezza

mentale e culturale immensa. Poi ho cominciato a sentirmi prontae carica sempre con un filo di paura ma anche con quel pizzico dicuriosità. Ed è stato proprio quel pizzico che mi ha determinataalla partenza. Certo dire arrivederci a tutto e a tutti è stato orribile:ricordo la mia ultima settimana in Italia passata a piangere e a salu-tare amici e parenti, per non parlare del viaggio dall’albergo all’ae-roporto di Fiumicino! Piangevo come una bambina piccola mentretutti gli altri ragazzi sembravano contentissimi di lasciare tutto.E’ stato difficile adattarsi ad una cultura nuova e a persone nuove

L

d u e m i l a o t t o

C h i a r a C o l a l e l l i

con cui vivere che tra l’altro parlavano solo inamericano…mi sentivo un pesce fuor d’acqua.La mia famiglia ospitante però è sempre statamolto gentile e disponibile verso di me e quin-di durante l’anno, anche grazie alle orientationdell’associazione, abbiamo lavorato alla nostraconvivenza a volte difficile per un motivo o perun altro.Poco dopo il mio arrivo in Webster, la miacomunità ospitante, è iniziata la scuola. Là Iragazzi e gli insegnanti erano così gentili edisponibili e anche se la scuola durava fino alle3 e mezzo non mi pesava assolutamente pernulla, anzi quando avevamo le vacanze pregavodi poterci tornare al più presto. Dopo la scuolac’erano le attività extra scolastiche per almenodue ore e da ragazza sportiva quale sono hofatto tre diversi sport durante i dieci mesi tra-scorsi all’estero. Questo mi ha permesso di fareamicizia con molte più persone e molto più infretta. Per far si che le persone si accorgano dinoi ci dobbiamo buttare! Dobbiamo proporci efarci conoscere altrimenti le persone si limite-ranno a giudicare conoscendoci solo all’esternoe non per chi siamo veramente.Tra le tante conoscenze e amicizie americane enon, ho legato moltissimo con tutto il gruppodi studenti stranieri di Webster. Eravamo insette, tutti con AFS proprio come me, ma veni-vano da altre parti dell’Europa dell’Asia edell’America del Sud. Ancora ci sentiamoquando riusciamo a beccarci online. Penso sia

bello raccontarsi e ricordare insieme tutti gliepisodi divertenti durante le nostre esperienze.Sono state le persone con cui ho legato un po’di più proprio perché c’era un’unica cosa checi accomunava: Intercultura. Vivevamo stessesensazioni ed emozioni, una stessa esperienzalontani da casa e dover contare solo su noi stes-si, così ci capivamo al volo e ci aiutavamo ognivolta che ne avevamo bisogno. Un amicizia conuna persona di una nazionalità diversa è qual-cosa di stupendo ti apre gli occhi e la mente almondo che ti circonda ti dà punti differentisulla visione del mondo, o almeno così è statoper me. Vivevo nello stereotipo che L’Italiafosse un posto bruttissimo che volevo a tutti icosti lasciare, ma quando è stata l’ora di ritor-narci ero immensamente felice, perché nonconta come il posto sia, conta solo il valore sen-timentale che un posto ha per te. Il capire glialtri mi ha aiutato anche a capire me stessa,dandomi così il coraggio per affrontare le gran-di sfide che la vita mi pone davanti giornodopo giorno, sapendo di poter contare sullemie forze e capacità senza dover sempre dipen-dere dagli altri. Grazie ad Intercultura e la pos-sibilità che ho ricevuto adesso mi sento cresciu-ta, non solo di età, ma anche mentalmente eumanamente e mi sento inoltre parecchio sicu-ra di me e so che qualora dovessi fare qualcosadi sbagliato potrei sempre rialzarmi. Inoltreadesso sò che il mio sogno di girare il mondonon è poi così impossibile da realizzare

“Il capire gli altri mi ha aiutato anche acapire me stessa, dandomi così il coraggio

per affrontare le grandi sfide che la vita mipone davanti giorno dopo giorno”

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scompaiono, spazzati via dalla gigantesca voglia di partire e vivereal meglio un anno di vita che si prospetta fantastico.Atterrata a Chicago finalmente! Pronta a girare pagina e iniziare“my AMERICAN LIFE!” Affascinata immediatamente dalla bellezza della città, tutto quelloche mi circondava era così incredibilmente sorprendente. Da unaparte quello che fino ad un secondo prima di partire avevo visto intv, in film e telefilm, riviste ed articoli di giornale, dall’altro quelloche iniziavo a vivere, vedendo con i miei occhi e toccando con lemie mani.Ho stretto subito una relazione fantastica con la mia famiglia, coni miei nuovi amici e con i ritmi giornalieri che mi accingevo adaffrontare ... La scuola era esageratamente incredibile, efficente,veramente studiata e realizzata per offrire agli utenti le miglioripossibilità di apprendimento e conoscenza, con servizi efficientissi-mi, famigliari e pienamente a misura di ogni studente presente.Ricordo che passavo ore a descriverla ai miei familiari ed amici inItalia. Strutture super moderne che nulla avevano a che fare con

quelle a cui ero abituata.Le giornate scorrevano in allegria e spensieratezza. Non conoscevo piùil significato della parola nostalgia; mi sentivo parte di quell’ambiente.La mia spensieratezza (come quella degli altri) non coincideva conun mancato impegno dello studio o in un inesistente processo dimaturazione intellettuale e personale, anzi, tutto il contrario!Professori preparati, servizi e orari studiati con logica, materie cherealmente ti preparano sia ad affrontare un eventuale esperienzalavorativa al termine degli studi , sia a creare un livello di conoscen-za e capacità che prepara realmente ai futuri e postumi impegniuniversitari ai miei occhi Tutto questo in Italia sembra non esiste-re, nonostante noi siamo indubbiamente una di quelle civiltà chehanno tenuto a battesimo la conoscenza e la cultura fin dalle ori-gini della civilta’ occidentale.Credo che questa esperienza sia un enorme strumento di crescitapersonale.Auguro ed invito tutti a vivere al più presto le emozioni che mihanno accompagnato in un anno semplicemente sorprendente.

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ifficile descrivere una esperienza così straordinaria,unica, indimenticabile in poche righe.

Decidere di partire non è stato facile. Ci si sente ancora pic-coli di fronte a un mondo ai nostri occhi incomprensibile ;ma la voglia di conoscere, di provare nuove cose e spinti daquella curiosità che si fa protagonista di questa esperienza èpiù grande.Inutile dire che questo viaggio al di là dell’oceano ti cambia lavita, ti permette di crescere, maturare, diventare grandi. Ci siritrova da un giorno all’altro catapultati in una realtà comple-tamente diversa. I cambiamenti sono all’ordine del giorno:una nuova casa, una nuova famiglia pronta ad ospitarci nellaloro vita, nuovi amici, nuove abitudini Ed è proprio questo ilbello dell’esperienza, immergersi in una nuova realtà e all’in-terno di una diversa cultura. La cosa piu’ significativa restaforse proprio questa: si parte con l’idea di unire ad un espe-rienza di vita la possibilità di conoscere una nuovalingua , ma dopo poche settimane ci si rende contoche, la mera conoscenza (quale l’apprendimento diuna nuova lingua) si pone all’ombra dell’insiemedi incommensurabili emozioni ed esperienze checi si ritrova ad affrontare.Questa in generale è la descrizione dell’esperienza,ma tengo a descrivere in modo piu’ personale imiei ricordi a riguardo: conservo con molta gelo-sia ogni piccolo ricordo di un anno che potrei con-siderare il più bello della mia vita. Sono semprestata affascinata da paesi e culture diverse dallanostra e partire per gli States é stato un sognodiventato realtà!Non nascondo il timore iniziale, quello della par-tenza. Mille pensieri e preoccupazioni ti portanoad immaginare le peggiori situazioni possibili chesi possono creare quando ci si trova soli al di là delmondo. subito dopo tutti questi timori iniziali

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d u e m i l a o t t o

M i c h e l a D i V e n a n z i o

“Si parte con l’idea di unire adun esperienza di vita la

possibilità di conoscere unanuova lingua, ma dopo pochesettimane ci si rende conto che

la mera conoscenza si poneall’ombra dell’insieme di

incommensurabili emozionied esperienze che ci si ritrova

ad affrontare.”“Non conoscevo più il significato della parola nostalgia;

mi sentivo parte di quell’ambiente”.

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d u e m i l a o t t o

L u i s a G e n t i l e

elcome to our family Luisa!’’ questo era il messaggioscritto sul poster che ho ricevuto non appena incon-

trata la mia famiglia ospitante. Durante il tragitto per andare avivere nella mia futura nuova casa, pensavo tra me e me chi fos-sero quegli sconosciuti che mi guardavano e mi riempivano didomande per me incomprensibili. Un leggero muro di pauraed insicurezza che i miei genitori ospitanti hanno subito abbat-tuto appena arrivati a casa dicendomi che sarebbero stati ono-rati se li avessi chiamati mamma e papà e che ora dovevo con-siderare la loro casa come se fosse stata sempre anche la mia.Ho da subito instaurato un lega-me speciale, basato sulla fiducie eil rispetto reciproco, con le miesorelle e il mio fratellino e loromi hanno sempre coinvolto intutte le loro attività e interessi. Ilmio carattere forte e maturo, hasaputo gestire nel migliore deimodi qualche episodio di gelosiaed ero anche molto orgogliosaquando veniva chiesto il mioparere su qualcosa. Dopo qual-che giorno sapevo che io avreidovuto frequentare la scuolaamericana. Per me il primo gior-no di scuola in Kansas è statocome varcare di nuovo il portonedella mia scuola elementare, malì sapevo che non conoscevo nes-suno e non ero nel mio paese, eroin un’altra realtà e sapevo cheavrei dovuto subito stringerenuove amicizie e iniziare a pren-dere confidenza con quella scuo-la così grande e moderna. Ero

W “Un leggero muro di paura edinsicurezza che i miei genitori

ospitanti hanno subito abbattutodicendomi che sarebbero stati

onorati se li avessi chiamatimamma e papà”

molto nervosa e agitata il giorno in cui miamadre mi ha portata a conoscere il preside ascegliere i corsi che avrei dovuto frequenta-re nei due semestri. I primi giorni sonostata molto timida verso i compagni, i pro-fessori e il personale scolastico che si eradimostrato molto gentile e disponibile conme. Col passare del tempo ho conquistato lastima e l’affetto di tutti i professori da cuivenivo chiamata ‘’Miss Italy’’, che adorava-no ascoltare il mio accento ed erano moltointeressati quando raccontavo di vicenderelative al mio Paese. In ogni progetto, hocercato sempre di parlare dell’Italia cercan-do di trasmettere la nostra cultura famosaapprezzata in tutto il mondo. Durante lamia esperienza ho conosciuto molte perso-ne, ma poche di loro si sono dimostrateamicizie sincere che mi hanno aiutato asuperare momenti difficili oppure quandosentivo la nostalgia di casa mia. Forse il miopunto di riferimento è stata una ragazzatedesca, anche lei era nel mio stesso pro-gramma AFS, mi è stata molto vicino e mi

ha capita quando ero molto triste per il ter-remoto che ha colpito l’Abruzzo. Era forsel’unica che poteva capire quanto fossi preoc-cupata per le persone a me care che viveva-no nelle zone terremotate. Siamo state gran-di amiche, abbiamo condiviso momentiindimenticabili,sono ancora in contatto conlei e non appena potremo ci piacerebbeorganizzare un viaggio per poterci rivedere.Essendo il Kansas uno stato del tutto pia-neggiante, a volte mentre guardavo, dallafinestra della mia camera, quelle enormidistese di girasoli ripensavo alle montagnecon cui ero cresciuta nel mio paese e pensa-vo a quello che avevo lasciato con un pizzi-co di malinconia, ma scompariva subito sepensavo a tutto quello di bello e di diversoche stavo vivendo. Saranno sempre in unaparte del mio cuore le meravigliose albe cheero abituata ad ammirare ogni mattinaquando mio padre ci portava a scuola, cieliche il sole sfumava di tonalità rosse e aran-cione accompagnate da nuvole che venivaspostate da un soave vento.

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orari e in generale l’abituarsi a vivere con persone diverse. Non esi-ste una vera e propria tecnica per risolvere le difficoltà che si incon-trano in questo tipo di esperienza. Per me vale solo la determina-zione e l’amore per ciò che si sta facendo, più in generale per sestessi. Per superare le difficoltà che mi si sono presentate mentreero all’estero ho fatto una semplice cosa, mi sono chiesta, costante-mente, che cosa io volessi da questa esperienza e se quella scelta chestavo per compiere era giusta in virtù delle mie aspettative.Quando si vive un’esperienza simile, la consapevolezza di sé, ed ilsaper accettare il propri limiti è fondamentale per non farsi delmale e per non deludere sé stessi e gli altri. In questo senso l’espe-rienza interculturale dona molto al carattere dell’individuo che laaffronta: mentre si è all’estero, in un ambiente che non si conoscee con persone che non si conoscono, si deve acquisire la capacità didare il meglio di sé in poco tempo e di essere veri con le personeche si frequentano. È appunto noi capiamo chi siamo veramentee come ci comportiamo; durante quest’anno all’estero è stato pos-sibile per me scoprire fino a che punto l’idea che avevo di me fossedovuta all’ambiente in cui vivevo e alle persone che frequentavopiù che a me stessa. Questa è una grande prova, soprattutto per unadolescente e può essere destabilizzante per certi versi.Quando ci sono degli individui disposti a comunicare, ad aprirsi, atogliere di mezzo ogni pregiudizio è allora che nasce una relazionecostruttiva. E questo non dipende da dove ci si trova.Chi mai avrebbe pensato che sarei andata a pranzo con una ragaz-za giapponese, riso con lei e due tailandesi sulle cose che fanno

ridere noi ragazzi, e andata a fare shopping con un cileno? Io no dicerto. O almeno, credevo che avrei provato più difficoltà a farlo diquanta effettivamente ne abbia trovata.La consapevolezza che mi ha lasciato questa splendida esperienza èquella che anche se siamo lontani nello spazio, se c’è qualcosa damettere in comune, si può trovare il modo di farlo. Viviamo nelmondo dell’immediatezza della comunicazione e questo facilità digran lunga le cose per noi. Ora a distanza di mesi da questa espe-rienza, ho mantenuto i rapporti con tantissime persone che hoconosciuto lì, anche se ora viviamo vite completamente diverse,persino in posti diversi. A volte mi basta un vecchio scontrino o una foto per rivivere queimomenti unici, che rimangono nel cuore.

iao! Sono Mariangela Giovanzanti,vivo a Rieti, frequento il Liceo

Classico “M.T.Varrone” e sono stata aCincinnati, in Ohio, negli Stati Uniti nell’anno scolastico 2008/2009.Ho partecipato al concorso indetto dallaFondazione Varrone quasi per gioco; vista lalocandina in giro per la città, ne ho parlatoa casa ed ho valutato che valesse la pena par-tecipare; avevo sempre desiderato fare unesperienza simile ma mai era successo primadi avere una simile opportunità, così a por-tata di mano. Quando poi il primo febbra-io del 2008, giorno prima del mio quindi-cesimo compleanno, ho ricevuto la letterache diceva che sarei partita per gli StatiUniti, lì è cominciato il sogno.Prima di partire avevo pensato che sarebbestato difficile adattarsi alla cultura nordamericana. Pur essendo un paese per moltiversi simile al nostro ero in parte consape-vole della varietà etnica e culturale che gliStati Uniti presentano: ero quindi in gran-de attesa di sapere dove di preciso sareiandata; insomma, tutti conoscono la diffe-renza tra la California e il New Jersey, sia alivello climatico che di composizione dellapopolazione. Con il senno di poi, possoaffermare che la differenza non la fanno iposti, ma le persone e la loro capacità dicomunicazione e disponibilità a compren-dere l’altro, a mettersi sullo stesso piano.Le difficoltà iniziali sono state di naturaprevedibile: i primi giorni la lingua, masoprattutto, il cambio delle abitudini, gli

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M a r i a n g e l a G i o v a n z a n t i

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“La differenza non la fanno iposti, ma le persone e la loro

capacità di comunicazionee disponibilità a

comprendere l’altro, amettersi sullo stesso piano.”

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alve a tutti, sono Lucia Giuli, una ragazza frequentante ilLiceo Scientifico Jucci di Rieti, che, come alcuni di voi, ha

partecipato a un’esperienza di studio all’estero con Intercultura.Sentii parlare della possibilità di vincere borse di studio offerte dallaFondazione Varrone per un anno negli Stati Uniti da una professo-ressa della mia scuola e subito ne fui incuriosita e volenterosa nel par-teciparvi. Quando espressi ai miei genitori il desiderio di potermiiscrivere a questo programma essi cascarono un po’ dalle nuvole e ini-zialmente si dimostrarono abbastanza titubanti ma alla fine riuscii aconvincerli. Si, perché io volevo andare in America, fare quest’espe-rienza di un anno all’estero con la certezza che mi avrebbe potutodare tanto, che mi avrebbe migliorata. La possibilità di venire a con-tatto con un'altra cultura, di impararne le usanze,di istaurare nuoveamicizie e vedere un'altra parte del mondo erano alcu-ni dei motivi che mi spingevano a partire. Inoltre avevovisto questa possibilità offertami come una sfida oprova con me stessa, per rendermi conto se fossi stataforte abbastanza da lasciare per un anno tutto quelloche fino ad allora aveva costituito il mio piccolomondo. Cosi mi iscrissi al programma e riuscii a vince-re una borsa di studio.I giorni prima della partenza sono quelli in cui ti inizia-no ad affiorare mille dubbi e incertezze: “ma sto facen-do la cosa giusta?; un anno, ma non è troppo?; e se poinon mi trovo bene che faccio? E se quando torno tuttosarà diverso?” E via dicendo ma alla fine ti convinci chesei stata fortunata, che tra tanti hanno scelto te e chevivrai una bellissima esperienza, realizzerai un tuosogno.12 agosto 2008, ancora ricordo questa data come sefosse ieri, il fatidico giorno della partenza. Eh si, quel-lo fu anche il giorno dei “piagnistei” generali da partedei nostri genitori che forse non erano molto pronti alasciarci ma noi anche se dispiaciuti, già avevamo latesta rivolta da un’altra parte, avevamo iniziato il

nostro viaggio, che ci avrebbe a chi più e chi meno cambiato la vita.Ricordo il momento in cui vidi la mia famiglia ospitante per la primavolta. Avevo il cuore in gola e provavo un misto tra eccitazione epaura. Subito mi fecero una buona impressione. Brave persone,disposte ad ascoltarti ed aperte ad affrontare quest’esperienza insie-me a me. Sicuramente i primi giorni sono quelli più difficili, ardui e

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L u c i a G i u l i

imbarazzanti in quanto ci si ritrova in una realtà completamentediversa da quella a cui si era abituati: diversi orari, diverse abitudini,un'altra casa, si deve prendere confidenza con le persone che vi abi-tano, e soprattutto c’è la quasi impossibilità nel capire quello che lepersone dicono quindi il più delle volte ti ritrovi li ad annuire e a sor-ridere senza sapere pienamente il motivo. Passato questo periodotutto sembra trovare un suo equilibrio. Ci si inizia ad abituare allenuove usanze, si prende sempre più confidenza con la famiglia ospi-tante, si creano nuove amicizie, ci si adatta alla scuola, arrivando alpunto di considerare quella la tua vera vita. Per raggiungere questoequilibrio e quindi adattarmi alla nuova cultura, è stato fondamen-tale aprirmi con le persone che mi circondavano e sentire dentro dime la volontà di apprendere da loro il più possibile, avendo sempreuno scambio di opinioni.Certo, non sono mancati i momenti difficili, in cui si avverte un po’la nostalgia di casa, degli amici di sempre, delle vecchie abitudini,perfino della scuola (anche se può sembrare strano) ma l’unico modoper superarli è pensare al fatto che quella che stai vivendo è un espe-rienza irripetibile nel suo genere, che ti accrescerà molto e inoltreavrà una durata limitata e che quindi bisogna sfruttarla nel migliore

dei modi, perché 10 mesi passeranno più veloci di quanto ci si aspet-ti e alla fine non ti troverai più pronto per ripartire.Durante questi mesi trascorsi negli USA, il contatto con la culturaamericana, per certi aspetti molto diversa dalla nostra, mi ha permes-so di ampliare la mia visione del mondo, di confermare alcuni ste-reotipi che noi italiani abbiamo di questo paese, come l’immensonumero di fast-food, smentirne altri e anche di fare un confrontocon la cultura italiana, valutandone i pro e i contro. Queste ultimeconsiderazioni mi hanno anche fatto guardare il nostro paese sottoun altro punto di vista, sicuramente rivalutandolo e apprezzando dipiù anche le piccole cose abituali che ogni giorni avevamo davanti ainostri occhi ma che non eravamo mai riusciti a guardare dandogli ilgiusto valore. Una delle cose che mi ha più colpito degli States è lagrande mescolanza di etnie che costituiscono la popolazione ameri-cana; è cosi diversificata che sarebbe difficile se non impossibileimmaginarne un prototipo. Il vedere questa cosa mi ha reso sicura-mente più aperta e tollerante verso gli altri e le loro culture, mi hapermesso di dare e nello stesso tempo ricevere tutto quello che c’è dibello in ognuno di noi e inoltre mi ha aiutato molto a maturare.La cosa più importante che questo programma mi ha offerto è statala possibilità di conoscere tantissime persone, istaurare un bel rappor-to con la mia famiglia, con la quale ancora sono in contatto e soprat-tutto di creare nuove amicizie sia con i ragazzi americani, sia con glialtri studenti stranieri come me. Questa esperienza è stata in grado difarmi apprezzare ancora di più un valore come l’amicizia infatti devoringraziare profondamente i miei nuovi amici che hanno reso la miapermanenza in America ancora più piacevole. Soprattutto neimomenti difficili ho capito che avere un amico vicino, qualcuno cheti possa ascoltare e capire fino in fondo è una cosa preziosissima e dellaquale non si può fare a meno. Non mi dimenticherò mai di alcuni diloro e spero fortemente di rincontrarli un giorno futuro.Oggi sono passati più di 8 mesi dal mio ritorno qui in Italia; trascor-re così velocemente il tempo che neanche ce ne rendiamo conto eripensando al passato mi sembra come se tutto fosse un prodottodella mia immaginazione ma alla fine so che non è così perché que-st’esperienza ha lasciato il segno dentro di me, mi ha un po’ cambia-ta, mi ha fatto crescere molto e guardare le cose sotto un altro puntodi vista. Devo ringraziare veramente Intercultura e la Fondazione Varrone perquesta possibilità offertami. La porterò sempre nel cuore.

“Devo ringraziare Interculturae la Fondazione Varrone perquesta possibilità offertami.

La porterò sempre nel cuore.”

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avendoli così lontani mi rendo conto del bene che ci siamo volutie che ora si può condividere solo tramite emails o telefonate. Nonè la stessa cosa ma è comunque bello perché stando in contatto ècome se fossero vicini, e inoltre mi fa pensare che tra di noi si èinstaurato un legame talmente forte che nessuno potrà mai scio-gliere.A scuola, già il primo giorno avevo trovato un gruppo di ragazzeche mi avevano invitata a pranzare con loro. Il mio tutor mi avevapresentata in una classe di Senior che appena avevano capito cheero straniera e per di più italiana, hanno fatto i salti di gioia!Amano l’Italia, il cibo, le grandi città, la simpatia e il calore degliitaliani. Il mio sorriso ha colpito subito e fino alla mia partenza hoavuto accanto a me ragazze e ragazzi che mi hanno fatto passarel’anno più bello della mia vita. Sono coloro che tutt’ ora mi scrivo-no e che posso definire Friends con la F maiuscola.Quante cose vorrei scrivere su questa pagina per farvi capire la gioiae le emozioni che ho provato ogni singolo giorno: la mattina quan-do mi svegliavo con l’odore del caffé, lo scuolabus che passava lamattina alle 7,00 (era presto lo so ma in fondo faceva parte di quel-la realtà), i ragazzi della mia età già con la macchina, il ballo di fineanno, le partite di football, la scuola con dei professori che mihanno aiutato a superare anche le più piccole difficoltà, io e i mieiamici a tirarci la neve che nonostante fosse quasi aprile ancora nonvoleva andarsene, le serate da George’s House a prendere il solitoVanilla milkshake e farsi due chiacchiere, il coro della scuola, ilconcerto dei Coldplay con il ragazzo del quale mi sono strainna-

morata! Potrei andare avanti per ore ma in un certo senso è anchebello tenerseli per se alcuni racconti, perché a volte ho paura che cisia gente che non possa capire, perché non ha fatto questo tipo diesperienze, perché non ha vissuto quello che ho vissuto io.I consigli che vorrei dare a tutti quelli che un giorno, come me,vivranno questa fantastica esperienza sono diversi: non siate timidiperché la timidezza non aiuta a semplificare i momenti di difficol-tà, adattatevi alla nuova cultura anche se il cibo non vi piace peresempio, è quello ciò che potete mangiare perciò imparate ad adat-tarvi e a volte è apprezzato anche cucinare qualcosa di tipico delnostro paese. Io per esempio una volta al mese cucinavo italiano,facevo le fettuccine a mano e preparavo il sugo…dovevate vedere lefacce dei miei “genitori”!!!Fate amicizia con persone che vi aiuteranno a scuola e che vi faran-no conoscere la realtà americana, che non è tale e quale a quella deifilm, mi raccomando non fatevi abbindolare da strane idee! Nonabbattetevi davanti a niente perché troverete sempre persone che viaiuteranno. Cosa più importante: cercate di vivere giorno per gior-no e di scrivere un diario con le cose che vi colpiscono e di faretante foto che poi un giorno potrete rivedere e rivivere queimomenti.Un anno sembra tanto ma vi assicuro che passerà velocemente per-ciò non rimandate mai. CARPE DIEM, questo è stato il miomotto!Ancora un grazie infinito alla Fondazione Varrone, perché se nonfosse stato per loro, il mio sarebbe rimasto solo un sogno!

iao a tutti, io sono Christina esono partita nel 2008 per tra-

scorrere un anno negli U.S.A grazie aduna borsa di studio offerta dallaFondazione Varrone a dodici ragazzi diRieti e provincia. Devo dire che la mia storia forse sor-prenderà la maggior parte delle perso-ne che leggeranno perché in fondonon ho mai avuto paura né della par-tenza né di quello che mi aspettava. Ionon vedevo l’ora di partire, di vivereuna vita diversa da quella di tutti igiorni e confrontarmi con persone chevivono in realtà diverse dalla mia.Sono una ragazza alla quale piaceconoscere tutto ciò che è nuovo senzafarsi frenare dalle mille domande,come per esempio: ma che dirò allafamiglia che mi accoglierà?, come faròa farmi capire?. Niente di tutto questo.Forse l’unica domanda che mi eroposta è stata: Che cosa ne sarà dellelasagne, le fettuccine, il pane fresco, lemozzarelle?? Questo si che mi preoc-cupava veramente!Sono stata baciata dalla fortuna, questaè una cosa che ho sempre voluto speci-ficare. Ho vissuto con una famiglia chesin dal primo giorno mi ha accoltocome se fossi stata loro figlia, non misono mai sentita estranea a quel nucleofamiliare, né mi hanno mai privatodell’affetto, o delle risate. Mi scendonole lacrime ripensando a loro, perché

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“Ho vissuto con una famiglia che sin dal primo giornomi ha accolto come se fossi stata loro figlia,

non mi sono mai sentita estranea a quel nucleo familiare,né mi hanno mai privato dell’affetto, o delle risate.”

“Un grazie infinito alla Fondazione Varrone, perché se nonfosse stato per loro, il mio sarebbe rimasto solo un sogno!”

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D a v i d e M a s s i m i

alve a tutti, il mio nome è Davide Massimi. Sono unodei fortunati che hanno avuto la possibilità di partire

alle volte di un paese estero (nel mio caso Wisconsin, USA)grazie al generoso ausilio della Fondazione Varrone. La miapermanenza ha avuto durata complessiva di 10 mesi, dal 12agosto 2008 al 1 luglio 2009. Dopo questa essenziale premes-sa, vorrei impostare questa piccola pubblicazione in formadialogica in modo da favorire un dialogo onesto tra un me"scrittore d'occasione" e un voi "ipotetici ed eventuali lettori"con l'augurio di far cadere subito ogni formalismo. Tornandoall'esperienza più spicciola, ricordo di aver ricevuto la miareale e definitiva destinazione solo sull'aereo che mi avrebbeportato via dal suolo nazionale. Salutai infatti i miei genitorisenza alcun briciolo di chiarezza né tantomeno certezzeriguardo quello che sarebbe stato il mio futuro prossimo.Facile dunque immaginare il panico, l'ansia, l'apprensione...invece... riuscendo a sorprendervi e sorprendermi, a suotempo reagii con un'energia e una vitalità risolutiva ed ecce-zionale; forse scaturita dalla sfumatura di avventura che avevaassunto la mia esperienza. Questa è stata poi, fondamental-mente, la strategia da me più usata durante tutto il mio sog-giorno: il non aver perso mai l'eccitazione quasi febbrile perl'imprevisto e l'ignoto; quell'entusiasmo conoscitivo che hafatto cadere ogni barriera culturale, sedato possibili malinco-

Snie, abbattuto ogni stereotipo. Un irre-frenabile voler "toccare con mano", svi-scerare e conoscere ma anche la consa-pevolezza che la tristezza è solo un pas-saggio e che alla fine PANTA REI. Aposteriori ho riflettuto più volte anchesul valore e la validità delle prima odia-te lezioni di preparazione, su quanto infondo si sia rivelato verosimile quel biz-zarro "sinusoide delle emozioni e senti-menti" predicato e ripetuto sino allanausea in ogni incontro. Quali invece ivantaggi di un'esperienza come questaagli atti pratici? Sicuramente l'aperturamentale e la predisposizione alla sfidadella vita, scaturita dall'acquisizionedella cosiddetta "competenza intercul-turale". L'acquisizione di abilità linguistiche

infatti, seppur concreta realtà, alla lucedi tali traguardi raggiunti si posizionapersino su una posizione di secondopiano in una sorta di virtuale e immagi-naria scala di valori. Per quanto riguar-da l'aspetto più intimo della personalitàinvece, personalmente non posso anno-verare profonde modificazioni, mentreriguardo la validità delle amicizie inter-culturali non posso che riaffermare eribadire quanto sia bello ed emozionan-te poter contare oggi su due famiglie (ouna sola allargata, a seconda dei varipunti di vista), sentirsi membro di dueetnie e culture, riconoscersi come unvero e proprio ponte tra due diverseciviltà e saper apprezzare le differenzecostruttive e da proteggere nella nostraciviltà standardizzata e globalizzata.

“Sentirsi membro didue etnie e culture,riconoscersi comeun vero e proprio

ponte tra duediverse civiltà”

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“Sono uno dei fortunatiche hanno avuto la

possibilità di partire grazieal generoso ausilio della

Fondazione Varrone”

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ono Massimiliano Mura, per la precisione Max, nome con cuivenivo chiamato negli Stati Uniti, il mio troppo lungo e com-

plesso per essere pronunciato bene.Le aspettative e la bontà della famiglia che mi ha ospitato durante ilmio soggiorno di quasi undici mesi, quando avevo tra i quindici e isedici anni, hanno fatto sì che vivessi a Kansas City, in Missouri.La mia scelta di affrontare questa esperienza, rivelatasi davvero unicae gratificante, è stata indotta all’inizio dal consiglio di mio padre. Ladecisione è spettata a me, anche se non proprio convinto totalmen-te delle mie intenzioni. Da una parte mi sentivo curioso e ansioso,dall’altra ero spinto dagli inviti dei miei genitori.Solo oggi, tuttavia, sono in grado di pensare e di dire che ne è valsala pena: sono di nuovo a casa dopo un meraviglioso anno in Americae fortunatamente ho colto l’attimo, consapevole del fatto che un’op-portunità del genere forse non si sarebbe ripetuta in futuro.Spostiamoci ora a poche ore dopo l’arrivo in terra americana: almomento dell’accoglienza. Le mie incertezze emergevano in manierasempre maggiore; non sapevo neanche come salutare, cosa dire a chiavrebbe accolto un ragazzo ancora un po’ immaturo, ma che iniziavaad aver voglia di conoscere il più possibile, di provare come ci si possamai sentire a guardare un altro mondo da una prospettiva solo sua,per scoprire se la sua percezione sarebbe poi cambiata nel tempo.Giorni, anche mesi ci sono voluti per capire il modo di pensare,soprattutto della mia “host Family”, con cui trascorrevo la maggiorparte del tempo e allo stesso modo dei miei compagni di scuola.Perfino adesso, quando rivivo nella mente alcuni istanti dell’espe-rienza, continuo a comprendere le analogie e le divergenze tra i duemondi che ho vissuto, mentre in base agli elementi raccolti, imma-gino come possa essere la vita dell’uomo in altri posti del pianeta.Mi accorgo che il percorso iniziato un anno fa sia ancora in pro-gresso, non avendo trovato ancora tutte le risposte che cerco.Credo di essere diventato più riflessivo. Ho incontrato tante diffi-coltà, e un motivo per affrontarle a testa alta sono state le parole deimiei genitori in una lettera alla partenza sull’aereo: “assapora le pic-cole cose di ogni giorno: è il trucco per essere felici! Quando qual-

S

d u e m i l a o t t o

M a s s i m i l i a n o M u r a

cosa va storto, gioisci: la vittoria è vicina!”Non nascondo di essermi fatto consigliare per i primi tempi anche via e-maildalla mia famiglia, la quale però mi spingeva ad aprirmi con quella ospitante;avevano ragione. Grande aiuto mi hanno dato le lettere appassionate dellamia amica del cuore Sara. Lentamente ho acquisito maggiore confidenza, aiu-tato dalla comprensione progressiva della nuova lingua. Le prime settimane discuola sarebbero state terribili, se non fosse stato per l’aiuto di gentili “ame-rican boys” e più spesso “girls”. Inutili invece sono stati i tentativi di memo-rizzare la combinazione per l’apertura degli armadietti.Poche settimane fa ho avuto il piacere di incontrare alcuni studenti stranieriospitati da famiglie reatine e, scambiando poche parole con loro, ho provatole stesse sensazioni avute al mio arrivo in America. Provare per credere!Ho sfatato alcune credenze che avevo nei confronti degli statunitensi. Tra lealtre: Sono tutti grassi? No, solo alcuni. Qualcuno, poi, pensava di darmi deiconsigli: non sei troppo piccolo per restare un anno lontano da casa?Risposta: se lo provo adesso, sono più coinvolto, così come sarebbe statodiverso un anno più tardi. Ogni esperienza di vita ha la sua valenza ed è unica.Non mi sento tanto cambiato come persona: sarà una mia impressione, maforse dovrebbe giudicare chi mi è vicino. Mi piace pensare che l’esperienzavissuta porterà cambiamenti che si rivelano nel tempo. Sono stato testimonedi un confronto tra culture differenti e spero che il percorso affrontato mi siadi aiuto ora e in futuro. La conoscenza della lingua inglese mi porterà vantag-gi nello studio, ma sono ancor più contento di aver tratto insegnamenti daesperienze personali e cercherò di utilizzarli nella mia vita di ogni giorno.Auguro a tutti di avere l’opportunità di vivere una simile esperienza e, anchese avrei dovuto farlo sempre con la “S” maiuscola (soddisfatto ugualmente),ricordatevi di tenere mente e cuore liberi di farvi crescere.

“Assapora le piccolecose di ogni giorno: è iltrucco per essere felici!

Quando qualcosa va storto,gioisci: la vittoria è vicina!”

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accontare l’esperienza vissuta non è cosa facile visto le implicazio-ni psicologiche che ci sono dietro la decisione di andare via per un

anno e per giunta all’età di 16 anni, senza sapere dove, in quale famiglia,in quale scuola, in quale gruppo sportivo e abbandonare le certezze, gliaffetti che fino a quel momento erano tutto il tuo microcosmo. Quandosono rientrato ho trovato una cartella nel computer di casa nella qualemia madre aveva conservato tutto le mail che avevo scritto in un anno inMinnesota. Rileggendole mi sono tornati in mente tanti ricordi che hopensato potessero essere il canale giusto per condividere le sensazioni pro-vate. E nello stesso tempo mi facilitano il compito di raccontarmi. La prima mail è datata 20 agosto, esattamente 5 giorni dopo la mia par-tenze e diceva così:“ciao mamma qua sto benissimo Rheanna è simpatica e Brock ancora dipiù. Lori and Mark sono molto gentili e adesso sto parlando solo inglese.Ti devo dire che quando parlano con me parlano very piano cosi li com-prendo. Anche gli amici di Brock parlano lentamente. Oggi io e Rheannasiamo andati al lago a nuotare l’acqua era freddissima ma is very cool.Abito con 2 cani e 1 gatto Rheanna mi ha detto che qualche volta possoandare a Minneapolis da lei che sta all’ università.Lori fa i gioielli e Mark non ho ancora capito cosa faccia.......non mi fun-ziona il cellulare, in questo piccolo paesino del Minnesota non prende, manon ti preoccupare perché tra pochi giorni me ne compro uno nuovo.Devi stare tranquilla perché qua sto benissimo e tra qualche giorno iniziala scuola!! non vedo l’ ora, te lo saresti mai creduto? Devo anche fare ilprovino per la squadra di football e mi sa che vado pure a giocare a calcioe a basket. Qua fanno tutti snow e infatti ho saputo che d’inverno nor-malmente ci sono 4 metri di neve. Per adesso la temperatura è buona,sembra di stare ad ottobre e tira un vento che ti porta via, la città è moltopiccola ma carina e una cosa che ti colpisce appena arrivi in America è cheè tutto grande!!! non esiste l’acqua confezionata in bottigliette e la confe-zione di coca cola più piccola è da 2 litri e la più grande da 6. Il cibo èbuonissimo e la pasta non è male. Si cena alle 6 e anche se per me è un pòpresto is cool. Ho conosciuto un ragazza thailandese che sta come me perun anno con AFS, che bello .......... adesso vi saluto, non vi preoccupateper me che me la caverò da solo benissimo. Vi voglio bene ciao”

R

d u e m i l a o t t o

S i m o n e S e b a s t i a n o

Questo non è stato l’inizio ma forse la fine di un anno di decisio-ni. Ricordo ancora quando il 31 gennaio del 2008 arrivò la letteradella Fondazione Varrone che mi annunciava essere il vincitore diuna delle borse di studio per un anno in USA. Non stavo nellapelle per la contentezza ma nello stesso tempo ho vissuto momen-ti d’indecisioni terribili. Era proprio quello che volevo? ero prontoa partire? Per andare dove? E poi ecco qui una volta arrivato ho tro-vato una nuova famiglia composta da due genitori e due fratelli.A distanza di qualche giorno ho anche capito cosa facesse il miopapà americano (l’elettricista) e la mia mamma (la segretaria e neltempo perso i gioielli, proprio come fa mia madre in Italia), è statol’anno più importante della mia vita e tutto grazie ad un concorso. Sono stato in Canada, in Messico, a trovare mio cugino a Boise (mail del mese di novembre) “ Vado in Canada il 13 14 15 e 16woooooooooooo ah, per l’autorizzazione per il Canada che tu haifirmato devi anche mandarmi un modulo nel quale mi dai il per-messo a viaggiare sia in Canada che in Messico wooooo ciao simo-ne”, mi sono diplomato nella mia fantastica scuola americana ed

ho anche riportato una menzione d’onore per gli “sforzi” fatti. Maildi maggio “ ciao ma e pa come ve la passate?? io tutto okay oggi èil mio ultimo giorno di scuola!!! i test sono andati bene!!! Il 6 giu-gno mi diplomo e ti mando gli inviti così se vuoi puoi venirehahah!! !adesso devo andare a scuola per il mio ultimo giornoo!!” Che meraviglia ripensare al giorno del diploma provo ancora oggila stessa sensazione di stretta allo stomaco. E poi tutto stava termi-nando, ma la cosa che ti rimane dentro è la volontà di ripartire e diaver dimostrato a te stesso che ce l’hai fatta e anche alla grande. Ilrientro è stato atteso ma nello stesso tempo con una vena di tristez-za, perché sapevo che sarebbe finito un periodo della mia vita irri-petibile. Ora sto per affrontare gli esami di stato in Italia ma la miavita è stata sicuramente segnata da questo anno. Al freddo sicura-mente, certe volte mi sentivo un pinguino! Ma al calore di unafamiglia che mi ha voluto bene e che mi ha accolto come uno deisuoi figli, ero anche l’unico che andava a pescare con Mark, cheandava a fare la spesa con Lori e che ha fatto scoprire agli abitantidi Grand Marais la nutella spalmata sul pandoro

“La cosa che ti rimane dentro è la volontà di ripartire e di averdimostrato a te stesso che ce l’hai fatta e anche alla grande”

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PROPRIETÀ’ LETTERARIA RISERVATA

Si ringraziano tutti i ragazzi che hanno contribuito alla realizzazione di questo volume con i loro testi ed il loro materiale fotografico

Finito di stampare presso la Tipografia Fabri Via Garibaldi, 107 - 02100 Rieti nel mese di maggio 2010

Progetto grafico: Alessandra Rinalduzzi

Coordinamento: Cristina Carnicelli - Fondazione Varrone; Enrica Rinalduzzi - Intercultura

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