MENSILE PER INSEGNANTI GENITORI E STUDENTI FONDATO DA...

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T UTTOSCUOL A T UTTOSCUOL A Poste Italiane Spa - Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Roma MENSILE PER INSEGNANTI GENITORI E STUDENTI FONDATO DA ALFREDO VINCIGUERRA FEBBRAIO 2011 - NUMERO 509 - ANNO XXXVII - EURO 3,50 TEMPO DI PAGELLE ANCHE PER LA SCUOLA

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TEMPO DI PAGELLEANCHE PER LA SCUOLA

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l’Editoriale

3TuTToscuolA n. 509

ssE MARcHIoNNE sI

occuPAssE DI scuolA

Secondo alcuni osservatori di cose scolastiche non mancano analogie tra le vicende sindacali della Fiat (Pomigliano, Mirafiori) e quelle della scuola: in en-trambi i casi si sono registrate forti divergenze tra i sindacati, alcuni dei quali hanno sottoscritto accordi e contratti con le controparti, mentre altri vi si sono opposti strenuamente. E non è senza significato che sia in atto una convergenza di motivazioni e forme di lotta tra la Fiom Cgil e alcune delle neoformazioni sin-dacali attive nel mondo della scuola più vicine all’area della cosiddetta sinistra radicale.

Ciò che caratterizza questa particolare fase evolu-tiva delle relazioni sindacali nel nostro Paese sembra essere una sorta di inversione dei ruoli tra alcuni da-tori di lavoro (Fiat, Miur, Funzione pubblica), accusati in passato di immobilismo, e la parte del sindacalismo italiano storicamente più impegnata in battaglie di cambiamento.

Nelle più recenti vicende che hanno interessato i metalmeccanici della Fiat e il personale del comparto scuola-università la parte degli innovatori l’hanno gio-cata Marchionne, Gelmini e Brunetta, mentre da parte delle componenti più agguerrite del sindacalismo si sono erette barricate a sostegno dei ‘diritti acquisiti’, o tout court dei ‘diritti’ (come quello al lavoro o a un determinato modello di organizzazione del lavoro).

Ma che il sistema formativo italiano abbia un ur-gente bisogno di cambiare e di migliorare la qualità e l’equità della propria offerta appare fuori di dubbio. Ci si deve chiedere piuttosto se quanto è stato finora fatto risponda a un efficace disegno di rinnovamento e rilancio del sistema.

Per quanto riguarda gli ordinamenti si può parlare al massimo, sul versante scolastico, di una operazione di riordino, che anche a causa dei vincoli di carattere economico non sembra destinata a produrre quella forte discontinuità di cui ci sarebbe bisogno per parla-re di una vera svolta. Sul versante universitario ci sono più novità ma molto, quasi tutto, dipenderà da come sarà gestita la partita della valutazione e dei criteri di finanziamento del merito e della qualità, che dovreb-be comportare fra l’altro il drastico disboscamento di tutte le università o pseudo tali che non soddisfino i requisiti di qualità richiesti.

Al di là degli ordinamenti e delle logiche istituzio-nali, tuttavia, decisivo sarà il fattore umano, la dispo-nibilità dei soggetti ad impegnarsi nel cambiamento, o la scelta di resistervi. In qualche modo il dilemma è simile a quello posto da Marchionne ai lavoratori della Fiat in occasione del referendum: o si cambia o si chiude e il lavoro va all’estero. Nel caso della scuola, e soprattutto dell’università, il dilemma potrebbe essere parzialmente riformulato: o si cambia o per ottenere una formazione di qualità saranno gli studenti (quelli che possono) ad andare all’estero.

Ormai non è più soltanto la produzione industriale a vivere le sfide e i rischi della globalizzazione. Nel momento in cui gli studenti asiatici balzano in testa alle classifiche Ocse-Pisa e le università anglo-ame-ricane in quelle dell’istruzione superiore, per reggere la competizione planetaria serve all’Italia una cura drastica, una cura Marchionne: un forte investimento in cambio di un forte impegno a migliorare la qualità dei processi formativi.

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4 TuTToscuolA n. 509

Direttore Responsabile Giovanni VinciguerraComitato Scientifico

Giorgio Allulli - Dario Antiseri Antonio Augenti - Sebastiano Bagnara Giuseppe Costa - Gaetano Domenici

Paola Gallegati - Silvano TagliagambeCoordinatore Comitato Scientifico

Alfonso Rubinacci Segretario del Comitato

Paola GallegatiRedazione

Maurizio Amoroso Sergio Govi

Orazio NiceforoSped. Abb. Post. D.L. 353/2003

(conv. in L. 27/02/2004 N. 46) art. 1, comma 1 DCB Roma

Registrazione del Tribunale di Roma n. 15857 del 7-4-1975

Direzione, redazione, amministrazione TUTTOSCUOLA

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Gli articoli possono essere parzialmente riprodotti

purché venga citata la fonteUna copia arretrata 6 euro

I manoscritti e le fotografie anche non pubblicati non verranno restituiti

Questo numero è stato chiuso in tipografia il 26-01-2011

PeR Le InSeRzIOnI PUbbLICITARIe

COnTATTARe DIReTTAmenTeI nOSTRI UffICI

PeR AbbOnARSICOnTATTARe

I nOSTRI UffICI

Carta & PennaANNO XXXVI - N. 509 - FEBBRAIO 2011 MENSILE - EURO 3,50

Una delle novità dell’anno che inizia potrebbe essere costituita dalla necessità di attivare nelle scuole il “supplente stabile”.

Questa formula che risolve in parte le tante emergenze quotidia-ne del fare scuola, è stata messa in atto per rispondere alle esigen-ze sociali degli alunni disabili. Coordinando, infatti, il servizio degli assistenti igienico personale degli alunni disabili, nel rispetto delle norme contrattuali che pre-vedono la necessità che prima di attivare il servizio occorre essere titolari di un contratto specifico e non potendo assicurare altrimenti il servizio tempestivo delle sosti-tuzione degli assistenti, impediti per motivi di salute, si è ritenuto opportuno formalizzare il contrat-to part-time a tre assistenti, i quali , in quanto titolari di un contratto, possono svolgere il servizio di sup-plenza almeno per il primo giorno e se l’assenza dovesse prolungar-si si potrà provvedere alla nomina e alla formalizzazione di un ul-teriore e regolare contratto. Tale soluzione ha reso agevole l’orga-nizzazione delle supplenze per gli 82 assistenti igienico personale della città di Catania e dell’area metropolitana. Gli esiti positivi di tale organizzazione risulta certa-mente positiva anche nell’azione ordinaria della vista scolastica e non soltanto non costa niente, ma assicura una regolare forma-lizzazione del servizio scolastico a garanzia della didattica anche nell’ottica della continuità e della progettualità della scuola.

Il supplente stabile, individua-to nell’ordine delle graduatorie, assicura infatti una presenza si-cura e tempestiva per tutte le emergenze della scuola primaria e secondo la disciplina di inse-gnamento per la scuola seconda-ria. Coinvolto nella progettualità della vista scolastica, organizza

in maniera efficace la supplenza, rende produttiva la sostituzione in raccordo con i docenti della scuola. A sostegno della garan-zia del servizio si riscontra anche un beneficio ed un risparmio per l’amministrazione, in quanto il supplente stabile viene retribuito per i giorni di effettivo servizio . Si ritiene comunque utile garantire al supplente stabile la copertura del punteggio per l’intero anno di servizio, come d’altronde viene assicurato agli incaricati annuali che svolgono anche poche ore di servizio nelle scuole paritarie. Per gli istituti comprensivi si po-trà ipotizzare la nomina di un sup-plente per ogni ordine di scuola a garanzia di una regolare presta-zione del servizio, fermo restando che in caso di assenza prolungata si potrà procedere alla nomina del supplente come di consueto.

La celerità delle nomine e l’uso telematico per le nomine è certa-mente un aiuto e snellisce il lavoro della segreteria, ma non risolve il problema della tempestiva presen-za del supplente in classe, specie nelle grandi città e con il traffi-co caotico, né si ritiene ipotizza-bile un servizio di velotaxi per i supplenti!

La garanzia del punteggio e la corresponsione economica per i giorni “lavorati” in aggiunta ad una serenità e continuità di ser-vizio nella stessa scuola, sen-za dover attendere la chiamata per la supplenza e dover correre da una scuola all’altra, costitui-scono elementi utili per favorire l’introduzione di tale prassi nel-la procedura delle nomine per le supplenze. Le organizzazioni sin-dacali si attivino a rendere effica-ce tale procedura ed il superiore Ministero accolga la proposta, quale soluzione efficace a garan-zia di una didattica efficiente.

Giuseppe Adernò

supplenti stabili

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Oracle Education Foundation (OEF), l’organizzazione non-profit fondata da Oracle con la missione di supportare gli studenti nello sviluppo delle abilità necessarie per affermarsi nel 21° secolo, propone agli insegnanti e agli studenti di tutto il mondo “ThinkQuest International Competition 2011”. La sfida mette alla prova gli studenti nella risoluzione di un problema reale, attraverso un lavoro di gruppo che stimoli il pensiero critico e che consenta di migliorare la capacità di comunicazione e le competenze tecnologiche: proprio quelle abilità che Oracle Education Foundation vuole aiutare a sviluppare nei più giovani. Per questa edizione OEF pone particolare enfasi sulle capacità di problem-solving, invitando i partecipanti ad affrontare problematiche pratiche e a elaborare soluzioni che possano essere d’aiuto agli altri.Possono partecipare alla gara team di bambini e ragazzi fin dalla scuola primaria, con un’età massima per i partecipanti di 22 anni. “ThinkQuest International Competition 2011” si svolge nel contesto di ThinkQuest, la comunità online protetta messa a disposizione da OEF che ospita oltre 548.000 insegnanti e studenti di tutto il mondo e che consente di integrare nei programmi scolastici

progetti didattici a sostegno dell’apprendimento collaborativo.Ai concorrenti viene data ampia possibilità di scelta nelle tecnologie utilizzabili per creare le loro proposte. Sono a disposizione infatti tre diverse categorie della competizione, “ThinkQuest Projects”, “Digital Media” e “Application Development”.Le squadre possono presentare le proprie proposte in lingua inglese entro il 27 aprile 2011. Educatori professionisti di tutto il mondo saranno chiamati a giudicare i diversi progetti, divisi per classi d’età, e quelli che si qualificheranno verranno pubblicati nella ThinkQuest Library, il più grande contenitore online al mondo di progetti sviluppati da studenti, visitato e consultato ogni mese da milioni di allievi.I premi in palio comprendono computer laptop, borse di studio per la scuola e un viaggio per partecipare a ThinkQuest Live, l’evento internazionale di premiazione che si tiene ogni anno nell’incantevole baia di San Francisco. Per maggiori informazioni sulla piattaforma ThinkQuest scrivere a [email protected] maggiori informazioni sul concorso “ThinkQuest International Competition 2011” consultare il link www.thinkquest.org/competition.

THINkQUEST INTERNATIONAL COMPETITION 2011: una sfIda per elaborare Idee, Creare e InnovareOracle Education Foundation invita studenti e insegnanti a partecipare alla competizione annuale proposta attraverso la piattaforma multimediale ThinkQuest

Alcuni “ThinkQuest-addicts” della Scuola Secondaria di Primo Grado Arcadia Pertini di Milano insieme ad Annie Mazzocco, docente di inglese e coordinatrice dei progetti scolastici europei dell’Arcadia Pertini dal 2004 al 2010. Attraverso la piattaforma ThinkQuest l’istituto collabora con diverse scuole di tutto il mondo, formando una sorta di “aula virtuale” di livello internazionale.

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6 TuTToscuolA n. 509

som

mar

ionumero 509

Febbraio 2011

sPEcIAlE RAPPoRTo ocsE

14 così l’ITAlIA RIsAlE lA clAssIFIcAdi Sergio GoviL’Italia è 29ª su 74 paesi ma i miglioramenti delle competenze dei nostri ragazzi ci soddisfano o devono preoccupare? Ecco le competenze in lettura e quelle in matematica e scienze

15 lA PuGlIA BRIllANTE EsEMPIo DI GoVERNodi Alfonso RubinacciIntervista con Lucrezia Stellacci, direttrice dell’ufficio scolastico regionale

PolITIcA scolAsTIcA

26 uNIVERsITà E scuolA, TRA PRoTEsTA E RIFoRMAdi Alfonso Rubinacci

28 sE ToRNAssE Il BuoN sENsodi Fabio Matarazzo

30 l’uNIVERsITà Al BIVIodi Ma. Am.

31 I PIù BRAVI soNo ATTRATTI DA ATENEI NoN sTATAlI

33 lE RIsoRsE uMANE DEllE uNIVERsITA’: uN FATToRE sTRATEGIco

34 Il MERcATo, l’EDucAZIoNE, lA culTuRAdi Benedetto Vertecchi

36 VAluTAZIoNE DEllE scuolE E DEI DocENTI, IN ATTEsA DI GIoRNI MIGlIoRIdi Giovanni Bachelet

39 FAsTI EDucATIVI EuRoPEI E DINToRNI

40 INclusIoNEdi Italo Fiorin

42 Il coINVolGIMENTo DEI GENIToRIdi Rita Manzani Di Goro

44 BRIc, MBA E scuolA DEI BANcHIdi Alessandro Dell’Aira

46 uNA sTRATEGIA PER Il PREcARIATo NEllA scuolAdi Giuseppe Fiori

49 uN “DolcE sTIl NoVo” PER lA scuolA DEllA RIFoRMAdi Giovanni Perrino

51 l’INsEGNANTE REGIsTAdi Caterina Cangià

sPEcIAlE VIAGGI DI sTuDIodi Antonella Calzolari

56 EuRocENTREs

58 ARcHITETTuRA IN VIAGGIo

60 VIAGGIANDo PER MAsTER E sTAGE

61 PRIMAVERA VIAGGI

63 JuVENTus VIAGGI

64 sPoRT E DIsABIlITà

lE RuBRIcHE

3 EDIToRIAlE

4 cARTA E PENNA

8 30 GIoRNIa cura di Maurizio Romas

25 PERIscoPIodi Orazio Niceforo

66 EuRoPA cHIAMA scuolAdi Antonio Augenti

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tecnici e professiona-li - sottolinea il Miur sul sito - si potrà avere “una solida preparazione cul-turale e le competenze per un immediato inseri-mento nel mondo del la-voro (in un’impresa o in un’attivitàindipendente); la possibilità di prose-guire gli studi all’univer-sità o di specializzarsi ulteriormente con i cor-si di formazione tecnica superiore”.

la richiesta è in aumento (dal 2009 al 2010) sono quello meccanico (da 14.840 richieste a 22.660), elettrotecnico (da 7.790 a 10.460), elettronico (da 2.840 a 3.770), chimico (da 1.720 a 2.410), tessile-abbigliamento-moda (da 1.410 a 1.620), biologico e delle biotecnologie (da 310 a 460). Il Miur ha ricava-to queste cifre elaborando dati di Confindustria.

Ne i nuov i i s t i t u t i

in questo modo i nuovi istituti tecnici e professio-nali frutto della riforma Gelmini.

La maggioranza delle richieste (70.000 circa) riguarda figure di tipo amministrativo-commer-ciale, quasi 23.000 il set-tore meccanico e più di 14.000 quello turistico-alberghiero. Seguono, tra i più richiesti, l’elettrotec-nico, l’edile e l’informati-co. Ma i settori nei quali

Nel 2010 le imprese italiane hanno fatto richiesta di 236.000

diplomati tecnici e pro-fessionali, ma l’offerta da parte degli istituti è stata di soli 126.000 diploma-ti. Ci sono dunque ancora 110.000 posti di questo tipo che le imprese non hanno trovato e stanno cercando. I dati sono vi-sibili sul sito del Ministe-ro dell’istruzione, che ha deciso di “sponsorizzare”

Sul sito del MIUR i profili dei nuovi istituti

cresce la domanda delle imprese di diplomati tecnici e professionali

la Bibbia donata agli alunni delle scuole ve-nete sta diventando un caso. Recentemente la Regione ha inviato un circolare a tutti

i dirigenti scolastici, invitandoli a donare una copia della sacra Bibbia a tutti i bambini e stu-denti. “un riconoscimento, senza pregiudizi ideo-logici, che i nostri costumi sono intrisi di principi derivanti dal cristianesimo”, aveva scritto il pre-sidente della Regione Zaia.l’iniziativa ha creato qualche problema, come è successo a Roncade, nel Trevigiano dove alcuni dirigenti hanno pensato di consegnare la Bibbia solo a chi frequenta le ore di religione, tagliando fuori extracomunitari o fedeli di altre religioni. si parla ora di discriminazione e tutto passa al consiglio regionale dove si ne discuterà presto. Il presidente Zaia ha commentato: “Non c’era nulla di obbligatorio perché siamo in un paese libero. Molti insegnanti ci hanno chiesto le Bibbie, ma non vedo nulla di male se qualcuno non ne fa richiesta”.

secondo il nuovo ranking 2011 di Bloomberg Bu-sinessweek, la business school “sda Bocconi” risulta prima al mondo per investimento in for-

mazione: in base allo studio internazionale, il tempo medio impiegato dai diplomati per recuperare i co-sti della loro partecipazione è pari a 2,25 anni. se-guono l’Hec, con 2,3, il Manchester Business school, con 2,68, ed il Cranfield, con 2,94 anni.Il ranking si basa sul tempo che i diplomati del 2010 impiegheranno a recuperare la loro spesa di partecipazione. Il risultato è ottenuto dividendo tale spesa - che include il costo del programma, le spese di vitto e alloggio e il mancato salario medio nel periodo di frequenza - per l’incremento salaria-le medio post Mba dei diplomati. “Questo risultato - commenta Alberto Grando, dean del centro forma-tivo milanese - illustra quanto il nostro Mba sia una scelta ottimizzante, coniugando una formazione di alta qualità con un rapido e fruttuoso rientro nel mercato del lavoro, grazie anche agli eccellenti e molteplici rapporti che la scuola intrattiene con il mondo del lavoro”.

la Bibbia in classe diventa

un caso in Veneto

Diplomati sda Bocconi:un impiego

in tempi record

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30 Giorni

I docenti italiani si sentono stressati per motivi quasi sempre legati alla professione. A rivelarlo è una ricerca sul disagio mentale, realizzata at-

traverso la somministrazione di questionari a 5.264 docenti e coordinata da Vittorio lodolo D’oria, me-dico ematologo, autore di diversi studi sul bornout e responsabile dello sportello informatico per gli insegnanti in crisi. Ad ammettere di sentirsi stres-sati a causa del lavoro logorante sono stati il 73 per cento dei docenti, contattati dell’esperto durante i 56 corsi di formazione organizzati negli ultimi due anni in 13 regioni d’Italia nell’intento di saggiare la consapevolezza dei docenti e di trasmettere loro i metodi per prevenire l’usura psicofisica da inse-gnamento. Gli interlocutori dei docenti che causa-no loro maggior stress sul lavoro sono nell’ordine: gli studenti (26%); i loro genitori (20%); i colleghi (20%); il dirigente scolastico (2%). la restante parte (32%) ritiene usurante la somma di tutte le relazio-ni. Di coloro che hanno ammesso di essere vittime di questi agenti, hanno specificato di sentirsi deci-samente stressati il 50% e moderatamente il 23%; il 27% del campione si ritiene sereno, mentre il 59% riferisce di sentirsi in apprensione e il 13% in grave stato ansioso. Solo una minima parte (1%) si defi-nisce indifferente. secondo l’autore dello studio si fa sempre più probabile l’ipotesi che dietro all’al-ta incidenza di malattie depressive e neoplastiche tra i docenti (nell’80% dei casi si tratta di tumore mammario a fronte dell’alta presenza femminile nel corpo docente che in Italia ha un’età media di circa 50 anni) vi sia proprio il disagio di stare per decenni dietro la ‘cattedra’, nel 99% dei casi senza alcuna prospettiva di carriera.

si prospetta una seconda parte dell’anno scola-stico particolarmente avara di festività. Pre-messo che la sospensione in occasione della

Pasqua, fissata delle giunte regionali, prenderà il via solo nella terza decade di aprile - lezioni sospese tra il 18 e il 21, rientro fissato tra 23 e 30, con la sosta più lunga che toccherà a studenti e docenti del Piemonte, dove i banchi rimarranno vuoti dal 20 al 30 aprile – il calendario scolastico contiene alcune piccole beffe per i circa 8 milioni di studenti italiani: nel 2011 il 25 aprile, anniversario della liberazione, coinciderà infatti con il lunedì di pasquetta, e il 1° maggio cadrà di domenica. Alcuni istituti hanno cercato, autonomamente, di compensare la situazio-ne creando un pausa invernale ulteriore: sospende-ranno le lezioni par alcuni giorni a febbraio, dando così la possibilità alle famiglie di organizzare la settimana bianca, oppure nei giorni di chiusura del carnevale, quindi tra sabato 5 e martedì 8 marzo.Per quanto riguarda il calendario, le programmazio-ni regionali indicano che saranno Puglia e Marche a chiudere per prima l’anno scolastico, l’8 giugno 2011. Il giorno dopo toccherà al Veneto, seguito dal-la sardegna il 10 giugno. Nel gran parte delle regio-ni - Abruzzo, Basilicata, campania, calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, lombardia, Molise, Piemonte, sicilia, Toscana, Trentino, umbria, Valle d’Aosta - l’ultima campanella del 2010/11 suonerà sabato 11 giugno. la liguria il 15. Gli ultimi a la-sciare i banchi saranno gli alunni del Trentino, il 16 giugno. Per tutte le scuole d’infanzia, invece, la data di chiusura sarà la stessa: il 30 giugno. Già de-finite anche le date nazionali degli esami di Stato: la maturità prenderà il via lo stesso giorno di quella svolta nel 2010, il 22 giugno, sempre alle ore 8,30. La verifica standard preparata dall’Invalsi per gli esami di terza media è stata invece fissata dal Miur per il 20 giugno, sempre con inizio alle ore 8.30.

Per 3 prof su 4 la cattedra stressa, donne più a rischio

2011 beffa studenti: meno feste

e Pasqua lontana

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percorso. Per quanto riguarda la valutazione delle scuole, il percorso si basa su due elementi: il livello di “miglioramen-to” degli apprendimenti e una analisi articolata condotta su una serie di aspetti da una équipe esterna e indipendente. La valutazione degli ap-prendimenti sarà ar ti-colata all’interno di un percorso plur iennale, che utilizzerà le prove Invalsi come strumento per la valutazione degli apprendimenti all’inizio e alla fine della prima classe della scuola me-dia e alla conclusione della terza media. Alla fine del primo anno sa-rà condotta dall’équipe ester na anche un’ap-profondita anal isi su tutta una serie di ele-menti che interessano la scuola nel suo rapporto con il territorio e con l’utenza insieme ad ele-menti legati al “clima” educativo, all’integra-zione, alla dispersione, all’utilizzo delle risorse f inanziarie, all’offerta formativa etc., tenendo sempre conto del conte-sto socio-economico nel quale la scuola opera. Queste analisi saranno condot te ut i l i zzando st rumenti e sulla ba-se di un “protocollo” comune.

senza valutatori ester-ni, che associato e in-tegrato con strumenti di analisi che permet-tano di individuare al-tri riscontri, porti poi a def inire un eff icace metodo di valutazione degli insegnanti.

Una contemporanea azione di monitoraggio sarà condotta dal Mi-nistero e una r icerca esterna sarà condotta dalla Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo sull’intero

i dirigenti scolastici e gli insegnanti si trova-no a fare i conti tutti i giorni. La sperimenta-zione, inoltre, intende av v ia re u n processo interno alla scuola con l’obiettivo di verificare la possibilità all’interno di un ambiente profes-sionale, di individuare metodi e strumenti per rendere il criterio della reputazione professio-nale un elemento ca-ratterizzante l’avvio di un percorso, condotto

Valutare i docenti at-traverso il criterio della “reputazio-

ne” e le scuole at t ra-verso le prove Invalsi e una equipe esterna. E’ in sostanza il contenu-to di due esperimenti, avviati dal Ministero dell’istruzione in alcune scuole. Le sperimenta-zioni hanno l’obiettivo di individuare, attraver-so un percorso proposto nelle sue linee generali da una Commissione di esperti, soluzioni da condividere e mettere a punto all’interno e con il contributo di due grup-pi circoscritti di scuole: tre province e un nume-ro limitato di scuole di tre grandi città.

Si t rat ta, innanzi-tut to, di verif icare se i criteri di reputazione professionale possano essere alla base di un percorso di valutazione interno alla scuola. La reputazione professio-nale - è la r if lessione del Miur - è, infatti al-la base delle scelte che comunemente operia-mo non solo in campo scolastico (basti pen-sare alle scelte in cam-po medico). Si t rat ta, indipendentemente dal fatto che si tratti di un parametro corretto od oggettivo, di un fatto-re consolidato con cui

Le sperimentazioni in tre province e un numero limitato di scuole

Gli insegnanti saranno valutati col criterio della reputazione

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da ciascun allievo (della durata di pochi minuti) e la prova di italiano per gli alunni delle classi secon-da della primaria. Sempre l’11 maggio si svolgerà la verifica di italiano per gli alunni delle classi termi-nali della primaria. Il 12 maggio la medesima ve-rifica si svolgerà nelle pri-me classi della secondaria di primo grado. Venerdì 13 maggio, infine, si ci-menteranno nella prova di matematica gli alunni del-le classi seconde e quinte delle ex elementari.

anni, probabilmente non prima del mese di ottobre. Viale Trastevere ha anche fissato il calendario per la realizzazione delle prove: il prossimo 10 maggio si svolgeranno quelle di ita-liano e matematica per gli studenti della classe secon-da delle superiori (saranno esentati solo gli studenti che frequentano i corsi serali ed i centri di istru-zione per adulti). Il giorno dopo, l’11 maggio, è in programma la prova preli-minare per saggiare lettu-ra e decodifica raggiunta

nazionale di valutazione.Oltre alle classi seconde e quinte della primaria, e le prime delle medie, nella prossima primavera i test verranno quindi sommi-nistrati, in contempora-nea, anche alle seconde superiori. Entro fine feb-braio i dirigenti scolastici dovranno provvedere ad inserire i dati di contesto, sempre nel sito dell’In-valsi, e prima della pausa pasquale, a metà aprile, ri-ceveranno le prove di ve-rifica. I risultati saranno resi noti, come negli altri

l’Invalsi ha deciso: da quest’anno le prove standardizzate in

italiano e matematica, in-trodotte da due anni nella primaria e alle medie per verificare le competenze acquisite dagli studenti, si svolgeranno anche alle superiori. La notizia uffi-ciale, annunciata da tem-po dal ministro Gelmini, è giunta attraverso una no-ta emessa dal Miur nella quale si specifica che, fi-no al 2 febbraio, gli istituti potranno registrarsi sul sito internet dell’istituto

Il 10 maggio nelle seconde classi la verifica di italiano e matematica

In primavera test Invalsi anche a studenti superiori

la laurea è donna. E lo è anche il 110 e lode. E’ quanto emerge dalla ricerca realizzata per Bacardi da Na-than Il saggio, l’osservatorio permanente sui media

internazionali in Italia. Giocando sui numeri, nel segno del 110, ecco allora una curiosa fotografia del mondo accademico italiano e straniero. l’osservatorio, che ha monitorato circa 100 testate (Francia, spagna, usa, Gran Bretagna, Austria, Germania, svizzera e canada) nel pe-riodo che va dal 1 ottobre 2009 al 10 novembre 2010, ha evidenziato una significativa, maggiore capacità di ter-minare gli studi universitari da parte delle donne e, spes-so, a pieni voti. le donne si impegnano di più, a partire dal diploma (voto più alto), frequentano con maggiore costan-za le lezioni universitarie e si laureano con voti più alti. In particolare, chi ha conseguito il diploma di maturità clas-sica o scientifica ha una maggiore probabilità di ottenere un voto di laurea più alto, mentre chi si è laureato nella facoltà di giurisprudenza risulta avere un voto di laurea nettamente più basso rispetto a chi ha frequentato le fa-coltà di Economia e scienze politiche. Tra gli ingegneri,

per esempio, il 13% degli studenti si è laureato con 110 e lode contro il 17% delle ragazze; tra le discipline scienti-fiche il 21% dei ragazzi si è laureato con il massimo dei voti contro il 25% delle colleghe. secondo quanto sostiene l’Instituto Nacional de Estadistica, in spagna, il numero delle immatricolazioni complessive è rosa: il 54,6% è del-le donne. si sono laureati 189.899 studenti di cui il 60.8% donne. Il 53.4% si è laureato entro i 24 anni ,per quanto riguarda le donne la percentuale sale al 59.4%, il 15.4% a 23 anni. Anche in canada le donne si laureano di più: dal 2006 a oggi, secondo la Presse canadienne, il numero del-le donne laureate è cresciuto esponenzialmente. secondo i dati, il 58% dei laureati tra i 25 e i 24 anni in canada è una donna; la percentuale scende al 51,6% tra i 25 e i 64 anni.

Il 110 e lode è donna:le studentesse si laureano con i voti migliori

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30 Giorni

singoli. Ne consegue che nei docenti prevalga un deciso senso di ine-guaglianza, sicuramente maggiore rispetto a 20 an-ni fa”. Gli stessi docenti, tuttavia, non credono che i premi possano passare per la competizione: il 70% boccia infatti qualsiasi si-stema che introduca con-fronti tra scuole o docenti. I docenti del sud sembrano mostrare un discreto scet-ticismo verso le capacità e la forza propulsiva del-le nuove generazioni, ma è un sentimento che non vale per tutti: al nord-est, ad esempio, il corpo inse-gnante esprime maggiore fiducia nei confronti dei giovani. L’indagine della Swg racconta chi sono gli insegnanti oggi, cosa pen-sano della politica e del sindacato, della riforma della scuola e della loro professione, cosa si aspet-tano dal futuro e quale contributo possono dare al sistema paese: in base a quanto dichiarato dai 700 docenti intervistati in tut-ta Italia, al nord-est il 59% dei docenti dimostra di credere fortemente nella forza portante dei giovani di oggi che frequentano la scuola. A fronte di una media nazionale pari al 46%, al sud è solo il 32% a dichiarare ottimismo nei confronti delle nuove generazioni.

meritocratico che premi le capacità individuali e superi l’appiattimento de-rivante dall’uguaglianza stipendiale: il dato è in linea con quanto espres-so più volte dal ministro Gelmini e proposto ai sin-dacati in uno degli ultimi

incontri a viale Trasteve-re. Consapevoli e sicuri di sé e delle proprie capacità gli insegnanti non temo-no i giudizi, anzi il 63% auspica l’introduzione di sistemi di valutazione og-gettivi e premianti per chi davvero lo merita ed in-tende vedere riconosciuti i propri meriti. “L’ugua-glianza - ha detto il se-gretario della Cisl Scuola Francesco Scrima - è di per sé un concetto lodevo-le, ma solo se viene gestito in modo da non ledere o offuscare le capacità dei

del convegno della Cisl “Energie per il domani. La scuola italiana: valori e consapevolezza a servizio dei giovani e del Paese”.

È significativo il fat-to che quasi il 60% dei docenti intervistati attri-buisca all’insegnamento

un giudizio compreso tra l’8 e il 10. In particolare, appaiono più gratificati i docenti che operano nelle scuole del nord-est. De-cisamente meno contenti appaiono gli insegnanti in servizio al sud e nelle scuole superiori. Rispet-to a qualche anno fa, in generale, uno su due (il 49%), ritiene comunque di essere più preparato, anche grazie all’uso delle nuove tecnologie.

Due docenti su tre si dicono d’accordo nell’in-t rodu r re u n si s t ema

Non guardano alle preoccupazioni per il futuro, alle strut-

ture e ai mezzi inadeguati, alle paghe troppo basse e ad uno scarso riconosci-mento sociale: l’85% dei docenti italiani si sente or-goglioso e soddisfatto di

stare in cattedra, soprat-tutto di lavorare con gli alunni, tanto che esprime un livello medio di sod-disfazione di 7,5 su una scala che va da 1 a 10.

È uno dei dati contenuti nell’ampia indagine (700 docenti messi a confron-to con 2.000 cittadini), realizzata dalla Swg per scoprire cosa pensano gli insegnanti della politica e del sindacato, della ri-forma della scuola e del-la loro professione: dei risultati dello studio si è discusso a Roma nel corso

I meno contenti sono in servizio al sud e alle superiori

l’85% degli insegnanti è orgoglioso di stare in cattedra

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13TuTToscuolA n. 509

30 Giorni

da parte degli enti lo-cali tanto da avere un effetto moltiplicatore”.

“L’80% delle scuole italiane, e in tutto sono circa 45 mila - ha detto Mantovani - sono state oggetto di sopralluoghi ad opera di squadre tec-niche che hanno poi re-datto una serie di schede sulla base delle quali abbiamo potuto agire. Stiamo sottoscrivendo convenzioni e i fondi sa-ranno disponibili entro fine anno. I lavori dun-que sono tutti cantiera-bili e partiranno entro giugno prossimo”.

edifici scolastici’ è sta-to presentato dal mi-nist ro dell’Ist ruzione Mariastella Gelmini e dal sottosegretario al-le Infrastrutture Mario Mantovani. “I lavor i sono finanziari con un mil ia rdo d i eu ro g ià stanziato dal Governo. Una somma che è il tri-plo di quella stanziata dal precedente Esecu-tivo - ha detto Maria-stella Gelmini - cif ra che non è cer tamente

suff iciente, ma au-spichiamo che in futuro ci sia una compartecipazione

sopralluoghi di verifi-ca, in particolare, dello stato degli elementi non strutturali degli edifici scolastici, hanno reso un quadro della situa-zione permettendo così di valutare gli interven-ti più urgenti.

I l c o m p l e t a m e n -to dell’Anagrafe degli

sono 1.706 gli istitu-ti scolastici italia-ni nei quali entro

giugno prossimo inizie-ranno i lavori di riqua-lif icazione e messa in sicurezza. Le 466 squa-dre tecniche impegna-te per diversi mesi in

Entro giugno al via lavori per 1.706 istituti italiani

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SpecialeRa

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ocsEcosì l’Italiarisalela classifica

ocse-Pisa: fu vera gloria? I miglioramenti delle compe-tenze dei nostri ragazzi nel

Rapporto 2009 ci soddisfano o devono preoccupare?

Il quarto rapporto Ocse-Pisa

sulle competenze dei 15enni, pub-blicato nel dicembre scorso e relativo al 2009, è stato salutato

generalmente in termini positivi dal mondo della scuola e della po-litica per i miglioramenti fatti re-gistrare dai nostri ragazzi rispetto alle due precedenti edizioni del Rapporto.

segue a pag. 16

di sergio Govi

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15TuTToscuolA n. 509

Speciale Rapporto ocsE

l’Italia è 29ª nella graduatoria PISA che nel 2006 contava 58 Paesi e nel 2009 ne ha aggregati 74. Pisa (Programme for international student as-

sessment) è un’indagine comparativa internazionale

dell’OCSE che si svolge ogni 3 anni, a partire dal 2000 con programmazione definita fino al 2015, con l’obiet-tivo di valutare in che misura gli studenti quindicenni abbiano acquisito alcune competenze ritenute essenziali per una partecipazione attiva alla vita sociale del proprio Paese.

segue a pag. 22

L’Italia è 29ª su 74 paesi.

I miglioramenti delle competenze

dei nostri ragazzi ci soddisfano o devono

preoccupare?Ecco le competenze in lettura e quelle

in matematica e scienze

di Alfonso Rubinacci

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Ci si è consolati per il fatto che il livello registrato in questa ulti-ma edizione si è attestato sui va-lori del primo Rapporto nel 2000. Chi si accontenta…

Più di quanto era successo in occasione della pubblicazione del precedente Rapporto 2006, quan-do l’allora ministro Fioroni ave-va dichiarato “I dati sulla scuola italiana contenuti nel rapporto Ocse Pisa 2006 dimostrano che c’è un’emergenza educativa e di formazione che riguarda tutto il Paese, segno che qualcosa in pas-sato non ha funzio-nato”, questa volta sono state espresse diverse e più moti-vate considerazioni sull’incidenza della politica scolastica nei confronti degli esiti rilevati dall’Oc-se-Pisa, a comin-ciare dal ministro Gelmini che nelle prime dichiarazio-ni ha osservato: “le classif iche inter-nazionali mettono il nostro Paese tra quell i che hanno avuto tra i più si-gnificativi migliora-menti. In questi anni si è investito tanto e i risultati ci premiano.”

In quel i risultati ci premiano c’era forse un “ci” di troppo, visto che le rilevazioni dell’Ocse erano state effettuate nella primavera del 2009, quando le riforme tar-gate Gelmini (ministro da poco meno di un anno) erano in via di definizione mentre era alla sua prima applicazione soltanto il ri-torno del voto di comportamento.

Alle critiche dell’opposizione e dei sindacati per quella che era

sembrata una gratuita attribuzio-ne di meriti, il ministro Gelmini aveva successivamente parlato di nuovi contesti normativi (i suoi) che avevano creato condizioni favorevoli per il miglioramento: quasi un effetto alone, insomma.

I sindacati, a loro volta, avevano tentato una diversa appropriazio-ne dei meriti per quei passi avanti della scuola italiana, attribuendo-li all’azione degli insegnanti (in questo modo scaricando le colpe dei precedenti rapporti sugli stessi docenti….).

L’opposizione aveva individua-to la ragione dei buoni risultati al fattore “servizi alla scuola di base” (asili nido, tempo pieno), presenti in particolare in alcune regioni virtuose che avrebbero contribuito in modo decisivo a trascinare l’Italia verso livelli più alti.

Servizi scolastici, docenti, vo-to di comportamento potrebbero essere concause della migliore prestazione dei nostri ragazzi, ma sarà necessario esaminare più

attentamente quegli esiti e il con-testo in cui si sono prodotti per capire più a fondo la natura dei fattori di cambiamento (se cam-biamento davvero c’è stato…).

C’è da verificare, ad esempio, cosa è successo di significativa-mente innovativo e determinante negli ultimi dieci anni (e negli al-tri dieci precedenti, visto che gli effetti delle innovazioni non so-no mai immediati), considerando anche che, dopo il Rapporto del 2000, vi sono stati due altri Rap-porti (2003 e 2006) che hanno vi-

sto l’Italia precipitare da una posizione già complessivamente modesta agli ultimi posti delle gradua-torie. E c’è da capi-re perché, dopo due Rappor t i negat ivi per noi, è venuto l’ultimo Rapporto, tre anni dopo, che ha riportato l’Italia a galla.

Come è possibi-le u n andamento “carsico” di questa portata?

Visto che i risulta-ti nella scuola sono quasi sempre il frut-

to di cause pregresse (positive o negative), quali significativi fat-tori di cambiamento, dunque, vi sono stati in precedenza, tali da diventare determinanti a distanza di tempo, tenendo presente, co-munque, che la loro ricaduta ri-guarda soprattutto il terminale del primo ciclo di istruzione (i dati rilevano le competenze dei 15enni all’inizio della scuola secondaria superiore)?

Sono due le innovazioni struttu-rali che possono avere inciso sugli

la classifica dell’ocsEsegue da pag.14

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17TuTToscuolA n. 509

Speciale Rapporto ocsE

esiti: l’autonomia scolastica e la riforma del 1° ciclo d’istruzione targata Moratti. Se la prima ha davvero influenzato i livelli di ap-prendimento, si dovrebbe ritenere che la mancanza di ruolo diretti-vo da parte del centro (circolari ministeriali, ordinanze, vincoli

gestionali, ecc.) abbia compromes-so in qualche modo la “produttivi-tà” del sistema almeno nei primi anni di autonomia (coincidenti con i Rapporti 2003 e 2006), men-tre avrebbe consentito, in un se-condo momento (Rapporto 2009), di liberare e sviluppare meglio le potenzialità professionali presenti nelle istituzioni scolastiche.

Ipotesi un po’ fragile, tutta da verificare.

Per quanto riguarda l’eventuale incidenza della riforma Moratti del 1° ciclo d’istruzione e, in par-ticolare, quella parte relativa al settore della scuola secondaria di I grado, avviata gradualmente dal 2004-05, si potrebbe ritenere che questa, una volta a regime, abbia consolidata l’innovazione nel set-tore, incidendo positivamente sui livelli di competenza dei ragazzi licenziati dalla scuola media ed entrati nella secondaria superiore nell’ultimo triennio.

Bisogna, comunque, riconosce-re che l’incidenza di questi due fattori di riforma considerati (l’au-tonomia scolastica e la riforma del 1° ciclo) costituisce una semplice ipotesi, forse un po’ arrischiata, e niente più.

Probabilmente l’andamento dei livelli di competenza registrati negli ultimi tre rapporti è dipeso anche dal campione di rilevazio-ne di riferimento che, nell’ultima edizione, è stato ampliato con l’in-clusione di alcune regioni assenti nei tre primi rapporti. E non si può trascurare anche il fatto che si tratta sempre di un campione che, se pur definito correttamente in termini statisticamente scientifici e condotto con rigore ed efficacia dall’Invalsi che per l’Italia agiva per conto dell’Ocse, è pur sempre soggetto nel tempo ad una certa flessibilità, visto che opera su una percentuale di alunni (circa il 4%) molto ridotta rispetto all’univer-so della popolazione scolastica di riferimento (31mila studenti coin-volti su oltre 750mila).

Procedendo, dunque, con pru-denza e cautela in alcuni approfon-dimenti e raffronti, è opportuno considerare gli esiti del Rapporto 2009 come dati di tendenza piut-tosto che come valori assoluti, pur essendo rappresentativi di una si-tuazione complessiva generale. Situazione, è bene ricordarlo an-cora, che, in questo caso, resta cir-coscritta al un preciso momento (15 anni di età) dell’intero percor-so scolastico dei nostri ragazzi.

Per le nostre rif lessioni assu-miamo a riferimento gli obiettivi di Lisbona, ridefiniti dalla Com-missione Europea per il 2020, per quella parte che si riferisce pro-prio alle rilevazione Ocse-Pisa. Come si sa, le diverse rilevazioni dell’UE riferite ai benchmarks di Lisbona sono tratte da varie agenzie di ricerca educativa e for-mativa (Eurostat, Pisa, ministeri nazionali, ecc.).

I primi tre obiettivi di Lisbona riguardano proprio le competenze dei 15enni dell’UE relativi alla literacy in lettura, in matematica e in scienze, per i quali il bench-mark è stato fissato entro il 15% la percentuale di ragazzi con un livello di competenza minimo (li-vello 1 o inferiore).

Nella rilevazione UE dello scor-so anno erano stati riportati gli ultimi dati OCSE-Pisa disponibili (quelli del 2006) che registravano questa preoccupante situazione dei nostri 15enni fermi al livelli di competenza minima: 26,4% in lettura (media Paesi UE 24,1%), 32,8% in matematica (media Paesi UE 24%) e 25,3% in scienze (me-dia Paesi UE 20,2%).

L’obiettivo del 15% per tutti e tre i settori, da raggiungere entro il 2020, già nel 2006, mentre l’Ita-lia arrancava, era stato raggiunto da tre Paesi per lettura, da quattro per matematica e da cinque per scienze. Dietro l’Italia soltanto tre o quattro paesi (Bulgaria, Roma-nia, Turchia).

Nel R appor t o 20 09 qu a l i

ocse-Pisa 2009 – letturalivello di competenza minimo

(liv. 1 o infer.)

Lettura

Regioni %

Valle d’Aosta 11,4%

Lombardia 11,6%

Friuli Venezia Giulia 13,4%

Trento 14,5%

Veneto 14,6%

Lisbona * 15,0%

Marche 17,5%

Puglia 17,5%

Emilia Romagna 17,6%

Bolzano 18,0%

Liguria 18,3%

Piemonte 18,7%

Ocse 18,8%

Toscana 19,6%

Umbria 20,4%

Sardegna 20,7%

Abruzzo 20,9%

Italia 21,0%

Lazio 21,8%

Molise 22,8%

Basilicata 24,1%

Sicilia 31,4%

Campania 31,5%

Calabria 33,0%

* benchmark per il 2020Elaborazione Tuttoscuola su Fonti Ocse-Pisa/Invalsi

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aree del nostro Paese. Ecco cosa è emerso dal raffronto.

Per tutte le aree i dati del 2000 restano i migliori in assoluto (soltanto il Sud nel 2009 ha mi-gliorato di quasi mezzo punto in percentuale la bassa prestazione del 2000), mentre, con riferimento ai Rapporti 2003 e 2006 migliora-no il Sud e le Isole; il Nord Ovest migliora rispetto al 2006, ma resta al di sopra dei buoni risultati del 2003, il Nord Est non riesce a mi-gliorare la prestazione comples-siva, il Centro peggiora rispetto al 2006, ma migliora rispetto al 2003.

Tenendo conto degli obiettivi di

del 3% del 2000.Ad abbassare la media naziona-

le hanno contribuito certamente i bassi livelli di alcune regioni, per lo più dell’area meridionale, come, ad esempio, la Calabria (33%), la Campania (31,5%) e la Sicilia (31,4%), così come hanno pesato i risultati degli studenti degli isti-tuti professionali (46%) che, pur migliorando rispetto ai Rapporti 2003 e 2006, sono risultati ancora lontani dal 38,9% del 2000.

Per capire se c’è stato migliora-mento, abbiamo messo a confron-to i dati del Pisa 2009 con quelli dei precedenti rapporti, con riferi-mento alle situazioni delle diverse

percentuali di livelli minimi han-no raggiunto i nostri 15enni ? Vi-sto che vi è stato mediamente un miglioramento generale rispetto ai Rapporti 2006 e 2003, anche le percentuali di studenti fermi ai livelli minimi sono migliorate avvicinandosi all’obiettivo finale del 15% fissato per il 2020?

le competenze in lettura

La percentuale in lettura si è ridotta, scendendo dal 26,4% al 21%, guadagnando così tre punti e mezzo in percentuale, ma rima-nendo ancora lontana sia dai va-lori registrati nel primo Rapporto del 2000, quando la percentuale di studenti che non avevano raggiun-to il 2° livello era stata del 18,9%, sia dall’obiettivo di Lisbona che l’UE ha fissato al 15% per il 2020. L’Italia è, dunque, lontana di sei punti dal benchmark del 15%, ma cinque regioni e province auto-nome - Lombardia (11,6%), Valle d’Aosta (11,4%), Friuli-Venezia Giulia (13,4%), Trento (14,5%) e Veneto (14,6%) - quell’obiettivo l’hanno già raggiunto, così come l’hanno raggiunto, per quanto ri-guarda i settori scolastici, i licei che hanno fatto registrare il 4,2% dimezzando il gap del 2006 senza però raggiungere la percentuale

Lettura

Aree geografiche %

Nord Ovest 14,4%

Lisbona * 15,0%

Nord Est 15,8%

Ocse 18,8%

Centro 20,5%

Italia 21,0%

Sud 25,2%

Isole 30,2%

Lettura Pisa 2000 Pisa 2003 Pisa 2006 Pisa 2009

Aree geografiche % % % %

Nord Ovest 9,0 12,7 18,4 14,4

Nord Est 9,4 10,9 15,7 15,7

Centro 17,0 20,6 20,2 20,5

Sud 25,6 34,3 35,1 25,2

Isole 32,1 35,8 39,5 30,2

Italia 18,9 23,9 26,4 21,0

Ocse 18,8

Lisbona * 15,0

* benchmark per il 2020 - Fonti Ocse-Pisa/Invalsi

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19TuTToscuolA n. 509

Speciale Rapporto ocsEGermania, Spagna e Francia. Complessivamente, comunque, vi sono 17 Paesi davanti all’Italia e 11 dietro.

In conclusione, per quanto ri-guarda le competenze dei 15en-ni italiani in lettura, consola il raffronto interno ed esterno, ma preoccupa ancora il ritardo ri-spetto all’obiettivo finale di Li-sbona 2020 e la distanza rispetto al Rapporto Ocse del 2000.

Fu vera gloria, dunque, per la lettura? Forse sì. Sei più.

le competenze in matematica

Come per la lettura, la percen-tuale in matematica (parliamo sempre dei livelli di competenza minima) si è ridotta, scendendo di ben otto punti in percentuale ri-spetto al Rapporto 2006 (dal 33% al 25%), ma rimanendo ancora lontana dall’obiettivo di Lisbona che l’UE ha fissato al 15% per il 2020. L’Italia è, dunque, lontana di dieci punti dal benchmark del 15%, ma tre regioni e province autonome - Lombardia (13,7%), Trento (14,4%), Friuli-Venezia Giulia (14,9%) - quell’obiettivo l’hanno già raggiunto, così co-me l’hanno raggiunto, per quanto riguarda i settori scolastici, i li-cei che hanno fatto registrare il

Ceca, Turchia, Bulgaria e Ro-mania) e ancora molto lontani, con il loro modesto 26,4%, dal benchmarck del 15% fissato per il 2020, c’è da dire che ora, nel Rapporto Pisa 2009 l’Italia, con il 21%, non solo ha migliorato la percentuale di competenze mini-me, scendendo di quasi 5 punti e mezzo e avvicinandosi un po’ al traguardo finale, ma ha fatto passi avanti nella graduatoria UE, guadagnano sei posizioni. Dietro l’Italia ora ci sono, oltre a quel-li del 2006, anche questi Paesi: Slovenia, Croazia, Repubblica Ceca, Lituania, Lussemburgo e Austria.

I m m e d i a t a m e n t e d av a n t i all’Italia per circa 2-3 punti in percentuale, Gran Bretagna,

Lisbona per le competenze minime in lettura che nel Rapporto 2006 aveva visto i quindicenni italiani collocati nelle retrovie della gra-duatoria dei Paesi dell’UE e part-ner (peggio di noi allora soltanto cinque Paesi: Grecia, Repubblica

ocse-Pisa 2009 – Matematicalivello di competenza minimo

(liv. 1 o infer.)

matematica

Regioni %

Lombardia 13,7%

Trento 14,4%

Friuli Venezia Giulia

14,9%

Lisbona * 15,0%

Veneto 15,9%

Bolzano 16,7%

Valle d’Aosta 17,2%

Marche 18,3%

Emilia Romagna 20,8%

Toscana 20,9%

Piemonte 21,5%

Liguria 21,6%

Ocse 22,0%

Puglia 22,4%

Umbria 24,4%

Italia 25,0%

Abruzzo 26,1%

Basilicata 26,9%

Lazio 28,1%

Molise 29,2%

Sardegna 32,5%

Sicilia 36,3%

Campania 37,9%

Calabria 39,6%

* benchmark per il 2020Elaborazione Tuttoscuola su Fonti Ocse-Pisa/Invalsi

matematica

Aree geografiche %

Lisbona * 15,0%

Nord Ovest 16,7%

Nord Est 17,5%

Ocse 22,0%

Centro 24,3%

Italia 25,0%

Sud 31,0%

Isole 35,9%

matematica Pisa 2003 Pisa 2006 Pisa 2009

Aree geografiche % % %

Nord Ovest 16,0 22,0 16,7

Nord Est 15,0 18,0 17,5

Centro 26,0 28,0 24,3

Sud 48,0 42,0 31,0

Isole 47,0 51,0 35,9

Italia 32,0 33,0 25,0

Ocse 22,0

Lisbona * 15,0

* benchmark per il 2020 - Fonti Ocse-Pisa/Invalsi

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Lisbona 2020 lontano ancora 10 punti in percentuale. È andata meglio dei precedenti rapporti, ma il gap è ancora elevato.

Fu vera gloria, dunque, per ma-tematica? Cinque più.

le competenze in scienze

Come per lettura e matematica, la percentuale dei livelli minimi in scienze si è ridotta, scenden-do di circa 4 punti e mezzo in percentuale rispetto al Rapporto 2006 (dal 25% al 20,6%), ma ri-manendo lontana dall’obiettivo di Lisbona che l’UE ha fissato al 15% per il 2020. Se la situa-zione media dell’Italia la colloca un po’ lontana dal benchmark del 15%, tuttavia ben sei, tra regioni e province, hanno già raggiun-to quell’obiettivo. Si tratta del-la solita Lombardia (11%), della Valle d’Aosta (10,8%) del Friuli-Venezia Giulia (11,1%), del Ve-neto (11,7%), di Trento (12%) e di Bolzano (13%). Da notare che, ancora una volta la Puglia, che aveva fatto registrare in lettura e in matematica buoni livelli al di sopra della media nazionale, an-che per le competenze di scienze risulta la prima regione dell’area meridionale. Per quanto riguar-da i settori scolastici, ancor una volta sono i licei a far registrare i migliori livelli, ma migliorano

Calabria (39,6%), la Campania (37,9%) e la Sicilia (36,3%), così come hanno pesato i risultati de-gli studenti degli istituti profes-sionali (49%), anche se migliori di quelli dei Rappor ti 2003 e 2006. Anche per matematica, per capire se c’è stato miglioramento rispetto ai precedenti Rapporti, abbiamo messo a confronto i dati del Pisa 2009 con quelli del Pisa 2006 e Pisa 2003, con riferimen-to alle situazioni delle diverse aree del nostro Paese. Ecco cosa è emerso dal raffronto.

Il Sud e le Isole, pur facendo registrare livelli preoccupanti nel 2009, hanno ridotto in maniera consistente le percentuali di scar-sa competenza registrate nel 2003 e nel 2006. Anche il Centro ha migliorato rispetto ai precedenti Rapporti, mentre il Nord miglio-ra rispetto al 2006, ma retrocede di un paio di punti in percentuale rispetto al 2003.

Tenendo conto degli obiettivi di Lisbona per le competenze mi-nime in matematica che nell’ulti-mo Rapporto 2006 aveva visto i quindicenni italiani collocati agli ultimi posti tra i Paesi dell’UE e partner (peggio di noi allora soltanto Turchia, Bulgaria e Ro-mania) e ancora lontanissimi, con il loro 32,8%, dal benchmark del 15% fissato per il 2020, c’è da dire che ora, nel Rapporto Pisa 2009 l’Italia, con il 25%, non solo ha migliorato la percentuale di competenze minime in matema-tica, scendendo di quasi 8 punti, ma ha fatto piccoli passi avanti nella graduatoria UE, guadagna-no tre posizioni. Dietro l’Italia ora ci sono, oltre a quelli del 2006, anche Lituania, Croazia e Grecia. Un po’ poco. Complessi-vamente, comunque, vi sono 22 Paesi davanti all’Italia e 6 dietro.

In conclusione, per quanto ri-guarda le competenze minime dei 15enni italiani in matema-tica, preoccupa ancora il ritar-do rispetto all’obiettivo finale di

12,8% riducendo sensibilmente il gap del 2003 e del 2006 (18%).

Come già avvenuto per lettura, ad abbassare la media naziona-le delle competenze minime in matematica hanno contribuito i bassi livelli dell’area meridionale e insulare, come, ad esempio, la

ocse-Pisa 2009 – scienzelivello di competenza minimo

(liv. 1 o infer.)

Scienze

Regioni %

Valle d’Aosta 10,8%

Lombardia 11,0%

Friuli Venezia Giulia 11,1%

Veneto 11,7%

Trento 12,0%

Bolzano 13,0%

Lisbona * 15,0%

Marche 15,4%

Emilia Romagna 16,0%

Piemonte 16,9%

Toscana 17,3%

Liguria 17,4%

Umbria 17,8%

Ocse 18,0%

Puglia 18,8%

Italia 20,6%

Abruzzo 21,3%

Lazio 21,4%

Molise 23,1%

Sardegna 23,3%

Basilicata 26,6%

Sicilia 32,7%

Campania 33,3%

Calabria 35,1%

* benchmark per il 2020Elaborazione Tuttoscuola su Fonti Ocse-Pisa/Invalsi

Scienze

Aree geografiche %

Nord Est 13,2

Nord Ovest 13,3

Lisbona * 15,0

Ocse 18,0

Centro 19,2

Italia 20,6

Sud 26,6

Isole 31,5

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21TuTToscuolA n. 509

Speciale Rapporto ocsEdire che ora, nel Rapporto Pisa 2009 l’Italia, con il 20,6%, non solo ha migliorato la percentuale di competenze minime in scienze, scendendo di quasi 4,4 punti, ma ha fatto piccoli passi avanti nella graduatoria UE, guadagnano tre posizioni. Dietro l’Italia ora ci so-no, oltre a quelli del 2006, anche Austria, Lussemburgo e Grecia. Un po’ poco, proprio come per matematica. Complessivamente, come per matematica, vi sono 22 Paesi davanti all’Italia e 6 die-tro. In conclusione, per quanto riguarda le competenze minime dei 15enni italiani in scienze, preoccupa un po’ un certo ritar-do rispetto all’obiettivo finale di Lisbona 2020, lontano ancora 5 e più punti in percentuale.

Fu vera gloria, dunque, per scienze? Sei meno meno.

Il rapporto Ocse-Pisa 2009 è stato accompagnato da un dibat-tito, breve e intenso. Tutto breve come un lampo, troppo breve, perché in quel momento incom-bevano altri problemi urgenti: le manifestazioni contro la rifor-ma dell’università, le violenze di qualche giorno dopo a Roma, la quasi-crisi di governo, il vo-to di fiducia con la maggioranza risicata.

Se il Rapporto 2009 ha avuto vita breve sulla stampa naziona-le, deve invece rimanere nell’at-tenzione dei decisor i polit ici con opportuni approfondimenti (l’Invalsi ha annunciato appro-fondimenti tematici nel corso del 2011), ma, soprattutto, con l’as-sunzione di opportuni interventi che guardino al raggiungimento degli obiettivi di Lisbona 2020. C’è ancora tanto da fare, a co-minciare dal riequilibrio terri-toriale. Mandare il Rapporto in archivio, sperando che il sistema si migliori da solo sperando nello stellone, sarebbe da irresponsa-bili. Parliamone, dunque, presto, senza aspettare il Rapporto 2012 tra tre anni.

sono ancora in situazione molto debole con una percentuale dop-pia (31,5) del valore del traguardo assegnato da Lisbona 2020.

Tenendo conto degli obiettivi di Lisbona per le competenze minime in scienze che nell’ulti-mo Rapporto 2006 aveva visto i quindicenni italiani collocati agli ultimi posti tra i Paesi dell’UE e partner (peggio di noi allora, come era successo per matema-tica, soltanto Turchia, Bulgaria e Romania) e ancora lontanissimi, con il loro 25%, dal benchmark del 15% fissato per il 2020, c’è da

anche tutti gli altri settori scola-stici rispetto al Pisa 2006.

Anche per scienze, per capi-re se c’è stato miglioramento rispetto ai precedenti Rapporti, abbiamo messo a confronto i da-ti del Pisa 2009 con quelli del Pisa 2006, con riferimento alle situazioni delle diverse aree del nostro Paese. Questa la sintesi del raffronto.

Il nord ha vir tualmente rag-giunto l’obiet t ivo di Lisbona 2020, attestandosi sotto il 15%, il Sud è lontano da quell’obiettivo per oltre 11 punti, mentre le Isole

Scienze Pisa 2006 Pisa 2009

Aree geografiche % %

Nord Ovest 17,0 13,3

Nord Est 12,0 13,2

Centro 20,0 19,2

Sud 33,0 26,6

Isole 41,0 31,5

Italia 25,0 20,6

Ocse 18,0

Lisbona * 15,0

* benchmark per il 2020 - Fonti Ocse-Pisa/Invalsi

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SpecialeRa

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csE

I campi di indagine riguardano le competenze acquisite in Lettura, in Matematica e Scienze, che per ciascuna edizione diventano, a ro-tazione, oggetto di appositi focus.(Lettura è stata focus dell’edizio-ne 2000 e 2009, Matematica focus 2003 e 2012, Scienze focus 2006 e 2015). La particolarità del 2009 per l’Italia è data dal fatto che ha par-tecipato all’indagine un campione regionale per tutte le regioni, a dif-ferenza di quanto è successo negli anni precedenti. Dalla lettura dei dati relativi alla edizione 2009, resi pubblici solo il 7 dicembre 2010, emerge, per l’Italia, un quadro di re-lativo miglioramento in tutti i campi di indagine rispetto alle precedenti edizioni, pur se la media nazionale continua a non raggiungere la media OCSE. Il miglioramento è dovuto essenzialmente al contributo positi-vo delle aree del Sud e Isole che fan-no registrare i maggiori incrementi di punteggio, a fronte di un Centro che resta fermo, di un NordEst che peggiora in Lettura e appare stabile negli altri ambiti e di un NordOvest che migliora ma con incrementi po-co significativi.

e tra le Regioni del Sud, quel-la che sfoggia la performance migliore, in termini di trend di tendenza, è la Puglia che fa un si-gnificativo balzo in avanti rispetto alle precedenti edizioni, superando la media nazionale e collocandosi al centro di in una ipotetica gradua-toria nazionale delle regioni. I dati sottoriportati, estratti dal Rapporto finale curato dall’INVALSI eviden-ziano quanto riportato nella tabella a pag. 23.

Ho inter vistato i l Di ret to -re dell’USR pugliese Lucrezia Stellacci.

Dai predetti dati è agevole calcolare la differenza fra la media dei punteggi del campio-ne pugliese e la media OCSe solo relativamente all’ultima edizione. e’ possibile effettuare lo stesso confronto con riguardo alle precedenti edizioni?

“No, perché nel le edizioni precedenti al 2009 il campione italiano era unitario e stratif i-cato su macroaree geografiche (Nord-Ovest, Nord-Est, Centr, Sud, Sud Isole) anziché sulle Re-gioni, tant’è che il campione del 2006 raccoglieva studenti di so-le 11 Regioni, essendone escluse la Toscana, l’Umbria, il Lazio, le Marche, l’Abruzzo, il Moli-se e la Calabria. Solo nel 2009 i campioni sono stati composti per Regione, il che ovviamente ha comportato un costo aggiuntivo, ma ben giustificato. Il campio-ne pugliese del Rapporto 2009 è composto di 45 istituzioni sco-lastiche di istruzione secondaria di 2° grado distribuite sull’intero territorio regionale e rappresenta-tive di tutti gli indirizzi di studio presenti nelle scuole d’istruzione secondaria di 2° grado, oltre a due scuole medie.”

Che valore riconoscere agli esiti della ricerca Ocse?

“Per cogliere il valore di questa indagine, bisogna partire dalla conoscenza degli ambiti di ricer-ca dell’indagine medesima.

Essa vuole accertare il grado di

Intervista con Lucrezia Stellacci Direttore dell’ufficio scolastico regionale

“la Puglia brillante esempio di governo”

segue da pag. 15

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Speciale Rapporto ocsE

autonomia raggiunto da quindi-cenni scolarizzati nell’affrontare problemi di carattere linguisti-co e scientifico ricorrenti nella quotidianità, avvalendosi delle conoscenze apprese a scuola ed in tut ti gli altr i luoghi di ap-prendimento non formali (altre agenzie educative) ed informali (momenti associativi, conferenze, convegni) frequentati dai giovani. Esula dalle finalità dell’indagi-ne ogni valutazione sul sistema scolastico nazionale e sugli ordi-namenti scolastici dei rispettivi Paesi aderenti all’indagine, anche

se in effetti la efficacia del siste-ma formativo istituzionale resta fattore determinante dei risultati dell’indagine.

L’indagine valuta il livello cul-turale del sistema sociale di un Paese e l’affidamento che lo stes-so merita, atteso che il motore di sviluppo di ogni Paese è da indivi-duarsi, per convinzione unanime, nel “triangolo della conoscenza” i cui vertici sono: istruzione, ricer-ca, innovazione. Recentemente, poi, la validità scientifica di Pisa ha ottenuto importanti conferme attraverso alcuni studi che hanno

evidenziato una stretta relazione tra la performance degli studenti in Pisa e gli esiti accademici e professionali successivi. Dunque, una vetrina delle promesse che i giovani rappresentano per il futu-ro di ogni Paese, dell’affidabilità della loro preparazione in vista dell’accesso al lavoro che è un settore sempre più caratterizzato da grande mobilità.”

Come è stato possibile rag-giungere quest i r isultat i in Puglia?

“Dando concretezza operativa le politiche nazionali di utilizzo dei Fondi europei- Programma 2007/13- con grande senso di re-sponsabilità e volontà effettiva di miglioramento. Gli obiettivi prioritari di tutti i fondi europei dedicati alla Scuola del Mezzo-giorno (FSE, FESR,FAS) puntano a migliorare il livello di compe-tenze degli studenti quindicenni nell’area della lettura e della ma-tematica ed a diminuire gli ab-bandoni scolastici precoci. Ogni grado di istruzione ha partecipato attivamente ai bandi pubblicati dall’Autorità di gestione nazio-nale per il PON Scuola, assor-bendo ingenti risorse utilizzate nell’attuazione di progetti ritenuti meritevoli di finanziamento, tan-to nell’ambito del FSE utile per la formazione dei docenti e per interventi di miglioramento della didattica, quanto nell’ambito del FESR destinato all’adeguamen-to delle infrastrutture edilizie ed all’incremento delle attrezzature laboratoriali. Questo intenso la-voro di progettazione, di gestione, di verifica e rendicontazione da parte delle istituzioni scolastiche, affiancato,supportato, coordinato dai nostri Uffici e da Commissio-ni regionali appositamente costi-tuite con funzioni di consulenza, valutazione e connessione conti-nua con gli organi competenti del MIUR, ha reso possibile

u n s e n s i b i l e 1.

lucrezia sTEllAccI è direttore generale dell’ufficio scolastico regionale della Puglia dal no-

vembre 2006 con precedente incari-co di direttore generale dell’emilia romagna. Ha presieduto commis-sioni di concorso, comitati e gruppi di studi e di ricerca presso il Miur.

literacy in lettura:

media italiana p. 486 (2009) p. 469 (2006) p. 476 (2003) p. 487 (2000)

media OCSE p. 493 (2009) p. 492 (2006) p. 500 (2000)

media Puglia p. 489 (2009)

media Area Sud p. 468 (2009) p. 443 (2006) p. 445 (2003) p. 467(2000)

literacy in Matematica:

media italiana p. 483 (2009) p. 462 (2006) p. 466(2003)

media OCSE p. 496 (2009) p. 498 (2006)

media Puglia p. 488 (2009)

media Area Sud p. 465 (2009) p. 440 (2006) p.428 (2003)

literacy in scienze:

media italiana p. 489(2009) p. 475 (2006)

media OCSE p. 501 (2009) p. 500( 2006)

media Puglia p. 490 (2009)

media Area Sud p. 466(2009) p. 448(2006)

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24 TuTToscuolA n. 509

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2008/2009, non erano ancora par-titi i tagli del Piano programmati-co previsto dall’art.64 della legge n.133/2008, stavamo ancora com-pletando quelli del Governo pre-cedente disposti dalle finanziarie 2007 e 2008.

A tal riguardo le preoccupazio-ni si spostano al PISA edizione 2012, ma ho motivo di ritenere che il progetto “Diritti a Scuola” realizzato dalla Regione Puglia, in collaborazione con il mio Ufficio, negli anni scolastici 2009/2010 e 2010/2011,abbia messo in campo risorse adeguate per mantenere alta la qualità dell’offerta forma-tiva delle nostre scuole e contra-stare la dispersione scolastica.”

ma allora gli studenti lom-bardi non sono più bravi di quelli pugliesi?

“Come ha documenta l’ultimo Rapporto INVALSI sulla valu-tazione degli apprendimenti di italiano e matematica nelle clas-si seconda e quinta elementare, all’inizio del percorso scolasti-co i rendimenti sono pressocchè uguali al Nord come al Sud, in italiano quanto in matematica, poi man mano che si procede ne-gli studi la forbice si allarga e la differenza diventa significati-va. E’ il sistema sociale del Sud,

miglioramento degli am-bienti di apprendimento (dotazioni informatiche nelle classi,laboratori do-tati di moderne attrezza-ture tecnologiche, palestre, auditorium…);una graduale e progressi-2. va qualificazione dell’of-ferta formativa:

- allungando il tempo-scuola ordinamentale

- aggiungendo al curriculum atti-vità educative facoltative;

- potenziando il corpo insegnante con la scelta di esperti nelle at-tività proposte;

- formando il personale docente sulle innovazioni didattiche, quali l’ut i l izzo sistematico delle tecnologie, l’inserimento nel piano di studi di periodi di alternanza scuola-lavoro, o di stage in altri Paesi europei;

- rendendo gli studenti protago-nisti della costruzione del loro sapere.

l’avvio di un dialogo pro-3. grammatico e costrutti-vo fra istituzioni che si occupano di istruzione e formazione, che oltre a produrre l’effetto diretto della riduzione degli spre-chi, migliora il clima delle relazioni:

- potenziando l’autostima del cor-po docente,

- facendo crescere la fiducia nella valutazione come strumento di miglioramento,

- riducendo l’ansia da prestazio-ne a fronte di prove insolite nella tradizione scolastica, ma piuttosto inducendo docenti e studenti a misurarsi preventi-vamente con simulazioni di prove analoghe.”

Risultati considerevoli nono-stante l’eccessivo affollamento delle aule determinato dai tagli di organico del personale degli ultimi anni...

“Eravamo nell’anno scolastico

più disgregato, più povero sotto il profilo economico e delle op-portunità formative, a marcare le differenze. La Puglia al pari delle altre regioni d’Italia ha il medesimo “capitale umano”, ma fa fatica a trasformarlo in “capi-tale sociale”. E così accade che chi va bene va sempre meglio, e chi va male f inisce per peg-giorare ulteriormente.Non è che questo accada solo nella scuola, ma è significativo che comincian-do nella scuola poi f inisca per coinvolgere l’intera società in una sorta di circolo vizioso nel quale le condizioni di contesto influen-zano negativamente il processo di acquisizione delle conoscenze e delle competenze che, a sua volta, ostacola una evoluzione positiva del contesto sociale medesimo.”

nonostante i miglioramen-ti siamo ancora lontani dalle prime posizioni OCSe, cosa va fatto fare per recuperare po-sizioni, abbiamo speranze di riuscita?

“Il processo virtuoso si è ormai avviato, il passaggio più difficile era rappresentato dalla necessità di invertire la rotta; adesso sarà più facile seguire l’onda favore-vole che sta interessando la no-stra Regione.”

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25

secondo Giovanni Bachelet, deputato Pd e presidente del Forum nazionale politiche

dell’istruzione di questo partito, è necessario riflettere sulle ragioni

del “clamoroso flop” che ha praticamente affondato (a meno di altrettanto clamorosi recuperi dell’ultima ora) la sperimentazio-ne delle due misure, fortemente volute dal ministro Gelmini, fi-nalizzate a valutare e premiare la qualità, ri-

spettivamente, delle scuole e degli insegnanti giudicati meritevoli di un riconoscimento per la qualità del lavoro svolto.

Eppure recenti indagini mostrano che esisterebbe una ampia disponi-bilità dei docenti a essere valutati. Il condizionale è d’obbligo perché una generica disponibilità non basta: bi-sogna confrontare questa predisposizione con gli strumenti messi in opera per realiz-zare la valuta-zione e le inevitabili graduato-rie che ne scaturi-scono,

e saperne valutare l’impatto con la scuola reale. Come ben sa l’ex ministro Luigi Berlinguer, autore dell’unico serio tentativo fatto in Italia nel dopoguerra per imprimere una svolta meritocratica alla carrie-ra degli insegnanti, appiattita sul totem dell’anzianità di servizio.

Perché dunque la sperimentazio-ne Gelmini, pur così cauta e quasi minimalista, incontra tanta ostilità, o almeno diffidenza? Secondo Ba-chelet “è facile rispondere: perché il ministro, per questa sperimen-tazione, ha scelto di chiamare tre fondazioni vicine a Confindustria, ma non i sindacati”.

Ma sarebbe bastato ‘chiamare i sindacati’? I precedenti dicono di no. Berlinguer a suo tempo i sinda-cati li aveva pienamente coinvolti, i tre confederali e lo Snals, allora as-sai rappresentativo. E con essi aveva

concordato le modalità di svolgi-mento del ‘concorsone’, in-

serite anche nel contratto di categoria. Massima co-pertura dunque. Eppure gli insegnanti respinsero

in massa il modello di se-lezione proposto dal mini-

stro con l’avallo dei sinda-

cati.

Il successivo governo di centro-destra provò a sua volta nel 2003 a coinvolgere i sindacati in una com-missione di studio mista, prevista contrattualmente, che avrebbe do-vuto fare proposte concrete su nuovi “meccanismi di natura professionale per i docenti” entro il 31.12 2003. Le proposte furono fatte, ma rimasero lettera morta per tacita intesa delle parti: la materia era considerata an-cora troppo incandescente.

Ora Gelmini ha deciso di ripro-varci: con cautela, in modo gra-duale e sperimentale, con misure al momento non strutturali, più simili all’aziendalistico ‘premio di produ-zione’ annuale che ad una sia pur embrionale riarticolazione della car-riera e della retribuzione dei docen-ti. Eppure la risposta della categoria è visibilmente e ancora una volta negativa. Perché?

Il punto debole delle proposte, da Berlinguer a Gelmini, sembra esse-re quello della classificazione degli insegnanti, a parità di lavoro svolto, tra ‘bravi’ e – per inevitabile con-verso – ‘non bravi’, soprattutto se la valutazione, come avviene nella sperimentazione Gelmini, è affidata a colleghi e al dirigente scolastico. Nessuno è disposto a subire quel-lo che sembra non un premio per i migliori ma una punizione, una specie di gogna professionale, per gli altri.

Meglio, molto meglio puntare sul-la diversificazione delle carriere at-traverso meccanismi di progressivo arricchimento della professionalità iniziale, e delle relative retribuzioni, come avviene quasi dappertutto nel mondo.

Periscopio

Perché fallisce la valutazione di scuole e docenti

di orazio Niceforo

TuTToscuolA n. 509

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26 TuTToscuolA n. 509

Politica scolastica

Non sono tempi facili per confronti che aiutino a co-struire le condizioni per

affrontare le turbolenze della scuola e dell’università che, se mal gestite, possono generare un corto circuito che accentuerebbe il disagio che potrebbe superare il livello di guardia. L’inquietu-dine nasce dal disagio profondo che corre in generazioni incerte circa il loro futuro che ha una prospettazione diversa da quello di una volta perché privata del rapporto sicuro fra competenza e propria valorizzazione in una prospettiva di vita.

Nelle famiglie, tra gli studenti,

t ra i docenti, t ra coloro che a vario titolo vivono ed agiscono per la scuola e nella scuola si è consolidato sfiducia, malessere profondo e generalizzato verso un sistema educativo ed univer-sitario che non è in grado di pre-figurare il futuro professionale delle nuove generazioni e quindi del paese.

Nei confronti della scuola e della università si registra un calo di consenso di oltre 16 punti percentuali dal 69% al 53% (Il-vo Diamanti La Repubblica del

16/12/10). Il sistema scolastico ed universitario deludono, arran-cano, sono “stanchi”, e perciò non più in grado di contribuire in modo decisivo alla costruzio-ne del futuro dei giovani e del loro benessere forse anche a cau-sa della mancanza, negli ultimi decenni, di una vera politica di sostegno all’istruzione. Nell’ul-timo quinquennio il numero del-le matricole è inesorabilmente incominciato a scendere: dalle 324mila del 2005 alle 286mila dell’ottobre 2009. Il fenomeno si è accentuato maggiormente - sottolinea Andrea Rossi (La Stampa dell’8/2/2010) nell’anno

università e scuola: tra protesta e riforma

di Alfonso Rubinacci

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27TuTToscuolA n. 509

Politica scolastica

territoriali capacità e condizioni per permettere in primo luogo al-la scuola di evolvere in direzione meritocratica e competitiva. An-che per questi motivi nelle classi-fiche internazionali concernenti gli esiti scolastici il nostro paese rimane in situazione critica ri-spetto alla media Ocse e ai paesi più sviluppati.

università e scuola: tra presente e futuro

La soluzione per il futuro non potrà venire dalla restaurazione di un contesto che per evidenti mo-tivi non può più tornare. Il futuro dei giovani dipende da come il no-stro sistema educativo intende af-frontare le sfide di un mondo che è già cambiato in maniera radicale.

La partita travalica i confini nazionali e le dinamiche vanno comprese in un quadro mondiale: sempre più individui lavorano, si sposano, viaggiano, commerciano su scala internazionale, frequenta-no scuole internazionali in grado di insegnare non solo la lingua madre.

Il governo, la politica non sem-brano essere consapevoli della complessità delle questioni che

accademico 2009/2010 che ha re-gistrato “l’ iscrizione nemmeno del 60% di chi ha superato l’esa-me di maturità”.

Osserva De Rita “mancano desiderio, sogni … e menti ca-paci di mettersi di fronte ad un obiettivo e iniziare a funziona-re”. Aggiunge l’ex Presidente del Consiglio Giuliano Amato ( Corriere della Sera del 22 di-cembre 2010)- che siamo “alla fine di un ciclo ( … )in cui non si vedono i segni dell’alba del giorno dopo”.

Le cause e le responsabilità so-no varie e diverse. Le cose da fare sono molte e tutte difficili perché non ammettono sconti. Tutto richiederà fatica, rigore e coraggio e non stanchi slogan perché i piccoli aggiustamenti e le mezze misure non bastano per contenere il numero degli studenti italiani che va a stu-diare all’estero, per contrastare la diminuzione del numero degli stranieri che viene a studiare in Italia, per accrescere la percen-tuale di giovani laureati i cui ge-nitori si sono fermati alla scuola dell’obbligo.

Il riordino ordinamentale ed organizzativo del sistema educa-tivo varato nel 2008, purtroppo, non è in grado di migliorare le cose. Le istituzioni scolastiche con buoni livelli di funziona-mento costituiscono una parte complessivamente modesta del sistema educativo. Necessita-no urgenti interventi, primo fra tutti quello della gover-nance generale del sistema educativo coerente con i concetti di decen-tramento istituzio-nale, di autonomia d e l l e u n i ve r s i t à e del le is t i t u z ion i scolastiche. C’è l’ur-genza di superare una cultura centralistica della burocrazia amministrati-va e di dare alle istituzioni

richiedono di essere affrontate con equilibrio senza vie di fuga e ac-celerazioni improvvisate, semmai con un duro lavoro di “reingegne-rizzazione” e di riforma del nostro sistema educativo, idonei a scio-gliere i nodi che ne bloccano la crescita e a promuovere la rifles-sione sull’avvio di una fase nuova di riconsiderazione complessiva delle prospettive di sviluppo.

La domanda è come può una politica formativa organizzata in una dimensione nazionale nei suoi concetti fondamentali, negli spazi di potere strategico, nel contesto istituzionale aprirsi su quanto sta avvenendo nel resto del mondo a partire dai paesi emergenti, come definire un quadro di riferimento che renda possibili le risposte am-ministrative e organizzative.

Per non ripetere l’esperienza dell’overdose di laureati in scien-za della comunicazione e pochi laureati in ingegneria nucleare, non può essere solo la doman-da delle famiglie e degli studenti a stabilire le linee delle politiche formative di un paese.

Spetta alla politica, alle organiz-zazioni sociali ed imprenditoriali il compito di uscire da orizzonti ristretti; di uscire dalla fissazione su ciò che è familiare e vicino; di suggerire soluzioni efficaci; di restituire prestigio e funzionalità alla scuola ed alla università es-

senziali per il futuro del Pa-ese, beni non solo da salvaguardare ma da rafforzare con inve-

stimenti priori-tari; di spiegare ai giovani, al-

le famiglie, alla “gente” le ragio-ni per cui vale la pena studiare, lavorare; di ri-attivare i canali di mobilità so-ciale intasati da

troppi privilegi corporativi e da una immoralità dilagante per cui

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28 TuTToscuolA n. 509

Politica scolastica

cambiate. Valga per tutti l’esempio della Malaysia che attira decine di migliaia di studenti, si propone di diventare un hub universitario per i giovani di Singapore, di Taiwan, della Thailandia ma anche della Cina, o del Senegal che destina il 40% del budget statale a istruzione e sanità, di cui solo il 12% va al-la sanità, mentre la maggior parte è finalizzata alla formazione dei giovani.

interesse di tutta la società perché ha importanti ricadute sulla capaci-tà competitiva del sistema paese in un momento difficile e complesso delle economie internazionali. Sen-za scuola, università e ricerca non esistono sapere, e progresso e perciò capacità innovativa e competitiva.

Serve che ognuno si renda conto che è tempo di scuole senza confi-ni, che non è più tempo di posizio-ni dominanti, che le priorità sono

il pubblico è utilizzato a scopi pri-vati; di ripensare l’interdipenden-za e la reciprocità di una politica mondiale al di là dell’ “arroganza nazionale”.

C’è bisogno di un confronto duro, teso a ridefinire obiettivi, respon-sabilità, percorsi condivisi di rifor-me, ad individuare le criticità del sistema scolastico ed universitario alla luce del contesto internaziona-le. Accelerarne la trasformazione è

Non è stato edificante lo spet-tacolo al quale abbiamo assi-stito il 23 dicembre dell’anno

scorso quando il Senato ha defini-tivamente approvato il disegno di legge Gelmini per la riforma delle università. Non lo è stato perché né riflessione, né pacatezza di ragio-namenti e di argomenti favorevoli o contrari al testo si sono potuti esprimere, come sarebbe stato le-cito attendersi dalla ”camera alta” del nostro Parlamento e, per di più, su un tema di tanto rilievo. l’appro-vazione del testo è stato il risulta-to, in quell’occasione, di una sorta di braccio di ferro che, in un clima quanto mai concitato e confuso, ha fatto prevalere le ragioni dell’ago-ne e della forza dei numeri su quelle del confronto attento alle proposte e ai suggerimenti, anche quando, questi ultimi, erano dettati da inne-gabile buon senso. la legge è stata approvata in que-sto contesto, tanto da indurre il Presidente della Repubblica, nel promulgarla, a sottolinearne cri-ticità, e lacune, che ben avrebbero potuto essere superate e corrette in sede parlamentare, e, soprattutto, a richiamare la necessità di un ben

diverso clima di confronto e di dia-logo nel delicato e complesso pro-cesso di attuazione della legge. Ha scritto il Presidente: “L’attuazio-ne della legge è del resto demandata a un elevato numero di provvedimen-ti, a mezzo di delega legislativa, di regolamenti governativi e di decreti ministeriali; quel che sta per avviar-si è dunque un processo di riforma, nel corso del quale saranno concre-tamente definiti gli indirizzi indicati nel testo legislativo e potranno es-sere anche affrontate talune critici-tà, riscontrabili in particolare negli articoli 4, 23 e 26. [………]Al di là del possibile superamento - nel corso del processo di attuazione della legge - delle criticità relative agli articoli menzionati, resta importan-te l’iniziativa che spetta al governo in esecuzione degli ordini del giorno Valditara e altri G 28.100, Rusconi ed altri G24.301, accolti nella sedu-ta del 21 dicembre in Senato, con-tenenti precise indicazioni anche integrative - sul piano dei contenuti e delle risorse - delle scelte com-piute con la legge successivamente

approvata dall’Assemblea. Auspico infine che su tutti gli impegni as-sunti con l’accoglimento degli ordi-ni del giorno e sugli sviluppi della complessa fase attuativa del prov-vedimento, il governo ricerchi un co-struttivo confronto con tutte le parti interessate».E’ un auspicio che il ministro Gelmi-ni, a nome di tutto il governo, si è dichiarata pronta a tradurre in com-portamenti coerenti che, se posti in essere, consentirebbero di gettarci presto alle spalle un’esperienza non certo esaltante, dando prova della capacità della classe politica di affrontare un tema essenziale per il Paese, e indubbiamente di carattere trasversale, ricercando e favorendo, se non l’unanime consen-so, almeno la partecipazione attiva, e propositiva di tutti gli interlocuto-ri disponibili e interessati a que-sta riforma, facendo soprattutto prevalere un’analisi di buon senso sulle esigenze del facile messaggio mediatico. I contenuti essenziali del disegno di legge, gli aspetti controversi e gli argomenti favorevoli e contrari che ne hanno accompagnato il percor-so parlamentare, hanno costituito

se tornasse il buon senso di Fabio Matarazzo

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Politica scolastica

università nella ricerca in campo disciplinare, pedagogico, didat-tico e sociale.

Non è una pura elencazione di cose da fare ma un richiamo diretto alla responsabilità della classe politica perché diversa-mente sarà diff icile uscire dal circolo della protesta inutile e delle r iforme mancate che da troppo tempo bloccano la cre-scita del Paese.

economiche, promuovere lo svi-luppo scientifico e tecnologico, come leve fondamentali di inno-vazione per la competitività glo-balizzata, sviluppare la cultura della valutazione dei risultati, promuovere la differenziazione dell’offerta formativa con una pluralità di percorsi che faci-litino l’inserimento nel mondo del lavoro, sviluppare la col-laborazione congiunta scuola-

Alcune cose da fare per rianimare i contesti

E’ in gioco una bella fetta del futuro del Paese e la sfida che abbiamo di fronte è attrarre stu-denti e docenti internazionali con un articolato programma di borse di studio, di servizi, apri-re gli studenti italiani verso i paesi con maggiori opportunità

oggetto di ripetuta e diffusa infor-mazione e non è qui il caso di riper-correrli. la legge è ora in vigore e converrà piuttosto interrogarsi su-gli scenari che apre per compren-dere quale potrà essere il prossimo futuro delle nostre università e come riempire quella cornice nel cui in-terno dovrà essere compiutamente disegnata un’università rinnovata

e più funzionale alle esigenze e ai tempi mutati. Ha detto bene il Presi-dente: quello avviato è un processo; rispetto ad esso, dunque, si possono assumere due atteggiamenti oppo-sti: contrastarlo ad ogni passaggio significativo, ricorrendo ai tanti possibili strumenti di contenzioso giuridico che sarà agevole attiva-re anche con probabile successo, o

utilizzare i tempi e i modi di questo processo, che non sarà semplice né breve e che, probabilmente per tanti aspetti, supererà i tempi concessi all’attuale governo e alla legislatu-ra nel suo complesso, per concorre-re, magari criticamente, ma sempre con intento costruttivo, per recupe-rare soluzioni di buon senso e ormai da tempo maturate nella riflessione sui mali delle università e sui pos-sibili rimedi, rispetto alle quali non dovrebbe essere difficile registrare intese ampie e convinte. Il percorso di attuazione delle legge, inoltre, potrà consentire di misurarne la reale efficacia e praticabilità e di mitigare e correggere quelle dispo-sizioni che si rivelassero scritte più per l’annuncio mediatico che per la loro reale portata innovativa. Insomma, il tema università è quanto mai sul tappeto della politi-ca e all’attenzione degli addetti ai lavori e dell’opinione pubblica. E’ importante che vi resti a lungo e in primo piano per acquisire sempre maggiore e diffusa consapevolez-za della sua importanza. Di qui la necessità che non sia delegato sol-tanto a pochi illuminati opinionisti o alle corporazioni direttamente interessate al loro status e al loro futuro; costituisce, infatti, uno dei principali capitoli nei quali sarà scritta la storia futura del nostro Paese e del suo ruolo del contesto internazionale.

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Politica scolastica

Da una parte c’è un sistema universitario che nella com-pet izione internazionale

vede 15 università italiane po-sizionarsi tra i primi 500 atenei al mondo. Dall’alt ra circa 56

giovani su 100 si iscrivono a cor-si equivalenti alle lauree triennali nei paesi Ocse, contro il 51 per

cento dell’Italia. E’ un sistema in chiaroscuro quello universi-tario italiano, così come emer-ge dal l’undicesimo rappor to sullo stato del sistema universi-tario italiano, presentato a Roma.

Nella competizione internazionale, 15 atenei sono tra i primi 500 al mondo. Il sistema è soprattutto debole

nel confronto con le punte di eccellenza straniere.

l’uNIVERsITà Al BIVIo

di Ma Am.

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Politica scolastica

di grandissimo respiro che tocca, nel rapporto, punti di debolezza, ma anche di forza, come il fatto che il nostro sistema universita-rio si colloca al decimo posto al mondo e al quinto in Europa nella valutazione internazionale ed è al primo posto in Europa per acces-sibilità. Fra le debolezze, l’inci-denza della spesa per l’università sulla spesa pubblica, che è la più bassa fra i paesi Ocse o il tasso, ancora troppo contenuto, di lau-

reati in corso.

parte dei maturi è più consistente, sul territorio, laddove il mercato del lavoro offre maggiori ciance occupazionali. Il terzo aspetto, anch’esso inedito rispetto alle precedenti indagini, si concentra sul fatto che ad attrarre i maturi più bravi, quelli con voto di diplo-ma fra 90 e 100, siano prevalen-temente alcuni atenei non statali (vedi box).

Tali particolarità si col-locano, come sempre, all’interno di un quadro

Il presidente Luigi Biggeri punta l’attenzione su tre aspetti decisivi per la tenuta, nel contesto inter-nazionale, del nostro sistema. Il primo aspetto riguarda l’avvio di una reale razionalizzazione del numero dei docenti e dei corsi di studio. “L’università ha operato sì una diminuzione dei corsi di stu-dio e dei docenti negli ultimi an-ni, ma l’analisi d’insieme segnala che ciò è avvenuto in assenza di una reale e appropriata pro-grammazione, capace di tenere in considerazione il vero fabbiso-gno informativo e di ricer-ca – sottolinea Biggeri – Il di-segno futuro, data l’urgenza, non potrà basarsi, ancora una volta, su compromes-si tra gruppi interni di potere all’università, - che con le numerosissime uscite dei docenti dai differenti set-tori scientifico-discipli-nari potranno cambiare profilo – bensì su un di-segno strategico ad hoc. La programmazione degli accessi e delle modalità di richiesta dei posti da mettere a concorso, in relazio-ne alle effettive esi-genze delle attività di formazione e di ricerca che si modificano nel tempo, è irrinunciabile, pena il verificarsi di vere e proprie emor-ragie di docenti in determinate aree di studio. Ad esempio, come risulta dal rapporto, entro il 2015 usciranno dall’università, per rag-giunti limiti di età, il 32 per cento dei professori ordinari delle aree delle scienze fisiche e di ingegne-ria civile e architettura.

Il secondo aspetto – insiste Biggeri – riguarda un fenomeno fino ad oggi inedito, che desta qualche preoccupazione. Al calo degli immatricolati, fa da contral-tare la circostanza che il manca-to proseguimento degli studi da

I “maturi” più bravi sono attratti dalle università non statali. E’ una delle conclusioni emerse dall’11/mo rapporto sullo stato del sistema universitario presentato dal comitato nazionale per la

valutazione del sistema universitario. Gli studenti che hanno un voto di maturità superiore a 90 preferisce iscriversi ad atenei come la lu-iss di Roma (68,1%), la Bocconi di Milano (58%), il campus biomedico di Roma (52,6%), ed il san Raffaele di Milano (52,5%). seguono l’università della calabria ed il Politecnico di Bari con il 40,8%. Il rapporto rileva anche come sia davvero modesta la percentuale di immatricolati con voto di maturità 90-100 nelle università telematiche e mostra come il passaggio dei maturi all’università sia fortemente condizionato, oltre che dal tipo di facoltà, anche dal territorio.

I più bravi sono attratti da atenei non statali

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Politica scolastica

la percentuale di successo degli interni sia superiore a quella degli esterni è un elemento tendenzial-mente non positivo, specie quan-do questo si accompagna ad una forte selezione degli idonei.

Il 39% dei dottorandi non rice-ve alcun sostegno per il triennio di dottorato. Gli esterni sono più penalizzati rispetto a quelli lo-cali/interni nell’assegnazione di un sostegno finanziario: a livello di sistema la differenza è di 5,3 punti percentuali, ma le differen-ze più evidenti si riscontrano ne-gli atenei del Nord Ovest (10%), del Nord-Est (8,8%) e del Sud (7,5%). Resta elevata l’età media di accesso al dottorato, pari a cir-ca 29 anni. Occorre considerare, infatti, che i “dottori” si affac-ceranno sul mercato del lavoro a 33 anni. Le donne che tagliano il traguardo, iscrivendosi ad un corso di dottorato prima dei 28 anni, sono più numerose degli uomini, probabilmente anche in virtù della minore età al conse-guimento della laurea.

per il 9,8% privati finanziatori e per il 5,6% da enti pubblici. Negli Atenei del Nord Ovest, come in quelli del Nord Est, pesano mag-giormente i finanziamenti pro-venienti dai privati (15,1%) e da enti di ricerca (12%), rispetto alla percentuale nazionale. Simme-tricamente, il valore percentuale del f inanziamento proveniente dal Miur risulta inferiore rispetto alla media nazionale, ed è pari al 41,6% per gli Atenei del Nord Ovest ed al 44,8% per gli Atenei del Nord Est.

Soltanto il 37,3% dei parteci-panti alle prove per l’ammissione ai corsi di dottorato si è laureato in un ateneo diverso da quello del dottorato, con percentuali molto diverse per localizzazione geo-grafica e dimensione dell’ateneo. Tuttavia, esistono atenei mag-giormente “attrattivi” per gli stu-denti esterni, che si identificano nei piccoli atenei del Nord Ovest (55,7%), nei medi del Nord Est (48,6%) e nei medi del Centro (51%). Generalmente, il fatto che

la formazione alla ricerca

Diminuisce il numero degli iscritti ai corsi di dottorato in Ita-lia. Sono circa 12 mila gli stu-denti che nell’anno accademico 2009/10 si sono iscritti ad un corso di dottorato, quasi mille in meno rispetto agli iscritti nel 2008/09. Aumentano i “dottori” provenien-ti da Atenei stranieri . Continua invece la crescita seppure lieve (quasi un punto percentuale in più, rispetto all’anno accademico precedente: dal 7,3% del 2008/09 all’ 8% del 2009/10) degli iscritti a corsi di dottorato in Italia che hanno conseguito il Titolo di lau-rea in un Ateneo straniero.

L’analisi condotta su 70 atenei per l’anno 2009 indica come nel periodo considerato il MIUR ri-manga il principale finanziatore delle borse (45,7%). I fondi di Ateneo, inclusi in essi i fondi di Atenei consorziati, rappresentano il 31,4%. I restanti del finanzia-menti provengono specificamente per il 4,2% da enti di ricerca,

secondo il comitato nazionale per la valutazio-ne del sistema universitario, la riduzione del numero di iscritti alle 95 università italiane

non si deve solo al decremento delle immatricolazio-ni, in particolare degli studenti neo-diplomati, ma anche all’alto numero di abbandoni: se nell’anno accademico 2008/2009 c’erano 1 milione 812 mila iscritti, il cnvsu si sofferma sul fatto che in Italia “soltanto il 32,8% degli studenti porta a termine un corso di laurea, a fronte di una media oecd pari al 38%”.Inoltre, se negli ultimi anni il numero di iscritti ad un ateneo non aveva fatto registrare incrementi, ri-manendo quindi stabile, l’organo di valutazione ha sottolineato che, rispetto al 2008/09 “i dati provviso-ri per l’anno accademico 2009/2010 fanno registrare una diminuzione di oltre 15mila unità”, con un tassi di abbandono (mancate iscrizioni al secondo anno di corso) pari al 16,7%.

cresce anche “la quota di `immatricolati inattivi’, rispetto all’anno precedente” che “si attesta al 13,3%”. Ed anche la regolarità degli studi è in dimi-nuzione: ogni dieci studenti iscritti, quattro sono fuori corso, e le facoltà con gli studenti più assidui risultano quelle con prove di selezione all’ingresso e accessi programmati. Gli esperti sostengono che dietro a questa tendenza vi siano diversi motivi, non necessariamente di settore, ma anche la mancan-za di un’adeguata comunicazione e un orientamen-to generalmente poco sviluppato. “la dispersione - hanno commentato i ricercatori del cnvsu - non è certamente imputabile esclusivamente alla caren-za dei servizi, ma dettagliate informazioni e analisi sulla disponibilità di questi ultimi potrebbero esse-re utili per promuovere l’avvio di un piano naziona-le partecipato di contrasto dell’irregolarità negli studi universitari intervenendo sui servizi per gli studenti”.

laureato solo uno studente su tre, al secondo anno 17 per cento lascia

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Politica scolastica

Per tutte le università le risorse umane sono un fattore strategico e, al tempo stesso, un elemento di

rigidità, poiché è possibile modificarne entità e struttura soltanto nel medio o, ad-dirittura, nel lungo periodo. la gestione delle risorse umane condiziona le attivi-tà delle singole istituzioni universitarie, sia in termini di capacità operative e di offerta di servizi, sia quale “ostacolo” alle loro trasformazioni strategiche. le caratteristiche attuali e l’ evoluzione ne-gli ultimi anni le informazioni disponi-bili consentono di effettuare un’analisi a livello di sistema universitario capace di fornire elementi utili ad interventi di programmazione nazionale, anche in considerazione delle opportunità offerte dalla situazione attuale e dall’evoluzio-ne degli assetti normativi. I Docenti nelle istituzioni universitarie - oltre il 95% dei docenti è inquadrato nelle università statali. la composizione per qualifica del personale in servizio nelle diverse istituzioni risulta piuttosto simile. In totale circa il 28% sono profes-sori ordinari, il 29% professori associati e 43% ricercatori. Differente la situazione nelle università “Telematiche”, dove la percentuale dei ricercatori sul totale dei docenti è 64% .ordinari con i capelli bianchi - Attualmente, i pro-fessori ordinari con più di 60 anni sono quasi il 50% (circa 7.800) e oltre 3.000 di loro (circa il 20% del tota-le) ha più di 65 anni. la distribuzione per età è varia-bile da istituzione a istituzione. le università meno giovani hanno generalmente professori più anziani. l’età media dei professori ordinari passa dai 58 anni del 1998 ai 63 anni nel 2010. soltanto il 15% i profes-sori ordinari ha un’età inferiore ai 51 anni (circa 1 su 7). le percentuali più elevate (oltre 20%) si tro-vano nelle aree di scienze matematiche, ingegneria industriale e dell’informazione, scienze giuridiche e scienze economiche e statistiche. soltanto il 5% dei professori associati ha meno di 41 anni. scar-seggiano i giovani anche fra i professori associati. Quelli con più di 65 anni sono circa il 6,5% e quelli con età superiore ai 60 anni sono il 23%. soltanto uno su venti ha meno di 41 anni. Per quanto riguarda i

ricercatori, quelli con fascia di età fra i 35 e i 40 an-ni risultano nel 2010 più numerosi, mentre nel 1998 la fascia d’età con presenza maggiore di ricercatori era quella fra i 45 e i 50 anni. le età medie dei docenti - le età medie aumentano. Per i professori ordinari, l’età media nel 1988 era di 54 anni e diventa di 59 nel 2010. Quella degli associa-ti era di 47 e diventa di 53. Quella dei ricercatori era di 39 e diventa di 45. le differenze di genere: ogni 4 uomini c’è una donna ordinario. Tra i Professori or-dinari la presenza di donne varia dal picco del 42,2% per l’area di scienze dell’antichità al minimo del 5,8% di Ingegneria industriale e dell’informazione. Il valore totale è pari a circa il 20%, ovvero di una donna professore ordinario ogni 4 maschi. le ricer-catrici, nel 2010, rappresentano il 45% del totale. le donne sono in maggioranza nelle aree di scien-ze chimiche, scienze storiche, scienze biologiche e scienze dell’antichità.

le risorse umane delle università: un fattore strategico

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Politica scolastica

I sistemi educativi del mondo contemporaneo traggono ori-gine da un lato dalle riforme

religiose del XVI secolo, dall’altro dalle trasformazioni industriali del XVIII. Le riforme religiose (a co-minciare da quella luterana) hanno affermato l’idea che l’istruzione debba costituire un elemento im-portante del profilo del cristiano. Questi ha bisogno di saper leg-gere per accedere e liberamente

interpretare la Bibbia. D’altra parte, il pos-sesso di un minimo d’istruzione ha mo-strato la sua utilità in concomitanza col complicarsi dei pro-cessi produttivi che ha incominciato a verifi-carsi circa tre secoli fa in Inghilterra. È

vero che in un primo momento ai lavoratori era richiesta soprattutto forza fisica (basti pensare al lavo-ro nelle miniere), ma ben presto divenne evidente che un minimo d’istruzione avrebbe costituito un vantaggio sia per l’organizzazio-ne dei processi produttivi, sia per gli stessi lavoratori. Allo sviluppo dell’industria si sono accompagnati altri cambiamenti che hanno ulte-riormente confermato la necessità di diffondere l’istruzione: non si è trattato solo di richiedere ai lavo-ratori di intervenire in pro-cessi che per la loro complessità

supponevano il possesso, oltre che di forza fisica, di competenze simboliche, ma anche di porre le condizioni per la crescita dei ser-vizi indispensabili per assicurare il funzionamento delle industrie (per esempio, i trasporti e le reti commerciali) e per corrisponde-re alle nuove esigenze della vita quotidiana.

Nei paesi europei, la spinta all’istruzione derivante dalle ri-forme religiose ha interessato so-prattutto i paesi del Nord, mentre altrove è stato determinante l’ef-fetto delle trasformazioni produt-tive. Ma ciò ha comportato uno sfasamento temporale di due-tre secoli, per il fatto che le riforme religiose hanno preceduto i cam-biamenti nei sistemi produttivi.

Non si è trattato, tuttavia, solo di una differenza nei tempi di svi-luppo dei sistemi d’istruzione. Le spinte iniziali hanno determinato interpretazioni educative diverse, soprattutto per ciò che riguarda gli intenti che si vogliono perse-guire. L’alfabetizzazione avviata nell’ambito delle riforme religio-se perseguiva un intento di utilità immateriale, quello di consentire ai cristiani di leggere i testi sacri. La competenza acquisita attraver-so l’educazione doveva intendersi ugualmente necessaria in tutte le età della vita. L’efficacia dell’edu-cazione non si sarebbe perciò veri-ficata solo al termine del percorso occorrente per acquisire le compe-tenze alfabetiche, ma doveva po-tersi apprezzare nei tempi lunghi. La crescita dell’istruzione deri-vante dalle trasformazioni produt-tive ha perseguito una nozione di utilità fondamentalmente diversa, perché fondata sui benefici che potevano ottenersi nel tempo bre-ve. Chi aveva fruito di una certa opportunità di apprendere si at-tendeva di trarne un vantaggio immediato: poteva aspirare a svolgere un lavoro più qualifica-to e meglio retribuito.

La crescita del sistema sco-lastico italiano ha seguito con un certo ritardo quella che si era avuta in altri paesi euro-

pei, ed è stata prevalentemente sospinta dall’intento di perse-

guire un’utilità a tempo breve. Ciò che si

apprendeva nella pr ima par te

Il mercato, l’educazione, la cultura

di Benedetto Vertecchi

TuTToscuolA n. 50934

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35TuTToscuolA n. 509

Politica scolastica

della vita poteva essere utilizzato nel suo seguito per partecipare, svolgendo funzioni più qualifica-te, alla vita sociale. Nel senso comune educativo, ha finito con l’affermarsi l’idea che al livello dell’istruzione acquisita nella prima par-te della vita dovesse cor-rispondere quello delle funzioni che si sarebbero svolte nel seguito di essa. Questa interpretazione presenta due limiti, che si sono incominciati a manife-stare in misura evidente negli ultimi decenni del Novecento:a) suppone che esista una riser-

va di popolazione esclusa dai benefici dell’istruzione, ma che aspira a fruirne per elevare la propria condizione sociale. Ciò poteva valere fin quando dall’educazione scolastica sono state escluse quote importanti di popolazione interessata, per l’effetto di filtri a carattere so-ciale (la capacità delle famiglie di sostenere gli studi dei figli) o per l’enfasi posta sulle carat-teristiche personali degli allievi (l’intelligenza, l’attitudine allo studio);

b) l’altro limite consiste nel rico-noscere all’attività educativa e ai risultati che se ne traggono un valore stabile nel tempo, sen-za considerare i cambiamenti di contorno. Nel senso comune, il concetto di stabilità si associa al presentarsi ripetuto e non troppo difforme di certe condizioni nel tempo in cui si accumulano le esperienze personali: per esem-pio, nei decenni che separano la generazione dei padri da quella dei figli. Si pensa che le espe-rienze dei primi possano costi-tuire un riferimento, e orientare i comportamenti dei figli sia in senso riproduttivo, se questi ul-timi riprendono attività e stili di vita dei genitori, sia per con-trasto, se intendono compiere scelte diverse.

I limiti indicati trovano confer-ma negli studi e nelle ricerche che nell’ultimo quarto di secolo hanno analizzato i profili culturali della popolazione adulta nei paesi in-dustrializzati. Stava, infatti, mani-festandosi un fenomeno del tutto inatteso, e cioè che il repertorio di competenze simboliche acqui-sito nella prima parte della vita (a cominciare dalle capacità alfabeti-che), che in precedenza si riteneva dovesse qualificare stabilmente il profilo culturale delle persone, era invece soggetto a regressioni più o meno consistenti. Sono emer-se due tendenze contrastanti, una nei paesi la cui crescita scolastica aveva originariamente perseguito intenti di utilità immateriale, l’al-tra nei paesi che hanno visto nello sviluppo dei sistemi d’istruzione un modo per corrispondere alle esigenze di trasformazione delle attività produttive. Nel primo ca-so la regressione nel livello delle competenze alfabetiche è appar-sa modesta, mentre si è rivelata consistente quando ha prevalso il perseguimento di un’utilità nel breve termine.

Queste indicazioni hanno spinto molti paesi a rivedere i criteri ge-nerali cui si ispiravano le loro po-litiche scolastiche, per tener conto

che le condizioni in cui si pratica oggi l’educazione sono sostanzial-mente diverse da quelle prevalenti

fino a non molti decenni fa. Il riferimento alle esigenze del

mercato del lavoro poteva offrire criteri per scelte a carattere strategico solo postulando una stabilità delle competenze acqui-site sulla quale non si può più fare affidamento. Si costata, invece, che vi so-

no aspetti dell’educazione che interessa la prima parte

della vita che sono in grado di qualificare più a lungo il

profilo culturale delle persone, e aspetti che decadono più rapida-mente. Sono più stabili gli appren-dimenti che, in modo riassuntivo, si possono definire culturali, men-tre perdono rapidamente di vali-dità quelli collegati alla capacità di eseguire procedure e utilizza-re strumenti complessi. In altre parole, mantiene più a lungo la sua validità l’apprendimento che non si prefigge intenti di utilità immediata.

Le interpretazioni dei fenomeni educativi non possono che fare ri-ferimento a tempi lunghi, mentre il mercato persegue i suoi intenti nel tempo breve. Se le scelte di politica scolastica obbediscono a logiche di mercato, in un quadro culturale ed economico, come l’at-tuale, caratterizzato dalla rapidità delle trasformazioni, non può che avviarsi una rincorsa nella quale l’educazione è necessariamente perdente. Si capisce quindi la ra-gione della revisione in atto nelle politiche scolastiche (purtroppo, non in Italia): si tratta di recupera-re la nozione di utilità immateriale della proposta educativa. L’educa-zione non può avere come intento quello di assecondare le richieste del mercato, ma di accrescere la capacità di interpretare il reale e di concorrere creativamente all’evo-luzione delle diverse manifesta-zioni della vita sociale.

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36 TuTToscuolA n. 509

Politica scolastica

sarà l’esempio di Maria Anto-nietta – brioches al popolo che non ha pane – o sarà che in

tempi di crisi di governo bisogna fare in fretta se si vuol apporre uno storico imprimatur ? Sta di fatto che, nel periodo di maggiori tagli a finanziamenti e posti di lavoro nel sistema scolastico dal dopoguerra, dopo aver bloccato la carriera del personale, la Gelmini, insieme ad un recupero di scatti di anzianità non privo di incertezze sugli anni successivi, ha partorito due ipotesi sperimentali per “premiare il meri-to” di scuole e docenti.

L’attenzione dei sindacati sulla bozza di decreto era rivolta soprat-tutto alla prima notizia, quella dei media alla seconda. La stampa ha annunciato la caduta dell’ultimo ta-bù, il superamento dell’egualitari-smo retributivo ed il conferimento ai docenti meritevoli della quattor-dicesima mensilità, curiosa variante

di sapore bancario da approfondire nei suoi risvolti contrattuali. Ciò preluderebbe alla differenziazione della carriera, a risorse aggiuntive per le scuole virtuose, a gradua-torie personali e istituzionali che finalmente provocheranno la mo-bilità dell’utenza (unico fenome-no che da decenni si verifica già spontaneamente).

La rete restituisce opinioni con-trastanti: c’è chi è contrario e chi è favorevole in linea di principio ma esprime riserve sulle modalità; ben pochi sembrano però disponibili a sperimentare subito. Due anni fa una ricerca di Nomisma metteva in evidenza una maggiore propensione alla valutazione rispetto a dieci anni prima, soprattutto da parte dei gio-vani, di coloro che hanno terminato la scuola di specializzazione. Ma

a parte il fatto che proprio a loro le epocali riforme di elementari e superiori hanno nel frattempo pre-cluso l’entrata in ruolo, anche fra i favorevoli prevale l’insidiosa posi-zione “valutazione sí, ma non cosí”.

Già una decina di anni fa fu la reazione dei docenti a fermare un primo e non molto indovinato tentativo del ministro Berlinguer. Sembrerebbe ovvia l’importanza di una loro partecipazione nel nuovo tentativo: sia per far tesoro della loro esperienza sul campo, sia per con-solidare il consenso dei favorevoli con riserva, essenziale per la riusci-ta dell’operazione. Invece, benché si tratti di un’azione morbida rispetto a Berlinguer (sperimentazione solo in quattro città), essa è gestita dal-le Fondazioni Agnelli, San Paolo e Treellle, senza alcun coinvolgimen-to di organizzazioni e associazioni sindacali e professionali.

Ad aprile il presidente di Treellle,

Valutazione delle scuole e dei docenti, IN ATTEsA DI GIoRNI MIGlIoRI

di Giovanni Bachelet*

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Politica scolastica

ricordando che il progetto USA di miglioramento della scuola Part-nership for XXI Century Skills (P21) è condiviso dal più potente sinda-cato degli insegnanti e da quaranta grandi imprese, chiedeva: “Perché anche da noi non succede che Con-findustria e grandi Organizzazioni Sindacali collaborino per una scuo-la migliore, visto che è un campo in cui prevalgono evidenti interessi comuni?” Oggi possiamo facilmen-te rispondere: perché il Ministro ha scelto di chiamare le fondazioni vi-cine a Confindustria e non le grandi Organizzazioni Sindacali.

Prevedibile, quindi, il fuoco di sbarramento sindacale di fronte a modifiche unilaterali in un campo di esclusiva competenza negoziale; meno scontato il britannico apprez-zamento sindacale del metodo spe-rimentale e degli osservatori esterni (le tre fondazioni); difficilmente confutabile il giudizio sindacale (la montagna ha partorito il topoli-no) sulla natura propagandistica dell’operazione, alla luce delle scar-sissime risorse ad essa destinate, condiviso infatti da altri esperti: per Tuttoscuola, ad esempio, “la svolta meritocratica, se questi saranno i numeri, giocoforza dovrà aspettare tempi migliori (nel 2013?)”.

L’ultima previsione coincide con quella fatta molti mesi prima dal partito democratico, ai tempi della manovra, e rielaborata nel suo do-cumento sulla valutazione del si-stema scolastico a luglio: togliendo con una mano gli scatti stipendiali e restituendoli con l’altra attraver-so il fondo destinato alla valoriz-zazione degli insegnanti e delle scuole, il Governo rimanda quest’ultima, nei fatti, al 2013. E ancora non sapeva-mo che il lancio della “operazione valor izzazione” sarebbe avvenuto adesso, mentre la finanziaria taglia pure un quarto dei

finanziamenti all’Istituto Naziona-le per la Valutazione del Sistema di Istruzione e formazione (Inval-si) e all’Agenzia Nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica (Ansas)! La tentazione di non con-frontarsi sul merito di questa ini-ziativa per la parvità della materia e le quasi grottesche contraddizioni fra annunci e fatti (oltretutto il de-creto interministeriale non è ancora scritto, chissà se mai lo sarà) va pe-rò respinta, se non altro per evitare che una seconda partenza falsa pre-giudichi di nuovo, per anni, future iniziative piú serie e sostanziose in questo campo. Veniamo dunque al merito.

Finora la valutazione ha inte-ressato per lo più gli alunni e so-lo di riflesso docenti e scuole. Le indagini internazionali mettono in evidenza che in Italia è la didattica a non essere in linea con i quesiti valutativi; l’Invalsi, in assenza di coerenza e trasparenza tra obietti-vi di insegnamento e modalità di valutazione, si muove per conto proprio. Manca inoltre un corpo di

Ispettori preparato e indipenden-te dal Ministro (dote, quest’ultima, che gioverebbe anche all’Invalsi); in tali condizioni le verifiche ispet-tive riguardano la conformità ad un ordinamento gestito in maniera centralistica piú che la qualità del servizio definito attraverso un siste-ma di indicatori.

Coerenza e trasparenza dovreb-bero riguardare indicatori e cri-teri di valutazione, in modo che aspettative e obbiettivi siano noti fin dall’inizio, tanto a chi deve es-sere valutato, quanto all’opinione pubblica: gli standard, si sa, prima di essere fatto statistico sono fatto sociale. Non risponde invece a tra-sparenza, ma a rozzo e provinciale giacobinismo, l’idea di pubblicare le graduatorie dei meritevoli. Un pa-io d’anni fa il National Council on Teacher Quality, organismo biparti-san di Washington, ha ammesso che il riconoscimento del merito aveva dato risultati non eccelsi e spesso controproducenti a causa di una ec-cessiva competizione fra insegnanti e fra scuole. E proprio in USA, in molte aziende dove vige una perio-dica merit review da cui dipende la retribuzione, l’istogramma dei salari viene pubblicato anonimo: ciascuno identifica la propria posi-zione rispetto agli altri ed è spin-to a migliorarla, ma non conosce i nomi dei colleghi da invidiare o commiserare, in modo che la col-laborazione e il lavoro di squadra, essenziali quanto la competizio-ne per il successo dell’azienda,

non ne siano pregiudicate.Valutare i docenti attraverso

un team composto dal dirigente scolastico, due docenti e un genitore-osservatore, sa più di compromesso tra i poteri dell’istituto che di efficace modalità di analisi. Un co-mitato di valutazione inter-no presieduto dal dirigente esiste dal 1974, ed era stato concepito come uno stru-mento a cui rivolgersi spon-

taneamente nel caso i docenti

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carriera. Anche per quest’ultimo motivo è doveroso confrontarsi con l’iniziativa del Governo: certo per il partito democratico l’intero sistema scolastico andrebbe sottoposto a va-lutazione (inclusi i dirigenti scolasti-ci e gli Uffici Scolastici Regionali), e il fatto che il Governo si sia mos-so senza consultare né Parlamento né Sindacati è molto grave, ma in questo campo stabilità e continuità sono cosí importanti che, per quel che sta in noi, è bene contrapporre serietà e rigore al poco responsabile bipolarismo scolastico inaugurato da questo Governo.

Continuando in questo spirito a guardare al merito delle speri-mentazioni ministeriali, appare piú interessante la valutazione delle scuole. Si tratta di aiutare quelle in difficoltà e sostenere quelle che di-mostrano maggiori qualità, nell’ot-tica di un sistema che continui ad assicurare pari opportunità. E’ in tale ampio contesto che si inseri-scono gli esiti degli allievi; il valo-re aggiunto, in termini di incentivi economici, va soprattutto a favore del personale. Anche qui esistono, però, due questioni: una, già illu-strata, relativa alla trasparenza dei criteri di valutazione; l’altra al gra-do di reale autonomia delle istitu-zioni scolastiche. C’è infatti grande enfasi nell’introdurre la valutazione delle scuole senza considerare che i loro attuali spazi di manovra sono limitati.

Per migliorare ci vogliono buo-ni consigli da parte dei valutatori, ma ci vogliono risorse e libertà di riorganizzarle e qualificarle all’in-terno della scuola. In altre parole, se il Governo, anziché finanziare e potenziare l’autonomia, la limita con ulteriori norme centralistiche e non paga i debiti alle scuole, anche la loro valutazione si riduce fatal-mente alla verifica di adempimenti burocratici e rendimenti. Che altro rimane da valutare in una scuola non solo priva di adeguate risorse, ma anche della libertà di usarle co-me meglio crede? In questo senso

occorrerà comunque conoscere le annunciate modalità di rilevazio-ne dell’apprezzamento da parte di genitori e studenti, e soprattutto la loro cogenza sul miglioramento economico e la carriera dei docenti. Piú in generale occorrerà controlla-re se la ricetta proposta per la va-lutazione sul campo dia sufficiente peso al lavoro con gli alunni o si limiti invece a misurare in modo burocratico titoli e partecipazione a corsi ed attività formative extrasco-lastiche, indipendentemente dalla loro qualità e impatto sulla didatti-ca quotidiana; se insomma il “cru-scotto” adottato (una pluralità di indicatori prodotti da una pluralità di valutatori) sia abbastanza am-pio ed equilibrato da identificare le “qualità desiderabili di un docente” o invece test e marchingegni valuta-tivi producano alla fine l’imprevisto risultato di escludere don Milani e Marco Lodoli dal novero dei buoni insegnanti.

Da questo punto di vista non an-drebbe trascurato il “documento di autovalutazione” previsto dal do-cumento Gelmini. Nei paesi dove la valutazione è di casa si parla di accountability e il termine tutto italiano di autovalutazione suona come un ossimoro, ma in sostanza ogni docente potrebbe mantene-re un archivio di rapporti annuali e/o un portfolio delle competenze che documenti e renda espliciti gli eventi più significativi della propria attività e consenta un periodico ed aggiornato bilancio professionale, come in parte già avviene in Trenti-no. La professionalità del docente è infatti legata a conoscenze e compe-tenze iniziali, magari arricchite da successivi momenti di formazione in servizio, ma si crea e si struttura nella progressiva partecipazione ad una “comunità di pratiche”.

In ogni caso per i docenti deve essere chiara la finalità della valu-tazione, ci deve essere trasparen-za, come si è detto, nell’uso degli strumenti, e deve essere stabile il processo valutativo nell’arco della

stessi volessero cambiare il proprio status; è stato reso obbligatorio nelle procedure di immissione in ruolo. Se ci sono in ballo quattrini servirà?

Un’altra domanda è se il dirigente scolastico nel team di valutazione sia una buona idea. In una scuola autonoma il dirigente ha già a pro-pria disposizione strumenti ordinari di governo che condizionano la vita e il rendimento dei propri insegnan-ti. Potrebbe essere spinto a preferire la fedeltà e l’ubbidienza all’intelli-genza e alla qualità professionale, proprio come capita ai cattivi diri-genti politici, sindacali e aziendali. Un’idea migliore potrebbe essere quella dello scambio: coinvolgere nella valutazione degli insegnanti di una scuola il dirigente di una scuola vicina.

Se si parla di valutare il merito è inevitabile che ci si debba occu-pare anche delle emer-

genze: come si arriva alla sanzione di chi

non fa il proprio dovere o si rive-la palesemente

inadatto all’in-segnamento?

Parl iamo per fortuna di una p e r c e n t u a l e bassissima, ma nel la v it a d i

uno studente si alternano molti in-

segnanti, cosicché sull’arco di una carriera scolastica la probabilità di incontrare un caso patologico non è bassissima. L’esperimento avreb-be dunque potuto riguardare anche uno specifico codice di disciplina, necessario ad evitare che i docenti vengano semplicemente identificati dagli ultimi provvedimenti Brunet-ta come impiegati dello stato, origi-nando una inaccettabile confusione tra patologie didattiche e libertà di insegnamento.

Anche con i limiti accennati, per un giudizio sull’esperimento

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Politica scolastica

chiamato armadietto; o almeno un edificio ordinato, pulito, dotato di palestre e magari qualche tavolo da ping-pong, se non proprio di campi da gioco e verde circostante come in quasi tutte le scuole di quell’Europa che ottiene buoni risultati nell’ap-prendimento. Molti, fra i docenti motivati e competenti che tengono in piedi la scuola pubblica italiana, sarebbero motivati da simili investi-menti quanto e forse piú che da un meritatissimo aumento di stipendio legato al loro indiscutibile merito. Qualunque schieramento che voglia lavorare seriamente e non solo me-diaticamente al miglioramento della scuola dovrà assicurarsi il coinvol-gimento e il consenso informato di questi eroi del nostro tempo.

*Presidente del forum nazionale delle politi-

che per l’istruzione del PD

che la considerazione sociale nasce non solo dallo stipendio, ma anche dallo star bene a scuola con gli al-lievi e magari con i colleghi e il di-rigente; che da questo insieme nasce la spinta interiore a fare del proprio meglio, a continuare a studiare e per-fezionarsi, a mettersi continuamente in gioco con i ragazzi, nascono la produttività e il merito. Sotto questo profilo sembrerebbero allora crucia-li anche altri interventi che esigono soldi, ma non in tasca al docente: un edificio scolastico gradevole, dotato di laboratori e ambienti che in alcuni momenti consentano di abbandona-re il gruppo classe e formarne altri, e di un piccolo ufficio con telefono e computer per ogni docente, anzi-ché uno squallido stanzone comu-ne dove l’unico spazio personale è rappresentato da un loculo di legno

la sperimentazione avrebbe potuto riguardare anche il grado di auto-nomia e il finanziamento degli isti-tuti coinvolti. A proposito di debiti, il Governo dice che dopo due anni di buco ricomincerà a pagarli, ma purtroppo dice anche che userà a tale scopo gli stessi soldi promessi anche per il ricupero degli scatti e per la valorizzazione del meri-to, e la cosa pare matematicamente impossibile…

Che la situazione del sistema sco-lastico italiano non sia delle migliori è risaputo. Gli ultimi risultati Ocse-Pisa mostrano un miglioramento della nostra posizione, che resta comunque bassa nelle classifiche internazionali e mostra un peggio-ramento della già drammatica for-bice fra diverse regioni e diverse scuole del Paese. Il confronto inter-nazionale suggerisce che la valuta-zione è utile ma non indispensabile a rendere competitivo il sistema: la citatissima Finlandia, ai primi posti del mondo per rendimento scolasti-co, non possiede un sistema nazio-nale di valutazione; in compenso le sue scuole pubbliche sono ben finanziate, fortemente decentrate, inclusive e in dialogo diretto con le comunità territoriali. Forse ha poco senso puntare tutto sull’accanimen-to valutativo senza una strategia di completamento dell’autonomia scolastica e di sostegno sul piano finanziario e della coesione sociale, che finora, per usare un eufemismo, non si intravvede nelle proposte del Governo.

Last but not least. Premiare il me-rito dei docenti e delle scuole vuol dire agire soltanto, o soprattutto, sul piano salariale? Più soldi signi-fica più considerazione sociale? Sí, senz’altro. E’ deprimente, per chi lavora sul serio, vedere che dopo de-cenni di servizio ti pagano poco piú della badante di una vecchia zia o che, per tre giorni all’estero h24 con i tuoi alunni urlanti, non ti pagano nemmeno un euro in piú rispetto a chi rimane fra casa e scuola tutto l’anno. Molte ricerche dicono però

Nell’ormai numerosa produzione di testi che affrontano in “chiave europea” la configurazione e l’organizzazione dei sistemi educati-vi, si distingue il recente “Spazi educativi europei e dintorni” cura-

to da Giovanna Barzanò, dirigente tecnico del MIuR con vasta esperienza internazionale. Il percorso di riflessione e di approfondimento, proposto dalla curatrice e dagli altri interventi contenuti nel volume, tocca non so-lo i concetti di globalizzazione, di unione Europea, di processo di lisbona e di lifelong learning, ma anche, attraverso sintetiche tabelle compara-tive, rapporti di ricerca e riferimenti normativi, dà conto delle principali questioni (obbligo scolastico, tempo scuola, formazione degli insegnanti, ruolo del dirigente scolastico, autonomia, accoglienza degli alunni stra-nieri, …) che riguardano il funzionamento dei sistemi educativi e delle scuole. l’utilità di questo agile volumetto va oltre le informazioni compa-rative fornite, la cui conoscenza è richiesta da attuali e futuri concorsi nella scuola, per dirigenti tecnici, dirigenti scolastici, docenti.Il libro aiuta piuttosto a formarsi una “cultura internazionale ed euro-pea” che serve a chi dirige o insegna nella scuola italiana a comprende-re la direzione di marcia dei processi che quotidianamente mette in atto e che non possono più avere la sola prospettiva “domestica”, e permette anche di comprendere con più consapevolezza gli indubbi deficit che il governo del nostro sistema educativo registra in termini di implemen-tazione delle innovazioni per il raggiungimento non solo di migliori ri-sultati di apprendimento ma anche per realizzare più agevoli condizioni organizzative delle nostre scuole.Giovanna Barzanò (a cura di), Spazi educativi europei e dintorni. Tecno-did Editrice, Napoli 2010, euro 22

P.G.

spazi educativi europei e dintorni

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Politica scolastica

Il nostro Paese circa trent’anni fa ha effettuato la scelta di aprire le scuole comuni alla frequenza

degli alunni con disabilità, inaugu-rando una strada nuova in Europa, che per lungo tempo ha percorso in solitudine. Oggi le cose sono molto cambiate, non perché tale coraggio-sa scelta sia divenuta maggioritaria, ma perché certamente si è modifi-cata quella che possiamo definire la cultura dell’inclusione.

Se si guarda a quanto avviene an-che negli altri Paesi si riconoscono alcune linee di tendenza largamente

condivise:a) il riconoscimento dei diritti delle perso-ne con disabilità e in situazioni di svantag-gio di qualsiasi tipo, che viene attestato da numerosi documenti e pronunciamenti in-ternazionali e solen-nemente riconosciuto

dalla Convenzione delle Nazio-ni Unite del 2006, che afferma il dovere di garantire al più alto livello possibile l’inclusione sco-lastica, sociale, lavorativa, nella prospettiva del rispetto dei diritti dell’uomo;

b) la consapevolezza che l’area del-lo svantaggio scolastico è molto più ampia di quella riferibile alla presenza di deficit e di conseguen-ti disabilità, che viene indicata come area dei Bisogni Educativi Speciali (Special Educational Ne-eds). Vi sono comprese tre grandi sotto-categorie, quella della disa-bilità; quella dei disturbi specifi-ci di apprendimento, quella dello svantaggio socio-economico, lin-guistico, culturale;

c) l’utilizzo di strumenti di lettura del bisogno non esclusivamente

di tipo medico, centrati sull’ana-lisi delle patologie e sul cattivo funzionamento, ma di tipo oli-stico, capaci di porre attenzione sulla persona nella sua totalità e non sugli aspetti deficitari, ve-dendola nell’interazione con i vari ambienti di vita, in una prospetti-va ecologica. Da questo punto di vista lo strumento diagnostico più interessante, ed ormai collaudato, è l’I.C.F. (International Classifica-tion Functioning);

d) l’adozione di una visione non li-mitata all’ambito scolastico, ma più ampia, capace di considerare due dimensioni importanti per la persona e che la progettazio-ne deve tenere in attenzione: la dimensione orizzontale, che si preoccupa delle esperienze che lo studente compie nella sua giornata, una volta terminata la frequenza scolastica (in famiglia, nei diversi ambiti sociali, nelle situazioni di vita pratica …); la dimensione verticale, che riguar-da il futuro, e cerca di collegare gli interventi educativi, didattici, riabilitativi ad un progetto di vi-ta realistico e soddisfacente. Da qui l’importanza di una lavoro in rete, che fornisca uno scaffolding significativo, il vero ‘sostegno’ di cui c’è bisogno;

e) l’impegno per assicurare una mi-gliore e più consistente formazio-ne degli insegnanti, sia quelli con il profilo dello specialista sia quel-li cosiddetti curricolari e tanto per quanto riguarda la preparazione iniziale (università, master), sia quella continua.Se su queste linee c’è consenso,

rimangono le differenziazioni circa

il modello istituzionale, anche se non siamo più in presenza dell’al-ternativa secca : scuole speciali o scuole normali? Il panorama è molto variegato, ma anche qui registria-mo un’importante linea di tendenza che riguarda le scuole speciali. An-che nei Paesi dove questa rimane la scelta prevalente si assiste però ad un ripensamento delle istituzioni speciali, che vengono sempre più intese come ‘centri risorsa’ dei quali possono usufruire anche le scuole normali.

In conclusione, dobbiamo rico-noscere che la distanza tra la nostra iniziale, e per molto tempo isolata, scelta dell’integrazione e l’opzione, un tempo pressoché universalmente diffusa, della scelta delle scuole e istituzioni speciali, si è largamente ridotta, soprattutto si è modificata la cultura pedagogica.

Integrazione e inclusione

L’avvicinamento delle posizioni è testimoniato anche sul piano lessi-cale. Oggi c’è una diversa sensibilità che porta a maneggiare con cura le parole, consapevoli dei significa-ti spesso distorti o svalutanti che, involontariamente, possono venir veicolati. Si pensi al termine ‘han-dicappato’. Fino a poco tempo fa veniva utilizzato senza problemi, tanto che lo ritroviamo largamen-te presente in documenti ufficiali e nella stessa normativa. Ad esempio, la Legge 104/91, tuttora in vigore e che anzi è alla base delle modalità che regolano il processo di certifi-cazione attualmente in uso, parla della ‘persona handicappata’. Oggi si rifiuta questo linguaggio perché porta a far coincidere la persona con il suo handicap, ne riduce l’identità

Il cantiere delle didattica

INclusIoNEdi Italo Fiorin

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Politica scolastica

alle mancanze e disfunzioni, com-ponenti sicuramente importanti e condizionanti, ma non risolutive di una identità personale ben più ric-ca. Comprendere che una persona, con disabilità o meno, può trovarsi in situazione di handicap, aiuta a mettere meglio a fuoco lo spazio di intervento pedagogico. Una persona con deficit non per questo, automa-ticamente, si trova in situazione di handicap (Boccelli è un eccellen-te cantante, indipendentemente dal suo deficit visivo), così come qual-siasi persona, pur non presentando deficit, può trovarsi in situazioni di handicap anche grave (ad esempio un immigrato che non conosca la lingua del Paese nel quale sta cer-cando di inserirsi).

L’evoluzione dei significati del-le parole che utilizziamo appare in tutta la sua forza a proposito di due termini, integrazione e inclusione, il primo da lungo tempo radicato nel nostro linguaggio, il secondo appar-so molto più recentemente e, per di più, arrivato dal di fuori. Il termine ‘inclusione’ è preferito a livello in-ternazionale, anche perché in molti Paesi la parola ‘integrazione’ è por-tatrice di significati sgradevoli, o fuorvianti. Solo per fare un esempio, in Austria e in Germania tale parola viene associata al drammatico uso che ne ha fatto il nazional-sociali-smo. In altri Paesi, la Francia, per esempio, il termine è usato in senso tecnico, descrive in modo neutro un modello di organizzazione, quindi è per noi inutilizzabile o fuorviante. Il fatto che ormai da diversi anni vi sia un continuo interscambio tra i di-versi Paesi (congressi, commissioni di studio, pronunciamenti comuni, progetti …) ha reso indispensabile l’adozione di un termine utilizza-bile senza fraintendimenti da tutti, ed è prevalsa l’espressione inglese inclusion. Questo porterebbe a dire che ciò che noi siamo stati abituati a designare, in termini positivi, come integrazione oggi può opportunamente

essere indicato con il termine in-clusione. In realtà non si tratta di sinonimi, ma il termine inclusio-ne apporta un valore aggiunto e, al tempo stesso però, ci mette di fronte ad un problema nuovo.

Nel nostro Paese si parla di inte-grazione a partire dalla legge 517/77, in contrapposizione e come supe-ramento del semplice inserimento scolastico. L’inserimento riguarda la presenza fisica degli alunni con disabilità, risponde quindi al loro diritto di vivere l’esperienza di ap-prendimento nella scuola di tutti. Ma perché tale esperienza possa ri-sultare significativa, per loro come per i loro compagni, c’è bisogno di ripensare la didattica e l’organizza-zione, ristrutturando profondamen-te l’ambiente di apprendimento e le modalità dell’insegnamento. Una scuola che voglia essere accogliente deve saper ripensarsi e ristrutturar-si. Il sostegno non riguarda ciò che un insegnante specializzato può fare per un alunno con disabilità, ma è una funzione di tutta la scuola e la responsabilità è dell’intera comunità professionale. Questa è la grande

lezione della legge 517/77, la chiave di lettura del modello italiano. Og-gi però le cose sono notevolmente cambiate rispetto agli anni Settan-ta. La sempre maggiore attenzione alle eterogenee situazioni presenti in una classe, la ricerca dell’indivi-dualizzazione dell’insegnamento, l’attenzione alla personalizzazione dell’apprendimento, tutto questo ha contribuito ad estendere l’attenzione anche alle tante situazioni di diffi-coltà che, pur non essendo legate a specifiche disabilità, sono presen-ti in una classe. La numerosità di alunni provenienti da Paesi e culture diverse ha ulteriormente contribuito a far emergere l’inadeguatezza di un approccio esclusivamente legato al-la disabilità e ha provocato la ricerca di modalità di gestione della classe sempre meno settoriali e sempre più diffusamente ‘speciali’. L’integra-zione degli alunni con disabilità va vista nel più ampio sfondo di una scuola accogliente, che sa ricono-scere le tante diversità presenti, e quindi sa ripensare strategie, orga-nizzazione, programmi.

Nell’idea di inclusione trovano spazio le tre grandi categorie pre-cedentemente richiamate (non solo la disabilità, quindi, ma anche i di-sturbi specifici di apprendimento e le situazioni di svantaggio).

L’allargamento dell’attenzio-ne dall’integrazione (focalizza-ta sulla disabilità) all’inclusione (estesa all’ampia area dei Bisogni Educativi Speciali) ci mette di fron-

te ad un problema molto impegnativo.

Il modello finora utilizza-to per fronteggiare la disabilità, che per molti versi è oggi inadeguato e da riformare, non può essere utiliz-zato per risolvere la varietà dei pro-blemi che si evidenziano nell’area dei BES., né si può pensare di co-struire un ulteriore modello, analo-go a quello già messo a punto per la disabilità.

E’ evidente che si abbraccia l’idea della scuola inclusiva bisogna indi-rizzarsi verso strade nuove.

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Politica scolastica

Prima dell’offerta formativa ci deve essere la domanda, mi insegnava il presiden-

te Giuseppe Richiedei dieci anni fa, quando muovevo i primi passi all’interno dell’Associazione Ita-liana Genitori A.Ge. Un rilievo di attenzione mai banale e attuale so-prattutto adesso, con i genitori che sembrano voler finalmente pren-dere parte attiva alla dimensione formativa dei loro figli.

Tutta la struttura della scuola italiana, dal 1974 ad oggi, è im-prontata all’ascolto delle esigenze delle famiglie (vedi D.Lgs. 416/74; art. 21 Legge 59/97; Legge 53/03), eppure quante sono le scuole che davvero si preoccupano di cosa de-siderano i genitori per i loro figli? La famiglia è la voce più autenti-ca di un bambino fin da quando è infante, cioè incapace di parlare. Nessuno si meraviglia quando una mamma interpreta vagiti e mugolii

del proprio piccolo e se ne fa inter-prete verso il modo esterno, eppure quando si tratta di dire se un esper-to piace ai bambini, se la mate-ria trattata è interessante o troppo gravosa si fa fatica a riconoscere questa stessa rappresentatività da parte dei genitori rispetto a ciò che è meglio per i loro figli.

Come A.Ge. Toscana ne abbia-mo la riprova quando incontriamo i genitori nei momenti di forma-zione che teniamo in ogni parte della regione. Incredulità e scetti-cismo sono le reazioni che di so-lito accolgono la nostra proposta di sottoporre il Piano dell’offerta formativa all’assemblea dei geni-tori e/o dei rappresentati di classe. In genere si fa fatica a scindere ciò che è connesso alla libertà di insegnamento, che appartiene al

singolo insegnante (art. 33 Cost.) dal dovuto coinvolgimento del-le famiglie nella programmazio-ne generale e nella valutazione dell’offerta formativa (artt. 3 e 16 del Regolamento dell’autonomia scolastica, DPR 275/99).

Le richieste di consulenza che ci giungono dai genitori hanno per certi versi qualcosa di incredibi-le: c’è chi chiede se può prendere visione del Piano dell’offerta for-mativa (art. 3 c. 5 del DPR 275/99) e chi vuole sapere se un membro di giunta ha diritto di vedere gli atti contabili prima di approvare il bilancio (art. 2 c. 3 del Rego-lamento contabile per le scuole). Sono anche tante le famiglie che vorrebbero dire la propria opinio-ne a proposito dei progetti inseriti nel Pof oppure su altri progetti che pare proprio non ci sia verso di far approvare dalla scuola.

Uno dei principali nodi della

Il coinvolgimento dei genitoridi Rita Manzani Di Goro*

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discordia è quello dell’educazio-ne sessuale, che entra nelle scuole a vario titolo, ad esempio come “Educazione alla civile conviven-za”. È nostro avviso che di edu-cazione sessuale si possa parlare solo dopo un chiaro e aperto dia-logo con le famiglie, che sono le prime titolari della responsabilità educativa. Occorre definire bene chi, che cosa e soprattutto come porgere determinate informazioni a bambini e adolescenti e nel far questo la scuola non può prescin-dere dal dovuto coinvolgimento delle famiglie. Gli stessi criteri valgono per le ricerche universita-rie che richiedono la somministra-zione dei questionari e lo studio dei comportamenti dei bambini in classe, ma su questo si è già au-torevolmente espresso il Garante per la privacy (Provvedimento del 23.12.2004).

Un presidente del Consiglio di Circolo o di Istituto che volesse convocare i genitori al termi-ne delle attività didattiche per

effettuare una verifica del lavoro svolto, dal gradimento dei singoli progetti alle modalità di fruizione del servizio scuola, fino a ricom-prendere il tanto dibattuto tempo scuola, non solo avrebbe un va-lido supporto normativo, ma for-se compirebbe appieno il proprio dovere (cfr. Carta dei servizi della scuola 1995).

Niente di rivoluzionario insom-ma, ma forse solo dovuto, perché se i rappresentanti eletti dai ge-nitori non rappresentano le loro istanze, allora cosa sono lì a fare? Di fatto non attivando i previsti spazi di consultazione dei genitori ci si rende inadempienti rispetto alla legge dello Stato, che è molto più lungimirante e ricca di conte-nuti di quanto comunemente non si pensi.

Facciamo allora uno sforzo di immaginazione e rappresentiamo-ci questo coinvolgimento dei geni-tori nella valutazione dell’offerta formativa. Cosa avverrebbe? Di certo qualche genitore coglierebbe

l’occasione per dare sfogo al pro-prio malessere, ma per rendere proficua la riunione sarebbe suf-ficiente, da parte di chi presiede, evidenziare che vi sono altri spazi di dialogo con la scuola per af-frontare i casi singoli e far cogliere invece l’opportunità di mettere a frutto un simile spazio di confron-to e di comune progettazione.

A partire dalle difficoltà denun-ciate e dalle richieste dei genitori in ordine agli orari e ad attività specifiche è possibile che i rappre-sentanti di classe o il gruppo asso-ciativo dei genitori elaborino una proposta organica e coerente da presentare nei Consigli di classe e nel Consiglio di Circolo/Istituto. La scuola ne deve “tener conto” e in caso non accolga le doman-de ne deve esplicitare il perché, in modo da trovare nei Consigli soluzioni appropriate di media-zione. Oggi, per legge, non è più possibile per la scuola ignorare le richieste dei genitori, anzi essa è tenuta a commisurare gli insegna-menti alle loro esplicite esigenze. Basti ricordare la scelta che spetta ai genitori tra i vari modelli orari (24, 27, 30, 40 ore di scuola) op-pure tra le attività integrative, che possono modificare fino al 20% del programma abituale di inse-gnamento. Naturalmente i genitori sono a loro volta tenuti ad assicu-rare ogni forma di cooperazione concreta, che faciliti e qualifichi quanto si è concordato di fare.

È in questi ambiti che si può e si deve giocare il patto di corre-sponsabilità educativa, perché non è importante stabilire chi pagherà un vetro rotto, quanto piuttosto vi-vere l’impegno educativo da adulti corresponsabili e scegliere, scuola e famiglia insieme, quali contenuti e quali valori passare alle nuove generazioni.

*Presidente Associazione Genitori A.Ge. Toscana

www.agetoscana.it [email protected]

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Politica scolastica

Gli acronimi sono importanti. La loro forza sta nel valore puntuale dell’azione (FIAT),

nel vigore allusivo del nome (VER-DI), dell’onomatopea (SPLASH), del mito (ENEA), del paradosso (START, il trattato antinucleare che non decolla), della metafora (BIRD), dell’ossimoro. Questo è il caso di BRIC, che sembra cosa fragile o da nulla e invece sono i ‘mattoni’ (bricks) colossali di una quadruplice alleanza economica, ridotti a pezzetti di lego nel 2001 da Jim O’Neill. Chi è O’Neill? È uno che in vita sua è stato anche manager del Manchester United, per essere nato lì. O’Neill è quello che al Forum di Davos, nel 2006, disse che all’Italia non restava che il calcio e un po’ di cibo. O’ Neill, testa pensante del gruppo Goldman Sachs, è l’inventore di BRIC. Quali mattoni? Il Brasile, per le riserve di materie prime, il

bioetanolo e l’industria rampante. La Russia, per il gas naturale e il petrolio. L’India, per i cervelloni che già allora dettavano legge nel settore tecnologico e informatico. La Cina, per l’incremento conti-nuo del prodotto interno lordo. Il popolo BRIC raduna poco meno della metà della popolazione mon-diale. Se oggi è cosi, tra vent’anni che sarà?

Vedremo. Non sono tutte rose e fiori. Per esempio, in Brasile il prodotto interno lordo non cre-sce come negli altri tre paesi. In Russia abbondano criminalità e corruzione. L’India è in preda ai conflitti etnici. In Cina c’è poca li-bertà e molto smog. Le rogne non mancano, nei quattro paesi-matto-ne. E neppure le differenze. Que-ste però fanno valore aggiunto. La

diversità è una risorsa. Le scuole BRIC, dall’infanzia

all’università, possono rapportarsi una con l’altra? In un contesto così vasto, avrebbe senso comparare i sistemi nazionali, come siamo abi-tuati a fare nell’Unione Europea? Riempire tabelle e prospetti, qui e ora, servirebbe a saperne di più su un insieme nato da un acronimo anziché da valori condivisi? Cer-cando in rete abbiamo scoperto con sgomento che un sito italiano qualificato dedicato alle scuole del mondo ha inserito gli stessi dati per Russia e Cina.

Ci chiediamo quanto si spende in ambito BRIC per il potenzia-mento dell’istruzione primaria e secondaria, anche solo come ri-sposta alla domanda di manodo-pera generica interna. In Brasile, per esempio, l’istruzione, con la salute e la sicurezza, ha dominato le campagne dei tre candidati alle

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BRIc, MBA e scuola dei banchidi Alessandro Dell’Aira

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Politica scolastica

ultime elezioni presidenziali. Ma dopo? In Brasile il sistema scola-stico pubblico non ha lo spessore di quello argentino o colombiano, specie nella secondaria, sebbene si notino progressi nelle aree più povere come il nord-est.

Anche la scuola indiana è in ri-presa ma è quella che sta peggio. Nel paese vi è un terzo dell’analfa-betismo mondiale, contro l’undici per cento cinese, con alte punte di dispersione ed evasione, nonostan-te la severa e continua vigilanza. Il sistema è segmentato, relativa-mente costoso e povero di mezzi.

Nella Russia di oggi l’istruzione professionale ha conservato l’im-portanza che aveva nell’Unione Sovietica. In questo senso, il siste-ma è il più collaudato. In Cina si incoraggia la formazione precoce e quella speciale, nell’eccellenza come nel recupero. Il rapporto tra i due canali, umanistico e tecnico-professionale, si adatta alle esigen-ze locali nella durata dei percorsi.

E dopo la scuola? Sorpresa. Nei paesi BRIC proliferano i cor-si MBA di formazione aziendale (Master of Business Administra-tion), anche a distanza. La Mirbis

di Mosca è legata alla società ita-liana Nomisma. The Shanghai Ad-vanced Institute of Finance (SAIF) ha scelto di specializzarsi solo in quel campo. The Indian School of Business (ISB) di Gachibow-li, presso Hyderabad, offre cor-si annuali che consentono di non interrompere la professione. Fre-quentare queste scuole costa un occhio. Micaela Cappellini, del Sole 24 ore, ha fatto notare che c’è un’eccezione: il Coppead, la Gra-duate School of Business dell’Uni-versità federale di Rio de Janeiro, che tra un po’ compie quarant’anni e ha tra i partner la Harvard Busi-ness School. Ma non è che sia gra-tis: c’è un piano di borse di studio offerte ad alunni che non hanno fonti di reddito, secondo criteri discrezionali e senza garanzie di erogazione.

Ciò fa parte di un’offerta forma-tiva globale che risponde a doman-de formative precise, ma spesso pesca anche nell’immaginario gio-vanile. La formazione specializza-ta nei paesi BRIC, in ambito BRIC e non solo è richiesta quanto se non più della formazione blaso-nata europea o nordamericana. In

un’ipotetica storia universale della formazione, ciò potrebbe apparire il superamento di quanto avvenne in epoca coloniale, quando le scuo-le dei gesuiti impiantate in Ameri-ca e in Asia formavano gli indigeni e i figli dei coloni secondo i valori e le buone maniere europee. Esse agivano in funzione delle esigenze del sistema, o del riscatto degli individui? In realtà non sembra esservi molta differenza tra allora e oggi. Lo stesso ruolo oggi rive-stono le Business Schools, quando assecondano le logiche di mercato e di consumo globale a danno del-le diversità locali. E c’è qualcosa di più insidioso: nei paesi BRIC persiste la discontinuità, anzi c’è una frattura tra formazione pri-maria e secondaria locale e forma-zione superiore locale. Nel futuro dei cittadini BRIC c’è un abisso più buio e profondo di quello che affrontarono gli europei poveri, italiani compresi, nei primi anni delle correnti migratorie di massa verso le Americhe e l’Australia.

All’economia mondiale servono mattoni migliori. The World need better economic Brics. Questo il titolo del saggio di O’Neill. I pri-mi due vertici BRIC, a Ekateri-nenburg nel 2009 e a Brasilia nel 2010, hanno affrontato questioni globali e nucleari. Chissà se nel terzo si parlerà di formazione di base. Nel frattempo la Geely ci-nese ha comprato la Volvo, la Tata Motors indiana Jaguar e Land Ro-ver. I russi fanno incetta di azioni Facebook e i brasiliani investono nella Burger King.

Forse sragioniamo per difetto di cibo, o tra i fumi del tifo da sta-dio che facciamo per la scuola dei banchi. Mister O’Neill ci perdoni, e anche il Manchester United e la Golden Sachs, ma riteniamo che più dell’economia, ai nostri tempi sia la cosiddetta scuola dei ban-chi ad avere bisogno di mattoni migliori. O vogliamo continua-re a demolirla, un mattone dopo l’altro?

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Politica scolastica

Per troppo tempo si è creduto che interventi qualitativi di politica scolastica potessero di fatto

escludere un approccio quantitativo, strettamente correlato alle politiche del personale docente in termini di formazione e di reclutamento. Ma in quest’ultimo periodo il precariato scolastico è notevolmente lievitato e passato da una condizione pro-fessionale ed esistenziale, avverti-ta soltanto dai molti interessati, a

un fenomeno che, per estensione e forza di impatto, coinvolge tut-ti gli assetti educativi.

Partiamo da un’os-servazione generale sulla docenza nelle scuole italiane, la cui caratteristica strut-turale, in termini di carriera, è che vede

iniziare la sua fase di stabilizzazio-ne del rapporto di lavoro, con un contratto a tempo indeterminato, quasi a metà del percorso profes-sionale. Mediamente, infatti, il pre-cariato nella scuola può durare dai quindici ai venti anni con il risultato che l’attesa nomina in ruolo, come si chiamava una volta, arriva in una fascia d’età compresa tra i quaran-ta e i quarantacinque anni. Tutto questo ha dei risvolti sociali di tutta evidenza per il popolo dei precari e per la società, ma anche dei no-tevoli risvolti educativi, perché un così importante potenziale di risorse umane non può essere tenuto sulla

corda per un tempo tanto lungo.Spesso si tratta di risorse sempre

più qualificate: nelle graduatorie della scuola primaria, negli ultimi due anni, è raddoppiata la quota de-gli abilitati con laurea specialistica in scienze della formazione prima-ria. Oltre il 50% degli iscritti nelle graduatorie della scuola seconda-ria di I e II grado, dopo la laurea d’accesso, possiede il diploma di specializzazione all’insegnamento secondario (SSIS).

E allora è mancata e manca, una strategia di reclutamento per il per-sonale della scuola italiana?

Una strategia che, invece, c’è stata fin dagli anni novanta per i presidi, con il risultato che da quasi vent’anni è rimasto in un accettabile equilibrio il numero di scuole che hanno un titolare e quelle che ne sono sprovviste. Certo sono soltan-to 10.700 le istituzioni scolastiche e, per una tale dimensione, è suffi-ciente adottare una corretta se non tempestiva strategia concorsuale!

Ma per i docenti? L’ultimo con-corso è finito nel 2000 e del penulti-mo si è persa traccia nella memoria collettiva, ciò fa capire come pur essendo irrinunciabili le procedure concorsuali, da sole non riescono a profilare una efficace strategia di reclutamento del personale docente.

E in effetti ad ogni fine di anno scolastico, com’è noto, in ogni pro-vincia e per ogni classe di concorso viene determinato il numero delle cattedre disponibili per i precari che ne hanno titolo per l’anno scolastico che inizia.

Questa quota di stabilizzazione

negli anni è stata molto altalenan-te, con l’effetto di un aumento del precariato. Le finanziarie del 2006 e del 2007, nell’intento di realizzare il riassorbimento di gran parte delle risorse professionali, erano riuscite a più che raddoppiare le quote (per il solo 2007 sono stati 50.000 i docenti stabilizzati).

L’assottigliamento successivo ha toccato, quest’anno, la quota di 10.000, ed era quindi inevitabile un’impennata del processo oppo-sto. A questo si aggiunga che una razionalizzazione nell’utilizzo delle risorse umane direttamente colle-gato ai processi innovativi iniziati nella scuola secondaria superiore e all’eccessivo elevamento del rappor-to alunni/classe penalizza, in termi-ni di riduzione delle disponibilità di cattedre (il c.d. taglio degli or-ganici), esclusivamente il personale precario.

Già l’art. 64 della finanziaria di agosto 2008 ha modificato per un triennio il precedente equilibrio, impostando la manovra di contra-zione dei posti in organico nella scuola sulla revisione dell’ordina-mento scolastico sia nei suoi profili organizzativi che in quelli didattici,

una strategia per il precariato

nella scuola di Giuseppe Fiori *

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Politica scolastica

dalla scuola primaria alla seconda-ria superiore.

L’esigenza di contrazione degli organici sulla base del calo della popolazione scolastica era, infatti, venuta progressivamente svanendo: i sette milioni e mezzo di studenti che hanno segnato il maggiore pun-to di caduta sono ormai un lontano ricordo - anche se continuano a per-manere aree di minore incremento demografico al Sud e nelle Isole – e gli studenti italiani sono arrivati alla quota di circa otto milioni.

Certo non deve stupire che una misura di finanza pubblica abbia operato una correlazione così stret-ta tra politiche del personale della scuola e politiche educative che in-cidono profondamente sull’assetto ordinamentale. Tali misure, anche se toccano ogni ordine e grado di scuole, è nella secondaria superiore che incidono con maggiore rilevan-za, per gli accorpamenti delle classi di concorso e la ridefinizione dei curricoli vigenti e dei relativi qua-dri orario, in vista della progressiva attuazione dei regolamenti sugli isti-tuti tecnici e sugli istituti professio-nali, che sono il nervo più scoperto dell’offerta formativa in Italia, an-che a causa della ritardata attuazio-ne della riforma del Titolo V della Costituzione.

Ma c’è di più: in presenza di un sensibile calo demografico, strate-gie di reclutamento che realizzano un mix di procedure concorsuali con il progressivo riassorbimento potevano anche essere considera-te sufficienti, ma l’aumento demo-grafico determinato dagli alunni stranieri ma non solo, ha messo immediatamente in luce la loro inadeguatezza.

E soprattutto sarà vincente una strategia di lungo termine, sen-za una valida di breve e di medio termine?

Prima di abbozzare una risposta, sgombriamo il terreno da un terri-bile equivoco, nel dibattito politico di questo inizio di anno scolastico le caratteristiche del precariato nella

scuola sono state perfino assimilate a quelle degli ammortizzatori so-ciali (quasi fosse una paradossale preventiva cassa integrazione!).

Tali considerazioni non aiutano certo a profilare una strategia di re-clutamento nell’attuale fase di de-ciso incremento della popolazione scolastica, in cui si rischia di trac-ciare comunque una corrispondenza tra aumento degli alunni e aumento dei docenti precari.

Già oggi nella scuola il 20% dei docenti - che corrisponde alla to-talità dei supplenti neo-laureati – sono costretti a vivere una lunga, lunghissima stagione di precariato senza che siano state valutate a fon-do le conseguenze inevitabili della debolezza della spinta innovatrice che il dato generazionale sarebbe in grado di offrire.

Il regolamento sulla formazione iniziale degli insegnanti di ogni or-dine e grado struttura percorsi for-mativi preordinati alle necessarie competenze, anche con lunghe fasi

di tirocinio, proprie di una funzio-ne docente in grado di utilizzare i linguaggi multimediali e di avva-lersi di ambienti di simulazione e di laboratori virtuali e istituisce la programmazione degli accessi ai percorsi in relazione al fabbisogno delle scuole. Ma questa prospetti-va di lungo termine non è accom-pagnata da nessuna strategia di

reclutamento nel breve e anche nel medio termine, interventi invece di assoluta necessità. Vediamo allora di immaginarli.

Il sistema nazionale d’istruzione è perfettamente in grado di opera-re una programmazione mirata del fabbisogno di personale docente, soprattutto ora che anche il quadro ordinamentale della secondaria su-periore è stato innovato, nel pieno e ovvio rispetto delle compatibilità finanziarie. Un rispetto che tenga il fenomeno al riparo dall’accusa di di-ventare un ammortizzatore sociale destinato solo a incrementare il de-bito pubblico. Una tale programma-zione che si invoca per gli accessi ai percorsi formativi deve anche for-nire una risposta in termini di sta-bilizzazione delle attuali situazioni di precariato consolidato; più sem-plicemente chiediamoci, che senso abbia, anche dal punto di vista del differenziale finanziario, continuare sulla linea dei contratti annuali, o fino al termine delle attività didat-

tiche, quando siamo in presenza di una continua loro reiterazione. In altri termini il lasso temporale di queste due tipologie di contratti è certamente troppo breve ed asma-tico, mentre un contratto a tempo determinato di più lungo periodo contribuirebbe a migliorare, certo non a risolvere, il problema della maggiore stabilità e della minore

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Politica scolastica

quantitativo, soprattutto al Sud. Ri-spetto alle altre categorie di lavo-ratori il “precario della scuola” è solo. La solitudine è indotta (ma forse incoraggiata) anche da una serie di normative, istituti, prassi consolidate, che lo mettono in con-correnza con gli altri e non ne fanno una categoria negoziale forte, in grado di ”contrattare” alla pari con il committente pubblico o privato. Non a caso i termini più usati quan-do si parla di questa categoria di lavoratori sono: graduatorie, inseri-menti in coda, inserimenti a pettine, precedenze, posizione utile….

Allora, tra gli interventi innovati-vi si può anche pensare ad agenzie (o forme di cooperazione) che rag-gruppino e coordinino queste pro-fessionalità della scuola e ne curino l’allocazione alla scuola, pubblica o privata, che abbia con esse un con-tratto di fornitura di servizi scolasti-ci di vario genere: dalla sostituzione dei docenti assenti, alla copertura di posti extra curricolari, alla coper-tura dei posti vacanti di qualunque genere, alla realizzazione di progetti particolari, quali il recupero della dispersione scolastica, il supporto anche pomeridiano agli alunni più in difficoltà, alle fasce sociali più deboli. La struttura della scuola ita-liana, dotata di ampia autonomia dal 2000, si presta alle esperienze, alle partnership e agli innesti più utili, solo che si riesca a creare le necessarie sinergie finanziarie per gli interventi innovativi.

Il popolo dei precari è, in buo-na parte, un popolo giovane, non disperdiamo il loro potenziale educativo, perché, come ha detto il governatore Mario Draghi a no-vembre del 2010 nel suo intervento all’università di Ancona, “Senza la prospettiva di una pure graduale stabilizzazione dei rapporti di lavo-ro precari si indebolisce l’accumu-lazione di capitale umano specifico, con effetti alla lunga negativi su produttività e profittabilità.”* g ià Dire t tore Generale del Personale della Scuola

ritorna al concetto di organico fun-zionale o di quota dell’autonomia). Chi più dei giovani precari sarebbe adatto a questo tipo di insegnamen-to visto che molti nuovi laureati an-noverano nel curriculum esperienze di esami sostenuti all’estero grazie al progetto ERASMUS?

È ovvio che la stabilizzazione dei circa 200.000 attuali precari (l’età media degli uomini è 40 anni e oltre 37 quella delle donne) penalizza so-prattutto i giovani laureati. Occorre trovare un giusto compromesso tra l’azzeramento delle attuali gradua-torie e la chiusura del sistema scuo-la ai giovani laureati. Innovativi e diversificati sistemi di accesso al mondo della scuola (e in generale ai servizi scolastici) potrebbero favori-re il compromesso.

Certo, in una prospettiva di me-dio termine, dovrà considerarsi la progressiva crescita della domanda di servizi pubblici, anche in ambito scolastico, proprio mentre le risor-se dello Stato e degli Enti locali si fanno inesorabilmente più scarse. Rimanere immobili, in nome di questa inesorabilità significa lascia-re indietro, sul piano educativo, una parte crescente della nostra società, e questa è la china che è stata già imboccata, con la scarsa se non ine-sistente mobilità sociale del contesto italiano.

Ma azioni di contrasto sono an-cora possibili solo che si abbia la consapevolezza che interventi con-centrati esclusivamente sul taglio dei costi dei servizi pubblici non possono che essere un approccio parziale alla soluzione dei problemi. Azioni di contrasto mirate a col-pire lo squilibrio educativo, ormai gravissimo, che esiste nel paese tra Nord e Sud.

Pubblico, privato e no-profit po-trebbero convivere nel settore edu-

cativo in maniera nuova e ad un più alto livello di qualità e di numero di servizi, proprio

in questa fase in cui l’offer-ta scolastica si è notevol-

mente ridotta anche sul piano

indeterminatezza del rapporto di la-voro. In presenza di un quadro ordi-namentale definito e di una corretta valutazione della programmazione del fabbisogno in crescita non ha più molto senso affidarsi esclusivamen-te alle tipologie contrattuali finora esistenti non solo per migliorare la situazione attuale, ma anche quella futura.

La proposta di stabilizzare il per-sonale precario attraverso contratti, seppur a tempo determinato ma di più ampia durata, trova ulteriore ri-scontro sia nel concetto di organico funzionale di istituto, uno di punti qualificanti dell’autonomia scola-stica (purtroppo accantonato anche se previsto normativamente per ben due volte), sia nelle quote di autono-mia o di flessibilità e di potenzia-mento del curriculum nella riforma del II grado. Infatti il dirigente scolastico potrebbe arricchire (ma anche consolidare) l’offerta forma-tiva, sapendo di poter contare su ri-sorse scelte e stabili, addirittura più stabili dei docenti di ruolo i quali, in virtù dell’istituto della mobilità, possono cambiar sede scolastica più frequentemente di un precario a cui sia stato proposto un contratto, ad esempio, triennale o quinquenna-le. Altra considerazione: la riforma del II grado prevede, in quasi tutti gli indirizzi, l’insegnamento in una lingua straniera, di una disciplina nell’area degli insegnamenti ob-bligatori o attivabili nei limiti del contingente di risorse assegnate (si

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Politica scolastica

è impegno dei docenti in que-sto anno scolastico verifica-re la compatibilità dei sillabi

disciplinari con il nuovo quadro orario e con le esigenze didatti-che che ne derivano specie consi-derando la maggiore consistenza numerica delle classi. Risulta ne-cessario creare un ambiente edu-cativo motivante, caratterizzato da un diverso stile nei processi di insegnamento-apprendimento.

La ricerca di un nuovo ubi con-sistam non è semplice e spesso induce alla demotivazione profes-sionale da classica sindrome del burn out. Le grida di chi propone nuove strategie con apprendimen-ti facilitati da lavagne interatti-ve e da mirabolanti tecnologie, se da un lato tendono a sempli-ficare certi riti del fare scuola,

dall’altro non risolvono il proble-ma della motivazione e quindi dell’apprendimento dei contenuti disciplinari.

La trasversalità di questi ulti-mi appare del tutto necessaria in termini di progettazione collegia-le ma continua a trovare ostacoli nel rigido controllo del proprio ambito disciplinare da parte dei docenti ed è più facile che la si raggiunga nelle attività cosiddette parascolastiche che non nella quo-tidiana scansione dell’orario delle lezioni. Ancora oggi i nodi critici dell’attività didattica si possono individuare:1 nell’endemica difficoltà a lavo-

rare in team dalla progettazione

del percorso formativo alla va-lutazione degli apprendimenti;

2 nella diff icoltà a rompere lo schema cronologico nella se-lezione delle unità didat t i-che e nella trasversalità delle proposte.I l r i su l t a to è d ram mat ico

all’Esame di Stato in cui il percor-so disciplinare è costruito, quan-do non copiato, a posteriori sulla base della preparazione del candi-dato con esiti spesso deprimenti. La preparazione degli studenti su ciò che è contemporaneo è poi lar-gamente lacunosa e rende neces-sario porvi rimedio con urgenza se si vogliono costruire nelle aule linee di senso che rispecchino le domande e i bisogni culturali di questa generazione.

Ad una rapida scorsa ai giornali

di Giovanni Perrino

un “dolce stil novo” per la scuola della riforma

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Politica scolastica

la sintesi dell’esperienza creativa ma un’operazione maieutica effi-cace e dotata di alta trasversalità.

Le aule scolastiche per la rituali-tà con cui consentono la fruizione e l’elaborazione delle esperien-ze, sono, al pari delle piazze e dei portici, luoghi socratici del tut-to idonei per appropriazioni co-gnitive destinate a lasciare segni generativi.

L’esperienza poetica, proprio perché spes-so parte dal vissuto giovanile, non solo consente di abbatte-re confini e barriere cultural i , ma svi-luppa un’attenzione al valore semantico del la parola assai utile in tempi di tra-sgressioni linguisti-che e di perniciose anarchie.

Nell’anno del 150° dell’Unità d’Italia è at tuale il saggio di Madame De Stael “ Sulla maniera e l’uti-lità delle traduzioni”, fondato su una logica di accoglienza e di conoscenza dell’attua-lità delle culture altre. E’ auspicabile che le porte di tante scuole si aprano alla cono-scenza della poesia e, in generale, della

letteratura contempora-nea non solo italiana, che diven-tino strumenti di studio riviste e traduzioni, che si consenta agli studenti di cogliere peculiarità ed affinità, tipicità e sintonie.

Sono strade da percorrere per ricostruire la cultura dei muri ab-battuti che consente all’occhio e alla mente di volare alto, di anda-re oltre il tramonto del reale che si vive nei non luoghi e di guar-dare con lucidità un futuro che ritroviamo negli sguardi ansiosi e delusi dei cortei studenteschi.

coscienza civile come le guerre mondiali, la shoà, le torri gemelle. “ Noi viviamo senza più fiutare sotto di noi il Paese”, è solo un verso del grande poeta russo Osjp Mandel’stam (1891-1938) che te-stimonia lo scoramento di fronte alle macerie della involuzione au-toritaria staliniana, ma che ancora oggi ci ricorda il bisogno urgente

d’Istituto si scopre che i giovani scrivono poesie e molte sono le sezioni di prestigiosi premi di po-esia e narrativa rivolte ai giovani.

La scrittura, si sa, consente il rispecchiamento, è terapeutica contro le angosce e le delusioni adolescenziali. In tempi in cui il reale è sostituito dal mediatico, diventa reale ciò che si mette in scena, epidermide e maquillage di un pensiero vivo che pu-re rifiuta il tramonto del reale.

Eppure basta un clic e ciò che è inabissato nel silenzio diventa poesia o storia da raccontare perché offre chiavi di lettura per interpretare ciò che avviene in noi e intorno a noi. Da questo bisogno nascono le pri-me produzioni lettera-rie dei giovani affidate a diari o privatissimi quaderni.

M o l t i s o n o g l i esempi che dimostra-no come la scrittura creativa possa essere un metodo euristico di approccio al reale, uno strumento di co-agulo e di convalida di esperienze forma-tive. Intercettare tale rif lessione e tradurla in percorso didattico più diffuso di quanto non accada, comporta per i docenti il ricorso a strumenti che si chiamano passione, voglia di innovare, senso della mission.

L’utilizzo in classe delle pro-duzioni poetiche contemporanee di diversi Paesi possiede un alto valore didattico in quanto richie-de ai docenti di operare in termini interdisciplinari e di selezionare temi e proposte in cui i riferimenti cronologici consentono operazioni logiche che spaziano dall’antichi-tà classica, alla storia nazionale, alle tragedie che travagliano la

di tornare a sentire la forza delle nostre radici nazionali per raffor-zare, in sintonia con le odierne esi-genze, il tessuto democratico che dal Risorgimento prese origine.

Nella scrittura creativa e princi-palmente in quella poetica, inoltre, l’approccio euristico alla realtà coincide con la lingua stessa e con le sue innumerevoli possibili-tà espressive. L’itinerario con cui il pensiero si spinge fino al limite dove la nominazione è affidata al-la parola che rappresenta non solo

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Obiettivo docente

Eccolo

Tutti dicono di lui che non pro-durrà mai lo stesso spettacolo, an-che se utilizza lo stesso copione e gli stessi attori. Eccezionale. Come si dice di un regista cinematografi-co o teatrale, così si dice di lui che “vede prima di tutti gli altri”, con il proprio pensiero e con la propria sensibilità artistica, quale sarà il prodotto finito. E quasi profetizza alla sua “compagnia” ciò che po-trebbe essere il risultato dell’impe-gno appassionato di ciascuno nello svolgere il ruolo che gli è stato asse-gnato. L’insegnante-regista presenta il progetto finale ai suoi ragazzi che ne rimangono folgorati. La guida è sua, anche se il progetto si chiama “programma”, “orientamento mi-nisteriale”, “campo disciplinare”, altro… Il regista ha tutto in mano, ma quasi subito lo frastaglia in mille rivoli: le responsabilità affidate a ciascuno nella troupe.

È un vero autore della sua opera per realizzare la quale ha assoluto bisogno dei ragazzi. Che respon-sabilità! Tiene in mano il filo nar-rante dello spettacolo da allestire o del film da girare e porta gli attori – coinvolgendoli mente e cuore – a identificarsi con l’idea grande e bella che coltiva. Ed è proprio la realizzazione dell’idea l’occasione per far esercitare alla perfezione gli

apprendisti attori, per farli anche… sudare, caricarsi d’ansia, pensare all’interpretazione migliore del pro-prio ruolo e finalmente assaporare l’applauso che nasce dentro – il più bello che ci possa essere – per aver-cela messa tutta.

I compiti del regista

Chi è il regista? Chiaro come la luce che è il responsabile arti-stico e tecnico-professionale di un film, di un lavoro teatrale, di una trasmissione radiofonica o televi-siva. Oscilla, nella sua attività, fra le incombenze tipiche dell’arte di insegnare e l’allestimento – preciso e coscienzioso – dell’esperienza di insegnamento/apprendimento. Due attività complementari e indivisibili. Quando si dice che si occupa della recitazione degli attori, non si dice che gli arrivano come gli arrivano. Non tutti sono gentili, educati, ve-stiti come dovrebbero, rispettosi, disciplinati. Vanno presi come sono e, tutti e ciascuno, vanno educati. Meglio, vanno “condotti a cresce-re”. Giusto. Dall’etimologia sanscri-ta, precisamente dal radicale EDH che significa “crescere, accrescer-si, aumentare, prosperare, riuscire” che, con l’aggiunta di -DUH diventa poi “condurre a crescere” e mette in luce la responsabilità dell’adulto

di farsi guida. L’insegnante-regista che deve lavorare con un ampio ven-taglio di sensibilità, di culture, di… attori in divenire, ama ciò che fa, che è poi la condivisione e costru-zione del sapere con i suoi ragazzi. A volte però si confronta con attori-alunni che, di per sé, non vedono che senso possano avere la scuola e lo studio e non sono disposti a inve-stire neanche un’ora per imparare. Infatti, voler rispondere al deside-rio di sapere dei ragazzi è solo un aspetto del lavoro del regista, l’altro è caricarsi – amorevolmente – di quelli il cui desiderio di imparare è quasi inesistente.

Ma il regista si occupa anche della preparazione e del controllo delle diverse fasi di lavorazione, dalle ri-prese alla scelta dell’illuminazione e al montaggio. Ecco, quest’idea di “sovrintendere” tutte le fasi di una produzione, la trovo particolarmente applicabile all’insegnante, oggi. Ma torno al compito di “preparazione”. L’etica e l’ascesi dell’insegnamento si spende negli spiccioli del quoti-diano, nell’impegno di preparazione della lezione con tutto il grappolo di attività correlate, nella “voglia”, fatta di piacere e di dovere, di for-mazione continua.

E il compito di “controllo”? Non sta solo nella serietà e competen-za nel momento della valutazione formativa dei propri ragazzi, ma

di caterina cangià

l’insegnante REGIsTA

L’insegnante ri-pensato/5

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Obiettivo docente

di un sistema che persegue obiettivi di formazione ben definiti e deve rendere conto all’istituzione e alla società. Non si lascia minacciare dal burn-out.

Non esiste tran-tran per l’inse-gnante-regista. Ogni nuovo pro-gramma modifica la routine. Niente è definitivamente acquisito, senza parlare dei cambiamenti indotti dal-le tecnologie e dal train de vie delle famiglie. Sa che insegnare chiede competenza ben al di là dei contenu-ti da insegnare. Quando sente dire frasi del tipo “la scuola fa acqua” reagisce controcorrente e – magari a dosi omeopatiche – dimostra che è tutto l’opposto.

un campo disciplinare come esempio: l’insegnamento di una lingua “altra”

Nessun campo disciplinare co-me l’insegnamento di una lingua altra ha visto applicata la metafora dell’insegnante-regista. Questo per-ché la lingua non è solo il mezzo attraverso il quale vengono veicolati contenuti e nozioni, ma perché è essa stessa l’oggetto dell’apprendimento. Da qui l’esigenza che l’insegnante, come “regista” della comunicazio-ne, progetti situazioni comunicative che siano come copioni teatrali che consentono di “provare” competen-ze che poi verranno messe in at-to per davvero nella vita. I metodi che hanno fatto uso della metafora dell’insegnante-regista sono stati e sono il Total Physical response di Asher dove l’insegnante impartisce comandi e l’allievo li esegue come obbedendo a un resgita; il Silent Way di Gattegno dove, durante il gioco-esecuzione di compiti con og-getti si svolge quasi una scena che viene giudicata e valutata dall’in-segnante-regista per la precisione della sua esecuzione; Suggestopedia di Lozanov, dove l’insegnante è in-sieme attore e regista perché “in-scena” situazioni comunicative con contorno scenografico e musicale

ai Cahiers du Cinéma. Ecco, lo im-magino così il nostro insegnante-re-gista. E con lo spirito della Nuvelle Vague supera la schiavitù dei luoghi chiusi dei teatri di posa (la classe) e fa spaziare i suoi ragazzi nei mu-sei, li fa dialogare con professionisti esperti, li lancia in ricerche metico-lose sui migliori siti Internet. Anche se punta la cinepresa sulla realtà, è preso dall’ansia di praticare nuove forme estetiche e di farle assaporare ai suoi ragazzi. Quanto la didattica sia “arte” lo hanno detto “maestri” come Rodari, Munari, Luzzati… Lo fa dire John Keating a Robin Wil-liams (1989); lo dice Mel Gibson ne L’uomo senza volto (1993); Gus van Sant in Will Hunting. Genio ribelle (1997); Nicholas Philibert in Essere e avere (2002); Christophe Barra-tier ne I ragazzi del coro (2004). E ancora…

Curioso. L’insegnante-regista crea situazioni di apprendimento piuttosto che “fare lezione”. Propo-ne e regola compiti che veicolano apprendimento perché appassiona-no e ciò che propone è adattabile ai bisogni, al livello e al potenziale di ognuno dei suoi alunni-attori. Non è regista solo quando è di fronte ai suoi alunni-attori, ma sa bene che il tempo delle concertazioni con i col-leghi, degli incontri con i genitori, della sua propria formazione con-tinua fanno parte del lavoro. Anche se la creatività è il suo forte e ama lavorare da artigiano, sa di far parte

sta anche nell’esercizio dell’intui-to illuminato che riconosce gli stili cognitivi, intellettivi e apprenditivi dell’intera classe declinata in ognu-no dei suoi soggetti (Crispiani, 2004). Sta nella capacità di far col-laborare perché la collaborazione è il collante che tiene unito il gruppo-classe, nella consapevolezza che la vita di gruppo si svolge sui versanti del contenuto e della relazione. Sta infine nell’arte di “correggere”, arte raffinata e purtroppo molto dimen-ticata oggi. Corregge chi ama. Di quanto c’è dietro questa espressione dal sapore biblico, i ragazzi hanno fame. Il regista raddrizza, fa ripete-re, perfeziona, affina perché all’at-tore chiede il massimo che… non sa di poter dare.

E poi che senso di dignità, che sen-so di regalità, direi, sembra essere associato al compito di “sovrinten-dere”! L’aridità di una definizione presa dal dizionario non rispecchia la ricchezza del compito: “essere addetti a vigilare, a sorvegliare un lavoro, avere poteri direzionali”. No. Ma torniamo al latino di “super” e “intendere”, ovvero “occuparsi di”, calco del greco episcopêin. “Oc-cuparsi di” assomiglia molto alle due semplici parole che dominava-no una parete dello studio di don Milani: I care.

Che bello – potremmo pensare – avere in mano tutta la responsabilità. Attenzione che essere responsabili è cooperare, lavorare di squadra, par-tecipare ai progetti dell’istituzione. Non chiudersi con i propri attori fra le quattro pareti della classe. Il regi-sta non opera da solo, come l’inse-gnante non opera da solo.

A quale scuola di regia appartiene l’insegnante-regista?

C’è una bella differenza fra il happy end dei film di un certo ta-glio hollywoodiano e l’obiettivo dei registi della Nouvelle Vague: “cat-turare lo splendore del vero”, come scriveva Godard quando era critico

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Obiettivo docente

bene conto, senza bisogno di troppi discorsi. Con l’atteggiamento, con il modo di fare, con lo sguardo e la parola, l’insegnante-regista ha af-fermato che il progetto di crescita di ogni singolo alunno lo riguarda. Nel quotidiano della classe, poi, questo si rende tangibile attraverso la pre-parazione di strumenti didattici che rendono appetibile l’apprendimento (stesura di mappe, lavoro coopera-tivo, progetti affascinanti, ri-signifi-cazione delle esperienze, lavori sul campo, dialogo che continua in Re-te). Il risveglio della curiosità negli allievi, le operazioni di confronto e di conflitto socio-cognitivo, soprat-tutto lo scambio di esperienze e il sentirsi parte di una stessa compa-gnia fanno assomigliare la classe a una troupe di attori affiatati guidati da un regista di talento.

Osserviamo ancora una grande vivacità di scambi e di rapporti, a volte lasciati liberi per creare mag-giore coesione sociale, altre coordi-nati in vista del raggiungimento di un obiettivo cognitivo-culturale co-mune, altre ancora invitati a essere condivisi fra tutti, in un momento di pubblica assemblea. Che l’insegnan-te sia il regista si manifesta nel fatto che eccelle nel progettare le occasio-ni di dialogo e scambio costruttivo fra i suoi ragazzi sia dal punto di vista del trattare-la-conoscenza-e-il-saper-insieme, sia dal punto di vi-sta socio-relazionale.

commiato

Ne sono convinta. Il sapere va costruito come si allestisce uno spettacolo teatrale. Responsabile dell’andamento delle prove è sempre il regista. Ma la serata della “prima” – dal sapore del quotidiano, fresca ogni giorno come una novità – sarà la serata del successo di tutti. E tutti sono i ragazzi. Potrà forse affermare, l’insegnante-regista, come ha fatto François Truffaut per il cinema: “la scuola mi fa soffrire e mi fa felice?”. Ma questa è un’altra storia.

metodologia squisitamente teatrale (www.labottegadeuropa.it), che non è simulazione, non è role-playing, non è drammatizzazione, ma è un vero e proprio evento teatrale che favorisce una comunicazione orien-tata all’azione con situazioni lingui-stiche “messe in scena” dopo essere state arricchite dalla scenografia, dai costumi, dal trucco e dagli og-getti di scena e dopo essere state colorate da luci e da suoni.

stiamo fra il pubblico per osservare la classe

Nella classe dell’insegnante-regi-sta si respira un clima di alta motiva-zione che nasce dal dialogo costruito attorno a un progetto comune. Non c’è asimmetria di potere gerarchico tra docente e allievi. Nessun ruolo “imposto” da parte dell’insegnante di leader indiscusso (one-up) né agli allievi viene riservata una posizione istituzionalmente subordinata (one-down) perché l’autorevolezza insita nel ruolo di insegnante-regista è una forza che calamita le energie.

Si nota ancora che l’insegnante-regista emana autorevolezza perché i suoi apprendisti-attori ne ricono-scono la competenza. C’è da dire che l’insegnante ha affermato e con-fermato l’essere di ogni suo singo-lo alunno rendendolo significativo per la sua mission di docente. Di questo i ragazzi si rendono molto

all’interno delle quali gli alunni-attori si devono immergere per poi declamare, con la giusta enfasi, il dialogo del giorno.

In particolare nel metodo Strategic Interaction di Di Pietro, l’insegnan-te è regista nel senso che il metodo in questione si basa sul presupposto che le parole e le strutture lingui-stiche utilizzate dal parlante han-no un valore strategico, funzionale cioè al raggiungimento di obiettivi e progetti personali. Ecco allora che l’insegnamento della lingua “altra” avviene attraverso “sceneggiature” o situazioni simulate attinte dalla vita reale, che mettono in interazio-ne due o più persone. All’interno di queste situazioni, volutamente coinvolgenti, l’uso della lingua è su-bordinato al raggiungimento di uno scopo. Elementi non verbali come la gestualità, la mimica facciale, la postura e la prossemica, nonché elementi paralinguistici quali l’in-tonazione e la prosodia vengono chiamati in causa. È caratteristico il fatto che la lezione sia suddivisa in tre tappe: la tappa del rehearsal (let-teralmente delle prove teatrali) dove si discutono in gruppo le caratteri-stiche dello “spettacolo” o perfor-mance. La tappe della performance o realizzazione della sceneggiatura e la tappa conclusiva del debriefing o esame della performance (Cangià, 1998).

L’attività svolta a La Bottega d’Europa di Roma mette in atto una

Andreoli V., Lettera a un insegnante, Rizzoli, Milano 2007.cangià c., L’altra glottodidattica, Giunti, Firenze 1998.crispiani P., Didattica cognitivista, Armando, Roma 2004.Damiano E., L’insegnante etico. Saggio sull’insegnamento come dimen-sione morale, cittadella Editrice, Assisi (PG) 2007.Pennac D., Diario di scuola, loescher, Torino 2009.Petter G., Il mestiere di insegnante, Giunti, Firenze 2006.sani s. (a cura di), Dizionario Sanscrito-Italiano, Edizioni ETs, Pisa 2009.

Bibliografia citata e di approfondimento

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sPEcIAlE VIAGGI sTuDIo 2010

Antonella calzolari

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INGlEsE Corsi Base, Specialistici Intensi-vi, Specialistici Super-Intensivi, Preparazione agli esami Univer-sità di Cambridge, TOEFL, In-glese commerciale, Inglese per il turismo, Stage aziendale.nOVITA’: corsi di preparazione IELTS a tempo pieno (20, 25 o 30 lezioni a settimana) in Inghilter-ra, Canada e Nuova Zelanda.Inghilterra: Londra Centrale, Londra Lee Green, Cambridge, Brighton, BournemouthIrlanda: DublinoUSA: New York, San Diego, East LansingCanada: Toronto, VancouverAustralia: Sydney, Perth, Cairnsnuova zelanda: AucklandSudafrica: Città del Capomalta: Sliema

FRANcEsECorsi Base, Specialistici Inten-sivi, Preparazione esami DELF, Francese commerciale.Parigi, La Rochelle, Amboise, Losanna

sPAGNoloCorsi Base, Specialistici Intensi-vi, Preparazione esami DELE, Stage aziendale. barcellona, Valencia, marbella

TEDEscoCorsi Base, Specialistici Intensivi, Pre-parazione esami TestDaF.berlino

cINEsE (mandarino)Corsi Base, Specialistici Intensivi, Spe-cialistici Super-Intensivi, Preparazione esami HSK.Pechino

GIAPPoNEsECorsi Specialistici Intensivi.Kanazawa

RussoCorsi Base, Specialistici Intensi-vi, Preparazione esami TRKI, Stage aziendale.mosca, San Pietroburgo

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Viaggi studioI dati di una indagine Istat su

Viaggi e percorsi in Italia e all’estero relativa al 2009 ci

informano che gli italiani che hanno viaggiato per frequenta-re corsi di lingue o di aggiorna-mento professionale al 7,5% su un totale del 13,4% che si sposta per motivi di lavoro. Una percen-tuale significativa in un settore, quello dei viaggi, attualmente in f lessione, causa crisi.

Il viaggio di studi, fin dall’an-tichità classica, rappresenta un tassello particolarmente quali-f icante all’interno del proprio curriculum oltre che fornire un bagaglio esperienziale importan-te sia a livello professionale che sociale e umano.

Senz’altro “l’iniziazione” al viaggio di studio avviene nel-la maggior parte dei casi con la frequenza di un corso di lingue all’estero ma non solo.

La cooperativa Picchio Verde, con sede a Leonessa nella pro-vincia reatina del Lazio, è spe-cializzata in pacchetti turistici di interesse naturalist ico nel centro Italia e in particolare nel Lazio e nelle Marche. Picchio

Verde organizza vacanze studio per ragazzi tra gli 8 e i 14 anni della durata di una o due setti-mane con attività programma-te, lezioni di inglese per due ore giornaliere con insegnante ma-dre lingua, animazione, attività sportive ecc. Ovviamente a fare la parte del leone è la didattica ambientale con laboratori speci-fici ed escursioni.

Noto per essere il tour opera-tor del mondo scolastico Trinity Viaggi Studio presenta una gam-ma diversificata di iniziative, a partire dai corsi di aggiornamen-to e di formazione per i docenti ai corsi per adulti all’estero, alle vacante studio estive per giovani dagli 8 ai 18 anni con sistemazio-ne in college o in famiglia. Tra gli altri spicca il corso di lingua inglese per studenti con distur-bi specif ici di apprendimento, giunto al suo terzo anno. La sede è l’università di Glasgow, in Sco-zia, con un programma che conta 20 lezioni settimanali in classi di 15 studenti con tutor.

Altrettanto interessante, anche se piuttosto esotica, è la proposta di vacanze studio a Città del Capo

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Con Juventus Viaggi organizzare il vostro viaggio sarà facile e conveniente:ci occuperemo noi di tutto quello di cui avete bisogno!

LE NOSTRE PROPOSTE:• Soggiorni Studio e Stage Linguistici, individuali e di gruppo• Mini - stay linguistici • Corsi di lingua per docenti• Family trip (corsi per genitori e fi gli) • Viaggi di istruzione in Italia e all’estero• Viaggi di istruzione in Cina, Siria e Giordania.

SINGOLI SERVIZI:• Biglietteria aerea, ferroviaria e marittima• Prenotazione alberghiera• Trasferimenti e noleggio pullman• Visite guidate ed escursioni

Ciò che differenzia Juventus Viaggi è il servizio di consulenza per i docenti. Tale consulenza comprende lo studio di itinerari di alto valore didattico e la ricerca e la realizzazione di progetti in merito ai fi nanziamenti europei e regionali per le scuole nell’ambito del turismo. La nostra assistenza include il supporto alla compilazione dei formulari richiesti dall’ente promotore.

Segui il nostro blog e iscriviti alla newsletterper rimanere sempre aggiornato sui nuovi fi nanziamenti a cui accedere, sulle date dei corsi e dei soggiorni educational rivolti agli insegnanti e infi ne, per non perdere le novitàdi Juventus Viaggi Education.

Se la scuola in cui insegni cerca altre scuolepartner con cui condividere progetti, non dimenticare di controllare la nostra pagine“Scuole in rete”.

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al metodo dell’ “Active English”, i l programma Summer Cam-per Italia è invece destinato ai bambini delle elementari accolti presso località di grande sug-gestione naturale quali Aprica Valtellina nelle montagne presso Sondrio o l’agriturismo Il Moli-no a Nocera Umbra nella valle di Gaifana. Attraverso il gioco e le passeggiate all’aria aperta, con la supervisione di personale

in Sud Africa; quest’ultima fa parte delle destinazioni intercon-tinentali della scuola che è attiva anche in Australia, Stati Uniti e Canada. I corsi sono rivolti a studenti di età minima 16 anni e non mancano anche corsi di pre-parazione ad esami universitari, programmi per insegnanti e corsi speciali come English & History, English & Golf e English Out There 50 Plus. Costruito in base

Da un ventennio appannag-gio del Gruppo Archeologi-co Romano si esplica nei

paesi del bacino del Mediterraneo un’iniziativa di viaggi a sfondo archeologico-storico ad alto livel-lo e quindi fuori dai circuiti del turismo tradizionale. Inseriti in un più ampio ventaglio di ricerca i viaggi sono curiosamente orga-nizzati per regione geografica sul-la base dei confini delle provincie dell’Impero Romano fino all’epo-ca bizantina. la preparazione al viaggio è a tutto tondo: il viaggia-tore viene equipaggiato di un qua-derno didattico con dati storici e

planimetrie delle destina-zioni delle visite, vengono proposti in lettura descrizioni gre-che e latine d i

storici che hanno trattato gli itinerari, è anche possibile pre-senziare ad incontri di archeo-logi, direttori di musei ed istituti culturali e con le associazioni locali aderenti al progetto Koinè

dei Gruppi Archeologici d’Italia. Tra le mete dei prossimi viaggi segnaliamo l’Epiro la Macedonia, la Tracia e il Peloponneso, lusi-tania, Germania romana, Gallia Narbonensis, Albania e Pannonia

in Europa; cappadocia e Frigia in Turchia; Mesopotamia, As-syria, Phoenicia in siria; libia romana in Africa.

VIAGGI DI sTuDIo E … sToRIA

creata da un gruppo di studenti della facoltà di Architettura di Venezia nel 1995, Pro ViaggiAr-chitettura ha come “mission” la valorizzazione di

grandi opere architettoniche inserite nei più importanti complessi urbani attraverso l’organizzazione di viaggi di studio e seminari di aggiornamento professionale. segnaliamo alcuni tra gli itinerari: le corbusier con visita iniziale alle ville Janneret-Perret e Favre Jacot, prime opere dell’artista per poi raggiungere Ronchamp e ammirare la cappella di Notre Dame du Haut, spo-stamento al convento della Tourette, poi a Firminy e a Marsiglia, con pernottamento nella più famosa unité d’Habitation fino ad arrivare a Roquebrune per visita-re le ultime opere di le corbusier e molto altro; Alvar

Aalto (Helsinki, lahti, Jyvaskyla, saynatsalo, Noormarkkuo, Turku, Paimio, otaniemi); sulle tracce di Zumthor con partenza da Bre-genz per coira dove si visita il centro archeologico, la casa studio e la casa per Anziani, passando per Sumvigt, fino al famoso complesso termale di Vals. Interessanti anche gli altri itinerari tra cui quelli a New York, Tokio e Kioto.

ARcHITETTuRA IN VIAGGIo

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Viaggi studiosoggiorni linguistici per bam-

bini e ragazzi t ra gli 8 e i 17 anni, all’interno dei quali se-gnaliamo una vacanza studio ad Ascona sul Lago Maggiore, nella Svizzera italiana, in una loca-lità particolarmente suggestiva e attrezzata per il relax e per il divertimento.

MB scambi culturali, oltre ai classici soggiorni studio all’este-ro, offre anche pacchetti per chi intende fare un’esperienza di studio-lavoro, ovviamente for-nendo le adeguate certificazioni internazionali e per le famiglie un’occasione di vacanza studio anche a Galway in Irlanda.

Vacanze studio per famiglie sono curate anche da Euroeduca, destinazione Londra per perio-di di una o due settimane, du-rante le quali mentre i ragazzi sono impegnati a scuola anche i genitori possono scegliere di frequentare un corso per adulti.

lezione settimanali. Vacanze studio all’estero in

gruppo con accompagnatore per ragazzi tra gli 8 i 18 anni e campi

estivi in Italia con sport e corsi di lingue per bam-

bini dagli 8 a8 14 an-ni sono organizzati

anche da L’astro-l a b i o , t o u r operator spe -cializzato per l’età scolare.

A m p i o i l ventaglio di destinazioni estere: Gran Bretagna, Ir-landa, Malta, Germania.ESL orga -

nizza da anni soggiorni l in-guistici costru-iti sulle singole

necessità, tra cui

bilingue, i bambini imparano divertendosi in quindici ore di

Mini-stay linguistico, l’alternativa al viaggio d’istruzione: della durata di 7 giorni, il mini-stay nasce per coniugare la sempre più elevata esigenza di apprendimento qualifi cato della lingua inglese, con gli aspetti ludico e ricreativo tipici delle gite d’istruzione.

Soggiorno studio estivo e stage linguistici durante l’anno scolastico: un soggiorno prolungato di durata media compresa tra le 2 e le 4 settimane presso scuole accreditate, per una conoscenza ottimale della lingua ed una totale immersione culturale. Per gli insegnanti accompagnatori diclasse, durante gli stage linguistici e i soggiorni studio, la Juventus Viaggi organizza corsi di lingua gratuiti: i docenti potranno frequentare corsi in parallelo, mentre i loro studenti sono impegnati in classe, rafforzando le proprie conoscenze linguistiche e condividendo nuovi strumenti didattici.

Family trip: durata variabile da 1 a 9 settimane. Questo corso è disegnato per soddisfare le esigenze di tutta la famiglia. I pacchetti si rivolgono a genitori e fi gli e prevedono all’interno della stessa scuola corsi di lingue (giovani/adulti) in parallelo. Corsi speciali per scuole medie ed elementari: durata massima di 2 settimane, si rivolgono a studenti di età compresa tra gli 8 ed i 13 anni. Sfruttano la facilità e la rapidità di apprendimento propria dei bambini e forniscono un imprinting culturale permanente. Questi corsi hanno un’importanza fondamentale nel processo educativo degli studenti stimolandone la voglia di imparare, educando al confronto culturale e ponendo le basi fondanti del processo di apprendimento di una lingua.

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lo scorso ottobre a Milano si è svolto il QS World Grad School Tour ovvero la più importante fiera interamente dedicata a master e dottorati internazionali. In quella

sede selezionatori di varie università si sono messi a dispo-sizione degli studenti per fornire consigli e informazioni sul-le possibilità di borse di studio e sui criteri di ammissione, contribuendo a far luce su un mondo a volte considerato co-me inerente ad un luogo quasi virtuale e lontano sia a causa dei costi elevati che dello scarso orientamento. In realtà per iniziare è importante conoscere i principali tipi di master esistenti. si parte dai master in General Management ovve-ro corsi di carattere generale aventi per oggetto di studio le attività funzionali delle aziende e rivolti a giovani laureati senza esperienza lavorativa; ci sono poi i master specialisti-ci, corsi di approfondimento in un settore specifico; master in Business Administration (MBA) ad un livello certamente superiore, aperti a giovani con un’esperienza lavorativa aziendale e finalizzati ad un accrescimento professionale secondo un’ottica manageriale strategica. Ma perché si fre-quenta un master? oltre all’interesse per un miglioramento delle competenze c’è, ovviamente, la facilitazione dell’acces-so al mondo occupazionale, nettamente superiore per chi in possesso di questi preziosi “pezzi di carta”. Dove recarsi a svolgere un periodo di specializzazione? Esistono master postlaurea un po’ ovunque, anche se quelli negli stati uniti sono maggiormente considerati. Esistono anche classifiche dei migliori master mondiali come quelle del Business Week, del usNews e del Financial Times. In Italia è molto conosciu-to l’MBA presso l’università Bocconi di Milano. In Europa il primo paese ad istituire master sul modello usA è stata l’Inghilterra, in particolare per quanto riguarda il settore economico-manageriale, vedi le università di cambridge e oxford che vantano oltre 100 programmi di MBA. Per l’acces-so a questi corsi e per visualizzare le opportunità di impiego si può consultare il sito prospects.csu.ac.uk.I corsi postlaurea nel Regno unito differiscono per tipologia: più o meno teorici. Inoltre molto diversa può essere anche la durata (da alcuni mesi a tre anni). In particolare per l’MBA ogni anno vengono organizzati cicli di studio su tematiche economiche specifiche in grado di fornire un panorama esteso dei fenomeni mondiali. Il British Council è autorevole fonte sulle borse di studio offerte dalle università britanni-che e analoghe istituzioni sono diffuse in altri paesi europei come il DAAD in Germania, l’Edu France in Francia e il Nuffic in olanda. E’ interessante inoltre ricordare che il progetto Leonardo, finanziato dalla Comunità Europea, organizza stage con copertura quasi totale delle spese. Il progetto Leo-nardo si rivolge, tra le altre, all’area della spagna, paese in cui sono attivi diversi programmi come lo Human Potential Work che sostiene la formazione e la mobilità dei ricercato-ri e il Women and Science specifico per la specializzazione

delle donne nella ricerca scientifica. Da consultare sono anche Xena, associazione culturale senza fini di lucro che sostiene il confronto tra culture e sistemi diversi e AIESEC che organizza l’International Traineeship Exchange Pro-gramme finalizzato a far viaggiare studenti universitari (anche ancora non laureati) per effettuare esperienze lavo-rative. Per quanto riguarda i master e gli MBA in spagna da consultare è il sito “becas.com”, tenendo presente che i principali master sono organizzati dall’Università Carlos III di Madrid (famoso quello in diritto comunitario). l’Universi-tà Autònoma di Barcellona vanta un master importante in cinema e Televisione. Il sogno della maggior parte dei ne-olaureati resta, in ogni caso, la frequenza di uno stage o di un master negli usA e per quanto riguarda l’erogazione di borse di studio nello specifico la più importante fondazione è la Rotary Foundation, che già nel 1947 istituì l’Ambassado-rial Scholarship Programme grazie al quale migliaia di stu-denti hanno potuto realizzare i loro “sogni culturali”. Altre fondazioni molto attive sono la Ford Foundation, la Bill and Melissa Gates Foudation, la Fondazione Fulbright. l’ Adobe Multi-National Scholarship Programe finanzia corsi di busi-ness, design, ingegneria, arti grafiche, matematica e scien-ze. la CISCO assegna borse di studio in materie tecnologiche a studenti donne. In realtà, di per sé, gli atenei americani in genere comunque richiedono agli iscritti una certificazione del reddito in base al quale viene stabilita la misura dell’in-tervento dell’università stessa, ovviamente se si tratta di uno studente meritevole. Il programma Alban dell’unione Eu-ropea cura l’incremento dei rapporti con i paesi dell’America latina in ambito di formazione. In area asiatica singapore e Giappone sono i punti di riferimento per quanto riguarda il settore, mentre estremamente concorrenziale è il mercato delle borse di studio in Australia, per il quale si può anche consultare il sito www.dest.gov.au. Due campanelli per l’Italia: è in partenza il Master on line di I livello in Tutela e valorizzazione del patrimonio culturale italiano all’estero che si occuperà della formazione professionale per la ge-stione del patrimonio prodotto negli ultimi due secoli con una prima fase in presenza con sede in parte a Parma e in parte in sedi da concordare singolarmente e con attività di apprendimento in e-learning. Il master ha durata annuale, da marzo 2011 ad aprile. (Per informazioni: http://www.ma-stertutelabeniculturali.it/). sempre a marzo, presso la scuo-la di Alta Formazione Eidos Communication, prende il via a Roma un master piuttosto unico nel suo genere, quello in comunicazione e consulenza Politica. si compone di alcune ore in aula e in uno stage finalizzati ad acquisire oltre che strategia di comunicazione, marketing elettorale e gestione delle relazioni istituzionali.In Italia è comunque attiva sul sito del Ministero degli Esteri una sezione che ragguaglia sulle offerte dei governi e delle fondazioni straniere.

VIAGGIANDo PER… MAsTER E sTAGE

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Viaggi studio

situata nel cuore di Firen-ze, Primavera Viaggi è un tour operator specializzato

nei Soggiorni Studio per ragazzi e adulti. Leader nel settore da 27 anni, Primavera Viaggi mette da sempre al primo posto l’accurata selezione delle scuole e delle strut-ture all’estero, ricercando la mi-gliore combinazione tra il viaggio come esperienza di vita e lo studio della lingua in ambienti altamente qualificati. Primavera Viaggi ri-uscirà a organizzare il soggiorno che desiderate, accompagnando-vi nella scelta della destinazione e nella valutazione del corso e della sistemazione più adatti alle vostre esigenze.

Soggiorni studio Under 18: I ragazzi dai 10 ai 19 anni troveran-no nel catalogo “Soggiorni Studio all’estero 2011”varie proposte di viaggio in varie località della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, oltre che in Irlanda, Germania, Francia, Malta, Cipro e Spagna. Questo tipo di soggiorno studio prevede un corso di lingua abbinato ad un programma extra didattico che comprende visite della città, atti-vità sportive ed escursioni. Un ac-compagnatore partirà con il gruppo e sarà il punto di riferimento per qualsiasi esigenza; in altri casi il programma sarà più libero, per stu-denti più indipendenti e già esperti.

Soggiorni linguistici per adul-ti: Per gli studenti universitari e per adulti di ogni età, Primavera Viaggi offre un’ampia selezione di scuole altamente qualificate in tutto il mondo. Gran Bretagna, Irlanda, America, Australia, Barbados e

Cape Town per l’inglese; Fran-cia, Spagna, Por-togallo, Messico, Brasi le , Cuba ma anche Cina, Giappone, Rus-sia e Marocco. Corsi generali e corsi per la prepa-razione agli esami, oppure per il busi-ness; lezioni one to one e corsi a casa dell’insegnante per chi desidera una didat t ica total-mente personaliz-zata. Il catalogo “Soggiorni Lin-guistici” offre queste ed altre possibilità: ci so-no corsi abbinati allo sport, a hob-bies e soluzioni adatte anche alle famiglie.

Anno e semestre accademico: Per chi desidera trascorrere un pe-riodo lungo all’estero, per esempio prima di entrare all’università, è possibile frequentare corsi di 5,6 o 9 mesi per raggiungere i livelli più alti di conoscenza della lingua.

Studio + lavoro / corsi di prepa-razione all’università: Programmi che abbinano al corso di lingua uno stage formativo all’estero; oppure corsi di preparazione all’Universi-tà, per accrescere le possibilità di accesso agli atenei più qualificati.

Stage linguistici per le scuo-le medie e superiori: Viaggi di

ist r uzione durante l’anno scolastico ab-binat i a l lo s t ud io della lingua. Il mo-do più proficuo per impiegare la g it a scolastica: abbinare un corso di lingua personal i zzato e adattato al percorso didattico, accompa-gnato da visite sul posto ed escursio-ni. Sistemazione in famiglia o residen-ze, interazione con studenti locali….tante proposte per un viaggio total-mente su misura.

Summer Camp in Italia: Per i più pic-coli Primavera Viaggi organizza i Summer Camp in Italia; corsi di inglese tenuti da in-segnanti madrelingua

presso eccellenti strutture nelle zone più belle della Toscana ed un programma ricreativo seguito da personale qualificato, all’insegna dell’avventura, dell’amicizia e del divertimento.

PRIMAVERA VIAGGI

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Dossier

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viaggi Oikos, mentre più classici e vastamente diversificati sono i corsi di Master Studio, da quelli generali a quelli intensivi, anche a casa dell’insegnante oppure, volendo, abbinati ad uno stage aziendale o a un lavoro retribui-to, in centri linguistici accredita-ti in Inghilterra, Francia, Spagna (ma anche Cuba o Messico), Ger-mania, Russia, Cina e Marocco.

Specificamente per lo spagno-lo segnaliamo alcuni particolari corsi della scuola don Quijote (attiva in Europa a Barcellona, Granada, Madrid, Salamanca, Tenerife e Valencia e in Ame-rica Latina in Argentina, Costa Rica, Repubblica Domenicana, Messico, Bolivia, Cuba, Guate-mala, Cile, Ecuador, Perù) quali i corsi di spagnolo per affari, per il turismo, per i professori di lin-gua, spagnolo medico e altri a fini anche ludici come spagnolo + cucina, spagnolo + f lamenco oppure, per senior, spagnolo + storia, arte e letteratura.

Tagliati a misura di giovane sono i corsi di lingua all’estero in Irlanda, Malta, Inghilterra, Fran-cia, Germania, Spagna e Maroc-co selezionati da Informagiovani a cura dell’associazione cultu-rale di volontariato, ecologia e

I corsi si imperniano sulla co-municazione orale e sono incluse visite guidate ai musei e ai luo-ghi di interesse. Stessa tipolo-gia di corso è possibile anche a Cambridge e ad Exeter, storico e raffinato capoluogo del Devon.

come alternativa alle gite scolastiche tradizionali gli stage linguistici sono particolarmente interessanti per le classi delle scuole medie e superiori; si svolgono durante l’anno

scolastico e vengono realizzati e programmati da Primavera Viaggi con la collaborazione degli insegnanti accompagnatori. soggiorni di una o due settimane, con sistemazione presso famiglie madrelingua o presso residenze studentesche, corso di lingua generalmente in classi chiuse, lezioni personalizzabili. si può decidere di realizzare un programma libero, oppure sceglierne uno ricco di attività. Il viaggio di istruzione diventa così un modo per migliorare il proprio livello linguistico e mettersi alla prova nel paese dove la lingua è parlata. Per avere degli esempi di stage linguistici realizzabili nelle località più richieste, è possibile richiedere il catalogo Stage Linguistici all’estero sul sito www.primaveraviaggi.it

sTAGE lINGuIsTIcI All’EsTERo

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Dossier

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Viaggi studiole complessità del turismo scolastico Il ruolo del docente attualmente è sempre più com-

plesso ed articolato ed implica un notevole dispendio di tempo e di energie, nonché competenze specifiche aggiuntive e responsabilità sempre maggiori. Pensia-mo ad esempio all’introduzione in ambito scolastico delle cosiddette funzioni strumentali che hanno no-tevolmente ampliato il ruolo classico dell’insegnate affidandogli compiti quali: coordinamento progetti europei; rapporti con i partner nazionali ed europei; rapporti con aziende ed associazioni di categoria, enti pubblici per il collocamento degli alunni nel mondo del lavoro; orientamento alunni alle facoltà universi-tarie. Pensiamo ancora all’impegno attivo del docente (spesso quello di lingua straniera) nell’organizzazione di visite d’istruzione guidate o soggiorni linguistici da realizzarsi durante l’anno accademico così’ come durante il periodo estivo. Al docente sempre più spes-so tocca svolgere vere e proprie ricerche comparative al fine di individuare l’opzione qualitativamente ed economicamente migliore tra quelle proposte dalle varie agenzie in gara; la soluzione capace di soddi-sfare le esigenze di tutti gli studenti a fronte di fondi d’istituto scarsi o inesistenti. I docenti più intrapren-denti, per soddisfare la carenza di un’offerta “ad hoc”, arrivano persino a progettare interi viaggi a tavolino al fine di ottenere un prodotto su misura, che sia confacente alle esigenze didattiche ed economiche degli studenti: gli insegnanti contattano direttamen-te scuole di lingua d’oltremanica, prenotano voli di gruppo ed organizzano strutturati soggiorni di durata medio- lunga presso destinazioni sempre più alterna-tive. A fronte di tale ampliamento di responsabilità ed incremento di impegno non sembra tuttavia esserci alcuna forma di compenso, neppure simbolico, per i loro sforzi. E’ notizia recente, infatti, l’abolizione della indennità di missione sia in Italia che all’estero per i docenti accompagnatori che perderanno i (già tutt’altro che cospicui) trattamenti di missione per i viaggi d’istruzione.

una risposta semplice: sinergia e cooperazione Attraverso una conoscenza approfondita dell’ambito

scolastico e delle esigenze dei suoi esponenti, Juventus Viaggi è riuscita a creare un’offerta flessibile e perso-nalizzata che possa rispondere in toto alle esigenze di studenti ed insegnanti e che soddisfi le attese in termi-ni di qualità didattica ed economicità. Juventus Viaggi, infatti, emerge all’interno del panorama classico dei tour operators con servizi innovativi, proiettati verso una realtà internazionale e globale. Grazie ad una rete capillare di contatti in tutta Italia, Juventus viaggi si impegna - attraverso la creazione di una piattaforma ad hoc all’interno del proprio sito web - a facilitare la creazione di network tra istituti innescando processi di comunicazione e cooperazione tra scuole, condivisione di idee e progetti e conseguente abbattimento dei costi a vantaggio degli studenti. Grazie alla presenza del suo staff a Londra, Juventus Viaggi conosce da vicino l’offerta didattica di scuole diverse, localizzate in aree differenti, ed e’ pronta a condividere tale esperienza diretta con i docenti guidandoli durante tutte le fasi organizzative del soggiorno studio o del viaggio di istruzione: scelta livello del corso, tipo di sistemazione, selezione visite guidate, etc. La presenza in loco rap-presenta, ovviamente, un’ulteriore garanzia di sicurez-za: studenti ed insegnati possono sempre contare sul personale italiano residente all’estero, pronto ad inter-venire 24 ore su 24 anche modificando il programma originario laddove necessario. Juventus Viaggi offre, inoltre, un servizio di consulenza ed assistenza diretta alle scuole per la presentazione di progetti finanziati dalla comunità europea.

school & education

Competenza, esperienza ed innovatività sono componenti distintive del nostro modo di operare.

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Dal 3 al 7 novembre 2010 ab-biamo assistito ai Campionati Mondiali di Wheelchair Hockey (Hockey in carrozzina elettrica) a Lignano Sabbiadoro.

In cattedra sono salite 8 nazioni partecipanti ” Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Italia, Olan-da e Svizzera l’Australia ”.

Il nostro compito era non solo quello di assistere alle avvincenti sfide in campo ma anche quello di intervistare i diretti protagonisti, i loro famigliari e accompagnatori.

La campanella della ricreazio-ne era sostituita dal fischio degli arbitri, le lezioni, entro questi fischi, erano delle vere e proprie esperienze di vita, ammirazione per gli atleti capaci di straordina-ri adattamenti motori malgrado

l’indebolimento muscolare, mo-menti di sofferta realtà ma sempre con un messaggio finale positivo.

La Federazione Italiana Wheel-chair Hockey (FIWH) costituitasi

nel 2003 e disciplina sportiva rico-nosciuta Comitato Italiano Paralim-pico (CIP), ha lo scopo di avviare alla pratica sportiva dell’hockey su carrozzina elettrica le persone con grave invalidità motoria derivante da distrofia muscolare.

Consente di far giocare persone con diversi livelli di invalidità, coloro che hanno sufficiente for-za nelle braccia impugnano una mazza in materiale plastico, altri se impossibilitati applicano sulla pedana della carrozzina, un dispositivo in grado di colpire e indirizzare la palla, lo ‘stick’, con applicate due alette. La partita è giocata da due squadre di cinque componenti ciascuna, con lo scopo di colpire la palla e farla entrare nella porta avversaria.

Il Wheelchair Hockey, pur non ancora prevista nelle prossime

paralimpiadi di Londra 2012, si è rivelata una disciplina sporti-va validissima, eccellente esito di geniale intuizione di atleti ed esperti tecnici sportivi che hanno saputo regolamentarla rendendola praticabile da persone con for-ti invalidità. Come geniale è la realizzazione di carrozzine sem-pre più agili e manovrabili, come spesso accade, solo da poche dita di una mano. Queste giornate ci hanno lasciato un bagaglio umano, culturale e sportivo che accompa-gnerà la nostra crescita e le nostre

future scelte , certi che unire le intelligenze e le competenze per-metterà di abbattere le avversità e diversità.

Foto di Mirko Albrigo

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Sport e Disabilitàs

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17 novembre 2010, Educazione fisica con classe allargata, non per eseguire ed essere guidati, ma per coordinare e condurre il magico meccanismo di una lezione indi-menticabile: il campionato regiona-le di bocce FISDIR .

Presso il bocciodromo comunale del quartiere di Torre di Pordeno-ne, arrivano sorridenti i concorrenti delle quattro provincie insieme ai familiari, volontari, giurie, educato-ri e tecnici. E i corridoi piano piano si riempiono di appassionati delle bocce, contagiati dall’entusiasmo coinvolgente degli atleti davvero speciali che oggi invadono l’impian-to sportivo, atleti noti ai frequen-tatori del bocciodromo grazie alle numerosissime foto raccolte ogni anno, per onorare i Campioni.

Fra tiri ad effetto, punti sfiorati e partite vinte, concentrazione, at-tese impazienti degli atleti partiti all’alba da località lontane con il de-siderio di partecipare e dimostrare come sanno giocare bene, raggiun-giamo a turno i diversi partecipan-ti presenti per raccogliere le loro testimonianze.

E così scopriamo che il personale della Protezione Civile e del servizio Medico Sanitario aderisce abitual-mente alle numerose manifestazioni sportive paralimpiche del territorio e con particolare contentezza per l’atmosfera allegra e sincera che si respira.

Intervistando gli alunni intervenu-ti anche come spettatori, scopriamo che molti conoscono già da tempo il mondo paralimpico e hanno aderi-to come volontari, alcuni ne hanno sentito parlare solamente alla Tv, per altri invece , pur essendo la pri-ma volta, hanno subito notato come lo sport delle bocce sia realizzabile da persone con diverse situazioni psicofisiche e con ottimi esiti.

E finalmente tra una partita e l’al-tra, la parola è passata agli atleti del-le squadre che con orgoglio hanno elencato i nomi dei compagni, dei loro istruttori e accompagnatori,

manifestando grande dignità e senso di appartenenza. Con disar-mante naturalezza e cordialità ci snocciolano le loro vittorie naziona-li e internazionali, che tutti noi alun-ni presenti non abbiamo neanche

lontanamente sfiorato! Scopriamo veri e propri personaggi Campioni nello Sport e nella Vita, capaci di straordinarie imprese sportive che non hanno riempito le prime pagine dei giornali ma che riempiono la vi-ta ogni giorno di bellissimi esempi per tante persone e oggi per noi!

Attraverso le nostre domande, rie-scono ad esprimere la loro profonda soddisfazione per aver partecipato anche oggi, per aver incontrato gli atleti amici delle altre squadre, per aver gioito con tutti noi studenti e aver fatto ancora una volta del loro meglio.

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Europa chiama Scuoladi Antonio Augenti

Inizia un nuovo decennio: l’Europa alle corde?

Recenti studi condotti sotto l’egida delle Nazioni Unite indicano la strada che potrà

essere percorsa da alcuni importanti paesi nei prossimi anni sulla linea del cambiamento, della innovazione e dello sviluppo.

Il Brasile, uno dei più grandi pa-esi emergenti, con una popolazione attuale di circa 200 milioni di perso-ne, si avvicinerà nel 2050 ai 220 mi-lioni; ha un reddito nazionale lordo pro-capite di circa 97 punti e spende attualmente circa il 10 per cento pro-capite per l’istruzione primaria, cin-que punti in meno di quanto spende per la sanità. La Cina e l’India, i due grandi paesi che sulla scena mon-diale stanno catalizzando l’attenzio-ne degli osservatori, passeranno nel 2050, il primo, da 1 miliardo e 354 milioni di persone a 1 miliardo e 417 milioni e, il secondo, da 1 miliardo e 215 milioni a 1 miliardo e 613 milio-ni. La popolazione di questi due pa-esi messi insieme manterrà l’attuale percentuale ( circa un terzo ) della popolazione mondiale, con tenden-za all’aumento. Entrambi questi pa-esi registrano redditi nazionali lordi pro-capite pari rispettivamente a 98 e 47 punti e spendono per l’istruzio-ne notevolmente in più di quanto investono molti paesi dell’Europa occidentale.

La popolazione dell’Asia nel suo complesso è già ora pari a circa il 40 per cento della popolazione mondiale e accrescerà ancora tale percentuale negli anni che verranno fino al 2050.

Una prima conseguenza che questi dati determinano riguarda l’allarga-mento enorme dei mercati in alcune aree del mondo. Il Continente euro-peo e quello americano rimarranno,

invece, complessivamente contratti, con una leggera crescita della zona del Nord America rispetto all’area europea, che subirà una significativa contrazione (dagli attuali 733 milio-ni circa ai 691 milioni del 2050). Per la stessa zona africana si prevede un raddoppio quasi della popolazione. Ciò significa che vi saranno apprez-zabili variazioni nel tempo degli in-dicatori economici che riguardano la domanda di consumo, i costi di produzione, gli addetti al mercato, i redditi complessivi e pro-capite. La zona asiatica in particolare è quella nella quale, in virtù dei processi già in atto di delocalizzazione, risultano e risulteranno ancora per qualche tempo bassi i costi di produzione e, presumibilmente, in ragione dell’au-mento pro-capite del reddito si potrà delineare in essi una crescita della domanda interna anche nei confron-ti di beni e servizi importati. Tor-nano a beneficio di tale previsione anche i dati che riguardano la sani-tà, l’assistenza, le nascite, la stessa istruzione. Dati recenti di natura economica riferiti ai paesi sviluppa-ti e alla Cina a confronto ci dicono che il PIL viaggia in Cina intorno al tasso del 9. 6 rispetto al 2. 6 degli Stati Uniti e all’1. 9 dell’area Euro. Anche il PIL atteso per il 2011 è an-corato a questi valori, mentre i tassi d’inflazione e quelli concernenti la disoccupazione avvicinano sensibil-mente le tre aree messe a confronto. Come si osservava prima, è imma-ginabile, invece, che il mercato ci-nese registri, e lo fa già ora, un tasso di crescita dei consumi significati-vamente più alto di quello relativo all’area degli Stati Uniti(9. 5 rispetto all’1. 8) e all’area Euro (9. 5 rispet-to all’1. 0). Naturalmente, è ovvio

osservare che ciò che sta dietro la capacità di produrre ricchezza nei paesi emergenti è dato dal potenzia-le d’istruzione e di ricerca promos-so. L’Europa è penalizzata da questo punto di vista, investendo sotto il 2 per cento del PIL in ricerca e intorno al 4. 9 in istruzione, ben al di sotto di quanto avviene altrove. Le fonti più accreditate (Banca Mondiale, Fondo Monetario, Eurostat, OCSE) descrivono un’Europa già in ritardo sulla linea dello sviluppo: obiettivi di Lisbona mancati al 2010 e , pre-sumibilmente, la stessa cosa avverrà al 2020. Il fatto è che, come lamenta la Commissione dell’UE, le riforme in Europa non sono all’altezza della posta in palio, e che alcuni fattori importanti (mobilità demografica, scambi, innovazione tecnologica, conoscenza informatica, lingue) non sono governati adeguatamente in vista dello sviluppo.

Dobbiamo ritenere di essere de-stinati come Europa a nuove ser-vitù politiche ed economiche? Se si riflette sui problemi interni che i paesi della zona asiatica saranno costretti ad affrontare nei prossi-mi decenni (assetti istituzionali, configurazione dei mercati, tute-la dell’ambiente, politiche sociali e altro) non si può essere così sicuri che nei loro confronti L’Europa non possa giocare la sua partita: a con-dizione che consolidi il meglio che sul piano della vita democratica e della libertà ha saputo sinora fare; e purchè concentri prioritariamen-te sulla partecipazione estesa e di qualità ai processi d’istruzione e di formazione gli sforzi migliori diretti a garantire non solo la crescita, ma uno sviluppo a misura dei bisogni più avvertiti dell’uomo.

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