Agricrisi - il reportage di Agronotizie

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Agronotizie ha pubblicato il reportage Agricrisi. Nel pdf sono riportati gli articoli pubblicati nelle ultime settimane sul portale http://www.agronotizie.it in merito ai vari temi: dall'ortofrutta, alle carni, dal latte, alle macchine agricole

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Colophon

AGRONOTIZIE - SETTIMANALE DI TECNICA, ECONOMIA ED INNOVAZIONE IN AGRICOLTURA

Iscrizione nel Registro della Stampa del Tribunale di Ravenna al n° 1242 del 25/11/2004Direttore responsabile: Ivano Valmori • Proprietà, Direzione e Amministrazione: Image Line s.r.l. - Via Gallo Marcucci, 24 - 48018 Faenza (RA) • Recapiti: Tel. 0546/680688, Fax 0546/26044, [email protected], www.agronotizie.it • Responsabile di redazione: Paola Francia • In redazione: Francesca Bilancieri, Lorenzo Cricca, Antonella Falco, Paola Francia, Angelo Gamberini, Anna Mossini, Donatello Sandroni, Cristiano Spadoni, Roberto Stefani, Ivano Valmori • Pubblicità:Image Line s.r.l. - [email protected] • Realizzazione grafica e servizi tecnici: Image Line s.r.l. • Editore: Image Line sas di Valmori Ivano & C. - Via Gallo Marcucci, 20 - 48018 Faenza (RA)

“AgriCrisi”

Inserto pubblicato da Agronotizie - Settimanale di tecnica, economia ed innovazione in agricoltura

A cura di: Paola Francia, Angelo Gamberini, Donatello Sandroni

Page 3: Agricrisi - il reportage di Agronotizie

Indice:

• AgriCrisi, perché parlarne .................................................................. pag. 4

• I soldi non bastano, serve un progetto .............................................. pag. 5

• Italia agricola maglia nera della Ue ................................................... pag. 6

• Non basta il prezzo per salvare il latte italiano .................................. pag. 7

• Dai formaggi la risposta ai problemi del latte .................................... pag. 8

• Cereali e foraggere in agoni ............................................................... pag. 9

• “Cereali, contratti di filiera per uscire dalla crisi” ............................ pag. 10

• Mercato agrofarmaci: cala il volume, tiene il valore ......................... pag. 11

• Anoressia vegetale .......................................................................... pag. 12

• Fertilizzanti, aspettando la ripresa (d’autunno) che verrà ............... pag. 13

• “Mezzi tecnici, un anno altalenante tra crisi del credito e incertezza normativa” ..................................................... pag. 14

• Se Bruxelles chiude i rubinetti la carne bovina è condannata ........... pag. 15

• Perché la carne bovina in Italia costa di più ..................................... pag. 16

• I prosciutti anonimi affondano la suinicoltura ................................. pag. 17

• Polli e conigli, le due facce della crisi ............................................... pag. 18

• Il crollo dei prezzi travolge tutta la frutta ........................................ pag. 19

• Uve in balia del mercato .................................................................. pag. 20

• “La crisi morde sui prezzi, no a facili ottimismi” .............................. pag. 21

• Macchine, avanti pari ....................................................................... pag. 22

• “Meccanizzazione, servono incentivi molto più consistenti” ............. pag. 23

• “Contoterzisti, poca voglia di investire e tanta incertezza” .............. pag. 24

• “Crisi dell’agricoltura, pesanti ripercussioni sulle imprese agromeccaniche” ........................................................................... pag. 25

• ArgoTractors: testimonial di positività ............................................. pag. 26

• Le prospettive secondo Goldoni ....................................................... pag. 27

Page 4: Agricrisi - il reportage di Agronotizie

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16 Febbraio 2010La Redazione di Agronotizie

AgriCrisi, perché parlarne

Iniziamo con questo numero di Agronotizie ad analizzare la crisi che ha investitol’agricoltura e a cercare, con l’aiuto di tutti, le possibili soluzioni

Proviamo ad aggredirla questa crisi che vorrebbe portarsi via anche le migliori aziende agricole. Aggredirla conoscendola meglio e formulando proposte, mettendo in campo le idee, tirando per la giacca quanti hanno responsabilità.

Con la speranza che ognuno faccia la sua parte, secondo le proprie com-petenze. Nessuno escluso, anche Agronotizie, che da questo numero apre la rubrica ‘AgriCrisi’ descrivendo la situazione nella Ue e in Italia. Nelle prossime settimane AgriCrisi entrerà nel dettaglio degli altri com-parti produttivi.

E ogni volta finiranno sotto la lente di ingrandimento i punti critici che fanno questa crisi più pesante del dovuto. Non tutti saranno d’accordo con le tesi che di volta in volta andremo a sostenere. E’ per questo che invitiamo chi ci legge ad esprimere la propria opinione, anche critica, in Agri-Forum.

Intanto ecco il programma dei prossimi appuntamenti:

• Il settore lattiero caseario• Cereali e dintorni• I mezzi di produzione• Le carni• Il comparto ortofrutticolo• Le macchine agricole

Buona lettura.

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16 Febbraio 2010Angelo Gamberini

Troppe divisioni agitano il mondo agricolo, incapace di definire una strategia per il futuro

I soldi non bastano, serve un progetto

Angelo Gamberini

I soldi della Finanziaria

(in milioni di euro)

Fondo solidarietà 877

Programmi Mipaaf 100

Agevolazioni contributive 120

Promozione Dop 10

Come si distribuiscono (%) gli utili

lungo la filiera

(fonte: elaborazioni Nomisma su dati Istat,

Eurostat, Aida)

Agricoltura 23,33

Industria alimentare 36,67

Commercio ingrosso 13,33

Distribuzione a libero servizio 10

Dettaglio tradizionale 3,34

Ristorazione 13,33

Tutti le produzioni agricole dello Stivale sono alle prese

con una crisi difficile da arginare

16 Febbraio 2010

AgriCrisi - I soldi non bastano, serve un progettoTroppe divisioni agitano il mondo agricolo, incapace di definire una strategia per il futuro

E' opinione comune che le crisi portino con sé anche benefici, sgombrando il campo

dalle aziende meno efficienti e meno strutturate, lasciando a quelle rimaste spazi di

crescita e nuove opportunità. Questa volta non è così. Perché la crisi dell'agricoltura è

figlia della più ampia e generalizzata crisi dell'economia mondiale, che distoglie

risorse, impone strette creditizie, riduce i consumi. Una tempesta che travolge

anche le aziende migliori, non solo quelle inefficienti. In Lombardia, regno delle

migliori stalle da latte d'Italia, il 2009 si è portato via 180 aziende zootecniche sulle

5000 presenti. Ma è solo un esempio. Perché in Italia, rispetto all’ultimo censimento

del 2000, hanno chiuso i battenti 500mila aziende agricole. E la crisi se ne potrebbe

portare via altrettante.

Gli interventi

Che fare? L'attenzione di tutti è andata a Bruxelles e alle politiche di sostegno messe

in campo dalla Ue attraverso i Psr (programmi di sviluppo rurale), ma il loro compito

non è quello di risolvere le crisi. Gli allevatori sono anche andati a protestare sotto le

finestre del palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea (ricordate il latte

versato per strada a fine 2009?) e hanno ottenuto 300 milioni (ma all'Italia ne sono andati solo 23). Poi gli aiuti “de minimis”, i

15mila euro per azienda che Bruxelles ha autorizzato a spendere da parte dei singoli Stati. In Italia si è rifinanziato fra molte polemiche

il Fondo di solidarietà (serve a pagare le assicurazioni) che dispone di 870 milioni di euro per tre anni. Si è parlato della

fiscalizzazione degli oneri sociali, del finanziamento per i contratti di filiera e via elencando.

Complessivamente in Finanziaria sono stati stanziati un miliardo e 115 milioni da destinare

all'agricoltura. Ora si attende di vedere attuati tutti gli interventi previsti, orientati nella maggior

parte dei casi a dare sollievo, quando possono, al portafoglio degli agricoltori, ma che non

cambiano lo scenario nel quale gli agricoltori devono operare. Pochi o del tutto assenti i nuovi

progetti di aggregazione dell'offerta, di orientamento dei mercati, di governo delle produzioni, di

interventi nella politica distributiva, di sviluppo dell'export che non sia episodico, oggi un

formaggio, domani un vino.

Divisi si perde

Stupisce invece vedere il mondo agricolo, quello chiamato a fare scelte in nome e per conto degli agricoltori, accapigliarsi sull'eterno e

falso problema degli Ogm (li mangiamo, ma non li produciamo). Come stupisce che qualche opinionista voglia vedere nel panino

globale per eccellenza (quello di McDonald's) farcito con prodotti made in Italy un attentato alla nostra agricoltura. I problemi sono

altri. E sono “dentro” il mondo agricolo, non fuori. Prendiamo l'organizzazione della filiera con il mito del chilometro zero o i farmers

market e i distributori di latte, argomenti che vanno tanto di moda. Molte energie per vendere si e no il 3 o il 5% della produzione.

Quando oltre il 90% è in mano ad altri.

Invertire queste percentuali è un sogno impossibile, ma qualcosa si può fare per orientare e

governare la produzione (per favorire equilibrio del mercato) e poi per concentrare l'offerta. Solo

cinque centrali di acquisto riescono a rifornire tutta la grande distribuzione organizzata.

Ma nemmeno una di queste è in “mano” all'agricoltura. Ne mai potrà avvenire sino a quando gli

agricoltori affideranno la cura dei loro interessi a quattro diverse sigle sindacali. Neanche a

dirlo in perenne disaccordo fra loro. Forse bisognerebbe iniziare da qui. Si prenda, per fare

un esempio, il mondo industriale con il suo unico sindacato, Confindustria. Certo, si litiga anche

lì, ma a porte chiuse. Poi tutti fuori, a dire la stessa cosa, a chiedere gli stessi interventi, a

pretendere le stesse politiche, senza voci fuori dal coro. E i risultati, in molti casi, ci sono.

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16 Febbraio 2010Angelo Gamberini

Solo l’Ungheria peggio di noi in quanto a caduta del reddito degli agricoltori

Italia agricola maglia nera della Ue

Angelo Gamberini

Palazzo Berlaymont a Bruxelles, sede della Commissione

europea

Fonte: Stuart Chaimers

16 Febbraio 2010

AgriCrisi - Italia agricola maglia nera della UeSolo l'Ungheria peggio di noi in quanto a caduta del reddito degli agricoltori

Il 2009 si è portato via una bella fetta del reddito degli agricoltori. Colpa della

flessione dei prezzi all'origine che si è trascinata dietro una caduta della produzione,

più o meno significativa a seconda dei diversi settori. Una crisi, questa dell'agricoltura,

che ha coinvolto salvo rare eccezioni tutti i paesi della Ue e l'Italia è fra i più

penalizzati. Lo dicono i numeri diffusi da Eurostat, l'istituto europeo di analisi

statistiche, che a proposito dell'agricoltura indica con un -12,2% la caduta del reddito

nei 27 paesi europei. Da questo dato medio si discosta l'Italia, dove il reddito degli

agricoltori è precipitato del 25,3%. Peggio di noi solo l'Ungheria (- 35,6%) mentre

all'opposto troviamo il Regno Unito che in controtendenza fa segnare per i suoi

agricoltori un aumento del reddito del 14,3%. Insomma, la crisi non è uguale per

tutti...

Colpa dei prezzi

Responsabile di questa caduta del reddito è l'andamento dei mercati con prezzi in

flessione su tutte le produzioni agricole il cui valore, riferisce sempre Eurostat, è

calato complessivamente del 10,9% coinvolgendo in misura maggiore le produzioni vegetali (- 13,2%) rispetto a quelle animali (- 9,7%).

Qualche dettaglio sulla caduta dei prezzi nei diversi settori aiuta a comprendere la profondità di questa crisi. Nel settore delle produzioni

vegetali emerge il dato negativo dei cereali con prezzi scesi del 27,5%. A seguire troviamo le colture industriali con un meno 15,6%

e poi l'olio d'oliva con meno 14,7%. Chiude questa graduatoria in negativo il settore frutticolo con un meno 12,3%. Prezzi in calo e

conseguente riduzione delle produzioni che per l'olio d'oliva sono calate dell'8,9% e del 4,9% per i cereali. Minori produzioni che

hanno contribuito a far precipitare verso il basso il valore complessivo di questi settori.

Non è andata meglio per il comparto zootecnico. Il prezzo del latte è calato del 20,3%, le carni suine sono scese del 4,2% e quelle

bovine dell' 1,8%. Stabili invece le produzioni, con l'eccezione delle carni bovine che si sono ridotte del 2,9%.

L'esame dei costi di produzione parla di una sensibile diminuzione, in parte legata alla riduzione delle produzioni e non solo ad un reale

calo dei costi. Le stime di Eurostat evidenziano una flessione del prezzo dei mangimi (-14,1%) e dell'energia (-12,5%), mentre la

diminuzione dei costi per i fertilizzanti (-14%) è legata alla flessione degli impieghi.

I numeri dell'Italia

Già si è fatto cenno alla difficile situazione dell'agricoltura italiana, confermata dalle analisi di Ismea sull'andamento dei primi nove mesi

del 2009. Impietose le cifre che indicano un crollo del valore aggiunto delle produzioni agricole pari al 5%. Un risultato sul quale

hanno pesato la caduta dei prezzi all'origine (-12,4%) e la flessione delle produzioni agricole (-3,2%). Più in dettaglio, la crisi ha colpito

con più insistenza il comparto vegetale la cui produzione è calata del 4,3%, mentre il settore zootecnico si è fermato a quota –

1,2%. Le maggiori cadute produttive si registrano per il frumento (-25,7%) e per il mais (-21,8%). E mentre la parte iniziale della

filiera agricola (cioè la produzione) è in forte sofferenza, le altre componenti della stessa filiera (trasformazione e distribuzione)

godono di miglior salute grazie a prezzi costanti o persino in aumento. Emblematico il caso della pasta, con l'intervento dell'Antitrust e

le multe nei confronti dei produttori. Se già in passato la catena del valore nelle produzioni agroalimentari penalizzava la componente

agricola, questo squilibrio si è fatto ora ancor più evidente. Un ulteriore prova, semmai ve ne fosse bisogno, della fragilità strutturale

della nostra agricoltura.

Variazione percentuale del reddito agricolo e dei prezzi di alcuni prodotti in Italia e nella Ue (Fonti: Eurostat, Ismea, Coldiretti)

Ue Italia

Reddito agricolo -12,2 -25,3

Cereali -27,5 -28,2

Frutta -12,3 -13,4

Latte -20,3 -11,4

Olio -14,7 -13,2

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23 Febbraio 2010Angelo Gamberini

Non basta il prezzo per salvare il latte italiano

Il ‘made in Italy’ può essere la risposta alle tensioni sui mercati internazionali, ma bisognaorganizzarsi

Angelo Gamberini

Dieci anni di prezzo del

latte (sintesi da Clal)

Anno Euro q.le

2001 36,65

2002 35,13

2003 33,96

2004 33.83

2005 33,76

2006 32,07

2007 34,45

2008 39,48

2009 32,30

2010 33,16

Il prezzo del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano

(euro/kg – sintesi da Clal)

2008 2009 2010 (febbraio)

Parmigiano Reggiano 7,59 7,34 8,54

Grana Padano 6,64 6,33 6,71

Se la competizione è basata

sul prezzo, per il latte

italiano la partita è persa.

Meglio puntare sulla

tracciabilità, magari unendo

le forze

Fonte: foto ag

23 Febbraio 2010

AgriCrisi - Non basta il prezzo per salvare il latte italianoIl 'made in Italy' può essere la risposta alle tensioni sui mercati internazionali, ma bisogna organizzarsi

Partiamo da lì, dall’accordo sul prezzo del latte in Lombardia, siglato fra allevatori e industrie del settore

l’11 gennaio dopo tormentate trattative. Un accordo importante, che fa da guida per tutta Italia (in

Lombardia si produce il 40% di tutto il latte italiano) e che stabilisce sino al prossimo giugno un prezzo di

33,156 centesimi al litro (più iva e premi di qualità). Molto secondo le industrie, poco, troppo poco,

secondo gli allevatori. Prima di discutere dove sta la ragione (sempre che ce ne sia una…), facciamo un

passo indietro per meglio comprendere come si sia arrivati a stabilire questo prezzo e perché sia stato così

difficile raggiungere un compromesso che parrebbe non accontentare nessuno.

Il prezzo del latte

Bisogna risalire sino alla fine del 2007, periodo durante il quale il settore lattiero caseario ha visto le prime

avvisaglie dei radicali cambiamenti che lo attendevano. Nei magazzini della Ue si erano azzerate le scorte

di latte in polvere e quelle di burro erano ai minimi storici. Cresceva la “fame” di latte mentre le

importazioni dalla Nuova Zelanda, tradizionale fornitore della Ue, subivano una contrazione. Un “mix” ideale

per favorire la salita del prezzo del latte che dai 32,80 centesimi al litro del gennaio 2007 “schizzava” ai 38

di ottobre.

Una corsa che non si fermava nemmeno l’anno successivo, il 2008, dove

raggiungeva quota 42 centesimi per poi attestarsi sui 38,09 centesimi. Tutti

contenti, ma ancora non si era ben compreso quali fossero le tensioni che si

andavano agitando sul mercato internazionale del latte, prossimo ad essere fagocitato nel tormentato

mare delle speculazioni finanziarie, al pari di altre commodities agricole, complice anche l’approssimarsi

della crisi economica mondiale.

Lo scenario mondiale

Cambiava anche lo scenario produttivo, con la Nuova Zelanda che tornava ad essere protagonista

nell’export verso la Ue, i magazzini comunitari che tornavano ad avere scorte di burro e latte in polvere. E

i magazzini dei nostri “grandi” formaggi, Parmigiano Reggiano e Grana Padano, stracolmi di prodotto.

Ancora una volta un “mix” ideale per rivoluzionare il mercato, ma verso il segno meno. E così è stato

per tutto il 2009, con i prezzi del latte che già nel gennaio iniziavano a scendere a 36 centesimi al litro per

continuare la discesa sino a 30 centesimi. Solo a fine 2009 qualche timido segnale di ripresa, sull’onda del

quale gli allevatori sono riusciti a “strappare” l’accordo siglato a gennaio di quest’ anno. Che non

accontenta, come detto, nessuno. Non piace alle industrie, che guardano al latte ungherese o della

Repubblica Slovacca, che quota appena 21 centesimi al litro e vorrebbero tanto utilizzare solo quello. Con il quale, però, non si fa

Grana Padano e nessuno degli altri formaggi Dop. E nemmeno latte di alta qualità. Al massimo un latte a lunga conservazione. Oppure

uno dei tanti formaggini senza storia e senza sapore che affollano gli scaffali della distribuzione organizzata. E per quelli non c’è

nemmeno bisogno del latte. Va bene anche una poco costosa cagliata, magari congelata e importata dall’altra parte del mondo,

dove costa ancor meno. Tanto non c’è obbligo di indicare la provenienza in etichetta. Almeno per il momento.

Un mercato volatile

Intanto gli allevatori sono consapevoli che il prezzo del latte sui mercati internazionali è sempre più volatile, può salire e scendere per le

motivazioni più disparate. Un clima troppo piovoso o siccitoso in Nuova Zelanda, un aumento dei consumi di formaggi nei paesi dell'Est,

un sobbalzo del rapporto fra dollaro ed euro e sono solo alcuni esempi, possono creare una “tempesta” sul mercato mondiale del

latte. Difficile prevederlo, impossibile governarlo. Se non mettendo al “sicuro” la produzione italiana di latte, quella destinata ai prodotti

di qualità. Per farlo serve un'etichetta più trasparente, con l'indicazione dell'origine delle materie prime. L'Italia lo ha già proposto

e si attende il responso di Bruxelles. Ancor prima gli allevatori si sono dati da fare e hanno inventato Italialleva, un marchio a garanzia

della provenienza e qualità dei prodotti creato da Aia (Associazione italiana allevatori) per dare sicurezza ai consumatori.

Molto il lavoro fatto, basta ricordare gli accordi con il Consorzio latterie Virgilio,

con il gruppo di vendita all'ingrosso Metro, per citare i più importanti. C'è poi

“Itala” il marchio messo a punto da Unalat (unione delle associazioni dei

produttori di latte) che ha finalità analoghe, contrassegnare il latte 100%

italiano e di qualità. Entrambe iniziative lodevoli, ma che scontano il “peccato

originale” della nostra agricoltura, sempre troppo divisa. Unalat e Aia

potrebbero, anzi dovrebbero, lavorare in perfetta sintonia. Ciò non accade e il

marchio Itala o quello Italialleva non “sfondano” sugli scaffali della grande

distribuzione, se non in aree ristrette. E agli allevatori non resta che sperare in una risposta positiva da Bruxelles sul tema delle etichette

trasparenti. Speranze che secondo molti andranno deluse.

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23 Febbraio 2010Angelo Gamberini

Una politica di alleanze fra i Consorzi di tutela dei prodotti Dop potrebbe mettere il settore al riparo dalle turbolenze dei mercati mondiali

Dai formaggi la risposta ai problemi del latte

Angelo Gamberini

Dove va il latte italiano

Latte destinato alla caseificazione 73.30%

Latte alimentare 19.80%

Formaggi Dop (1) 48.60%

Parmigiano Reggiano - Grana Padano (2) 68.80%

(1) Quota del latte destinato alla caseificazione (2)

Quota dei formaggi Dop

I formaggi Dop rappresentano una delle più importanti

destinazioni del latte prodotto in Italia

Fonte: foto ag

23 Febbraio 2010

AgriCrisi - Dai formaggi la risposta ai problemi del latteUna politica di alleanze fra i Consorzi di tutela dei prodotti Dop potrebbe mettere il settore al riparo dalle turbolenze dei mercati mondiali

In Italia si producono circa 11 milioni di tonnellate di latte, destinate per la maggior

parte (oltre il 73%) alla trasformazione casearia. A farla da padrone sono i due grandi

formaggi della tradizione italiana, il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano che da soli

rappresentano oltre il 60% della produzione complessiva di formaggi Dop. E quando

il prezzo di questi formaggi crolla, trascina con sé anche il prezzo del latte.

Inevitabile. Se poi ci si mette una difficile congiuntura internazionale, come accaduto

per quasi tutto il 2009, l'effetto è disastroso. Una spirale al ribasso che si è interrotta

solo negli ultimi mesi del 2009 e che è proseguita anche in questo inizio di 2010.

La produzione

Uno sguardo ai numeri della produzione (interessante a questo proposito la tabella

pubblicata da Clal) mette in evidenza la costante crescita che si è registrata dal

2000 al 2005, anno nel quale il Parmigiano Reggiano ha prodotto oltre 3 milioni di

forme.

Poi entrate in stagionatura e

commercializzate dopo i canonici 12 o 24 e più mesi. Un aumento che il mercato interno

non è stato in grado di assorbire e che non ha trovato nell'export una adeguata

valvola di sfogo. E i prezzi hanno iniziato a scendere. Il Grana Padano ha seguito lo

stesso percorso. Crescita costante dal 2000 al 2005 quando la produzione ha toccato

quota 4,4 milioni di forme prodotte, poi una lenta discesa e un nuovo balzo in avanti nel

2008 quando la produzione è tornata a sfiorare il record del 2005. Non si poteva

scegliere momento peggiore.

Prezzi a precipizio

Il crollo dei prezzi è stato traumatico, al di sotto dei costi di produzione e ha contribuito ad appesantire, se possibile, anche i problemi

del “cugino” Parmigiano Reggiano. Per tutto il 2009 le quotazioni del Grana “giovane” si sono bloccate sotto i 6 euro al chilo e quelle del

Parmigiano appena sopra i 7 euro. Prezzi che non lasciano margini ai caseifici e che non consentono di pagare il latte per

quanto vale. E così precipita anche il prezzo del latte, per tutto il 2009 a quota 30 centesimi al litro. Meno di quanto costa produrlo. Gli

studi del Crpa e riportati da Clal dicono infatti che produrre un litro di latte da destinare a Grana Padano (o a latte alimentare) costa

almeno 51,97 euro al quintale. Costi che salgono a 57,97 per quintale se il latte è quello che serve per produrre Parmigiano Reggiano. E

nemmeno il sostegno economico della Ue è sufficiente a far quadrare i conti degli allevamenti, che restano in perdita.

Il piano anticrisi

Ora il prezzo dei formaggi è in aumento e Assolatte e allevatori si sono accordati per fissare a 33,156 centesimi il prezzo del litro di latte

almeno sino al prossimo mese di giugno. Ma dalla crisi non siamo certo fuori. La ripresa delle quotazioni di Grana Padano e di

Parmigiano Reggiano è modesta e può arrestarsi se verranno a mancare i fattori che hanno consentito questa piccola ripresa. Già

dall'inizio del 2009 è infatti scattato il piano anticrisi studiato dal Mipaaf, il cui punto centrale è stato il ritiro dal mercato di 200mila

forme da destinare agli indigenti. A queste si sono aggiunte le forme che gli stessi consorzi di tutela hanno sottratto dal mercato per

destinarle alle promozioni sui mercati esteri. Un alleggerimento del mercato al quale ha contribuito in modo importante anche il calo

della produzione. Il tutto è arrivato in un momento di contrazione della produzione mondiale di latte che ha fatto da “enzima” ideale

per una risalita dei prezzi.

Le prospettive

Quanto durerà questa stagione favorevole e dove ci condurrà? Difficile se non impossibile prevederlo, ma l’esperienza di questi difficili

mesi ha lasciato il segno. I due Consorzi di tutela sono impegnati nell’evitare spinte produttive, anche se mancano gli strumenti per

un controllo realmente efficace. Forte anche l’impegno per sviluppare le esportazioni, una valvola di sicurezza indispensabile, tenuto

conto che il mercato interno difficilmente potrà crescere. Un gioco di “equilibrio” difficile e che dovrebbe vedere i due Consorzi

impegnati all’unisono anziché rivali impegnati a contendersi spazi di mercato, come avvenuto sino a ieri. E questa è forse la sfida più

difficile…

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Crollo dei prezzi, mercati in altalena e incertezza su cosa seminare. Un caos reso ancora più gravedall’assenza di progetti di filiera

Cereali e foraggere in agonia

Angelo Gamberini

Prezzo di alcuni prodotti vegetali

(settima settimana 2010 - da Ismea)

ColturaPrezzo

(euro/tonn.)

Variazione

% su anno

precedente

Riso (Arborio) 413,13 -19,19

Mais (ibrido

nazionale)141,9 9,91

Orzo (varietà

nazionale)136,88 -1,67

Frumento tenero

(buono

mercantile)

142,18 -8,3

Frumento duro

(mercantile)142,42 -28,52

Variazione percentuale della superficie

investita per tipo di coltivazione -

Annata agraria 2009-2010 su 2008-

2009 (sintesi da Istat)

Coltivazione Variazione (%)

Frumento tenero 1,1

Frumento duro 4,1

Orzo -14

Avena -6,2

Mais da granella -4,4

Sorgo -33,2

Riso 2,1

Colza -3,8

Girasole -15,1

Soia 2,4

Le analisi Istat indicano un aumento delle superfici a

frumento. Ma potrebbe non essere così.

Fonte: CoreForce

02 Marzo 2010

AgriCrisi - Cereali e foraggere in agoniaCrollo dei prezzi, mercati in altalena e incertezza su cosa seminare. Un caos reso ancora più grave dall'assenza di progetti di filiera

Possono dirsi soddisfatti gli agricoltori che in Emilia Romagna sono riusciti a firmare accordi

con Barilla per la produzione di grano duro a 220 euro la tonnellata. E in altre Regioni, come

riferito da Agronotizie, si sono siglati accordi per prezzi persino più alti. Va male invece, e

molto, per tutti gli agricoltori che non potendo fare riferimento ad accordi di filiera devono

confrontarsi con il mercato. Un mercato che sin dallo scorso anno fa registrare record negativi,

con il prezzo del frumento duro, varietà mercantile, che è precipitato in questi giorni a

142 euro per tonnellata. Cifre che sono del 28,5% più basse di quelle di 12 mesi prima. E non

va meglio nemmeno per il tenero, le cui quotazioni sono scese dell'8,3% per fermarsi a quota

142,18 euro tonnellata per la varietà buono mercantile. In flessione, sebbene più

contenuta, anche le quotazioni di orzo e avena, che si assestano rispettivamente sui 140

e sui 155 euro per tonnellata. Male anche il riso, con quotazioni in ripresa nelle ultime

settimane per l’Arborio (413 euro tonnellata), ma ancora molto al di sotto (-19,19%) rispetto

ad un anno prima. Qualche segnale positivo arriva solo dal mais, il cui prezzo sta

mostrando qualche segnale di recupero con quotazioni prossime ai 142 euro e superiori del

9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Intenzioni di semina

Cosa sta accadendo sui mercati? Nulla di nuovo, verrebbe da dire. Sono gli effetti di un mercato sempre più internazionale e sul quale non di rado si

ripercuotono speculazioni che poco hanno a che vedere con le regole della domanda e dell'offerta. E in queste condizioni è quanto mai difficile

decidere su cosa puntare.

E’ allora interessante prendere in esame il recente lavoro svolto da Istat sulle intenzioni di semina degli

agricoltori italiani. Si tratta di un’indagine svolta su un campione di 7.680 aziende (quelle che coltivano

seminativi sono 700mila) dal quale emerge che sono in aumento le superfici destinate a frumento e

riso, mentre sono in calo le destinazioni a foraggere ed oleaginose. Più in dettaglio Istat registra per

l’annata agraria 2009/2010 un aumento per il frumento duro (+4.1%, con punte più alte al Sud) e per

quello tenero (+1.1%, specie nelle aree del Nord ). Significativo anche l’aumento del 2,1% delle superfici

destinate a riso, una scelta sulla quale ha pesato il buon andamento della scorsa campagna. Calo vistoso

per tutte le foraggere, a iniziare dal mais da granella che scende del 4,4%, ma ben più pesante è la

caduta del sorgo che nelle proiezioni di Istat dovrebbe crollare del 33,2%, seguito dall’orzo (-14,0%) e

dall’ avena (-6,2%). Stessa sorte per il girasole la cui coltivazione scende del 15,1% e della colza in

flessione del 3,8%. In controtendenza la soia con un + 2,4% motivato con tutta probabilità dalla difficoltà a

reperire sui mercati internazionali prodotto non Ogm, che invece è richiesto per molte produzioni certificate.

Chi ha scommesso sulla soia conta dunque di spuntare buoni prezzi anche per questo motivo.

C’è chi dice no

Assosementi, l’associazione che riunisce le industrie sementiere nata dall'unione fra Ais e Assoseme, si è

detta incerta per queste previsioni di Istat, ritenendo sottostimata la crescita della soia, che dunque

potrebbe crescere oltre il 2,4% stimato da Istat. Mentre per il frumento e in particolare per il duro gli

operatori del sementiero sono propensi a immaginare un calo degli investimenti, contrariamente a quanto parrebbero indicare le analisi di Istat che

prevedono invece una crescita.

Vedremo quali saranno gli esiti della campagna in corso per il frumento, mentre sin d’ora si può

prendere atto della caduta nelle coltivazioni foraggere. Seguendo le normali logiche del mercato ci

si dovrebbe aspettare un aumento delle quotazioni di queste colture, ma bisognerà fare i conti con

l’andamento sui mercati internazionali e sui flussi di importazione. Se aumento ci sarà potrà essere

salutato con favore dagli agricoltori, ma il rovescio della medaglia è un aumento del costo dei

mangimi. E con la zootecnia in fase preagonica non c’è da stare allegri.

Arriva la nuova Federconsorzi, ma…

Tutta da giocare è poi la partita sul fronte dei cereali. Se le analisi di Istat saranno confermate si potrà

avere un aumento delle produzioni di grano duro che andranno a vantaggio della qualità delle

trasformazioni industriali. Che dovrebbe portare benefici anche sui prezzi all’origine, ma questo è un

campo dove fare previsioni è un esercizio impossibile. Troppe le variabili in campo e poche le

certezze. Ben diversa la situazione se gli agricoltori potessero disporre di una struttura organizzata

nella quale concentrare l’offerta e fare pressione sul mercato con la forza dei numeri. Un

compito che avrebbero potuto svolgere egregiamente i Consorzi Agrari. Prima che venissero decimati. Ora

si vorrebbe far risorgere una sorta di Federconsorzi due. Una bella idea, ma è presto per farsi troppe

illusioni. In ballo ci sono gli 800 milioni che lo Stato deve ancora saldare alla vecchia Federconsorzi per

gli ammassi pubblici e che andrebbero in “dote” alla “nuova” Federconsorzi. Con il rischio che il progetto si

fermi qui, alla conquista della dote, appunto, che vede molti pretendenti. Sarebbe un peccato.

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AGRONOTIZIELe novità per l'agricoltura

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Vivaismo e sementi

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02 Marzo 2010Angelo Gamberini

Page 10: Agricrisi - il reportage di Agronotizie

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‘Cereali, contratti di filiera per uscire dallacrisi’

AgriCrisi - Intervista a Carla Corticelli, direttore di Unione Seminativi. ‘Il seme non certificato? Un rispar-mio apparente. Così si indebolisce la filiera’

02 Marzo 2010Paola Francia

Paola Francia

Carla Corticelli, direttore di Unione

Seminativi

02 Marzo 2010

'Cereali, contratti di filiera per uscire dalla crisi'AgriCrisi - Intervista a Carla Corticelli, direttore di Unione Seminativi. 'Il seme non certificato? Un risparmio apparente. Così si indebolisce lafiliera'

"La situazione di mercato, almeno a breve termine, resterà invariata. Con una produzione globale

che a inizio d'anno ha registrato nuovi record e stock elevati a livello mondiale (1.764 miliardi di

bushel a gennaio, ndr) è molto difficile pensare a una ripresa dei prezzi".

E' questa, in sintesi, l'analisi che Carla Corticelli, direttore di Unione Seminativi, traccia in

merito al difficile momento che il mercato dei cereali sta attraversando. Restano deboli le

quotazioni del frumento - con un andamento in calo -, così come quelle di mais e soia, a

delineare un quadro di stasi complessiva.

In ambito nazionale, poi, si registra una brusca frenata per il frumento duro, difficile da piazzare

soprattutto se di buona qualità. Un quadro che, per il direttore di Unione Seminativi, non sembra

destinato a cambiare, almeno nell'immediato.

"E' difficile fornire previsioni a medio termine - precisa Carla Corticelli che, sul futuro, si

mantiene cauta -. Troppe sono le variabili che possono influenzare il mercato: speculazioni,

dollaro, quotazioni del petrolio e andamento meteorologico. Non sarebbe realistico fare ipotesi di

medio-lungo periodo".

Se non pare possibile fare previsioni di prospettiva, una cosa è certa: uscire dalla crisi si deve. E,

soprattutto, si può.

Come?

"Attraverso la stipula di contratti di filiera con l'industria attraverso forme di aggregazione della componente produttiva - afferma

Corticelli -. Questi accordi non sono la panacea per tutti i mali, ma rappresentano una delle poche vie d'uscita alla difficile situazione

dei prezzi e del mercato nella quale ci troviamo".

Accanto alla creazione dei contratti di filiera, un punto importante riguarda la creazione di valore aggiunto.

"Si può puntare, in primis, sui prodotti ad elevato valore aggiunto, ad esempio relativi ad alcuni utilizzi per i cereali minori, come l'orzo

da bevanda o il farro - sottolinea il direttore -, investendo su prodotti con caratteristiche qualitative ben definite destinati ad alimenti

ad alto valore aggiunto".

L'obiettivo - è bene ricordarlo - è quello di rafforzare l'agricoltura italiana e di mantenere le produzioni cerealicole entro i confini nazionali

scongiurando il rischio del decentramento.

"Se smettiamo di coltivare cereali in Italia - avverte Corticelli - a cascata chiuderanno i centri di stoccaggio, con inevitabili ricadute

negative anche sui molini, a cominciare dall'aumento dei costi di trasporto. Al contrario è importante lavorare perché le filiere si possano

rafforzare in Italia e vengano valorizzate le nostre produzioni, con una riduzione delle quantità importate".

E, a proposito di tipicità e, più in generale, di qualità, fa discutere la decisione del Comitato tecnico permanente agricoltura della

Conferenza Stato-Regioni che in questi giorni ha espresso parere favorevole alla soppressione dell’obbligo di impiegare seme certificato,

per poter accedere ai contributi previsti dall’articolo 68 per il grano duro.

"Si tratta di una decisione che solo in apparenza porterà ad un immediato risparmio - stigmatizza Corticelli -. In realtà, la possibile

riduzione dell’impiego di seme certificato comporterebbe sicuramente difficoltà nell’assicurare la tracciabilità e la rintracciabilità, oltre ad

un probabile peggioramento quantitativo e qualitativo delle produzioni di frumento italiano, con ripercussioni per l’aumento delle

importazioni di granella estera e per il conseguente danno economico che subirebbero gli agricoltori, che potrebbero vedere le loro

produzioni ulteriormente penalizzate".

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09 Marzo 2010Donatello Sandroni

L’evoluzione tecnologica ha fatto sì che il valore economico rimanesse stabile anche a fronte dei cali nei volumi utilizzati

Mercato agrofarmaci: cala il volume, tiene ilvalore

Donatello Sandroni

Foto di un armadio per

l'immagazzinamento di

agrofarmaci, con disposizione

corretta dei prodotti

Fonte: Topps-life

09 Marzo 2010

AgriCrisi - Mercato agrofarmaci: cala il volume, tiene il valoreL'evoluzione tecnologica ha fatto sì che il valore economico rimanesse stabile anche a fronte dei cali nei volumi utilizzati

Quantità non vuol dire qualità. Un detto che vale in molte situazioni differenti. Non fa eccezione il mondo

dei mezzi tecnici per la difesa, il quale mostra uno spiccato trend al ribasso nelle quantità vendute

ma una discreta tenuta nel valore remunerato. Ciò grazie alla progressiva transizione operata nei

cataloghi aziendali, i quali si sono impoveriti di sostanze attive di vecchia concezione, caratterizzate da

dosi ettaro nell’ordine di alcuni chilogrammi, per arricchirsi di molecole più moderne, con dosaggi

compresi tra le poche decine e le poche centinaia di grammi per ettaro. Dal 1990 si è quindi registrato

un calo di quasi il 30% nel consumo nazionale di agrofarmaci, con un valore attuale intorno alle 100

mila tonnellate contro le circa 140 mila del 1990.

I dati economici 2008 delineavano un fatturato italiano di agrofarmaci che si collocava intorno ai 750

milioni di Euro, rappresentando circa il 3% del mercato mondiale e l’1,8% del fatturato globale della

chimica in Italia. Espresso in valore, perciò, il mercato italiano degli agrofarmaci è cresciuto del 31%

negli ultimi venti anni, passando dai 566 milioni di Euro del 1990 ai 750 milioni del 2008. Gran parte di

questo aumento è stato ovviamente determinato dal generale trend inflazionistico dell’economia

nazionale, ma un ruolo fondamentale l’ha giocato anche la graduale introduzione di prodotti innovativi

aventi prezzi unitari superiori. Questa combinazione ha permesso di mantenere alto il valore del

mercato, pur in presenza di una diminuzione dei quantitativi impiegati in campo. Nel 2009 il mercato

degli agrofarmaci si è mostrato in leggero calo, con i fungicidi diminuiti dell’1% rispetto al 2008,

mentre il segmento insetticidi ha mostrato una crescita del 6%. Questo incremento è derivato dalla

forte presenza di fitofagi su riso e mais, coltura sulla quale sono inoltre ripresi anche i trattamenti

geodisinfestanti con prodotti granulari a causa della sospensione dei concianti per le sementi. Forse a causa della decimazione di esteri

fosforici e carbammati, operata dalla revisione europea, è cresciuto anche il mercato dei piretroidi come pure l’uso di trappole a feromoni

e dei regolatori di crescita. Il mercato dei diserbanti ha invece registrato anch’esso un calo: circa il 2% in valore. L’aumento delle

superfici coltivate a mais e soia è stato infatti annullato dal vistoso calo delle superfici investite a cereali. Le previsioni per il 2010

suggeriscono quindi una certa prudenza, col pensiero a un mercato degli agrofarmaci tendenzialmente stabile. [Fonte dati: Agrofarma]

La problematica dei furti

C’è un argomento che merita un approfondimento a parte: quello dei furti. Da sempre esistiti, mostrarono grande espansione quando

giunsero sul mercato nuove formulazioni di scarso ingombro e alto costo unitario, come le solfoniluree per esempio. Facile quindi per i

ladri portare via un elevato valore con poca fatica. Dopo alcuni anni di flessione, in cui si è visto calare il volume rubato da 1,266

milioni di Euro del 2005 a 569 mila del 2007, nell’ultimo biennio si è assistito a una recrudescenza del fenomeno, il quale ha

riguadagnato i 700 mila Euro del 2008 per poi tornare a 1,2 milioni di Euro del 2009, valore pari allo 0,16% dell’intero fatturato del

mercato agrofarmaci. La metà dei furti registrati, otto su diciassette, si è verificato durante le fasi di trasporto e ha comportato un

danno di oltre 300 mila Euro. La Puglia detiene il triste primato in questo campo, dato che tutti gli otto furti “autostradali” sono

avvenuti nella regione garganica. Ma tra registrati e denunciati la cifra diverge anche di molto: molti rivenditori subiscono furti di

frequente, ma si limitano a denunciarli alle forze dell’ordine senza segnalarli alle proprie associazioni di categoria. Secondo Compag

infatti almeno il 4% dei rivenditori subisce annualmente furti di entità variabile. Furti i quali, a dispetto della bassissima percentuale sul

totale commercializzato, generano spesso anche turbative di mercato facendo circolare per tutto lo stivale merce a prezzi “strani”,

prezzi i quali vengono spesso presi come riferimento dagli utilizzatori finali, i quali di malavoglia sono disposti a pagare prezzi superiori a

quelli che circolano di provincia in provincia col passaparola ufficioso. Val bene ricordare, però, che se qualcuno ruba a monte è perché

c’è a valle chi poi compra la refurtiva. Per un rivenditore derubato, spesso, ce ne sono diversi che acquistano sottobanco senza porsi

troppi problemi sulla legalità della merce che viene loro offerta. Quando addirittura non si tratta di furti su commissione, come si

sospetta specialmente nei casi di grossi “colpi” che sono realizzabili solo dalla malavita organizzata. Forse la recente impennata dei

furti non è del tutto correlabile con la crisi che negli ultimi due anni ha afflitto l’agricoltura. Ciò non di meno, la sovrapposizione

temporale dei due fenomeni induce a pensare che un legame pur ci sia.

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09 Marzo 2010Donatello Sandroni

Il crollo dei prezzi lungo la filiera compromette pesantemente anche la domanda di prodotti per lanutrizione delle colture

Anoressia vegetale

Donatello Sandroni

AgriCrisi e fertilizzanti

09 Marzo 2010

AgriCrisi - Anoressia vegetaleIl crollo dei prezzi lungo la filiera compromette pesantemente anche la domanda di prodotti per la nutrizione delle colture

Seppur ne avrebbero fatto volentieri a meno, le colture sono state messe a dieta. Quando la

liquidità cala la prima tentazione che viene ai produttori è infatti quella di non fertilizzare,

illudendosi che, tanto, il suolo ha comunque un’inerzia di nutrienti capace di compensare

“almeno per un po’”.

Il prezzo che si paga per questa scelta è però solo rinviato nel tempo, poiché il risparmio di

oggi diventa perdita produttiva negli anni successivi. E gli interessi che si pagano in tal

caso sono pure cari. Purtroppo, i molti dubbi sui prezzi alla vendita dei propri raccolti

inducono gli agricoltori a risparmiare oggi, perché – ce lo ricorda Lorenzo il Magnifico – “di

doman non v’è certezza”. Come conseguenza della contrazione della domanda si è assistito

quindi a un crollo dei pezzi all’offerta. Per esempio, un fertilizzante classico per il grano

viene oggi venduto a circa un terzo rispetto al valore di un anno fa. Ciò potrebbe lasciar pensare a un incentivo agli acquisti, peccato

che nel frattempo anche i prezzi all’origine di molti prodotti agricoli, dai cereali alla frutta, siano anch’essi calati vistosamente. Questo

fattore ha condotto a ciò che in economia si chiama “deflazione”, un temutissimo fenomeno che si genera quando a un calo dei prezzi

corrisponda un’ulteriore calo dei consumi invece che una loro ripresa. In mezzo tra agricoltori e aziende produttrici, inoltre, stanno i

distributori: rivendite private, consorzi e cooperative. Molti di loro, a causa di questa discesa dei prezzi alla vendita, stanno addirittura

lavorando in perdita.

Nei loro magazzini langue invenduta della merce pagata anche 1.000 Euro a tonnellata, il cui prezzo attuale non supera però i

350/400 Euro la tonnellata. A queste condizioni appare dura accollarsi nuova merce e quando la clientela non compra si mette in crisi

l’intero sistema commerciale fino alla fonte: le aziende produttrici. Come in un domino cinese, quindi, ogni tassello che cade trascina

verso terra anche il tassello successivo. L’origine della crisi è in fondo tutta lì: manca redditività all’azienda agricola e quando le fonti

si asciugano, nessun fiume porta acqua al mare.

La seconda metà del 2009 ha visto cali nei consumi di concimi minerali, organici, organo minerali. Soprattutto queste ultime due

categorie appaiono in sofferenza, mentre il consumo degli ammendanti dovrebbe rimanere costante, andando in sostituzione proprio di

queste due ultime tipologie di prodotti. Per i concimi minerali il calo è stato meno vistoso grazie alle vendite di prodotti a base d’azoto, il

quale tra tutti i nutrienti è il fattore più limitante alle produzioni. Anche i prodotti a base di microelementi chelati, come pure quelli a

base organica con proprietà biostimolanti, hanno risentito di meno della crisi, dato che si impegnano su colture ad alto reddito.

Complessivamente, nel 2009 si stima un calo produttivo degli stabilimenti italiani di circa il 20% rispetto al 2008. [Fonte:

Federchimica]

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AgriCrisi - Intervista a Bartolomeo Pescio, presidente di Assofertilizzanti: ‘Siamo in una fase di assesta-mento. Ma i segnali positivi non mancano’

23 Marzo 2010Paola Francia

Fertilizzanti, aspettando la ripresa (d’autunno)che verrà

Paola Francia

Bartolomeo Pescio, presidente di Assofertilizzanti

23 Marzo 2010

Fertilizzanti, aspettando la ripresa (d'autunno) che verràAgriCrisi - Intervista a Bartolomeo Pescio, presidente di Assofertilizzanti: 'Siamo in una fase di assestamento. Ma i segnali positivi nonmancano'

"Rispetto alla crisi che ha colpito in modo severo il settore nel 2009, stiamo

attraversando una fase di assestamento che pare riportarci ai livelli di due anni fa. E'

realistico pensare ad una ripresa in vista dell'autunno".

E' tutta qui, nelle parole di Bartolomeo Pescio, presidente di Assofertilizzanti,

l'Associazione nazionale produttori di fertilizzanti che fa parte di Federchimica, la

fotografia in chiaroscuro di un settore - quello dei fertilizzanti, appunto - che nel 2009

ha visto crollare i consumi, sulla falsa riga di un risparmio apparente (oggi) che

rischia di trasformarsi in perdita produttiva (domani) per quegli agricoltori che in

mancanza di liquidità hanno preferito non fertilizzare.

I numeri parlano chiaro: una stima più che attendibile ci dice che i fertilizzanti di

origine minerale hanno subito un calo del 20 per cento e tra questi, i potassici (a

causa dei prezzi elevati) addirittura del 50, gli organici sono scesi del 10 per cento,

gli organo-minerali del 15. L'azoto, indispensabile com'è per le produzioni, in

proporzione ha tenuto.

"Nei primi mesi dell'anno le riduzioni si sono praticamente dimezzate - spiega Pescio - e ci stiamo avviando verso un generale

assestamento dei consumi. Del resto, siamo di fronte ad un processo di riequilibro per così dire fisiologico, dopo i vistosi sbilanciamenti

del passato. Non dobbiamo poi dimenticare che il nostro settore è legato a doppio filo all'agricoltura, e oggi anche l'agricoltore che

vorrebbe investire tende a preferire, per problemi di liquidità, un prodotto di bassa gamma: segnale inequivocabile della crisi che si è

abbattuta sul settore primario".

Ma qualcosa potrebbe cambiare, e in positivo. "Prevediamo per l'autunno una ripresa nell'impiego dei fertilizzanti - dice il presidente - e

per l'agricoltura in generale".

"I primi segnali - prosegue - li abbiamo sulle colture orticole, che hanno raggiunto prezzi accettabili. Mentre per quelle a pieno campo è

difficile pensare a valori più bassi di quelli attuali".

Quanto all'andamento dei prezzi delle materie prime, "siamo già di fronte ad un riequilibrio - sottolinea Pescio - con valori in linea, se

non inferiori, all'andamento storico".

La previsione, per il futuro, è di una "sostanziale stabilità tra domanda, offerta e capacità produttiva" con ricadute positive anche sulle

materie prime: azoto, fosforo e potassio, già riallineato verso il basso.

Assofertilizzanti partecipa, in qualità di socio fondatore, all'attività dell'Icqf, l'Istituto per il controllo della qualità dei fertilizzanti,

organizzazione con funzione di autocontrollo che punta a garantire la qualità dei prodotti delle aziende associate. "Le imprese che

aderiscono, e che rappresentano l'80 per cento del mercato - dice Pescio -, si sono date un codice di regolamentazione e i risultati fin

qui ottenuti sono più che soddisfacenti". Tre sono le condizioni necessarie ad assicurare la qualità di un prodotto: "il marchio giusto -

dice il presidente -, il rivenditore affidabile e un prezzo congruo". Come dire: diffidare di prodotti al ribasso e troppo "scontati".

Qualità sì, ma non solo. Lo sforzo imprenditoriale per uscire dalla crisi passa anche per l'innovazione. "Di prodotto e tecnologica -

sottolinea Pescio -. Parliamo spesso di innovazione di prodotto, dimenticando l'innovazione tecnologica legata al prodotto. Tanto per

capirci: in Germania l'analisi del terreno è obbligatoria, da noi non solo non lo è, ma è anche poco diffusa.

In questo senso - conclude Pescio -, auspichiamo che la legislazione e la politica facciano la loro parte per sostenere l'agricoltore con

strumenti che accrescano la sua capacità di giudizio imprenditoriale e, di conseguenza, di innovazione. Le tecnologie per un'agricoltura

sostenibile non solo possono accelerare l'uscita dalla crisi, ma in prospettiva si rivelano strategiche per prevenirla".

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10 Marzo 2010Paola Francia

AgriCrisi - Intervista a Giovanni Rizzo, presidente di Agriteam, principale gruppo d’acquisto di mezzitecnici per l’agricoltura

‘Mezzi tecnici, un anno altalenante tra crisi del credito e incertezza normativa’

Paola Francia

Giovanni Rizzo, presidente di

Agriteam

10 Marzo 2010

'Mezzi tecnici, un anno altalenante tra crisi del credito e incertezza normativa'AgriCrisi - Intervista a Giovanni Rizzo, presidente di Agriteam, principale gruppo d'acquisto di mezzi tecnici per l'agricoltura

"Un 2009 altalenante, caratterizzato da un incremento dei prezzi delle specialità a fronte di un calo

delle commodity e fortemente condizionato dall'incertezza del quadro normativo". Si riassume così,

nelle parole di Giovanni Rizzo, presidente di Agriteam, il bilancio di un anno problematico per il

settore dei mezzi tecnici. Un anno a tinte fosche che ha investito l'intera filiera agroalimentare, da

monte a valle.

Rizzo guida una realtà che in italia rappresenta il principale gruppo d'acquisto di mezzi tecnici per

l'agricoltura, con un giro d'affari complessivo di 80 milioni di euro (60 'solo' di prodotti fitosanitari,

prezzi netti all'acquisto), nata 19 anni fa dalle ceneri del Cerac, realtà che seguì la stessa sorte delle

grandi organizzazioni nazionali dell'epoca, il fallimento.

Rispetto allo scorso anno, nel 2009 il fatturato ha fatto registrare una crescita del 13 per cento. La

quota di mercato di Agriteam a livello nazionale è parti all'8 per cento ma, se si considera che il gruppo

opera al Centro Nord, la percentuale in alcune province si avvicina o supera il 30 per cento. Quanto al

dato Griff (relativo alla vendita di agrofarmaci in Italia, ndr) l'incremento del valore si è attestato su un

più 3,3 per cento.

Il gruppo oggi conta su una base sociale di 12 soci, dieci dei quali rappresentati da Consorzi che a loro

volta controllano 135 cooperative - Carb e Cafer, tanto per fare qualche nome - tutte localizzate nell'area del Centro-Nord.

"Oltre agli associati veri e propri - spiega Rizzo - Agriteam stipula accordi annuali con una quarantina di distributori che operano

direttamente sul territorio nella zona del Trentino Alto Adige, Valtellina e Veronese".

Agriteam è inserita inoltre nella filiera agroalimentare e a pieno titolo: pur occupandosi solo di mezzi tecnici condivide la propria base

sociale con quella delle principali aziende di trasformazione (Valfrutta, Conserve Italia, Melinda, Orogel, solo per citarne alcune).

"L'agricoltore del nostro 'sistema' - dice Rizzo - può, pur nelle difficoltà del momento, trovare molte delle risposte necessarie per la sua

attività di imprenditore, partendo dalla messa a disposizione di mezzi tecnici a costi equilibrati per arrivare fino alla gestione delle

produzioni".

Tornando ai mercati, "il 2009 si è distinto per cambiamenti rapidi e, per così dire, improvvisi - prosegue Rizzo nella sua analisi -: si

pensi ad esempio al glifosate, sceso nel giro di breve sotto i tre euro. Molto ha pesato in senso negativo la volatilità del quadro

normativo che ha interessato molti prodotti, con la conseguenza che molte aziende, a causa dell'incertezza di continuità dei propri

marchi, hanno immesso sul mercato prodotti a qualsiasi condizione, falsando una fisiologica evoluzione del mercato".

Guardando al 2010, "a medio termine dobbiamo attenderci una sensibile diminuzione dei prezzi - anticipa Rizzo - soprattutto per quanto

riguarda le commodity".

Ma intanto, restano sul piatto una serie di problematiche, prima tra tutte quella legata al credito delle imprese agricole. E, più nello

specifico, alla liquidità.

"Tenuto conto che il valore delle produzioni, crollato su tutti i fronti nel 2009, ha pesantemente condizionato il mercato e continua a farlo

- dice il numero uno di Agriteam - come gruppo stiamo portando avanti la nostra azione a favore degli associati su un doppio fronte: sia

nei confronti degli istituti di credito, che verso i nostri soci, ad esempio con la creazione di linee di indirizzo sul costo del denaro".

C'è poi il fenomeno dei furti: secondo gli ultimi dati forniti da Agrofarma il mercato degli agrofarmaci illegali (ovvero: importazioni

illegali, furti e contraffazioni) supera i 30 milioni di euro, pari al 4 per cento del mercato complessivo.

"La piaga dei furti - spiega Rizzo - si ripete ormai da molti anni. Rilevo con piacere che il ministero della Salute abbia bloccato alcune

importazioni parallele di prodotti che in etichetta riportavano un sito di produzione inesistente. I controlli giocano un ruolo fondamentale

che mette al riparo dai rischi di importare in italia prodotti non registrati o provenienti da traffici illegali". Rizzo rileva poi che "le società

da qualche tempo a questa parte si sono dimostrate più sensibili al problema delle ricettazioni e delle clonazioni: solo attraverso l'azione

sinergica di produttori, mondo della distribuzione e forze dell'ordine è possibile far fronte a questo annoso problema".

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AGRONOTIZIELe novità per l'agricoltura

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Page 15: Agricrisi - il reportage di Agronotizie

15

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16 Marzo 2010Angelo Gamberini

Per gli allevamenti europei è impossibile competere senza i sostegni comunitari

Se Bruxelles chiude i rubinetti la carne bovinaè condannata

Angelo Gamberini

Un anno di prezzi di alcune categorie di bovini da

carne

Vacche Vitelli Vitelloni

marzo (2009) 1,10 3,51 2,13

aprile 1,11 3,54 2,09

maggio 1,13 3,42 2,07

giugno 1,09 3,37 2,05

luglio 1,08 3,45 2,02

agosto 1,12 3,56 2,03

settembre 1,04 3,65 1,98

ottobre 1,03 3,60 1,97

novembre 1,03 3,55 1,97

dicembre 1,03 3,66 2,01

gennaio (2010) 1,01 3,73 2,04

febbraio 1,03 3,74 2,04

marzo 1,05 3,16 2,02

Il patrimonio bovino in alcuni Stati

europei (000 capi - elaborazioni Ismea su

dati Eurostat)

2009

variazione

(% su 2008)

Germania 12945 -0,2

Francia 19369 -1,3

Regno Unito 10025 -0,8

Italia 6343 -1,8

Polonia 5700 -1,0

Spagna 5966 -7,4

Olanda 3950 1,5

I margini degli allevamenti sono erosi dalla crisi dei

prezzi e solo gli aiuti della Pac sostengono gli

allevamenti. Ma fino a quando?

Fonte: Ex_Magician

16 Marzo 2010

AgriCrisi - Se Bruxelles chiude i rubinetti la carne bovina è condannataPer gli allevamenti europei è impossibile competere senza i sostegni comunitari

Partiamo dai prezzi. In calo per tutto il 2009 e ancora oggi “congelati” a quota 2 euro

al chilo o poco più. Per gli allevamenti di bovini da carne la crisi si protrae da ormai

dieci anni, con una sola breve interruzione nel 2008. Giusto il tempo per tirare il

fiato prima di tornare con i conti ancora in rosso. Perché produrre un chilo di carne

bovina, come confermano le indagini del Crpa e gli studi di Smea, costa almeno 265

euro per quintale negli allevamenti del Veneto. E in Piemonte, regione di grandi

tradizioni in questo settore, i costi salgono sino a 307 euro per quintale. Come dire

che nemmeno i premi Pac riescono a rimettere ordine nei conti delle aziende

zootecniche che si dedicano all'allevamento di bovini da carne. Allevamenti che in

Italia hanno per di più caratteristiche del tutto particolari, che comportano costi di

produzione più elevati rispetto ad altri Paesi della Ue, come si può leggere in questo

stesso numero di Agronotizie.

Le previsioni

Difficile modificare il perimetro nel quale i nostri allevamenti di bovini da carne

saranno costretti a muoversi per ancora molto tempo. Un perimetro contraddistinto da una preoccupante contrazione dei consumi (-

2,1% in volume, nel 2008), compensata in parte dalla riduzione della produzione, scesa di 173mila tonnellate dal 2000 ad oggi.

Allargando lo sguardo alla Ue, il calo produttivo conseguente allo smantellamento

dei sostegni un tempo previsti dall'Ocm carne bovina dovrebbe continuare anche

in futuro, forse attenuato dai minori costi di alimentazione dopo il crollo dei prezzi di

cereali e foraggi. Al contrario si prevede un aumento della produzione di carne

bovina in Brasile, che dall'attuale 20,3% dovrebbe salire al 22,6% della produzione

mondiale. Si attende poi un consolidamento delle altre aree a forte produzione

collocate fra Asia, Oceania e Nordamerica.

Dunque meno carne in Europa, ma non nel resto del mondo, mentre le

preferenze del consumo si spostano sempre più verso altre carni, come quelle di suino

(al primo posto in Italia) e quelle avicole, che hanno ora superato quelle di bovino,

relegate così al terzo posto.

Attenti a Bruxelles

Questo lo scenario. Quali saranno le conseguenze sul prezzo? Ci vorrebbe la sfera di

cristallo e forse nemmeno disponendo di capacità divinatorie sarebbe possibile una

previsione. Meglio aggrapparsi a punti di riferimento certi. Da una parte la conferma

che senza il sostegno della Pac l'allevamento del bovino da carne in Italia (ma

anche negli altri Paesi Ue) non ha futuro.

Occorre dunque una ferma azione di indirizzo

sulle politiche agricole decise a Bruxelles,

che invece sono pericolosamente rivolte al

progressivo smantellamento della Pac. E' di

questi giorni la ferma presa di posizione del

presidente della Commissione Agricoltura

della Ue, Paolo De Castro, che ha ricordato

l'importanza dei sostegni comunitari

all'agricoltura. Alla sua voce si dovrebbe

aggiungere il sostegno di quanti hanno

responsabilità in tema di politica agraria nel

nostro Paese. C'è poi da fare un

importante lavoro sul fronte

organizzativo. Si prenda spunto dai risultati

conseguiti da alcune strutture associative,

come il Coalvi in Piemonte o l'Unicarve in

Veneto, che hanno puntato sulla

riconoscibilità del prodotto. Perché è pur vero che i consumi di carne si contraggono, ma è confermata la preferenza del consumatore

verso i prodotti che sanno certificare la loro provenienza. E questi stessi consumatori sono disposti a spendere qualcosa in più. Le

etichette, da sole, non bastano a risolvere la crisi della carne bovina, ma un aiuto possono darlo.

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Page 16: Agricrisi - il reportage di Agronotizie

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16 Marzo 2010Angelo Gamberini

La scarsità di aree da destinare a pascolo ha condannato l’Italia a puntare sugli allevamenti intensivi.Molto efficienti, ma costosi

Perché la carne bovina in Italia costa di più

Angelo Gamberini

Produzione di carne delle principali specie di

interesse zootecnico (anno 2008 - fonte Istat)

000 tonn.

peso vivo

Variazione

su 2007

(%)

Valore

(milioni di

euro)

Variazione

su 2007

(%)

Bovini 1470 -2,7 3364 0,4

Suini 2009 1,1 2574 8,5

Pollame 1546 9,5 2382 5,0

Molta della carne bovina prodotta in Italia proviene da

animali giovani importati dall'estero e poi allevati nelle

stalle da ingrasso

Fonte: Dolphinpix

16 Marzo 2010

AgriCrisi - Perché la carne bovina in Italia costa di piùLa scarsità di aree da destinare a pascolo ha condannato l'Italia a puntare sugli allevamenti intensivi. Molto efficienti, ma costosi

Protagonista della filiera del bovino da carne è il vitellone, con 2,4 milioni di capi. Un

terzo di questi animali è rappresentato da animali importati in giovane età e poi

allevati in Italia per il resto della loro carriera produttiva, sino alle fasi conclusive

dell'ingrasso e del finissaggio. Gli altri due terzi sono rappresentati da soggetti nati in

Italia e provenienti per lo più da razze da latte e in misura minore da razze da carne.

Allevamenti a forte specializzazione, capaci di performance produttive di tutto

rispetto, ma spesso con scarsa disponibilità di terra e di foraggi. Aziende costrette a

ricorrere a fonti esterne per l'approvvigionamento di animali da ingrassare (per lo più

broutard francesi e “polacchi”) e per l'alimentazione. Alla produzione del vitellone si

affianca quella del vitello a carne bianca, settore nel quale l'Italia primeggia, e

quello delle vacche a fine carriera.

Gli allevamenti nel mondo

Nulla a che vedere con gli allevamenti del Sud America, con basse produzioni, enormi

superfici a disposizione e bassi costi di produzione. Un confronto è impossibile

anche con gli allevamenti intensivi degli Stati Uniti o del Canada con i loro grandi recinti all'aperto (feedlot). Difficile il raffronto anche

con gli allevamenti europei, dove l'allevamento del bovino da carne si affianca a quello delle vacche nutrici (per la produzione di

vitelli) e alla disponibilità di ampie superfici agricole destinate a colture foraggere e industriali.

Costi più alti

Diverse le tipologie di allevamento e diversi i costi di produzione, più alti in Europa rispetto agli Usa o al Brasile e più alti in assoluto in

Italia, colpa soprattutto del costo dei ristalli, come si definiscono i vitelli da avviare all'ingrasso. Il problema non è di oggi. Se ne

parla da tempo e molte le soluzioni via via proposte.

Tra un “piano carne” e l'altro (ne abbiamo perso il conto) con i quali si è tentato di

rispondere alle difficoltà della produzione di carne bovina in Italia, si è più volte

giocata la carta della “linea vacca-vitello”, un mix con il quale si è cercato di

aumentare la disponibilità di vitelli “made in Italy” e di recuperare le aree marginali di

collina e montagna. Con il risultato che le aree marginali sono rimaste tali, come

pure il numero dei vitelli, insufficiente. Si è anche provato ad aprire le importazioni

di vitelli dai paesi del Sud America, richiesta avanzata con forza e per lungo tempo

dalle associazioni degli importatori (Uniceb). Ma i vincoli sanitari e le difficoltà di

spostamento su grandi distanze hanno precluso questa strada come mezzo per

abbassare i costi dei ristalli. E l'Italia sarà ancora per molto tempo condannata a

spendere molto per approvvigionarsi di vitelli. Meglio tenerne conto

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Page 17: Agricrisi - il reportage di Agronotizie

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Qualità scadente e prezzi bassi per conquistare il consumatore, ma intanto sono al tracollo gli allevamenti che producono suini pesanti, indispensabili per ottenere salumi di eccellenza

I prosciutti anonimi affondano la suinicoltura

Angelo Gamberini

I prezzi medi del 2009 (fonte Anas)

Categoria Piazza Prezzo Variazione su 2008 (%)

Suinetti Modena 2,903 13,6

90-115 kg Modena 1,344 -5,4

156-176 kg Mantova 1,220 -7,5

Il patrimonio suinicolo in alcuni Stati

europei (000 capi - elaborazioni Ismea su

dati Eurostat)

NazioneAnno

2009

variazione (% su

2008)

Germania 26887 0,7

Francia 14341 -2,1

Danimarca 12436 0,7

Italia 9234 -0,6

Belgio 6304 0,7

Romania 4805 -5,6

Regno

Unito4636 -1,7

Il patrimonio suinicolo italiano (stime

Anas su 2009)

000

capi

Variazione (%

su 2008)

Suini 12930 -0,8

Suini certificati

per Dop8600 -5,7

Import (suini

vivi)647 10,4

Tutta la suinicoltura italiana, unica in Europa, ruota

attorno al suino pesante

Fonte: Mostlysunny1

16 Marzo 2010

AgriCrisi - I prosciutti anonimi affondano la suinicolturaQualità scadente e prezzi bassi per conquistare il consumatore, ma intanto sono al tracollo gli allevamenti che producono suini pesanti,indispensabili per ottenere salumi di eccellenza

Della crisi del settore suinicolo se ne parla da tempo. Ancora non si sono smaltite le

conseguenze del 2008, anno in cui le difficoltà di mercato hanno raggiunto il loro

picco più alto, e già si ripropone una stagione non meno complicata. A iniziare dai

prezzi che anche nella prima settimana di marzo vedono penalizzati i suini pesanti. Le

quotazioni si sono fermate a 1,17 euro al chilo per gli animali di peso sino a 144 kg,

per salire a soli 1,25 euro al chilo per quelli di peso superiore ai 160 kg. Prezzi

talmente bassi che non coprono nemmeno i costi di produzione, valutati in circa

1,40 euro il kg. E le difficoltà di mercato sono confermate dalla mancata quotazione

su piazze importanti come Mantova e Parma e ancora più dalla mancata quotazione al

Cun (Commissione unica nazionale del settore suinicolo).

Dal Cun, lo ricordiamo, dipende il

mercato unico per il settore

suinicolo istituito dal ministero

dell'Agricoltura per rispondere alla

crisi del settore. Anche questo è il

segnale del “braccio di ferro” che da tempo vede contrapposti allevamenti e

industrie di trasformazione. I primi legittimamente fermi sulle loro richieste di un

prezzo capace di dare un margine, i secondi alle prese con la necessità di tenere

prezzi bassi nel timore di perdere fasce di consumo.

Il caso Italia

Sul difficile equilibrio fra allevamenti e industrie di trasformazione si gioca il destino della nostra suinicoltura, unica in tutta Europa ad

essere specializzata nella produzione del suino pesante (rappresenta gran parte della produzione italiana), l'unico dal quale si

possono ottenere, ad esempio, i prosciutti a marchio Dop.

Un settore che vale 2,3 miliardi di euro e che occupa almeno 130mila persone, il cui futuro

professionale è messo in forse da questa crisi, difficile da sconfiggere. Non è stato sufficiente

istituire il mercato unico nazionale e nemmeno spingere sulle carni del Gran Suino Padano la

cui Dop è ancora in forse presso le autorità comunitarie. Un aiuto agli allevatori è venuto dalla

lotta a talune patologie, come la vescicolare, che nel 2008 aggravavano il quadro della

situazione.

Difficile programmare

Fra i punti del “piano suinicolo” rientrava anche la programmazione della produzione, mirata

ad evitare eccessi produttivi. A limitare la produzione, non solo in Italia ma in tutta la Ue,

ci ha pensato la crisi, con una riduzione del numero dei capi allevati (-0,6% in Italia, -

5,6% in Romania) e una flessione del 6% della quantità di carne suina prodotta nei primi sei

mesi del 2009.

Una situazione dalla quale ci si aspettavano benefici per

il prezzo di mercato, annullati invece dal

contemporaneo aumento delle importazioni extra-Ue e

in particolare dal Cile (+16%). Il calo delle esportazioni

comunitarie, specie verso gli Usa, ha complicato

ulteriormente lo scenario, accentuando la stagnazione o

il calo dei prezzi.

Meno Dop

Per l'Italia il 2009 si è chiuso con un significativo calo

del numero di suini certificati per i circuiti dei principali Dop. Nei primi otto mesi dello scorso anno Ismea segnala una riduzione

consistente dei cosci avviati alla salatura sia per il San Daniele sia per il Parma, tra i principali prosciutti Dop italiani. E' il segnale

dell'orientamento verso la produzione di prosciutti non certificati e di basso prezzo. Un orientamento che i Consorzi di tutela dovrebbero

cercare di arginare. E che gli allevatori dovrebbero contrastare con ogni strumento. Ma i Consorzi hanno poche risorse e gli allevatori

sono “disarmati” di fronte al mercato, deboli come sono sotto il profilo organizzativo e schiacciati fra la necessità di riempire gli

stalli per ammortizzare gli impianti e costretti a vendere gli animali giunti a fine ciclo, non importa a quale prezzo. Una spirale dalla

quale è difficile uscire senza strutture associative forti ed efficienti. Che in pochi, però, sembrano volere.

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16 Marzo 2010Angelo Gamberini

Page 18: Agricrisi - il reportage di Agronotizie

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16 Marzo 2010Angelo Gamberini

Il settore avicolo reagisce grazie ad una filiera produttiva ben strutturata. Mentre gli allevamenti cunicoli, meno organizzati, sono in balia del mercat

Polli e conigli, le due facce della crisi

Angelo Gamberini

Le carni di pollame in Italia (fonte

Una - 2008 - 000 tonn)

Pollo Tacchino

Produzione 713 300,5

Importazione 39 15,2

Esportazione 69,1 65,9

Consumo (kg/p.a.) 11,77 4,31

I numeri della coniglicoltura

Produzione 43450 tonn

Valore

produzione

340 milioni di

euro

Numero addetti 10000

Concentrata in poche grandi aziende integrate,

l’avicoltura italiana riesce a seguire le oscillazioni della

domanda meglio di altri settori della nostra zootecnia

Fonte: Hyperscholar

16 Marzo 2010

AgriCrisi - Polli e conigli, le due facce della crisiIl settore avicolo reagisce grazie ad una filiera produttiva ben strutturata. Mentre gli allevamenti cunicoli, meno organizzati, sono in balia delmercato

Inizio d'anno difficile per polli, uova e conigli, che nelle prime settimane del 2010 si

sono ritrovati a fare i conti con prezzi in flessione. Impietoso il confronto con l'anno

precedente, quando i prezzi erano del 30% più alti. Quella che si annunciava come

una nuova e pesante crisi per tutto il settore, sta però lentamente rientrando. Già

da febbraio le quotazioni hanno ripreso a salire e le indicazioni di Ismea sui prezzi

nella prima settimana di marzo confermano questa tendenza. Il prezzo dei polli è

salito a quota 0,87 euro al kg (sulla piazza di Forlì, una delle più importanti) riducendo

al 20% la differenza rispetto alle quotazioni del marzo 2009.

Un divario che si spera possa essere colmato in

tempi rapidi perché i prezzi restano non

remunerativi per le aziende, come ha tenuto

ad evidenziare anche Confagricoltura,

preoccupata per la tenuta degli allevamenti. Nel

favorire un recupero delle quotazioni gioca un

ruolo fondamentale la buona capacità del

settore avicolo nel riprogrammare le

produzioni e ridurre l'offerta per adeguarla alle

richieste. Merito della forte organizzazione della filiera avicola, che ha le sue basi nell'integrazione

verticale fra industrie di trasformazione e allevatori.

Conigli in difficoltà

Assai diverso è il caso della coniglicoltura, dove ancora molti sono gli allevamenti che operano fuori dai contratti di allevamento (per lo

più soccide) che comunque stanno trovando diffusione anche in questo comparto. La conseguenza è una forte difficoltà nell'orientare le

produzioni cunicole alle oscillazioni della domanda, il che apre la porta a ricorrenti e profonde crisi di mercato. Così è stato per gran

parte del 2009, con prezzi sotto ai due euro e con gli allevamenti in perdita. Solo negli ultimi mesi dello scorso anno si è assistito ad un

recupero in coincidenza con l'aumento della domanda, come sempre avviene con l'approssimarsi della stagione fredda. Un recupero che

però è durato poco. Contrariamente alle attese, il prezzo dei conigli ha iniziato a scendere già nelle prime settimane di gennaio.

Una discesa che non si è arrestata e ancora oggi le quotazioni sono scese ad appena 1,69 euro per kg

sulla piazza di Verona. E i conti degli allevatori sono tornati “in rosso”. Una situazione che desta molte

preoccupazioni in tutta Italia e soprattutto in Veneto, regione che detiene il primato in campo cunicolo.

Ed è Veneto Agricoltura che in questi giorni ha organizzato un convegno per presentare il Piano

nazionale cunicolo messo a punto dal Mipaaf. Fra le iniziative previste dal Piano rientra un programma di

comunicazione sulle prerogative nutrizionali della carne di coniglio che coinvolga scuole, mense

scolastiche e pediatri. Una ripresa della domanda, che in questi ultimi mesi si è indebolita, rappresenta

la via di uscita al rischio chiusura di molti allevamenti. Già il 15% degli allevatori ha gettato la

spugna, come ha fatto notare il presidente di Coniglio Veneto, Stefano Bison. Colpa anche dello spiccato individualismo degli

allevatori di conigli, scarsamente propensi a riunirsi in forme associative ed anche per questo motivo maggiormente in balia del mercato

e delle sue fluttuazioni.

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Page 19: Agricrisi - il reportage di Agronotizie

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23 Marzo 2010Angelo Gamberini

La filiera deve riorganizzarsi per fronteggiare le difficoltà che hanno coinvolto i principali segmentiproduttivi del settore

Il crollo dei prezzi travolge tutta la frutta

Angelo Gamberini

Frutta fresca: le principali

produzioni italiane (in milioni di

tonn – anno 2009 – sintesi da

Istat)

Mele 2,2

Pesche 1

Nettarine 0,6

Pere 0,8

Kiwi 0,5

Susine 0,2

L'Italia frutticola nella Ue

(sintesi da Cso)

ProdottoQuota % della

produzione Ue

Kiwi 71

Pere 35

Pesche e

nettarine52

Mele 21

Arance 37

La produzione di frutta nei

Paesi Ue (ripartizione % - sintesi

da Cso su dati Fao)

Italia 30

Spagna 25

Francia 16

Grecia 6

Polonia 4

Germania 4

Altri 15

L'Italia è il principale produttore di frutta nella Ue

Fonte: Digicla

23 Marzo 2010

AgriCrisi - Il crollo dei prezzi travolge tutta la fruttaLa filiera deve riorganizzarsi per fronteggiare le difficoltà che hanno coinvolto i principali segmenti produttivi del settore

Hanno accusato le mele, che poi si è saputo essere prive di colpe, del malore che ha colpito nove bambini di

una scuola elementare di Manesseno, in provincia di Genova. Nessuna conseguenza grave per i bambini, che

stanno già bene, ma la notizia ha fatto il giro dei giornali e così si è saputo non solo che le mele erano sane,

ma che in Italia è in atto un programma di promozione del consumo della frutta che parte proprio dalle

scuole primarie. L'iniziativa, che non era ancora balzata agli “onori” delle cronache, ha preso il via giusto un

anno fa con il sostegno della Ue per 15 milioni di euro cui si sono aggiunti 11 milioni di fondi nazionali di

cofinanziamento. Circa 26 milioni con i quali si distribuisce frutta gratuitamente nelle scuole. E per

convincere i giovani a mangiare più frutta è nato anche un sito, dall'accattivante nome di “Mr. Fruitness”.

I numeri del settore

Tutte belle iniziative, ma non sono bastate (e non bastano) a risollevare le sorti del settore ortofrutticolo, alle

prese con una crisi che coinvolge tutto e tutti, agrumi, kiwi, pere e mele, pesche e nettarine, solo per citare

alcuni dei prodotti più provati dal crollo dei mercati.

Una crisi preoccupante che coinvolge un settore che vale oltre 11

miliardi di euro, quasi un terzo dell’intera Plv (produzione lorda

vendibile) della nostra agricoltura. Non per nulla fra i 27 Paesi della Ue siamo al primo posto in quanto a quantità di frutta

prodotta, seguiti a distanza dalla Spagna e dalla Francia. E' anche per questo che la crisi di questo settore “morde” di più in Italia

che altrove.

Le origini

Ma da dove nasce questa crisi e come se ne esce? Per cercare una risposta bisogna partire da lontano, guardando a cosa accade nel

mondo. E si scopre che negli ultimi dieci anni la Ue ha ridotto del 15% la sua produzione di frutta, agrumi compresi,

scendendo da 70 a 60 milioni di tonnellate. Per contro la produzione mondiale è aumentata sensibilmente, passando da 473 a 555

milioni di tonnellate.

I mercati si comportano ormai come vasi comunicanti e la minore produzione europea è stata subito colmata con un'impennata dei

flussi mondiali di export, passati dai 70milioni di dollari nel 2000 ai 150 del 2007. Analoga la situazione nella Ue, dove però

l'incremento delle esportazioni (da 30 a 60 milioni di dollari) è stato superato da quello delle importazioni, passate da 40 ad oltre 80

milioni di dollari.

L'Italia frutticola

E' in questo scenario che si colloca la produzione frutticola italiana, protagonista sulla scena europea nel mercato del kiwi (71% della

produzione Ue), delle pere (35%), delle pesche e delle nettarine (52%). Altri settori strategici sono quelli delle arance con un

secondo posto (37%) dietro alla Spagna e delle mele (21%) dove siamo in lizza con la Polonia per la conquista del primo posto. Per

tutti questi prodotti il 2009 ha fatto registrare secondo Ismea una flessione media del 13% delle quotazioni, ma nel caso delle

pesche i prezzi sono scesi anche del 46%. Una crisi, questa della frutta fresca, che ha visto il prezzo delle mele fermarsi nel

quarto trimestre del 2009 a 44 centesimi al chilo, quasi il 31% in meno rispetto allo stesso periodo del 2008. Peggio ancora per i kiwi, crollati del 35%, mentre le pere si

sono fermate ad un deludente -20,9%. Come se non bastasse, i costi di produzione sono aumentati del 2,6% e per molte delle 548mila aziende frutticole italiane il

2009 si è chiuso con i conti in rosso.

Quando i prezzi precipitano così vistosamente le cause sono il più delle volte riconducibili ad un incremento delle produzioni,

all'aumento dei flussi di import oppure al calo della domanda. Nel caso della frutta fresca i dati produttivi del 2009 indicano un

aumento da 8,2 a 8,5 milioni di tonnellate, con incrementi più significativi per le pere (11,8% in più). Una maggiore produzione che

ha trovato “sfogo” nel parallelo aumento della domanda di frutta fresca, il cui consumo nel 2009, secondo le valutazioni di Ismea,

ha messo a segno una crescita di cinque punti percentuali. In sostanza, fra produzione e domanda si è mantenuto un buon equilibrio

e la crisi dei prezzi va dunque cercata in un' altra direzione. Proviamo allora ad analizzare i dati dell'import. Le prime stime Ismea

sull’andamento del 2009 indicano un netto peggioramento (-35%) del saldo commerciale dovuto in gran parte alla caduta dei

valori unitari del prodotto esportato e ad un aumento di quelli importati. In termini di volume, invece, le importazioni sono stimate

invariate rispetto al 2008.

Riorganizzarsi

Nemmeno sul fronte delle importazioni si riesce, dunque, a trovare una spiegazione convincente della profonda crisi che si è abbattuta

sul settore, che ha pertanto radici lontane, difficili da prevedere e ancor più difficili da risolvere. Gli unici strumenti che possono essere messi in campo sono quelli della

efficienza produttiva (e qui l’Italia può giocare buone carte) e quelli dell’organizzazione delle filiere produttive, dove invece molto si può ancora fare. In Italia sono

attive circa 300 OP (organizzazioni dei produttori) riunite a loro volta in tre diverse unioni che le rappresentano (Unaproa, Uiapoa, e Unacoa). Già qui si potrebbe cercare

semplificazione e efficienza, tanto più che attraverso le OP passano gli aiuti comunitari previsti dalla Ocm (organizzazione comune di mercato). Questi aiuti (nella misura

del 4,6% del valore della produzione commercializzata) possono essere indirizzati ai ritiri di mercato in presenza di situazioni di crisi, come pure a sostegni per la mancata

raccolta quando questa sia tesa a riequilibrare il mercato. Meccanismi la cui efficacia non si è certo sentita in questa lunga stagione di crisi. Per il futuro è necessario

attrezzarsi meglio, intervenendo anche sull’organizzazione delle OP. E' indispensabile ottimizzare il percorso dal campo alla tavola, spostando al contempo gli equilibri

lungo la catena del valore, che oggi vede premiata la distribuzione a scapito della produzione. Se non si cambia, la prossima crisi sarà perfino peggiore di questa.

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AGRONOTIZIELe novità per l'agricoltura

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23 Marzo 2010Angelo Gamberini

Uve in balia del mercato

Il prodotto da tavola ha perso spazi nell’export e per il vino preoccupa la caduta dei consumi

Angelo Gamberini

Produzione Uve (anno 2009 – sintesi

da Istat)

Superficie

(000 Ha)

Produzione

(milioni di

tonn/hl)

Uva da

tavola 70 13,3

Uva da

vino731 67

Vino 731 47,2

Uve da tavola e uve da vino sono accomunate nella crisi

di mercato

Fonte: Francesco Sgroi

23 Marzo 2010

AgriCrisi - Uve in balia del mercatoIl prodotto da tavola ha perso spazi nell'export e per il vino preoccupa la caduta dei consumi

I viticoltori sono preoccupati. Sono distanti i tempi della raccolta, ma già oggi ci si

chiede se la prossima stagione sarà difficile come quella del 2009. Difficile per

l'uva da tavola, dove le due regioni protagoniste di questo settore, Puglia e Sicilia, si

sono trovate a fare i conti con prezzi crollati anche del 40% rispetto ad un anno

prima. Colpa del progressivo calo delle esportazioni, che dai picchi raggiunti fra il

2000 e il 2001 con 700mila tonnellate sono scese ora a sole 500mila tonnellate, un

terzo o poco più dell'intera produzione. Il calo di questi ultimi anni non si è limitato

solo all'export, ma ha coinvolto anche i prezzi, che hanno progressivamente perso

terreno sino a precipitare del tutto nella scorsa campagna. Colpa non solo del calo dei

consumi e della distribuzione organizzata, ma anche dei nuovi flussi di

import/export da Egitto e Turchia che attraverso i “corridoi verdi” hanno visto

transitare per la Puglia uva da tavola che in qualche caso è divenuta “pugliese” prima

di giungere alla sua destinazione finale sui mercati europei.

Le esportazioni italiane di uva tavola sono

scese a 566 milioni di euro, un livello al di sotto

del quale non si potrà andare nel 2010 se non si vuole compromettere la tenuta del settore. I

viticoltori, per parte loro, dovranno anche intervenire sul fronte organizzativo, che vede il sistema

dell'offerta debole e frammentato, in balia di una controparte commerciale che al contrario è stata

capace di organizzarsi e di acquisire sempre maggiore potere contrattuale. C'è molto lavoro da fare

anche sugli aspetti produttivi, continuando ad innovare, puntando sulla diversificazione varietale

e orientandosi verso le nuove varietà senza semi che stanno incontrando il favore dei mercati

stranieri.

Uve da vino

Anche i produttori di uva da vino guardano alla prossima stagione con preoccupazione. La produzione 2009 è stimata attorno ai 47

milioni di ettolitri, in linea o poco al di sotto di quella dell'anno precedente. Dunque con problemi di sovrapproduzione che la

riduzione dei consumi di vino e le minori esportazioni potrebbero quest'anno persino accentuare. Un problema che riguarda non solo

l'Italia, ma anche altri Paesi della Ue, tanto che Bruxelles ha proposto a partire proprio dal 2010 il finanziamento della “vendemmia

verde”. A differenza della estirpazione dei vigneti, che rappresenta come intuibile una via senza ritorno, la vendemmia verde azzera la

produzione con una raccolta che si effettua prima dell'invaiatura. Non tutti sembrano essere d'accordo su questa soluzione, i cui costi

potrebbero azzerare i sostegni comunitari, rendendo di fatto inattuabile il progetto. Resta in ogni caso la necessità di favorire una

ripresa del mercato intervenendo sulla produzione. Un risultato che si potrebbe ottenere anche favorendo i flussi di export e

l'incremento dei consumi. Ma di progetti in questa direzione, al momento, non se ne vedono.

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23 Marzo 2010Paola Francia

AgriCrisi - Intervista a Paolo Bruni, presidente di Cogeca e Cso. ‘Solo alcuni frutti invernali hannomostrato una discreta tenuta’

‘La crisi morde sui prezzi, no a facili ottimismi’

Paola Francia

Paolo Bruni, presidente di

Cogeca e Cso

23 Marzo 2010

'La crisi morde sui prezzi, no a facili ottimismi'AgriCrisi - Intervista a Paolo Bruni, presidente di Cogeca e Cso. 'Solo alcuni frutti invernali hanno mostrato una discreta tenuta'

“L’Italia è il primo produttore mondiale di frutta e verdura con oltre 24 milioni di tonnellate di produzione

e una media di 6 milioni di tonnellate di frutta 3 milioni e 300 mila tonnellate di agrumi e circa 15 milioni

di tonnellate di ortaggi. Ma la sua forza non è solo nei grandi volumi disponibili ma nella grande varietà di

offerta in grado di assecondare le esigenze di varie tipologie di consumatori".

A dirlo è Paolo Bruni, presidente di Cogeca, l'rganizzazione che raggruppa 40 mila cooperative

agroalimentari dei 27 Paesi dell'Unione europea, e di Cso - Centro servizi ortofrutticol

"Il futuro – continua Bruni - sarà sempre più giocato sulla capacità delle aziende di creare una

differenziazione dell’offerta in grado di soddisfare sia l’ esigenza di forte competitività sui prezzi sia quella

di una qualità con standard elevati".

I dati sull’export italiano 2009 elaborati da Cso evidenziano naturalmente segnali di crisi sia sui volumi

che, soprattutto, sul valore dell’offerta che ha subito un calo del 15% rispetto al 2008.

“E’ evidente - sottolinea Bruni - che la competitività di un paese non può giocarsi solo sui prezzi al

ribasso ma su valori differenziali di qualità e sulla nostra capacità di aggregazione".

“Se analizziamo l’andamento commerciale dei prodotti in questa annata per molti versi difficilissima per

l’economia europea - aggiunge - vediamo una discreta tenuta solamente per alcuni frutti invernali come

le pere abate e il kiwi di cui l’Italia è leader produttivo in Europa".

Per il kiwi l’annata si presentava con quantità non eccessivamente elevate di offerta e gli scambi sono stati e sono tutt’ora vivaci

soprattutto sui mercati d’Oltre Mare, dal Canada, agli Stati Uniti, all’Asia.

Meno performanti, invece, i consistenti scambi con la Germania in cui la pressione dei discount crea condizioni di prezzo assolutamente

poco interessanti.

Discrete le quotazioni anche delle pere varietà Abate che, come sempre, rappresentano l’elite della produzione nazionale.

"Le difficoltà non mancano – conclude il presidente - e non è certo il caso di mostrare facili ottimismi: il vero collo di bottiglia del

sistema globale è la concentrazione della Grande distribuzione a fronte di una frammentazione dell’offerta e questa situazione non può

che creare debolezza”.

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30 Marzo 2010Donatello Sandroni

Nel mare dei numeri galleggia un mercato sostanzialmente in pareggio, ma la verità non si contamai col semplice pallottoliere

Macchine, avanti pari

Donatello Sandroni

Meccanizzazione, questione di numeri

30 Marzo 2010

Agricrisi - Macchine, avanti pariNel mare dei numeri galleggia un mercato sostanzialmente in pareggio, ma la verità non si conta mai col semplice pallottoliere

Per quanto ben fatta e sviluppata, una fotografia resta pur sempre una fotografia,

con tutti i suoi pregi e limiti.

Guardare i numeri del 2009 è, appunto, come sfogliare un album fotografico di

famiglia: i più sorridono, qualcuno magari un po’ tirato. Altri si nascondono in seconda

o terza fila, ma sembrano comunque a proprio agio.

Altri ancora guardano invece in basso, quasi infastiditi dal flash.

Se però grattiamo sulla superficie della fotografia, scopriamo che sotto c’è una verità

un po’ diversa: i numeri han retto, è vero, ma solo perché il dieci per cento del

volume è rappresentato da vendite dei vecchi Stage 2. Vendite che quindi hanno un

vago sapore di saldi di fine stagione. Senza i saldi di fine giugno, infatti, il mercato

sarebbe stato ancora una volta sotto. Magari non del dieci per cento, perché qualcuno

avrebbe in ogni caso comprato qualche Stage 3, ma il bilancio di fine anno sarebbe

stato comunque tendente al rosso.

Meccanizzazione tra i marosi?

Ce lo dimostra il primo mese dell'anno, dove il contatore si ferma a un secco -19%. Gli aiuti chiesti al Governo hanno ricavato solo

venti, non del tutto miseri, milioni di Euro. Un po' come aprire la finestra della camera dove giace un malato: più che di una boccata

d'aria fresca non si può parlare. Appaiono quindi sopra le righe le manifestazioni di entusiasmo registrate all'arrivo del recente "decreto

rottamazione": bruciato il refolo d'ossigeno governativo, i conti torneranno quindi a virare in basso se non subentreranno nel frattempo

dei cambi strutturali i quali, senza usare sterili giri di parole, restituiscano reddito agli agricoltori.

I mesi a disposizione per virare sono solo diciotto, tanti quanti ci separano dall'avvento dello Stage 3B, che prevede oneri

d'omologazione molto più gravosi per i costruttori, con un prevedibile rialzo anche dei prezzi alla vendita. Prezzi che incentiveranno ancor

di più gli agricoltori a tirare all'inveromile il collo ai loro vecchi trattori, piuttosto di sostituirli con altri più moderni ma cari.

Tanto cari da richiedere un credito sempre più sostanzioso in fase di acquisto, ovviamente rateale e finanziato. Le banche, però, non

sembrano nel frattempo aver cambiato faccia, selezionando ogni giorno più ferocemente il numero dei fortunati a cui dire il fatidico sì.

Sempre che accollarsi un debito pluriennale possa definirsi una fortuna.

Ma è proprio necessario aver fretta sullo Stage 3B? A giudicare dalla percentuale di abbattimento degli inquinanti ottenuta passando

dallo Stage Zero allo Stage 3, che è pari all'ottanta per cento, sembrerebbe di no.

Pensando alla cappa di smog che dal satellite si osserva su buona parte della Cina, appare quindi grottesca l'inflessibilità da

farmacista con cui in Europa si cerca di limare qualche milligrammo in più di emissioni, illudendosi in tal modo di salvarsi dallo tsunami

che preme da Oriente sgottando l'acqua dalla barca con una tazzina da caffè.

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Meccanizzazione, questione di numeri

30 Marzo 2010

Agricrisi - Macchine, avanti pariNel mare dei numeri galleggia un mercato sostanzialmente in pareggio, ma la verità non si conta mai col semplice pallottoliere

Per quanto ben fatta e sviluppata, una fotografia resta pur sempre una fotografia,

con tutti i suoi pregi e limiti.

Guardare i numeri del 2009 è, appunto, come sfogliare un album fotografico di

famiglia: i più sorridono, qualcuno magari un po’ tirato. Altri si nascondono in seconda

o terza fila, ma sembrano comunque a proprio agio.

Altri ancora guardano invece in basso, quasi infastiditi dal flash.

Se però grattiamo sulla superficie della fotografia, scopriamo che sotto c’è una verità

un po’ diversa: i numeri han retto, è vero, ma solo perché il dieci per cento del

volume è rappresentato da vendite dei vecchi Stage 2. Vendite che quindi hanno un

vago sapore di saldi di fine stagione. Senza i saldi di fine giugno, infatti, il mercato

sarebbe stato ancora una volta sotto. Magari non del dieci per cento, perché qualcuno

avrebbe in ogni caso comprato qualche Stage 3, ma il bilancio di fine anno sarebbe

stato comunque tendente al rosso.

Meccanizzazione tra i marosi?

Ce lo dimostra il primo mese dell'anno, dove il contatore si ferma a un secco -19%. Gli aiuti chiesti al Governo hanno ricavato solo

venti, non del tutto miseri, milioni di Euro. Un po' come aprire la finestra della camera dove giace un malato: più che di una boccata

d'aria fresca non si può parlare. Appaiono quindi sopra le righe le manifestazioni di entusiasmo registrate all'arrivo del recente "decreto

rottamazione": bruciato il refolo d'ossigeno governativo, i conti torneranno quindi a virare in basso se non subentreranno nel frattempo

dei cambi strutturali i quali, senza usare sterili giri di parole, restituiscano reddito agli agricoltori.

I mesi a disposizione per virare sono solo diciotto, tanti quanti ci separano dall'avvento dello Stage 3B, che prevede oneri

d'omologazione molto più gravosi per i costruttori, con un prevedibile rialzo anche dei prezzi alla vendita. Prezzi che incentiveranno ancor

di più gli agricoltori a tirare all'inveromile il collo ai loro vecchi trattori, piuttosto di sostituirli con altri più moderni ma cari.

Tanto cari da richiedere un credito sempre più sostanzioso in fase di acquisto, ovviamente rateale e finanziato. Le banche, però, non

sembrano nel frattempo aver cambiato faccia, selezionando ogni giorno più ferocemente il numero dei fortunati a cui dire il fatidico sì.

Sempre che accollarsi un debito pluriennale possa definirsi una fortuna.

Ma è proprio necessario aver fretta sullo Stage 3B? A giudicare dalla percentuale di abbattimento degli inquinanti ottenuta passando

dallo Stage Zero allo Stage 3, che è pari all'ottanta per cento, sembrerebbe di no.

Pensando alla cappa di smog che dal satellite si osserva su buona parte della Cina, appare quindi grottesca l'inflessibilità da

farmacista con cui in Europa si cerca di limare qualche milligrammo in più di emissioni, illudendosi in tal modo di salvarsi dallo tsunami

che preme da Oriente sgottando l'acqua dalla barca con una tazzina da caffè.

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30 Marzo 2010Paola Francia

AgriCrisi - Lo dice Massimo Goldoni, presidente di Unacoma, dopo la firma del decreto attuativo da20 milioni. ‘Ora lavoriamo al Piano per il Sud’

‘Meccanizzazione, servono incentivi molto piùconsistenti’

Paola Francia

Massimo Goldoni,

presidente di Unacoma

30 Marzo 2010

'Meccanizzazione, servono incentivi molto più consistenti'AgriCrisi - Lo dice Massimo Goldoni, presidente di Unacoma, dopo la firma del decreto attuativo da 20 milioni. 'Ora lavoriamo al Piano per il Sud'

“Il decreto varato dal Governo assegna 20 milioni di euro complessivi al settore macchine agricole e per movimento terra. Se si guarda

alla pesante crisi che ha colpito il comparto delle macchine agricole e più ancora quello delle macchine per movimento terra, si comprende

subito come vi sarebbe necessità di incentivi molto più consistenti".

A dirlo ad Agronotizie è Massimo Goldoni, presidente di Unacoma, dopo la firma del decreto attuativo che definisce le modalità per la

concessione degli incentivi da parte del ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, di concerto con il ministro dell'Economia Giulio

Tremonti e dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo.

"Tuttavia - aggiunge Goldoni - troviamo positivo che la meccanizzazione sia nuovamente tornata all’attenzione del mondo politico, dopo

sette anni di mancati incentivi, e che vi siano le condizioni per nuove iniziative di sostegno”.

L’industria delle macchine per l’agricoltura, la cura del verde e il movimento terra conta in Italia oltre 3.000 imprese, molte delle

quali di piccole dimensioni. Unacoma ne associa circa 300 tra piccole, medie e grandi, fino a coprire olter il 90% del fatturato di settore.

“E’ importante che gli incentivi alla rottamazione siano visti non già come un puro e semplice sostegno a un comparto della meccanica in

crisi, ma come un investimento per il miglioramento globale delle filiere - aggiunge il numero uno di Unacoma -. In agricoltura, in

particolare, la presenza di macchine agricole di nuova generazione è fondamentale per la competitività dell’intero sistema, ed è lo

strumento principale per il miglioramento della sicurezza e della eco-compatibilità".

A questo proposito, Goldoni fa un distinguo sostanziale sul valore del settore in termini quali-quantitativi.

"Il nostro Paese presenta un parco macchine molto consistente in termini numerici ma non altrettanto valido in termini qualitativi -

sottolinea -. Dei circa 1.650.000 trattori che si stima siano operanti sul territorio nazionale, solo una piccola parte risulta efficiente e

tecnologicamente adeguata. L’età media delle trattrici è intorno ai 20 anni, e molto diffusi sono ancora mezzi con 30 ed anche 40 anni di vita”.

La produzione complessiva nel 2008 (i dati finali 2009 non sono ancora disponibili) ha raggiunto un valore di 12,5 miliardi di euro, di cui 8,2 per il comparto delle

trattrici e macchine agricole e 4,3 per il comparto del movimento terra.

In termini di unità, le sole trattrici assommano a oltre 93 mila, mentre il totale del macchinario in peso (compreso l’insieme delle macchine operatrici, delle attrezzature e

della componentistica di settore) è pari a 1,7 milioni di tonnellate.

Il mercato delle macchine agricole ha registrato nel 2009 una contrazione significativa. I dati sulle immatricolazioni di mezzi meccanici indicano una flessione del 6,23%

per le trattrici, del 19,8% per le mietitrebbiatrici, del 10,7% per le motoagricole e dell’8% per i rimorchi.

Macchine agricole, andamento del mercato

Fonte foto: jusben

I cali percentuali non rappresentano fedelmente l’andamento del mercato, che in realtà registra una flessione molto più consistente, fa sapere Unacoma. Molti mezzi

meccanici immatricolati sono, infatti, ancora presso i rivenditori, così che il numero delle macchine immatricolate non corrisponde al numero delle macchine effettivamente

assorbite dal mercato.

Nel caso delle trattrici, ad esempio, mentre il dato sulle immatricolazioni indica nelle stime Unacoma una flessione del 6,2%, il calo effettivo delle vendite si stima intorno

al 30%.

Questo peraltro all’interno di un trend nazionale che vede negli ultimi sei anni una flessione costante nelle vendite di trattrici, passate dalle 32.814 unità del 2004 alle

25.563 del 2009.

I primi mesi del 2010 registrano un vero e proprio crollo delle immatricolazioni, causato dall’annuncio di un imminente decreto per gli incentivi, fatto che ha

ulteriormente frenato gli acquisti, inducendo agricoltori e contoterzisti a sospendere gli investimenti in attesa di condizioni più favorevoli. I dati sulle immatricolazioni di

trattrici indicano nei mesi di gennaio e febbraio un calo del 19,5%.

Al negativo andamento sul mercato interno si aggiungono gli effetti, ancora più gravi, della crisi sui mercati esteri, verso i quali le industrie italiane indirizzano circa il

70% della propria produzione.

I dati Istat sul commercio estero indicano a fine 2009 un calo del 31,9% per le trattrici e del 26,45% per le altre tipologie di macchine e attrezzature.

In termini di unità, nel 2009 le industrie italiane hanno esportato 52.938 trattrici contro le 79.251 esportate l’anno precedente.

“I nuovi incentivi per la rottamazione - conclude Goldoni - debbono essere considerati il primo passo di una politica sempre più orientata alla meccanizzazione e

all’innovazione tecnologica, nella quale l’Unacoma avrà un ruolo importante in termini di sensibilizzazione nelle sedi politiche e istituzionali e di messa a punto di strumenti

di sostegno. Un fronte sul quale stiamo lavorando con impegno è quello dei Piani di sviluppo rurale, che prevedono incentivi per l’acquisto di mezzi meccanici".

"Stiamo contribuendo alla definizione del 'Piano per il Sud' promosso dal ministero dello Sviluppo economico - chiosa il presidente di Unacoma - nel quale vengono

potenziati gli interventi a favore della meccanizzazione agricola. In considerazione della presenza nel Mezzogiorno di un parco macchine fortemente obsoleto, non più in linea

con le recenti normative in materia ambientale e di sicurezza sul lavoro, l’obiettivo del Piano è di consentire investimenti diretti per l’adeguamento del parco macchine, volti

a migliorare il bilancio energetico e il bilancio delle emissioni nonché la sicurezza per gli operatori”.

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Massimo Goldoni,

presidente di Unacoma

30 Marzo 2010

'Meccanizzazione, servono incentivi molto più consistenti'AgriCrisi - Lo dice Massimo Goldoni, presidente di Unacoma, dopo la firma del decreto attuativo da 20 milioni. 'Ora lavoriamo al Piano per il Sud'

“Il decreto varato dal Governo assegna 20 milioni di euro complessivi al settore macchine agricole e per movimento terra. Se si guarda

alla pesante crisi che ha colpito il comparto delle macchine agricole e più ancora quello delle macchine per movimento terra, si comprende

subito come vi sarebbe necessità di incentivi molto più consistenti".

A dirlo ad Agronotizie è Massimo Goldoni, presidente di Unacoma, dopo la firma del decreto attuativo che definisce le modalità per la

concessione degli incentivi da parte del ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, di concerto con il ministro dell'Economia Giulio

Tremonti e dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo.

"Tuttavia - aggiunge Goldoni - troviamo positivo che la meccanizzazione sia nuovamente tornata all’attenzione del mondo politico, dopo

sette anni di mancati incentivi, e che vi siano le condizioni per nuove iniziative di sostegno”.

L’industria delle macchine per l’agricoltura, la cura del verde e il movimento terra conta in Italia oltre 3.000 imprese, molte delle

quali di piccole dimensioni. Unacoma ne associa circa 300 tra piccole, medie e grandi, fino a coprire olter il 90% del fatturato di settore.

“E’ importante che gli incentivi alla rottamazione siano visti non già come un puro e semplice sostegno a un comparto della meccanica in

crisi, ma come un investimento per il miglioramento globale delle filiere - aggiunge il numero uno di Unacoma -. In agricoltura, in

particolare, la presenza di macchine agricole di nuova generazione è fondamentale per la competitività dell’intero sistema, ed è lo

strumento principale per il miglioramento della sicurezza e della eco-compatibilità".

A questo proposito, Goldoni fa un distinguo sostanziale sul valore del settore in termini quali-quantitativi.

"Il nostro Paese presenta un parco macchine molto consistente in termini numerici ma non altrettanto valido in termini qualitativi -

sottolinea -. Dei circa 1.650.000 trattori che si stima siano operanti sul territorio nazionale, solo una piccola parte risulta efficiente e

tecnologicamente adeguata. L’età media delle trattrici è intorno ai 20 anni, e molto diffusi sono ancora mezzi con 30 ed anche 40 anni di vita”.

La produzione complessiva nel 2008 (i dati finali 2009 non sono ancora disponibili) ha raggiunto un valore di 12,5 miliardi di euro, di cui 8,2 per il comparto delle

trattrici e macchine agricole e 4,3 per il comparto del movimento terra.

In termini di unità, le sole trattrici assommano a oltre 93 mila, mentre il totale del macchinario in peso (compreso l’insieme delle macchine operatrici, delle attrezzature e

della componentistica di settore) è pari a 1,7 milioni di tonnellate.

Il mercato delle macchine agricole ha registrato nel 2009 una contrazione significativa. I dati sulle immatricolazioni di mezzi meccanici indicano una flessione del 6,23%

per le trattrici, del 19,8% per le mietitrebbiatrici, del 10,7% per le motoagricole e dell’8% per i rimorchi.

Macchine agricole, andamento del mercato

Fonte foto: jusben

I cali percentuali non rappresentano fedelmente l’andamento del mercato, che in realtà registra una flessione molto più consistente, fa sapere Unacoma. Molti mezzi

meccanici immatricolati sono, infatti, ancora presso i rivenditori, così che il numero delle macchine immatricolate non corrisponde al numero delle macchine effettivamente

assorbite dal mercato.

Nel caso delle trattrici, ad esempio, mentre il dato sulle immatricolazioni indica nelle stime Unacoma una flessione del 6,2%, il calo effettivo delle vendite si stima intorno

al 30%.

Questo peraltro all’interno di un trend nazionale che vede negli ultimi sei anni una flessione costante nelle vendite di trattrici, passate dalle 32.814 unità del 2004 alle

25.563 del 2009.

I primi mesi del 2010 registrano un vero e proprio crollo delle immatricolazioni, causato dall’annuncio di un imminente decreto per gli incentivi, fatto che ha

ulteriormente frenato gli acquisti, inducendo agricoltori e contoterzisti a sospendere gli investimenti in attesa di condizioni più favorevoli. I dati sulle immatricolazioni di

trattrici indicano nei mesi di gennaio e febbraio un calo del 19,5%.

Al negativo andamento sul mercato interno si aggiungono gli effetti, ancora più gravi, della crisi sui mercati esteri, verso i quali le industrie italiane indirizzano circa il

70% della propria produzione.

I dati Istat sul commercio estero indicano a fine 2009 un calo del 31,9% per le trattrici e del 26,45% per le altre tipologie di macchine e attrezzature.

In termini di unità, nel 2009 le industrie italiane hanno esportato 52.938 trattrici contro le 79.251 esportate l’anno precedente.

“I nuovi incentivi per la rottamazione - conclude Goldoni - debbono essere considerati il primo passo di una politica sempre più orientata alla meccanizzazione e

all’innovazione tecnologica, nella quale l’Unacoma avrà un ruolo importante in termini di sensibilizzazione nelle sedi politiche e istituzionali e di messa a punto di strumenti

di sostegno. Un fronte sul quale stiamo lavorando con impegno è quello dei Piani di sviluppo rurale, che prevedono incentivi per l’acquisto di mezzi meccanici".

"Stiamo contribuendo alla definizione del 'Piano per il Sud' promosso dal ministero dello Sviluppo economico - chiosa il presidente di Unacoma - nel quale vengono

potenziati gli interventi a favore della meccanizzazione agricola. In considerazione della presenza nel Mezzogiorno di un parco macchine fortemente obsoleto, non più in linea

con le recenti normative in materia ambientale e di sicurezza sul lavoro, l’obiettivo del Piano è di consentire investimenti diretti per l’adeguamento del parco macchine, volti

a migliorare il bilancio energetico e il bilancio delle emissioni nonché la sicurezza per gli operatori”.

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'Meccanizzazione, servono incentivi molto più consistenti'AgriCrisi - Lo dice Massimo Goldoni, presidente di Unacoma, dopo la firma del decreto attuativo da 20 milioni. 'Ora lavoriamo al Piano per il Sud'

“Il decreto varato dal Governo assegna 20 milioni di euro complessivi al settore macchine agricole e per movimento terra. Se si guarda

alla pesante crisi che ha colpito il comparto delle macchine agricole e più ancora quello delle macchine per movimento terra, si comprende

subito come vi sarebbe necessità di incentivi molto più consistenti".

A dirlo ad Agronotizie è Massimo Goldoni, presidente di Unacoma, dopo la firma del decreto attuativo che definisce le modalità per la

concessione degli incentivi da parte del ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, di concerto con il ministro dell'Economia Giulio

Tremonti e dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo.

"Tuttavia - aggiunge Goldoni - troviamo positivo che la meccanizzazione sia nuovamente tornata all’attenzione del mondo politico, dopo

sette anni di mancati incentivi, e che vi siano le condizioni per nuove iniziative di sostegno”.

L’industria delle macchine per l’agricoltura, la cura del verde e il movimento terra conta in Italia oltre 3.000 imprese, molte delle

quali di piccole dimensioni. Unacoma ne associa circa 300 tra piccole, medie e grandi, fino a coprire olter il 90% del fatturato di settore.

“E’ importante che gli incentivi alla rottamazione siano visti non già come un puro e semplice sostegno a un comparto della meccanica in

crisi, ma come un investimento per il miglioramento globale delle filiere - aggiunge il numero uno di Unacoma -. In agricoltura, in

particolare, la presenza di macchine agricole di nuova generazione è fondamentale per la competitività dell’intero sistema, ed è lo

strumento principale per il miglioramento della sicurezza e della eco-compatibilità".

A questo proposito, Goldoni fa un distinguo sostanziale sul valore del settore in termini quali-quantitativi.

"Il nostro Paese presenta un parco macchine molto consistente in termini numerici ma non altrettanto valido in termini qualitativi -

sottolinea -. Dei circa 1.650.000 trattori che si stima siano operanti sul territorio nazionale, solo una piccola parte risulta efficiente e

tecnologicamente adeguata. L’età media delle trattrici è intorno ai 20 anni, e molto diffusi sono ancora mezzi con 30 ed anche 40 anni di vita”.

La produzione complessiva nel 2008 (i dati finali 2009 non sono ancora disponibili) ha raggiunto un valore di 12,5 miliardi di euro, di cui 8,2 per il comparto delle

trattrici e macchine agricole e 4,3 per il comparto del movimento terra.

In termini di unità, le sole trattrici assommano a oltre 93 mila, mentre il totale del macchinario in peso (compreso l’insieme delle macchine operatrici, delle attrezzature e

della componentistica di settore) è pari a 1,7 milioni di tonnellate.

Il mercato delle macchine agricole ha registrato nel 2009 una contrazione significativa. I dati sulle immatricolazioni di mezzi meccanici indicano una flessione del 6,23%

per le trattrici, del 19,8% per le mietitrebbiatrici, del 10,7% per le motoagricole e dell’8% per i rimorchi.

Macchine agricole, andamento del mercato

Fonte foto: jusben

I cali percentuali non rappresentano fedelmente l’andamento del mercato, che in realtà registra una flessione molto più consistente, fa sapere Unacoma. Molti mezzi

meccanici immatricolati sono, infatti, ancora presso i rivenditori, così che il numero delle macchine immatricolate non corrisponde al numero delle macchine effettivamente

assorbite dal mercato.

Nel caso delle trattrici, ad esempio, mentre il dato sulle immatricolazioni indica nelle stime Unacoma una flessione del 6,2%, il calo effettivo delle vendite si stima intorno

al 30%.

Questo peraltro all’interno di un trend nazionale che vede negli ultimi sei anni una flessione costante nelle vendite di trattrici, passate dalle 32.814 unità del 2004 alle

25.563 del 2009.

I primi mesi del 2010 registrano un vero e proprio crollo delle immatricolazioni, causato dall’annuncio di un imminente decreto per gli incentivi, fatto che ha

ulteriormente frenato gli acquisti, inducendo agricoltori e contoterzisti a sospendere gli investimenti in attesa di condizioni più favorevoli. I dati sulle immatricolazioni di

trattrici indicano nei mesi di gennaio e febbraio un calo del 19,5%.

Al negativo andamento sul mercato interno si aggiungono gli effetti, ancora più gravi, della crisi sui mercati esteri, verso i quali le industrie italiane indirizzano circa il

70% della propria produzione.

I dati Istat sul commercio estero indicano a fine 2009 un calo del 31,9% per le trattrici e del 26,45% per le altre tipologie di macchine e attrezzature.

In termini di unità, nel 2009 le industrie italiane hanno esportato 52.938 trattrici contro le 79.251 esportate l’anno precedente.

“I nuovi incentivi per la rottamazione - conclude Goldoni - debbono essere considerati il primo passo di una politica sempre più orientata alla meccanizzazione e

all’innovazione tecnologica, nella quale l’Unacoma avrà un ruolo importante in termini di sensibilizzazione nelle sedi politiche e istituzionali e di messa a punto di strumenti

di sostegno. Un fronte sul quale stiamo lavorando con impegno è quello dei Piani di sviluppo rurale, che prevedono incentivi per l’acquisto di mezzi meccanici".

"Stiamo contribuendo alla definizione del 'Piano per il Sud' promosso dal ministero dello Sviluppo economico - chiosa il presidente di Unacoma - nel quale vengono

potenziati gli interventi a favore della meccanizzazione agricola. In considerazione della presenza nel Mezzogiorno di un parco macchine fortemente obsoleto, non più in linea

con le recenti normative in materia ambientale e di sicurezza sul lavoro, l’obiettivo del Piano è di consentire investimenti diretti per l’adeguamento del parco macchine, volti

a migliorare il bilancio energetico e il bilancio delle emissioni nonché la sicurezza per gli operatori”.

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30 Marzo 2010Paola Francia

AgriCrisi - Parla Massimo Alberghini Maltoni, vice presidente di Unima. ‘Il vero pericolo? L’abbandonodelle colture’

‘Contoterzisti, poca voglia di investire e tantaincertezza’

Paola Francia

Massimo Alberghini Maltoni, vice presidente di

Unima

30 Marzo 2010

'Contoterzisti, poca voglia di investire e tanta incertezza'AgriCrisi - Parla Massimo Alberghini Maltoni, vice presidente di Unima. 'Il vero pericolo? L'abbandono delle colture'

"Immobili nelle sabbie mobili". Massimo Alberghini Maltoni, vice presidente di Unima,

l'Unione nazionale delle imprese di meccanicazzione agricola, fotografa così la situazione

del contoterzismo in Italia.

"La crisi c'è - sottolinea Alberghini -. Forse a qualcuno può sembrare che si avverta

meno, rispetto ad altri settori, perché le lavorazioni continuano. Ma non è così. La crisi si

è fatta sentire pesantemente in termini di remuneratività, fattore legato a doppio filo al

costo dei prodotti cerealicoli, dunque mais, grano, sorgo e soia, a prezzi di gran lunga

inferiori rispetto alla copertura dei costi".

A preoccupare Alberghini non sono solo i numeri e i volumi delle commesse, quanto la

progressiva disincentivazione dell'agricoltore a seminare. In particolare, di quegli

agricoltori che non svolgono l'attività in modo prevalente.

"E' questo il vero pericolo per il futuro: l'abbandono delle colture - continua il vice

presidente di Unima -. Una prospettiva reale che avrebbe, e che ha già, conseguenze

molto negative per il territorio".

"Gli esempi sono sotto gli occhi tutti - prosegue -. Mi spiego: abbiamo avuto un inverno piovoso e i fondi abbandonati, soprattutto quelli

di collina e di montagna, hanno cominciato a franare. Il che dimostra chiaramente - prosegue - che i rischi legati alll'abbandono delle

colture provocano danni non solo all'economia, ma anche all'ambiente.

Da anni Unima chiede alle pubbliche amministrazioni di intervenire per il mantenimento del sistema idro-geologico, soprattutto in quelle

zone il cui il contadino è sparito. Legare il presidio del territorio solo a questioni speculative e di remuneratività è un grande errore".

Tra le problematiche che riguardano la categoria, c'è poi la scarsa propensione della categoria agli investimenti. "I nostri

contoterzisti - spiega - guardano con preoccupazione all'andamento del mercato, sia sotto un punto di vista monetario, vedi la paura di

non incassare, sia per l'incertezza della programmazione".

Eppure, è di pochi giorni fa il decreto attuativo sugli incentivi firmato dal ministro Scajola che stanzia 20 milioni di euro per le macchine

agricole. "Si fa un gran parlare di questo provvedimento - dice Aberghini - ma nessuno ha ancora visto i numeri. Certo, sono misure

encomiabili, ma non è di questo che abbiamo bisogno".

L'Unione chiede certezze politiche, strategie programmatiche e interventi di sostanza "che vadano nella direzione di una moralizzazione

del settore".

"Prendiamo i cereali - dice Alberghini -: è ridicolo, anzi, è dannoso che in Italia dobbiamo produrre con regolamenti e restrizioni, e

dunque costi, come in nessun'altra parte d'Europa, penso ai Paesi dell'Est, quando poi vediamo in Italia arrivano prodotti di cui non

conosciamo la provenienza e che falsano i mercati. Le regole, se sono tali, devono valere per tutti".

Di qui la proposta di una certificazione della filiera e delle lavorazioni, che garantisca produttori e consumatori.

"In sede europea - chiosa Alberghini - stiamo avanzando la richiesta di una regolarizzazione del mercato: chi lavora in questo settore

deve saperlo fare. Può sembrare una banalità, ma non lo è: una certificazione di filiera ci permetterebbe di ottenere un prodotto

garantito, più remunerativo per l'agricoltore e più sicuro per tutta la filiera. Consumatore compreso".

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30 Marzo 2010Paola Francia

AgriCrisi - Ritardi nei pagamenti e nanismo del settore primario: il presidente di Confai, Leonardo Bolis,fa il punto sulle difficoltà del settore e individua soluzioni per il futuro

‘Crisi dell’agricoltura, pesanti ripercussionisulle imprese agromeccaniche’

Paola Francia

Leonardo Bolis, presidente di

Confai

30 Marzo 2010

'Crisi dell'agricoltura, pesanti ripercussioni sulle imprese agromeccaniche'AgriCrisi - Ritardi nei pagamenti e nanismo del settore primario: il presidente di Confai, Leonardo Bolis, fa il punto sulle difficoltà del settore eindividua soluzioni per il futuro

Crisi, che fare? L’osservatorio privilegiato degli iscritti a Confai permette di lanciare alcune idee per

risollevare il settore primario, in difficoltà principalmente sul fronte dei prezzi ma che sta attraversando

anche una forte crisi di competitività, fattori questi che portano inevitabilmente all’uscita progressiva di

imprenditori dal mondo agricolo.

"Senza volerci addentrare nello specifico in segmenti diversi fra loro per reattività, remuneratività e

mercati – analizza Leonardo Bolis, presidente di Confai – l’agricoltura italiana pare purtroppo

possedere una scarsa propensione ad uscire dal nanismo. Vuoi per questioni strutturali e dimensionali,

vuoi per problemi di ricambio generazionale, vuoi anche per i nodi di maglie burocratiche che

impediscono talvolta di pianificare a medio-lungo termine gli investimenti".

Gli effetti della crisi si sono fatti sentire di riflesso anche sulle imprese agromeccaniche. E con

ripercussioni anche pesanti.

Il lavoro non manca. Forse in parte è calato, soprattutto in quelle zone d’Italia in cui è venuta a

mancare la zootecnia, o dove gli imprenditori agricoli – a dire il vero non molti, per fortuna - hanno

scelto di non fare gli imprenditori e percepire i contributi Pac senza seminare.

"La questione forse più preoccupante – osserva Bolis – è un’altra. E riguarda cioè gli effetti finanziari

della crisi. Dove le aziende agricole hanno meno liquidità e un accesso al credito meno agevole rispetto al passato, allora sono gli indotti

a monte che ne fanno le spese: i mangimifici, le aziende fornitrici di beni ma anche quelle fornitrici di servizi, come sono i contoterzisti".

Il terziario agricolo non è infatti soltanto il braccio meccanico dell’agricoltura, ma ne è il motore. "Purtroppo, per effetto della crisi si

sono dilatati i tempi di pagamento – prosegue Bolis – con l’effetto che le imprese agromeccaniche si sono trasformate in una sorta di

banca per l’agricoltura. Dobbiamo di fatto anticipare le spese di produzione, comprese quelle per il gasolio agricolo, che è forse la voce

più rilevante in alcuni periodi di lavoro, come per l’aratura e la raccolta".

Soluzioni per uscirne? Confai si limita ad avanzare alcune osservazioni, lontane dal voler essere provvedimenti risolutivi di un sistema

piuttosto complesso, come è quello dell’agricoltura.

"Certamente il nostro settore ha la necessità di poter dialogare sullo stesso piano con tutti gli attori del mondo agricolo – dichiara Bolis

-. Ci consideriamo un anello fondamentale per l’innovazione e per la competitività delle imprese agricole. Ecco,vogliamo poter essere

riconosciuti per il ruolo che abbiamo all’interno del comparto primario. Non siamo artigiani, non siamo industriali. Lavoriamo

nell’agricoltura e per l’agricoltura. E' arrivato il momento di dare concreta attuazione a quanto stabilito nella legge di Orientamento

agricolo".

I benefici sarebbero di doppia natura. "Fiscale, previdenziale, finanziaria per le nostre imprese, che potrebbero trarre vantaggi certi,

senza per questo ledere gli interessi di alcuno – specifica il numero uno di Confai -. Ma anche per le casse dello Stato e delle Regioni,

che con il nostro inquadramento definitivo nell’agricoltura potrebbero recuperare entrate con l’emersione di lavoro irregolare».

I fondi tuttora inutilizzati dei Programmi di sviluppo rurale stanno a dimostrare, inoltre, che non vi sarebbero problemi di coesistenza

nell’accesso ai finanziamenti. «Potremmo accedere alle misure per l’innovazione tecnologica e l’ammodernamento della meccanizzazione

agricola, senza per questo togliere risorse ad altri soggetti interessati".

Quello che serve, secondo Confai, è forse maggiore attenzione all’agricoltura. "Questo non necessariamente significa assegnare

ulteriori fondi – conclude il numero uno di Confai – ma fare in modo che un intero sistema possa riprendere il cammino di crescita su

mercati interni ed internazionali, seguendo non soltanto la vocazione della qualità".

Un nemico da combattere è la burocrazia. Migliorabile, inoltre, il Decreto sviluppo per la modernizzazione delle macchine agricole,

recentemente varato dal Governo.

"La direzione della sicurezza sul lavoro e della lotta all’inquinamento è senza dubbio apprezzabile - conclude -, ma la dotazione quanto

mai leggera e l’obbligo di rottamare soltanto macchine immatricolate prima del 31 dicembre 1999, di fatto escludono i contoterzisti".

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30 Marzo 2010Donatello Sandroni

L’horribilis 2009 è stato per Fabbrico l’anno del mantenimento delle quote di mercato. Col barometrotendente al bello

Argo Tractors: testimonial di positività

Donatello Sandroni

Ruggero Cavatorta, direttore

marketing Argo Tractors

30 Marzo 2010

Agricrisi - Argo Tractors: testimonial di positivitàL'horribilis 2009 è stato per Fabbrico l'anno del mantenimento delle quote di mercato. Col barometro tendente al bello

Non tutti hanno vissuto la crisi nello stesso modo, sia in termini assoluti di vendite, sia in termini

temporali. Col senno di poi, gli andamenti dei mercati hanno offerto comunque opportunità alle

aziende che erano nelle condizioni di coglierle. Argo Tractors è fra queste. Ruggero Cavatorta,

direttore marketing di ArgoTractors, analizza per Agronotizie l'orizzonte economico visto dalla

prospettiva in rosso-blu.

L'analisi del 2009 e prospettive 2010

La crisi economica e finanziaria del 2009 ha inciso sensibilmente sulla domanda di trattori. "Si stima

infatti un calo dei volumi mondiali intorno al 25%", ipotizza Cavatorta. In questo contesto Landini e

McCormick hanno mediamente mantenuto le rispettive quote di mercato. La performance di Argo

Tractors ha infatti registrato un andamento simile a quello della domanda di trattori a livello globale.

"Per quanto riguarda il mercato nazionale - prosegue - vi è invece particolare soddisfazione, con

quote in progressiva crescita nel secondo semestre 2009". A confortare l'ottimismo della casa di

Fabbrico è anche giunto un trend positivo che è continuato anche nei primi due mesi del 2010, con

quote di mercato che ci posizionano saldamente al secondo posto nel ranking dei marchi commerciali

con Landini e con un significativo recupero di quote come gruppo Argo nei confronti dei diretti concorrenti.

Per l'anno in corso Cavatorta prevede che i mercati più importanti del mondo occidentale soffriranno ancora. Quindi, ancora grigio e

vento all'orizzonte per Italia, mercati centro europei e nord americani. "Ci attendiamo invece una ripresa - auspica Cavatorta - di quelle

aree che hanno già pagato forti flessioni della domanda nel 2009, in particolare l’Est Europa, Nord Europa e America Latina. Siamo più

ottimisti per Africa, Far East e Oceania". Circa i mercati in generale, per Cavatorta il primo semestre si prospetta molto difficile, mentre

nella seconda parte dell’anno dovremmo assistere a un graduale recupero delle immatricolazioni grazie all’atteso incremento dei prezzi

delle commodities e a un miglioramento delle condizioni di accesso al credito. Inoltre, per quanto riguarda i singoli prodotti, a Fabbrico

vi è fede in una tenuta della fascia di media potenza (3 e 4 cilindri, 70-130 HP), favorita da probabili sovvenzioni al settore zootecnico.

L’alta potenza (6 cilindri, oltre i 130 HP) potrebbe invece soffrire maggiormente, dato che non si ripeteranno gli effetti benefici dovuti

ai prezzi delle commodities cerealicole verificatisi nel 2008, effetti che per buona parte nel 2009 hanno sostenuto la domanda di

questo segmento.

Gli incentivi rottamazione e la domanda di trattrici agricole

La debolezza nella domanda di trattrici che ha caratterizzato il 2009, e che si prevede prosegua anche nel 2010, secondo Cavatorta è

generata principalmente da due fattori: il reddito agricolo in flessione e la difficoltà di accesso al credito. Gli incentivi alla

rottamazione, fortemente voluti dall'associazione di categoria Unacoma, andrebbero sicuramente a generare una maggiore domanda di

trattrici da parte degli operatori agricoli e pertanto Argo Tractors si organizzerà per sfruttare al meglio questa opportunità. Il mercato

dell'auto, del resto, insegna: quando lo sforzo contributivo privato si somma a quello pubblico i risultati sono molto più tangibili.

Gettando un occhio ai Paesi a noi vicini, tra i mercati significativi solo in Spagna sono in vigore dal 2007 incentivi volti al rinnovo del

parco macchine agricole obsolete. Si tratta di incentivi a partire da 80 euro/HP, quindi per un trattore da 100 HP si parla di un supporto

minimo di 8.000 euro. La composizione degli incentivi in Italia è differente da quella spagnola, essendo qui stabiliti in percentuale a non

in valore assoluto per cavallo. Si spera però che possano avere il medesimo effetto positivo sulla domanda nazionale di trattori. "In

generale - confida Cavatorta - sono a favore di tutte le iniziative volte a favorire il rinnovo del parco macchine, infatti, In Italia il numero

di trattrici obsolete è veramente importante, si stimano circa 1,2 milioni di unità, in confronto al numero di trattrici nuove immesse

annualmente sul mercato (mediamente 25.000 unità). Queste statistiche evidenziano come il rinnovo del parco macchine agricole sia la

vera sfida per abbattere significativamente le emissioni dei gas di scarico e migliorare la sicurezza degli operatori". Il processo di

ringiovanimento del parco macchine richiede però denaro e gli incentivi ne assicurano solo una minima parte. Alle aziende agricole

serve quindi che altra liquidità, in prestito, venga loro concessa da chi ha fatto dell'investimento sul lavoro altrui il proprio business.

"Altre iniziative efficaci per rispondere a queste condizioni di mercato sono quelle volte a favorire l’accesso al credito", ricorda infatti

Cavatorta. "Troppo spesso - prosegue - non è possibile concludere la vendita del trattore a causa della bocciatura delle pratiche di

finanziamento. Per uscire da questa situazione abbiamo bisogno del sostegno della politica ma soprattutto di banche professionali che

dimostrino di saper finanziare e investire in un business 'sano' come quello agricolo".

Novità Landini e McCormick per il 2010

Per quanto riguarda Landini, il 2010 sarà anno di profondo rinnovamento, impattando tutti i segmenti

della gamma. Per il campo aperto 'alta potenza' troviamo la nuova Serie 7 fino a 230 CV e nella fascia di

'media potenza' la nuova Serie 5H, oltre a motorizzazioni addizionali sul Powermondial e Powerfarm.

Completamente rinnovata anche l’offerta degli specializzati con novità tecnologiche ed estetiche

implementate nella gamma Rex. Anche i cingolati e l’utility verranno aggiornati dal punto di vista estetico.

Il marchio McCormick completa anch'esso il rinnovamento della gamma iniziato qualche anno fa. Oltre ai

nuovi motori sulla serie MTX di alta potenza, gli investimenti sono stati concentrati sul campo aperto

'media potenza', dove è stato introdotto il nuovo T-MAX. Rinnovata pure

la Serie MC ed equipaggiati i C-MAX con motori più moderni e performanti. Anche il segmento degli

specializzati è stato profondamente rinnovato con il restyling della Serie F. Gli investimenti sulla gamma

McCormick prevedono inoltre un nuovo look per la Serie T dei trattori cingolati e per la Serie CL.

Fonte: Argo Tractors spa

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31 Marzo 2010Donatello Sandroni

Nella casa di Migliarina di Carpi si analizzano i trend del mercato, anche in ottica ‘rottamazione’

Le prospettive secondo Goldoni

Donatello Sandroni

Le prospettive secondo Goldoni

31 Marzo 2010

Agricrisi - Le prospettive secondo GoldoniNella casa di Migliarina di Carpi si analizzano i trend del mercato, anche in ottica 'rottamazione'

L'altalena commerciale degli ultimi anni, con periodi di euforia alternati a battute

d'arresto, ha creato difficoltà a molte realtà aziendali, soprattutto in termini di

programmazione delle produzioni. Ora, con l'arrivo degli incentivi statali, ci

s'interroga sugli effetti che questi avranno non solo sui volumi complessivi di

fatturato, ma anche sulle conseguenze che questi avranno sui processi produttivi

delle aziende.

Goldoni è uno dei marchi storici italiani e rappresenta quindi un termometro

significativo per valutare 'la febbre' che in questo momento sta alzando la

'temperatura' del mercato. Dando un occhio al recente passato, il 2008 è stato per la

Goldoni l’anno più produttivo dell’ultimo decennio: la ricerca di nuovi mercati,

sommata alla chiusura d'importanti contratti di fornitura per marchi prestigiosi, hanno

permesso all'azienda di 'lanciare' un ritmo di produzione di tutto rispetto. Se si aggiunge pure qualche commessa giunta da alcuni

mercati in via di sviluppo, ben si spiega come il fatturato abbia toccato i 90 milioni di Euro. Il 2009 possiamo definirlo invece l’anno

'orribile': la crisi globale, che si è sovrapposta all'atavica crisi strutturale dell’agricoltura, ha scaraventato i mercati esteri letteralmente

in picchiata.

"La nostra azienda ha 'tenuto' sui terreni nazionali, mantenendo la quota di immatricolato e fatturato, ma l’economia aziendale è stata

condizionata da una quota sull’estero in calo a due cifre" - commenta Fabio Ferretti, marketing

manager di Goldoni (in foto). "Prevedere il 2010 - prosegue Ferretti - è difficile. Di certo i primi

due mesi, che vedono un calo del venti per cento delle quote di immatricolato, non incoraggiano.

Sappiamo però che questa 'frenata' è in parte dovuta alle anticipazioni sul contributo

rottamazione".

In effetti, a corroborare l'analisi di Ferretti, vi è lo storico delle rottamazioni precedenti, le quali

hanno portato nel mercato dell'auto dei flussi perturbati di vendite: queste tendono infatti a

rallentare prima degli incentivi, proprio nella loro attesa, come pure risentono a posteriori degli

incentivi stessi. Per lo più, infatti, gli acquisti 'sotto incentivi' sono solo anticipi su fatturati che

non possono certo essere fatti due volte. Tutto il segmento farà quindi bene a tenere presente

che molte delle vendite dei prossimi mesi saranno solo l'effetto di una sorta di 'macchina del

tempo', la quale traslerà nel presente una parte delle vendite future.

Ciò non di meno, bisogna guardare al futuro e interrogarsi su quali leve muovere per rimanere protagonisti del mercato. "Definire quali

sono gli strumenti ideali per il mercato delle macchine agricole nella nostra nazione è difficile - chiarisce a tal proposito Ferretti -. La

'rottamazione' però soddisfa 2 requisiti importanti: il primo è l’indiscussa vecchiaia dell’attuale parco macchine, la seconda è l’esigenza di

fare girare l’economia di settore. Non credo che altre strade, oltre ai consolidati PSR, portino a risultati migliori".

L'iniezione di denaro pubblico viene pertanto vista con favore anche a Migliarina di Carpi, dove si auspicano ritorni positivi tali da

risollevare almeno in parte tutto il settore. "L’arco temporale - puntualizza Ferretti - incide sicuramente in questo finanziamento, non

tanto per il termine esecutivo al 31 dicembre 2010, ma per l’ammontare del capitale totale: il rischio di una 'corsa' al contributo

rottamazione potrebbe rendere difficile il reperimento del mezzo sulla rete commerciale o presso i costruttori, considerando che questi

ultimi provengono da una annata difficile a livello di programmazione delle produzioni".

Quindi, e in effetti, si rischierebbe addirittura il famoso 'troppa grazia Sant'Antonio': dopo un periodo di vacche magre, che ha dissuaso

i costruttori dal creare stock, ora si potrebbe persino faticare a star dietro ai quantitativi richiesti. "Oltre ai finanziamenti europei a fondo

perduto, concentrati in mercati diversi da quello nazionale, attualmente non siamo a conoscenza di iniziative di 'spessore' - conclude

Ferretti - La Goldoni punterà in questo biennio su alcuni punti chiave: l'ottimizzazione della gamma, l'evoluzione del prodotto, nuove

strategie commerciali e la riduzione dei costi aziendali". Alla Goldoni i migliori auguri.

I conti con la rottamazione, e i suoi effetti sulla crisi del settore, si potranno però misurare debitamente solo alla fine del 2011, dopo

che l'onda forte degli incentivi presenti sarà stata controbilanciata dall'onda lunga di reflusso degli acquisti futuri. Sempre che nel

frattempo non avvenga il miracolo per il quale gli agricoltori si vedano finalmente remunerare il proprio lavoro in modo acconcio, invece

di subire le regole di una filiera che ha i figli nella Gdo e nell'industria di trasformazione, mentre i figliastri sono sempre quelli che stan

nei campi.

Fonte: Goldoni

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