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L'alba su NIereurio, 10 volte più luminosa di quella terrestre, è an- nunciata dai brillamenti della corona solare che si innalzano sull'oriz- zonte, illuminando i pendii della scarpata Discovery (a destra). Nel cielo sono visibili un pianeta azzurro e il suo satellite. (Questa illustra- zione si basa sui dati raccolti dalla missione Mariner 10.) '5,21tAk "Ist ^T, T • ,;;;•nI I pianeta più vicino al Sole, Mercurio, è un mondo di estremi. Fra tutti gli oggetti condensati dalla nebulosa presolare, si è formato alle temperature più elevate. Il suo giorno, dall'alba al crepuscolo, è il più lungo del sistema solare, pari a 176 giorni terrestri: è anzi più lungo dell'anno stesso di Mercurio. Quando il pianeta è al perielio, il suo mo- to è così veloce che un osservatore situato sulla superficie ve- drebbe il Sole fermarsi nel cielo e tornare indietro; quando poi la rotazione di Mercurio colma lo svantaggio, il Sole sembra avanzare di nuovo. Durante il giorno, la superficie raggiunge i 700 kelvin, la temperatura più elevata di tutti i pianeti del sistema solare (e più che sufficiente per fondere il piombo); la faccia notturna si trova invece a soli 100 kelvin (quanto basta per congelare il cripto). Queste bizzarrie rendono Mercurio eccezionalmente inte- ressante per gli astronomi, oltre a opporre ostacoli particolar- mente ardui all'esplorazione scientifica. Le sue proprietà estreme fanno si che sia molto difficile inserirlo in uno sche- ma generale dell'evoluzione del sistema solare. In un certo senso, le insolite caratteristiche di Mercurio costituiscono una verifica impegnativa e sensibile delle teorie astronomiche. E tuttavia, pur essendo uno dei corpi celesti più vicini alla Ter- ra assieme al nostro satellite, Marte e Venere, è il pianeta di cui sappiamo meno, a parte il remoto Plutone. Molti aspetti di Mercurio - la sua origine ed evoluzione, il suo peculiare campo magnetico, la sua atmosfera rarefatta, il suo nucleo probabilmente liquido e la sua densità notevolmente elevata - rimangono oscuri. Mercurio è molto luminoso, ma è così lontano che i primi astronomi non riuscivano a distinguere alcun particolare della Mercurio: il pianeta dimenticato Benché sia uno dei corpi celesti più vicini alla Terra, questo strano mondo rimane in gran parte sconosciuto di Robert M. Nelson

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L'alba su NIereurio, 10 volte più luminosa di quella terrestre, è an-

nunciata dai brillamenti della corona solare che si innalzano sull'oriz-zonte, illuminando i pendii della scarpata Discovery (a destra). Nelcielo sono visibili un pianeta azzurro e il suo satellite. (Questa illustra-zione si basa sui dati raccolti dalla missione Mariner 10.)

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I pianeta più vicino al Sole, Mercurio, è un mondo diestremi. Fra tutti gli oggetti condensati dalla nebulosa presolare, si è formato alle temperature più elevate. Ilsuo giorno, dall'alba al crepuscolo, è il più lungo del sistemasolare, pari a 176 giorni terrestri: è anzi più lungo dell'annostesso di Mercurio. Quando il pianeta è al perielio, il suo mo-to è così veloce che un osservatore situato sulla superficie ve-drebbe il Sole fermarsi nel cielo e tornare indietro; quandopoi la rotazione di Mercurio colma lo svantaggio, il Solesembra avanzare di nuovo. Durante il giorno, la superficieraggiunge i 700 kelvin, la temperatura più elevata di tutti ipianeti del sistema solare (e più che sufficiente per fondere ilpiombo); la faccia notturna si trova invece a soli 100 kelvin(quanto basta per congelare il cripto).

Queste bizzarrie rendono Mercurio eccezionalmente inte-

ressante per gli astronomi, oltre a opporre ostacoli particolar-mente ardui all'esplorazione scientifica. Le sue proprietàestreme fanno si che sia molto difficile inserirlo in uno sche-ma generale dell'evoluzione del sistema solare. In un certosenso, le insolite caratteristiche di Mercurio costituiscono unaverifica impegnativa e sensibile delle teorie astronomiche. Etuttavia, pur essendo uno dei corpi celesti più vicini alla Ter-ra assieme al nostro satellite, Marte e Venere, è il pianeta dicui sappiamo meno, a parte il remoto Plutone. Molti aspettidi Mercurio - la sua origine ed evoluzione, il suo peculiarecampo magnetico, la sua atmosfera rarefatta, il suo nucleoprobabilmente liquido e la sua densità notevolmente elevata -rimangono oscuri.

Mercurio è molto luminoso, ma è così lontano che i primiastronomi non riuscivano a distinguere alcun particolare della

Mercurio:il pianeta dimenticato

Benché sia uno dei corpi celesti più vicini alla Terra,questo strano mondo rimane in gran parte sconosciuto

di Robert M. Nelson

ORBITE RELATIVE DEI PIANETI TERRESTRI(gradi di inclinazione rispetto all'eclittica)

Caratteristiche basilari

Mercurio è il pianeta più interno del sistema s

lare e ha un'orbita fortemente eccentrica einclinata. Ruota molto lentamente intorno al proprioasse, sicché un giorno di Mercurio equivale a 176giorni terrestri, ed è quindi più lungo dell'anno stes-so del pianeta (che è di 88 giorni terrestri). La vici-nanza al Sole e la lunga durata del giorno si combi-nano nel far sì che Mercurio abbia le temperaturepiù elevate di tutto il sistema solare.

Esso ha una superficie rocciosa e cosparsa d'crateri, ed è un poco più grande della Luna. Ha undensità eccezionale per le sue dimensioni, il cheimplica l'esistenza di un nucleo ferroso molto gran-de. Oltre a ciò, il campo magnetico è intenso, er,questo fa pensare che il nucleo sia in parte liquido.Dato che un pianeta così piccolo avrebbe dovutoraffreddarsi abbastanza rapidamente da essere or-mai del tutto solido, queste scoperte sollevano que-5stioni sulla sua origine, e anche su quella di tutto ilsistema solare.

Il campo magnetico di Mercurio forma una ma-gnetosfera intorno al pianeta, che scherma parzial-mente la superficie dai protoni dell'intensissimo•vento solare; la tenue atmosfera è costituita daparticelle sottratte al vento solare o espulse dallasuperficie.

Nonostante i molti enigmi di Mercurio, esso èstato avvicinato da una sola sonda, Matiner 10.

DIMENSIONI RELATIVE DEI PIANETI TERRESTRI

MERCURIO VENERE TERRA LUNA MARTE

ITA DEI PIANETI TERRESTRI

I

MERCURIO

LIDEL CAMPOMAGNETICO

MISSIGNI DIRETTE Al PIANETI TERRESTRI

MARTE(1,85)

VENERE(3,39)

TERRA (0)

I ' CE2ILINIPAGGIOORBITER/SONDA

LANDER AVVICINAMENTO LUNA MARTE VENERE MERCURIO

MAGNETOSFERA DI MERCURIO

RAGGIO(MIGLIAIA DI CHILOMETRI)

superficie; potevano solo seguirne i movimenti nel cielo. Essendo il più inter-no dei pianeti, Mercurio, visto dalla Terra, non si allontana mai più di 27 gradidal Sole (un angolo inferiore a quello formato dalle lancette di un orologio chesegna l'una). Può quindi essere visto solo di giorno - ma la luce solare diffusarende difficile l'osservazione - oppure prima dell'alba e dopo il tramonto,quando il Sole è appena al di sopra dell'orizzonte. In questi momenti, però,Mercurio è molto basso nel cielo e la sua luce deve attraversare uno spessoredi aria turbolenta anche 10 volte maggiore di quando si trova direttamente sul-la verticale. I migliori telescopi a terra possono vedere solo strutture su Mer-curio aventi dimensioni maggiori di alcune centinaia di chilometri: una risolu-zione molto più scadente di quella che si ha guardando la Luna a occhio nudo.

Nonostante questi ostacoli, le ricerche da terra hanno prodotto risultati inte-ressanti. Nel 1955 un gruppo di astronomi eseguì osservazioni con il radardella superficie del pianeta; misurando lo spostamento Doppler nella frequen-za delle onde riflesse, essi ricavarono il periodo di rotazione, pari a 59 giorni.Fino a quel momento si riteneva che il periodo di rotazione fosse di 88 giorni -identico all'anno - e che Mercurio rivolgesse sempre la stessa faccia verso ilSole. Il semplice rapporto due a tre fra la durata del giorno e quella dell'annodi Mercurio è sorprendente. Il processo attraverso cui il pianeta, che all'inizioruotava molto più velocemente, si è bloccato in questo rapporto è ancora oscu-ro, anche se forse legato alla dissipazione di energia per effetti mareali.

I nuovi osservatori con base nello spazio, come lo Hubble Space Telesco-pe, non sono disturbati dalla turbolenza atmosferica, e si potrebbe pensareche siano gli strumenti ideali per studiare Mercurio. Purtroppo Hubble, co-me molti altri sensori collocati nello spazio, non può essere puntato su Mer-curio perché i raggi del vicinissimo Sole potrebbero accidentalmente dan-neggiare i sensibili strumenti ottici di bordo.

L'unico altro metodo di indagine è inviare una sonda, ma solo una volta unveicolo spaziale ha compiuto questo viaggio: Mariner 10 si è avvicinato aMercurio negli anni settanta nel corso di una missione più ampia per l'esplora-zione del sistema solare interno. In quell'occasione il rendez-vous non è statoun problema banale. Puntare direttamente nel «pozzo» di potenziale gravita-zionale del Sole era impossibile; la sonda doveva deviare intorno a Venere al-lo scopo di perdere energia gravitazionale e quindi rallentare a sufficienza perl'incontro con Mercurio. L'orbita di Mariner 10 intorno al Sole ha permessotre avvicinamenti a Mercurio: il 29 marzo 1974, il 21 settembre 1974 e il 16marzo 1975. La sonda ha ripreso immagini di circa il 40 per cento di Mercu-rio, mostrando una superficie fortemente craterizzata che, a prima vista, appa-riva simile a quella della Luna. Purtroppo le immagini diedero l'erronea im-pressione che Mercurio differisse assai poco dal nostro satellite, a parte ilfatto di trovarsi casualmente in una regione diversa del sistema solare. Diconseguenza esso è divenuto il grande dimenticato del programma spazialestatunitense. Ci sono state oltre 40 missioni dirette verso la Luna, 20 versoVenere e circa 15 verso Marte. Alla fine del prossimo decennio una veraflotta di sonde sarà in orbita intorno a Venere, Marte, Giove e Saturno, e in-vierà a terra informazioni dettagliate su questi pianeti e sui loro dintorni permolti anni a venire. Ma Mercurio rimarrà in gran parte inesplorato.

Estata la missione Mariner 10 a portare la conoscenza scientifica diMercurio da quasi zero al livello attuale. Il complesso di strumenti a

bordo della sonda ha fornito circa 2000 immagini, con una risoluzione effet-tiva di circa 1,5 chilometri, ossia paragonabile a quella delle fotografie dellaLuna realizzate con un grande telescopio a terra. Tuttavia queste immaginisono relative a una sola faccia di Mercurio; l'altra non è mai stata vista.

Misurando l'accelerazione della sonda nel campo gravitazionale sorpren-dentemente intenso del pianeta, è stata confermata una delle caratteristiche piùpeculiari di Mercurio: la sua elevata densità. Negli altri pianeti di tipo terrestre(ossia non gassosi) - Venere, Luna, Marre e Terra - il rapporto fra densità ediametro ha un andamento pressoché lineare. I più grandi (la Terra e Venere),sono molto densi, mentre la Luna e Marte hanno una densità inferiore. Mercu-rio è poco più grande della Luna, ma la sua densità è tipica di un corpo delledimensioni della Terra. Questa osservazione fornisce un indizio molto impor-tante sull'interno di Mercurio. Gli strati esterni dei pianeti terrestri sono costi-tuiti da materiali relativamente leggeri, quali rocce silicatiche; a profonditàmaggiori la densità aumenta, per la compressione dovuta agli strati di rocciasovrastanti e la composizione differente del materiale interno. Il nucleo ad altadensità dei pianeti terrestri è probabilmente composto in gran parte di ferro.

Mercurio potrebbe quindi avere il nucleo metallico più grande, relativa-

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La zona agli antipodi di Caloris è notevolmente caotica, con rilievi e fratture dovutiall'impatto avvenuto sulla faccia opposta del pianeta. Il cratere Petrarca (al centro) fucreato da una collisione assai più recente, come indica la scarsità di crateri più piccolisul suo fondo piatto. Questo impatto fu abbastanza violento da fondere la roccia, chefluì attraverso un canale lungo 100 chilometri fino a inondare un cratere vicino.

MATERIALEESPULSO,

MANTELLO

ONDE DISUPERFICIE

ZONE COLLINOSEE ACCIDENTATE

Il cratere Caloris si formò quando una gigantesca me-teorite colpì Mercurio 3,6 miliardi di anni fa. Le onded'urto si irradiarono per il pianeta dando origine aformazioni collinose e accidentate sulla faccia oppo-sta. Il bordo di Caloris, mostrato nella fotografia, ècostituito da onde concentriche solidificatesi dopol'impatto. Il fondo del cratere, di circa 1300 chilome-tri di diametro, è costellato di crateri più piccoli.

mente alle sue dimensioni, fra tutti i pianeti terrestri. Questascoperta ha suscitato un vivace dibattito su origine ed evolu-zione del sistema solare. Gli astronomi suppongono che tutti ipianeti si siano condensati quasi simultaneamente dalla nebu-losa solare; se questa premessa è vera, allora vi sono tre pos-sibili spiegazioni del perché Mercurio è così speciale. In pri-mo luogo, la composizione della nebulosa solare potrebbe es-sere stata drasticamente diversanella zona dell'orbita di Mercu-rio (molto più di quanto preve-dano i modelli teorici). Oppureil Sole avrebbe potuto emetteretanta energia, ai primordi del si-stema solare, da vaporizzare edespellere dalle proprie vicinanzegli elementi più volatili, di bas-sa densità. Infine, un oggetto dimassa molto elevata avrebbe po-tuto collidere con Mercurio po-co dopo la sua formazione, va-porizzando i materiali meno den-si. I dati finora raccolti non sonosufficienti per decidere a favoredi una di queste possibilità.

Stranamente, un'accurata ana-lisi delle immagini di Mariner10 e laboriose osservazioni spet-troscopiche condotte da terranon sono riuscite a rilevare nep-pure tracce di ferro nelle roccedella crosta di Mercurio. L'ap-parente scarsità di ferro in su-perficie contrasta nettamentecon la sua presunta abbondanzanell'interno del pianeta. Il ferroè presente nella crosta terrestreed è stato rilevato spettroscopi-camente nelle rocce della Luna e

di Marre. Perciò Mercurio potrebbe essere l'unico pianeta delsistema solare interno ad avere tutto il ferro concentrato nelnucleo, mentre la crosta sarebbe costituita solo da silicati dibassa densità. È possibile che Mercurio sia rimasto allo statofuso così a lungo che gli elementi pesanti sono tutti ricadutiverso il centro, proprio come in un forno di fusione le goccio-line di ferro si separano scendendo al di sotto delle scorie.

Mariner 10 scoprì anche cheMercurio ha un campo magne-tico più intenso rispetto a tut-ti gli altri pianeti del sistemasolare interno, con l'eccezionedella Terra. Il campo magneti-co terrestre è generato dalla cir-colazione nel nucleo di metallifusi che conducono corrente, inun processo di dinamo autoali-mentata. Se il campo magne-tico di Mercurio ha un'origi-ne analoga, allora anche questopianeta deve possedere un nu-cleo allo stato fuso.

Ma questa ipotesi solleva unpiccolo problema. Gli oggettipiccoli come Mercurio hannoun rapporto elevato fra area su-perficiale e volume; pertanto, aparità di altri fattori, i corpi piùpiccoli irradiano più veloce-mente la propria energia nellospazio. Se Mercurio avesse unnucleo interamente di ferro, co-me implicano l'elevata densitàe l'intenso campo magnetico,allora questo nucleo avrebbedovuto raffreddarsi e diventa-re solido milioni di anni fa. Main un nucleo solido non si può

mantenere una dinamo magnetica chesi autoalimenti.

Questa contraddizione fa pensare chenel nucleo del pianeta siano presenti al-tri materiali capaci di abbassare la tem-peratura di solidificazione del ferro fi-no al punto in cui questo può rimanereliquido anche a temperature relativa-mente basse. Lo zolfo - un elemento ab-bondante nell'universo - è un possibilecandidato. In effetti i modelli recentiprevedono che il nucleo di Mercurio siacostituito da ferro solido, ma circonda-to da un guscio liquido di ferro e zolfoa 1300 kelvin. Questa soluzione del pa-radosso rimane tuttavia speculativa.

Una volta che una superficie planeta-ria è sufficientemente solidificata, puòpiegarsi quando una sollecitazione vie-ne applicata continuativamente su lun-ghi periodi, oppure può fratturarsi co-me vetro se sottoposta a un impatto re-pentino. Dopo la sua formazione, quat-tro miliardi di anni fa circa, Mercuriofu bombardato da grandi meteoriti chespezzarono la fragile crosta e liberaro-no torrenti di lava. Più recentemente,collisioni meno violente hanno causatoaltri flussi lavici. Questi impatti devonoaver liberato abbastanza energia da fon-dere la superficie oppure devono averraggiunto strati liquidi più profondi. Lasuperficie di Mercurio è segnata da e-venti verificatisi dopo la solidificazionedello strato esterno.

Gli esperti di geologia planetaria han-no tentato di ricostruire la storia diMercurio in base a queste strutture su-perficiali, ma senza disporre di informazioni precise sullerocce che costituiscono la superficie. L'unico modo per de-terminare l'età assoluta è la datazione radiometrica di cam-pioni (ma finora non ne possediamo alcuno). I geologi si ser-vono però di metodi ingegnosi per attribuire età relative, perlo più basati sul principio della sovrapposizione: una strutturache sovrasta o taglia un'altra struttura deve essere più recentedi quest'ultima. Questo principio è particolarmente utile perstabilire le età relative dei crateri.

Mercurio ha diversi grandi crateri che sono circondati da

anelli concentrici multipli di colline e valli. Gli anellihanno probabilmente avuto origine quando una collisionemeteoritica ha causato onde d'urto che si sono propagate ver-so l'esterno - come accade se si lancia un sasso nell'acqua -solidificandosi poi sul posto. Caloris, un colosso di 1300 chi-lometri di diametro, è il più grande di questi crateri. L'eventoche lo ha prodotto ha dato origine a un bacino piatto al qualesi è sovrapposta una serie più recente di impatti minori. Datauna stima della frequenza di collisioni sul pianeta, la distribu-zione dimensionale di questi crateri indica che l'impatto cheformò Caloris avvenne probabilmente circa 3,6 miliardi dianni fa; abbiamo così un punto di riferimento cronologico. Lacollisione fu tanto violenta da sconvolgere la superficie sullato opposto di Mercurio: la zona agli antipodi di Caloris pre-senta molte fratture e faglie.

La superficie di Mercurio è inoltre percorsa da strutture li-neari di origine ignota, che hanno un'orientazione preferen-ziale nord-sud, nordest-sudovest e nordovest-sudest e pren-dono il nome di «griglia di Mercurio». Una possibile spiega-

zione per queste strutture «a scacchiera» è che la crosta si siasolidificata quando il pianeta ruotava molto più velocementedi oggi e il giorno era forse di sole 20 ore. A causa della rota-zione molto rapida, Mercurio aveva senza dubbio un rigon-fiamento equatoriale; quando poi assunse il periodo attuale,la gravità lo rimodellò in una forma più sferica. Le strutturelineari presumibilmente comparvero allorché la superficie siadattò a questo cambiamento; esse non tagliano il cratere Ca-loris, a dimostrazione del fatto che esistevano già quando av-venne l'impatto.

Via via che il periodo di rotazione di Mercurio si abbrevia-va, il pianeta si stava anche raffreddando, e quindi le partiesterne del nucleo si solidificavano. Il conseguente restringi-mento probabilmente ridusse l'area superficiale di circa unmilione di chilometri quadrati e diede origine a una rete di fa-glie, evidenziate da una serie di scarpate o scogliere ricurveche attraversano tutta la superficie di Mercurio.

Rispetto alla Terra, dove l'erosione ha livellato la maggiorparte dei crateri, Mercurio, Marte e la Luna hanno superficimolto più intensamente craterizzate. Inoltre, su questi tre pia-neti, i crateri hanno una distribuzione dimensionale simile,tranne per il fatto che quelli di Mercurio tendono a essere unpo' più grandi. Molto probabilmente gli oggetti che colpironoMercurio avevano una velocità superiore rispetto a quelli checaddero sugli altri pianeti terrestri. Questo è l'andamento chesi può prevedere nel caso i proiettili si trovassero in orbita el-littica intorno al Sole, dato che la loro velocità sarebbe statamaggiore nella zona dell'orbita di Mercurio che non più lon-tano dalla stella. È quindi possibile che questi corpi rocciosiappartenessero tutti alla medesima famiglia, che presumibil-

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SCARPATA DISCOVERY

La scarpata Discovery (la lunga linea irregolare visibile nella fotografia adestra) si estende per 500 chilometri e in alcuni punti raggiunge l'altezza di duechilometri. È una delle molte faglie di compressione che percorrono la superfi-cie di Mercurio e che probabilmente si formarono quando il nucleo del pianetasi solidificò in parte e si contrasse. Come conseguenza la crosta dovette ripie-garsi per adattarsi a un'area superficiale più piccola; questo processo compor-ta lo scivolamento di una sezione di crosta al di sopra di un'altra, con forma-zione di una faglia di compressione.

mente ebbe origine nella fascia degli aste-roidi. Viceversa, i satelliti di Giove hannocrateri con una distribuzione dimensionaledifferente, a indicazione del fatto che en-trarono in collisione con un gruppo distin-to di oggetti.

ì 1 campo magnetico di Mercurio è abba-stanza intenso da intrappolare particelle

cariche, come quelle che fanno parte delvento solare. Il campo magnetico formauna barriera, o magnetosfera, che è unaversione in miniatura di quella che circon-da la Terra. La magnetosfera si modificacostantemente in risposta all'attività sola-re, e quella di Mercurio, essendo di dimen-sioni minori, può variare molto più rapida-mente di quella terrestre. Reagisce quindivelocemente al vento solare, che alla di-stanza di Mercurio dal Sole è 10 volte piùdenso che nei pressi del nostro pianeta.

Il violentissimo vento solare bombardaincessantemente la faccia illuminata diMercurio. Il campo magnetico è appenasufficiente a impedire al vento di raggiun-gere la superficie, tranne quando il Sole ènelle fasi più attive del proprio ciclo oquando Mercurio si trova al perielio. In questi periodi il ventosolare colpisce la superficie, e i suoi protoni altamente energe-tici staccano materiale dalle rocce della crosta. Le particellecosì espulse possono venire intrappolate dalla magnetosfera.

Un oggetto caldo come Mercurio non può tuttavia conserva-re un'atmosfera apprezzabile, perché le molecole di gas tendo-no a superare la velocità di fuga dal pianeta. Qualsiasi quantitàsignificativa di materiale volatile si formi su Mercurio va benpresto perduta nello spazio. Per questa ragione si è ritenuto alungo che il pianeta fosse del tutto privo di atmosfera. Ma lospettrometro ultravioletto di Mariner 10 ha individuato piccolequantità di idrogeno, elio e ossigeno, e successive osservazionida terra hanno rivelato tracce di sodio e potassio.

La fonte e il destino ultimo di questo materiale atmosfericosono oggetto di un vivace dibattito. A differenza del mantogassoso della Terra, l'atmosfera di Mercurio evapora e vienereintegrata costantemente. Gran parte di essa è probabilmentecreata, in modo diretto o indiretto, dal vento solare. Alcunecomponenti dell'atmosfera rarefatta possono provenire dallamagnetosfera o dal contributo diretto di materiale cometario.E una volta che un atomo viene staccato dalla superficie aopera del vento solare, si aggiunge anch'esso all'atmosfera. Èpure possibile che il pianeta stia ancora emettendo in formadi gas gli ultimi resti della sua dotazione primordiale di so-stanze volatili.

Recentemente un gruppo di astronomi del California Insti-tute of Technology e del Jet Propulsion Laboratory (JPL), en-trambi a Pasadena, ha osservato la polarizzazione circolare diun fascio radar riflesso dalle vicinanze dei poli di Mercurio.Questi risultati fanno pensare alla presenza di ghiaccio d'ac-qua. La possibilità che un pianeta caldo come Mercurio abbiacalotte polari - o semplicemente acqua - incuriosisce forte-mente. E possibile che il ghiaccio si annidi in regioni perma-nentemente all'ombra presso i poli di Mercurio e sia un resi-duo dell'acqua primordiale che si condensò durante la forma-zione del pianeta.

Se ciò è vero, Mercurio deve aver mantenuto un'orienta-zione rimarchevolmente stabile per l'intera storia del sistemasolare, non rivolgendo mai uno dei poli verso il Sole, e que-sto a dispetto di eventi disastrosi come l'impatto che generòCaloris. Una simile stabilità sarebbe davvero insolita. Un'al-

tra possibile fonte d'acqua potrebbe essere rappresentata dal-le comete che precipitano continuamente su Mercurio. Ilghiaccio d'acqua che cadesse in prossimità di un polo potreb-be rimanere nell'ombra ed evaporare molto lentamente; que-sti depositi d'acqua potrebbero essere una delle fonti dell'os-sigeno e dell'idrogeno nell'atmosfera di Mercurio. D'altraparte, astronomi dell'Università dell'Arizona hanno propostoche le regioni polari in ombra possano contenere altre specievolatili come lo zolfo, che ha una riflettività radar simile aquella del ghiaccio, ma un punto di fusione più elevato.

perché Mercurio è stato trascurato nel quarto di secolo da che è iniziata l'esplorazione del sistema solare? Un pos-

sibile motivo, come abbiamo già detto, è la sua somiglianzasuperficiale con la Luna. Un altro, e meno evidente, fattore èlegato al modo in cui vengono progettate le missioni planeta-rie. I membri dei comitati consultivi della NASA sono gene-ralmente studiosi che hanno partecipato ai programmi più re-centi, accumulando esperienze e interessi altamente specia-lizzati relativi a un piccolo numero di pianeti; questi ultimicontinuano perciò a essere favoriti nella scelta di missioni fu-ture, mentre in confronto Mercurio può vantare solo un ridot-to gruppo di paladini.

Vi è poi una considerazione economica. I responsabili del-la NASA chiedono agli scienziati di proporre missioni chesiano «più veloci, più produttive, meno costose», che si con-centrino su una serie limitata di obiettivi e che presentino unmigliore rapporto fra risultati scientifici e costi totali. Nell'at-tuale situazione di tagli ai finanziamenti, le più impegnativeproposte esterne di esplorazione spaziale che la NASA puòpermettersi di considerare sono quelle relative al programmaDiscovery. Scienziati e gruppi di ricerca industriali unisconole proprie forze per proporre missioni, alcune delle quali ven-gono selezionate e ulteriormente finanziate dalla NASA (fi-nora ne sono state messe in cantiere quattro). Per essere ac-cettabili, le proposte per il programma Discovery devono li-mitare il costo di una missione a non più di 226 milioni didollari; per confronto, missioni NASA come Galileo, direttaverso Giove, e Cassini, che ha come obiettivo Saturno, coste-ranno entrambe oltre un miliardo di dollari.

Una missione che raggiunga l'orbita di Mercurio pone un

particolare problema tecnico. La sonda deve essere protettadall'intensa radiazione proveniente dal Sole, ma anche dal-la luce solare riflessa dal pianeta. E dato che la sonda si tro-verà vicina a quest'ultimo, a volte la «luce di Mercurio» po-trà divenire una minaccia addirittura più grave del Sole stes-so. Nonostante tutti gli ostacoli, la NASA ricevette una pro-posta di missione Discovery verso Mercurio nel 1994 e duenel 1996.

La prima proposta, chiamata Hermes '94, impiegava un si-stema di propulsione tradizionale a idrazina-tetrossido di azo-to, che richiedeva fino a 1145 chilogrammi di propellente.Gran parte di questo combustibile sarebbe stata necessariaper rallentare il veicolo mentre cadeva verso il Sole. I proget-tisti della missione - fra cui vi ero anch'io - avrebbero potutoridurre la massa del combustibile solo aumentando il numerodi incontri con i pianeti (per rimuovere energia gravitaziona-le). Purtroppo queste manovre avrebbero prolungato il tempotrascorso nello spazio, dove l'esposizione alle radiazioni li-mita la vita utile di fondamentali componenti a stato solido.

Il complesso di strumenti avrebbe permesso la mappaturadell'intera superficie di Mercurio a una risoluzione di un chi-lometro o meno; le carte topografiche avrebbero poi potutoessere correlate con mappe del campo magnetico e gravita-zionale del pianeta. Inizialmente la NASA aveva prescelto lamissione come candidata a ulteriore approfondimento, ma al-la fine la respinse a causa dei costi e dei rischi elevati.

Nel 1996 il team di Hermes, il JPL e la Spectrum AstroCorporation di Gilbert (Arizona) proposero una nuova tecno-logia che consentiva di costruire una sonda con le stesse carat-

ROBERT M. NELSON, laureatosi in astronomia planeta-ria nel 1977 all'Università di Pittsburgh, è dal 1979 ricercato-re presso il Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, in Califor-nia. Ha partecipato a numerosi programmi NASA per l'e-splorazione spaziale ed è responsabile della missione speri-mentale New Millennium Deep Space One, che verrà lancia-ta nel 1998.

teristiche di Hermes '94, ma riducendo drastica-mente la massa del combustibile, il costo e il tem-po trascorso nel viaggio interplanetario. Il proget-to prevedeva un propulsore ionico alimentato aenergia solare, che avrebbe richiesto solo 295 chi-logrammi di combustibile. Questo motore rivolu-zionario avrebbe sfruttato l'energia solare per io-aizzare atomi di xeno e accelerarli ad alta velocitàutilizzando un campo elettrico diretto verso l'e-sterno sul retro del veicolo. Questa innovazioneavrebbe abbreviato di un anno il viaggio di Her-mes '96 rispetto a quello di Hermes '94. Tuttaviala NASA non prese in considerazione la propostaper un ulteriore studio, in quanto considerava trop-po sperimentale la propulsione a energia solaresenza l'ausilio di un combustibile chimico.

La NASA ha però dato elevata priorità a unaproposta, inclusa nel ciclo 1996 di missioni Disco-very, per una sonda destinata a inserirsi nell'orbitadi Mercurio. Questo progetto, chiamato Messen-ger, è stato messo a punto da ingegneri dell'Ap-plied Physics Laboratory nel Maryland; dovrebbe

• avere un propulsore chimico tradizionale e portare< a bordo una dotazione di rivelatori simile a quella5 di Hermes '94. Inoltre sarebbe dotato di due stru-

menti in grado di determinare le proporzioni deglielementi più abbondanti nelle rocce della crosta.

Sebbene questi ultimi dispositivi siano scientificamente at-traenti, il loro peso aggiuntivo costringerebbe la sonda a pas-sare due volte presso Venere e tre volte presso Mercurio pri-ma di inserirsi in orbita. Una simile traiettoria porterebbe iltempo di viaggio a oltre quattro anni (circa il doppio di quellodi Hermes '96); inoltre Messenger, con una spesa prevista di211 milioni di dollari, è la più costosa missione Discoverypresa in considerazione.

I funzionari che assegnano i contratti per le missioni Di-scovery sottolineano che nelle loro decisioni si affidano alparere di esperti esterni alla NASA; ma il fatto che questo co-mitato miri all'unanimità fa sì che favorisca le tecnologie giàprovate e sia poco recettivo verso quelle nuove. Per fortunala NASA ha istituito un programma separato per la sperimen-tazione di idee più futuristiche. La missione ora pianificatasotto l'egida di questo programma, chiamata New Millen-nium Deep Space One, è progettata al fine di provare nellospazio tutte le tecnologie più radicali che siano state propostefinora. Nel luglio 1998 Deep Space One, alimentato da unmotore ionico a energia solare, inizierà un viaggio di tre anniche lo porterà presso l'asteroide McAuliffe (così chiamato inmemoria dell'astronauta del Challenger Christa McAuliffe),il pianeta Marte e la cometa West-Kohoutek-Ikamura. DeepSpace One potrebbe dimostrare che la propulsione a energiasolare funziona bene come si aspettano i suoi sostenitori; se ècosì, nella prima parte del prossimo secolo motori di questotipo potranno essere montati su molte sonde dirette in tutto ilsistema solare interno, e certamente aiuteranno a risolvere imisteri a lungo dimenticati di Mercurio.

DAVIES M. E., GAULT D. E., DWORNIK S. E. e STROM R. G. (acura), Atlas of Mercury, NASA Scientific and TechnicalInformation Office, Washington, D.C., 1978.

VILAS F., CHAPMAN C. R. e MATTHEWS M. S. (a cura), Mer-cury, University of Arizona Press, 1988.

Venere e Mercurio, videocassetta di 30 minuti basata suimmagini NASA, Le Scienze, 1990.

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