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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CASSINO E DEL LAZIO MERIDIONALE DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANE, SOCIALI E DELLA SALUTE Corso di Laurea in Servizio Sociale Tesi di Laurea In Metodi e Tecniche del Servizio Sociale SAPERE, SAPER ESSERE E SAPER FARE: LA COMPLESSA IDENTITA’ DELL’ASSISTENTE SOCIALE. UNO STUDIO SPERIMENTALE SUL SERVIZIO SOCIALE CONDOTTO NELL’UNIVERSITA’ DI CASSINO Relatore: Candidato: Chiar.ma Prof.ssa Lilli Valentina Sorgente Giancarla Pellecchia Matricola 0037429 ANNO ACCADEMICO 2013/2014

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CASSINO E DEL LAZIO

MERIDIONALE

DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANE, SOCIALI E DELLA SALUTE

Corso di Laurea in Servizio Sociale

Tesi di Laurea

In

Metodi e Tecniche del Servizio Sociale

SAPERE, SAPER ESSERE E SAPER FARE:

LA COMPLESSA IDENTITA’ DELL’ASSISTENTE SOCIALE.

UNO STUDIO SPERIMENTALE SUL SERVIZIO SOCIALE CONDOTTO

NELL’UNIVERSITA’ DI CASSINO

Relatore: Candidato:

Chiar.ma Prof.ssa Lilli Valentina Sorgente

Giancarla Pellecchia Matricola 0037429

ANNO ACCADEMICO

2013/2014

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INDICE

INTRODUZIONE ................................................................................................... 1

CAPITOLO I

L' ASSISTENTE SOCIALE: UNO, NESSUNO O CENTOMILA? ...................... 5

1.1 L'assistente sociale nella storia ...................................................................... 6

1.2 Principi e fondamenti .................................................................................. 12

1.3 Il metodo ...................................................................................................... 14

1.4 Il codice deontologico professionale ........................................................... 17

1.5 Gli obiettivi .................................................................................................. 21

CAPITOLO II

L'ASSISTENTE SOCIALE NELL'OPINIONE PUBBLICA .............................. 24

2.1 La rappresentazione sociale dell'assistente sociale .................................... 25

2.2 L'assistente sociale ed i mass media ........................................................... 28

2.3 L' assistente sociale e gli stereotipi .............................................................. 32

2.4 L'assistente sociale e la mancanza di conoscenza ....................................... 34

CAPITOLO III

LA RICERCA ....................................................................................................... 36

3.1 Le fonti della ricerca .................................................................................... 37

3.2 Il disegno della ricerca................................................................................. 39

3.3 La popolazione- obiettivo ............................................................................ 40

3.4 Il campionamento ........................................................................................ 40

3.5 La tecnica di indagine .................................................................................. 42

3.6 Il questionario .............................................................................................. 43

3.7 L'analisi dei dati ........................................................................................... 44

CAPITOLO IV

I RISULTATI ........................................................................................................ 46

4.1 I risultati: considerazioni sulla professione ................................................. 47

4.2 I risultati: il ruolo dell'assistente sociale ...................................................... 50

4.3 I risultati: le dinamiche delle richieste d'aiuto ............................................. 53

4.4 I risultati: la rilevanza della professione ...................................................... 54

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4.5 I risultati: i fattori che influenzano l'opinione ............................................. 56

CAPITOLO V

CONCLUSIONI .................................................................................................... 59

5.1 Discussione dei risultati ............................................................................... 60

5.2 Limiti della ricerca ...................................................................................... 62

APPENDICE A:

Il questionario........................................................................................................ 64

APPENDICE B:

Le maschere per il trattamento dati di Epi Info..................................................... 70

APPENDICE C:

Le tabelle di raccolta dati ...................................................................................... 73

BIBLIOGRAFIA .................................................................................................. 79

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A nonno.

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INTRODUZIONE

<<It's important to examine what the public thinks of social work today so that

we might influence social work's image and the public's opinion tomorrow.>>

Lecroy C. Stinson E. (2004)

Lo studio si pone l'obiettivo di indagare cosa pensano gli studenti dell'università

di Cassino, della professione di servizio sociale e della figura dell'assistente

sociale. Il servizio sociale è una disciplina ancora giovane che conta in Italia poco

più di sessant'anni e che risulta molto conosciuta nel suo mero operare quotidiano

e poco rinomata per la sua scientificità e per la sua metodologia. Gli interrogativi

da cui prende vita la ricerca vogliono esplorare il territorio della conoscenza e

della percezione della professione al fine di comprendere quale sia la

rappresentazione sociale maggiormente condivisa dell'assistente sociale

nell'ambiente universitario del cassinate, soffermandosi su stereotipi e concezioni

erronee e fuorvianti che il servizio sociale fatica a decostruire. L'elaborato consta

di una parte bibliografica, che si realizza nel primo e nel secondo capitolo, e di

una parte riservata alla ricerca. Abbiamo ritenuto opportuno, nel primo capitolo

del nostro lavoro, effettuare un excursus storico e metodologico nella professione

di servizio sociale, tracciandone l'evoluzione e l'affermazione attraverso

l'esplicitazione dei principi e dei fondamenti, dell'unitarietà del metodo, della

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deontologia e degli obiettivi professionali, infatti, sono proprio questi elementi a

conferire scientificità alla professione, affiancando la teoria alla prassi, in un

continuo giuoco circolare di prassi- teoria- prassi ove la teoria guida la prassi che,

a sua volta, genera teoria. Lungi dall'essere un mestiere meccanico e ripetitivo, il

servizio sociale è dotato di un corpo sistematico di conoscenze teoriche e,

conseguentemente, di razionalità, autorità professionale e sociale, autonomia e

responsabilità. Il campo d'azione del servizio sociale è da ricercarsi nel terreno

insidioso dei rapporti tra bisogni- domande- risposte dove l'individuo non è mai

un' "isola" bensì un sistema in relazione con tanti altri sistemi, di cui l'operatore

deve sempre saper cogliere la globalità. L'assistente sociale opera in un continuo

bilanciare di sapere, saper fare e saper essere, nel costante tentativo di reperire e

creare risorse, al fine di migliorare il grado di benessere psico-fisico relazionale

dell'individuo inserito in un contesto sociale che deve divenire il più possibile

positivo e nutritivo. Nella vastità delle interrelazioni individuo- ambiente con cui

il servizio sociale lavora, dalle cosiddette reti primarie (famiglia, amici, vicini,

ambiente di lavoro ecc.) alle secondarie formali (istituzioni ed enti) e informali

(associazioni del terzo settore, gruppi di volontariato ecc.), è da individuarsi la

complessità dell'identità del professionista che, tramite un attento lavoro di rete,

mira a realizzare interventi di connessione di risorse tesi a produrre

concatenazioni di relazioni significative finalizzate al miglioramento del

benessere del singolo e della collettività. Nel secondo capitolo ci siamo dedicati

ad una descrizione degli studi precedentemente effettuati in materia, nella

convinzione che ognuno di essi poteva esserci d'aiuto nella realizzazione del

nostro progetto. Emerge un quadro molto limitato di ricerche per quanto riguarda

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il territorio nazionale, ove solo la ricercatrice assistente sociale Elena Allegri ha

affrontato studi sull'immagine dell'assistente sociale nel cinema e nella narrativa

(2006). Per ciò che concerne, invece, le ricerche sovrannazionali sono stati

realizzati numerosi studi in centro e nord America a partire dalla fine degli anni

'70, tra i quali abbiamo privilegiato, per motivi di inerenza di contenuti con la

nostra ricerca, lo studio di Lecroy e Stinson (2004) ed il più recente studio di

Veigel (2009), che analizzò la percezione che genitori e tutori degli alunni di una

scuola elementare del Texas, la Morton elementary school, avevano dell'assistente

sociale. Sulla scia di questo lavoro abbiamo costruito il nostro disegno di ricerca,

adattando gli strumenti utilizzati da Veigel alla nostra situazione e definendo

come nostra popolazione-obiettivo la popolazione studentesca dell'Università di

Cassino. Nella seconda parte dell'elaborato siamo entrati nel vivo della nostra

ricerca: si è trattato di un'indagine di opinione di tipo trasversale e occasionale,

realizzata mediante la somministrazione ad un campione random di un

questionario cartaceo, auto-compilato, a restituzione vincolata. La progettazione

della ricerca è avvenuta tra i mesi di febbraio e maggio 2014, la rilevazione dei

dati durante i mesi di giungo e luglio 2014 e, successivamente, ci si è occupati del

trattamento e dell'analisi dei dati, con l'ausilio del software di analisi

epidemiologica e statistica Epi Info. La rilevazione dei dati è stata di tipo

campionario, con un campione composto da 150 unità, a cui è stato sottoposto un

questionario (consultabile nell'appendice dell'elaborato) strutturato in sette sezioni

caratterizzate da item differenti, più un ottava sezione per raccogliere alcuni dati

anagrafici dell'intervistato. L'obiettivo era, pertanto, quello di raggiungere gli

studenti iscritti ai diversi corsi di studi dell'ateneo, così da avere un campione

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disomogeneo e, quindi, maggiormente significativo della popolazione

universitaria. I dati raccolti, dopo esser stati trattati e analizzati tramite l'utilizzo di

Epi Info, sono stati raggruppati in tabelle per facilitarne la presentazione e la

discussione dei risultati, che trova posizione nel quarto capitolo. Dai risultati

emerge che la professione ancora fatica ad affermarsi e, di conseguenza, a farsi

riconoscere nella sua reale complessità, gli studenti intervistati hanno una visione

in alcuni casi distorta, superficiale e incompleta del servizio sociale che trascura le

sue specificità e le mille sfaccettature dell'indispensabile attività lavorativa

dell'assistente sociale.

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CAPITOLO I

L' ASSISTENTE SOCIALE: UNO, NESSUNO O CENTOMILA?

<<– Che fai? – mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare

davanti allo specchio.

– Niente, – le risposi, – mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice.

Premendo, avverto un certo dolorino.

Mia moglie sorrise e disse:

– Credevo guardassi da che parte ti pende.

Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda:

– Mi pende? A me? Il naso?>>

L.Pirandello, Uno, nessuno e centomila

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1.1 L'assistente sociale nella storia

La prima definizione ufficiale di assistente sociale in Italia risale al 1984, sulla

scorta del dibattito internazionale "Commissione nazionale di studio per la

definizione dei profili professionali e dei requisiti di formazione degli operatori

sociali": l'assistente sociale è descritto come un operatore sociale che, agendo

secondo i principi, le conoscenze e i metodi specifici della professione, svolge la

propria attività nell'ambito del sistema organizzato delle risorse messe a

disposizione dalla comunità, a favore di individui, gruppi e famiglie, per prevenire

e risolvere situazioni di bisogno, aiutando l'utenza nell'uso personale e sociale di

tali risorse, organizzando e promuovendo prestazioni e servizi per una maggiore

rispondenza degli stessi alle particolari situazioni di bisogno e alle esigenze di

autonomia e responsabilità delle persone, valorizzando a questo scopo tutte le

risorse della comunità1.

A seguire, nel luglio 2001, l' IASSW, International Association of Schools of

Social Work, e l' ISFW, International Federation of Social Workers, hanno redatto

la seguente definizione internazionale del servizio sociale:

"La professione del servizio sociale promuove il cambiamento sociale, il metodo

del problem solving nei rapporti umani e l'empowerment e la liberazione delle

persone per migliorare il benessere. Utilizzando le teorie del comportamento

umano e del sistema sociale, il servizio sociale interviene nelle situazioni in cui le

1 Ministero dell'Interno-Divisione generale dei Servizi Civili, "Gli operatori sociali- Urgenza di

una normativa", Roma 1984

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persone interagiscono con il loro ambiente. I principi dei diritti umani e della

giustizia sociale sono fondamentali per il servizio sociale"2.

Data la specificità del servizio sociale che, in quanto autentica professione d'aiuto,

lavora tanto per l'individuo e con l'individuo quanto per la comunità e con essa,

ogni Stato declina la definizione sovrastante in maniera diversa. Per giungere a

tali definizioni il cammino affrontato dalla professione è stato lungo e tortuoso;

per meglio comprendere la vera essenza del servizio sociale tracceremo, per

grandi linee, la sua storia.

Il termine "servizio sociale" deriva dall'adattamento della traduzione letterale del

termine inglese "social work".

Mentre nei paesi anglosassoni la nascita del servizio sociale risale al periodo tra la

fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, in Italia, la sua nascita è decisamente

più tardiva e può essere collocata negli anni dell'immediato dopoguerra. Tra il '44

e il '45 sorgono le prime scuole, private e autonome, per la preparazione di

assistenti sociali, tutte accomunate dall'obiettivo di formare operatori consapevoli

e maturi, tesi alla concretizzazione dei valori di uguaglianza e giustizia, tipici del

periodo post-bellico.

Il convegno degli studi di Tremezzo, svoltosi dal 16 settembre al 6 ottobre 1946,

segna l'effettiva affermazione di una comune volontà di riconoscimento di una

professione che necessita di orientarsi e districarsi all'interno del confusionale

quadro delle autonomie delle scuole private.

Nonostante l'entusiasmo scaturito dal convegno, in Italia, il processo di riforma

dell'assistenza e della formazione degli assistenti sociali sarà lento e frammentato;

2 IASSW/ IFSW, Definition of Social Work da http://www.ifsw.org, 2001

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gli anni '50 e '60 saranno ancora caratterizzati da meccanismi di assistenza

disgregati, che continueranno ad agire nell'ottica della beneficenza e della

discrezionalità, e non del diritto.

Gli anni '70 saranno la vera e propria stagione delle riforme; con la legge 16

maggio 1970, n. 281, ha inizio il graduale trasferimento di funzioni dallo Stato

alle Regioni. A seguire, il D.P.R. 24 luglio 1977, n.616 individuando l'ente locale

"Comune" come ente privilegiato di gestione delle competenze sociosanitarie, da'

corpo ad una moderna concezione di politiche sociali ispirate a principi quali

l'universalità, il diritto alla partecipazione e la territorialità. Altre importanti

conquiste per il panorama sociosanitario degli anni '70 culmineranno

nell'approvazione della legge 29 luglio 1975, n. 405 che istituirà i consultori

familiari, della legge 22 maggio 1978, n. 194 che regolamenterà l'interruzione

volontaria della gravidanza, della legge 22 dicembre 1975, n. 685 sulle

tossicodipendenze, della legge 26 luglio 1975, n. 354 di riforma dell'ordinamento

penitenziario, ed ancora della legge 13 maggio 1978, n. 180 sui trattamenti

sanitari volontari e obbligatori. Vengono, così, liquidati i diversi enti previdenziali

e assistenziali esistenti e, con la legge 23 dicembre 1978, n. 833 viene istituito il

Servizio Sanitario Nazionale.

I provvedimenti varati negli anni '70 riflettono una concezione nuova

dell'assistenza come diritto del cittadino, e non più come elargizione

discrezionale. Questi aprono a tutta la popolazione l'accesso ai nuovi servizi,

abbandonando la connotazione caritativa e marginalizzante che aveva

caratterizzato gli interventi pubblici negli anni precedenti3.

3 Fargion V., Geografia della cittadinanza sociale in Italia, il Mulino, Bologna 1997

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Se nei decenni precedenti si era affermata una concezione del bisogno come

esigenza biologica, per cui qualsiasi tipo di risposta mirava a garantire

esclusivamente la sopravvivenza, ora, grazie al diffondersi delle scienze sociali, si

riconosce che i bisogni delle persone comprendono non solo la sfera strettamente

biologica ma anche quella affettiva, gli aspetti psichici, la sfera sociale e dei

diritti4.

Tale innovativa concezione del bisogno aiutò a superare la risposta come fatto

meramente assistenziale, allargando la panoramica dell'aiuto ad una tipologia di

risposta anche preventiva, programmativa e partecipativa5.

Il lavoro dell'assistente sociale è, in tale contesto, visto come immerso nel sistema

di sensibilizzazione, informazione e collegamento con le forze sociali,

nell'esercizio di compiti educativi all'interno della stessa istituzione. L'assistente

sociale diventa, così, l'operatore più vicino al nodo del rapporto strutture-bisogni6.

Fu, piuttosto, la mancanza di una legge-quadro sull'assistenza a procurare i

maggiori problemi.

Gli anni '80 sono un periodo estremamente variegato; vi è un grande fiorire

dell'associazionismo, del volontariato, della cooperazione sociale7

che fa da

cornice all'espandersi dei servizi socio-assistenziali e sanitari, previsto dalle

riforme del decennio precedente. Il nuovo sistema ha come criterio di fondo, oltre

che quello territoriale, un criterio misto, caratterizzato dal superamento della

distinzione "ricchi-poveri" e da un nuovo corso di risposte finalmente improntato

al superamento delle vecchie logiche repressive e assistenzialistiche. Questo

4 Fargion V., Geografia della cittadinanza sociale in Italia, il Mulino, Bologna 1997

5 Neve E., Il Servizio Sociale. Fondamenti e cultura di una professione, Carocci, Roma 2008

6 Iress- Regione Emilia Romagna, Assistente sociale: quale futuro?, Patron, Bologna 1980

7 Ginsborg P., Storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, Torino 1989

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sistema rivelò, ben presto, i suoi punti deboli: l'alto livello dei costi, la carenza di

definizioni dei diversi profili professionali, numerosi tratti di inerzia culturale ed il

dilagare della corruzione e dell'appannaggio8. Intanto, in rapido sviluppo, il terzo

settore va ad affiancarsi al pubblico nella gestione dei servizi.

Il riconoscimento ufficiale della professione di servizio sociale sarà finalmente

raggiunto con l'emanazione del D.P.R. 15 gennaio 1987, n. 14: Valore abilitante

del diploma di assistente sociale in attuazione dell'art. 9 del decreto del P.D.R. 10

marzo 1982, n.162 che riguardava il riordinamento delle scuole di servizio sociale

in ambito universitario.

Ha inizio una nuova stagione del servizio sociale, la cui formazione è, d'ora in poi,

esclusiva competenza dello Stato attraverso le università.

L'esercizio professionale dell'assistente sociale consiste, per il D.P.R., nell'operare

con i principi, le conoscenze e i metodi specifici del servizio sociale e nell'ambito

del sistema organizzato delle risorse sociali, in favore di persone singole, di

gruppi e di comunità, per prevenire e risolvere situazioni di bisogno9.

E' con tale riconoscimento giuridico, lungamente atteso, che si apre la stagione

degli anni '90. Questo decennio vede un progressivo aumento degli assistenti

sociali non solo nei servizi pubblici, ma anche in quelli privati del terzo settore;

nel 1990, l' ASSNAS, associazione nazionale assistenti sociali, conta circa 20 mila

assistenti sociali operanti in Italia e circa 30 mila diplomati10

. E' proprio

l'ASSNASS a lottare fino ad ottenere con la legge 28 gennaio 1994, n. 84

l'Ordinamento della professione di assistente sociale e istituzione dell'albo

8 Niero M., Scenari di welfare state dagli anni '50 ad oggi, in "Servizi Sociali", anno XXV, n.4

9 art. 2 D.P.R. n.14 del 15 gennaio 1987

10 Diomede Canevini M., L'assistenza sociale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1991

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professionale a cui fa seguito, nel 1998, l'emanazione del Codice deontologico

professionale dell'assistente sociale da parte del Consiglio nazionale dell'ordine.

Questi due passaggi possono dirsi di gran lunga fondamentali: in quegli anni va,

conseguentemente, incrementandosi la letteratura professionale e, perfezionandosi

il percorso formativo universitario, con l'istituzione del corso di laurea triennale in

Scienze del Servizio Sociale con possibilità di accesso a specialistica biennale e

dottorato di ricerca. Finalmente, gli assistenti sociali possono godere di un

percorso di studio che nulla ha da invidiare ai percorsi formativi delle professioni

veterane.

Gli assistenti sociali ed il servizio sociale giungono agli anni 2000 consapevoli di

necessitare di una legge quadro che, dopo ben 25 anni di attesa, arriva con la

promulgazione della legge 8 novembre 2000, n. 328: Legge quadro per la

realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. La tanto attesa

riforma organica dell'assistenza, oltre a definire i profili delle professioni sociali,

proclama la promozione delle condizioni per realizzare l'integrazione sociale e

sanitaria al fine di garantire il rispetto della globalità dei bisogni, i principi di

sussidiarietà orizzontale e verticale, la definizione dei livelli essenziali di

assistenza, la valorizzazione dell'aspetto di programmazione degli interventi e di

partecipazione dei cittadini, l'universalismo selettivo e una nuova ottica di

bisogno-risposta finalizzata alla promozione del singolo e della comunità11

. Il

sistema integrato di interventi e servizi sociali, così delineato, si realizza mediante

politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita sociale, integrando i

servizi alla persona e alla comunità, superando il mero assistenzialismo, attraverso

11

Neve E., Principi operativi del servizio sociale, in Dal Pra Ponticelli, Carocci, Roma 2005

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la definizione di percorsi attivi volti ad ottimizzare l'efficacia delle risorse,

impedendo sovrapposizione di competenze e settorializzazione delle risposte. La

sua programmazione e organizzazione compete agli enti locali, alle regioni e allo

Stato, secondo i principi di: sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza,

economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità e

unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti

locali. Gli strumenti attuativi fondamentali sono i piani di zona12

. Altro concetto

innovativo approfondito dalla legge 328/2000 riguarda il lavoro in rete, una forma

innovativa di collaborazione per lo sviluppo di interventi volti a favorire la

reciprocità nella vita comunitaria.

Nei primi anni del terzo millennio il servizio sociale avverte, perciò, l'esigenza di

un'accelerazione dello sviluppo teorico-disciplinare, affiancato ad una crescita

delle ricerche empiriche, al fine di consentire ai professionisti di stare al passo con

i rapidi mutamenti sociali e con le nuove tipologie di problemi, relative ai nuovi

contesti politico-istituzionali13

.

1.2 Principi e fondamenti

Come ogni professione il servizio sociale si è modificato nel tempo, lasciando

immutati alcuni aspetti che tendono a caratterizzare la persistenza e l'identità di

fondo della professione14

: i valori legati alla professione del servizio sociale.

12

Maggian R., Il sistema integrato dell'assistenza. Guida alla legge 328/2000, Carocci, Roma

2001 13

Dal Pra Ponticelli M., Riflessioni sul servizio sociale oggi, in "Studi Zancan" n.4, 2006 14

Gudicini P. Cellentani O., Nei labirinti del servizio sociale. Manuale per il lavoro dell'assistente

sociale, Franco Angeli, Milano 1993

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Si può facilmente supporre che la motivazione del servizio sociale, così come

della altre professioni di aiuto, sia la spinta ad aiutare l'altro, una spinta insita alle

società umane di tutti i tempi, vista come tensione alla solidarietà.

Il servizio sociale è, in gran parte, concatenato all'evoluzione sociale15

, deve

perciò mutare consapevolmente per far fronte ai cambiamenti e alle nuove

condizioni sociali.

Il nucleo di valori essenziali e immutabili che, da una parte fanno da guida

all'azione e, dall'altra, sono alla base dell'elaborazione teorica, metodologica e

normativa ruota intorno al rispetto della dignità, della libertà e della integrità di

ogni essere umano, in quanto unico e irripetibile, possessore di diritti, e alla

valorizzazione delle sue infinite potenzialità16

, da cui deriva il valore

dell'uguaglianza fra tutti gli uomini.

Il servizio sociale ha saputo trarre, dai suoi fondamenti e dal suo impianto

valoriale di base, una serie di principi, per così dire operativi, dai quali tra l'altro

scaturisce la costruzione del corpus metodologico e tecnico specifico della

professione17

. Procedendo con un'elencazione rapida di questi ultimi abbiamo: il

rispetto e la piena accettazione della persona, la valorizzazione delle risorse,

l'individualizzazione e personalizzazione dell'intervento, il rispetto e la

promozione della globalità del singolo, il principio della riservatezza e, in ultimo

ma non per importanza, la promozione dell'autodeterminazione. E' proprio questo

principio operativo a meritare particolare attenzione; esso si risolve nella costante

partecipazione attiva dell'utente al processo d'aiuto. Compito dell'assistente

sociale è di mettere la persona al centro dell'intervento per favorire il processo di

15

Leonard P., Sociologia e servizio sociale, Astrolabio, Roma 1971 16

Dal Pra Ponticelli M., Lineamenti di servizio sociale, Astrolabio, Roma 1987 17

Neve E., Il servizio sociale. Fondamenti e cultura di una professione, Carocci, Roma 2008

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autodeterminazione. L'autodeterminazione è una vera e propria espressione di

libertà che valorizza, praticamente, le capacità dell' individuo, che da spettatore

passivo di un intervento diventa parte attiva del processo d'aiuto.

Autodeterminarsi significa anche assumersi le responsabilità dell'esito del

processo intrapreso18

: l'operatore lavora con, e non per, l'utente per rendere

possibile una sua emancipazione, abbattendo gli ostacoli interni ed esterni che si

frappongono al pieno raggiungimento di essa.

1.3 Il metodo

Il Servizio Sociale è una scienza dotata di basi scientifiche e, come tale,

presuppone l'esistenza di un metodo. La necessità di stabilire un metodo nel

servizio sociale nasce dall'esigenza di avere un processo logico definito che

conferisca ordine all'operatività e che permetta di cogliere la complessità e la

sistematicità dell'intervento, impedendo la pratica operativa per "tentativi ed

errori". Spesso ci si riferisce al metodo parlando di procedimento metodologico,

volendosi soffermare sulla processualità di esso: tale percorso è produttore di

conoscenza scientifica che, lungi dall'essere fine a se stessa, diviene poi la base

della prassi operativa.

Il concetto di metodo è stato oggetto di studi e dibattiti per lunghi anni; si può

definire il metodo come una concatenazione logica di operazioni poste per

raggiungere obiettivi specifici19

, o ancora, similmente, come un percorso

articolato secondo criteri opportuni e razionali che conduce al raggiungimento di

18

Dal Pra Ponticelli M., Dizionario di servizio sociale, Carocci, Roma 2005 19

Bianchi E., Alcuni appunti sul metodo di servizio sociale, Fondazione Zancan, Padova 1983

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15

obiettivi predefiniti20

. Essendo la rigorosità del metodo a dare scientificità alla

professione21

, è stata presto avvertita l'esigenza di rendere il metodo unico,

superando le diverse impostazioni metodologiche scaturite dai numerosi studi a

riguardo. Il metodo unitario si qualifica come schema mentale che orienta la

prassi per giungere al conseguimento di uno scopo22

; l'unitarietà è da identificarsi

nell'attuazione di un unico processo logico che trova complemento nella scelta di

un modello teorico di riferimento per la pratica, che consenta di sviluppare le

varie fasi metodologiche secondo un approccio definito e scientifico.

I modelli teorici aiutano l'operatore a individuare e confrontare situazioni nuove in

base a generalizzazioni, che è possibile fare, di una pratica condotta con rigoroso e

sistematico processo metodologico23

. Questo risulta essere un supporto per

l'operatore che dà fiducia e sicurezza nell'operare. Esistono svariati modelli di

riferimento; tra quelli classici, risalenti agli anni '50 e '60, ricordiamo il modello

Problem-Solving ideato da Perlman, il modello psico-sociale di Hollis ed il

modello funzionale di Smalley. Questi tre modelli sono accomunati da

un'impostazione, ancora, così detta medica, ossia fondata sul presupposto che

fosse fondamentale individuare una patologia per poi curarla. Dalle teorie del

comportamentismo prende vita, in seguito, il modello centrato sul compito di

Reid. Il cambiamento vero e proprio è avvenuto nel momento in cui si è

abbandonata l'ottica medica e la sua impostazione rigida, diagnosi-trattamento,

per andare verso sperimentazioni di modelli di riferimento orientati all'intervento-

cambiamento: è proprio tale innovativa impostazione a trasformare l'utente da

20

Ferrario F., Le dimensioni dell'intervento sociale. Un modello unitario formato sul compito,

Carocci, Roma 1996 21

Campanini A., L'intervento sistemico nel servizio sociale, Carocci, Roma 2002 22

Dal Pra Ponticelli M., I modelli teorici del servizio sociale, Astrolabio Editore, Roma 1985 23

Ibid.

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16

paziente a parte attiva del progetto d'intervento. L'utente diventa un sistema, cioè

un insieme di parti integranti e di variabili interconnesse, sia individuali che

ambientali, che interagisce con una serie di altri sistemi. Vengono, da tale

presupposto, ideati nuovi modelli quali il modello unitario ed, a seguire, il

modello sistemico di Goldstein ed il modello integrato di Pincus e Minahan. Il

concetto di utente relativo a questi ultimi approcci si distacca completamente dalla

concezione classica, andando verso una visone decisamente più globale del

bisogno ed una più complessa dell'individuo. L'assistente sociale deve essere

consapevole di lavorare, di continuo, con dei sistemi, e di esservi immerso,

durante tutto il suo lavoro con l'utenza.

Nell'applicazione delle varie tipologie di modelli teorici, l'assistente sociale fa uso

di strumenti e tecniche tipiche della professione. Tra gli strumenti abbiamo il

colloquio, la visita domiciliare, la cartella sociale, la relazione sociale, la

stipulazione del contratto, il lavoro di gruppo ed il lavoro di rete, mentre, tra le

tecniche ricordiamo l'ascolto attivo, la sospensione del giudizio, il riconoscimento

della diversità, il riconoscimento delle risorse, l' atteggiamento mentale di ricerca

ed il sostegno del cambiamento.

Altro elemento fondamentale del lavoro dell'assistente sociale è l'empowerment.

Esso indica il processo di ampliamento delle possibilità, attraverso il miglior uso

delle proprie risorse, che il soggetto può praticare e rendere operative24

.

L'empowerment è una risorsa che si rigenera, senza esaurirsi, favorendo, di volta

in volta, lo sviluppo di nuove risorse. Quello dell'empowerment è un tassello che

costituisce la reale sfida per i servizi sociali: rendere l'utente più sicuro di sé,

24

Bruscaglioni M., La società liberata. Nuovi fenomeni, opportunità e categorie di pensiero,

Franco Angeli, Roma 1994

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17

attivando un processo di responsabilizzazione e autodeterminazione che riesca, in

conclusione, ad emancipare l'utente dal servizio stesso, al fine di non creare

ulteriori situazioni di bisogno, quali la dipendenza dal servizio, o peggio,

dall'operatore stesso.

1.4 Il codice deontologico professionale

Nel processo di riconoscimento e istituzionalizzazione di una professione, il

codice deontologico rappresenta un momento importante per la definizione

dell'identità professionale, nel rapporto con l'utenza, con le altre professioni e con

la società. Il codice deontologico, per il servizio sociale, dopo anni di

disgregazione e autonomia dei privati, viene ad essere alla vetta del processo di

affermazione professionale, passo immediatamente successivo all'istituzione

dell'ordine professionale. Per ogni professione che voglia legittimarsi socialmente,

il codice deontologico rappresenta un momento necessario di autodisciplina e,

contemporaneamente, uno strumento di tutela imprescindibile. Il codice, infatti,

nel rappresentare la carta dei valori e principi di una professione, costituisce anche

un punto di garanzia tanto per il cliente che per il professionista25

. Proprio per il

fatto che il codice è un insieme di regole, esso è garanzia ma anche limitazione

per l'assistente sociale, ed è proprio garantendo e limitando il professionista nel

suo agire quotidiano che, il servizio sociale, assume lineamenti più chiari e

limpidi, riducendo i dubbi ed i dilemmi di una neo-professione che, ancora oggi,

fatica ad essere riconosciuta nella sua piena autenticità.

25

Samory E., Perché un codice deontologico in La deontologia professionale nel servizio sociale,

Vita e Pensiero, Milano 1991

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18

La prima stesura del codice risale al 1998, con revisioni nel 2002 e nel 2009. Il

testo ancora oggi in vigore è strutturato in sette titoli e sessantanove articoli. Il

primo titolo "Definizione e potestà disciplinare" è di introduzione ai successivi e,

di limitazione e definizione del campo di applicazione del codice. Con il secondo

titolo, "Principi", si procede con una elencazione dei principi e dei valori alla base

della professione: la dignità e l'unicità della persona, l'uguaglianza, la

valorizzazione delle capacità del singolo, l'assenza di giudizi di valore nel

rapporto con l'utenza ed, in ultimo, l'autonomia professionale che, con il codice, si

vuole proclamare e difendere. Nei titoli successivi ci si muove verso la concreta

definizione dell'agire professionale, relativamente alle responsabilità

dell'assistente sociale nei confronti, dapprima, dell'utenza e della società e, a

seguire, nei confronti dei colleghi ed altri professionisti, dell'organizzazione di

lavoro a cui fa capo e della professione. In questi cinque titoli è espresso il

concetto di responsabilità, intesa come il dover rispondere a qualcuno ma anche il

dover rispondere di qualcuno. Essere responsabili vuol dire essere consapevoli

delle aspettative sociali legate al proprio status o ruolo professionale, non a caso,

la parola "responsabilità" scandisce ben cinque titoli del codice. Il terzo titolo,

"Responsabilità dell'assistente sociale nei confronti della persona utente e

cliente26

", tramite un primo capo, traccia i diritti dell'utenza, quali:

l'autodeterminazione, il diritto all'informazione e all'accesso alla documentazione

che li riguarda ed il diritto ad essere tutelati e salvaguardati, anche da eventuali

errori dell'assistente sociale. Nel secondo capo sono esplicitate delle regole di

comportamento dell'assistente sociale che, sintetizzando, deve mantenere un

26

Ordine Assistenti Sociali. Consiglio Nazionale, Codice deontologico dell'assistente sociale, 2009

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19

comportamento consono e decoroso, mettendo a disposizione dell'utenza la

propria competenza, per la realizzazione di un rapporto professionale che non

deve assolutamente sfociare in una relazione affettiva personale. Il capo terzo

esprime il diritto alla riservatezza dell'utente, ed il corrispettivo obbligo al segreto

professionale dell'assistente sociale. Con gli articoli relativi a questo capo viene

specificatamente definito il rapporto diritto/dovere che c'è tra riservatezza e

segreto professionale, tracciando le peculiarità di tale binomio e le eccezionali

eventualità nelle quali l'obbligo a capo dell'assistente sociale può, o meglio deve,

essere infranto in quanto sussista un rischio grave per il cliente, una richiesta

scritta e motivata dai rappresentanti legali dell'utente nell'interesse esclusivo dello

stesso, l'autorizzazione diretta dell'interessato che sia stato messo al corrente delle

conseguenze della rivelazione, oppure, in quanto ci sia rischio grave per

l'assistente sociale. Il quarto titolo è l'espressione della "Responsabilità

dell'assistente sociale nei confronti della società27

". Esso, tramite otto articoli,

traccia le responsabilità dell'assistente sociale nella partecipazione e nella

promozione del benessere sociale, soffermandosi sul superamento della logica

della risposta assistenzialistica per giungere ad una risposta vista, più

ampliamente, come promozione della costruzione di un tessuto sociale basato

sulla sussidiarietà e sulla solidarietà. I due titoli successivi, "Responsabilità

dell'assistente sociale nei confronti di colleghi ed altri professionisti28

" e

"Responsabilità dell'assistente sociale nei confronti dell'organizzazione di

lavoro29

", tracciano il profilo dell'assistente sociale nella pratica quotidiana

lavorativa. Relativamente al rapporto con colleghi ed altri professionisti, il codice

27

Ordine Assistenti Sociali. Consiglio Nazionale, Codice deontologico dell'assistente sociale, 2009 28

Ibid. 29

Ibid.

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vuole promuovere lo spirito di collaborazione, finalizzato alla realizzazione di un

lavoro di rete. Nell'organizzazione di lavoro, l'assistente sociale, ha l'obbligo di

chiedere il rispetto del suo profilo e della sua autonomia professionale, di

contribuire nelle azioni di pianificazione e programmazione e, ha l'obbligo di

richiedere momenti di aggiornamento e formazione. Con il titolo settimo,

"Responsabilità dell'assistente sociale nei confronti della professione30

", sono

espressi gli obblighi di iscrizione all'albo, della formazione continua,

dell'adoperarsi per la promozione della professione. I capi successivi al primo si

occupano di onorari, sanzioni, rapporti con il Consiglio dell'Ordine e disciplina di

eventuali aggiornamenti del codice.

Il quadro deontologico sinora dipinto va a completarsi con "Sanzioni disciplinari e

procedimento31

"; quest'ultima parte si preoccupa di disciplinare le tipologie

sanzionatorie relative ai diversi abusi o mancanze nell'esercizio della professione.

Le sanzioni previste sono: ammonizione, censura, sospensione e radiazione

dall'albo. Tipologia ed entità delle sanzioni sono determinati secondo criteri quali:

l'intenzionalità del comportamento, il grado di negligenza, il grado del danno, la

presenza di aggravanti o attenuanti e l'eventuale recidività32

. L'esistenza di un vero

e proprio regolamento disciplinare e sanzionatorio rende ancora più solida

l'identità professionale, che muove, con l'emanazione del codice e la sua costante

attuazione, un ulteriore passo verso l'affermazione della sua specificità e della sua

preminenza in campo sociale.

30

Ibid. 31

Ibid. 32

Amadei T. Tamburini A., La leva di Archimede. Il codice deontologico dell'assistente sociale tra

responsabilità e appartenenza sociale, FrancoAngeli, 2002

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21

1.5 Gli obiettivi

Il servizio sociale è una professione nata in risposta ai bisogni individuali e

collettivi; proprio per tale motivo, l' obiettivo cardine del lavoro dell'assistente

sociale può essere identificato nella salvaguardia e nella promozione del benessere

psico-fisico e relazionale dell'individuo inserito nel contesto socio-ambientale di

riferimento. Generalmente, infatti, il servizio sociale legge i problemi sociali in

quanto generati e collocati in un'interazione continua tra persona e ambiente33

.

L'assistente sociale ricopre quel delicato ruolo di connessione tra l'anello

istituzionale e quello collettivo, tenendo conto di ogni singolo individuo che

prende parte all'anello della collettività. Proprio per raggiungere e mantenere, più

o meno stabilmente, un equilibrio tra esigenze di istituzioni, società e individuo,

l'assistente sociale, nel suo operare, è investito di tre mandati: istituzionale,

professionale e sociale. In ogni momento della sua carriera, il professionista deve

saper coniugare istituzioni, collettività e singolo, tenendo fede ai valori ed ai

principi etici e operativi della professione: sfida non semplice, che comporta per

l'operatore una serie di funzioni specifiche. Visto da quest'ottica, l'assistente

sociale ha, prima di tutto, una funzione educativo- promozionale, nel senso che

obiettivo del processo d'aiuto, più che la soluzione dei conflitti inconsci, è l'avvio

di processi di apprendimento che favoriscano un migliore adattamento attivo ed

una soluzione creativa e personale dei problemi34

.

Il termine "promozionale" ribadisce il compito di attivazione, valorizzazione ed

utilizzo adeguato delle risorse dell'assistente sociale, in quanto il suo intervento si

33

Neve E., Il servizio sociali. Fondamenti e cultura di una professione, Carocci, Roma 2008 34

Fargion V. in Ferrario F., Dimensioni dell'intervento sociale. Un modello unitario centrato sul

compito, Carocci, Roma 1996

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22

deve concretizzare in un'azione con e non per l'utente, attraverso la creazione di

una relazione operatore- utente che sia dialogica e abilitante35

e che miri ad

attivare risorse esterne, relativamente al territorio, oltre che all'immediata

risoluzione del singolo caso. Quest'ottica di promozione delle risorse esterne è

strettamente collegata ad una altra funzione specifica dell'assistente sociale: la

prevenzione. Fermo restando la definizione di benessere come stato di salute oltre

che pisco-fisica anche socio- relazionale, campo d'azione privilegiato dei servizi

sociali diventa proprio il contesto ambientale. E', di fatto, il piccolo territorio il

terreno concreto in cui si manifestano i bisogni36

ed in cui ne vanno ricercate tanto

le radici e le cause scatenanti, quanto le risorse attive ed attivabili. Questo è il

terreno in cui i servizi possono agire ricostruendo una continuità tra cura,

prevenzione e riabilitazione all'interno di tutte quelle micro relazioni sociali,

istituzionali e comunitarie37

agenti in un territorio, tramite la progettazione e la

pianificazione, da parte dell'assistente sociale, di mirati interventi territoriali.

Altra funzione dell'assistente sociale è la concreta attenzione all'autoformazione

continua, che è diritto ma anche dovere coltivare.

Da quanto detto ricaviamo che, per quanto riguarda l'assistente sociale, gli

obiettivi qualificanti sono la connessione tra cura, prevenzione e riabilitazione,

tramite attività di ricerca sociale e programmazione degli interventi, la

connessione tra studio- ricerca e valutazione-azione per superare il lavoro "caso

per caso", il coordinamento e l'integrazione di interventi e risorse38

, con l'obiettivo

35

Ferrario F., Dimensioni dell'intervento sociale. Un modello uitario centrato sul compito,

Carocci, Roma 1996 36

Ossicini Ciolfi T., L'assistente sociale ieri, oggi e domani in La rivista di servizio sociale n. 2,

1980 37

Neve E., Servizio Sociale e controllo: i problemi aperti, SIARES studi e ricerche, Roma 1993 38

Neve E., Il servizio sociale. Fondamenti e cultura di una professione, Carocci, Roma 2008

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ultimo di sviluppare l'autonomia attraverso l'uso di risorse sia personali che

sociali, in un ottica di lettura globale e complessa del bisogno.

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24

CAPITOLO II

L'ASSISTENTE SOCIALE NELL'OPINIONE PUBBLICA

<<Eppure non c'è altra realtà fuori di questa, se non cioè nella forma

momentanea che riusciamo a dare a noi stessi, agli altri, alle cose.>>

L.Pirandello, Uno, nessuno e centomila

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25

2.1 La rappresentazione sociale dell'assistente sociale

Lo studio della vita quotidiana si incentra sul soggetto, sulle relazioni che

stabilisce con familiari, vicini, amici, colleghi e, su tutte quelle pratiche,

rappresentazioni e simbolizzazioni per mezzo delle quali organizza

incessantemente il suo rapporto con la società, con la cultura e con gli eventi39

. In

quest'ottica la realtà può essere definita come una costruzione sociale40

,

determinata dalle definizioni, o meglio rappresentazioni, soggettive e collettive,

continuamente scambiate all'interno del contesto sociale. Spesso infatti, la

rappresentazione sociale, sorta come strumento esemplificativo del concetto,

tende ad essere percepita e condivisa socialmente come la vera realtà del concetto

stesso41

. La teoria delle rappresentazioni sociali è stata al centro di numerosi studi.

Per primo, Durkheim conia il termine di rappresentazioni collettive, discostandole

e differenziandole dalle rappresentazioni individuali, rivelando l'aspetto simbolico

della vita sociale42

. E' una rappresentazione collettiva l'idea condivisa di un

concetto, piuttosto che il concetto stesso. Moscovici approfondisce gli studi di

Durkheim e definisce le rappresentazioni come sociali, ossia socialmente

elaborate e condivise, finalizzate a creare uno spazio di realtà comune ad un

determinato contesto sociale43

. Le rappresentazioni sociali sono delle entità

pressoché tangibili; esse vanno a identificare il legame tra opinioni, atteggiamenti,

stereotipi e pregiudizi nell'ambiente sociale in cui si formano. Jodelet, sul finire

del ventesimo secolo, perfeziona la definizione di rappresentazioni sociali,

39

Bimbi F. Capecchi V., Strutture e strategie della vita quotidiana, FrancoAngeli, Milano 1986 40

Berger P. Luckmann T., La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna 1969 41

Farr R.M. Moscovici S., Rappresentazioni Sociali, Il Mulino, Bologna 1989 42

Durkheim E., Le regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia, Edizioni di Comunità,

Milano 1979 43

Moscovici S., La Psychanalyse: son image et son public, PUF, Paris 1976

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soffermandosi sulla loro funzione organizzatrice e orientativa per l'individuo nel

sociale. Con il loro grande rilievo sociologico e psicologico, in definitiva, esse

hanno lo scopo di semplificare ciò che è complesso, rendere familiare ciò che è

inconsueto e sono indispensabili per favorire la socializzazione tramite la

facilitazione dei processi di comunicazione.

L' assistente sociale è un professionista che ancora oggi, a ben 27 anni dal suo

ufficiale riconoscimento giuridico in territorio italiano, lotta per una sua identità

specifica, costretto molte volte a difendersi, da un lato dalle altre professioni

d'aiuto con cui lavora in rete, dall'altro dall'opinione pubblica, spesso disinformata

e non curante.

L' assistente sociale è un po' come un iceberg: della sua professione spesso è

visibile solo la parte che emerge, la punta44

. Come la parte sommersa dell'iceberg

è ben sette volte più grande di quella emersa, allo stesso modo per la professione

la struttura portante resta sommersa e, con essa, tutto il bagaglio di studi,

conoscenze ed esperienze che ogni professionista porta con sé in qualunque

momento della propria carriera.

L' assistente sociale, infatti, nello sforzo continuo di equilibrare e realizzare i suoi

tre mandati (sociale, istituzionale e professionale), non riesce trovare un equilibrio

nelle mille sfaccettature che ne compongono l'identità, finendo per vedersi

rappresentato e pensato sempre in modo parziale, ripetitivo e superficiale, come

un professionista con ancora scarso credito sociale e istituzionale.

Nel corso degli ultimi 40 anni, in America, l'argomento della percezione sociale

dell'assistente sociale ha destato l'attenzione di molti ricercatori. Il primo studio

44

Allegri E., La rappresentazione dell'assistente sociale. Il lavoro sociale nel cinema e nella

narrativa - Carocci , Roma 2006

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27

compiuto a riguardo risale a Condie nel 1978. L'autore sottopose un questionario

su percezione, stereotipi e preferenza nelle richieste d'aiuto a 160 donne e 90

uomini tra i 18 ei i 76 anni. La ricerca rivelò che il campione era capace, in modo

molto marginale e riduttivo, di identificare i ruoli dell'assistente sociale45

. Nel

2004, Lecroy e Stinson, condussero uno studio similare a quello di Condie: i

ricercatori sottoposero ad un intervista telefonica un campione di 386 partecipanti,

per misurare la loro conoscenza sui servizi sociali, la loro percezione

dell'assistente sociale e per indagare sui perché della loro opinione. Dalla ricerca

ricavarono che gli intervistati con più di 25 anni avevano la stessa percezione del

servizio sociale e dell'assistente sociale identificata da Condie. Nella totalità, la

gran parte del campione identificava l'assistente sociale come una donna il cui

ruolo era quello di tutelare e difendere i minori. Lo studio dimostrò che la gente

era generalmente confusa circa i ruoli e le funzioni del servizio sociale, era solita,

invece, identificare l'assistente sociale nello stereotipo della donna protettrice di

bambini46

. Lecroy e Stinson, inoltre, paragonarono l'assistente sociale ad altre

professioni d'aiuto quali lo psicologo, lo psichiatra, l'infermiere, il counselor e la

guida religiosa, ottenendo dai risultati che l'infermiere era considerato come il più

importante dei mestieri d'aiuto, seguito dalla guida religiosa e dall'assistente

sociale. In ultimo, i due studiosi chiesero agli intervistati quanto sarebbe stata

positiva la loro reazione se un loro figlio avesse scelto di praticare una delle

suddette professioni d'aiuto. I risultati indicarono il servizio sociale all'ultimo

posto dopo tutte le altre professioni e le scienze infermieristiche al primo47

. Uno

45

Condie C. D. et al., How the public views social work, in Social Work 23-1, 1978 46

Lecroy C. Stinson E., The public's perception of social work: Is it what we think it is?, in Social

Work, 49-2, 2004 47

Ibid.

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28

studio più recente, compiuto da Dennison, Poole e Qaqish nel 2007, ricercò il

grado di conoscenza e di percezione del servizio sociale, misurando la

conoscenza, all'interno di un campione di 678 studenti tra i 18 ed i 25 anni, della

professione, dei ruoli professionali e delle aree lavorative proprie dell'assistente

sociale. La ricerca dimostrò che solo il 15 % del campione aveva una percezione

corretta e di alto livello del servizio sociale48

.

Per quanto riguarda l'Italia, non sono stati condotti ancora studi specifici

sull'argomento fatta salva la ricerca di Allegri riguardante il servizio sociale nel

cinema e nella narrativa, di cui parleremo a seguire. Detto ciò, in questa sede ci

sembra opportuno affrontare il discorso della rappresentazione sociale

dell'assistente sociale analizzando alcune ricerche effettuate sull'argomento

attraverso lo studio di fattori specifici dai quali essa trae origine: i media, gli

stereotipi e la mancanza di conoscenza.

2.2 L'assistente sociale ed i mass media

La società odierna può essere decisamente definita una società di massa. In

questa, i mass media giocano un ruolo fondamentale: permettono di entrare in

contatto con realtà vicine e lontane, possono raggiungere simultaneamente un

grandissimo numero di persone e, soprattutto, giocano un ruolo decisivo nel

processo di formazione delle rappresentazioni sociali. Il lato negativo è che

l'informazione trasmessa dai media può essere riduttiva e proporre, più o meno

frequentemente, rappresentazioni vittime della stereotipia49

. In campo americano,

48

Dennison S. Poole J. Qaquish B., Students' perceptions of social work: implication for

strengthening the image of social work among college students, in Social Work, 52-4, 2007 49

Losito G., Definizione e tipologia degli effetti a lungo termine, in Problemi dell'informazione, 3,

1988

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29

le ricerche a tal riguardo sono numerose. Due ricercatori, Reid e Meisner, nel

2001, compararono le rappresentazioni dell'assistente sociale presenti in 399

articoli di giornali di testate inglesi e statunitensi. Lo studio constatò che gli

assistenti sociali erano rappresentati positivamente nel 58% degli articoli

statunitensi, e solamente nel 13% degli articoli inglesi. Gli autori della ricerca

riscontrarono, inoltre, che quasi la totalità degli articoli sui servizi sociali non

compariva in prima pagina o in sezioni importanti dei giornali; le storie sui servizi

sociali sembravano dover ricevere minore attenzione rispetto alle altre notizie50

.

Freeman e Valentine, pochi anni dopo, effettuarono un'ulteriore ricerca

analizzando 44 film, risalenti al periodo tra il 1938 ed il 1998, con un assistente

sociale tra i personaggi protagonisti e non. Lo studio appurò che la

rappresentazione della professione che veniva fuori dai film che costituivano il

campione era generalmente insolita e imprecisa. Una buona parte dei film ritraeva

l'assistente sociale come una donna bianca eterosessuale che agiva in maniera

incerta, per fare del bene, impicciandosi, impugnando battaglie legali e crociate

perbeniste e conducendo investigazioni. In sostanza, i film non riuscivano a

tracciare un'immagine ampia e corretta dell'assistente sociale, dell'etica

professionale, del grosso raggio d'intervento dei servizi sociali e del loro ruolo nel

generare cambiamento51

. Ulteriore aspetto analizzato fu relativamente alla

rappresentazione dell'assistente sociale nei talk show. La studiosa Gibelman

condusse un'indagine servendosi di tre differenti show televisivi statunitensi; il

risultato fu un quadro nettamente caotico e poco esaustivo, anche se era proprio

50

Reid W. Meisner E., Social work in the press. A cross-national study, in International journal of

social welfare, 10-3, 2001 51

Freeman M. Valentine D., Through the eyes of hollywood: images of social workers in film, in

Social work, 49-2, 2004

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30

nei talk show che veniva, per la prima volta, trattata più realisticamente la

casistica relativa al lavoro dell'assistente sociale52

. Infine, Zugazaga, nel 2006, ha

esaminato, in maniera del tutto innovativa, la considerazione che gli stessi

assistenti sociali avevano dell'immagine che i mass media proponevano per

rappresentarli. La ricercatrice, valutando le dichiarazioni di 665 assistenti sociali

professionisti, concluse che questi ultimi sostenevano che i media lasciavano

molto più spazio a descrizioni e rappresentazioni negative del servizio sociale,

rispetto a quelle positive. Un consistente numero del campione degli intervistati

sosteneva che l'unico momento in cui i media presentavano un'immagine

maggiormente positiva dell'assistente sociale era correlato esclusivamente al

lavoro di cura53

.

In territorio italiano, l'unica importante ricerca è stata, sino ad oggi, condotta da

Elena Allegri che, attraverso un'attenta e dettagliata analisi di un campione di 41

testi mediali, 21 film e 20 romanzi, prodotti tra il 1954 ed il 2001, ha indagato la

rappresentazione che emergeva dai media dell'assistente sociale. Il campione

analizzato da Allegri è caratterizzato dalla netta prevalenza di testi mediali

statunitensi (45 %), con a seguire quelli inglesi (24 %) e quelli italiani (17,1 %), e

la rimanente percentuale a provenienza mista. Il genere di testo maggiormente

rappresentato è quello drammatico, seguito da quello a carattere biografico. Da

una prima analisi emerge che la professione nell'82% dei casi è rappresentata al

femminile, per un numero di 51 personaggi donne ed 11 personaggi uomini.

Sorprendentemente, una considerevole parte del campione, il 4o % circa, ha

52

Gibelman M., Television and the public image of social workers: portrayal or betrayal?, in

Social work 49-2, 2004 53

Zugazaga C., Social worker perceptions of the portrayal of the profession in the news and

entertainment media: an exploratory study, in Journal of social work education, 42-3, 2006

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31

connotazioni positive, mentre circa un 30 % del campione ha connotazione

negativa; la parte rimanente del campione ha connotazione neutra o ambigua, con

una piccolissima percentuale, l' 1,6 %, che ha connotazioni eroiche. Analizzando

l'aspetto esteriore che assumono i personaggi, emerge un'immagine media, di

persona comune, né gradevole né sgradevole dell'assistente sociale. La maggior

parte del campione si colloca in una fascia d'età compresa tra i 30 e i 45 anni, ha

origine europea ed appartiene ad un ceto sociale di livello medio- alto. La

tipologia di servizi più rappresentata è relativa al servizio sociale territoriale,

seguita da servizi svolti in una struttura pubblica o privata, e servizi sociali per i

minori. L'ambito di intervento prevalente è in campo minorile, una buona parte in

materia di adozioni ed affidi e, a seguire, troviamo problematiche riguardanti

adulti in difficoltà. Risulta qui evidente la tendenza a rappresentare l'assistente

sociale durante la realizzazione di interventi per i minori. Per ciò che riguarda

l'attività professionale prediletta dai testi mediali, essa è senza alcun dubbio il

colloquio, seguito dalla visita domiciliare. Poco, quasi per nulla, rappresentata è

l'attività di progettazione, gestione ed organizzazione specifica dell'assistente

sociale. Lo stile di comunicazione professionale che domina è definito

professionale/equilibrato, in 26 casi su 62, seguito da uno stile

burocratico/distaccato (14 casi), uno stile informale (13 casi) ed uno stile

scientifico (solo 5 casi). Concludendo, la studiosa definisce l'assistente sociale che

viene fuori dalla sua ricerca come un mediano54

, infatti, l'assistente sociale, nei

media analizzati, si identifica nel servizio sociale stesso, dimostrando raramente di

avere una propria personalità si riveste dei pregi e delle lacune del servizio,

54

Allegri E., Le rappresentazioni dell'assistente sociale. Il lavoro sociale nel cinema e nella

narrativa, Carocci, Roma 2006

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32

sottolineando la forte connessione tra politiche sociali ed operatori, col rischio,

talvolta, di trasmettere un'immagine del professionista annebbiata e mal celata

dietro il cattivo funzionamento del servizio per cui agisce.

2.3 L' assistente sociale e gli stereotipi

Uno stereotipo è definibile come un'opinione precostituita, su singoli o gruppi,

che prescinde dalla valutazione del singolo caso ed è frutto di un antecedente

processo di ipersemplificazione e di ipergeneralizzazione55

. Nella maggior parte

dei casi, quando si parla di stereotipo si fa riferimento agli stereotipi sociali, ossia

a credenze condivise da più persone che, spesso, peccano di erroneità o falsità.

Proprio perché uno stereotipo è la risultante di complessi processi di

esemplificazione condivisa della realtà, non è detto che esso sia una riproduzione

esatta della realtà. Ovviamente, anche alla figura dell'assistente sociale sono legati

degli stereotipi; è di questi ultimi che, gli attori di ogni contesto sociale si servono

per identificare e conoscere la professione. Secondo alcune ricerche statunitensi, i

due stereotipi che dominano la rappresentazione sociale dell'assistente sociale

sono la credenza che il servizio sociale sia una professione prettamente femminile

e che esso agisca esclusivamente per la tutela dei minori. Su tutti, lo studio di

McPhail risalente al 2004, ha scoperto che la gente percepiva che le donne, non

solo fossero di numero maggiore, ma che esse giocassero un ruolo più importante

nei servizi sociali. Lo studio della situazione reale, negli Stati Uniti, dei servizi

sociali nel 2004, però, era in contrasto con quest'ultima asserzione56

: anche se le

donne nei servizi sociali erano di numero maggiore, i vertici più alti della

55

Enciclopedia Treccani, L'enciclopedia italiana, s.v. "stereotipo" 56

McPhail B., Setting the record straight: social work is not a female dominated profession, in

Social work, 49-2, 2004

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33

piramide dei servizi, riguardanti la supervisione, la gestione e l'organizzazione di

questi, erano occupati, in gran parte, da uomini57

. L'altro stereotipo comune della

professione sociale riguarda il suo ruolo nella tutela dei minori. A tal riguardo,

può risultare significativo comparare i risultati delle due ricerche effettuate da

Condie58

e da Lecroy e Stinson59

, rispettivamente nel 1978 e nel 2004. Nel 1978 il

58 % del campione identificava l'assistente sociale come tutore di minori, nel

2004 tale percentuale è cresciuta fino al 91,3 %. Questi dati suggeriscono che,

almeno in territorio statunitense, lo stereotipo dell'assistente sociale come

difensore e tutore dei minori è cresciuto enormemente negli anni. La gente è

solita pensare che l'assistente sociale sia una donna che protegge i bambini e

questo ancora il servizio sociale tra le professioni di basso credito e di basso status

sociale. Fino a quando lo stereotipo continuerà a prevalere, l'assistente sociale ed

il servizio sociale stesso, continueranno ad essere percepiti come inferiori alle

altre professioni d'aiuto. Compito del servizio sociale, e sfida per gli operatori di

oggi e di domani, sarà proprio quello di agire con deontologia, metodo, etica e

professionalità, in modo tale da andare a modificare lo stereotipo esistente,

decostruendo l'immagine povera e scarnita che domina l'opinione pubblica, per

poi poter costruire un'immagine più nitida e solida dell'assistente sociale

professionista.

57

Ibid. 58

Condie C. D. et al., How the public views social work, in Social Work 23-1, 1978 59

Lecroy C. Stinson E., The public's perception of social work: Is it what we think it is?, in Social

Work, 49-2, 2004

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2.4 L'assistente sociale e la mancanza di conoscenza

L'assistente sociale, come menzionato nel primo capitolo, ha funzioni diverse,

ricopre molti ruoli e si muove all'interno di un vasto campo d'azione. Tutte queste

complessità rendono difficile la conoscenza e la corretta percezione dell'assistente

sociale da parte della collettività e, spesso, risulta complicato distinguere il

servizio sociale dalle altre professioni d'aiuto. L'assistente sociale, nel suo lavoro,

collabora e interagisce quotidianamente con professionisti quali il medico, lo

psicologo, lo psichiatra, l'infermiere, il mediatore, l'operatore sanitario ed altri

ancora, ed in questa relazione continua, capita di frequente che l'assistente sociale

non riesca ad essere ben identificato e distinto dagli altri professionisti. Nel 1993,

Gibelman esaminò il ruolo di tre professioni d'aiuto (l'assistente sociale, lo

psicologo, il counselor) all'interno di una realtà scolastica statunitense. Analizzò e

studiò i ruoli, le funzioni e gli impegni lavorativi di ognuno che erano tra loro

pressoché confinanti. Indagando, tramite questionari, le idee di amministrazione,

staff, studenti e genitori, scoprì che questi avevano serie difficoltà nell'identificare

le differenze tra le professioni ed i ruoli specifici di ognuna di esse all'interno

dell'istituto scolastico60

. Agresta, nel 2004, realizzò uno studio simile sulle tre

medesime professioni. Lo studioso somministrò questionari a psicologi, assistenti

sociali e counselor di diverse scuole americane, ponendosi l'obiettivo di

individuare la percezione che psicologi e counselor avevano degli assistenti

sociali, e così via. I risultati ottennero che la maggior parte dei professionisti che

lavoravano in collaborazione con un assistente sociale, avevano una buona

percezione ed una appropriata conoscenza di ruoli, scopi ed abilità proprie del

60

Gibelman M., School social workers, counselors and psychologists in collaboration: a shared

agenda, in Social work in education, 15-1, 1993

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35

servizio sociale61

. Da queste ricerche americane, quindi, vien fuori, da una parte

una grossa difficoltà della gente ad identificare e riconoscere le caratteristiche

dell'assistente sociale, d'altra parte una buona capacità di ritrarre l'assistente

sociale, nelle sue specificità lavorative, da parte di altri professionisti con cui

l'assistente sociale collabora quotidianamente. E' da ciò che possiamo dedurre la

considerevole parte che gioca l'assistente sociale stesso nel riuscire a farsi

conoscere e riconoscere correttamente dalle persone e dalle comunità con cui

viene a contatto nel corso della sua esperienza professionale.

61

Agresta J., Professional role perceptions of school social workers, psychologists and counselors,

in Children and School, 26-3, 2004

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CAPITOLO III

LA RICERCA

<<E' meglio avere dubbi che false certezze.>>

L.Pirandello, Uno, nessuno e centomila

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37

3.1 Le fonti della ricerca

La ricerca che ci apprestiamo a presentare è uno studio esplorativo sulla

percezione dell'assistente sociale e del servizio sociale. La ricerca è stata effettuata

tramite il metodo di ricerca dell'inchiesta standard, mediante l'utilizzo dello

strumento del questionario auto- compilato, a risposta chiusa, a rilevazione

individuale e restituzione vincolata. La tecnica di campionamento scelta è quella

random e, attraverso quest'ultima, si è giunti all'individuazione di un campione

significativo e casuale.

La fonti della ricerca sono da individuarsi, innanzitutto, nello studio di Lecroy e

Stinson, effettuato nel 2004, al fine di misurare la percezione pubblica

dell'assistente sociale. I due studiosi predisposero un sondaggio che analizzava: la

percezione, gli stereotipi, la rappresentazione sociale della professione ed il

rapporto del servizio sociale con le altre professioni d'aiuto. Il sondaggio

prevedeva sette sezioni, per un totale di 51 domande; esso includeva, inoltre,

un'ottava sezione per raccogliere le informazioni anagrafiche relative al

compilante. Lecroy e Stinson decisero di effettuare il sondaggio telefonicamente:

definirono un campione rappresentativo nazionale composto da 386 partecipanti e

sottoposero questi ultimi ad un'intervista telefonica62

. Lo strumento così ideato da

Lecroy e Stinson, approvato della comunità scientifica statunitense, è stato più

volte utilizzato e riadattato a nuovi contesti da numerosi ricercatori.

Il più interessante dei riadattamenti è, a nostro dire, quello intrapreso dal giovane

ricercatore Veigel che, nel 2009, contestualizzò la ricerca di Lecroy e Stinson al

62

Lecroy C. Stinson E., The public's perception of social work: Is it what we think it is?, in Social

Work, 49-2, 2004

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38

fine di definire la percezione che genitori e tutori degli alunni di una scuola

elementare del Texas avevano dell'assistente sociale63

. Dallo studio di Veigel

prende le mosse la ricerca da noi realizzata.

La ricerca è stata realizzata da Veigel tramite la somministrazione di un

questionario ad un campione casuale formato da 146 genitori e tutori della Morton

Elementary School di Arlington in Texas. Il campione era il 63,4 % rappresentato

da donne in una fascia d'età compresa tra i 18 ed i 78 anni, il 39 % costituito da

persone sposate, il 74 % da persone che non avevano conseguito una laurea, il

25,9 % erano afro- americani, il 32,9 % americani con radici europee ed il 21,7 %

erano persone provenienti dall' America Latina. Inoltre, il 66,4 % del campione

aveva avuto contatti con un assistente sociale. I risultati ottenuti da Veigel

mostrarono che la maggior parte degli intervistati affermava che il servizio sociale

aveva un impatto positivo sulla comunità, che esso giocava un ruolo importante

nella risoluzione dei problemi sociali e che fosse una professione d'aiuto

prevalentemente al femminile; forti incertezze suscitava la definizione del servizio

sociale come scienza. Per quanto riguarda il ruolo dell'assistente sociale, il

campione dimostrava un livello di conoscenza discreto di compiti e funzioni

proprie della professione, con dubbi elevati per quanto concerneva l'idoneità

dell'assistente sociale a somministrare test psicologici, ad allontanare

arbitrariamente minori dal nucleo familiare, a praticare lavori di gruppo e terapie

individuali. Una percentuale elevata, il 91 % del campione, considerava

l'assistente sociale come un tutore di minori. Relativamente alle richieste d'aiuto,

l'assistente sociale risultava essere il professionista preferito per quanto riguarda

63

Veigel R., Community perception of social workers, 2009

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39

l'intervento in quattro aree problematiche su sei: abuso di minori, violenza

domestica, minori orfani e bullismo. Lo psichiatra risultava, invece, preferito per

interventi in caso di minori a rischio e tossicodipendenze. In comparazione alle

altre professioni, l'assistente sociale conquistava il secondo posto in grado di

importanza, dopo l'infermiere, precedendo lo psicologo, lo psichiatra, la figura

religiosa ed il counselor. Ultimo elemento indagato riguardava le fonti della

percezione: l'esperienza di un conoscente risultava essere la fonte di maggiore

influenza e, a seguire, la televisione e la conoscenza di un assistente sociale64

.

3.2 Il disegno della ricerca

Come già precisato la ricerca realizzata prende le mosse dallo studio del

ricercatore texano Veigel. Si è trattato di un'indagine di opinione, di tipo

trasversale e occasionale, realizzata mediante la somministrazione di un

questionario auto- compilato. La progettazione dell'indagine ha avuto luogo da

febbraio a maggio 2014, contestualmente all'individuazione degli strumenti di

ricerca e all'acquisizione dei dati utili disponibili a priori. La rilevazione dei dati è

avvenuta durante i mesi di giugno e luglio 2014 ed, a seguire, nei mesi di agosto,

settembre ed ottobre 2014 è avvenuto il trattamento e l'analisi dei dati con la

successiva interpretazione dei risultati. Obiettivo fondamentale della ricerca è

stato quello di indagare la percezione che le persone, in questo preciso caso gli

studenti dell'università di Cassino, hanno della figura dell'assistente sociale e del

servizio sociale stesso. E' stata scelta come popolazione-obiettivo quella

studentesca poiché ci è sembrato interessante analizzare opinioni e livello di

conoscenza di una porzione di popolazione, a noi alquanto vicina, che dovrebbe

64

Veigel R., Community perception of social workers, 2009

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40

possedere un grado di istruzione medio- alto e che costituirà la vasta classe di

professionisti con cui gli assistenti sociali di domani dovranno confrontarsi nella

quotidiana realtà sociale e politico-istituzionale. L'indagine intendeva analizzare

la percezione dell'assistente sociale ed i meccanismi alla base di tale percezione,

le dinamiche di attivazione delle richieste d'aiuto, il ruolo percepito come proprio

dell'assistente sociale, la considerazione del servizio sociale e la sua rilevanza nell'

odierna società.

3.3 La popolazione- obiettivo

La popolazione obiettivo dell'indagine è costituita dagli studenti dell'università

degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale. L' ateneo conta circa 10.500

studenti iscritti sui seguenti dipartimenti: economia e giurisprudenza, ingegneria,

lettere e lingue, scienze umane, sociali e della salute. I dipartimenti gestiscono, in

totale, 13 corsi di laurea triennale, 17 di laurea magistrale, 1 corso di laurea a ciclo

unico, 4 master e 8 corsi di dottorato. Tra i corsi di laurea triennale appartenenti al

dipartimento di scienze umane, sociali e della salute, l'ateneo gestisce un corso di

laurea in servizio sociale: questo corso di laurea, essendo parte integrante del

percorso formativo dell'assistente sociale, è stato escluso dall'indagine.

3.4 Il campionamento

La rilevazione, considerata la dimensione relativamente grande della popolazione

obiettivo, circa 10.500 unità, è di tipo campionario. Un'indagine di tipo

campionario è stata preferita ad una di tipo censuario, soprattutto, per i costi più

limitati e la maggiore tempestività. E' definibile come campione un insieme di

unità selezionate dall'intera unità di una popolazione statistica, che offra

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41

un'immagine delle caratteristiche della popolazione di cui è parte. La procedura di

campionamento utilizzata è di tipo non probabilistico; tramite una tecnica di

campionamento accidentale e di convenienza è stato individuato un campione

significativo della popolazione universitaria. Il campione (tabella n. 1) risulta

composto da 150 unità di cui il 50 % uomini e 50 % donne. Inoltre, il 30 % del

campione è rappresentato da studenti iscritti ad un corso di studio di economia, il

19,3 % da studenti di giurisprudenza, il 16 % da studenti iscritti a lettere e lingue,

il 12,7 % da iscritti presso un corso di scienze della formazione, l'11,3 %

appartenenti a scienze motorie, il 10,7 % da studenti di ingegneria. Per quanto

riguarda le fasce d'età rappresentate, la fascia più consistente risulta essere quella

di studenti di età compresa tra i 22 ed i 25 anni, il 46,6 % del campione. A seguire

la fascia d'età 18- 21 anni che costituisce il 35,3 % del campione. Percentuale

minore, 10,7 %, di appartenenti alla fascia d'età 26- 39 anni e, per concludere, il

restante 7,4 % è rappresentato da studenti con età superiore ai 30 anni.

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42

Tabella n. 1

Caratteristiche del campione

Caratteristiche n. %

Genere

Maschio 75 50,0

Femmina 75 50,0

Età

18-21 53 35,3

22-25 70 46,6

26-29 16 10,7

>30 11 7,4

Corso di studio

Economia 45 30,0

Giurisprudenza 29 19,3

Ingegneria 16 10,7

Lingue e Lettere 24 16,0

Scienze della formazione 19 12,7

Scienze motorie 17 11,3

Anno di corso

1° 38 25,3

2° 25 16,7

3° 46 30,7

4° 17 11,3

5° 10 6,7

Altro 14 9,3

3.5 La tecnica di indagine

La rilevazione è stata realizzata con la tecnica di indagine face-to-face e P&P

(pencil and paper), mediante un questionario cartaceo auto-compilato, anche detto

auto-somministrato, caratterizzato, quindi, dall'assenza di un intervistatore; per ciò

che riguarda l'intervistato, quest'ultimo scrive le risposte su un modello pre-

esistente, che viene poi restituito al ricercatore. L'auto-compilazione tende ad

essere una tecnica più veloce e facile da eseguire, in più, un questionario di questo

tipo risulta essere più economico e rapido da somministrare e garantisce l'assenza

di influenza da parte dell'intervistatore. La scelta dell'auto-compilazione è stata

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dettata dai contenuti del questionario, che prevedevano numerose batterie di item

volte a misurare opinioni e percezioni dell'intervistato. Inoltre, per evitare

eventuali problemi di basso tasso di risposta, il questionario somministrato è stato

pensato a restituzione vincolata e rilevazione individuale, ossia esso è stato

consegnato dal ricercatore all'intervistato per venire, in seguito, ritirato dal

ricercatore stesso. Per ridurre al minimo anche il problema dei rifiuti alla

compilazione, è stato data molta attenzione al momento iniziale, in cui avveniva il

contatto con l'intervistato che decideva se collaborare o meno. Al fine di rendere

massima la collaborazione è stato importante insistere sull'anonimato delle

risposte e sugli obiettivi dello studio, sottolineando l'importanza di ogni singola

collaborazione. Per quanto riguarda la forma delle domande del questionario è

stata scelta la tipologia di domanda a risposta chiusa, in modo da facilitare la

codifica e semplificare la modalità di risposta rendendola riflessiva ma rapida. I

numerosi item sono stati pensati e realizzati con varie modalità di risposta a

seconda dell'argomento specificamente trattato: con vero/falso, con giudizi di

frequenza, con giudizi di intensità e con scale Likert.

3.6 Il questionario

Il questionario strutturato dell'indagine è organizzato in 7 sezioni, più un'ottava

sezione contenente i dati anagrafici del compilante. La prima sezione, relativa al

ruolo dell'assistente sociale, si concretizza in un'elencazione di ruoli a cui

l'intervistato deve rispondere con vero/falso. La seconda sezione è un proseguo

della prima, e presenta affermazioni sul ruolo dell'assistente sociale a cui

l'intervistato deve rispondere tramite vero/falso. La terza sezione indaga il

funzionamento della richiesta d'aiuto relativamente a sei aree problematiche:

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abuso minorile, violenza domestica, minori a rischio, tossicodipendenze, minori

orfani e bullismo. Attraverso una scala di giudizi di frequenza, che va dall'1 (mai)

al 4 (sempre), all'intervistato è richiesto di identificare l'attinenza, a ciascuna

problematica, di quattro figure caratteristiche dei processi d'aiuto (psicologo,

assistente sociale, psichiatra, figura religiosa). Nella quarta sezione del

questionario è esplorata la percezione della figura dell'assistente sociale tramite

l'elencazione di affermazioni a cui l'intervistato deve rispondere tramite una scala

Likert che va da "in completo disaccordo" a "completamente d'accordo". La

quinta sezione indaga i fattori che influenzano l'opinione degli intervistati

sull'assistente sociale; tramite una scala con giudizi di intensità, l'intervistato

definisce che importanza hanno avuto nella formazione della sua idea riviste, libri,

tv, film, conoscenza diretta, quotidiani, approccio ad un servizio, esperienza di un

conoscente ed altro. Con la sesta sezione l'attenzione passa sul servizio sociale;

attraverso una scala Likert, identica a quella proposta nella sezione 4,

all'intervistato è chiesto di rendere nota la sua posizione relativamente ad

affermazioni sulla natura del servizio sociale. La settima sezione del questionario

mira ad analizzare il grado di influenza positiva che il compilante attribuisce alle

diverse figure operanti nei processi d'aiuto, mediante l'utilizzo di una scala con

giudizio di intensità che va da "niente" a "molto". L'ultima sezione del

questionario, infine, vuole raccogliere dati del compilante quali il genere, l'età, il

corso di studio e l'anno di corso a cui è iscritto.

3.7 L'analisi dei dati

La registrazione e l'analisi dei dati sono state effettuate tramite l'utilizzo del

software Epi Info, un software statistico di dominio pubblico creato dai Centers

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45

for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta (USA) e diffuso dall’OMS

attivamente in tutto il mondo per mettere a disposizione pratiche e tecniche

dell’epidemiologia. Epi Info esiste da più di 20 anni ed è continuamente

aggiornato per la compatibilità con Microsoft Windows, la versione in questo

studio utilizzata è la 3.3. Il programma è uno strumento giudicato unanimemente

flessibile e versatile per condurre indagini, raccogliere dati e condurre analisi di

qualsiasi base di dati65

.

65

Andrew G. Dean, MD, MPH, Svati P. Shah, MPH, Jeanetta E. Churchill, MS Computer-

Assisted Instruction in Epidemiology and Computing and a Framework for Creating New

Exercises Am J Prev Med, 1998

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46

CAPITOLO IV

I RISULTATI

<<Una realtà non ci fu data e non c'è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo

essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e

infinitamente mutabile.>>

L.Pirandello, Uno, nessuno e centomila

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47

4.1 I risultati: considerazioni sulla professione

Nelle sezioni IV e VI del questionario, tramite una serie di dieci item inerenti la

professione, si è voluta indagare la considerazione che l'intervistato ha

dell'assistente sociale e del servizio sociale. Durante la fase di analisi dei dati è

stata calcolata la frequenza in termini di percentuale delle risposte ed è stata

riportata nella tabella n. 2 e nella tabella n. 3.

Tabella n. 2

Sezione IV

In completo

disaccordo

In

disaccordo

Incerto D’accordo Completamente

d’accordo

% % % % %

L’A.S. è un buon

consulente

2,0 6,0 27,3 56,0 8,7

L’A.S. lavora per il

bene comune

3,3 5,3 24,0 56,0 11,3

L’Italia necessita di

più A.S.

6,7 9,3 40,7 28,7 14,7

L’A.S. è coinvolto

emotivamente

12,0 16,0 38 27,3 6,7

La maggioranza degli

A.S. sono donne

9,3 16,0 33,3 31,3 10,0

L’A.S. è una persona

che non potrebbe

accedere ad altri

lavori

27,3 32,7 22,7 8,0 9,3

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Tabella n. 3

Sezione VI

In completo

disaccordo

In

disaccordo

Incerto D’accordo Completamente

d’accordo

% % % % %

Il Servizio Sociale è

una scienza

18,7 27,3 30,7 22,7 0,7

Il Servizio Sociale ha

un ruolo importante

nel risolvere le

questioni sociali

4,0 6,7 10,0 61,3 18,0

Il Servizio Sociale ha

un impatto positivo

sulla comunità

4,0 4,7 18,0 57,3 16,0

Considero il Servizio

Sociale come

l’autentica

professione d’aiuto

6,0 10,7 22,7 48,0 12,7

In entrambe le sezioni, IV e VI, del questionario la percentuale di risposte

caratterizzate da incertezza è significativa, infatti, dalla tabella n. 2 possiamo

notare che la percentuale del campione che si è dichiarato "incerto" si mantiene

sempre tra il 22,7 % ed il 40,7 % e, nella tabella n. 3, varia da un 10 % minimo ad

un 30,7 % massimo. Il campione risulta avere grosse incertezze riguardo la natura

del servizio sociale e dell'assistente sociale stesso: il 30,7 % del campione non sa

dichiararsi né in accordo né in disaccordo con l'affermazione "Il servizio sociale è

una scienza", il 22,7 % si definisce incerto nel rispondere all'item "Considero il

servizio sociale come l'autentica professione d'aiuto", il 38 % degli intervistati non

sa se l'assistente sociale è coinvolto emotivamente ed il 24 % non sa definire se

l'assistente sociale lavora per il bene comune. La popolazione intervistata ha

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elevati dubbi sull' esistenza di una necessità di un maggior numero di assistenti

sociali in territorio italiano (il 40,7 % si dichiara "incerto") e sul definire la

professione come prevalentemente al femminile, anche se, in quest'ultimo caso, il

campione tende comunque a privilegiare risposte concordi ( il 33,3 % degli

intervistati si dichiara "incerto", il 31,3 % "d'accordo"). L'immagine dell'assistente

sociale che prevale in queste due sezioni analizzate è quella di un professionista

con buone capacità di consulenza (il 56 % del campione si dichiara d'accordo con

l'affermazione "L'assistente sociale è un buon consulente") e che lavora per il bene

comune (nonostante la buona percentuale di risposte "incerto", il 56 % del

campione si dichiara "d'accordo"). La gran parte del campione, inoltre, si dichiara

"in disaccordo" (il 32,7 %) o "in completo disaccordo" (il 27,3 %), con

l'affermazione che definisce l'assistente sociale come una persona che non

potrebbe accedere ad altri lavori. Quest'ultimo è un dato di grande rilevanza

poiché segnala un prevalente abbandono della visione del servizio sociale come

lavoro di ripiego. Il campione ritiene che il servizio sociale abbia un ruolo

importante nel risolvere le questioni sociali (il 61,3 % si dichiara "d'accordo"),

inoltre si ritiene che esso abbia un impatto positivo sulla comunità (con il 57,3 % "

d'accordo" ed il 16 % "completamente d'accordo") ed è definito dalla maggioranza

degli intervistati (il 48 % più il 12,7 %) come l'autentica professione d'aiuto.

Grandi difficoltà, invece, sussistono nel riconoscere il servizio sociale come una

scienza: oltre ad un alto tasso di incertezza, già precedentemente citato,

prevalgono posizioni in disaccordo con l'affermazione (il 27,3 % del campione è

in disaccordo ed il 18,7 % è completamente in disaccordo).

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4.2 I risultati: il ruolo dell'assistente sociale

Il ruolo della professione è indagato nelle sezioni I e II del questionario. Queste

due sezioni sono formate da una serie di item contenenti ruoli e affermazioni sul

ruolo, per un totale di 21 item, ai quali il campione doveva attribuire un giudizio

vero/falso. Le percentuali rinvenute dall'analisi delle risposte del campione sono

state raccolte nelle sottostanti tabelle n. 4 e n. 5.

Tabella n. 4

Sezione I

Vero Falso

Ruolo % %

Agente di cambiamento sociale 54,0 46,0

Consulente legale 22,7 77,3

Terapeuta di gruppo 62,0 38,0

Responsabile amministrativo 16,0 84,0

Psicoterapeuta 44,0 56,0

Operatore di comunità 87,3 12,7

Tutore dei minori 78,7 21,3

Psichiatra 20,0 80,0

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Tabella n. 5

Sezione II

Vero Falso

Ruolo % %

L’A.S. lavora con persone di

ogni classe sociale

91,3 8,7

L’A.S. risulta essere una

grande risorsa nei momenti di

necessità

87,3 12,7

La gran parte degli A.S. sono

donne

44,7 55,3

Responsabilità primaria

dell’A.S. è aver cura del

benessere delle persone

80,7 19,3

L’A.S. può somministrare test

psicologici

58,7 41,3

L’A.S. aiuta le persone ad

usufruire dei servizi socio-

sanitari nazionali

70,0 30,0

L’A.S. può imporre

l’allontanamento di un minore

dal nucleo familiare di origine

71,3 28,7

Il lavoro principale dell’A.S. è

finalizzato alla prevenzione

62,7 37,3

L’A.S. si occupa di minori

“problematici”

85,3 14,7

Il lavoro di gruppo è uno dei

servizi più offerti dall’A.S.

52,0 48,0

L’A.S. si occupa di terapie

familiari

69,3 30,7

L’A.S. è facilitatore di

cambiamento

59,3 40,7

L’A.S. può praticare terapie

individuali

61,7 38,3

Il campione risulta avere una conoscenza marginale del ruolo dell'assistente

sociale. I compilanti identificano l'assistente sociale nel ruolo di terapeuta di

gruppo (il 62 %), di operatore di comunità (l' 87,3 %) e di tutore dei minori (il

78,7 %), rispondendo, invece, "falso" per i ruoli di consulente legale ( il 77,3 %),

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responsabile amministrativo ( l' 84 %) e psichiatra (l' 80 %). Dubbi emergono

riguardo i ruoli di agente di cambiamento (il 46 % del campione risponde "falso")

e di psicoterapeuta (con il 44 % di risposte "vero") lasciando trasparire ancora una

grossa mancanza di conoscenza della professione, nonostante il campione

intervistato sia iscritto presso un università che tra i corsi che offre ne annovera

uno in servizio sociale. Nella tabella n. 5, relativa alla sezione II del questionario,

sono contenuti item con affermazioni inerenti il ruolo; l'immagine dell'assistente

sociale che viene fuori dall'osservazione dei dati di questa tabella è di un

professionista che lavora con persone di ogni classe sociale (il 91, 3 % risponde

"vero"), che risulta essere una grande risorsa nei momenti di difficoltà (l' 87,3 %

di risposte "vero"), che si occupa della cura del benessere delle persone (con l'

80,7 % di risposte affermative), aiutandole a usufruire dei servizio socio-sanitari

nazionali (per il 70 % del campione) . Inoltre, l'assistente sociale, secondo il 71,3

% del campione può imporre l'allontanamento di un minore, per il 62, 7 % lavora

per la prevenzione e per l' 85, 3 % si occupa di minori a rischio. Il 69,3 % degli

intervistati sostiene che l'assistente sociale si occupi di terapie familiari ed una

percentuale simile, il 61,7 %, sostiene che lo stesso pratichi anche terapie

individuali. Il campione si spacca in due riguardo la facoltà dell'assistente sociale

di somministrare test psicologici e di praticare lavoro di gruppo, infatti la

frequenza di risposte "vero" e di risposte "falso" differisce di pochi punti

percentuali per entrambi gli item (58,7 % di risposte "vero" contro 41,3 % "falso"

per i test psicologici e 52 % "vero" contro 48 % "falso" per il lavoro di gruppo). Il

campione ha ulteriori difficoltà ad identificare l'assistente sociale come facilitatore

di cambiamento, infatti, il 40,7 % risponde "falso" all'affermazione "L'assistente

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sociale è facilitatore di cambiamento". Questo dato, confrontato con i risultati

ottenuti dai precedenti studi similari da cui la nostra ricerca prende spunto, risulta

particolarmente allarmante, discostandosi di molto dai risultati ottenuti da Veigel.

E' confermata, anche qui, l'incertezza nel definire il servizio sociale come una

professione prevalentemente al femminile, il 55,3 % del campione risponde

"falso" contro il 44, 7 % che risponde "vero".

4.3 I risultati: le dinamiche delle richieste d'aiuto

Il momento della richiesta d'aiuto è indagato nella sezione III del questionario.

Attraverso l'elencazione di 6 aree problematiche è stato richiesto al compilante di

identificare tra le 4 figure proposte (psicologo, assistente sociale, psichiatra, figura

religiosa) quale avrebbe interpellato, con una scala a 4 valori("mai", "quasi mai",

"quasi sempre", "sempre") per ciascuna occasione. Per una maggiore facilità di

lettura, i risultati (nella tabella n. 6) saranno presentati attraverso le medie

ponderate ricavate per ognuna delle figure d'aiuto in ognuna delle aree

problematiche.

Tabella n. 6

Sezione III

Psicologo Assistente sociale Psichiatra Figura religiosa

Richiesta d’aiuto M M M M

Minori abusati 3,34 3,02 2,62 1,55

Violenza domestica 3,40 3,07 2,80 1,52

Minori a rischio 3,05 3,28 2,45 1,64

Tossicodipendenze 3,20 2,91 2,75 1,64

Minori orfani 2,80 3,32 2,30 1,84

Bullismo 3,24 2,96 2,41 1,60

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Da una prima osservazione della tabella salta subito all'occhio che lo psicologo e

l'assistente sociale sono le figure predilette in ogni situazione, infatti la media

ponderata per entrambi ruota sempre intorno al 3 (ossia "quasi sempre") in una

scala con un massimo di 4 ("sempre"). A seguire lo psichiatra (con una media che

varia tra 2 e 3) e, solo ultima, la figura religiosa che si mantiene per ogni

problematica in una media tra il "mai" ed il "quasi mai" (tra 1 e 2). Lo psicologo è

preferito all'assistente sociale, in situazioni concernenti l'abuso di minori (dove

guadagna una media di 3,34 contro 3,02 dell'assistente sociale), in problematiche

riguardanti episodi di violenza domestica (con 3,40 per lo psicologo e 3,07 per

l'assistente sociale), in materia di tossicodipendenze ( 3,20 contro 2,91) e di

bullismo (3,24 contro 2,96). L'assistente sociale, invece, supera, seppur di pochi

punti, lo psicologo in problematiche inerenti i minori orfani ( 3,32 per l'assistente

sociale contro una media di 2,80 per lo psicologo) e i minori a rischio (una media

per il primo di 3,28 opposta ad una 3,05 per il secondo). Focalizzandoci,

esclusivamente, sull'assistente sociale i valori restano, in media, di poco superiori

al 3, valore equivalente al "quasi sempre", localizzandosi al di sotto di tale valore

in situazioni problematiche inerenti a tossicodipendenze ( 2,91 ) e bullismo (2,96).

4.4 I risultati: la rilevanza della professione

La rilevanza della professione rispetto alle altre figure tipiche del processo d'aiuto

e di cura è stata analizzata nella sezione VII del questionario attraverso l'utilizzo

di una scala di giudizio di intensità a 4 valori ("niente", "poco", "abbastanza",

"molto"). I risultati sono stati organizzati in due tabelle, tabella n. 7 e tabella n. 8,

contenenti, l'una la media ponderata dei risultati, l'altra la frequenza in termini

percentuali di ogni risposta.

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Tabella n. 7

Sezione VII

Figure M

Psicologo 3,12

Psichiatra 2,74

Assistente sociale 3,03

Infermiere 3,11

Mediatore 2,57

Figura religiosa 2,12

Tabella n. 8

Sezione VII

Niente Poco Abbastanza Molto

Figure % % % %

Psicologo 5,3 15,3 41,3 38,0

Psichiatra 7,3 29,3 45,3 18,0

Assistente sociale 4,0 16,7 51,3 28,0

Infermiere 4,7 18,7 37,3 39,3

Mediatore 10,0 37,3 38,0 14,7

Figura religiosa 38,7 24,7 22,7 14,0

Dalla tabella n. 7 possiamo notare che il campione tende ad attribuire rilevanza

maggiore allo psicologo (con la media più elevata pari a 3,12), seguito

dall'infermiere (media di 3,11) e dall'assistente sociale (con 3,03). In quarta

posizione risulta collocarsi lo psichiatra (2,74), quinto il mediatore (2,57) ed in

ultima posizione, in ordine di rilevanza secondo gli intervistati, la figura religiosa

(2,12). Nella tabella n. 8 sono elencate le frequenze in percentuali per ogni

risposta; l'infermiere ottiene la percentuale di risposte "molto" più alta (il 39,3 %

del campione), di poco superiore a quella dello psicologo (il 38 %). L'assistente

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sociale ha la percentuale di risposte "abbastanza" più elevata (il 51,3 %),

mantenendosi ad un 28 % di risposte "molto". Il 45,3 % del campione dichiara che

ha "abbastanza" rilevanza anche lo psichiatra. Per il valore "poco" la frequenza in

percentuale maggiore è relativa al mediatore (37,3 %), con a seguire psichiatra

(29,3 %) e figura religiosa (24,7 %). Gli intervistati rispondono "niente" al 38,7 %

per la figura religiosa, ancorandola così all'ultima posizione in ordine di rilevanza

comunitaria.

4.5 I risultati: i fattori che influenzano l'opinione

Nella sezione V del questionario abbiamo voluto individuare quali fossero i fattori

che maggiormente influenzano l'opinione espressa dal campione. Con una serie di

nove item, riguardanti i diversi fattori di influenza, all'intervistato è stato chiesto

di attribuire ad ognuno un valore da una scala con giudizio di intensità tra " non

influenzato", "poco influenzato", "parzialmente influenzato", " abbastanza

influenzato", "influenzato molto". I risultati sono stati raccolti in due tabelle,

tabella n. 9 e tabella n. 10, volte a mostrare la media ponderata relativa ad ogni

fattore indagato e le percentuali per ogni risposta data.

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Tabella n. 9

Sezione V

M

Riviste 1,80

Libri 2,38

TV 3,04

Film 2,96

La conoscenza di un’A.S. 2,67

Quotidiani 2,69

L’approccio ad un servizio 2,44

L’esperienza di un conoscente 2,92

Altro 1,92

Tabella n. 10

Sezione V

Non

influenzato

Poco

influenzato

Parzialmente

influenzato

Abbastanza

influenzato

Influenzato

molto

% % % % %

Riviste 50,0 28,0 16,7 2,7 2,7

Libri 30,7 24,0 27,3 12,0 6,0

TV 12,0 22,0 30,7 20,7 14,7

Film 15,3 20,0 32,7 16,7 15,3

La conoscenza di

un A.S.

35,3 11,3 18,0 21,3 14,0

Quotidiani 20,0 22,7 32,0 18,7 6,7

L’approccio ad

un servizio

32,0 24,7 20,0 14,0 9,3

L’esperienza di

un conoscente

23,3 14,0 25,3 22,0 15,3

Altro 59,3 12,7 12,7 6,7 8,7

Dalla tabella n. 9 possiamo trarre la conclusione che i fattori di maggiore

influenza, risultano essere, nel successivo ordine: la tv (con una media di 3,04 su

un massimo di 5), i film (con 2,96) e l'esperienza di un conoscente (con 2,92). A

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seguire troviamo i quotidiani (con media di 2,69), la conoscenza di un assistente

sociale (2,67), l'approccio ad un servizio (2,44) ed i libri (2,38), in coda, con

valori discretamente bassi, il fattore "altro" (1,92) e le riviste (1,80). Nessuno

degli item suggeriti nel questionario ha raggiunto una media ponderata alta, ossia

superiore al 4. Osservando la tabella n. 10, con le frequenze percentuali, tra i

fattori che si reputa abbiano "influenzato molto" troviamo, anche se con

percentuali non elevate, i film ( 15,3 %), l'esperienza di un conoscente (15,3 %) e

la tv (14,7 %). Tra i fattori che il campione reputa che lo abbiano "abbastanza

influenzato", si ripropone in vetta l'esperienza di un conoscente (22 %), seguita

dalla conoscenza di un assistente sociale (21,3 %) e dalla tv (20,7 %). Tra i fattori

che gli intervistati definiscono come fattori che hanno "parzialmente influenzato"

il loro giudizio abbiamo film (con un 32,7 %), quotidiani ( 32 %) e tv (30,7 %).

Hanno invece poca influenza, secondo gli intervistati, le riviste (28 %) ed i libri

(24 %) e, non hanno alcuna influenza, sempre in termini percentuali, i fattori non

elencati raggruppati sotto il campo "altro" (59,3 %) e le riviste (50 %).

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CAPITOLO V

CONCLUSIONI

<<La realtà che ho io per voi è nella forma che voi mi date; ma è realtà per voi e

non per me; la realtà che voi avete per me è nella forma che io vi do; ma è realtà

per me e non per voi; e per me stesso io non ho altra realtà se non nella forma

che riesco a darmi. E come? Ma costruendomi, appunto.>>

L.Pirandello, Uno, nessuno e centomila

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60

5.1 Discussione dei risultati

Nel campione intervistato in questa indagine, la percezione dell'assistente sociale

e del servizio sociale è generalmente positiva. Una buona parte degli intervistati

rigettano gli stereotipi negativi tipici della professione: ad esempio, lo stereotipo

dell'assistente sociale donna. I risultati dello studio indicano che gli iscritti

all'università di Cassino hanno una buona percezione del servizio sociale,

dichiarando che esso, in quanto professione d'aiuto, ha impatto positivo sulla

comunità e ruolo decisivo nel risolvere le questioni sociali. L'assistente sociale

viene percepito come un buon consulente che lavora per il bene comune.

Appaiono, però, ancora visibili vuoti di conoscenza percepibili nelle alte

percentuali di risposte incerte. I risultati, inoltre, suggeriscono ancora un'evidente

difficoltà delle persone a delimitare i campi d'azione dell'assistente sociale ed

incertezze significative compaiono anche nella delimitazione del ruolo

dell'assistente sociale. Il campione risulta restio a definire l'assistente sociale come

agente di cambiamento sociale ed, ancor più rigidamente, respinge la definizione

del servizio sociale come una scienza. Queste considerazioni erronee ci lasciano

intendere che, seppur passi avanti sono stati fatti, la professione ancora stenta a

farsi conoscere nella sua vera natura, e l'assistente sociale spesso è confuso con la

figura dello psicoterapeuta. Per quanto riguarda la percezione del ruolo

dell'assistente sociale, la popolazione intervistata risulta avere una visione

abbastanza completa della professione, seppur ancora non del tutto limpida e

chiara: anche per quanto riguarda i ruoli, l'assistente sociale non è ancora

percepito come facilitatore di cambiamento. L'assistente sociale è percepito,

largamente, come un professionista che lavora con persone di ogni classe sociale e

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che interviene in ogni momento di difficoltà per la salvaguardia del benessere

delle persone; esso si occupa di minori problematici e ha il potere di imporre

l'allontanamento del minore dal nucleo familiare d'origine. Una consistente parte

del campione, inoltre, è a conoscenza dell'importanza dell'intervento

dell'assistente sociale nell'aiutare le persone ad usufruire dei servizi socio-sanitari

nazionali, e nell'individuare strategie di prevenzione. Compaiono incertezze

relativamente ai metodi e gli strumenti del servizio sociale: ad esempio sulla

possibilità di somministrare test psicologici e sull'utilizzo del lavoro di gruppo.

L'immagine che emerge è quella di una professione ancora giovane che fatica a

farsi conoscere nella sua dinamicità e nel suo operare quotidiano; nonostante il

campione dimostri di avere la capacità di individuare per grandi linee il lavoro

dell'assistente sociale, esso mostra incertezze e lacune nelle delimitazione delle

specificità della professione. Commentando i risultati ottenuti nella sezione della

ricerca che indagava le dinamiche delle richieste d'aiuto, possiamo notare che c'è,

sicuramente, una buona tendenza ad interpellare l'assistente sociale, ma che,

spesso e volentieri, esso è, comunque, scavalcato dallo psicologo, figura, a quanto

pare, più affermata e riconosciuta. Buona, in generale, la tendenza che il campione

mostra nel ritenere, l'assistente sociale, un professionista capace di intervenire in

tutte le aree problematiche elencate, inoltre, possiamo notare una più marcata

tendenza a scegliere l'assistente sociale come figura prediletta d'aiuto in casi

relativi alle problematiche concernenti i minori. L'indagine sulla rilevanza,

percepita dal campione, delle diverse figure d'aiuto, pone l'assistente sociale in

terza posizione, immediatamente dopo lo psicologo e l'infermiere; questo dato

conferma i risultati rinvenuti anche dai precedenti studi americani. La sezione del

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62

questionario volta ad individuare i fattori di influenza dell'opinione pubblica, ci

permette di capire che i fattori maggiormente influenzanti sono la tv, i film ed i

quotidiani; da ciò, risulta condivisa la conclusione dello studio di Allegri, in

materia di film e narrativa, che denota, in linee generali, una buona

rappresentazione sociale dell'assistente sociale, seppur incompleta e superficiale,

che non descrive le specificità della professione66

. Di importanza rilevante per la

formazione dell'opinione personale risulta essere anche l'esperienza diretta: si

colloca al terzo posto l'esperienza di un conoscente, al quinto la conoscenza di un

assistente sociale ed al sesto l'approccio ad un servizio. Questo dato sottolinea

quanto sia importante il ruolo dell'assistente sociale stesso nel formare ed

influenzare l'opinione della comunità sulla professione e sui servizi. Tirando le

somme, risulta essere importante per la percezione pubblica, tanto la

comunicazione di massa e quindi, il modo in cui i mass media rappresentano

l'assistente sociale, tanto l'esperienza diretta, ossia il terreno in cui è l'assistente

sociale stesso il protagonista ed il fautore della propria rappresentazione.

5.2 Limiti della ricerca

Lo studio ha alcuni limiti: il campione è relativamente piccolo ed il metodo di

campionatura è non probabilistico. Inoltre, il campione non è rappresentativo della

popolazione studentesca a cui ci si è rivolti, ma unicamente significativo: i corsi di

studio non sono rappresentati in egual misura essendo stata la rilevazione random.

Il questionario è stato proposto esclusivamente in lingua italiana, tenendo, quindi,

fuori dall'indagine, studenti in corso di Erasmus o appartenenti a similari progetti

66

Allegri E., La rappresentazione dell'assistente sociale. Il lavoro sociale nel cinema e nella

narrativa - Carocci , Roma 2006

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63

di scambio internazionale. Inoltre, la scelta di una tecnica di indagine face- to-

face, con questionario cartaceo a restituzione vincolata, ha tenuto fuori dalla

ricerca la maggior parte degli studenti non frequentanti. Il questionario auto-

compilato pone, inoltre, il problema dell'attendibilità delle risposte, essendo esse

date senza il controllo diretto dell'intervistatore. La rilevazione dei dati, avvenuta

nei mesi di giugno e luglio 2014, è stata effettuata, secondo una rotazione ciclica,

in ognuna delle sedi dell'università di Cassino, ma, tale rotazione non assicura la

rappresentatività in egual misura di tutti i corsi attivi presso i numerosi

dipartimenti.

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APPENDICE A:

Il questionario

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APPENDICE B:

Le maschere per il trattamento dati di Epi Info

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APPENDICE C:

Le tabelle di raccolta dati

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Tabella n. 1:

Caratteristiche n. %

Genere

Maschio 75 50,0

Femmina 75 50,0

Età

18-21 53 35,3

22-25 70 46,6

26-29 16 10,7

>30 11 7,4

Corso di studio

Economia 45 30,0

Giurisprudenza 29 19,3

Ingegneria 16 10,7

Lingue e Lettere 24 16,0

Scienze della formazione 19 12,7

Scienze motorie 17 11,3

Anno di corso

1° 38 25,3

2° 25 16,7

3° 46 30,7

4° 17 11,3

5° 10 6,7

Altro 14 9,3

Tabella n. 2:

In completo

disaccordo

In

disaccordo

Incerto D’accordo Completamente

d’accordo

% % % % %

L’A.S. è un buon

consulente

2,0 6,0 27,3 56,0 8,7

L’A.S. lavora per il

bene comune

3,3 5,3 24,0 56,0 11,3

L’Italia necessita di

più A.S.

6,7 9,3 40,7 28,7 14,7

L’A.S. è coinvolto

emotivamente

12,0 16,0 38 27,3 6,7

La maggioranza degli

A.S. sono donne

9,3 16,0 33,3 31,3 10,0

L’A.S. è una persona

che non potrebbe

accedere ad altri

lavori

27,3 32,7 22,7 8,0 9,3

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Tabella n. 3:

In completo

disaccordo

In

disaccordo

Incerto D’accordo Completamente

d’accordo

% % % % %

Il Servizio Sociale è

una scienza

18,7 27,3 30,7 22,7 0,7

Il Servizio Sociale ha

un ruolo importante

nel risolvere le

questioni sociali

4,0 6,7 10,0 61,3 18,0

Il Servizio Sociale ha

un impatto positivo

sulla comunità

4,0 4,7 18,0 57,3 16,0

Considero il Servizio

Sociale come

l’autentica

professione d’aiuto

6,0 10,7 22,7 48,0 12,7

Tabella n. 4:

Vero Falso

Ruolo % %

Agente di cambiamento sociale 54,0 46,0

Consulente legale 22,7 77,3

Terapeuta di gruppo 62,0 38,0

Responsabile amministrativo 16,0 84,0

Psicoterapeuta 44,0 56,0

Operatore di comunità 87,3 12,7

Tutore dei minori 78,7 21,3

Psichiatra 20,0 80,0

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Tabella n. 5:

Vero Falso

Ruolo % %

L’A.S. lavora con persone di

ogni classe sociale

91,3 8,7

L’A.S. risulta essere una

grande risorsa nei momenti di

necessità

87,3 12,7

La gran parte degli A.S. sono

donne

44,7 55,3

Responsabilità primaria

dell’A.S. è aver cura del

benessere delle persone

80,7 19,3

L’A.S. può somministrare test

psicologici

58,7 41,3

L’A.S. aiuta le persone ad

usufruire dei servizi socio-

sanitari nazionali

70,0 30,0

L’A.S. può imporre

l’allontanamento di un minore

dal nucleo familiare di origine

71,3 28,7

Il lavoro principale dell’A.S. è

finalizzato alla prevenzione

62,7 37,3

L’A.S. si occupa di minori

“problematici”

85,3 14,7

Il lavoro di gruppo è uno dei

servizi più offerti dall’A.S.

52,0 48,0

L’A.S. si occupa di terapie

familiari

69,3 30,7

L’A.S. è facilitatore di

cambiamento

59,3 40,7

L’A.S. può praticare terapie

individuali

61,7 38,3

Tabella n. 6:

Psicologo Assistente sociale Psichiatra Figura religiosa

Richiesta d’aiuto M M M M

Minori abusati 3,34 3,02 2,62 1,55

Violenza domestica 3,40 3,07 2,80 1,52

Minori a rischio 3,05 3,28 2,45 1,64

Tossicodipendenze 3,20 2,91 2,75 1,64

Minori orfani 2,80 3,32 2,30 1,84

Bullismo 3,24 2,96 2,41 1,60

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Tabella n. 7:

Figure M

Psicologo 3,12

Psichiatra 2,74

Assistente sociale 3,03

Infermiere 3,11

Mediatore 2,57

Figura religiosa 2,12

Tabella n. 8:

Niente Poco Abbastanza Molto

Figure % % % %

Psicologo 5,3 15,3 41,3 38,0

Psichiatra 7,3 29,3 45,3 18,0

Assistente sociale 4,0 16,7 51,3 28,0

Infermiere 4,7 18,7 37,3 39,3

Mediatore 10,0 37,3 38,0 14,7

Figura religiosa 38,7 24,7 22,7 14,0

Tabella n. 9:

M

Riviste 1,80

Libri 2,38

TV 3.04

Film 2,96

La conoscenza di un’A.S. 2,67

Quotidiani 2,69

L’approccio ad un servizio 2,44

L’esperienza di un conoscente 2,92

Altro 1,92

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Tabella n. 10:

Non

influenzato

Poco

influenzato

Parzialmente

influenzato

Abbastanza

influenzato

Influenzato

molto

% % % % %

Riviste 50,0 28,0 16,7 2,7 2,7

Libri 30,7 24,0 27,3 12,0 6,0

TV 12,0 22,0 30,7 20,7 14,7

Film 15,3 20,0 32,7 16,7 15,3

La conoscenza di

un’A.S.

35,3 11,3 18,0 21,3 14,0

Quotidiani 20,0 22,7 32,0 18,7 6,7

L’approccio ad

un servizio

32,0 24,7 20,0 14,0 9,3

L’esperienza di

un conoscente

23,3 14,0 25,3 22,0 15,3

Altro 59,3 12,7 12,7 6,7 8,7

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