Messico La Prma Casa Di Riposo Per Prostitute Anziane Il Reportage

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7/23/2019 Messico La Prma Casa Di Riposo Per Prostitute Anziane Il Reportage http://slidepdf.com/reader/full/messico-la-prma-casa-di-riposo-per-prostitute-anziane-il-reportage 1/3 72 NUMERO 20 Fabrizio Lorusso La prima casa di riposo  per prostitute anziane E  LIA  GUADALUPE ha un sorriso incon- fondibile da nonnina complice. Porta sempre un cappellino da baseball la cui visiera nasconde il suo sguardo vissuto e ma- linconico. Fino a pochi mesi fa la sua dimora era una panchina del parco della Soledad, un giardi- netto del centro di Città del Messico dove si de- dicava alla prostituzione. Ora siede sul suo letto in una stanzona di Casa Xochiquetzal, nella calle Torres Quintero. Per gli aztechi Xochiquetzal era la dea della fertilità, dei fiori, della bellezza, della gravidanza e del piacere amoroso, mentre oggi, nell’ombelico d’America, a quella divinità preco- lombiana è intitolata la prima casa di riposo al mondo per prostitute della Terza età. La casa-rifugio è costituita da un edificio dell’epoca coloniale, incastonato tra vicoli ru- morosi e mercatini affollatissimi, come solo se ne vedono nel cuore della metropoli più grande del mondo, la capitale del Messico coi suoi 25 mi- lioni di abitanti. Ma all’interno della struttura, nel patio centrale e nei lunghi ballatoi, regnano, surreali e indisturbate, la pace e la tranquillità.  Accanto a Elia c’è Berta, una delle sue compagne di stanza, sessantenne della regione di Hidalgo, che è appena uscita dall’ospedale e lentamente recupera le forze dopo un’operazione chirurgica che le ha salvato la vita. Avvicino discretamente la mia seggiolina e ascolto, osservo, registro. “Qui ho la casa e il calore che non ho mai avuto, trovo affetto, comprensione e un senso d’unione”, racconta Elia che, insieme a Berta è una delle nuove arrivate e aggiunge che la sua amica se l’è vista veramente brutta: “Era mori- bonda, stava per terra, è stata portata in ospe- dale da alcune assistenti sociali e poi l’hanno ac- cettata qui”. Quattro letti individuali occupano gli angoli della stanzona in cui dormono Elia e Berta. Il calore delle pareti color ambra, i soffitti altissimi e le ampie finestre esaltano la luce del sole tropicale che entra insieme al fievole vocìo 73 Città del Messico, CalleTorres Quintero. Questo l’indirizzo dell’insolito ospizio, che conta una trentina di posti letto e si sostiene grazie a finanziamenti pubblici e donazioni. Le storie di Elia, Berta, Patricia, Carmelita, donne con una vita familiare durissima alle spalle foto di Giorgio de Camillis NUMERO 20

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Fabrizio Lorusso

La prima casa di riposo per prostitute anziane

LIA   GUADALUPE  ha un sorriso incon-fondibile da nonnina complice. Portasempre un cappellino da baseball la

cui visiera nasconde il suo sguardo vissuto e ma-linconico. Fino a pochi mesi fa la sua dimora erauna panchina del parco della Soledad, un giardi-netto del centro di Città del Messico dove si de-dicava alla prostituzione. Ora siede sul suo lettoin una stanzona di Casa Xochiquetzal, nella calle Torres Quintero. Per gli aztechi Xochiquetzal erala dea della fertilità, dei fiori, della bellezza, dellagravidanza e del piacere amoroso, mentre oggi,

nell’ombelico d’America, a quella divinità preco-lombiana è intitolata la prima casa di riposo almondo per prostitute della Terza età.

La casa-rifugio è costituita da un edificiodell’epoca coloniale, incastonato tra vicoli ru-morosi e mercatini affollatissimi, come solo sene vedono nel cuore della metropoli più grandedel mondo, la capitale del Messico coi suoi 25 mi-lioni di abitanti. Ma all’interno della struttura,nel patio centrale e nei lunghi ballatoi, regnano,surreali e indisturbate, la pace e la tranquillità. Accanto a Elia c’è Berta, una delle sue compagnedi stanza, sessantenne della regione di Hidalgo,che è appena uscita dall’ospedale e lentamenterecupera le forze dopo un’operazione chirurgicache le ha salvato la vita. Avvicino discretamentela mia seggiolina e ascolto, osservo, registro.

“Qui ho la casa e il calore che non ho maiavuto, trovo affetto, comprensione e un sensod’unione”, racconta Elia che, insieme a Berta èuna delle nuove arrivate e aggiunge che la suaamica se l’è vista veramente brutta: “Era mori-bonda, stava per terra, è stata portata in ospe-dale da alcune assistenti sociali e poi l’hanno ac-cettata qui”. Quattro letti individuali occupanogli angoli della stanzona in cui dormono Elia eBerta. Il calore delle pareti color ambra, i soffittialtissimi e le ampie finestre esaltano la luce delsole tropicale che entra insieme al fievole vocìo

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Città del Messico, Calle Torres Quintero. Questo l’indirizzo dell’insolito ospizio, che conta

una trentina di posti letto e si sostiene grazie a finanziamenti pubblici e donazioni. Le

storie di Elia, Berta, Patricia, Carmelita, donne con una vita familiare durissima alle spalle

foto di Giorgio de Camillis

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dei commercianti delle bancarelle.Elia ha iniziato a fare la prostituta a tredicianni e ha smesso poco tempo fa, compiuti i ses-santacinque. “Dopo i vent’anni ho partorito seivolte, tutti maschi, e il fatto è che nella prostitu-zione una perde le cautele, resta incinta e poi aimiei tempi bevevo molto, non sapevo mai di chiera il bebè…”, racconta. Non ha avuto infanziané adolescenza e ha iniziato a prostituirsi perchéera l’unica possibilità che le era rimasta. “La miafamiglia non esisteva, non c’era affetto, manca-va la comprensione del padre e della madre e

c’erano solo problemi e violenza, per questo mene sono andata così”, narra con tono rassegnato.Berta, invece, ha tre figli che ormai non vede piùperché si vergognano di lei. “Sono stata trabaja-

dora sexual [“lavoratrice del sesso” in spagnolo]quasi tutta la vita tra le vie Guatemala e San-

tísima e mi pare proprio di avervi passare di làa voi due!”, esclama mentre scoppia a ridere econ l’indice punta dritto verso di me e Giorgio, ilfotografo.

Nel deserto urbano, in cui lo Stato è assenteingiustificato, gli abitanti delle zone più pove-

Vite difficiliIn queste pagine

i fotoritratti,

nell’ordine, di

Raquel, Marbella,

Arcadia, Berta,

quattro ospiti

della prma

casa di riposo

per prostitute

anziane a Città

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re del centro cittadino vivono alla giornata, tralavoro nero ed espedienti. Quest’oasi chiamata Xochiquetzal è un rifugio sicuro e necessario perle venticinque donne, indigenti e senza tetto, chevi sono accudite. Durante buona parte della vitatutte loro sono state sexo-servidoras, altro termi-ne usato in Messico per indicare la prostituzione. Alcune lavorano ancora, sporadicamente, e man-tengono i contatti con qualche vecchio cliente.

La strada è stata la loro casa per decenni. Vengono dai ghetti della Merced, di Tepito, Lo-

reto, la Lagunilla e Granaditas. Sono nomi che

non dicono nulla ai frequentatori occasionali diMexico City, ma che evocano storie d’emargina-zione e insicurezza in chi conosce la topografiaeconomico-sociale di questa megalopoli che saessere contraddittoria ed escludente, ma ancheamichevole e solidale.

Una vera comunitàLa Casa, infatti, si mantiene grazie al sostegnodel comune e dell’Istituto nazionale delle Don-ne, ma il grosso dei finanziamenti arriva da do-nazioni, dalla partecipazione a concorsi e dalla

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Fabrizio Lorusso

vendita d’oggetti d’artigianato di cui si occupanola direttrice, Jessica Vargas, le associazioni Mu-

 jeres de Xochiquetzale Semillas, e i volontari checollaborano al mantenimento e alle attività dellaCasa.

Patricia, un’altra compagna di camerata che

si fa chiamare Pato, ha allestito accanto al lettoun altare della Santa Muerte, ricco di offerte perquest’icona popolare messicana. “Sono sua devo-ta da vari anni, fai pure una foto alla Patrona”,mi dice con la sua voce roca e grave riferendosialla statua della Santa. Gli scaffali sulle paretiospitano peluche, radio, effetti personali, alcuneriviste e qualche vasetto di crema. Pochi oggettie scarsi capi d’abbigliamento sono tutto ciò chele inquiline posseggono. Ma i beni materiali nonsono tutto nella vita. “Qui condividiamo tantealtre cose, allegrie, tristezze, pianto, e comun-que ci aiutiamo l’una con l’altra, com’è successoper esempio con la compagna malata che tuttesiamo venute a trovare e grazie a Dio la stiamocurando”, spiega Élia alzando inavvertitamentela voce.

“Negli ultimi anni i soldi non bastavano più– spiega – perché la prostituzione adesso non èpiù come una volta: i clienti pagano poco o nientee non ci basta nemmeno ad affittare una stanzaper dormire”. Dopo aver passato 53 anni in stra-da, tra marciapiedi e camere d’hotel, un anno emezzo fa Élia ha trovato famiglia, comunità eprotezione. Qui la discrezione e il rispetto del-le inquiline sono d’obbligo. Non ci sono targheall’esterno del palazzo, né citofoni o cassette dellelettere. L’enorme portone di legno dell’entrata èl’unico elemento distintivo, un varco che fa spari-re magicamente i rumori e ferma il tempo. L’oasiè fatta per introdurvici lentamente, per calpe-starla in silenzio senza troppi scatti fotografici oparole al vento.

“Già verso il 2001 nasce l’idea di creare una

casa di riposo di questo tipo ed è Carmen Múñoz,leader delle sexo-servidoras della zona, a lancia-re la proposta con alcune militanti femministe econ la scrittrice Elena Poniatowska”, spiega Jes-sica. “L’amministrazione comunale inaugurò ilprogetto nel 2006, il piano prevedeva di ospitarefino a 65 donne, purché avessero più di 55 annie fossero prive di reti familiari e fissa dimora,ma è stato problematico trovare tutte le risorsee mettere d’accordo tante inquiline così diversetra loro, così abituate a diffidare delle altre o acompetere”, continua la direttrice. Per ora, dun-

que, l’obiettivo è recuperare le risorse sufficientiper prestare servizio a 35 donne, “ma non è facileperché a volte la lotta è per non chiudere piutto-sto che per crescere ancora”. È ben consapevoledei potenziali conflitti e dei problemi di adatta-mento alla vita comunitaria nella Casa, per cui“si fanno riunioni, iniziative collettive, laboratoripsicologici e pure corsi sull’igiene, l’alimentazio-ne, la cura personale, la non violenza, le questio-

ni di genere e di equità e l’autostima”, specifica.Di fronte alla solitudine e alla paura dellavita di strada è possibile comunque creare comu-nità. “Avevo tante compagne con cui si condivi-devano le notti, il parco e i luoghi dove restavamoe al freddo s’aggiungeva il terrore che ci prendes-sero in giro, che ci picchiassero o che gli sbirri ciportassero in prigione dato che anche loro se laprendevano con quelle della zona”, ricorda Elia.“Il timore principale di tante anziane che si fer-mano da noi è di finire in una fossa comune, diessere cremate nei forni della polizia senza che

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nessuno mai le venga a cercare o gli dia una de-gna sepoltura – precisa Jessica – mentre qui iloro familiari possono venire a trovarle o almenosapere dove sono seppellite”.

Rifiutate dai figliTutte le donne della Casa hanno alle spalle storiefamiliari difficili e, in generale, vengono rifiutateda figli, partner e genitori per via della loro pro-fessione, per vergogna e ignoranza. Confida Elia:“Un figlio se lo portò via il padre, altri restaronocon me ma non per strada, da mia madre, chefaceva le pulizie nelle case e ogni venti giorni civedevamo”. Solo il più giovane di loro vive a Cittàdel Messico e mantiene i contatti con lei, mentregli altri sono spariti dalla circolazione: “José Mi-guel è molto contento perché ha provato a lungoa cercarmi finché un giorno ha saputo che ero quinella mia nuova casa e ci siamo visti”.

Prima di dire adiós, Jessica mi mostra lafoto di una donna anziana dallo sguardo intenso

e profondo. La parete del suo ufficio è tappezza-ta di ritratti delle mujeres de Casa Xochiquetzal,

quelle che ci abitano ancora e quelle che non cisono più. Carmelita, la donna della foto, è man-cata due anni fa, all’età di 76 anni. Aveva cre-sciuto i suoi due figli grazie al lavoro da prosti-tuta, ma da qualche tempo vendeva dolci per lastrada. Poi, un giorno, mentre lavorava, è statainvestita da una macchina che le ha fratturatoil bacino. Il primogenito l’ha curata per sei mesi,ma quando è stato il turno del figlio minore, que-sti si è tirato indietro, addossando la colpa allamoglie che, a suo dire, aveva minacciato di la-sciarlo. Ha abbandonato la madre a una fermatadella metro, come se fosse un cane, e non si è piùfatto vedere. Dopo essere sopravvissuta tra sten-ti e carità per qualche settimana in una stazionedegli autobus, Carmelita fu accolta nella Casa Xochiquetzal, solo per un po’, prima di morirelontana dalla famiglia, ma attorniata dall’affettodelle compagne.